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La linguistica pragmatica LINGUISTICA Prof.

Bourenane

Da quanto si è detto finora potrebbe sembrare che una lingua storico-naturale sia costituita
dall’assemblaggio di unità più piccole in unità più grandi secondo certe regole di combinazione e
di successione: dai fonemi si passa ai morfemi grammaticali e ai morfemi lessicali (o lessemi);
mediante le combinazioni di lessemi si passa ai sintagmi, combinando sintagmi si ottiene una
frase; un insieme di frasi può, osservando certe regole, costruire un testo. Tutto ciò è senz’altro
vero. Però la vita di ogni giorno ci mostra di continuo quanto sia importante tutto ciò che sta
intorno alla lingua, cioè i modi e le circostanze in cui avviene ogni atto comunicativo.
Consideriamo lo scambio linguistico fondamentale: il dialogo. Ebbene, noi possiamo osservare, in
ogni momento, quale importanza abbiano i fattori che elenchiamo qui di seguito: la personalità e
l’atteggiamento di chi parla e di ascolta, i rapporti che intercorrono tra emittente e ricevente, le
circostanze avvenuti prima del dialogo stesso. Un semplice saluto, buon giorno, può avere diversi
significati a seconda delle circostanze delle situazioni in cui è pronunciato. Ma soffermiamoci su
un messaggio di diversa natura: “Qui si parla italiano”. Questa semplice frase può avere un valore
di semplice informazione quando appare in un cartello esposto in un negozio o presso uno
sportello (all’estero). Se è rivolta a un ospite straniero (nel corso di un ricevimento), è un
esortazione a parlare italiano. Se è pronunciata da un insegnante di italiano in una scuola per
stranieri è una raccomandazione necessaria per raggiungere un evidente fine didattico. Secondo le
situazioni, quindi, la frase può avere valore di principio generale e di semplice informazione
oppure può essere legata alle circostanze del momento (il ricevimento); può essere un segno di
cortesia e disponibilità (il cartello) o una necessità didattica (la scuola). In ogni contesto c’è un
sistema di attese riguardo alle possibili reazioni del recevente nel caso del cartello non ci aspetta
necessariamente che il ricevente parli effettivamente italiano, mentre a scuola lo si dà per scontato.

Dunque, non si può prescindere dal contesto in cui avviene la comunicazione: sono
importanti il tempo e il luogo, il sistema di conoscenze del ricevente, le ipotesi dell’emittente sulle
conoscenze e sulle facoltà del ricevente e così via. Sappiamo bene dalla nostra quotidiana
esperienza che la stessa frase detta da un adulto a un bambino, da un amico ad un estraneo, inserita
o no in un determinato contesto, può assumere significati diversi e talora opposti.

LA LINGUISTICA PRAGMATICA , affermatasi negli anni settanta in Germania e nei Paesi


anglosassoni, ritiene che il parlare sia un'azione (greco pragma) e che gli uomini, quando parlano,
compiano degli atti linguistici. Bisogna descrivere e interpretare tali atti linguistici, mostrando al
tempo stesso le intenzioni e il contesto che li accompagnano. La pragmatica studia una lingua dal
punto di vista degli utenti, considerando: 1- la scelte che essi compiono nel comunicare, 2- le
costrizioni che essi incontrano usando la lingua nell’interazione sociale, 3- gli effetti ottenuti dal
loro uso della lingua su coloro che partecipano alla comunicazione.

Secondo il filosofo americano Ch. Morris (1901-1979) nella teoria generale dei segni o
semiotica si distinguono tre diversi livelli di analisi: le semantica, che riguarda il rapporto dei
segni con i referenti; la sintassi, che studia il rapporto dei segni fra loro; la pragmatica, interessata
alle relazioni tra i segni e chi li usa. Agli studi di Morris hanno fatto seguito le teorie dell’inglese
J. L. Austin (1911-1962), un filosofo del linguaggio che si può considerare il fondatore della
linguistica pragmatica, e gli approfondamenti di altri studiosi, che si sono occupati delle modalità
dell’interazione comunicativa (analisi conversazionale) e della buona riuscita di un atto
linguistico.

