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Libro:IMPARARE AD USARE UN’ALTRA LINGUA

Capit.1 il campo(Per campo semantico si intende, in linguistica,


l'area di significato coperta da una parola o da un gruppo di parole in
stretta relazione di significato. )

Chi studia l’apprendimento linguistico?


1) La linguistica – descrizione delle lingue naturali.
è la scienza del linguaggio. È una disciplina descrittiva, non scientifica bensì umanistica,
che studia il linguaggio umano nel passato e nel presente, nelle varie parti del mondo.
2)La psicolinguistica – studia la mente cioè i processi e
strategie mentali nei processi di apprendimento.può essere
definita come lo studio dei fattori psicologici e neurobiologici che stanno alla base
dell'acquisizione, della comprensione e dell'utilizzo del linguaggio negli esseri umani
La sociolinguistica – fattori contestuali/ambientali che
favoriscono l’apprendimento di una lingua
è una branca degli studi linguistici che mette in relazione linguaggio e società

Definizioni che useremo nel libro


L1, L2 e LS
L1 è la lingua materna di ciascun parlante. È possibile avere
più di una L1, es. i bambini con due genitori di nazionalità
diverse.
L2 – o seconda lingua – è una lingua appresa nel paese
dove essa è abitualmente parlata (ad es. l’italiano appreso
in Italia dagli studenti Erasmus o dagli immigrati)
LS – o lingua straniera – è una lingua appresa, a scuola, in
un paese dove non è abitualmente parlata (ad es. l’inglese
appreso nelle scuole italiane) (per comodità useremo
L1prima lingua e L2 seconda lingua)

(i criteri che differenziano L2 da L1 sono 3)

cronologia: L2 si impara dopo la L1


competenza: generalmente la L2 si conosce meno bene
della L1
uso: la L2 si usa in genere meno spesso della L1

Il processo di apprendimento della L2 è quindi diverso da


quello della L1 perchè:
1) si impara la L2 quando si è cognitivamente e
socialmente più maturi, in genere non da piccolissimi;
2) la presenza della L1 e l’uso meno frequente della L2
possono rallentare il processo di apprendimento di L2,
ossia la velocità nell’acquisizione di L1- ritarda quello della
L2 ?(la differenza è solo apparente come dimostrano molti
studi!I problemi di apprendimento della seconda lingua
dipendono dalle caratteristiche e difficoltà della L2)

Ammiriamo lo sforzo minimo e quindi la velocità che


hanno i bambini nell’imparare L1 e deprechiamo i ragazzi/
adulti che con sforzo massimo non apprendono o
apprendono poco L2.
Esito: competenza perfetta in L1 e imperfetta in L2.
In realtà è un inganno perché il bambino dalla nascita, per
l’apprendimento perfetto di L1 impiega circa 5/6 anni e circa
12.000/14.000 ore, mentre il corso scolastico di L2 dalle
elementari alla maturità implica 1.000 ore diluito in circa
undici anni. E’ però vero che l’apprendimento di L1 è
perfetto e a questo modello aspiriamo nell’apprendimento di
L2.

Acquisizione e apprendimento

Apprendimento spontaneo di L2 – inconsapevole,


inconscio, implicito (inteso cioè come sviluppo, cioè
processo di maturazione biologica determinato da fattori
genetici)si ha ad es. in un emigrante che va dalla Cina in
Germania per lavoro: per necessità impara il tedesco senza
andare a scuola.
Apprendimento guidato – consapevole, intenzionale,
esplicito (regole e insegnamento, quindi conseguenza di
un processo di apprendimento e crescita sociale)
Apprendimento misto cioè nella realtà ci può essere un
continuum di uno nell’altro(ad es. gli italini che emigravano
in America e la sera andavano a scuola)

Parar 1. Conoscere una lingua


Il parlante L1 possiede una piena competenza linguistica e
comunicativa cioè è linguisticamente competente:
conosce le regole grammaticali della sua lingua , sa
applicarle in modo automatico, sa distinguere ciò che è
corretto da ciò che è sbagliato nella sua lingua, lo intuisce,
senza averne consapevolezza cosciente.Questa
padronanza si acquisisce gradualmente e manca
all’apprendente L2 , .Inoltre il parlante L1 capisce tutte le
sfumature , i significati, anche i più nascosti cioè
è:
1) metalinguisticamente competente è in grado di parlare
la sua lingua, di analizzarla e scomporla.
2)comunicativamente competente ,conosce le funzioni
sociolinguistiche ed è in grado di usare la lingua in un
contesto
3)riconosce l’appropriatezza delle forme linguistiche
4)fa più attenzione al contenuto dell’enunciato che alla
forma, a differenza di L2 più attento alla forma.
Parar.2
Usare un’altra lingua

Il parlante di L2 non ha ancora automatizzato le operazioni


mentali per la comprensione e produzione della nuova
lingua.Consideriamo le stesse operazioni in L1:
operazioni cognitive – il parlante natio può articolare 3/4
parole al secondo coordinando un gran numero di fibre
muscolari e le può udire alla stessa velocità.
operazioni linguistiche – un adulto L1 conosce circa
45.000 parole variamente aggregabili.
operazioni sociali – usando queste risorse nel contesto
comunicativo di un solo giorno parla in modo appropriato
con una ventina di persone.L’apprendente L2 che ad es. è
stato in giro un giorno d’estate nel paese in cui si parla L2,
non ha ancora automatizzato quasi nessuna di queste
operazioni mentali ,necessarie per la comprensione e
produzione della nuova lingua.

Come si misura la competenza in L2?


L'apprendente che chiamiamo per comodità Tommaso (T.):

è linguisticamente competente?
è metalinguisticamente competente?
è comunicativamente competente?

Fattori che influenzano l’apprendimento


Fattori interni Fattori esterni
Lingua materna(L1)
Età Ambiente linguistico
Motivazione Contesto spontaneo
Attitudine Contesto guidato (insegnamento)
Stile cognitivo Input
Foreigner talk
Personalità e fattori affettivi

Parar.3 L’interlingua

È la lingua degli apprendenti, intesa come:


(ciò che l’apprendente sa, langue)sistema-competenza
(ciò che l’apprendente usa, parole)effettiva esecuzione
individuale
L' interlingua è un sistema, cioè è dinamica, nel senso che
si sviluppa in una serie di stadi di apprendimenti con
notevole varietà tra gli apprendenti, ed è influenzata da L1.

L'interlingua anche se sui generis, è una lingua naturale,


un sistema di conoscenze con un suo carattere
indipendente, è rapportata ad L2, è “cose che si sanno” e
“cose che non si sanno “.
L’interlingua è una lingua in continua evoluzione verso L2
man mano che procede l’apprendimento . Il punto di
partenza dell’interlingua non è L1 ma l’insieme di
conoscenze linguistiche che ha chi parla almeno una lingua;
il punto di arrivo è L2, verso cui si procede per gradi, ipotesi
e tentativi. Anche se il percorso è comune a tutti gli
apprendisti di L2 quello che è diverso è la velocità e l’esito
finale del percorso di apprendimento tra i vari apprendisti.

Che cos’è l’errore nel processo di apprendimento di L2?


E’ indice di uno stadio particolare dell’interlingua e del
processo di apprendimento e si dicono– errori intralinguistici
o evolutivi se legati alla L2
Se legati alla L1 sono detti – errori interlinguistici
(sistematicità)
Parar 4 La modularità
Il complesso processo di apprendimento di L2 si può
considerare come un complesso di processi separati,
ognuno dei quali costituisce un modulo.
La modularità porta a due considerazioni
1) se ognuno dei moduli o processi dell’apprendimento
obbedisce a principi diversi (es. l’apprendimento della
morfologia obbedisce a principi non molto diversi da
quelli della sintassi, ma quello della pronuncia obbedisce
a principi diversi da quelli della grammatica, )la
modularità permette di spiegare perché un apprendente
può avere un’ottima pronuncia ma un pessimo
vocabolario.
2) la modularità ci dice che l’intervento (cioè il metodo di
insegnamento) per rendere più efficiente
l’apprendimento deve essere diverso in base al modulo
da insegnare.

Senza però dimenticare l’interdipendenza dei moduli.


Durante il parlato tutti i sistemi operano insieme: quello
uditivo,cognitivo,fonatorio ecc..
Quindi la teoria dell’apprendimento deve essere
interdisciplinare.
La modularità interessa tutti i livelli di analisi linguistica :

Suoni fonetica, fonologia, che studiano la pronuncia


Parole lessicologia, studia il vocabolario. morfologia studia la
struttura delle parole
Frasi sintassi studia come le parole si combina in frasi
(morfologia e sintassi formano la grammatica)
Testo analisi del discorso, studia la combinazione frasi
che formano il testo- pragmatica studia il testo
nel contesto d’uso e lo ancora alla realtà sociale
Significato semantica studia il significato di parole frasi e testo in modo
astratto al di fuori del contesto
Questo percorso parte dal basso, dai suoni/parole per
arrivare al testo, ma per un apprendente nel processo di
apprendimento rende di più partire dall’alto, perché per
capire, prima sentiamo un enunciato in una situazione reale
e poi lo scomponiamo;

Ordinando la lingua L2 modularmente abbiamo 4 abilità


linguistiche:

capire leggere Abilità ricettive


parlare scrivere Abilità produttive

ascoltare parlare Abilità orali (canale di trasmissione


del messaggio uditivo)
leggere scrivere. Abilità scritte (canale di trasmissione
del messaggio visivo)

+ abilità metalinguistica – consapevole o inconsapevole:


ogni parlante di L1 ha delle intuizioni sulla sua lingua che gli
fanno conoscere errori, cose non dette ecc.., quando
conoscerà L2 condividerà queste intuizioni sulla seconda
lingua con il parlante nativo.
Es. rompato, tagliato, aprito, buioso, sgambetti, detto da un
bambino piccolo non saranno incomprensibili per chi
conosce bene la lingua
Capitolo 2 prima di capire

Input e intake
L’input è qualsiasi esempio o «pezzo»(film, cassetta,
conversazione orale, scritti) della L2 al quale l’apprendente
è esposto. Cioè per imparare L2 è necessario che
l’apprendente(Tommaso)abbia a disposizione esempi di
L2=INPUT.
Quando l’input diventa produttivo, cioè si traduce in
apprendimento, diventa intake.

Caratteristiche dell’input(inteso come pezzo di lingua orale):


che lo rendono comprensibile ,sono che è sempre:
contestualizzato
strutturato
modificabile
negoziabile

Esaminiamo una alla volta queste caratteristiche.

L’input (orale)è sempre contestualizzato cioè è inserito


nel contesto/ ambiente fisico/culturale in cui avviene
l’enunciato oppure nel co-testo( cioè la sua posizione
all’interno del testo mi aiuta a capirne il significato).
Nel primo caso saranno le coordinate sociolinguistiche
dell’interazione(del discorso) tra parlante e ascoltatore, a far
capire l’input a Tommaso e cioè: ambiente, spazio e tempo,
partecipanti, scopo e argomento dello scambio
comunicativo.
es.
1) “tho, prendilo”.
Per capire la frase, di cosa ha bisogno l’apprendente in L2?
sono fondamentali i fattori extralinguistici,o sociolinguistici
ad es.i gesti , oppure dove avviene l’enunciato, oppure i due
interlocutori ecc.
Se l’equilibro tra informazione linguistiche/extralinguistiche è
quindi sbilanciato a favore delle seconde e quindi del
contesto/ambiente (quindi una delle informazioni è più
ricca dell’altra) Tommaso,ha più probabilità di capire,
inoltre se il contesto rende più ovvio quello che viene detto
Tommaso ha maggiori opportunità di concentrarsi sulla
forma.
Però fare troppo affidamento sulle informazioni
extralinguistiche può creare fraintendimenti se l’ambiente è
culturalmente o pragmaticamente opaco.Se cioè ci sono
troppe differenze culturali tra L1/L2. (es. cina/stati uniti)

Nel secondo caso l’input è contestualizzato ma nel senso di


co-testo(cioè la posizione di quello specifico pezzo di
enunciato all’interno della frase, me ne indica il significato):
Es.
2)Supponiamo che un apprendente sia ad una conferenza
sull’archeologia celtica, si parla in L2 ,le coordinate
sociolinguistiche sono necessarie per la comprensione?No.
infatti le coordinate di: luogo /tempo /identità del professore
sono in realtà irrilevanti, sono invece cruciali le informazioni
linguistiche (co-testo)sull’argomento. Quindi la lingua è
protagonista assoluta.
In questo caso l’equilibrio tra informazione linguistiche/
extralinguistiche è quindi sbilanciato a favore delle prime e
quindi della linguistica (quindi una delle informazioni è
più ricca dell’altra) foto pag. 24
la seconda caratteristica dell’input( inteso come il tipo di lingua a cui
l'apprendente è esposto e a partire dal quale costruisce la suaL2) è che è
sempre strutturato:
l'input orale è un suono continuo, e può essere che tra le
parole emesse da parlante ci sia poco intervallo di tempo,
così poco, che Tommaso non capisce cosa dica il
parlanteL2 nativo.
L’apprendente di L2,(Tommaso) cognitivamente maturo e
scolarizzato, può fare affidamento sulle sue conoscenze
linguistiche di L1, per capire il parlante in L2: dalla
linguistica generale sappiamo che l’input è organizzato in
strutture, queste sono in parte comuni a tutte le lingue,
in parte specifiche.
Sono le cosiddette conoscenze generali del linguaggio o
UniversaliLinguistici cioè sono le proprietà ricorrenti in
tutte le lingue(es. che le parole sono composte da sillabe).
Gli UL aiutano Tommaso a capire l’input in L2.

quindi T per capire l’input L2 sfrutta:


le conoscenze generali del linguaggio o UL, in quanto
parlante di almeno 1 lingua
Le conoscenze specifiche di L1
Le conoscenze parziali di L2
Le eventuali conoscenze parziali o meno di altre L2

tra i diversi U.L. utili per decifrare l’input ne ricordiamo


alcuni:
in tutte le lingue
1)l’enunciato è scomponibile in parole, le parole in sillabe(la
sillaba è un complesso di suoni che si pronuncia unito con una sola emissione di
voce.,)lesillabe in fonemi(lettere)
2) le sillabe hanno un nucleo fatto da vocali ,affiancato da
consonanti
3)i fonemi sono divisibili in vocali e consonanti
3)ci può essere una pausa al confine di una parola
4)ci sono parole di funzione e parole di contenuto. Le
prime hanno un significato soprattutto grammaticale( in ,e, il,
se ) sono più corte, monosillabiche, più frequenti e meno
accentate delle parole di contenuto(piacevole, pipa)che
hanno soprattutto un significato lessicale.
5)regola generale: una parola, un significato.

Altre proprietà che aiutano T. a decifrare l’input sono:


-la frequenza con cui ricorrono nell’enunciato(es. però,
allora, diciamo, per cui).
-la posizione che occupano nell’enunciato (es. gli accenti)
rispetto al confine della parola che è molto simile in molte
lingue.
-la struttura prosodica (accento,ritmo)dell’enunciato,
concorre nell’identificazione delle parole di contenuto

Queste proprietà universali però, da sole non permettono di


decifrare l’input, aiutano in questo le proprietà specifiche
della L1., specie se questa è simile alla L2(italiano/
portoghese)per gli elementi simili nelle due lingue

Nella decifrazione dell’input di L2 Tommaso può fare


affidamento anche sulle conoscenze parziali della L2.

Quindi più si conosce più si può capire però ci possono


essere errori di segmentazione della parola. Es. capire la
vagna, lo rologio invece di lavagna e l’orologio.
un altro errore dovuto alla conoscenza parziale di L2 è a
livello della comprensione sintattica dei: verbi psicologici:
Essi richiedono una persona che prova il sentimento ed una
cosa o persona che lo causa.Funzionano diversamente a
seconda della lingua in cui sono usati
1)Riccardo ama lo sport
2)Mia madre adora l’estate
Anche la conoscenza di altre L2 aiuta Tommaso a decifrare
l’input

L’input è modificabile
il parlante nativo, nel rivolgersi all’apprendente T. , modifica
l’ enunciato rendendolo più comprensibile, viene così creata
una foreigner talk (FT).
L’FT:
1) quali sono le modifiche che lo creano?
2) In che situazione viene usato?
3) rende l’input più comprensibile?

1)le modifiche
il nativo usa strategie diverse e che interessano tutti i livelli
di analisi:
fonologico: quando un madrelingua parla con un
apprendente(es. albergatore che si rivolge a dei ragazzi in
un albergo), il parlato è emesso a voce più alta, specie le
parole chiave ,in modo più lento con pause più frequenti,
scandisce bene le parole, e usa un numero minore di
ipoarticolazione (che è una parlata veloce e colloquiale)
lessicale: sceglie parole più semplici e comuni preferendo
gli iperonimi (parole di significato più generali) agli
iponimi(parole di significato specifico) e si evitano
espressioni particolari tipo “fico secco”poichè sarebbe
difficile per Tommaso intuirne il significato.
pragmatico: preferenza di forme più dirette come il “tu” e
più comprensibili nel contesto, in cui avviene la
conversazione.
morfo-sintattico: le frasi del FT sono più corte e semplici
con meno proposizioni.
Anche se a volte la semplificazione è così accentuata da
produrre un FT sgrammaticato, con una frase finale molto
scarna.
Con quali strategie si forma FT?
le strategie sono sia di semplificazione che di
elaborazione delle forme. Ricordiamo che se la
semplificazione formale offre a Tommaso un input più facile
da capire ma poco adatto all’apprendimento, di contro
l’elaborazione formale dell’enunciato può creare, un
input ,non solo più facile da capire, ma anche più ricco di
elementi da imparare.

Oltre alle strategie usate per produrre FT è anche


importante conoscere, la misura delle modifiche del
FT(cioè la quantità di modifiche che attua il parlante natio di
L2 sull’enunciato affinché risulti comprensibile a Tommaso ),
entrambi( strategie usate e misura/quantità di strategie
usate) producono una grande variabilità di FT, infatti il
parlante natio aumenta o diminuisce la quantità di modifiche
nell’enunciato in base alla valutazione del livello della
competenza linguistica dell’apprendente. Fino alle
sgrammaticature cioè alla semplificazione estrema della
frase quando il parlante capisce che l’apprendente ha
scarsa competenza linguistica, uno status sociale
inferiore, in questo caso deve fare attenzione a non urtare i
sentimenti dell’apprendente.

Qual'è l’utilità di queste modifiche per il processo di


apprendimento? come ed in che misura Tommaso beneficia
del FT?
ad es. vediamo un FT ottenuto con modifiche a livello
grammaticale, oppure a livello fonologico, abbiamo detto
che parlando più piano e scandendo meglio le lettere il
parlante aiuta Tommaso a capire i confini tra una parola e
l’altra, invece a pragmatico i gesti aiutano a capire i referenti
extralinguistici delle parole, a livello sintattico un minor
numero di termini confondenti prima del verbo spostano
l’informazione in fondo all’enunciato.

Foreigner talk e teacher talk differenze. wikipedia


il primo indica il modo semplificato con cui si parla a
interlocutori stranieri che si suppone non conoscano la
nostra lingua, o non la conoscano a sufficienza;
Invece l'espressione di lingua inglese teacher talk
(letteralmente "parlata dell'insegnante") indica, una varietà
semplificata di una data lingua utilizzata da un docente per
facilitare agli allievi___

Il teacher talk può essere inteso come una forma particolare


di foreigner talk. da cui si differenzia per due ragioni:
1)non è mai sgrammaticato
2)data l’esperienza degli insegnanti ,le modifiche
sull’enunciato sono meno grossolane ,rispetto a quelle del
parlante natio L2 in FT.

e Tommaso? è solo un ascoltatore passivo?No, può


segnalare attivamente quale sia la misura esatte delle
modifiche affinché possa capire l’input, accordandosi con il
parlante, cioè parlante e apprendente cooperano per
rendere l’input comprensibile, cioè negoziano il parlato.
Quindi si dice che:L’input è negoziabile
Infatti dopo una frase “mangiamo un panino” in L2,
Tommaso dice “eh?” il nativo ripete la frase cooperando con
lui per farsi capire e Tommaso.. “mang?..”,allora il natio
accompagna la frase ad un gesto e Tommaso capisce.Il non
capire la parola può essere segnalata da Tommaso anche
con un gesto o espressione facciale. Quindi Tommaso e
parlante natio hanno cooperato per la comprensione del
parato. Altro modo di aiutare la comprensione è scomporre
enunciati lunghi in segmenti corti..Inoltre spesso il parlante
inizia la conversazione con una domanda, in percentuale
maggiore rispetto ad una conversazione tra nativi, infatti, la
domanda impegna di più Tommaso, impedendogli di lasciar
perdere o far finta di non aver capito. Nonostante la
cooperazione, però, a volte Tommaso non riesce proprio a
capire.

Anche la negoziazione, come il foreigner talk ha una


variabilità notevole.
Es. il tipo di task che accompagna la conversazione, lo
status dei partecipanti, il livello di competenza linguistica, le
conoscenze e extralinguistiche.

Tutti gli studi dimostrano che l’input negoziato oralmente è


più facile da comprendere dall’input modificato solo dal
parlante natio in modo unilaterale. Stabilito che l’input
promuove la conversazione, fa lo stesso anche per
l’apprendimento? (lo vedremo nel capit.4. input e
appendimento)

Parag. 2

L'ascolto
Ascoltare una conversazione coinvolge tutti i livelli di analisi,
e si conclude con vari tipi di comprensione, infatti tra il non
capire ed il capire tutto, ci sono molte sfumature.
Riportiamo uno dei modelli dell’ascolto più importante:
il modello psicolinguistico di Levelt.(la psicolinguistica o psicologia
del linguaggio può essere definita come lo studio dei fattori psicologici e
neurobiologici(del cervello) che stanno alla base dell'acquisizione, della comprensione e
dell'utilizzo del linguaggio negli esseri umani)
Con questo modello seguiamo il percorso di trasformazione
del messaggio da acustico a compreso.
In che modo la nostra mente elabora/comprende ciò che
ascolta?
Prendiamo la frase:
lo scoiattolo scodinzola contento

il modello di Levelt prevede che, localizzati in varie aree del


nostro cervello, ci siano dei magazzini delle conoscenze, e
degli elaboratori di queste conoscenze.(vedi il disegno alla
pagina

(8) Modello psicolinguistico per la comprensione, Levelt 1989:

L’ascolto è attività complessa, coinvolge tutti i livelli d’analisi (fonologia, morfologia, lessico...).
Inoltre l’esito non è binario.

Come si articola il processo di comprensione?

1) Lo scoiattolo scodinzola contento.

2 ) l o s k o j a t t o l o s k o d i n t s o l a k o n t + n t o

3) CV CCV VVC CV CV CCV CVC CV CV CVC CVC CV

4)

5) lo sko ,jattolo sko ,dintsola kon ,t+nto

Un tipo particolare di conoscenze generali: quelle che riguardano l’ascoltatore come interlocutore.

7) That’s the university. It’s going to rain tomorrow.

