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CAPITOLO 3- ELEMENTI DI PRAGMATICA

*video*: un chico jóven llama a un hombre mayor de origen árabe. Le pide que le ayude con
algo, un favor. El hombre se siente atacado y piensa que es un comportamiento maleducado.
Le pide que por favor vuelva a llamarlo y le hable bien. Entonces el chico joven lo vuelvo a
llamar saludándolo cordialmente, preguntándole por la familia y finalmente, pidiéndole
amablemente el favor. (*errore di formulazione*)

I saluti – caracteristichi che emergono:


-HOLA/BUONGIORNO, CIAO, SALVE → en Italia grados de formalidad en el saludo.
No puedes saludar a un profesor de la
misma manera en la que saludas a tu amigo.
Sin embargo, eso no existe en la lengua española.
¿Qué significa esto?Ci sono culturamente codificate o noncodificate: la lingua è insegnata in
un contesto. Deviamo sapere quando abbiamo bisgono di dire qualcosa in un certo momento.

6.1. Rilevanza della dimensione pragmatica:


La linguistica educativa e gli approcci funzionali e comunicativi alla didattica delle lingue hanno
l’obiettivo di sviluppare nel discentre la competenza in una lingua ai suoi diversi livelli (dalla
fonetica al testo) con l’obiettivo di fornire gli struenti per agire e interagire in quella lingua in
modo efficace e adeguato al contesto, coerente con i suoi scopi comunicativi, la competenza
pragmatica. Per tanto, lo sviluppo della competenza pragmatica si presenta come uno dei
principali fini della didattica.
Due componenti della competenza pragmatica:
• La componente socio-pragmatica: insieme delle convenzioni e norme sociali che
definiscono se e come un enunciato deve essere realizzato in relazione al contesto* (il
rispetto, la confidenza, la distanza).
• La componente pragmalinguistica: riguarda la codificazione linguistica di tali
dimensioni, cioè, insieme degli elementi linguistici che hanno le funzioni di modificare
un enunciato in relazione al contesto. Per esempio, in italiano, la forma di
cortersiaLei.(tipo de estructuras, operaciones lingusiticas que llevas acabo para
ajustarte)
Il potenzamiento della competenza pragmatica in L1, L2, ecc., ha a che fare con entrambe le
componenti, non risolvendosi solo in un’instruzione su forma linguistiche specifiche, ma
richiedendo pure, soprattuto nel caso di lingue non native, l’esplicitazione delle norme sociali
di quella lingua e cultura.

6.2. Gli atti linguistici


La lingua serve per fare cose: salutare, espresare un sentimento, scusarsi, ecc. Cioè, riguarda
l’idea del linguaggio come strumento di azione. Parlando si possono compiere infatti azioni di
vario tipo che mirano a produrre specifici effetti nell’interlocutore e che spesso non possono
essere compiute senza ricorrere a mezzi linguistici. Le azioni compciute ricorrendo
elettivamente al linguaggio verbale sono definibili come atti linguistici, sono le unità di base
dell’analisi pragmatico e constano di tre livelli/o componenti:

• Locutivo: enunciazione di parole e suoni di una certa lingua con una strutture fonetica,
grammaticale, lessicale . Per esempio, riferimento a eventi, stati di cose, a entità e
predicazioni. Ad esempio, l’enunciato: Quel vaso sta cadendo! [20] (L’enunciato è una
locuzione)
• Illocutivo: nell’intenzione con la quale e per la quale si roduce la frase (ad es.
Informare, scusarsi, ecc.). Ogni enunciato ha unaforza illocutivarealizzta dall’atto
illocutivo. La forza illocutiva di [20] è verosimilmente un avvertimento all’interlocutore
circa il pericolo incombente della caduta del vaso;
• Perlocutivo; effetto che l’atto linguistico intende generare sull’interlocutore
(impaurirlo, ecc.): è collegato all’atto linguistico, ma non ne fa strettamente parte.
L’efetto perlocutivo di [20] è spaventare l’interlocutore.
Molti verbi designano atti illocutivi, però ci sono verbi particolari che, usati alla prima
persona del presente ind. Annullano la distinzione fra il contenuto refernziale ed il atto
illocutivo, quelli sono i verbi performativi, come proibisco. Il valore illocutivo di
proibizione, di fare qualcosa coincide con la realizazzione di (ti) proibisco (di uscire).

Ci sono atti linguistici diretti, come quello di avvisare nell’esempio appena citato, e
atti linguistici indiretticompiuti con forme tipiche di altri atti linguistici. Es.: una
richiesta viene formulata come domanda, per una scelti di cortesia: anziché compiere
una richiesta diretta, piuttosto perentoria come Ti chiedo di rispondere a questa
lettera al più presto possibile, si opta cosí per un atto indiretto, in forma di domanda
Potresti per favore rispondere a questa lettera...? con possibili aggiunte di
modificatorio di forza illocutivacome per favore, volevo chiederti....