Con interazione (faccia a faccia) s’intende l’influsso reciproco che i partecipanti, presenti
fisicamente, esercitano sulle loro azioni linguistiche. Questa definizione si riferisce alle due
accezioni del termine “interazione”: 1- il complesso d’influssi reciproci che si scambiano coloro
che partecipano a un evento comunicativo (interattanti); 2- il luogo dove si attua questo gioco di
azioni e di reazioni. Un’interazione è l’insieme degli avvenimenti che compongono uno scambio
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comunicativo completo, il quale si scompone in sequenze, scambi e altre unità costitutive di rango
inferiore; inoltre un’interazione può essere verbale o non verbale. Esempi di interazione verbale
sono la conversazione, l’intervista, la riunione di lavoro. Durante lo svolgimento di un qualsiasi
scambio comunicativo, i diversi interattanti esercitano gli uni sugli altri influssi reciproci: dunque,
conversare significa anche cambiare idee, modi di esprimersi, atteggiamenti mentali.

Nella conversazione è possibile individuare: a) un insieme di categorie discorsive dipendenti


dall’organizzazione del discorso: atto, intervento, scambio, transizione, incursione; b) dei principi
di concatenazione, i quali permettono di distinguere sequenze discorsive ben formate o
malformate. Le transazioni costituiscono dei domini tematici omogenei, dove si attuano
accomodamenti, compromessi e patteggiamenti. In un ristorante si avranno tra l’altro le seguenti
transazioni: richiesta del menu, richiesta al cameriere di precisazioni, offerta e descrizione di cibi,
richiesta di un consiglio (sul vino, sul dolce ecc.), patteggiamento (nella preparazione dei cibi),
raccomandazioni e rassicurazioni (sulla genuinità, qualità dei cibi).
Va notato che le strategie conversazionali sono diverse da popolo a popolo, da gruppo sociale a
gruppo sociale. Gli italiani, quando conversano, “si sovrappongono” continuamente. Questa
sovrapposizione non è gradita a molti stranieri, che osservano con maggior scrupolo i turni
conversazionali. Un inglese e un italiano si sentono autorizzati a prendere la parola in momenti
diversi: per l’italiano intimità, privacy, distanza conversazionale, entrare nel campo visivo
dell’interlocutore sono elementi sufficienti per arrivare il discorso; per l’inglese è necessario un
invito esplicito.

GLI ATTI LINGUISTICI, come abbiamo osservato, la linguistica pragmatica studia gli usi
comunicativi reali, tenendo conto soprattutto delle intenzioni del parlante: pertanto presenta
numerosi punti di contatto con la sociolinguistica e la linguistica testuale, proprio perché parte del
presupposto che la lingua è un’attività condizionata dal punto di vista sociale e pianificata in modo
da conseguire certi obiettivi. Come la sociolinguistica, la linguistica pragmatica nasce per una
sorta di reazione allo strutturalismo e al trasformazionalismo. Infatti sia Saussure sia Chomsky
hanno rivolto l'attenzione agli aspetti sistematici della lingua, ponendo in secondo piano la vita
concreta della lingua, il fatto che gli uomini, quando comunicano fra loro, si confrontano e
interagiscono in situazioni e in contesti ben determinati.
Secondo la linguistica pragmatica il parlare è un’agione e gli uomini, quando parlano, compiono
degli atti linguistici. Bisogna descrivere e interpretare tali atti linguistici, mostrando al tempo
stesso le intenzioni e il contesto che li accompagnano.
Gli studiosi di linguistica pragmatica s’interessano quindi del parlante in azione, vale a dire
immerso nell’azione linguistica. I principali obiettivi di questo particolare ramo della linguistica si
possono riassumere in una serie di domande:
 Come si stabilisce il rapporto con un’altra persona per mezzo di un’espressione linguistica?
 Come si mantengono i rapporti che già esistono?
 Come si può agire sui pensieri e sui comportamenti di altre persone?
 In che senso espressioni linguistiche possono essere intese come tipi specifici di azione?
 Quali sono i motivi per cui un’azione linguistica ha successo o no in certe condizioni?
 Quali conseguenze risultano di volta in volta per il partecipante della comunicazione?
 Come ci si riferisce, parlando, al contesto della situazione e dell’azione?
 Come ci si riferisce alla realtà della natura, della società e dei processi di lavoro, mediati dalla
tradizione, dall’educazione e dall’esperienza?