- Il modello si basa sull’idea che ci siano conoscenze procedurali (UDITORE, DECODIFICATORE,


INTERPRETE) le quali interagiscono con conoscenze dichiarative (LESSICALI e GENERALI). Ogni
elaboratore produce un ‘elaborato’ che diventa materia di elaborazione per l’elaboratore successivo. In ogni
elaboratore operano routines, procedure routinizzate.

successiva ricordando che i cerchi sono i magazzini della


conoscenza ,”il sapere”; mentre i rettangoli sono gli
elaboratori del sapere cioè sono “il fare”).
Gli elaboratori sono collegati ai due cerchi o magazzini della
conoscenza:
conoscenze lessicali
conoscenze generali(del mondo)
Vedi anche figura pag 44 del libro

1)Tommaso sente il messaggio acustico e attiva le


procedure di “un primo elaboratore”: l’uditore,che
trasforma il suono ricevuto dall’orecchio (la frase)in stringa
fonetica; quindi il suono(frase emessa dal parlante) che
Tommaso ha sentito attraverso l’orecchio, cioè attraverso
l’udito, attiva recettori neurosensoriale che trasporteranno il
segnale uditivo al cervello e non è più come un semplice
rumore ma come un enunciato parlato, ma non è ancora
perfettamente comprensibile.
2)l’uditore consegna la stringa fonetica ad un“secondo
elaboratore” chiamato decodificare (che come si vede dal
disegno è collegato al magazzino delle conoscenze
lessicali )che trasforma la stringa fonetica prima in elaborato
superficiale fonologico (suono) e poi in enunciato(analizzato
attraverso l’elaborazione grammaticale). Quindi doppia
decodificazione, fonologica e grammaticale(vedi disegno).
fonologica: serve a Tommaso per capire che nella frase
sullo scoiattolo ci sono 30 fonemi raggruppati in 10
sillabe(pronunciate cioè con una sola emissione di voce), di
queste 3 sono più accentate delle altre, con un loro ritmo e
intonazione.
grammaticale: il decodificatore è in relazione con il
magazzino di conoscenze lessicali dove le parole sono
rappresentate sia come forme con le loro caratteristiche
fonologiche (suoni) che morfologiche(forma delle parole),
sia come lemmi (titoli, argomenti) con le loro specificazioni
semantiche e grammaticali .La relazione che esiste tra la
componente fonologica e grammaticale attiva nel nostro
cervello procedure complesse di scandagliamento nel
magazzino, con il riconoscimento delle corrispondenze tra le
le parole udite e le parole che si trovano nel magazzino,
permettendo così di identificare le parole di cui è composta
la stringa fonologica, per cui adesso Tommaso capisce che
nell’esempio dello scoiattolo le parole sono 4 ed hanno
quella specifica forma o successione. Poi le decodifica
grammaticamente e semanticamente. Così Tommaso
capisce le 4 parole(ad es. che lo scoiattolo è un animale) e
le loro caratteristiche grammaticali, ad es. che “lo”della
parola “lo scoiattolo”è un articolo determinativo m.s.,”
scoiattoloӏ un nome ecc.
A questo punto Tommaso è in grado di capire le parole e sa
come sono in relazione tra loro, ma deve ancora
interpretarle.
3)infatti questo elaborato passa al terzo elaboratore
chiamato l’interprete che accetta la stringa, attiva le sue
procedure e completa la comprensione. L’interprete è
collegato al magazzino delle conoscenze generali del
mondo (contestuali/extralinguistiche e del co-testo, le regole
dev’avvicendamento dei turni in un dialogo ecc..)
attraverso cui il messaggio viene filtrato. Tommaso ne
stabilisce una corrispondenza con l’enunciato analizzato per
cui la comprensione del messaggio percepito all’inizio è
concluso, e capisce l’enunciato sia dal punto di vista
semantico (significato delle parole) che pragmatico (cioè il
significato della frase nel contesto ambientale ad es. se la
fase la pronuncia un cacciatore, il tono è sadico perché il
cacciatore intende che se lo scoiattolo scodinzola è distratto
e lo può sparare più facilmente).
In questo modello ogni elaboratore riceve un input e
produce un output che diventa a sua volta input del
successivo elaboratore, tutto ciò attraverso una gerarchia di
conoscenze procedurali che operano su conoscenze
dichiarative.

• La CONOSCENZA PROCEDURALE è "sapere come fare qualcosa.


Queste conoscenze sono raccolte nei tre elaboratori: uditore, decodificatore,
interprete.
.La CONOSCENZA DICHIARATIVA, è rappresentata per mezzo delle
proposizioni è "sapere che qualcosa è pertinente ".

Le procedure del modello di Levelt sono:


i 3 elaboratori operano in
modo :autonomia, incrementalità, automatismo

1) Autonomia : ognuno degli elaboratori lavora in modo


specializzato e specifico e svolge solo quel tipo di
funzione.es il decodificatore grammaticale è
specializzato solo nell’identificare del lessico ,i
significati delle parole della struttura superficiale e
nel metterle grammaticamente in relazione tra loro.
L'autonomia implica 3 cose:
a) nel percorso di elaborazione dell’enunciato ,dall’uditore
all’interprete, alcune fasi dell’elaborazione possono
essere saltate,
Es. la mamma entra in cucina con una pentola di pasta e
fagioli e apre la bocca ,
— il figlio già sa ciò cosa dirà : A tavola!
capisce il messaggio prima che venga pronunciato.

b)l’ordine delle procedure non è per forza fisso.


un contesto linguistico può contenere una parola che
predispone al percepimento fonologico di quella
successiva.
Prendiamo la parola “sera” nella frase:

“ rosso di sera, bel tempo si spera


”siamo in giro da stamani ed è sera

La comprensione di “sera”nella prima frase è più veloce


perché citiamo un proverbio molto conosciuto.
c)un livello di analisi può imporsi sugli altri.
Questo quando il livello semantico dei lessemi(cioè il
significato immediato della frase) ha la precedenza sul
livello sintattico della sequenza delle parole(per cui frasi che
sono sgrammaticate ci sembrano di senso).

2)Incrementalità
è la seconda caratteristica delle procedure di elaborazione
attivabile durante l’ascolto. Ricordiamo che ogni procedura
di decodifica del messaggio udito parte da un input e
produce un output che è l’input dell’elaboratore successivo.
L’incrementalità indica che una componente degli
elaboratori può iniziare dall’output ancora incompleto della
procedura precedente.
Es. a natale a Napoli nevicava.
La parola “a natale”,ha 3 passaggi di elaborazione cioè
UDITORE, DECODIFICATORE, INTERPRETE, invece con
l’incrementalità, prima che la parola “a natale” giunga
all’elaboratore ultimo(interprete), fa si che Tommaso possa
già iniziare ad elaborare la parola “a napoli” e poi
“nevicava”,mentre interpreta “a natale" e decodifica “a
napoli”.
Quindi si creano nella mente come dei “file
temporanei” ,intermedi, che si conservano nella memoria a
breve termine. Vedi foto pag. 50.
3)L’automaticità è la terza delle procedure del modello di
Levelt e indica che nel parlante nativo il processo
dell’ascolto è velocissimo grazie alle sue competenze
linguistiche.
E nell’apprendente L2? Come cambia il modello dell’ascolto
in L2?
Tommaso non solo deve capire il messaggio ma deve
anche acquisire in L2 le competenze linguistiche specifiche
cioè quelle dichiarative dei due magazzini di
conoscenze e quelle procedurali dei tre elaboratori.
Sappiamo che alcune conoscenze sono generali (gli
universali linguistici)e quindi gli sono già note, però siccome
L2 è una nuova lingua Tommaso ha difficoltà ad usare
anche ciò che già sà, con un pò di confusione iniziale
nell’ascoltare in L2. Man mano che acquisirà sicurezza in
L2,le conoscenze già acquisite in L1 gli saranno molto utili.
CAPITOLO 3. poi parlare

I PRIMI STADI DI APPRENDIMENTO E IL LESSICO


I primi passi nell’imparare un’altra lingua e nel parlarla.
Si distinguono nell’enunciato di Tommaso in L2, 2 strutture:
•1) Formule fisse
• 2)Poche parole organizzate secondo principi semantici e
pragmatici (quindi di senso)piuttosto che sintattici(cioè delle
giuste regole grammaticali e di sintassi).

Formule fisse
• 1)sono pezzi di lingua non analizzati ma memorizzati tali
e quali.
Es. S’il vous plait ? serve a comunicare in Francia
How much is it? Per fare la spesa in Australia
Auf wiedersehen- per congedarsi in tedesco
• sono frasi che hanno grande importanza comunicativa
• non contenendo errori ma possono dare la falsa
impressione di una buona conoscenza della lingua
straniera da parte di Tommaso.
• non sono produttive ,perché chi le pronuncia non sa usare
nessuna delle singole parole che ha imparato a senso, in
altre frasi ,ma può esserci evoluzione verso l’interlingua
o un’errata interpretazione e quindi nessuna evoluzione.
• Es. Waduyu kam from?
Waduyu sei?

2)Brevi pezzi analizzati, in fase iniziale di apprendimento,


l’analisi dell’enunciato, non ha ancora raggiunto il pieno
livello grammaticale in T.
Infatti le parole (o lessemi):
1)non sono assegnabili a una classe morfologica cioè le
parole usate nella frase da parte di Tommaso all’inizio
dell’apprendimento, sono verbi, sostantivi, avverbi?sono
usati come tali o nella frase in L2 dell’apprendente un
sostantivo diventa un verbo?
2)presentano minima o nulla flessione morfologica(la
morfologia è la parte della grammatica che ha per oggetto lo studio della struttura
grammaticale delle parole e che ne stabilisce la classificazione e l'appartenenza a
determinate categorie come il nome, il pronome, il verbo, l'aggettivo e le forme della
flessione, come la coniugazione per i verbi (io lavoro, tu lavori) e la declinazione per i
nomi (il lavoro, i lavori)..

Parar.2
la Forma basica (o neutra)—cioè come rappresentante di tutte le
altre, tra le varie forme flesse di un lessema—
sono le prime parole che l’apprendente T inL2 riesce ad
imparare rispetto alle altre e che formeranno il suo lessico
abbastanza povero all’inizio dell’apprendimento: quali criteri
sono alla base di tale scelta es . Perché impara prima
chilometri e non chilometro?la scena è fatta sulla base dei
seguenti criteri:
• frequenza della parola
• facilità articolatoria della parola
• lunghezza della parola
• specificità della parola

• Sembrerebbe che, nelle prime fasi dell’apprendimento il
ruolo della grammatica sia quasi nullo: l’apprendente
T.,sarebbe troppo occupato ad imparare nuove parole e
formule indispensabili per sopravvivere e non avrebbe
tempo e attenzione da dedicare a dettagli come il genere
dei nomi o la coniugazione verbale, Questo è, in linea di
massima, vero: tutte le interlingue iniziali, di adulti come di
bambini, sono caratterizzate da un'estrema
semplificazione della morfologia grammaticale. Anche
tutte le ‘parole funzionali’, come gli articoli(il, la ecc.), le
preposizioni,, vengono apprese di solito in un secondo
momento, cioè dopo le “parole di contenuto”(ombrello,
pigiama ecc): il loro significato astratto non è
indispensabile per la comprensibilità degli enunciati, ciò
non le rende buone candidate ad essere apprese nelle
primissime fasi.
wikipediaQuando sentiamo parlare in L2, un bambino straniero che si trova in Italia da
pochi mesi, e dire”no, grattare” o” tu fare questo” e “io così” o “no io freddo” ,possiamo
pensare che stia commettendo un sacco di errori, questo atteggiamento non ci fa capire
cosa sta provando a fare il piccolo. In realtà, questi enunciati prodotti ad es. da Fatma, una
bambina marocchina di sei anni, da poco in Italia, mostrano una logica, un'intelligenza,
una funzionalità. Nel primo es., la bambina cerca di dire che se le diamo da mangiare il
pesce (questo) lei fa così (e si gratta il braccio): era infatti allergica a certi cibi.
Nell’enunciato, “no ,io freddo” la bambina si indica il maglione, dicendo che non ha freddo
perchè lo indossa. Per esprimere concetti così complessi, e avendo a disposizione solo
pochi mesi di esposizione all'italiano, la bambina ha appreso le parole più importanti, che
accompagnate da gesti le consentono di comunicare. La scelta di privilegiare queste
forme polivalenti e ricche di contenuto, a spese di altre con contenuto più astratto, risulta
funzionale per soddisfare i bisogni comunicativi.
Quindi Tommaso sceglie forme semplici in base ai criteri
prima elencati, vediamoli uno ad uno:
-sceglie le parole che più frequentemente ricorrono
negli input: ad es. nel caso di italianoL2, per la forma basica
di un lessema come chilometro/i, la desinenza i è migliore
candidata di “o” perché è quella che nell’input ricorre più
spesso.
-le più corte,ad es. nel verbo, la forma “mangiavate” è rara
perché lunga e poco frequente nell’input, è più facile che T.
impari prima l’infinito”mangiare”
-le parole più specifiche nel significato
-le più facili da articolare nel pronunciarle, es. l’articolo
italiano “gli”, sarà difficilmente imparato per primo, non solo,
perché ricorre meno frequentemente nell’input, ma anche
per la sua minore facilità articolatoria rispetto ad altre forme
come “la”.
3)le parole di contenuto più che di funzione(“ombrello” e
non “gli”.
4)ordine dei lessemi.
Es. bicicletta su montagne(=andavo in bicicletta sulle
montagne)
in questo es. le parole seguono un ordine più discorsivo che
sintattico(quindi seguono un ordine semantico e pragmatico
cioè un ordine di significato, per farsi capire, anche se non è
giusto dal punto di vista grammaticale ma che permette a T.
di esprimersi in una lingua ancora troppo difficile per lui).
La lingua esige infatti che le parole siano presentate in
ordine sequenziale fissato da regole precise se vogliamo
che la frase di T. sia corretta nel parlato e nella produzione
scritta . L’ordine in cui vanno messe le parole nella frase è:
pragmatico, semantico, sintattico. Nella fase iniziale
dell’apprendimento, quando questi 3 ordini non sono ancora
in armonia tra loro, secondo Rutherford l’apprendente ha 3
possibilità
1)può partire dal tema,( cioè in cuore del concetto da
esporre es. entra in un ristorante e dice “mangiare”) e poi
aggiungere altre parole (tipo “tavolo” o prezzo”) senza alcun
legame grammaticale.
2)può partire dal tema, e provare a grammaticalizzare come
meglio può.
3)può rinunciare al tema, a discapito dell’organizzazione
discorsiva e di senso, e scegliere il soggetto che gli
permette di grammaticalizzare più facilmente (scelta meno
frequente, magari esce una frase più giusta
grammaticalmente ma che fa capire meno ciò che T. vuole).

Parar.3
Il lessico è
l'insieme degli elementi ( parole e locuzioni ) che in un sistema linguistico
danno forma a diversi significati ( nozioni e azioni ), indipendentemente dal
fatto di essere raccolto e ordinato. Si può anche definire come un
vocabolario, l'insieme di parole che compongono una lingua .
Quanto è importante il lessico nell’apprendimento di L2?

Chi va in un paese di cui non conosce la lingua porta con


se un piccolo vocabolario non un libro di regole
grammaticali, quindi il lessico ha un enorme importanza.
Inoltre gli errori lessicali sono più comuni di quelli
grammaticali.
vediamo ora cosa deve conoscere lessicalmente T. per dire
che ha imparato la lingua? deve conoscere:

1)IL LESSICO dal punto di vista quantitativo

di quante parole è composta una lingua?


Vediamo quante parole contiene un vocabolario
ad es. il Webster’s Third International Dictionary (1963)
contiene 450.000 parole e 54.000 famiglie di parole
L'insieme di tutte le parole che si formano per derivazione, alterazione, composizione a
partire da una stessa radice si chiama famiglia di parole (o famiglia semantica)es. mar-
co, mar-zo).
Un apprendente deve conoscere circa: 3000 parole almeno
tra le più frequenti (primo obiettivo), per poter iniziare a
capire l’input in L2 e per poter scrivere in L2.

Quante parole sono dunque veramente necessarie?


Si valutano in base alla frequenza con cui ricorrono nell’uso
generale. Se prendiamo un testo e le parole più ricorrenti in
una lingua, queste ultime, quanta percentuale del libro
coprono?
Anche se conoscere le parole più comuni di una L2 non vuol
dire capirle, bisogna conoscerne circa 15.000 per un testo
generico, molte di più per un testo ad es, scientifico.
Per un linguaggio comune, invece, come detto servono
almeno 3.000 parole a T., come primo obiettivo.

Il vocabolario di base della lingua italiana contiene:

Vocabolario(parole )fondamentale 2000


Vocabolario(parole) di alto uso ca. 2750
Vocabolario di alta disponibilità(parole che diciamo o
scriviamo raramente, ma che pensiamo con grande
frequenza ) ca. 2300
Tot. Circa 7000 parole

Proviamo a indovinare!quali le parole più comuni?


1. Dottore
2. Economico
3. Forchetta
4. Cortometraggio
5. Dolce
6. Pentola
7. Cioccolato
8. Lattina
9. Compressa
10. Scopa
11. Film
12. Tastiera
13. Emozione
14. Spazzola
15. Tramonto

Fondamentale Alto uso


Alta disponibilità Non di base

La classe di parole più rappresentata è il nome, seguono il


verbo e l’aggettivo che insieme coprono il 97,6%dei lemmi
del vocabolario.

2) cosa tommaso deve conoscere ancora del lessico per iniziare a parlare
e scrivere in L2
IL LESSICO dal punto di vista qualitativo
• Conoscere una parola(e T. Le conosce?)vuol dire
conoscerne una serie di proprietà come:
‒la Forma(come si pronuncia e come si scrive)
‒ laStruttura morfologica(cioè sapere che le parole sono
scomponibili in morfemi)
‒il Pattern (disposizione) sintattico, nella frase. Ad es.il
verbo ”spostare” per avere un significato richiede :qualcuno
che sposta, ed una cosa da spostare; invece piovere non
richiede questo. T. per usarli bene nello scrivere e per
comprenderli nell’ascoltare, deve conoscere queste
differenze del significato del verbo in L2.
_il significato:a) referenziale, b)affettivo
a) il significato referenziale (anche detto denotativo, o
cognitivo o oggettivo), si ha quando il messaggio è
orientato sul referente (o contesto), per cui un oggetto o un
evento viene portato alla conoscenza del destinatario in
forma prettamente denotativa (oggettiva). Si caratterizza
per l’assenza di coinvolgimento psicologico-affettivo, e per
la dominanza della terza persona singolare o plurale.
È probabilmente la forma più diffusa nella comunicazione ordinaria: sono referenziali, ad
es., le trattazioni dei libri di testo scolastici, le descrizioni, narrazioni, relazioni in cui il
mittente si propone al destinatario come testimone di ciò che gli sta comunicando.
es.“Scendono subito” “Mi vedi?” *“Sì, vedo”
b)affettivo
(o connotativo o soggettivo) cioè i significati che
vengono attribuiti ad una parola insieme al suo significato di
base.
Ad esempio, la denotazione più probabile di notte è il lasso di tempo tra il
tramonto e l'alba (significato esplicito denotativo), mentre le connotazioni
(significati impliciti) possono essere, a seconda del caso, quelle positive di
romanticismo, o negative di decadenza, minaccia, mancanza di energia.
Mentre la denotazione è un concetto relativamente fisso, su cui tutti i parlanti
più o meno saranno d'accordo (ad esempio sul significato della parola cane),
la connotazione può variare a seconda del contesto, quindi della persona,
della cultura, della situazione in cui l'enunciato viene prodotto:
«Sei un cane!»
«Ti sarò fedele come un cane!»
3) Altre cose che T. deve conoscere delle regole lessicali per saperle usare il
L2 sono:
le relazioni lessicali con altre parole della stessa classe e
cioè deve saper capire, riconoscere e saper scrivere in
modo appropriato conoscendone le differenze di significato:
i sinonimi cioè identità di significato fra due parole diverse
( scuro e buio, ora e adesso ), antinomia o significati
opposti dello stesso concetto es.—correrre— (es. lento e
veloce)quindi che hanno un rapporto di contraddizione,
iponimia (as es. pino e albero) indica il rapporto di
‘subordinazione’ di un vocabolo, in questo caso—il pino—
che, rispetto ad un altro, abbia un significato meno esteso,
in questo caso —albero— che indica un genere esteso di
piante.

4) T. deve anche conoscere dal punto di vista lessicale:


le collocazioni privilegiate: es.deve sapere che la parola
” torrenziale” va con pioggia, che “conveniente” va più
meglio nel significato se l’associa con nomi inanimati(es.
prezzo conveniente) che animati(es. collega conveniente).

Queste proprietà però sono così difficili da imparare ad es.


per un Tommaso tedesco che impara l’italiano, che in un
certo stadio dell’interlingua, le conoscerà molto poco. Per
questo nella fase iniziale sceglie la forma basica o neutra
della parola senza associarci nessuna delle regole o
significati che abbiamo finora elencati. Impararle,
comprenderle ed applicare nel parlato, nello scritto,
nell’ascoltare sono processi lenti e progressivi, che poi
diventeranno automatici, quando le conoscerà bene e le
userà nel parlare e nell’ascoltare e le co/decodificherà
velocemente.
Quindi è giusto parlando di parole, fare 3 distinzioni o
dicotomia, in base a come T. usa queste parole e come le
conosce:
• Tre dicotomie:
– Conoscenza potenziale VS reale: il vocabolario
potenziale di Tommaso consiste nelle parole che è in grado
di riconoscere, anche senza averle mai viste o sentite in
L 2 , a d e s . l e p a r o l e : w o z z a u p , c o m p u t e r,
smartphone ,facebook ecc, termini d’uso comune nel
mondo. Il vocabolario reale sono le parole che Tommaso
conosce solo dopo averle incontrate nell’input L2.
– Lessico passivoVS attivo: il primo è quello che T. può
produrre, il secondo lo riconosce ,ma non sa usarlo.
– Conoscenza VS controllo : la prima è la
rappresentazione del lessico(parole)nella mente di T., quindi
nella sua memoria a lungo termine, la seconda la capacità
di T. di elaborare queste parole mentre scrive o parla.

Sequenza di apprendimento
se sono almeno 3000 le parole di L2 che deve conoscere T.
quali parole e quali proprietà di queste parole impara per
prima?Cioè in che sequenza?
Vediamo altri criteri che agiscono nella scelta di imparare
una parola piuttosto che un’altra, quindi quali criteri ne
regolano l’apprendimento(oltre a quelli visti finora)?
Si distinguono criteri interni ed esterni

Criteri esterni : l’utilità, della parola che apprende, alcune


sono più utili di altre, ed allora T. le imparerà per prime .
Ad es. la parola tedesca “kaputt”, è subito appresa dagli
immigrati in Germania perché indica tutto ciò che è
negativo, condizione che un immigrato conosce bene.
Inoltre, alcuni apprendenti L2, scelgono di imparare per
primo formule caratteristiche dell’interazione sociale (ciao,
come stai; come ti chiami ecc..),
un secondo criterio esterno, nella scelta delle parole
imparate è la disponibilità, il concetto è legato alla
frequenza con cui la parola ricorre nell’input L2 o nel
contesto, l’aiuto che comporta nel contesto e co-testo per
favorirne la comprensione.
Un terzo criterio è la preferenza personale.

Criteri interni al lessico che ne favoriscono l’apprendimento


sono: i criteri formali ad es. la pronuncia della parola, ad
es. la posizione dell’accento sulla parola , sono più facili da
imparare le lingue in cui le parole hanno sempre l’accento
allo stesso posto, es. l’ungherese che ha l’accento sempre
sulla prima sillaba, rispetto all’italiano in cui l’accento è
mobile. Altro criterio formale è la facilità di pronuncia che
facilita l’apprendimento, concetto opposto è quello della
similarità sonora con altre parole, cioè parole troppo
simili tra loro, sono difficili da imparare. Altro criterio formale
interno ,è la corrispondenza tra suono e grafia (visiva).Un
diverso sistema di scrittura crea più problemi
all’apprendimento(come il giapponese per un italiano). Altro
criterio, la lunghezza delle parole (molto discusso tra gli
studiosi), quali più facili da imparare le lunghe o le corte?
Ad es. in inglese le parole corte sono di origine anglofona e
più frequenti d’uso, quindi più facili da trovare in un input
che ascolta T.; le lunghe, sono invece di origine latina, più
rare e meno usate, quindi hanno minore probabilità di
trovarsi nell’input. In questo caso il criterio cruciale è la
frequenza d’uso e non la lunghezza della parola. ma in
questo criterio è importante tener presente L1 di T. infatti se
T. è italiano( L1 ) troverà più facile imparare le parole lunghe
di origine latine ,che le corte, per la competenza che gli
deriva dalla sua L1, l’italiano che deriva dal latino. Altro
criterio la morfologia della parola da imparare, per es.
plurali molto complessi, oppure nomi composti difficili, ne
impediscono l’apprendimento.

sempre per spiegare la successione con cui T. sceglie di


imparare le parole della lingua L2 vediamo il ruolo di altri
fattori interni al lessico:
la Polisemia(una parola che ha vari significati simili, es.
—-.albero— pianta con tronco - oppure albero/asta
verticale che regge la vela- oppure albero genealogico) e
omonimia (due parole, di significato diverso, hanno uguale
il suono o, per lo meno, la grafia —-vite (plurale di vita) e
vite (pianta).
Per T. la parola ideale da imparare è quella in cui non ci sta
ne omonimia né polisemia e cioè una parola che tra forma
scritta e significato abbia un unica corrispondenza.
Inoltre la parola più facile da imparare per T., deve avere
una chiarezza semantica(di significato) e anche se
apparentemente sembrano più chiare e facili da imparare le
parole di senso concreto(casa, ombrello ..), e, spesso è
così, e non di senso astratto (felicità, ansia ecc.), ciò non è
sempre vero.Infatti ciò è vero per un bambino e la sua L
1 ,ma per un adulto o ragazzo che ha già sviluppato i
concetti astratti nella sua lingua madre, imparare “amore” o
“bicchiere “in L2 è uguale.E’ invece l’opacità di significato
che rende le cose più complicate. Ad es. “libro”è meno
opaco di “volume”, è più specifico. Infatti vari studi mostrano
che gli apprendenti ,più dei nativi, preferiscono le parole con
significato più specifico alle altre. Quindi la specificità è un
altro criterio nella scelta delle parole da imparare per prime.
Altro criterio l’idiomaticità: la frase idiomatica, o, modo di
dire (es. ma va là), è una locuzione di significato peculiare di
una specifica lingua, la cui traduzione letterale in altre lingue
non ha senso logico. Sono quindi espressioni che T. non
impara subito perché non ne capisce il significato, in che
situazione /contesto vanno dette senza sbagliare?non lo sa
ancora e quindi non le impara.