Classi di atti linguistici secondo Searle: (basate su una classificazione di diverse forza
illocutive, cioè, diversi intenzionalità e su diverse condizioni per la riuscita):
• Dichiarativi: producono un cambiamento istituzionale nella situazione, se prodotti
nelle condizioni opportune (dichiarare guerra, battezzare, ecc.)
• Rappresentativi o assertivi: che ipmegnano il parlante sulla veritpa della proposizione
espressa (affermare, concludere)
• Commissivi: che impegnano il parlante a fare qualcosa in futuro (promettere, offrire)
• Direttivi: richiedono all’interlocutore di fare qualcosa, inducendolo a specifici
comportamenti (chiedere, ordinare)
• Espressivi: che esprimono uno stato psicologico del parlante (salutare, congratularsi)

La realizzazioni di tali tipi di atti può assumere forme anche molto diverse in vari àmbiti
linguistico-culturali. Es.: il saluto, è un atto espressivo praticamente universale ma norme e
rituali, tempi per il saluto divergono anche di molto nelle varie lingue e culture. Tali
dimensioni di variazione, pertinenti in chiave di pragmatica interculturale, vanno tenute
prsenti in una glottodidattica pragmaticamente informata.

6.3. La logica della conversazione:


Grice afferma norme generali che governano la conversazione, riconosciuta come la forma
basilare di interazione linguistica. Si tratta di un approccio più globale alla dimensaione
pragmatica, attengo a mettere in luce la forza delle intenzioni comunicative dei soggetti
interagenti, la razionalità o logica della conversazione che soggiace alle loro interazioni
verbali.
Saper identificare le intenzioni comunicative altrui, fa parte di una competenza pragmatica
a tutto tondo nella lingua d’arrivo, da promouovere al meno a livelli intermedi e avanzati
di apprendimento.
Secondo Grice, vi sarebbe il ricorso a un principio generale e razionale, il principio di
cooperazione: si parte del presupposto che normalmente l’interlocutore intervendo nel
corso dell’interazione verbale, coopera alla buona riuscita della comunicazione, piñu
precisamente alla costruzione di un modelo di discorso condiviso. Tale principio si
declinerebbe in quattro massime conversazionli:
• RILEVANZA/ RELAZIONE: informazione pertinente e rilevante nel contesto
• QUALITÀ: informazine vera, verificabile.
• QUANTITÀ: infomazione quantitativamente adeguata, giusta, necessaria.
• MODO: informazione chiara, evitando oscurità, ambiguità,ecc.
Le massime possono talora essere violate ma in tal caso, dando normalmente per assodato
che il princpio di cooperazione resta valida, l’ascoltatore inferisce altri significati, operando
implicature conversazionli (inferenze scaturite dal comportamento del parlante e dalle
aspettative evocate). Es.: Come va? A meraviglia!

6.4. Interagire parlando: turni, mosse comunicative, dominanza e cortesia:


Dal punto di vista strutturale, l’interazione può essere descritta facendo riferimento a una
serie di regolarità discorsive e di unità, fra cui il turno e la mossa comunicativa, su cui puntano
l’attenzione l’etnometodologia e l’analisi della conversazione.

Regole di avvicendamento dei turni


-Il turno è lo spazio di intervento del singolo parlante durante uno scambio comunicativo,
prima che la parola passi a un altro. Nelle diverse comunità liinguistiche vigono regole relative
a come si alternano i turni in una conversazione.
L’avvicendamento dei turni si ha di norma in punti detti di rilevanza transizionale, variamente
segnalati (es.: al termine di un’unità liinguistica o prosodica, dopo aver selezionato il parlante
successivo con una domanda, ecc.).
-Pause, silenzi e sovrapposizioni nelle conversazioni reali son tutt’altro che rari, assumendo
diverse valenze e svolgendo varie funzioni: un silenzio può constituire una non risposta ostile;
una pausa un momento di pianificazione sintattica; una sovrapposizione mostrare una
partecipazione, ecc. Essendo tali comportamenti in parte diversi da cultura a cultra, è
opportuno istruirel’apprendente sia su come gestire i suoi interventi alla conversacione
secondo specifiche regole di avvicendamento dei turni, sia su come la specifica cultura e lingua
d’arrivo tende a gestire e ad interpretare sovrapposizioni, pause e silenzi.