Tra i suoi obiettivi principali la linguistica pragmatica si propone lo studio del dialogo. Di
questo si devono innanzi tutto distinguere vari scopi: comunicazione, domanda, risposta,
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preghiera, saluto, ingiunzione, convincimento, esortazione, allusione, offesa, minaccia ecc.


Bisogna poi distinguere tra ciò che è detto effettivamente nel discorso e ciò che è sottinteso: vale a
dire tra l'esplicito e l'implicito. Abbiamo già visto che il fine nascosto di un discorso è un fattore
molto importante che orienta e determina il discorso stesso. Sono importanti gli atti linguistici
indiretti: per esempio, le chiacchiere sul tempo (bello o brutto che sia) servono non per
comunicare ma per stabilire un contatto con un interlocutore che ancora non si conosce bene,
servono per saggiare le sue intenzioni.

Il filosofo inglese J. L. Austin (1911-1960) nel saggio How to do things with words, pubblicato
postumo nel 1962, affermò che, oltre alle frasi affermative e descrittive, esistono anche frasi-
azioni, vale a dire delle frasi che, quando sono pronunciate, costituiscono di per se stesse delle
azioni. Tale teoria è stata sviluppata dallo statunitense J.R. Searle (n. 1932) elaborando la teoria
degli atti linguistici nel saggio Speech acts (1969). Di che cosa si tratta? Spieghiamoci con un
esempio. Se nel corso di una cerimonia ufficiale, io dico: "battezzo questa nave con il nome di
"Invincibile"”; se in tribunale dichiaro: "giuro di dire la verità”; se, in circostanze meno formali,
ma con piena convinzione e serietà, io dico a qualcuno: “ti prometto di venire alle sette”; oppure
saluto gli amici con un “benvenuti a casa mia”, pronunciando queste frasi io compio di fatto delle
azioni che si chiamano rispettivamente: “battesimo”, “giuramento”, “promessa”, “saluto”.

Allora, facendo uso di terminologia specifica, si può destinguere fra:


ATTO LOCUTORIO che consiste semplicemente nel dire qualcosa, per esempio: Mario mangia
la mela; questa camera è ampia e assolata;
ATTO ILLOCUTORIO che consiste nel fare un'azione dicendo qualcosa (gli esempi del
battesimo, del giuramento, della promessa e del saluto);
più precisamente, secondo Austin, l’atto illocutorio è l’atto con cui si operano trasformazioni, che
sono accettate da coloro che partecipano all’azione linguistica; tali trasformazioni riguardano le
modalit di “potere”, “dovere” e “sapere”, che caratterizzano la relazione fra gli interlocutori.
ATTO PERLOCUTORIO che è tale da provocare un effetto sull'ascoltatore; per esempio, le frasi
che servono a convincere, a minacciare, a incoraggiare generano convinzioni, paure, coraggio.

GLI ATTI LINGUISTICI INDIRETTI , ciò che il parlante intende comunicare, spesso non viene
enunciato direttamente o formulato in maniera esplicita. Consideriamo il seguente dialogo:
- Vieni al ciema con me stasera?
- Devo preparare un esame.
Qui l’interlocutore non dà una risposta negativa diretta, ma fornisce una spiegazione sul
perché non può accettare la proposta: ha un impegno di studio inderogabile e quindi, dato che
non si possono fare più cose contemporaneamente, deve declinare l’invito. In numerosi casi
l’atto linguistico indiretto è una formula di cortesia.