Vediamo ancora un altro criterio interno che guida T. Nella scelta di cosa imparare
per primo
Quali sono le classi di parole che si apprendono prima?
(ogni parola appartiene ad una categoria grammaticale,
cioè ad una classe di parole, intese come nomi, verbi ecc.
che condividono un insieme di proprietà grammaticali) i
primi ad essere imparati da T. in L2sono i nomi, poi gli
aggettivi, poi i verbi ed infine i più difficili cioè gli avverbi.
Questa regola generale può però avere delle eccezioni,
infatti quando T. usa le varie classi di parole entrano in gioco
anche altri fattori e cioè quale L2 sta imparando T.? se è
l’iataliano che è una lingua flessiva, il discorso cambia
perchè:, nelle lingue flessive i verbi ,sono più difficili da
imparare rispetto agli avverbi, e quindi T. inverte l’ordine di
apprendimento prima descritto ed impara prima gli avverbi e
poi i verbi.Quindi tutto è molto relativo alla complessità di
L2.
La flessione è l’ambito della morfologia che riguarda le diverse forme che una stessa
parola può avere secondo il contesto in cui è usata
es. la flessione dei verbi è detta tradizionalmente coniugazione

Un altro criterio da tenere presente nel perché T. impara prima


alcune parole rispetto ad altre è la contrastatività con L1(cioè la
comparazione tra due parole) : se forma e significato della
parola in L2 assomiglia alla forma e significato della parola
in L1, è chiaro quanto sia più facile da apprendere per T.
Es. “televisione “in italiano, “television”in francese
“television” in inglese.
in proposito vediamo lo schema di Appel
Forma e significato di una parola fanno parte del lessico
mentale, il concetto (contenuto nella parola) invece fa parte
dell’enciclopedia mentale.com'è il rapporto tra concetto /
forma/ significato? di 1 a 1? cioè per ogni concetto esiste
una sola forma/significato nel lessico mentale o più di 1?
Molti concetti, in realtà, non hanno la corrispondente
parola(forma/significato), ad es. nella nostra mente abbiamo
due concetti “sorella del marito”e moglie del fratello” ma
abbiamo un’unica parola per esprimerli , ”cognato/a”, quindi
“cognato”è una parola polisemica, impararla in L2 significa
impararne tutti i significati.
Se questo è probabile nelle lingue indioeuropee, cioè è più
facile, non lo è se L1/L2 sono molto diverse tra di
loro(italiano/cinese).
Sono infatti pochi i termini concettuali che sono lessicalizzati
in tutte le lingue, cioè a quella forma e significato coincide un solo
concetto nell’enciclopedia mentale (rapporto 1 a 1), uguale anche nelle
altre lingue, gli studiosi ne contano solo 100, stranamente
non figurano parole come “finestra” “tavolo” ecc.
«Imparare una nuova parola nella L2 vuol dire impararne
tutti i significati, anche se questo non implica
necessariamente una nuova concettualizzazione»
Vediamo due possibili modelli modificati da Potter di
abbinamento delle parole in L1 e L2 con i concetti

il primo : immagine sopra è il


Modello di Associazione lessicale
Come si vede dalle frecce le parole in L2 accedono ai
concetti attraverso le parole in L1
Questo modello è caratteristico dei primi stadi
dell’apprendimento della L2
modello della Mediazione Concettuale

Le parole L2 come mostrano le frecce accedono


direttamente ai concetti coì come fanno le parole in L1.
Questo è caratteristico degli stadi più avanzati
dell’apprendimento in L2, passando così ,T. è passato
dall’elaborazione lessicale -all’elaborazione concettuale.
Come si vede la L2 per accedere ai concetti ha anche
bisogno di L1 in fase iniziale di apprendimento, per cui le
connessioni a livello lessicale delle L2 con L1 saranno più
forti delle corrispondenti connessioni della L1 con la L2.
Modello di associazione lessicale e mediazione concettuale
dannoil terzo modello che ci dice che i legami lessicali e

concettuali sono sempre attivi ma la forza di questi legami è


diversa in base alla competenza linguistica .Quando T.
impara L2 ha già le connessioni tra le parole L1 ed i
concetti.All’inizio associa le parole L2 ai concetti grazie alle
connessioni lessicali diL1, questo permette un
rietichettamento dei concetti già noti in L1, facilitando
l’apprendimento da un lato però dall’altro lo complica perché
T. tende ad ignorare le differenze tra L1 e L2.Man mano che
apprende la lingua è meno dipende dai concetti presi in L1
infatti T. stabilisce sempre più connessioni concettualizzate
dirette con L2.
Come vengono imparate le parole?
Una volta scelte le parole da imparare in base ai criteri
prima elencati ,quale proprietà di una parola si impara per
prima(fonologica, grammaticale, semantica, pragmatica)?

Fonologia: le parole vengono imparate gradualmente


secondo le regole dell’apprendimento fonologico (suoni, la
pronuncia)della L2.
A questo livello di analisi, l’interferenza della L1 agisce più
profondamente che ad altri livelli.
T. usa fonemi e sillabe e accenti della L1 , al posto di quelli
simili della L2. In questa interferenza della L1 agiscono
anche principi di marcatezza nel senso che T. sceglie di
imparare per prime le parole non marcate, perché più facili.
wikipedia La marcatezza è un concetto linguistico basato sul confronto tra
due parole una marcata e una non marcata, una forma marcata è una forma
non basilare o meno naturale; essa si contrappone alla forma non marcata,
che è la forma basilare o neutrale.
• la parola leone è un sostantivo non marcato in italiano rispetto a
leonessa: la prima parola può infatti riferirsi sia al leone maschio che
alla specie del leone in generale (maschio e femmina), mentre
leonessa è la forma marcata (come si vede dal suffisso -essa): potrà
dunque avere solo il riferimento al femminile;
• la parola tavolo non è marcata, mentre tavolino è marcato da
un'alterazione (un diminutivo, nello specifico);
T. sostituisce elementi marcati della L2 con elementi non
marcati di L1.
Grammatica: ogni parola ha la sua grammatica, imparare la
parola vuol dire impararne la grammatica, se è complessa
sarà imparata per gradi.
Semantica: T. Impara un’unità lessicale(parola) e un
significato per volta. Solo successivamente ne imparerà i
vari significati nei vari contesti(polisemia,omonimia).
Es. T. è inglese e sta imparando l’italiano quando incontra il
verbo “ portare” nell’input “portami qui le forbici” qui il
movimento di portare è verso il parlante e corrisponde
all’inglese “bring". Ma T. non può sapere che lo stesso verbo
ha anche il significato inglese di “take” in: “portale là alla
maestra”.Inoltre T. per ogni parola ne impara prima il
significato lessicale e solo dopo metaforico(es. se incontra
“vulcano”impara prima il significato”fenditura della terra che
emette lava” rispetto all’uso metaforico della parola “ sei un
vulcano”).

Aspetto pragmatico: all’inizio T. corre il rischio di usare una


parola nel contesto sbagliato. Es. impara “ciao” e lo usa in
modo informale, come è giusto, ma anche in situazioni
formali, sbagliando. Oppure sente una donna dire
“delizioso” e la usa anche lui, non sapendo che è una parola
tipicamente femminile ecc..

Parar. 4 la grammatica
L’apprendimento della grammatica avviene principalmente
per stadi comuni a tutti gli apprendenti. Ma quello che
cambia è la velocità e l’esito finale dell’apprendimento di L2.
Perché?quali sono le difficoltà?e poi se T. impari delle
regole grammaticali, sintattiche ecc in che ordine le
apprende?attraverso quali stadi? sono queste le domande a
cui si cerca di rispondere in molti studi internazionali fatti su
apprendenti con diverse L1 che imparavano diverse L2 per
capire se esistesse un modo di apprendere più facilitato
rispetto ad altri. Per farlo è necessario capire le difficoltà di
apprendimento di un T., sia in generale che in particolare e
cioè in quale campo sono maggiori queste difficoltà ed in
quale no. Per questo motivo esaminiamo ora alcuni di questi
studi presi tra quelli più importanti e conosciuti anche se ad
oggi nessuno di questi ha portato a conclusioni condivise d
tutti gli studiosi di questo campo.
Prendiamo 6 esempi di regole grammaticali ,in varie lingue,
e vediamo come vengono apprese da T.:
1)Alcuni morfemi grammaticali inglesi
2)Il “genere” italiano
3)La negoziazione inglese
4)La relativizzazione
5)L’ordine delle parole in tedesco
6)Una serie di sequenze parallele inglesi

Vediamoli uno per volta visto che sono stati protagonisti in


vari studi di ricerca sempre per comprendere
l’apprendimento di L2. Quindi quelli che andremo ad
elencare sono proprio i risultati di tutti questi studi sulla L2

1) primo esempio L’apprendimento dei morfemi in


inglese:
ci interessa:
l’ordine di apprendimento di morfemi( morfema è il più piccolo
elemento di una parola dotato di significato, non suscettibile di ulteriori
scomposizioni ).
Per capire l’ordine di apprendimento dei i morfemi in
inglese usiamo i soggetti arruolati dividendoli in 2 gruppi:
un primo gruppo è rappresentato da bambini inglesi che
imparano l’inglese L1
un secondo gruppo è rappresentato da apprendenti come T.
che imparano l’inglese come L2
Sottoponiamo ad entrambi i gruppi esercizi in cui devono
usare vari elementi grammaticali inglesi, alla fine dello
studio confrontiamo gli elaborati che i danno indizi sul livello
e sull’ordine di l’apprendimento di bambini inglesi (quindi per
loro la lingua è L1), rispetto all’ordine di apprendimento
degli stessi morfemi in Tommaso di origine italiana in cui
l’inglese è la L2;
si è visto che, per alcuni morfemi, una decina ,l’ordine di
apprendimento è simile in Tommaso e nei bambini nativi,.
– -ing es. She's playing
– -s plurale girls
– be copula
– be ausiliare
– articolo ecc.

in questi studi, però, non c’era attenzione al processo che


portava a questi risultati ma solo al prodotto finale. Oggi gli
studiosi concorrono nel dire che è importante il processo ,
la sequenza per stadi in cui emergono le singole strutture
o morfemi.
Per questo motivo esaminiamo uno studio che tiene conto
proprio delle:
• Sequenze di stadi di emersione delle strutture :ad es. i
pronomi (cioè di comparsa progressiva di questi nello
scritto o nel parlato)
• La loro comparsa è infatti espressione dell’avvenuto
processo di apprendimento delle strutture esaminate.
Alcuni studi hanno valutato la graduale comparsa
nell’elaborato di T dei pronomi inglesi, vediamone i risultati:
La gradualità del percorso è chiara :Tommaso, impara a
distinguere prima la persona, di solito la prima, da tutte le
altre, poi il numero, singolare /plurale, poi la terza persona
senza distinzione di genere, poi impara il genere maschile/
femminile/neutro ed infine il caso.

altri ricercatori invece si sono concentrati sul modo


progressivo in cui T apprendente L2 italiano, impara ad
usare il genere ( che è una delle forme flessioni italiane cioè
cambiano la vocale finale la stessa parola indica cose
diverse)
2)quindi secondo esempio apprendimento del “genere”
in T. che apprende l’ italiano L2.
il genere(m/f/n) è caratterizzato dall’accordo :per accordo
(o concordanza) in grammatica si intende a concordanza
nella frase tra numero, genere, esempio(maschile e
femminile, cioè il genere ,con singolare e plurale, cioè il
numero, e la persona 1a, 2a, 3a singolare e 1a, 2a, 3a
plurale).
Così, ad esempio:
– l’articolo e l’aggettivo devono concordare in genere e numero con il nome a cui si
riferiscono
Ha una bella casa (femminile singolare) corretta
non Ha un bella casa né Ha una bello casa—scorretta
– il verbo deve concordare nella persona con il soggetto
Tu hai una bella casa (2a persona singolare)—-corretta
non Tu ha un bella casa né Noi hai una bella casa —scorretta

L’apprendimento del “genere” che è difficile è distinto


dall’apprendimento del suo accordo, che è ancora più
difficile da capire, cioè T. impara prima a differenziare il
maschile dal femminile e quando lo s fare ,non sa ancora
concordarlo con numero(singolare e plurale).
Se analizziamo due aggettivi come bella e bello, entrambi
fanno parte della stessa categoria lessicale ma non di quella
flessione perché bello è maschile, bella è femminile.
L'aggettivo italiano(che è una lingua flessionale), a
differenza di quello inglese o tedesco, va accordato al
sostantivo cui si riferisce (questi cani sono belli).
Vediamo come fa T. a produrre i criteri di assegnazioni
del genere(m/f/n) ai sostantivi(.In linguistica, classe di nomi che indicano
persona o cosa; diversa dagli aggettivi che indicano qualità; )
per fare questa valutazione dobbiamo prima capire qual’è la
sequenza di apprendimento del genere in T.:
sappiamo che la sequenza di apprendimento segue un
ordine ben preciso e che questa segue :criteri fonologici—
semantici—morfologici.
a)criteri fonologici: la fonologia è la branca della linguistica che studia i
sistemi di suoni ("sistemi fonologici") delle lingue del mondo. Più in particolare
la fonologia si occupa di come i suoni linguistici (foni) siano usati
contrastivamente (ossia per distinguere significati) e della competenza che i
parlanti posseggono nei riguardi del sistema fonologico della propria lingua.
Questi criteri non servono a T. come indizi per risalire al
genere, ma contribuiscono alla pronuncia corretta della
parola italiana con vocale finale(“a”-femminile, “o”-
maschile)
b) criteri semantici: T. capisce che le parole che finiscono
in “o”sono maschili, quelle in “a”sono femminili, più incerte
quelle in “e”, tipo “ospite”, per non parlare di “collega” uomo
e “ministro” donna. Comunque, capire il significato della
parola lo aiuta ad attribuirne il genere.
c)i criteri morfologici: del tipo. -tore per il maschile
( tornitore, conduttore) e -trice al femminile (lavatrice,
pettinatrice).

una volta che T. ha imparato a distinguere il genere passa


ad imparare l’accordo, quindi :
l’uso dell’accordo sintattico è una fase ancora successiva
nel processo di apprendimento di L2, quando T. sarà
capace di accordare al genere(che ormai ha imparato a
riconoscere) numero e caso(persona del verbo). Infatti
superata la fase di interlingua iniziale, compaiono i primi
accordi sintattici, ad es.i pronomi di terza persona singolare
e gli articoli , poi tutti gli altri.

altri studi ancora fatti in varie parti del mondo hanno


osservato le tappe di acquisizione in T. Del corretto uso
della negazione inglese sempre per capire qual’è la
sequenza di apprendimento L2 in T.
3)La negazione inglese
La negazione compare presto nell’interlingua ma T. ci
metterà tempo per capire come va usata correttamente.
All’inizio T. usa la negazione “no” all’inizio della frase(no,
not).
nel tempo, questo “no” si sposta dentro l’enunciato, e
precede il verbo (don’t) ancora però senza accordo
sintattico con il resto dell’enunciato.
Ancora dopo compaiono le forme contratte (n’t, specie con
can’t, isn’t ) le più frequenti.
Al quarto stadio di apprendimento don’t è differenziato per
persona (doesn’t) e per tempo (didn’t)

vediamo invece altri studi che si concentrano sulla


sequenze di apprendimento della proposizione relativa. lo
scopo è quello di poter usare questi studi su particolari
grammaticali, come primo passo verso la comprensione
generale di tutte le fasi dell’apprendimento di T.
4) La relativizzazione (o preposizioni relative):queste
preposizioni sono presenti in tutte le lingue ma con
caratteristiche diverse. Vediamo in che ordine viene
appreso da T. ,l’uso della proposizione relativa?
Facciamo degli esempi in italiano:
es. mi porteresti la borsa che ho dimenticato nel baule?
devo restituire a Mattia la cravatta che mi ha prestato

Nell’analisi del periodo, la proposizione relativa è ➔subordinate(rispetto alla


principale), èintrodotte da un pronome o da un avverbio relativo( ad es.
che ) ,esprime una qualità (un pò come fa un aggettivo qualificativo)
caratterizzail nome a cui si riferita, che si dice relativizzato, questo nome è
contenuto nella proposizione ➔principale , e può essere, soggetto,
complemento oggetto ecc.. ed è anche detto antecedente, o testa o punto
d’attacco, della relativa. La relativa, quindi, caratterizza i nomi del sintagma
nominale della proposizione principale.
(wikipedia:Le frasi si possono dividere in unità sintattiche, queste unità si
chiamano sintagmi. Questo termine indica un insieme di parole che forma
un’unità sintattica all’interno della frase. I due fondamentali tipi di sintagma
sono il sintagma nominale e il sintagma verbale.

• Il sintagma o gruppo nominale ( SN) è un nucleo sintattico incentrato


su un nome.

• Il sintagma o gruppo verbale (SN) è un nucleo sintattico incentrato su


un verbo.

-la frase “ Il cane morde”

→il cane è sintagma nominale

→morde è sintagma verbale.

Il nome “il cane” cioè l’elemento relativizzato o testa o punto d’attacco


determina l’➔accordo con genere e numero.

Nella frase:

(1) ho comprato una rosa rossa


il sintagma nominale è una rosa rossa: la testa è rosa, nome femminile
singolare che determina l’accordo dell’articolo (una) e dell’aggettivo (rossa).

Esaminiamo 5 caratteistiche delle prop. relative in italiano


ed inglese:
il punto di attacco,
L’elemento relativizzato
La ripresa pronominale
La forma del pronome relativo
La profondità dell’incasso
Esaminiamo una ad una queste caratteristiche della propos.
relativa in varie lingue.
1)punto di attacco: come già detto è il punto della frase in
cui si trova il nome, che la relativa va a modificare, che può
essere il soggetto o il complemento oggetto, quest’ultimo è
anche detto oggetto diretto, nella principale, per
distinguerlo dal complemento di termine o oggetto
indiretto.
2)le relative variano secondo l’elemento che viene
relativizzato(, cioè quello su cui agisce la relativa e può
essere, come già detto, soggetto, oggetto diretto e indiretto),
ricordiamo che, in inglese dal punto di vista sintattico, oltre
ad esserci soggetto e oggetto diretto, identici all’italiano , c’è
una distinzione tra:
oggetto indiretto, il caso obliquo con preposizione, il caso genitivo, e il raro,
oggetto della comparazione, vedi es. pag 86
Si è anche visto che esiste una gerarchia universale dell’elemento
relativizzato.
Cioè la probabilità che l’elemento relativizzato sia il sogg. è più alta della
probabilità che sia l’ogg.dir. e così via.
SOGG>OGG.DIR.>OGG,IND>OGG.OBLI.>GEN.>OGG.COMP.

Nessuna lingua può saltare il tipo di relativizzazione che la precede


(gerarchia implicazionale)

É questa la Gerarchia delle Accessibilità di Keenan e Comrie


se una lingua permette la relativizzazione dell'oggetto di comparazione
(OGG:COMP), che è all’ultimo posto della gerarchia, necessariamente
permetterà tutte quelle che la precedono; se una lingua permette la
relativizzazione dell’oggetto obliquo, permetterà anche quelle che la
precedono cioè dir. ind. sogg., quindi si dice anche gerarchia
implicazione.

Inoltre se consideriamo il punto di attacco e l’elemento relativizzato ci può o


non ci può, essere concordanza tra loro es.

il gatto (SOGG) che(si riferisce al SOGG) miagola non è mio


non vedo il gatto(in questa frase “il gatto” che è il punto di attacco è COMPL.
OGG.) che (COMPL.OGG)sento miagolare
In queste 2 frasi c’è concordanza:
Invece:
il gatto (SOGG) che (OGG) sento miagolare non è mio(la frese sarebbe io
sento miagolare il gatto che non è mio)
non vedo il gatto (OGG) che (SOGG) miagola (sarebbe il gatto miagola io
non lo vedo)
In queste 2 frasi non c’è concordanza

3)i pronomi di ripresa e la prop. relativa


In alcune lingue come ebraico e giapponese, la
preposizione relativa richiede i pronomi di ripresa
Italiano , inglese ecc. non lo richiedono.

I pronomi di ripresa sono ➔ pronomi che, si riferiscono in


modo specifico ad un elemento nominale:
(1) Paola l’ho salutata con un bacio sulla guancia
In (1) il pronome l’ (la), che si riferisce al nome Paola, lo
riprende pleonasticamente, cioè non in una frase diversa
ma nello stesso enunciato.
Anche se la forma grammaticale corretta italiana della frase non richiede il
pronome di ripresa è vero che questo pronome si usa nel linguaggio
popolare perché avvicina gli elementi che hanno tra loro uno stretto
rapporto di significato
es il gatto che lo vedo, il gatto che gioco con lui, ecc.

4)la forma del pronome relativo cambia nelle varie lingue:


in italiano sono due:
a) “che” se la propos. relativa si riferisce al soggetto e
complemento oggetto,
b) “cui” se la propos. relativa si riferisce al complemento
di termine.
in inglese sono più numerose le forme del pronome relativo
con distinzione di caso, di animatezza ecc. (who,
whom,that,which).

5)la relativa varia in base alla profondità dell’incasso(o


livelli)
Nel senso che nella frase a cui si riferisce è una o più di una
la prop. relativa
es: questo è il gatto che ha mangiato il topo
la relativa è incassata al primo livello cioè è riferito al gatto della propos.
principale e basta
es. questo è il gatto che ha mangiato il topo che ha
mangiato il malto che stava nella casa che ha costruito
jek
Questa è una filastrocca inglese con 4 incassi, non esiste un limite al numero
di incassi ma troppi non funzionano soprattutto se ad essere
relativizzato è il completo oggetto.
Apprendimento della relativizzazione (cioè della
proposizione relativa)

come emerge nell’interlingua la capacità di T. di usare


correttamente la prop. relativa?
Iniziamo dal punto di attacco.
Schumann ha dimostrato che le relative che si riferiscono al
complemento oggetto che viene dopo il verbo(quindi
con punto di attacco dopo il verbo) si apprendono prima
delle relative che si riferiscono al soggetto (quindi con
punto di attacco prima del verbo) che è posizionato
prima del verbo.
Elemento relativizzato
Quindi riprendendo la successione, può essere
SOGG>OGG.DIR.>OGG,IND>OGG.OBLI.>GEN.>OGG.COMP.

è questa la sequenza di apprendimento, che poi


corrisponde alla sequenza della Gerarchia di
Accessibilità.
Inoltre in inglese, T. impara prima la relativizzazione del
soggetto (che in inglese richiede sempre il pronome
relativo) ma T. inizia senza pronome, poi usa il pronome
di ripresa (che invece nell’inglese corretto non è
richiesto così come nella lingua italiano), e infine usa
correttamente il pronome relativo e gli altri.

Quindi anche in inglese T. apprendente, usa il pronome di


ripresa perché facilita la relazione semantica , di
significato, tra i componenti della frase. Man mano che
procede nell’apprendimento sparisce dal lessico di T. il
pronome di ripresa.
Congruenza tra il punto di attacco e l’elemento
relativizzato es. entrambi soggetto o entrambi oggetto
diretto, l’apprendimento di L 2 è più facile se questa
congruenza ci sta, oppure se non ci sta? (come avviene
per es. nell’apprendimento di L1) Non viene confermata
l’ipotesi che nell’apprendimento di L2 la concordanza
faciliti l’apprendimento.

Per quanto riguarda il livello di incasso delle relative, è


ovvio che la difficoltà procede di pari passo con la
profondità dell’incasso (o livelli).