Mosse comunicative e sequenze complementari


-Una nozione pragmaticamente rilevante è quella di mossa (comunicativa). In generale, le
mosse spesso si organizzano in sequenze complementari (domanda/risposta), che generano
attesse negli interlocutori (dopo aver posto una domanda a G, P si aspetta delle risposte) in
quanto hanno continuazioni preferenziali, non marcate o dispreferite, spesso marcate queste
ultime da esitazioni, giustificazioni, segnali di imbarazzo e di attenuanzione.
-La struttura della conversazione risente anche del diverso potere interazionale degli
interlocutori, più o meno simmetrico. La dominanza di uno degli interlocutori pù essere dovuta
a cause diverse, sia di tipo sociale(maggior prestigio, età, ecc.) sia di tipo contestuale (funzione
specifica svolta in un certo contesto com.); o linguistico (maggiore competenza linguistica) e
può dare luogo a conflitti. Tale dominanza affiora per esempio pure nella frequente struttura
tradica dell’interazione didattica, costituita da una mossa iniziale o di avvio del docente (una
domanda), una mossa di risposta del discente, infine una mossa di chiusura (follow-up) con
accettazione, valutazione, commento del docente.
Il docente può sfruttare tale dominanza in modalità didatticamente opportune, al fine di
fornire un input corretto e abbondante in tale lingua, ma può anche decidere di proporre
talora al gruppo classe modalitpa interazionali alternative, con scambi comunicativi più
simmetrici, contrassegnati da prese di turno piú libere. *estructuras*

Gestione della faccia e cortesia


Incidono e si intrecciano con tali dinamiche aspetti relativi alla gestione della faccia o
immagine sociale del sé. I partecipanti tendono pure a salvaguardare e promuovere la propria
immagine, presentadola come attenta all’altro, a esibire rispetto per quella altrui, evitando
offese. Cioè, cercano di non invadire il campo di azione dell’altro (faccia negativa) e di
promuovere la sua immagine (faccia positiva). La gestione di aspetti interpersonali tanto
delicati è sicuramente più problematica nel caso di lingue e culture non del tutto familiari ai
partecipanti, i quali rischiano di operare inconsapevoli quanto virtualmente rovinosi transfer
pragmatici dalla propria L1.
Contribuisce alla gestione della faccia la codifica verbale della cortesia; presente in tute le
culture in modalità diverse. La codifica linguistica della cortesis si vale inp articolare di mezzi
paralinguistici e prosodici, morfologici (morfemi, persone verbali, modi e tempi di cortesia,
imperfetto o condizionale, volevo/vorrei...), ecc.

➢ SLIDES (i possibili domande)

-LA SCELTA DEL MODO DEPENDE DAL CONTESTO:


-Situazione comunicativa
-Rapporti fra gli interlocutori (differenza di età, sesso, ecc.)

Moduliamo questi atti con...


-Scelte lessicali;
-Strttura morfosint.
-Struttura della conversazione: cosa viene prima, dopo...
-Prosodia: riguarda 3 cose intensitpa, ritme ed intenonazione. Per esempio, la lingua italian ha
un ritmo ed intonazione propria. L’entonanzione ed intensità con quella che pronuncia la
parola “no” cambia il senso e fine.

*Perché è oportuno insegnare la pragmatica?* DOMANDA


1. Se la inadeguatezze pragmatiche vengono interpretate come manifestazioni del carattere
(personale o etnico), possono esserci conseguenze anche gravi per la relazione tra i parlanti.
2. Diversi studi rilevano che gli apprendenti ai quali non viene impartito alcun insegnamento
specifico nella pragmatica della L2 hanno fatica a sviluppare una buona competenza
pragmatica nella lingua obiettivo. Questo vale soprattuto in contesto di Lstraniera, ma non
solo.

*Perché è piú complicato imparare la pragmatica che la grammatica?*DOMANDA*


-Insegnamento della pragmatica: Per insegnare una struttura grammaticale posso fare
riferimento a regole che definiscono in maniera univoca le relazioni tra le forme e le loro
funzioni. Nella pragmatica il riferimento all “regola” è una questione molto piú delicata e
complessa.
-L’apprendente può anche scegliere di non adeguarsi alle norme sociopragmatiche della L2
perché culturamente troppo lontane dalle proprie.
Per esempio:
L1+L2+L3= parlo 3 lingue
C1+C2= non sono biculturale. Puedo elegir
una que es la que me prevalecerá (o la 1 o la 2)
o hacer un mix de ellas, es decir, tomar partes
diferentes en las que te sientes cómodo de
cada una (C3).
QUINDI: -Offrire un input il piú possibile vario > contesti diversi, interlocutori diversi, ecc.
-Sviluppare consapevolezza> che effetto produco con un certo comportamento llinguistico?
Come possono essere interpretate certe scelte pragmatiche? Ecc.
*POSSIBILI DOMANDE*
-Perché è più complicato imparare la pragmatica che la grammatica?
-Perché è opportuno insegnare la grammatica?
-Spiegate anche con esempi, che cosa è il trasnfer pragmatico
-Illustrate i componenti della competenza pragmatica

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