Le conoscenze pragmatiche intorno agli atti linguistici indiretti sono di fondamentale


importanza per corretto svolgersi della comunicazione quotidiana. Prendiamo le seguenti
frasi:
Mi sai dire l’ora?
Mi puoi passare il sale?
Una risposta che si limiti a un semplice sì –e non sia rispettivamente seguita dall’indicazione
dell’ora oppure dal gesto di porgere il sale- è considerata altamente inappropriata. In realtà
non si tratta di domande circa le conoscenze (sai?) o le capacità (puoi?) dell’interlocutore. La

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frase interrogativa è solo un modo convenzionale per esprimere una richiesta in forma
cortese.
A volte risulta difficile stabilire se si tratta di atto linguistico diretto o indiretto.
Immaginiamo che in un ambiente dove il fumo sia vietato ci venga rivolta la domanda Le
dispiace se fumo una sigaretta? Se considero tale domanda un atto linguistico diretto, sarò
“autorizzato” a rispondere anche con un sì (se il fumo mi dà effettivamente fastidio). Se
invece la interpreto come un atto indiretto (nel senso di “Le comunico che mi accenderò una
segaretta”), allora risponderò solo con un no.
ASPETTI E FUNZIONI DELLA DEISSI , immaginiamo di tornare da un lungo viaggio e di trovare
sulla segreteria telefonica il seguente messaggio:
Buon giorno! Sono io. Senta. Possiamo vederci qui dopodomani?
È un messaggio che risulta impossibile da interpretare: l’indicazione temporale dopodomani è
vaga perché non conosciamo il momento esatto in cui è stato inciso il messaggio; anche qui non è
interpretabile, perché non sappiamo da dove è stata fatta la telefonata; il pronome personale io,
non può essere associato a un referente (a meno che non si riesca a riconoscere l’autore della
telefonata dalla voce). Un messaggio più appropriato avrebbe potuto essere il seguente:
Buongiorno! Sono l’avvocato Rossi. Senta, possiamo vederci nel mio studio di Roma il 20
settembre?
Nel primo caso, la comunicazione può non avere successo perché manca il quadro di riferimento
cui ancorare i cosidetti elementi deittici usati. I deittici servono a mettere in rapporto l’enunciato
con il contesto situazionale: più precisamente, a collocarlo nello spazio e nel tempo nonché a
individuare i partecipanti alla comunicazione.

Esistono cinque tipi principali di deittici.


 I deittici spaziali possono essere avverbi (qui-lì, destra-sinistra), pronomi e aggettivi
dimostrativi (questo-quello).
 I deittici temporali sono gli avverbi ieri, oggi, domani, presto o locuzioni come poco fa, fra
non molto o la settimana prossima. Anche i morfemi di vari tempi verbali (indicanti il presente,
passato o futuro) hanno valore deittico.
 I deittici personali fanno riferimento all’identità dei partecipanti alla comunicazione (io, tu,
noi, voi). Interessante è l’uso di noi, che può essere inclusivo o esclusivo, a seconda se
comprende o meno l’interlocutore.
 I deittici sociali si ricollegano ai rapporti socio-gerarchici tra gli interlocutori. In italiano
abbiamo i pronomi allocutivi: il “confidenziale” tu e “il reverenziale” lei. In realtà, il loro uso è
complesso di quanto possa sembrare a prima vista: il tu, in determinate situazioni, può essere
offensivo e il lei, più che cortesia, può anche esprimere freddo distacco.
 I deittici testuali servono all’organizzazione del discorso. Si tratta di una forma di deissi
derivata: per il testo scritto è preferito l’uso di deittici aventi originariamente funzione spaziale
(vedi sopra, vedi sotto, più avanti); per il testo orale si ha invece la presa di deittici temporali
(prima di, dopo, fra poco).

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