L2 tedesco e la sua difficile grammatica

La frase tedesca inizia con un primo elemento che può


essere di qualsiasi tipo – il soggetto, un avverbio di
tempo, un complemento di luogo, una frase subordinata
rispetto alla principale – non esistono molte restrizioni.
Il soggetto sta tendenzialmente vicino al verbo.
L’importante è ricordarsi che subito dopo il primo
elemento della frase, qualsiasi esso sia, deve
assolutamente seguire il verbo e, se coniugato (es.
devo parlare), il secondo pezzo del verbo deve andare
in fondo alla frase. In italiano farebbe così:
“Domani deve lei con il suo capo parlare.“
La sequenza con cui T. apprende la sintassi tedesca fu
studiata negli anni 80 su immigrati italiani e spagnoli
(progetto ZISA),in Germania, la loro L1 era dunque una
lingua romanza, in questa lingua le parole sono
ordinate con l’ordine canonico:Soggetto, Verbo,
complemento, detto anche oggetto (SVO), la
successione è immodificabile in queste lingue.
Es Monica mangia la mela. (SVO) corretta
Mangia Monica la mela (VSO) la frase non è corretta
T. nell’imparare a comporre correttamente dal punto di vista
grammaticale una frase in tedesco si dice che attraversi
5 fasi di interlingua e cioè:
nel primo stadio dell’apprendimento, T. suppone che il
tedesco segua lo stesso ordine grammaticale della sua
L1, nella costruzione della frase, e così ordina le parole
tedesche come quelle italiane(SVO) secondo l’ordine
canonico, e se compare un avverbio, lo mette alla fine
della frase.
Ricordiamo che l’avverbio è una parte invariabile del
discorso, la cui funzione è determinare il significato di
un verbo (dorme saporitamente), un aggettivo (molto
buono) o un altro avverbio (troppo duramente), quindi
va posizionato vicino ad esse e non alla fine della frase
come fa T. in questo stadio.
nel secondo stadio, T. mette l’avverbio all’inizio della frase,
però non fa l’inversione del soggetto con il verbo come
vuole la grammatica tedesca, perché ancora non lo sa,
è una regola ancora difficile da capire e lontana dalla
sua costruzione mentale visto che in questa fase fa
ancora molto affidamento sulle sue conoscenze
lessicali in L1.
Nel terzo stadio T. impara a separare la parte verbale non
coniugata da quella coniugata ,es. in “sono stato”, la
parte non coniugata è “sono” che va vicino al
soggetto ,da quella coniugata “stato” che va sempre in
fondo alla frase , è l’ultima parola che si scrive.
nel quarto stadio T. impara a fare l’inversione del soggetto
rispetto ai verbi coniugati, cioè vanno prima i verbi e poi
il soggetto ,come richiesto dalle regole grammaticali,
quando metti all’inizio della frase un avverbio.
nel quinto stadio T. impara che nelle proposizioni
subordinate, rispetto alla principale il verbo coniugato
va in fondo.
I 5 stadi si possono rappresentare in successione così come
vengono apprese, secondo un ordine implicazionale
(implcazionale vuol dire che: la conoscenza di una regola grammaticale in
uno stadio dell’interlingua implica che T. conosca tutte le regole
precedenti o detto in altro modo, conoscere una certa regola
grammaticale implica che tu conosca tutte quelle che la precedono e
che ti permettono così progressivamente di apprendere regole
grammaticali sempre più complesse., quindi de T. ‘ allo stadio 4
dell’apprendimento è implicito che conosca lo stadio 1,2,3, è quindi
impossibile passare ad es. dallo stadio 1 a quello 3 senza passare per il
2)
in tedesco la sequenza di apprendimento ad es. della scrittura corretta di un
periodo, segue questo schema
SVO>AVV>SEP>INV>V-FON

cioè T.IMPARA AD USARE


SOGG.VERBO.OGGETTO(SVO)>AVVERBIO(AVV)>SEPARA LA PARTE VERBALE NON
C O N I U G ATA D A Q U E L L A C O N I U G ATA ( S E P ) > I N V E R S I O N E D E
SOGGETTO(INV)>VERBO CONIUGATO IN FONDO ALLA FRASE(V-FON)

L'interpretazione psicolinguistica di Clahsen (1986)


di questi dati, farà fare un passo avanti nell’apprendimento
di L2.
La teoria consiste in 3 strategie di elaborazione del parlato
che l’apprendente intuisce che debba tener presente,
per scrivere correttamente e che gli provengono anche
dalle regole lessicale della L1, come già detto, da cui
tutti partiamo ,almeno nella primissima fase
dell’apprendimento di L2 ,in cui procediamo più a
senso, che per conoscenza delle regole grammaticali di
L2 .
Le 3 strategie di cui parla Clahsen , accompagnano, le 5
sequenze di sviluppo ed ad ognuno dei 5 stadi operano
o non operano (è individuale, e questo comporta che
uno studente impari prima di un altro,),
Le 3 strategie sono:
l’ordine canonico -SOC inizializzazione e finalizzazione - SIF proposizioni subordinate -
SPS

l’ordine canonico SOC (che corrisponde al SVO italiano)


il rispetto della regola sogg. verb. oggetto blocca qualsiasi
spostamento tra gli elementi della stringa (parte della
frase )SVO ,quindi in questa prima fase conoscere la
regola canonica di L1 non aiuta T. a capire
intuitivamente prima e grammaticamente poi che in
tedesco la cosa non funziona sempre così.
– inizializzazione e finalizzazione - SIF
data una stringa xyz SIF blocca lo spostamento di z tra x y e
di x tra y e z, questo impedisce a T. di usare regole
come l’inversione del soggetto se all’inizio della frase
c’è l’avverbio.
– proposizioni subordinate - SPS
Blocca qualsiasi movimento tra le subordinate, ricordiamo
che in tedesco una subordinata può aprire la frase.
Quindi man mano che procede il lento processo
dell’apprendimento si può intuire che T. applichi sempre
meno queste regole che sono quindi restrittive per il
suo apprendimento, e applichi delle procedure
grammaticali, che sono corrette in tedesco, ma
assolutamente scorrette nella sua L1. Per questi motivi
si dice che a queste 3 strategie è associato il concetto
di complessità psicologica di una struttura
grammaticale, che ribadiamo in tedesco è così lontana
da quella delle lingue studiate nel progetto ZISA,e che
è tanto più complesso da superare quanto più è alto il
grado di ri-ordino e di ri-sistemazine delle parole della
L2 per far si che nella frase emerga il significato del
contenuto da sottostante a superficiale e quindi la frase
sia correttamente scritta. In questo senso il processo di
apprendimento è un processo di superamento delle
restrizioni.( o superamento delle tre strategie di
Clahasen)

Vediamo nel seguente schema come agiscono le 3 strategie


di restrizione nel progressivo sviluppo dell’elaborazione
del parlato di T. in tedesco(meno agiscono le tre
strategie di restrizione più T. scrive correttamente)
• Strategie di elaborazione del parlato nei 5 stadi
• stadio di appr. regola gram. le 3 strategie di rest.

1°Ordine canonico - SVO +SOC (+SIF) (+SPS)


2°Avverbio all’inizio - AVV +SOC +SIF (+SPS)
3°Separazione del verbo - SEP –SOC +SIF +SPS
4°Inversione - INV –SOC –SIF +SPS
5°Verbo in fondo - V-FON –SOC –SIF –SPS

• Le strategie sono universali

nei primi due stadi T. compone le frasi secondo il significato


semantico e pragmatico più che sintattico. Questi
corrispondono ad una conoscenza pre-sintatica in cui
tutte e tre le strategie agiscono, bloccando qualsiasi
movimento nell’ordine SVO.
dal terzo stadio in poi la conoscenza grammaticale è
necessaria per separare e spostare gli elementi della
frase, migliorando la percezione linguistica degli
elementi e la conoscenza grammaticale, che però
ancora impediscono a T. di attuare nella subordinata gli
spostamenti fatti nella principale .Nel quarto e ancora di
più nel quinto stadio T. non applica più alcuna strategia,
la sua è a questo punto una conoscenza grammaticale
e sintattica.

il vantaggio della spiegazione psicolinguistica nel processo


di apprendimento di L2 è molto importante , infatti le 3
strategie sono cognitive , ne consegue che dovrebbero
controllare le sequenze dell’interlingua a tutti i livelli e
non solo del tedesco.

L’inglese
È stato scelto l’inglese per capire se le 3 strategie di
elaborazione del parlato individuale operano anche per
altre regole grammaticali ed in altre lingue oltre al
tedesco.
(Pienemann & Johnston, 1987) usano dei dati raccolti tra
polacchi e vietnamiti immigrati in Australia e usando il
concetto delle restrizioni imposte dalle 3 strategie del
Progetto Zisa valutano percorsi paralleli di singole
sequenze inglesi.
Vedi pag.95

Progresso e variabilità
il progresso nell’ acquisizione della L2 ,
Il passaggio da un stadio all’altro, nelle sequenze di
apprendimento, non è mai netto e lineare, infatti è
possibile la coesistenza di strutture della fase
precedente dell’apprendimento con strutture”nuove “.
• I progressi dell’interlingua dunque non sono sempre
graduali e lineari ma, in ogni processo di
apprendimento, vi è grande variabilità formale.

Questa variabilità è molto forte se confrontiamo ad es. il


processo di apprendimento , la velocità di
apprendimento, le competenze, tra più apprendenti
(variazione intersoggettiva), ma anche all’interno
dello stesso studente, nel senso che acquisisce
competenza di alcune regole grammaticali più
velocemente di quanto faccia con altre (variazione
intersoggettiva)
La variabilità viene determinata in base a vari assi o fattori
qui esaminiamo l’asse tempo, cioè il tempo necessario
per imparare una regola grammaticale : si distinguono,
due variabilità:
la variabilità diacronica (o evolutiva), e la variabilità
sincronica.
◦ linguistica diacronica, quella che prende in considerazione le strutture e gli elementi
linguistici nella loro evoluzione attraverso il tempo, è quella che abbiamo esaminata
finora, quindi mutamento delle lingue sull’asse del tempo
indica lo studio e la valutazione dei fatti linguistici considerati secondo il loro divenire nel
tempo, secondo una prospettiva detta verticale, dinamica ed evolutiva. Si
contrappone concettualmente alla sincronia o variazione orizzontale, statica, perché
è, invece, la considerazione delle lingue in un dato momento, astraendole dalla loro
evoluzione nel tempo, è la scienza che ha per oggetto di studio i fatti linguistici
considerati in un determinato momento storico, prescindendo da questioni di origini
o di evoluzione.

ci concentreremo sulla variazione sincronica, e le sue


divisioni.
Infatti la sincronica ha una prima divisione in variazione
intersoggettiva e intrasoggettiva(che abbiamo già
detta):
1) intersoggettiva, che valutata in un preciso momento del
percorso di apprendimento , la diversa velocità di
apprendimento di L2 ,in più persone, che però
dipende da molte variabili( e sarà spiegato nel capit
4)
2) intrasoggettiva,(specifica di Tommaso), questa va divisa
in:
a)libera
b)sistematica

variazione intrasoggettiva libera(sincronica)

È una variazione nell’apprendimento di regole ,da parte di


T., nel senso che una regola viene appresa prima di
un’altra, finora non è stata associata ad alcun fattore,
per cui si dice che il motivo di tale variazione nel
processo di apprendimento sia casuale.
La variazione libera riguarda la coesistenza in un dato
momento di più forme alternative che hanno la stessa
funzione, ad es. vediamo la negazione: T. può usare
indifferentemente:
No look my card…. Don’tlook my card

Variazione sistematica(sincronica)
La variazione sistematica è dovuta a cambiamenti nel
contesto sociale, psicologico, e linguistico, per cui
distinguiamo 3 fattori che ne sono la causa:.
Fattore/conteso sociale, un cambiamento nella familiarità
tra gli interlocutori. In accordo con la teoria
dell'adattamento dell’input, gli apprendenti potrebbero
adattare il loro discorso a quello dell'interlocutore.
fattore/contesto psicologico (il più importante) è di solito
considerato il tempo di pianificazione. Numerosi studi hanno
dimostrato che, più tempo hanno gli apprendenti per
pianificare l’enunciato, più ricca e regolare è probabile che
sia la loro produzione. Così, è verosimile che gli studenti
producano forme più simili alla lingua bersaglio in un
compito scritto per il quale hanno trenta minuti per
pianificare, piuttosto che in una conversazione dove devono
produrre linguaggio senza quasi pianificazione.
fattore/contesto affettivo ,è probabile che gli studenti in
una situazione stressante (come un esame formale)
elaborino forme molto meno simili alla lingua bersaglio di
quanto farebbero in una situazione più rilassata e.
confortevole.
I tre fattori si influenzano tra loro.

Nella variabilità sono importanti anche:


I fattori linguistici invece, sono di solito estremamente
locali, . Si considerano 3 livelli,
a livello fonologico la pronuncia di un fonema difficile da
imparare potrebbe dipendere dal fatto che trovandosi
all'inizio o alla fine di una sillaba è più difficile da
pronunciare.
A livello morfologico, la marcatura del plurale(una forma marcata
è una forma non basilare o meno naturale es leonessa; essa si contrappone alla
tende a
forma non marcata, che è la forma basilare o neutrale es. leone)
comparire prima in frasi dove il plurale è già marcato e
su parole di uso più frequente.
A livello sintattico, proponiamo uno studio di Bettoni , su
un T. anglofono australiano di origine Veneta che studia
italiano come L2, e vediamo che l’accordo tra soggetto
femminile e participio passato dei verbi intransitivi (“è
andata, è tornata” )sia almeno apparentemente
disordinato ,in realtà quando T. mette il il verbo ausiliare
essere, l’accordo è rispettato, non rispetta l’accordo se
non mette l’ausiliare.
L’instabilità dell’interlingua valutata nello studio di:
• Young (1991) e la produzione del solo morfema –s del
plurale inglese, da parte di 12 apprendenti cinesi
mentre venivano intervistati.
• Questi venivano intervistati 2 volte , da un nativo inglese e
da un connazionale. Young valuta le seguenti
variabili , per vedere come queste influenzano
l’interlingua:
• Il contesto situazionale, cioè l’identità dell’intervistato, e
se tra intervistato e intervistatore c’è convergenza
etnica, di classe sociale ecc..questo come influenza
l’usa corretto del plurale?
. Il livello di competenza linguistica, cioè livello
elementare, media ecc. degli apprendenti, come
influenza il plurale?
. Il contesto linguistico in termini semantici,
sintattici ,pragmatici, fonologici, e cioè
in termini semantici(di significato) si è visto se e come
influenzano la corretta posizione di -s- nel plurale, i
nomi animato o inanimato, definito o indefinito.
in termini sintattici, in particolare si è valutato cosa
influenza di più l’uso della -s- tra questi: la posizione del
nome nel sintagma nominale o la funzione del sintagma
nella frase, o se c’è o no accordo tra nome e verbo.
in termini pragmatici se ci sono o no gli indicatori di
pluralità nel sintagma nominale che aiutano
l’apprendente ad usare il plurale in modo corretto.
in termini fonologici: influenzano di più l’uso del plurale i
vari fonemi che precedono o che seguono il morfema in
questione?
Tutti i fattori elencati vengono incrociati con il livello di
competenza linguistica elementare e intermedia degli
apprendenti(vedi tab. pag102).
Tra tutti i fattori esaminati ed incrociati si è vista una
correlazione delle seguenti variabili( sia per
competenza elementare che intermedia):il nome
animato, la posizione del nome da modificare in plurale
nel nistagma e la sua funzione, e la presenza di
indicatori di pluralità.

Questi studi dimostrano che la variabilità dell’interlingua sia


una faccenda complessa e per molti versi da studiare
ancora. Quindi cosa userà T. in una conversazione, può
solo essere descritto in modo probabilistico.
Altro problema: quali sono i criteri per dire l’effettivo
PUNTO DI APPRENDIMENTO di un nuovo elemento
nell’interlingua in T.?
distinguiamo:
Emergenza: l’elemento nuovo è presente per la prima volta
nel’interlingua
Apprendimento: ricorre un certo numero di volte
Padronanza: ricorre ogni volta che è necessario
Questa divisione nasconde 3 problemi: per ”l’emergenza”:
che l’elemento compaia la prima volta non ci dice se
non comparirà più o se compare solo in una certa
frase ,sempre la stessa; “apprendimento”: che
l’elemento ricorra molte volte non ci dice se T. lo usa
tutte le volte che è giusto ciò si indica con la parola
”floding” uso eccessivo; solo in seguito T.rimuove
l’elemento dai contesti in cui non ci vuole
(sgocciolamento); terzo problema chiarire il significato
di “apprendimento” posto tra -emergenza e
padronanza-molti studi sono ancora necessari per
rispondere a queste domande.
Par.5 la produzione del parlato
Riprendiamo il modello psicolinguistica di Levelt adattato
all’ascolto del capit. 2 e lo esaminiamo riguardo al
parlato
La produzione del linguaggio(IL PARLATO)
Modello di Levelt

La produzione parte da un messaggio che il parlante vuole


esprimere e si conclude con l’articolazione di una serie
di suoni, con la bocca.
Tutte le teorie sono d’accordo sul fatto che la produzione di
una frase è organizzata in tre fasi:
- Concettualizzazione - Formulazione- Articolazione

Concettualizzazione

Il concettualizzatore è un elaboratore(rapprentato da un
rettangolo nel modello di Levelt) che è in contatto con il
magazzino delle conoscenze generali (rappresentato
da un cerchio nel modello di L.)
In questa fase il messaggio assume una forma linguistica
Si tratta della fase in cui il parlante decide cosa dire e a
cosa dare rilievo. L’input (l’informazione )ricevuto esce
dal concettualizzatore come output ,che diventa input
dell’elaboratore successivo cioè, passa al formulatore,
come messaggio preverbale.

Formulazione nel formulatore

Si tratta della fase in cui il parlante decide quali parole e


quale struttura sintattica usare(codifica grammaticale)
In questa fase viene elaborato il messaggio in forma
prelinguistica. Il formulatole è in contatto con il
magazzino delle conoscenze del lessico:
lemmi(pezzi di frase) e forme delle parole, e con tutta
una serie di informazioni morfologiche,
sintattiche ,legate alla parola che stiamo formulando,
quindi genere, numero e caso, se la parola è un
soggetto o complemento ecc.(quindi codifica
grammaticale), ciò ci dice quanto sia centrale il ruolo
del lessico.
In questa fase viene elaborata al livello successivo sempre
nel formulatore anche la struttura fonologica
dell’enunciato (codifica fonologica): recupero della
forma fonologica delle parole e pianificazione dei gesti
articolatori
Diciamo che le due codifiche, grammaticale e fonologica,
del formulatore sono mediate dalle conoscenze del
magazzino lessicale.
La supposizione che il lessico sia un essenziale mediatore
tra l’elaboratore concettualizzatore e l’elaboratore
formulatole con codifica grammaticale e fonologica si
dice ipotesi linguistica.
Questo magazzino è anche in contatto con il decodificatore
esaminato nella sezione dell’ascolto(vedi il diagramma
nella foto)

Articolazione

Fase in cui vengono recuperati e assemblati tutti gli


elementi e viene articolato il messaggio, con una serie
di informazioni neuromuscolari, necessarie affinché gli
organi preposti l’emissione della portala vengano
attivati.
Nel parlato continuo le tre fasi si sovrappongono: le frasi
vengono pianificate “a cascata” e materiali diversi (della
stessa frase o di frasi diverse) si trovano a diversi stadi
di elaborazione.
Si tratta della fase in cui il parlante emette, nell’ordine
appropriato, i suoni che compongono la frase.
Momentanee mancanze di sincronizzazione possono
portare a: errori o esitazioni.
vedi schema pag 107
Ricordiamo a proposito dello schema che i magazzini delle
conoscenze sono rappresentati con dei cerchi e sono
le conoscenze generali e lessicali, anche dette
conoscenze dichiarative; mentre gli elaboratori sono
tre “concettualizzatore, formatore, articolatore, e sono
rappresentati con dei triangoli, gli elaboratori sono
anche dette conoscenze procedurali. Quindi
l’elaborazione del parlato usa le conoscenze
procedurali che agiscono, attingono da quelle
dichiarative.Ogni elaborare riceve un input che
trasforma in output che sarà l’input dell’elaboratore
successivo.
Le procedure del concettualizzatore sono in relazione con le
conoscenze generali, e quelle del formulatole con le
conoscenze lessicali.

Vediamo lo stesso schema con la L2

Concettualizzatore in L2
Le conoscenze dichiarative (cioè i magazzini delle
conoscenze generali e lessicali, i cerchi nel modello di
Levelt ), non sono specifiche di una sola lingua quindi in
questi magazzini ci possono essere le regole
conversazionali di due o più lingue
contemporaneamente (es. italano/ungherese). Quello
che ancora non si sa con certezza, è dove viene fatta la
scelta tra le due lingue e su che basi. E’ probabile che
l’informazione necessaria per scegliere una delle due
lingue sia già contenuta nell’output che esce dal
concettualizzatore, quindi è questo elaboratore che è
linguisticamente specifico: lingue diverse richiedono
concettualizzatori e concetti in esso contenuti diversi.
Infatti è proprio nel concettualizzatore, che viene
selezionata, ordinata e preparata per essere poi
convertita in lingua , l’informazione presa dal
magazzino delle conoscenze generali (rappresentato
da un cerchio nel modello di Levelt) che serve per
comunicare le intenzioni del parlante, es.

-pranziamo alle tre-.

dal magazzino delle conoscenze generali sappiamo che


pranzare implica mangiare cibo, che è un
informazione , e qual’è la giusta successione delle
parole n e l l a f r a s e . L’ i n p u t p r o d o t t o d a l
concettualizzatore , come detto prima non è ancora
messaggio verbalizzato, lo diventerà nel “formulatore”
che accetta il messaggio concettuale e lo trasforma in
piano articolatorio cioè input per l’”articoltore”

Formulatore L2
sappiamo che questo elaboratore è collegato, attinge, dal
magazzino delle conoscenze lessicali( che contiene le
conoscenze dei lemmi e le forme delle parole, la loro
morfologia) che è un unico magazzino per entrambe le
lingue (es. italiano/ungherese). Anche nel caso del
parlante monolingue il recupero degli elementi lessicali
dal magazzino , per essere velocissimo, presuppone
una sua complessa organizzazione interna, che li divida
e li leghi in sottogruppi di volta in volta semanticamente
e grammaticalmente omogenei. Questi sottogruppi
possono raggruppare per es. nomi con i nomi, i verbi
con i verbi, il rosso con altri colori, cocente con
delusione, sorridere con un soggetto animato ad es.
u n a p e r s o n a , u n b a m b i n o . N e l c a s o d i T. ,
l’organizzazione del lessico nel formulatole
prevederebbe un ulteriore suddivisione che crei due
sottogruppi linguisticamente omogenei: uno costituito
dagli elementi lessicali della L1, l’altro da quelli della L2.
Invece , i formulatori sono 2, uno per ogni lingua, che
però attingono allo stesso magazzino delle conoscenze
lessicali che invece è unico. Quindi nel modello di
Levelt si lascia un cerchio solo per il magazzino del
lessico, ma si dovrebbero disegnare due rettangoli L1
L2 corrispondenti ai due formulatori. Come funzionano,
insieme ? Ancora non è molto chiaro, però sembra che
vadano considerati alcuni parametri:
1)la distanza tra le 2 lingue
2)il livello di competenza linguistica nelle 2 lingue

Ciò significa che, un bilingue italiano/spagnolo quando parla


l’una o l’altra lingua, potrà usare molte delle stesse
conoscenze dichiarative e procedurali perché la
distanza tra le due lingue è piccola.
Un parlante italiano/vietnamita dovrà fare ricorso a
conoscenze diverse, specifiche delle singole lingue.
Per quanto riguarda il livello di competenza, se della
seconda lingua T. conosce solo alcune parole, avrà 1
solo sistema di conoscenze, quello della L1, la più forte,
che è abbastanza flessibile da incorporare qualche
elemento in più, della L2. Una persona con alta
competenza in L1/ L2, invece, avrà due sistemi, due
formulatori.
Articolatore
nel parlante bilingue l’articolatole è sempre unico:
immagazzina ed elabora gli elementi fonici e prosodici
(la prosodia è la parte della linguistica che studia
l'intonazione, il ritmo, la durata (isocronia) e l'accento
del linguaggio parlato),di tutte e 2 le lingue. La misura
in cui questi elementi sono modelli esatti (nella
pronuncia) di quelli riscontrati nei parlanti nativi,
monolingue, dipende dalla frequenza e dalla qualità del
contatto con le 2 lingue. Ma il fatto innegabile è che
spesso anche in parlanti con livelli altissimi di
competenza linguistica L2, si verifichino interferenze di
pronuncia tra le 2 lingue, ciò come lo spighiamo?non
abbiamo detto che i formulatori di parole dono 2 e
separati? l’opinione di molti studiosi è che questo
fenomeno rende improbabile l’esistenza di due sistemi
separati.
Infine la propria produzione linguistica viene automonitorata
nel decodificatore, un elaboratore coinvolto nell’ascolto
del messaggio, anche questo elaboratore ha un piano
di analisi fonologica in cui arriva per primo il messaggio
ascoltato che gli viene dall’orecchio o uditore, dove il
messaggio è decodificato in base ai suoni e poi
contiene un livello di analisi grammaticale dove le
informazioni fonologiche sono trasformate in nome,
verbo, avverbio e poi in soggetto , complemento ecc.;
questo elaboratore è connesso con il magazzino delle
conoscenze lessicali , così come lo è con il formulatore
del parlato,( quindi formulatore, magazzino delle
conoscenze lessicale e decodificatore sono connessi
tra loro). Questo cosa comporta? Che il parlante L2
ascoltando il proprio messaggio acustico come quello di
un qualsiasi altro interlocutore può agire prima di
articolare la parolaL2 a livello del decodificatore(diremo
mentre sta pensando la parola L2 prima di articolarla)
oppure dopo l’articolazione cioè quando la ascolta
perché l’ha già emessa, cioè è come se avesse due
livelli di controllo uno nel decodificatore (coinvolto
nell’ascolto) ed uno nel formulatole (coinvolto nel
parlato). Così, se viene riscontrato un problema ,
formale o concettuale , il parlante, può riformulare il
messaggio o parte di esso, crearne un altro o
continuare come nulla fosse, a seconda della natura del
problema; tutto questo con processi che non sono
diversi da quelli della normale produzione del parlato.
Le altre caratteristiche del modello sono le stesse che
abbiamo detto per l’ascolto: autonomia, automaticità ,
incrementalità.

Autonomia: ogni componente dell’elaborazione lavora in


modo altamente specializzato e specifico.
Automaticità : è caratteristica di molte procedure, anche se
non di tutte; il concettualizzatore opera con procedure
controllate, perché i parlanti non hanno una serie fissa
e limitata di intenzioni che hanno imparato realizzare
parlando: le intenzioni comunicative sono infinite e per
molte il parlante deve trovare nuovi mezzi di
espressione specifici della lingua che vuole usare. Le
altre procedure sono invece automatiche. Un parlante
nativo non spreca molta attenzione per attivare ad es. il
lemma “pranzare” quando pensa a mangiare a
mezzoggiorno, né per pensare se “pranzare” è un
morfema che richiede soggetto, modo, tempo verbale
ecc., e ancor meno a come far vibrare le corde vocali
per la “r” piuttosto che la”p” di pranzare.
L'automaticità implica un’altissima velocità nel parlato circa
2/3 parole al sec., selezione tra le migliaia di parole che
fanno parte del lessico di un adulto, e produzione di
circa 15 fonemi al sec. Quindi dopo la
concettualizzazione non c’è più tempo per pensare.

Incrementalità
anch’essa contribuisce alla velocità del parlato. Infatti
l’incrementalità implica che tutte le componenti
dell’elaborazione possano lavorare in parallelo e su
frammenti di frase diversi. Infatti ogni frammento deve
essere elaborato in stadi che vanno dalla
concettualizzazione ,all’articolazione del
messaggio,passando per il formulatore, ma mentre si
articola il primo pezzo della frase, già si può formulare il
secondo, concettualizzarne un terzo e così via.
vedi foto pag 113.
Ultima caratteristica del modello di L. è che le
rappresentazioni intermedie del modello( e cioè il
messaggio preverbale, struttura superficiale, piano
fonetico ecc.vedi foto del modello di Levelt) hanno
ognuna unità diverse. Che significa?Che non esiste una
unità dell’elaborato per es. un morfema prodotto
intermedio di uno degli elaboratori che venga portato
avanti cos’ com’e in tutti i passaggi successivi, se
necessario sarà modificato nell’elaboratore successivo.
Facciamo un esempio ,se un morfema esce dal piano
grammaticale del formulatole e passa al piano fonetico
sempre del formulatole, non è detto che questo lo
accetti e lo faccia passare all’articolatore, così com’è,
infatti il piano fonetico può disfare il morfema ricevuto
dalla struttura precedente, perché ad es. è troppo
difficile da pronunciare, e imporre una nuova
organizzazione di questo, più consono al piano fonetico
e poi a quello articolatorio. Quindi i prodotti o
rappresentazioni intermedie di ogni elaboratore devono
poter essere immagazzinate un attimo nella memoria in
attesa di una successiva elaborazione in base a ciò he
vogliamo dire. Possiamo essere più o meno capaci di
attuare ciò in L1 ma soprattutto in L2.
Questa può essere un plausibile spiegazione del perché un
apprendente possa produrre frasi grammaticamente
corrette ma foneticamente no, cioè non adatte sul piano
articolatorio, con una conseguente pronuncia pessima ,
forse perché in questo studente non c’è stata quella
modifica del morfema uscito dal piano grammaticale
dell’elaboratore, nel piano fonetico, per cui il morfema è
corretto ma inpronunciabile per le capacità articolatorie
in L2 dell’apprendente. Altri studenti che hanno invece
questa capacità hanno un’ottima pronuncia ma magari
di frasi fluenti foneticamente, ma con una grammatica
molto approssimativa.
In conclusione quindi di questo capitolo, affermiamo che lo
sviluppo della grammatica nell’interlingua è
sostanzialmente un fatto autoeregolatore.
prima si imparano le parole e le formule; le formule non
sono ancora analizzate; le parole son prevalentemente
di contenuto, e disposte secondo un ordine discorsivo e
pragmatico , più che formale. Poi, con il tempo, si
svilupperà una vera e propria grammatica. Questo
avviene per stadi obbligatori ma non sempre in modo
lineare. durante l’apprendimento di L2 si possono fare
notevoli e improvvisi passi avanti ma anche indietro. il
progresso di una struttura linguistica avviene insieme al
progresso di altre strutture che richiedono le stesse
operazioni mentali.
Rispetto alla grammatica il lessico presenta minori
regolarità di sviluppo soprattutto perché la sua
organizzazione interna è molto meno sistematica.
Quindi l’utilità di una parola rispetto ad un’altra e le
preferenze personali per alcune espressioni giocano un
ruolo importante, maggiore che nel caso della
grammatica. ma anche l’apprendimento del lessico ha
alcune regolarità:cioè le parole vengono scelte anche in
base criteri formali, semantici, di contrastatività tra L2/
L1, vengono imparate prima nelle forme e nei significati
basilari, poi vengono arricchite formalmente,
semanticamente, pragmaticamente degli aspetti più
marcati.
Ricordiamo inoltre che la formulazione grammaticale è
determinata lessicalmente: dopo la
concettualizzazione vengono selezionate le parole e
sono queste che portano con sé conseguenze
grammaticali.
Quindi T. deve focalizzare la sua attenzione prima sul
lessico e poi sulla grammatica, sia per il maggiore
rendimento comunicativo sia perché l’obbligatorietà dei
passaggi grammaticali permette minore scelta
personale.. mentre per il lessico non c’è limite al
numero di parole che T. può imparare fin dall’inizio, per
quanto riguarda l’apprendimento della grammatica e
delle sue innumerevoli regole T. Dovrà avere molta
pazienza perché deve aspettare che avvengono
progressivamente tutte le tappe dell’apprendimento, e
capire che gli errori grammaticali a volte sono
necessari, affnichè capisca che solo con una pratica
costante li potrà superare.
La centralità del lessico
«La formulazione è determinata lessicalmente. Questo vuol
dire che la codifica grammaticale e quella fonologica
sono mediate dall’elemento lessicale [...] La
supposizione che il lessico funga da mediatore
essenziale tra la concettualizzazione e la codifica
grammaticale e fonologica viene chiamata ipotesi
lessicale.»
Capito. 4

LA VARIABILITA’ intersoggettiva
(perchè alcuni imparano meglio e più velocemente di altri la
L2?)
Quali sono i fattori in gioco che determinano questa
variabilità?
tra i vari fattori ricordiamo:
1) caratteristiche dell’ambiente linguistico che circonda T.
tra cui la L1
2) caratteristiche dell’ambiente culturale
3) caratteristiche individuali
4) strategie che ognuno degli apprendenti mette in atto per
imparare L2.
Questi fattori influenzano
a) la forma dei singoli stadi
b) la velocità con cui avviene il passaggio da uno stadio
all’altro
c) l'esito finale dell’apprendimento

in questo capitolo ci occuperemo della diversa velocità di


apprendimento e del diverso esito finale tra più
apprendenti.

Parar 1. La L1
Quanto influenza l’apprendimento della L2?

1)se uno straniero parla italiano non è difficile riconoscere la


sua L1 dall’accento.
2) le L2 affini alla L1 (es italiano/spagnolo) sono più facili e
veloci da imparare.
Allora, come, in che misura e perché la L1 influenza la L2?
VEDIAMO il “COME”: IL TRANSFER
La manifestazione più importante dell’influenza della L1 su
L2 è il trasferimento (transfer) nel’interlingua di un
elemento di L1(fonema, lessema, regola grammaticale
ecc..)
• Transfer positivo :l’influenza della L1 aiuta lo sviluppo
dell’interlingua
• Transfer negativo :l’influenza della L1 ostacola lo sviluppo
dell’interlingua

P r o b l e m a : 1 ) r i l e v a z i o n e d e l l ’ a v v e n u t o t r a n s f e r,
nell’interlingua di T.
2) se il transfer c’è stato, stabilire se si tratta di un
errore che per caso coincide con L1 e che quindi
transfer non è..

1)rilevazione dell’avvenuto transfer: è più facile da


individuare se il transfer provoca grossi errori nelle
regole della L2. Una volta rilevato vediamo se ha
effetto positivo o negativo
Es. T. italiano vive a Londra da 4 mesi : vediamo come
dice”piove”

Italiano L1 Interlingua inglese Inglese corretto


Piove Rains It rains

Quindi il transfer c’è stato ma ha provocato un errore, T. non


ha messo il pronome perché in italiano non si
usa ,quindi transfer (si, ma) negativo, cioè fonte di
errore.
Maggiori saranno le differenze tra le due lingue, più negativi
saranno gli effetti del transfer.
Se invece il transfer non produce errori:

Italiano interlingua inglese inglese corretto


la luce è forte The light is strong The light is strong

in questo caso il transfer è positivo, ha facilitato T.con la L2.


Quanto questo sia vero, si può dire solo con un
confronto tra interlingue di apprendenti con L1 diverse.

Inoltre il transfer può interessare parti del discorso non


obbligatorie per cui è difficile stabilire in modo
categorico se la frase dell’interlingua è giusta o
sbagliata, e quindi rilevare il transfer; e così stabilire se
è positivo o negativo si può fare solo statisticamente ,
con un confronto con la L2 di arrivo e non all’interno
dell’interlingua.
2) secondo problema ,bisogna assicurarsi che il fenomeno
rilevato sia effettivamente un transfer della L1 e non un
errore che coincide con una forma di L1 per puro caso.
Questo è molto difficile da fare.
Es. italiano interlingua inglese
non ho la bici I no have bike i don’t have a bike

come fare ad affermare che la negazione “no” preverbale


sia un transfer dall’italiano e non invece uno stadio
della sequenza di apprendimento, o che non sia un
errore causale?
Di fronte a questo problema ci sono due posizioni:
massimalista e minimalista. La prima è degli anni 50 e
vede transfer dappertutto e considera l’influenza della
L1 di primaria importanza. La seconda degli 60-70 per
reazione riduce drasticamente l’importanza della L1
nell’interlingua, e dice che di tutti gli errori presenti
nell’interlingua solo il 3-15% sono dovuti all’influenza di
L1. Oggi entrambe le teorie sono abbandonate.
Oggi si sta cercando di capire e determinare le condizioni
che portano al transfer, piuttosto che contare gli errori
da transfer nell’interlingua.
Dal punto di vista sincronico, rispetto alla L2 finale, il
transfer può assumere l’aspetto di una sostituzione di
un elemento lessicale/grammaticale di L2 con uno di
L1, oppure può essere una omissione o una aggiunta.
Questo nel caso in cui l’elemento in questione sia un
elemento o regola grammaticale obbligatorio. Nel caso
invece si tratti di una regola discrezionale il transfer può
risultare un evitamento o un uso eccessivo di
quell’elemento.
vediamo il meccanismo della “sostituzione” di un termine
della L2 con uno della L1,ad es. a vari livelli.
a livello FONOLOGICO: prendiamo un T. italianofono,
apprendente in L2 in inglese, ed il verbo avere (have in
inglese) , in italiano il verbo non ha l’h all’inizio della
parola, per cui T. a causa di un transfer della L1 omette
il fonema h. Anche in T. di origine francofona , l’h di
“have” viene omessa perché neppure la sua L1 usa
questo fonema. Invece T. tedescofono sostituisce in
“have” la consonante “v” con la “f” come transfer dalla
sua L1, infatti in tedesco è richiesta la desonorizzazione
della consonante che si trova alla fine di una sillaba , è
“v” è sonoramente più forte di “f”.
Vediamo ora il meccanismo della “omissione”
a livello LESSICALE: T. Italiano e T. spagnolo, studiano
francese. Supponiamo di comporre una frase
interrogativa: “perché lui non viene? Perché è malato”.
in italiano e spagnolo esiste una sola forma di “perchè”
che va bene sia per la domanda che per la risposta. In
francese , invece, le cose sono diverse si mette nella
domanda “porquoi” e nella risposta “parce que"
interlingua interlingua
Francese di italofono ispanofono
Porquoi il ne Porquoi il ne pourquoi il ne
viens pas? viens pas? vien pas

il ne vient pas il ne vient pas il ne vient pas


parce qu’il est. pourquoi il est pourquoi il est
malade malade malade

in questo caso il transfer è negativo, fa commettere a T. un


errore, omette di scrivere parce que.
se invece T. è di origine inglese o tedesca, il transfer è
positivo perché anche in queste due lingue c’è una
variazione tra il perché della domanda e della risposta.
Vediamo il meccanismo dell’”aggiunta”.
a livello SINTATTICO: T. è di origine spagnola e studia
l’italiano come L2. Prendiamo la frase italiana “li vedo”
e vediamo come viene nell’interlingua di Tommaso
spagnolo ed poi nell’interlingua di un anglofono e di un
tedescofono.
Interlingua interlingua interlingua
Italiano ispanofono anglofono tedescofono
Li vedo. Li vedo io vedo li /loro io vedo li /loro

L'interlingua dello spagnolo darà un transfer positivo, per T. ,


anche lui non mette il pronome “io” come soggetto, ma
mette il pronome “li” che funge da complemento
oggetto davanti al verbo. Infatti la frase in spagnolo è
“los veo”. Invece nei T. di origine inglese e tedesco la
L1 provocherà dei transfer negativi (errori), cioè delle
“aggiunte”,perché l’apprendente userà il pronome
soggetto “io” e sposterà dopo il verbo il pronome
oggetto “li” poiché nelle loro lingue il soggetto è
obbligatorio e la posizione dell’oggetto è sempre dopo il
verbo.

a livello PRAGMATICO: supponiamo di avere un T. Italiano,


uno inglese ed uno francese che studiano il tedesco L2.
Supponiamo che la situazione sociale richieda l’uso del
pronome allocativi SIE/ESSI(I pronomi allocutivi sono
pronomi personali, usati per rivolgersi a un
destinatario, per interloquire con lui e per richiamare la
sua attenzione)
• Sono allocutivi, in italiano, i pronomi tu, usato per riferirsi a un singolo
interlocutore, e voi, usato per rivolgersi a due o più persone
• Tuttavia, in italiano, in determinate circostanze, non usiamo il tu bensì il
lei oppure il voi per alcune categorie di interlocutori. quindi il Lei di un
italofono influenzerà positivamente l’interlingua(transfer
positivo)tedesca, quando lo sostituirà a “sie”.
• L’inglese, invece, ha un unico allocutivo, you, indipendentemente dal
numero delle persone e da ogni altra circostanza, quindi transfer
negativo, poiché quando questo pronome sostituisce “sie” non ha lo
stesso significato pragmatico.
. così in francese tra “tu” e “vous”, ma il vous non va bene, ancora transfer
negativo.
Facciamo ora un esempio in cui l’influenza della L1
sull’interlingua provoca un evitamento a livello
grammaticale .nell’es. si considerano le preposizioni
relative restrittive.
Come indica il loro nome, le proposizioni restrittive forniscono un’indicazione
indispensabile per definire o identificare la persona o la cosa di cui tratta la frase. Si
consideri per esempio la frase: Dogs that like cats are very unusual. In questo
caso, pur sapendo che ci sono molti cani al mondo, si comprende che la frase si
riferisce solo ai cani a cui piacciono i gatti. La proposizione restrittiva ci fornisce
questa indicazione. Se la proposizione restrittiva fosse rimossa dalla frase, la frase
rimarrebbe grammaticalmente corretta ma il suo significato cambierebbe in modo
significativo.
Le proposizioni restrittive sono composte da un pronome relativo (che può essere
omesso), un verbo ed altri elementi opzionali, come il soggetto e il complemento
del verbo.
si considerano 50 composizioni inglesi, da parte di 4 gruppi
di apprendenti persiani, arabi, cinesi, giapponesi ed un
gruppo di controllo statunitense. la L2 è l’inglese.
Ipotesi di partenza: l’interlingua prodotta dai persiani e dagli
arabi è diversa da quella dei cinesi e giapponesi per
quanto riguarda la proposizione restrittiva, a causa
delle diverse L1. Infatti il persiano e l’arabo come
l’inglese mettono le prop. relative restrittive dopo il
nome che vanno a modificare( quindi ci si aspetta un
transfer positivo) mentre il cinese e giapponese le
mettono prima del nome con una costruzione della
frase diversa da quella inglese(transfer negativo), in
realtà dallo studio si vede che per gli arabi ed i persiani
si conferma il transfer positivo nell’interlingua dovuto
alla L1 mentre i cinesi e giapponesi non conoscendo la
regola che nella loro interlingua è molto diversa
omettono o meglio evitano di usarle, le usano molto di
meno però quando sono costretti ad usarla ma fanno
molti meno errori dei persiani e degli arabi
Perché?
a causa della L1 di partenza: 1)quando la differenza tra L1 e
L2 è notevole , nell’interlingua alcune costruzioni sono
evitate 2) la semplice analisi degli errori non è un modo
per valutare l’influenza della L1, infatti i cinesi e
giapponesi fanno meno errori degli altri gruppi. Ciò
significa che, meno errori, non vogliono assolutamente
dire una interlingua più vicina ai parlanti nativi. Infatti il
gruppo cinesi/giapponesi quando usa la relativa lo fa
bene ,ma la usa con troppa poca frequenza.
quali sono le COSTRIZIONI CHE LIMITANO I TRANSFER?
sono almeno 7 li esaminiamo :
1)il livello di analisi: la probabilità che L1 influisca
sull’apprendimento di L2 decresce con il seguente
ordine
livello:
fonologico>pragmatico>lessicale>sintattico>morfologico
Che il livello fonologico della L1 sia quello che influenza di
più la L2 è noto, sia per i fonemi quanto per il ritmo,
accento ecc.. mentre che la morfologia di L1 dia
rarissimi transfer è intuitivo. ad es. prendiamo un
inglese che studia italiano come L2. Nella sua L1 è
molto frequente l’uso del mrfema-s- che è improbabile
trasferisca nell’interlinea italiana, anche perché i
morfemi sono indissolubilmente legati al loro lessema
per cui dovrebbero essere trasferiti con loro.
2) il livello di competenza linguistica L2: man mano che
aumenta la competenza in L2 diminuisce l’influenza
della L1 a tutti i livelli di analisi.
3) Altro elemento che influenza la trasferibilità di L1 è la
MARCATEZZA,
Quindi
− la marcatezza degli elementi trasferiti è
− nozione relativa, non assoluta
− professore – professoressa (lunghezza) − /p/ - /b/
(complessità)
− bambino - fanciullo (frequenza)
− alto - basso (estendibilità)
è più facile trasferire nell’interlingua i nomi non marcati
perché in genere più corti e meno complessi. Es.
professoressa (marcato, lunghezza maggiore) e
professore(non marcato), oppure perché i nomi marcati
sono più rari ad es. fanciullo (marcato) rispetto a
bambino (non marcato). Oppure “b” è molto più
marcato di “p” , quindi ha una maggiore complessità
sonora, oppure alto/basso, alto è estensibile alle
interrogative (quanto è alto?)mentre basso non lo è
(quanto è basso? non va bene)

Quindi: a) gli elementi meno marcati sono più trasferibili di


quelli marcati
b) specialmente se gli elementi della L2 sono
marcati

Facciamo un es. a proposito della posizione del pronome


clitico atono oggetto (“li” , nelle frase -li vedo) tra due
lingue inglese e italiano ,come avviene il transfer
nell’interlingua?

In italiano, sono clitici le cosiddette particelle pronominali, cioè forme atone


del pronome personale (mi, ti, gli, ecc.;)
hanno due forme: la FORMA TONICA e la FORMA ATONA.
• FORMA TONICA significa che l’accento della frase si posa su quel
pronome; in questo caso il pronome si trova dopo il verbo.
• FORMA ATONA significa che l’accento della frase non si posa su quel
pronome; in questo caso il pronome si trova prima del verbo.
Poiché le due forme hanno lo stesso significato, la FORMA TONICA è
preferita quando il tono della frase è enfatico, cioè si vuole dare risalto alla
persona a cui si riferisce il discorso.
Esempio:
Cercano TE (FORMA TONICA)
TI cercano (FORMA ATONA)
la forma atona che è quindi preverbale in italiano, mentre
invece è post verbale in inglese. Come influenza
l’interlingua di un T. Italiano che studia inglese ?

L1 italiano. Interlingua ingl. Inglese corretto


Li vedo I them see I can see them
Quindi in T. la regola del’1 italiana che “li” va prima del verbo
vie ne trasferita,nell’interlingua. T. commette un errore,
transfer negativo.
se invece ,sempre nello stesso es. T. è inglese e studia
italiani L2 che succede?

L1 inglese interlingua ital. Italiano corretto


I can see them. io vedo lì li vedo

T. Inglese nell’interlingua mantiene la regola inglese del


pronome dopo il verbo, quindi errore, transfer negativo.

in questo caso dove agisce la marcatezza?


La marcatezza è un concetto linguistico basato sul confronto tra due o più forme
linguistiche: una forma marcata è una forma non basilare o meno naturale; essa si
contrappone alla forma non marcata, che è la forma basilare o neutrale.
Il concetto di marcatezza si è originariamente sviluppato negli studi sui tratti distintivi e le
opposizioni fonologiche: ad esempio, l'opposizione tra [t] e [d] si fonda sul fatto che il
primo suono è prodotto senza vibrazione delle corde vocali (è cioè [-sonoro]), mentre il
secondo è [+sonoro]. La presenza o l'assenza di un tratto indica rispettivamente che
quella forma è marcata o non-marcata. Detto altrimenti, per descrivere un elemento
marcato è necessario un tratto in piùData la tipologia sintattica di una data lingua (ad
esempio, SVO), ogni costruzione con un differente ordine sintattico è marcata e rinvia ad
operazioni di tematizzazione e focalizzazione. Una frase può poi essere marcata con
riguardo all'intonazione, o alla dimensione testuale o pragmatica degli enunciati.
«È non marcata, cioè neutrale, foneticamente, sintatticamente, eccetera, la disposizione
delle parole che si riveli appropriata al maggior numero di contesti possibile.[2]»
In tal senso, una frase disposta secondo un ordine normale può essere articolata con un
picco intonativo, di modo che essa finisce per essere adeguata ad un novero più limitato di
contesti. Ad esempio, la frase Il fratello di Maria mi ha derubato, con intonazione non
marcata, risponde alle domande Che ha fatto il fratello di Maria?, Che è successo?, Chi ti
ha derubato? ecc., mentre un picco intonativo sulla i di Maria renderebbe l'enunciato
adeguato a rispondere alla sola domanda Chi ti ha derubato?.[3]
La forma di una parola che è convenzionalmente scelta come lemma, cioè come forma di
citazione in un dizionario, è in genere la forma con meno (o senza) marche. Il plurale viene
spesso considerato come marcato rispetto al singolare (in inglese, avremo the girl e the
girls).

Per capire come agisca nell’ex. Dobbiamo ricordare l’ordine


canonico di costruzione di una frase SVO italiana e inglese.
in questi esempi il soggetto è sottinteso quindi guardiamo
l’ordine VO(verbo- oggetto es. complemento oggetto o un
pronome che funge da oggetto come nel caso della frase “li
vedo”, che diventa “io vedo chi?” -loro- che rispondendo alla
domanda -chi, che cosa-, assume funzione di complemento
oggetto, cioè “li vedo”). La frase inglese corretta è quella in
cui il “li”, pronome/oggetto viene dopo il verbo quindi rispetta
la regola -VO- per questo si dice che è una forma sintattica
normale o non marcata.
in italiano invece il pronome /oggetto è proverbiale quindi
non rispetta la regola -VO-, essendo quindi una forma
sintattica non normale si dice che è “marcata”.Quindi se è
vero che le forme non marcate vengono trasferite più
frequentemente delle marcate che sono anche più rare è più
probabile che sia il T. Inglese che in L1 usa una forma non
marcata a trasferire nell’interlingua italiana la forma inglese
non marcata, di quanto non lo sia per il T. Italiano con
interlingua inglese.

IPOTESI DI MARCATEZZA DIFFERENZIALE(Eckmann)

Al grado di marcatezza degli elementi corrisponde


anche il grado di difficoltà nel loro apprendimento.
Per spiegare questa ipotesi facciamo un es. di fonologia.
Ricordiamo che, a livello articolatorio un suono sonoro è
quello in cui le corde vocali vibrano, e un suono sordo è
quello in cui ciò non avviene
Es: valutiamo l’ opposizione [k]/[ɡ]dove K è sorda e G è
sonora (sorda vs sonora) nella lingua inglese e tedesca a
confronto(cioè consideriamo due consonanti una “k” sorda ,
cioè meno marcata e la consonante “g” sonora più
marcata),
e poi l’es. con l’ opposizione [ch]/[g] inglese e francese,
dove “che” è sorda e dunque non marcata, e “g” è sonora
e marcata , in entrambi i casi si osservano queste
opposizioni in posizione iniziale<mediana<finale nella
parola.( vedi pag 127)

Valutiamo per primo il caso della lingua inglese vs tedesco,


queste due lettere k/g ,che abbiamo detto sono in
opposizione fonologica, si possono trovare come consonati
all’inizio della parola cioè in posizione iniziale (es. inglese
goat,tedesco kasse o gasse), in posizione intermedia
(es.inglese backing/bagging, tedesco haken, hagen) , o alla
fine della parola cioè in posizione finale, questo però solo
nell’inglese (es.sak/sag) quindi il tedesco non presenta mai
le due consonanti in posizione finale. Cosa significa questo
nel transfer dell’interlingua? Cioè quando T. Inglese impara
il tedesco deve imparare a sopprimere questa opposizione
in posizione finale perché in tedesco non c’è mai.
Vediamo adesso l’opposizione ch/g tra francese ed inglese
in questo caso entrambe le lingue usano l’oppisizione ma il
francese in tutte e tre le posizioni, iniziale-intermedia-finale.
L’inglese solo in posizione intermedia e finale e non in
posizione iniziale . Quindi in questo casoT. francese che
studia inglese deve sopprimere la possibilità di usare tali
lettere nella posizione iniziale della frase inglese L2.
Gli studi dimostrano che sopprimere un’opposizione non
presenti difficoltà , né da parte degli apprendenti inglesi che
devono sopprimerla in posizione finale quando imparano il
tedesco; né di quelli francesi che devono sopprimerla in
posizione iniziale quando imparano l’inglese. Gli studi però
dimostrano che non è vero il contrario cioè e molto più facile
sopprimere che apprendere un’opposizione. Infatti gli
apprendenti tedeschi che non hanno l’opposizione nella loro
L1 in pozione finale quando imparano l’inglese come L2
devono imparare che in inglese questa opposizione in
posizione finale ci sta. il discorso non vale per l’apprendente
con L1 inglese in cui l’opposizione manca in posizione
iniziale che impara il francese L2, infatti questi non hanno
difficoltà ad usarla in posizione iniziale. PERCHE? come
mai imparare una nuova regola è facile se questa si trova
nella posizione iniziale della parola mentre è così difficile
imparare la stessa regola se questa si trova alla fine della
parola?
a questa domanda risponde L’Ipotesi di Marcatezza
Differenziale, che nota che le tre posizioni sono marcate
differentemente: quella finale è la più marcata delle tre
(quindi la posizione più difficile da imparare) e quella iniziale
la meno marcata(quindi la più facile da imparare).
Si tratta di un universale tipologico implicazionale.

Pos.iniziale>intermedia>finale

Ciò significa che la lingua che ha l’opposizione in pozione finale implica che
abbia anche le precedenti, la lingua che ha l’opposizione in pozione
intermedia implica che abbia anche la precedente cioè quella in posizione
iniziale.
Quindi se T. non ha questa opposizione finale in L1 è molto difficile impararla
proprio perché è la più marcata.

4) vediamo come la PROTOTIPICITA’ influenza il trasferì da


L1 all’interlingua. (Kellerman ha fatto su questo multi studi)
La teoria del prototipo è un sistema di categorizzazione graduata
nell'ambito delle scienze cognitive, in base al quale alcuni membri di una
categoria semantica occupano una posizione più centrale di altri. Per citare
un caso pratico, quando viene richiesto di dare un esempio del concetto di
un mobile, la sedia è nominata più frequentemente di sgabello. quindi è un
modello che divide cose, animali ecc in categorie secondo un ordine
progressivo(graduatoria) dove alcuni occupano posizioni più centrali di altri,
non è un modello basato sulla definizione, secondo il quale ad esempio un
uccello può essere definito come un elemento con piume + becco + abilità di
volare, la teoria del prototipo considera una categoria come quella degli
uccelli come formata da diversi elementi che occupano diverse posizioni al
suo interno, vale a dire che un passerotto è un elemento più prototipico, e
quindi con una posizione più centrale, rispetto ad un pinguino.

i lavori di Kellerman si sono concentrati a livello semantico-


lessicale. il più noto è quello con il verbo olandese
“breken”(rompere).questo verbo si usa in molte espressioni
idiomatiche (espressione tipica di una lingua, solitamente
intraducibile letteralmente
• avere la pancia col significato di essere grassi o sovrappeso)
in cui il valore semantico di “rompere” si allontana sempre
più da quello prototipico. Tanto meno prototipico è il
significato tanto più T. olandese resiste a trasferirlo nella
lingua ingleseL2: esita persino ad accettarne gli usi meno
prototipi in inglese.

5)LA DISTANZA TIPOLOGICA TRA L1 E L2 è un altro


fattore che incide sulla trasferibilità.
T. ricorrerà maggiormente alla L1 solo nel caso che L1 e L2
abbiano strutture affini., infatti più vicino sono le due
lingue, più è favorito il transfer positivo dalla L1, più
veloce è l’apprendimento. Prendiamo l’italiano come
L2, che è una lingua flessiva e vediamo un T tedesco,
un T.turco ed un T.cinese che la devono imparare.
(Una lingua flessiva (o "fusiva") è un tipo morfologico che si caratterizza nel poter
esprimere più relazioni grammaticali mediante un solo morfema. L'italiano,
come la maggior parte delle lingue indoeuropee appartiene a questo tipo
morfologico.
Esempio: gatte: la "e" è un suffisso che indica sia il genere (femminile) che il
numero (plurale) dell'entità a cui si riferisce.
Le lingue flessive possono anche operare la "flessione interna" (apofonia),
cioè indicare le diverse categorie grammaticali variando la vocale della radice
della parola (quindi in posizione interna, e non finale della parola).
Esempio: fare - feci, drInk - drAnk
Questo è un fenomeno molto diffuso nelle lingue indoeuropee e semitiche)
Come si comportano?
il tedesco è una lingua flessiva come l’italiano, il turco è una
lingua agglutinante cioè le parole (allo stato iniziale) sono
costituite dalla sola radice, a cui vengono poi aggiunti
prefissi o suffissi per esprimere categorie grammaticali
diverse (ad esempio genere, numero, caso o tempo
verbale), il cinese è una lingua isolante, è una lingua quasi
totalmente priva di morfologia; detto altrimenti, i suoi termini
son quasi totalmente privi di declinazioni e flessioni.
Ebbene i cinesi avranno maggiori difficoltà rispetto ai turchi
e ancora di più rispetto ai tedeschi ad imparare l’italiano e a
cambiare la vocale con cui finiscono le parole. quindi per
vicinanza di lingue imparano l’italiano pima i tedeschi, poi i
turchi ed infine i cinesi.

6) la distanza tra L1 e L2 può interagire con I PRINCIPI


NATURALI DELL’APPRENDIMENTO della L2
Prendiamo sempre il T. Tedesco, turco e cinese e come L2
l’italiano e vediamo come le tre strategie morfologiche della
loro L1: flessiva o musiva, agglutinante , isolante entrino in
gioco.
in un primo momento agirebbe una strategia isolante ( es.
io parla)cioè una forma morfologica basica non flessa senza
accordo
in un secondo momento una strategia agglutinante con l’
aggiunta di morfemi trasparenti ( es.chiedata anziché
chiesta)
in un terzo momento per una strategia fusiva, con l’uso
flessivo corretto dell’italianoL2
Ne segue che i cinesi si soffermano più a lungo al I stadio, i
turchi al secondo, i tedeschi passano dal primo all’ultimo
prima di tutti.
7)la COERENZA INTERNA opera nell’interlinea e
condiziona l’influenza di L1
La coerenza, è una proprietà che ha a che fare con il
significato complessivo del testo, cioè la relazione che lega i
significati degli enunciati che formano un testo. In un testo
ogni frase è in stretta relazione con la significazione delle
altre parti. Vediamo come opera nell’interlingua: es, quel’è
l’ordine di apprendimento delle parole nelle preposizioni
principali olandesi e tedesche, le L2- da parte di apprendenti
Turchi ed Arabi.
Si dice proposizione principale la proposizione che contiene un verbo e un
soggetto che si individua in modo chiaro, in quanto il verbo è al modo
indicativo, o al modo congiuntivo, o al modo imperativo, cioè il soggetto è in
forma esplicita; inoltre questa proposizione non dipende da un'altra, ma ha
senso compiuto
Vediamo l’ordine delle parole nelle preposizioni con verbo
semplice e composto(con l’ausiliare essere)

Verbo semplice verbo composto


Turco SOV SOV
Arabo VSO SVO

olandese SVO SOV


Tedesco SVO SOV

solo nel turco l’ordine delle parole nella frase è uguale nel
preposizioni con verbo semplice e composto.
I turchi quindi sono più restii degli arabi a distinguere tra
verbo semplice e composto, influenzati dalla coerenza
interna SOV , costante in L1. Gli arabi invece sono più
abituati a differenziare tra verbo semplice e composto.
Quindi il transfer di L1si adegua al processo di sviluppo
dell’interlingua e ne accelera o ritarda il progresso nelle
sequenze di apprendimento.
Parar.4
L’AMBIENTE LINGUISTICO
• è lingua ogni manifestazione parlata o scritta di ogni essere
umano in qualunque momento della vita
• Dunque viviamo immersi ininterrottamente in un “ambiente”
linguistico
Quindi l’ambiente linguistico è “l’input” (lo stimolo
linguistico L2) a cui è esposto l’apprendente e può
dare sulla lingua da imparare: un “evidenza positiva
“(l’input), nel senso di mostrare a T.un modello di quello
che c’è da imparare(ad es. attraverso il contatto con un
nativo che parla la lingua che T. sta apprendendo)
oppur anche “un’evidenza negativa”,(l’insegnamento)
nel senso di correggere l’apprendente nelle sue
produzioni di L2.
“L’evidenza negativa”, può avvenire in modo esplicito, con
la correzione degli errori e con la spiegazione delle
regole, oppure in modo implicito con la segnalazione di
incomprensioni o la richiesta di riformulare la frase a T..
Di solito la correzione avviene in un contesto specifico,
quello dell’insegnamento.
Ad un diverso input corrisponde un diverso
apprendimento?la risposta è molto complicata .
L'interazione conversazionale (ad es. tra un apprendente ed
un nativo)favorisce lo sviluppo della L2.
La misura del progresso dipende dalla natura
dell’interazione e dal ruolo dell’apprendente.
Esposizione a diversi input:
Monologico : non c’è interazione tra un apprendente ed un
nativo
Dialogico: c’è interazione tra un apprendente ed un nativo
Modificato:il parlante nativo può modificare/semplificare il
suo parlato per rende più facile la comprensione al suo
interlocutore
Non modificato: l’inverso di sopra
Interattivo: ‘input. può prevedere un ruolo più o meno attivo
dell’appendente.
Non interattivo: l’inverso di sopra

Esaminiamo 3 studi che cercano di verifiche l’influenza


dell’input e dell’interazione sull’apprendimento della L2.
Poi prendiamo in considerazione il tipo di ambiente
linguistico particolare che è l’insegnamento
L'insegnamento è in grado di influenzare l’apprendimento?e
se si, in che modo?
Tute risposte ancora aperte.

Studio di Gass e Varonis


in quest studio la L2 è l’inglese, gi apprendenti sono
cinesi ,divisi in coppie, e ci sono parlanti nativi anch’essi
divisi in coppie , i questi un un nativo usa un input
modificato per rendere il messaggio più comprensibile
all’apprendente ,l’altro usa un input non modificato. un
gruppo di nativi non interagisce con gli apprendenti.
Tutte le persone coinvolte nello studio partecipano ad un
gioco comunicativo, (che è dunque la vera procedura
sperimentale)diviso in due fasi.
i soggetti dovevano svolgere due prove a distanza di tempo.
Nella prima, gli apprendenti dovevano collocare degli
oggetti(figurine su uno sfondo disegnato) seguendo le
istruzioni date dai parlanti nativi che erano divisi in due
gruppi .uno dava informazioni in L2 con un input dunque
non modificato, mentre il secondo gruppo di nativi da
informazione ali apprendenti usando un input modificato che
aiutasse la comprensione. Poi gli aprendenti venivano divisi
in altri due gruppi, uno interagiva con il parlante
nativo ,l’altro no.
Quindi nella prima fase si vuole valutare gli effetti di
diverse condizioni sperimentali sulla comprensione del
messaggio, se l’input modificato e l’interazione sono più
efficaci dell’input non modificato e della non interazione. Si
conferma la prima ipotesi.
Infatti l’input meno comprensibile è quello non modificato e
non interattivo, una comprensione intermedia in chi aveva
un messaggio modificato ma non interagiva con il nativo e
da chi riceveva input semplificato ma non poteva interagire
con il nativo, la massima comprensione si ha nel gruppo che
riceve l’input modificato e l’interazione con il nativo.
Nella seconda fase le parti erano invertite, con gli
apprendenti che danno istruzioni ai nativi, misurando così gli
effetti dei diversi input sull’acquisizione della capacità di
produrre frasi efficaci. Su questo versante i risultati
mostrano l’importanza dell’interazione nello sviluppo di
abilità produttive; gli apprendenti che avevano potuto
interagire nella prima prova, riuscivano nella seconda, a
spiegare ai loro interlocutori nativi dove collocare gli oggetti
con una efficacia maggiore rispetto ai soggetti che nella
prima prova erano stati esposti ad un input non interattivo.
da questo studio si può concludere che la possibilità di
interagire offre non solo delle buone opportunità per la
comprensione, ma produce anche degli effetti sulla capacità
di produzione; la semplificazione del messaggi senza
interazione pur favorendo la comprensione, non rende gli
apprendenti in grado di esprimersi in seguito, con
particolare efficacia. Bisogna però segnalare che tra le due
prove passano solo 5 minuti: quindi con questo studio non è
possibile affermare che l’interazione lasci delle tracce
durature a livello di acquisizione di competenze linguistiche,
si può solo dire che a breve termine le tracce ci sono e che
sono significative .
Giunge invece a conclusioni diverso lo studio di Loschey
sull’apprendimento apparso sulla stessa rivista dello studio
di Gass e Varnois
si vuole vedere se l’input meglio compreso favorisca
l’apprendimento. La lingua L2 è il giapponese.
gli apprendenti sono divisi in 3 gruppi esposti a 3 input
diversi: non modificato, reso linguisticamente più semplice e
negoziato(apprendente e nativo cooperano per la
comprensione del messaggio).
In tutti e te i casi l’input contiene frasi locative(indica la
posizione nello spazio) che indicano la posizione di alcuni
oggetti in una serie di disegni, che gli apprendenti devono
individuare.
Anche qui i risultati confermano che l’input negoziato è il
migliore per la comprensione, ma non conferma che lo sia
per l’apprendimento di dove stanno gli oggetti sul disegno,
infatti nei tre gruppi , da questo punto di vista i risultati non
mostrano differenze.
come conciliare questi due studi contraddittori?
Mitchell e Myles trovano una contraddizione: nel primo
studio il maggior apprendimento è genericamente
equiparato al maggior successo ottenuto presso i nativi sulle
istruzioni date dagli apprendenti, in base al numero di
figurine spostate al posto giusto: nel secondo studio, invece,
il successo della apprendimento viene valutato
considerando specificamente alcune strutture locative.
il punto cruciale quindi è: quali elementi linguistici
vengono imparati con l’ input negoziato?
L’esperimento di Gass indicherebbe che più che elementi
lessicali utili, verrebbero apprese delle tattiche descrittive.
Ma è proprio così’?
Quindi tutto è ancora da dimostrare con altri studi.
Ci prova il terzo studio di Mackey che rapporta i diversi tipi
di interazione e lo sviluppo dell’interlinea in T.
La struttura testata è l’interrogativa inglese.
L'esperimento è condotto a Sdney in una scuola privata, vi
partecipano 34 soggetti adulti con varie L1 e vari stadi
dell’interlinea, divisi in 5 gruppi (di 7 persone ,2 di questi
gruppi interagisco con un nativo 1 gruppo ascolta ma non
interagisce ,un gruppo di ascoltatori osservatori
dell’interazione a cui non partecipano attivamente ed un
gruppo di controllo che non ricevono alcun trattamento cioè
rispetto agi altri gruppi non conversano, né osservano) che
ricevono una serie di tasks (compiti) comunicativi che
stimolano l’uso dell’interrogativa.
Tutti vengono testati prima e dopo l’esperimento.
i risultati dimostrano che:
1)l’interazione conversazionale favorisce lo sviluppo
della L2
2)la misura del progresso dipende dalla natura
dell’interazione e dal ruolo dell’apprendente.

Consideriamo ora il particolare ambiente linguistico che è


l’insegnamento ed il suo effetto sull’apprendimento di L2.
Due i punti critici:
cosa si intende esattamente per insegnamento
Su quale aspetto della competenza linguistica di volta in
volta nei vari studi, si sta discutendo.
-la distinzione tra apprendimento spontaneo (come quello
del bambino o di un emigrato italiano in America, in cui si da
attenzione più al contenuto che alla forma) e apprendimento
guidato(insegnamento, dove l’attenzione si basa sulla
forma, la sillaba le regole grammaticali, sintattiche, la
correzione degli errori, il continuo monitoraggio da parte del
prof. sul procedere dell’apprendimento che segue
comunque un programma scolastico sequenziale) si basa
su 3 fattori
focalizzazione della forma
correzione degli errori
strutturazione del sillabo
se questo dà allo studente una maggiore consapevolezza
metalinguistica, non porta necessariamente a risultati
migliori quando si tratta di usare L2 in situazioni
comunicative reali. E' quindi legittimo chiedersi se
l’insegnamento serve? si ritiene che lo sia solo se produce il
contesto dell’apprendimento spontaneo, e se serve quali
risultati comporta, quale insegnamento è più efficace?

1L’insegnamento aiuta l’apprendimento di L2 ?porta dei


vantaggi rispetto all’apprendimento spontaneo?
A un diverso input corrisponde un diverso apprendimento?
esaminiamo alcuni studi:
- Pica 1983, l'effetto dell'insegnamento dipende dagli
elementi insegnati (morfemi inglese: -s vs -ing)
-Pavesi 1984, relativa inglese (studenti vs lavoratori) - max
complessità per studenti- sblocco della fossilizzazione
- Trahey & White 1993, esplicitazione della regola e
evidenza negativa
- posizione dell’avverbio in inglese L2 e noticing

Pica 1983, nello studio valuta l’apprendimento di alcuni


morfemi parte di18 apprendenti inglese di origine spagnola,
divisi in 3 gruppi, in ambienti diversi: spontaneamente in
USA, sotto istruzione in Messico, in entrambi i modi in USA.
il morfema -s- del plurale inglese va meglio con l’istruzione
che con l’apprendimento spontaneo
per il morfema -ing della forma progressiva avviene il
contrario, va meglio con l’apprendimento spontaneo che
con l’istruzione
Per l’articolo, invece, non c’è differenza nei 3 gruppi
Conclusione: l'effetto dell'insegnamento dipende dagli
elementi insegnati (morfemi inglese: -s vs -ing), è più
valido nel caso dei morfemi più semplici e salienti
Quindi la complessità della funzione del morfema e della
forma sono determinanti
Nel caso del morfema -s- la funzione e la forma sono
semplici e l’istruzione funziona
Nel caso del morfema-int progressivo, la forma è
semplice ,a la unzione no, è molto complessate cui
l’istruzione lo insegna nella forma ma per un suo uso
funzionalmente corretto è insufficiente.
un altro contributo del lavoro riguarda il tipo di errori prodotti:
l’apprendimento spontaneo tende a provocare l’omissione
dei morfemi; l’irruzione ad esagerarne l’uso.

Pavesi (1984),
Studia l’uso della prop. relativa inglese da parte di due
gruppi:
1)studenti che hanno studiato inglese in una scuola italiana
per 2/7anni con un’alta % di input scritto
2)lavoratori immigrati in Inghilterra per un periodo tra 3 mesi
e 25 anni con esposizione spontanea a L2 ,senza
istruzione.
lo studio dimostra che la progressione attraverso gli stadi
della gerarchia implicazione di relativizzazione è la stessa
per i due gruppi: dalla costruzione meno
marcata(relativizzazione del soggetto) alla più
marcata(relativizzazione del genitivo)quindi l’istruzione non
ha alterato la sequenza di sviluppo naturale.
Altri studiosi hanno valutato questi risultati
1) i ragazzi italiani hanno sviluppato un’interlinea più
avanzata, ed usano più spesso i pronomi, del gruppo di
immigrati.
questa diversità dipenderebbe indirettamente dal fatto che
la suola espone gli studenti a un input più complesso e
pianificato con molte relative marcate.
Altri studiosi ritengono che oltre al tipo di input ,la differenza
dipende soprattutto dalla messa a fuoco della forma tipica
dell’istruzione scolastica.
Quindi l’insegnamento sbloccherete la fossilizzazione,
portando T.,a livelli più alti di competenza.
che cos’è la fossilizzazione ‘indica come alcune forme errate si cristallizzano nel cervello e
l’apprendente,  nonostante i suoi sforzi,  non riesce a correggerli.  La fossilizzazione del
linguaggio si riferisce al processo di apprendimento di una lingua secondaria in cui lo
studente ha difficoltà a promuovere la sua padronanza della seconda lingua, questo
perché non può imparare più di alcuni piccoli aspetti superficiali della lingua, come ad
esempio semplici vocaboli, verbi e frasi a livello base-medio, e la comprensione
concettuale, scritta e parlata, non si svilupperà ulteriormente per arrivare al livello
avanzato o superiore. La fossilizzazione, quindi, è una sorta di stagnazione
nell’acquisizione del linguaggio secondario che non può essere superato per promuovere
l’apprendimento corretto.

IPOTESI DI INSEGNABILITA’(Pinemann)
Parte dai risultati del progetto Zisa sull’apprendimento della
sintassi tedesca.
10 bambini di 7/9 anni frequentano la scuola tedesca,
apprendono L2 in modo più o meno spontaneo, hanno
competenze linguistiche diverse rispetto alla sintassi
tedesca ed all’ordine gerarchico nella formazione della
frase.
Alcuni bambini hanno un livello di apprendimento minimo
cioè al I stadio (ordine canonico) altri arrivano al terzo(la
separazione del verbo)
A tutti i bambini viene insegnata una struttura di quarto
stadio (l’inversione).
tutti i bambini imparano questo stadio ma solo quelli che
avevano un livello di competenza linguistica al terzo stadio
trasferiscono questa conoscenza anche nella loro
produzione linguistica. Essendo l’insegnamento uguale per
tutti ,la differenza la fa il grado di competenza di partenza.
quindi , solo chi parte da una competenza al terzo stadio
riesce ad apprendere e poi applicare la struttura al quarto
stadio proprio perché le sue competenze di base sono ad
un solo gradino immediatamente inferiore a quello del
quarto stadio. Chi è troppo lontano ,al primo stadio, impara
la struttura di quarto grado ma non sa usarla.
L’ipotesi di insegnabilità dice che l’insegnamento è
e f fi c a c e s o l o s e l ’ i n t e r l i n g u a è a l l o s t a d i o
immediatamente precedente a quello in cui la struttura
insegnata è appresa naturalmente.
quindi insegnare non serve perché può favorire
l’apprendimento solo di quello che T. è comunque pronto a
imparare senza insegnamento.
L’insegnamento è invece efficace in 2 sensi:
1)può accelerare l’apprendimento delle strutture per cui si è
già pronti
2)l’ipotesi di insegnabilità riguarda solo la dimensione
evolutiva dell’apprendimento, facilitando comunque
l’apprendimento di strutture che esulano dalle gerarchie
( come il verbo essere in funzione di copula).

Qual è l’insegnamento migliore?


Ne distinguiamo 2:
Modello “spiegazione&pratica”
Produzione degli elementi insegnati con manipolazione
dell’output (cioè di ciò che T. Dice o scrive conte eventuali
correzioni.
l’importanza dell’output nell’acqui- sizione (Swain, 1995), la fase di produzione orale può forzare
l’apprendente a passare da una processazione semantica a una sintattica. Usare la L2 per dire
qualcosa, quindi, non serve solo a mettere in pratica conoscenze linguistiche già acquisite, ma anche
a “forzare” la propria competenza linguistica al fine di rendere comprensibile quello che esce dalla
nostra bocca .Se dobbiamo produrre lingua (output) la situazione cambia, perché per cercare di
rendere il più possibile comprensibile il nostro output siamo spinti a “grammaticalizzare” le parole.

Input>. > intake > sistema in via di sviluppo > output—


pratica
Quindi questo modello pratica la produzione(l’elaborato, e
su questo valuta l’apprendimento)

Modello “presentazione&spiegazione”
Punta sulla comprensione dell’input
un input ricco, vario e modificato al punto giusto, esiti diversi
nell’acquisizione

input> (ciò che le nostre orecchie ascoltano Il cervello produce frasi sulla base di quelle che
ha già sentito o letto (input). Per migliorare il tuo livello linguistico, quindi, hai bisogno di
nutrire il tuo cervello con moltissimi input – frasi (scritte o dette) corrette e comprensibili. Prima
di poter iniziare a parlare ed a scrivere in una lingua straniera, il tuo cervello deve avere a
disposizione abbastanza frasi in questa lingua) >intake > sistema in via di
sviluppo > output elaborazione
pratica
Questo modello pratica la comprensione dell’input e poi la
pratica

L’effetto dei 2 metodi di insegnamento viene verificato


sulll’apprendimento della posizione dei clitici spagnoli da
parte di apprendenti anglofoni.
In linguistica, forma monosillabica atona che non ricorre isolatamente ma viene preposta o
posposta a una forma verbale alla quale si appoggia nella pronuncia; in italiano i clitici
hanno essenzialmente funzione pronominale (ci, gli, la, le, lo, mi, si, ti, vi) o di sintagmi
avverbiali (ci, ne) o di complemento …<
lo spagnolo ha l’ordine libero per il soggetto e posizione
preverbale obbligatoria per i clitici. Al contrario l’inglese ha
ordine fisso per il soggetto e posizione postverbale per il
clitico.
i soggetti sono divisi in due gruppi è ricevono i2 tipi di
istruzione che seguono i 2 modelli di insegnamento.
Il primo gruppo riceve l’istruzione(input) la cui efficacia sarà
valutata con l’output cioè con ciò che i soggetti
produrranno(es. esercizi in cui applicare le regole
grammaticali)
il secondo gruppo verrà valutato sull’elaborazione dell’input
ricevuto senza chiedergli di produrre niente.
i soggetti sono valutati prima del test sulle loro competenze,
in comprensione e produzione, e dopo il test somministrato.
Vediamo cosa cambia nella loro comprensione e
produzione.
Riguardo la produzione non ci sono differenze tra i due
gruppi ,quello che cambia è la comprensione, infatti
ottengono punteggi miglior i soggetti del secondo gruppo
cioè quelli con pratica post input , ripeto al primo con pratica
pre-output, quindi è più efficace l’istruzione che punta sulla
comprensione(la qualità e ricchezza dell’input).
Secondo altri studiosi questi risultati sono veri solo in
particolari situazioni e cioè quando T. è allo stadio iniziale
dell’apprendimento e fuori dalla classe non riceve altri input
in L2(per cui il merito dell’apprendimento è sicuramente
legato alla qualità degli input ricevuti in classe) e porterebbe
a risultati migliori per la grammatica piuttosto che per il
lessico. mentre l’insegnamento tradizionale favorisce il
lessico,. Alcuni studiosi affermano che la conoscenza
delessico favorisce la comprensione dell’input, per cui
indirettamente l’insegnamento tradizionale contribuirebbe
all’apprendimento, almeno delle forme astratte(non scritte).
Molti studi sono ancora necessari.
Comunque la maggior parte degli studiosi concorda che
l’insegnamento con la pratica focalizzata sulla
comprensione dell’input sia superiore rispetto a quello con
la pratica tesa alla produzione dell’ output, almeno come
detto prima, nelle fasi iniziali, quando T. non ha altri contatti
fuori dalla classe in L2 e per la grammatica.

Vediamo ora se la correzione degli errori ( detto anche


evidenza negativa come fa l’insegnamento tradizionale)
dopo la spiegazione di una regola grammaticale (input ricco
e valido, detto anche esplicitazione della regola come fa
l’insegnamento che punta sul’input) sia utile nell’interlingua.
T. è italiano e studia l’inglese. In L1 un avverbio può stare i 4
posizioni
prima del soggetto:
caparbiamente(AVV) Ludovica(SOGG) non ne vuole vedere
le difficoltà
dopo il soggetto
Ludovica(SOGG) caparbiamente(AVV) non ne vuole vedere
le difficoltà.
Dopo il verbo
Ludovica(SOGG) non ne vuole vedere caparbiamente(AVV)
le difficoltà.
Dopo il complemento oggetto
Ludovica(SOGG) non ne vuole vedere le difficoltà
caparbiamente(AVV)
in L2 ne sono corrette solo 3 delle 4 posizioni in italiano
Nell'esperimento T. e gli amici di classe italiani che
imparano inglese ricevono numerosi e validi input con le
frasi con la struttura da imparare senza però alcuna
spiegazione/esplicitazione della regola e senza alcuna
correzione degli errori( o evidenza negativa).
dopo l’insegnamento i ragazzi effettivamente scelgono più
frequentemente di prima le posizioni corrette dell’avverbio,
ma spesso anche quella errata. Questo dimostra ch
l’inondazione degli input è utile inizialmente per apprendere
una struttura grammaticale ma non è sufficiente a prevenire
gli errori.Mentre la correzione degli errori insieme
all’esplicitazione della regola riduce gli errori.
Ricapitolando sembra che nel caso in cui la L1 permette
duo o più strutture grammaticali, tutte comunicativamente
efficaci nella L2, ma di cui una è grammaticalmente errata,
la correzione degli errori serve ad eliminarla prima
dall’interlingua.
Inoltre l’insegnamento per la grammatica L2 sembra
incapace di alterare la sequenza di sviluppo delle
competenze linguistiche, mentre influirebbe sull’esito finale
e sulla velocità di apprendimento purché intervengano
elementi giusti, nel modo giusto e nel momento giusto.
Infatti pare che l’insegnamento possa accelerare il
progresso e prevenire la fossilizzazione solo nel caso di:

Strutture grammaticale/lessicali immediatamente successive


allo stadio di sviluppo in cui si trova T.
Strutture che esulano dalla gerarchia evolutiva
Alcune strutture marcate
Alcuni contrasti L1L2 in cui la L2 non permette soluzioni
permesse da L1

L’istruzione sembra più efficace se:


1)La correzione degli errori non preclude un input
abbondante
2)la pratica verta su elaborazione degli input più che
produzione di output, soprattutto all’inizio

3)la messa a fuoco della forma avvenga nel rispetto del


contenuto

Infine tutti sono d’accordo nel dire che l’insegnamento sia


più efficace su alcuni studenti rispetto ad altri per
caratteristiche individuali.

Parar.4
Caratteristiche individuali.
quali sono i fattori che spiegano le diverse velocità di
apprendimento ed esiti finali tra gli studenti in L2?

MOTIVAZIONE
un T. più motivato apprende meglio di un T. svogliato.
Motivazione culturale, spingono T. verso la L2 sulla base
di interessi culturali e può essere: intrinseca o piacere
nell’apprendere e integrativa ,cioè desiderio di integrarsi
con il gruppo sociale che parla la L2, questo tipo di
motivazione è importante nell’apprendimento spontaneo ad
es. di un immigrato.
Motivazioni strumentali:sono legate al desiderio
dell’apprendente di raggiungere specifici obiettivi o di
rimuovere particolari ostacoli che incontra nel percorso di
apprendimento di una L2, si ha una motivazione
strumentale generale, quando l’apprendente è motivato
dalla necessità di trovare lavoro, un titolo di studio,
raggiungere un obiettivo . Si ha una motivazione
strumentale particolare, quando l’apprendete vuole
migliorare la propria competenza in L2, per superare un
ostacolo, superare un test o un’interrogazione.
Motivazione risultativa: risultati positivi spronano T.
Motivazione estrinseca (bastone e carota):coincide
sostanzialmente con un qualche rinforzo dato
dall’insegnante, come può essere un buon voto, un giudizio
positivo o la promozione.
T. però non è solo motivato o non motivato, si deve valutare
il grado di questa motivazione, che si valuta con un
questionario di autovalutazione.
Chiaramente tutto ciò ci dice l’enorme variabilità di ognuno
dei fattori in gioco e la difficolta nello studio du tutte queste
variabili( molte di più di quelle elencate ad es. T. a quali
livelli è più bravo, come misurare la competenza linguistica,
che vuol dire essere più bravo, perché ,in cosa
ecc..?).Alcuni di questi fattori sono genetici, altri psicologici,
altri legati alla personalità, altri biologici, tutto ciò complica il
tutto.
su alcuni di questi fattori ci sono però più studi ed accordo
tra gli studiosi ,vediamo quali:
1)ETA’ di T.( a che età rende di più iniziare ad imparare
L2?)
i bambini imparano meglio degli adulti
Infatti una famiglia che si trasferisce ad es. dall’Italia in
Germania: nonni e genitori parlano peggio dei bambini ch
non sono distinguibili in pronuncia e strutture della L2 dai
nativi.
Perché?
Spiegazione biologica organica
i bambini avrebbero una struttura neurologica più adatta
all’apprendimento linguistico
Spiegazione sociale esperienza
Hanno più occasioni di entrare in contatto con L2 e sono
meno distratti dalla quotidianità come invece è per nonni e
genitori.
Quale delle due ipotesi li rende apprendenti migliori?
sembra la prima delle 2, quella biologica . ma si deve
dimostrare con gli studi:( ricordiamo che la funzione
cerebrale linguistica si localizza nell’emisfero di sinistra)
secondo Lenneberg ci sarebbe un periodo critico per
imparare un’altra lingua ,determinato geneticamente che
finisce con la pubertà .
Tequesta ipotesi è stata valutando prendendo in
considerazione l’apprendimento di L1 che và dalla nascita ai
12 anni se un fatto accidentale(sordità, incidenti ecc.)si
verifica in questi anni , non la imparano più perfettamente.
per la L2 le prove del periodo critico sono pochissime.
per capirci qualcosa si possono considerare 3 punti in modo
separato:
1)effetto dell’età sul percorso dell’apprendimento, pochi
studi, forse influisce un poco sulla fonologia, sembra non
influire sull’apprendimento della grammatica

2)età/velocità di apprendimento sembra che i bambini


imparino la fonologia più velocemente degli adulti, il
contrario per la grammatica. i dati vanno presi con cautela
per i tanti fattori di confondimento che ci possono essere nei
vari studi. Ad es. qual’età l’età specifica in cui i bambini
diventano tanto veloci quanto gli adulti?

3)età/esito finale domanda: iniziando da adulti, l’esito finale


è perfetto?spesso no. Lo potrebbe essere? vediamo la
pronuncia, la più difficile da imparare. Secondo gli studi di
Neufeld, i T. che hanno appreso L2 dopo della pubertà sono
indistinguibili in pronuncia dai nativi: lo studio però è fatto sy
pochi soggetti e non valuta il contrario cioè non esamina la
pronuncia in chi apprende prima della pubertà, da
bambino.inoltre il bambino bilingue fin da piccolo potrebbe
non raggiungere la perfezione nella pronuncia per il
continuo contatto L1 L2.
Comunque è opinione d molti studiosi che almeno per la
sintassi la questione è aperta, mentre per la fonologia esista
veramente un periodo critico oltre il quale è impossibile
raggiungere un esito perfetto(bisogna ancora stabilire a che
età corrisponde questo periodo critico),forse l’esito finale
della L2 declina con l’aumentare dell’età tra i 6/20 anni.Per
motivi biologici?non si sa. Sembra che un bambino abbia un
atteggiamento più aperto verso culture e lingue diverse.

2)MOTIVAZIONE importante per velocità ed esito finale in


L2. Tre a quelle già dette ci sarebbe una motivazione
integrativa ed una strumentale. la prima è desiderio di
integrarsi con la comunità L2, la seconda desiderio di
ottenere dall’apprendimento di L2 un vantaggio pratico es.
di lavoro.
 

(slaid prof)
• Modello tripolare di Krashen • Tre possibili impulsi:
IL PIACERE - + efficace
IL BISOGNO - mot. temporanea (es. srilankesi)
IL DOVERE - non efficace
Dovere, bisogno, piacere come fondi di motivazione
Che cosa induce lo studente a ritenersi soddisfatto della sua scelta di
studiare una LS? E nel caso dell’obbligo di studiare una lingua, come avviene
nella scuola, che cosa può convincere lo studente ad impegnarsi?
La teoria della motivazione applicata al marketing e alla pubblicità ci offre una
prima risposta che ha una buona potenza descrittiva e si presta a guidare la
scelta delle tecniche di classe.
Il modello individua le tre cause che governano l’agire umano:
a. il dovere, che regna sovrano nelle situazioni didattiche tradizionali: questa
motivazione non porta all’acquisizione perché inserisce un filtro affettivo che
fa restare nella memoria a medio termine le informazioni apprese: durante i
test e i compiti in classe esse possono essere ancora reperibili ma dopo una
stagione vengono perse. Si produce quindi apprendimento e non
acquisizione;
b. il bisogno è una motivazione legata all’emisfero sinistro del cervello, quello
razionale e consapevole; è una motivazione che funziona, ma presenta due
limiti:
- è necessario che il bisogno sia percepito: ciò è facile per il bisogno di
imparare
l’inglese di base, lo è assai meno per lo studio del francese, della letteratura,
dell’algebra formale...
- funziona fino a quando lo studente decide che ha soddisfatto il suo bisogno

punto che si colloca di solito ben al di sotto del livello soglia...
c. il piacere, motivazione essenzialmente legata all’emisfero destro, ma che
può
coinvolgere anche l’emisfero sinistro divenendo in tal modo potentissima.
Comunque molte altre cose sono da chiarire ad es. quanto infuisce
l’atteggiamento di T. Nei confini dei nativi, del contesto, dei genitori, della
scuola ecc.

3)intelligenza/apprendimento
Fattore generale che determina il livello del funzionamento
in tutto il dominio cognitivo, influisce positivamente nello
studio formale della lingua e non sull’apprendimento
spontaneo.
pare che l’intelligenza(misurata con test) influenza
positivamenteL2 in lettura ,scrittura, esplicitazione
metalinguistica; meno se l’istruzione invece che alla fama
punta al contenuto; non c’entra nell’apprendimento
spontaneo di L2(fuori dalla classe).
Problema: perché tutti i nativi imparano perfettamente L1 al
di là di chi è più intelligente o meno?
Oggi è chiaro che l’intelligenza non è la misura dell’abilità ad
imparare L2 semmai può favorire i progressi in alcune abilità
linguistiche.
4) ATTITUDINE(essere portato)/apprendimento
Per fare una valutazione si usano i test di Carroll e di
Pimslur che valutano alcune abilità, quali:
l'apprendimento induttivo(cioè da testi documenti in L2)
memorizzazione rapida, associando suoni a significati
sensibilità grammaticale, capacità di riconoscere la struttura
della frase
Abito di codificazione fonetica ,associare suoni a
simboli(lettere)
da questi ed altri studi sembrerebbe che l’associazione
ATTITUDINE/apprendimento sia confermata.tuttavia come
per motivazione ed intelligenza anche qui ci sono molte
problematiche non risolte: per es. queste abilità non sono
forse quelle che si insegnano a scuola, in questo senso più
che doti dello studente non potrebbero essere doti e
obbiettivi che un bravo insegnante raggiunge? o comunque
come valutare il suo ruolo? ecc..
Quindi sembrerebbe che la relazione
ATTITUDINE(essere portato)/apprendimento esiste se la
competenza è misurata in termini di accuratezza formale
nelle risposte a test scritti simili a quelli scolastici; ma
misurata in termini di comunicazione orale, la relazione
sfuma.

4)STILE COGNITIVO/apprendimento
cioè in che modo le persone elaborano l’informazione?se
non capiscono una regola cercano di risolvere il problema o
imparano e basta?
Lo stile cognitivo è la modalità di elaborazione dell'informazione che la persona adotta in
modo prevalente, che permane nel tempo e si generalizza a compiti diversi
modi diversi di imparare sono dovuti a modi diversi di
pensare, modi di essere innati nelle persone.
a differenza dell’attitudine e dell’intelligenza non è un
abilità, che è meglio avere che non avere ed è
quantificabile, è una qualità unipolare, cioè c’è l’ahi o non
c’è l’hai nel senso che la sua misurazione dà punteggi
massimi ad un estremo del continuum di apprendimento e
minimi all’altro poli.
Lo stile cognitivo , invece è bipolare cioè la misurazione è
massima ad entrambi i poli, quindi avere uno stile cognitivo
invece di un altro non è meglio o peggio.
quindi i test per lo stile cognitivo servono non a misurare il
risultato massimo (come quelli per l’intelligenza)ma a
stabilire qual’è lo stile cognitivo, normale, di una persona, e
che esso varia da persona a persona.
i risultati di vari studi sono come per ,motizione,
attitudine ,intelligenza abbastanza inconcludenti .
ad es. uno studio sullo stile cognitivo valuta due gruppi di
individui che apprendono L2 e li differenzia in base alla
dipendenza o indipendenza dal campo.(Per campo semantico si
intende, in linguistica, l'area di significato coperta da una parola o da un gruppo di parole in stretta
relazione di significato[1]. Questo è possibile per esempio quando due parole condividono almeno
una proprietà semantica[2].
Ad esempio, il campo semantico di una parola come fiume comprenderà parole affini come
ruscello, sponda, inondazione, fonte, sorgente, affluente, foce, delta, estuario e simili: queste
parole, tutte della stessa classe, devono avere in comune almeno una minima parte di significato
per appartenere allo stesso campo semantico. Queste si troveranno spesso in speciali relazioni di
significato tra di loro).

chi dipende dal campo semantico, sintetizzano meglio


l’intero campo ma ne perdono i particolari, il contrario il
secondo gruppo. Problemi: ideologici, nel mondo
occidentale più prestigioso indipendenti dal campo: e
metodologici, perché trattano lo stile cognitivo come una
qualità.

5) LA PERSONALITA’ essere introversi, estroversi,


empatici, ansiosi come influenza L2?
Prendiamo Tommaso estroverso e Tommasina
introversa .
Ipotesi di partenza dello studio: Tommaso è un apprendente
migliore per quanto riguarda le abilità comunicative
interpersonali, perché per carattere usa di più la lingua orale
ed è attivo nella relazioni interpersonali(basic interpersonali
comunicative skills ,BICS) mentre Tommasina è migliore
nella competenza linguistica cognitivo-accademica,perchè
tende a leggere di più( cognitive Academic Language
profivciency CALP).Estroversione, stima di sé, empatia,
inibizione, sensibilità, etc Tali fattori agiscono da filtro,
lasciando passare quantità maggiori (o minori) di
informazioni ma non c’è un tipo di personalità
sistematicamente favorita o sfavorita nell’apprendimento.
La distinzione BICS/CALP si porta in campo pedagogico.
Ad un bambino è posto il seguente quesito
Es. se tu hai 20 ciliegie, e ne hai 5 più di me, quante ciliegie
ho io?
a livello BICS la parola “più” suggerisce addizione =errore
a livello CALP concettualizza che il significato è meno
quindi le abilitàBICS servono per stare bene a scuola, ma
per fare bene occorrono anche le competenze CALP .
in altri studi si convalida che le competenze BICS aiutano
per quelle CALP non tutti sono d’accordo.
In questa situazione per tutti i fattori relativi alla personalità,
non ci sono risultati chiari, a meno che non si verifichino 2
condizioni: una estrema, l’altra indiretta
ad es. un’ansia estrema non aiuta(ansia debilitante) ,mentre
un pò di ansia aiuta(ansia facilitante). Quindi tutti gli estremi
sono dannosi. Per essere favorevole i tratti della personalità
devono essere presenti a livello medio.
Sono inoltre importanti la quantità e la qualità dell’input L2
che la personalità genera. in conclusione:
Es. LIVELLO DI ANSIETÀ (ansia linguistica) forma VS
contenuto
contesti formali VS contesti colloquiali
Ansia facilitante VS Ansia debilitante Alpert & Harber, .
Tutti gli studi portano alla conclusione, per ora, che la
personalità è un fattore che può influire indirettamente
sull’apprendimento L2.

6) CARATTERISTICHE CULTURALI o ambiente culturale


L'ambiente culturale può intendersi come il contesto in cui si affermano le manifesta-zioni
della vita materiale, sociale e spirituale di un popolo. Vediamo 2 studi sull’immigrazione

a)Il Modello dell’Acculturazione


•Schumann 1978, 1986 •Studio dell’apprendimento
spontaneo (o meglio, mancato apprendimento) dell’inglese
da parte di Alberto, immigrato costaricano negli USA. Ha
studiato a scuola in patria per 6 anni l’inglese.
in Usa gli viene impartito un insegnamento individuale
mirato ,ma il progresso continua ad essere minimo.A parole
è motivato ed i test mostrano capacità cognitive normali.
Perché non impara?
Human cerca la spiegazione nella distanza sociale e
psicologica che separa Alberto dai parlanti L2.
Distanza sociale, è la misura in cui i singoli apprendenti
riescono a diventare parte del gruppo dei parlanti L2 .E’ una
dimensione composita formata da 8 fattori:
- dominanza o subordinazione, economica-politica tra
gruppo L1/L2
- integrazione perdita o mantenimento della cultura L1 a
contatto con L2
- chiusura essere più o meno permeabili verso l’esterno
da parte del gruppo L1
- coesione forza dei legami nel gruppo L1
- dimensione numero di individui che formano il gruppo
L1
- congruenza somiglianza culturale tra L1/L2
- atteggiamento sentimenti, opinioni del gruppo L1 verso
il gruppo L2
- intenzione durata del soggiorno

Nel caso di Alberto la distanza sociale è grande.


Schuman conclude : la relazione tra acculturazione è diretta
Due critiche allo studio metodologica e teorica.

Metodo: Difficoltà di misurazione degli 8 parametri


precedenti
Teoria: dopo un pò schuman smorza la forza della relazione
diretta acculturazione apprendimento: ci sarebbe la cultura
come causa remota, e l’intenzione verbale in L2 con i nativi
come causa vicina che permette la negoziazione del giusto
input che opera come causa immediata
dell’apprendimento.
La I posizione di schuman: acculturazione > apprendimentoL2
la II posizione:
acculturazione >contattoL2>input> apprendimentoL2
Quindi:
L’acculturazione non è sufficiente perché senza l’input non
serve, né è necessaria, perché l’input si può ottenere senza
acculturazione, se l’individuo decide di mantenere una
distanza sociale con i nativi L2.

b) IL MODELLO MULTIDIMENSONALE ( dal progetto


ZISA)Già citato a proposito della dimensione universale
dell’evoluzione per stadi dell’interlingua riguardo la sintassi
tedesca e una seconda a proposito della dimensione
variabile(dell’apprendimento) riguardo l’ipotesi di
insegnabilità. Valutano varie regole grammaticali tedesche
come quella dell’uso degli ausiliari, che meglio esprime
relazioni temporali ma richiede la separazione del verbo,
regola difficile da imparare, chi si trova all’inizio
dell’apprendimento o non la usa o trova una struttura
significativa dal punto di vista comunicativo ma magari
sbagliata; si giunge alla conclusione che l’interlingua può
essere collocata lungo un continuum tra due poli opposti
costituiti da due scopi in concorrenza tra loro: da un lato
puntare all’efficacia comunicativa dall’altra puntare
all’accuratezza formale. Ipotesi centrale è che la posizione
di T. su questo continuum dipende da fattori socio-
psicologici dell’ambiente di apprendimento. si è visto che nei
soggetti osservati, esiste una correlazione tra tratti
linguistici e caratteristiche sociali. Chi usa la L2 puntando
sull’accuratezza formale, anche a rischio di comunicare
meno, tende, segretamente a:
-essere incerto sulla durata della permanenza in Germania
-non ha con sé l’intera famiglia
-sul lavoro ha pochi contatti con i tedeschi
-è privo di ambizioni
-ha livelli di istruzione ,minimi
Chi invece usa la L2 puntando all’efficacia comunicativa
anche a rischio di commettere errori tende, integrativamente
a:
abitare vicino ai tedeschi
avere a lavoro contatti con i tedeschi
essere socialmente ambizioso
Quindi correlazione con alcune caratteristiche sociali:
integrazione e segregazione.

7) STRATEGIE DI APPRENDIMENTO
Tentativi di individuazione delle migliori strategie, poiché
molte di loro sono apprendibili, ma hanno ancora una
posizione teorica incerta
Le definizioni sono tante: strategie come attività
comportamentale o mentale, dirette (chiedere il significato di
una parola sconosciuta) o indirette(pratica), consapevoli e
inconsapevoli ecc..
La classificazione ,anche qui tante. La più accreditata
distingue tra: conoscenza dichiarativa e conoscenza
procedurale: il progresso nell’apprendimento avviene nel
passaggio dalla prima alla seconda, passando dal sapere
all’uso delle regole.
La conoscenza dichiarativa è la “conoscenza di”: si riferisce a fatti ed eventi. Si può
misurare con domande come “Qual è il capoluogo della Lombardia?”. È associata alla
memoria esplicita che si basa sul tentativo consapevole di richiamo o riconoscimento.
La conoscenza procedurale è, invece, il “come”: è la memoria delle procedure necessarie
per compiere azioni che solitamente vengono svolte in modo automatico e in assenza di
un alto grado di consapevolezza. Infatti è associata alla memoria implicita, che, al
contrario di quella esplicita, non richiede un tentativo consapevole per svolgere un
compito.

Secondo O’Malley e Chamot le strategie apprendimento


sono:
−: Cognitive oprano sui materiali linguistici, ripetendo,
deducendo ecc.quindi sarebbero usate prima per
immagazzinare poi per ordinare ed infine per recuperare le
conoscenze dichiarative(parole del lessico e regole
grammaticali -riguarda sostanzialmente il sapere
"cosa" (know-that) e comprende fatti, eventi, teorie. Essa è
conservata nella memoria a lungo termine).
− Metacognitive usano le conoscenze cognitive
Il concetto di metacognizione ha assunto
progressivamente un significato più ampio, finendo per far
riferimento sia alla consapevolezza del soggetto rispetto ai
propri processi cognitivi (conoscenza metacognitiva), che
all'attività di controllo esercitata su questi stessi processi
(processi metacognitivi di controllo).
-Sociali e affettive: permettono interazione con i nativi e gli
altri apprendenti

...ma qual è la migliore?


non si sa. Queste strategie non cambiano la strada con cui
si arriva al successo, ma solo la velocità con cui la si
percorre.
Due studi empirici,(fondato sui dati dell'esperienza immediata e della
pratica, quindi estraneo al rigore scientifico
1) O’Malley esamina due gruppi di inglesi che imparano lo
spagnolo a due diversi livelli di competenze linguistiche, e
ne valuta le strategie. in entrambi i gruppi si usano
prevalentemente le strategie cognitive più semplici, come la
ripetizione. Questi dati sono confermati da altri studi.
2)O’malley e Chamot mettono in relazione l’uso delle
strategie ed il successo dell’apprendimento .
Gli studenti migliori non userebbero le strategie più comuni
ma sanno scegliere più oculatamente le strategie migliori in
base al compito linguistico da svolgere.
Gli apprendenti più deboli, non sembrano capaci di
scegliere le strategie più appropriate al compito.
Anche per questi studi ci sono molte critiche

...ma qual è la strategia migliore?


non si sa. Queste strategie non cambiano la strada con cui
si arriva al successo, ma solo la velocità con cui la si
percorre.

Conclusioni

Il buon apprendente
• Risponde alle dinamiche di gruppo
• No ansia/inibizioni
• Approfitta di ogni occasione per usare la lingua straniera
• + significato e – forma
• Forte motivazione
• Sempre pronto a mettersi alla prova
• Adattamento ai diversi contesti di apprendimento
Ellis, 2005

Non esiste un modo ottimale e generale di imparare la L2.


L’apprendente deve essere consapevole delle proprie
caratteristiche personali, situazionali e culturali per
valorizzare al massimo le occasioni di immersione in un
ambiente ricco di input.
Capit. 5 LE SPIEGAZIONI

Le teorie sull’apprendimento di L2 sono numerose e molto


diverse tra loro, nessuna è perfettamente convincente.
Si possono classificare secondo vari criteri, vediamone alcuni:
Criteri filosofici: empiristiche vs razionaliste raffigurate con
Archibad in :
(empiristica)
1)esperienza> mente> sistema di conoscenze> comportamento
generica L2

(razionaliste)
2)input> facoltà del linguaggio<conoscenza> enunciati di L2
linguistico della di una lingua
mente L2

Empiristi (Hume)
metafora della tavoletta di cera(l’esperienza che proviene dal
mondo esterno scrive sulla nostra mente)
Non negano che esistano strutture innate(le idee di Hegel )ma
ritengono che queste non impediscono la conoscenza tramite
l’esperienza. Quindi, la facoltà del linguaggio della nostra mente
procede induttivamente (METODO INDUTTIVO: metodo che muove dallo
studio delle esperienze sensibili -particolari-ambientali per arrivare ad una definizione
generale ed universale, cioè dal basso verso l’alto, dal particolare al generale, quindi
senza porre limiti alle possibili grammatiche da imparare.)

Razionalisti (Descartes)ritengono che la mente sia dotata di


molte capacità innate.
Metafora del museo al buio
tutto ciò che esiste nel museo esiste dall’inizio e deve essere
attivato dall’esperienza, quindi la facoltà del linguaggio procede
deduttivamente
Il metodo deduttivo o deduzione è il procedimento razionale che fa derivare una certa
conclusione da premesse più generiche, dentro cui quella conclusione è implicita.
«condurre da», o moto di discesa dall'alto verso il basso Questo metodo parte da postulati
e princìpi primi e, attraverso una serie di rigorose concatenazioni logiche, procede verso
determinazioni più particolari attinenti alla realtà tangibile.

Quindi da una parte teorie ambientaliste/induttive ,cioè


l’ambiente linguistico/l’input come elemento fondamentale
dell’apprendimento, dall’altra teoria innatiste -deduttive( i
principi grammaticali che usiamo sono presenti dalla nascita
e non vengono appresi grazie agli input ambientali, che hanno
solo un ruolo marginale nel processo dell’apprendimento L1 e
L2 e L3 e L4 ecc…

Teoria data-driven e theory-driven


la prima è induttiva si parte da una raccolta empirica dei dati
per raggiungere alla regola esplicativa globale, la seconda è
deduttiva quindi il procedimento è inverso, dall’universale al
particolare, parte da un’ipotesi generale e verifica se regge alla
prova dei dati empirici(particolari)

Teorie modulari e non modulari


le prime concepiscono il processo linguistico separato da quello
cognitivo, i secondi il contrario.

Te o r i e l i n g u i s t i c h e , s o c i o l o g i c h e , n e u r o l o g i c h e ,
antropologiche ecc.. a seconda del tipo di variabile che
osservano per spiegare un certo fenomeno linguistico(ad es.
imparare le regole del verbo).

Teorie formaliste e non formaliste


La prima privilegia la forma della lingua rispetto alla sua
funzione da cui è indipendente, la seconda il contrario e afferma
che le forme sono al servizio delle funzioni della lingua.

Teorie della proprietà e della transizione


Le prime danno un resoconto dei sistemi statici delle
conoscenze(ciò che sai in un determinato momento), le
seconde, dei meccanismi e dei modi in cui si passa da un
sistema di conoscenze a quello successivo (dinamica).

Vediamo alcune delle più importanti teorie oggi:

1) il contrastivismo( mette a confronto (L1) e (L2), per individuare gli elementi


nasce
linguistici di L1 che creano più difficoltà e sviano l'apprendimento di L2)
per migliorare le tecniche di insegnamento della L2. Negli
anni 50 è la prima teoria che ha tentato di spiegare
l’apprendimento della L2, ormai superata, da quelle più
recenti , anche se alcuni concetti sono arrivati fino ad
oggi: ad es. l’idea della appiccicosità (influenza) della
L1sulla L2 e l’idea che la pratica migliori
l’apprendimento.
Parte da presupposti in vari campi:
A) il comportamentismo in psicologia: l'apprendimento è un
processo di nuove abitudini;
La teoria si basa su 3 principi:
effetto (dovuto all’input)
pratica (rinforzo positivo all’apprendimento)
scomposizione

l’apprendente riceve lo stimolo(input)dall’ambiente e


reagisce: se consegue il risultato voluto, con la pratica e
l’esercizio costante fa sì che la reazione (ad es. aver
capito una regola grammaticale ) diventi una nuova
abitudine (nel linguaggio, cioè una pratica costante). Se
quello che si deve apprendere è troppo difficile lo si
scompone in unità più semplici e le impara una per volta .

B)linguisticamente, la teria parte da:


l'apprendimento linguistico è spiegato in termini di abitudini
che si formano grazie alla ripetuta associazione di stimoli e
risposte cui segue il rinforzo positivo con la pratica. Ciò vale
nella L1dove T. parte da una tabula rasa alla nascita e nella
L2?
Nell’apprendimento della L2 le abitudini della L1,
interferiscono in due modi: se le strutture linguistiche L1/L2
sono simili, facilitano l’apprendimento, se sono lontane(es.
italiano/giapponese), lo ostacolano.
inoltre l’analisi contrastativa afferma che mettendo a
confronto le 2 lingue si possono prevedere gli errori, che
farà T.e lavorare su questi con l’esercizio.

C)applicazioni didattiche della teoria: come modificare


l’insegnamento, per migliorare l’apprendimento:
l’ipotesi contrastata è basata sui due presupposti:
psicologicamente la convinzione che la pratica renda
perfetti, porta alla creazione di esercitazioni in L2 che si
basano sull’imitazione meccanica del modello L2
perfetto(partendo dagli errori che si possono prevedere farà
T.) ,linguisticamente si selezionano come modello da
sottoporre come esercizi agli apprendenti, soprattutto le
strutture che nella L2 sono diverse da quelle della L1, che
così saranno apprese e T. non farà più errori.

L’ Ipotesi contrastativa non è stata confermata :


1)non sono prevedibili tuti gli errori di T in L2;
2) le sequenze di sviluppo dell’interlingua sono da un lato
indipendenti dalla L1 e dall’altro simile a quelle dei bambini
che imparano L1 partendo dalla tabula rasa, inoltre nella
variabilità di apprendimento della grammatica, la L1 incide
più sulla velocità dell’apprendimento che sulle tappe del
percorso che porta all’apprendimento .
l’ipotesi contrastativa venne abbandonata quando
comparvero nuovi studi e teorie che che dimostrarono:
che una lingua non viene acquisita tramite un processo di
formazione delle abitudini (quindi solo esercizio)e che gli
errori non sono necessariamente da condannare.
Inoltre questa metodologia non offriva miglioramenti nelle
capacità comunicative, durevoli nel lungo termine.

Il caso dei bambini senegalesi(slaid prof)

No literacy ( nessuna alfabetizzazione in L1)


Scuola francese vs Scuola coranica
Studio sulle abilità orali in L2 – task di imitazione elicitata
(elicitare v. tr. [dal lat.«tirare fuori»] – In psicologia, riferito a comportamenti o
condotte, stimolarli, ottenerli mediante domande o altri stimoli,).
Modello Scuola francese vs Scuola coranica
Sperimentazione didattica- metodo audio-orale

Metodo di insegnamento audio-orale (wikipedia)


Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale gli eserciti avevano bisogno
di acquisire dimestichezza, dal punto di vista orale, con le lingue degli alleati
e dei nemici nel più breve tempo possibile. Questa tecnica di insegnamento
era inizialmente chiamata Army Metodo e fu la prima ad essere basata sulla
teoria linguistica e sulla psicologia comportamentale.
Spiegazione
Basata sulla teoria del comportamentismo di Skinner, essa presupponeva
che un essere umano poteva essere istruito utilizzando un sistema di
rinforzo. Un comportamento corretto riceve feedback positivi, cioè
incoraggiano l’apprendimento, mentre gli errori riscuotono feedback negativi.
Questo approccio all’apprendimento è simile al metodo diretto, in cui la
lezione si svolge interamente nella lingua di arrivo.

Il metodo audio-orale era ampiamente utilizzato negli anni ’50 e ’60 e l’enfasi
non era posta sulla comprensione delle parole, ma piuttosto sull’acquisizione
di strutture e modelli per la conversazione della vita di tutti i giorni.
Questi modelli sono ricavati, ripetuti e testati fino a che le risposte date dagli
studenti nella lingua straniera diventano automatiche.
Alcune caratteristiche di questo metodo:
• vengono utilizzati degli esercizi per spiegare i modelli strutturali;
• vengono memorizzate frasi predefinite con particolare attenzione
all’intonazione;
• le spiegazioni grammaticali sono ridotte al minimo;
• il vocabolario è contestualizzato;
• vengono utilizzati ausili audio-visivi;
• l’attenzione si concentra sulla pronuncia;
• le risposte corrette sono immediatamente e positivamente sottolineate.
Utilizzo moderno
Il metodo audio-orale è tuttora utilizzato, anche se generalmente come parte
delle singole lezioni piuttosto che come base di un corso. Questo tipo di
lezioni può essere popolare data la natura relativamente semplice dal punto
di vista dell’insegnante e per il fatto che lo studente sa sempre cosa
aspettarsi.

Sviluppi
Questa memorizzazione approfondita, la ripetizione e il sovrapprendimento
dei modelli sono stati la chiave del successo di questo metodo, dato che gli
studenti potevano spesso vedere risultati immediati. Tuttavia, ne sono stati
anche la debolezza.
Si è scoperto che una lingua non viene acquisita tramite un processo di
formazione delle abitudini.
L’insistenza del metodo sulla ripetizione e la memorizzazione di frasi standard
ha ignorato l’importanza del contesto e della conoscenza nell’apprendimento
delle lingue.

Esperimento senegalesi:
vai su google scrivi: task di imitazione elicitata e poi clicca su
Il parlato (in italiano)L2 .aspetti pragmatici e prosodici—

Parar.2 il generalissimo (Chomsky)


Seconda metà del 900.
wikipedia il linguista Noam Chomsky ha argomentato che il cervello umano
contiene un insieme limitato di regole per organizzare il linguaggio. Questo
insieme di regole è conosciuto come grammatica universale.(GU)
La grammatica universale è una teoria linguistica che postula che i principi
della grammatica siano condivisi da tutte le lingue, e siano innati per tutti gli
esseri umani. Questa ipotesi, alla base della grammatica generativa, nasce
per descrivere l'acquisizione del linguaggio e per rispondere al cosiddetto
argomento della povertà dello stimolo, ovvero: come può il bambino
imparare così bene la sua lingua madre e in così poco tempo, senza andare
a scuola?
La teoria della grammatica universale non vuole descrivere specificamente
una lingua o l'altra, né postulare che "tutte le lingue hanno la stessa
grammatica", ma si propone di individuare una serie di regole innate che
spiegherebbero come i bambini acquisiscono le lingue, e come imparano a
costruire frasi grammaticalmente valide, prima dell’ingresso a scuola.
Chi parla fluentemente una lingua sa quali espressioni sono accettabili nella
propria lingua e quali espressioni sono inaccettabili. L'enigma chiave è capire
come chi parla riesce a comprendere le restrizioni del proprio linguaggio, cioè
le frasi sbagliate, dal momento che le espressioni che violano tali restrizioni
non vengono percepite durante l'apprendimento, né vengono indicate come
tali (cioè quando la mamma parla lo fa correttamente quindi non fornisce al
bambino la coscienza delle frasi sbagliate, e allora il piccolo da dove le
apprende? Questa mancanza di prove negative—ovvero, l'assenza di prove
che un'espressione appartenga alla classe di frasi grammaticalmente
scorrette nel proprio linguaggio—è il nucleo della tesi sulla povertà dello
stimolo. Ad esempio, in Italiano, non si può associare l'aggettivo "qualche" ad
un sostantivo plurale (1):
(1) *Ho ricevuto qualche lettere
Tali espressioni non vengono proposte a chi apprende la lingua,(il bambino)
in quanto esse sono per ipotesi, grammaticalmente scorrette per chi parla il
linguaggio. Chi parla il linguaggio non considera l'uso di tali espressioni e le
reputa non idonee ad essere presentate a chi deve imparare la lingua. La
grammatica universale offre una soluzione al problema della povertà dello
stimolo ponendo alcune restrizioni come caratteristiche universali del
linguaggio umano. Chi impara un linguaggio, in questo modo, non potrà
generalizzare le regole in modo illecito .Gli studiosi di Grammatica generativa
ricercano i cosiddetti universali linguistici che dovrebbero formare la
Grammatica Universale
è una teoria razionalista, innatista e induttiva,

Vuole spiegare quindi in cosa consiste e come viene acquisita


la conoscenza linguistica, sia quella generale, umana(che ci
distingue dagli animali), sia quella particolare delle singole
lingue, (non solo della L2, anche se l’interlingua è una lingua
naturale).
Non indaga sul percorso dell’apprendimento ma sulla facoltà
innata che gli permette di percorrerla.(property theory e non
transity theory)
La Grammatica Universale è la predisposizione innata/
genetica della mente umana all’apprendimento del linguaggio e
al suo sviluppo (Language Acquisition Device).Secondo
quest’ottica, il linguaggio è un sistema cognitivo complesso
geneticamente programmato e codificato nel Dna che si
sviluppa in termini biologici. Ogni forma linguistica, innata,
risiede nella Grammatica Universale(GU) un dispositivo identico
in ogni uomo costituito da un insieme di universali linguistici:
principi e parametri

i principi sono innati, astratti , universali e di numero fisso,


applicabili in ogni lingua del mondo, (il linguaggio umano è
unico),
i parametri sono appresi attraverso l’esperienza, sono di
numero finito, con un valore che è fissato diversamente nelle
varie lingue(cioè ci sono lingue come l’italiano con tantissime
regole grammaticali ed altre lingue con grammatica più
semplice), determinando così le differenze tra una lingua e
l’altra.
l' Apprendimento linguistico(avviene in 3 modi)
Attivazione dei principi
Fissazione dei parametri
Scoperta del lessico e imparare gli elementi lessicali

Es. di principio-innato: la struttura.


Dipendenza delle parole nella frase dalla struttura ,infatti in
nessuna lingua le relazioni sintattiche sono semplificabili in una
semplice successione di parole( per cui mettiamo in fila a caso
le parole e le pronunciamo o le scriviamo) ma seguiamo delle
regole grammaticali e sintattiche, che si fondano su una
struttura (un principio innato e astratto) che la condiziona.

Es. di parametro-appreso: testa iniziale o testa finale ( dove si


posiziona il nome che condiziona la frase?questo nome può
essere il soggetto nel sintagma nominale o il verbo nel
sintagma verbale.
vediamo il primo caso:
parametro Testa-Complemento(es. soggetto/c. oggetto)
Specifica l’ordine di alcuni elementi di una frase in una certa lingua( ad es
SVO in italiano)
TESTA: Elemento essenziale di ogni sintagma.
Parametro testa:
indica la diversa posizione che la testa assume rispetto agli altri
elementi(verbo, avv., complemento ecc.) del sintagma a seconda della lingua
presa in esame: testa iniziale (a sinistra come in SVO in italiano) o testa
finale (a destra).
In tutte le lingue le teste si trovano nella stessa posizione per tutti i sintagmi.
(es. l’italiano è una lingua con parametro testa a sinistra cioè testa/
complemento, quindi in tutti i tipi di sintagmi dell’italiano ritroveremo la testa a
sinistra rispetto agli altri elementi contenuti nel sintagma, il giapponese invece
ha la testa a destra ed è complemento/testa).

Es. ha lucidato la cornice del quadro

Ha lucidato la cornice del quadro


testa complemento

E non viceversa o la frae è scorretta

per quanto concerne il sintagma verbale, l’elemento in esso dominante,


definito testa, è il verbo che precede sempre , in italiano, l’oggetto, cioè il suo
complemento(SVO).

Quindi
un principio universale (la struttura):in tutte le lingue i sintagmi
hanno testa e complemento,
un parametro determina i 2 possibili ordini dei costituenti il
sintagma (testa/complemento o complemento/testa).

Nel caso dell’apprendimento della L1 questa teoria spiega


come fanno i bambini ad usare questo principio in fretta e
senza errori. Infatti, se la Grammatica Universale, innata,
indica al bambino che le uniche strutture per una lingua
sono :testa iniziale o finale per qualsiasi sintagma, il compito è
facile, il bambino deve solo fissare (al principio innato che ha
già )questo parametro al suo valore appropriato(cioè testa
destra o a sinistra a seconda della regola nella sua L1) e una
volta fissato per un tipo di sintagma, vale per tutti gli altri,
questo spiega anche perché bastano pochi input.

Dunque la Grammatica Universale fornisce al bambino un


consistente scheletro di strutture sintattiche che permettono al
processo di acquisizione di prendere avvio, attraverso lo
stimolo ambientale(l’input), cioè l’esperienza linguistica(che ha
comunque un ruolo marginale) attiva questa conoscenza
innata.
Si tratta di un repertorio di presupposti universali (circa le
possibili unità e loro mutue relazioni, a disposizione di tutte le
lingue umane) con in più una specie di menù che aiuta chi
apprende a orientarsi fra le varie opzioni.es.

Il diagramma “ad albero”(vedi foto slaid prof)


Per rappresentare queste diverse configurazioni e
sottoconfigurazioni.
Es.
Sintgama Nominale. SN
The black dog. El perro negro
Art Avv N Inglese. Art N A Spagnolo
Possiamo così visualizzare la differenza tra lingue!

il diagramma ad albero permette di vedere graficamente i


diversi modi di comporre le frasi nelle varie lingue.

E per l’apprendimento della L2?come si pone questa teoria?


I sostenitori della GU la accettano come teoria della proprietà,
meno come teoria della transizione .
Teorie della proprietà e della transizione
Le prime danno un resoconto dei sistemi statici delle
conoscenze(ciò che sai in un determinato momento),qundi ,
la teoria di Chromsky è adeguata per la descrizione e
spiegazione dell’interlingua in un certo stadio di conoscenza;
le seconde, danno un resoconto dei meccanismi e dei modi in
cui si passa da un sistema di conoscenze a quello successivo
(è una terra dinamica)e quindi sono teorie per la spiegazione
dell’apprendimento di L2.
Molto si discute sula validità delle GU da questo punto rivista,
cioè come teoria(dinamica )della transizione,(transfer)per
spiegare l’apprendimento di L2.
I ricercatori si dividono sostenendo 4 posizioni
diverse ,riassunte ad es.da Mitchell e Myles che le
rappresentano come 4 possibilità di accesso/non accesso al
magazzino di conoscenze, che è la GU( vedi tabella pag179):
Ipotesi dell’inaccessibilità alla GU
La GU non c’entra con l’acquisizione della L2, perché con l’età
si esaurisce la possibilità di accedervi(dopo il cosiddetto
periodo critico),quindi l’apprendimento di L1 eL2, avviene per
vie diverse ,infatti, quello della L1 si rifà alla GU, quello della L2
si rifà ad abilità cognitive, con risultato finale diverso, la L1 ha
per definizione un risultato finale che è sempre perfetto

Ipotesi della piena accessibilità


La GU c’entra in modo uguale nell’apprendimento di L1/L2, è
negata l’esistenza del periodo critico, di accesso alla GU.
L'apprendimento della L1 e della L2 sono processi identici, le
differenze che si riscontrano sono attribuite alla diversa maturità
cognitiva e ai diversi bisogni degli adulti rispetto ai bambini.

Ipotesi dell’accessibilità indiretta


La GU accede nella L2 attraverso L1,infatti l’attivazione dei
principi del linguaggio può avvienire 1 sola
volta(nell’apprendimento della L1 nell’infanzia), e i parametri
sono fissati con il valore della L1, da questi derivano i parametri
della L2, per cui gli apprendenti non possono ricorre alla GU
direttamente ma ricorreranno a meccanismi più
generali(attraverso al L1) come nell’inaccessibilità completa.

Ipotesi dell’accessibilità parziale


La GU è accessibile in alcuni aspetti ma non in tutti.
I principi (cioè quelle strutture comuni a tutte le lingue)possono
rimanere accessibili mentre non lo sono alcuni parametri(cioè
quelle strutture che differenziano le lingue).
qual’è la differenza con l’ipotesi dell’accessibilità indiretta? il
punto di partenza della L2.
Nell'accessibilità indiretta il punto di partenza è la L1 ,qui è la
GU.
Questa ultima ipotesi è oggi la più la più accreditata: che lo
siano i principi è accettato, dato che gli studenti non
producono enunciati che li violano. (cioè nessuno scrive:
lucidato ho del quadro la cornice).Sull’accessibilità ai parametri
e a quali di essi, si discute molto

Cerchiamo quindi prove che la convalidino.

Partiamo dalle critiche a questa teoria:


La teoria di CHOMSKY è una teoria delle competenze
linguistiche e delle conoscenze astratte ,mentali; non è una
teoria del comportamento esecutorio della lingua, dell’abilità di
usare queste conoscenze nella comunicazione.Infatti qui per
conoscenza non si intende quella esplicita metalinguistica, ma
quella implicita, inconscia o innata. Inoltre viene valuta solo la
variabilità legata al fattore età.
E’ una teoria generale del linguaggio e delle lingue non una
teoria sull’apprendimento, serve ai ricercatori per sapere che
cos’è che si deve apprendere. Privilegia la sintassi, poco le
costruzioni marcate.
è una theory-driven è deduttiva quindi il procedimento è
dall’universale al particolare, parte da un’ipotesi generale e
verifica se regge alla prova dei dati empirici(particolari).Nel caso
della L2 , poi, non si parte dalle competenze finali ma si usano
come prova le intuizioni dei parlanti nativi. Inoltre molte critiche
riguardano il metodo usato. Molte delle strutture testate sono
complesse grammaticamente, se i soggetti studiati violano un
universale potrebbero farlo perché le strutturarono sono al di
sopra delle loro capacità e non per l’inaccessibilità della GU.

E nel caso particolare nell’apprendimento della L2? sappiamo


che la competenza dell’apprendente è instabile, e non c’è un
apprendimento standard. Tra le varie tecniche che cercano di
ovviare a questi inconvenienti (e di valutare oggettivamente il
ruolo della GU nell’apprendimento di L2), la principale è il test
del Giudizio di grammaticalità. Consiste nel sottomettere al
giudizio dei soggetti esaminati una serie di frasi che sono in
parte grammaticali ed in parte agrammaticali per vedere se le
accettano bene oppure no. il vantaggio è notevole perché
obbliga il soggetto non solo a considerare esattamente le frasi
che servono al ricercatore ma tra queste a considerarne alcune
che violano la GU: rifiutarle vorrebbe dire che questa continua
ad operare, accettarle il contrario. Inoltre se le rifiutano in
accordo con la GU lo fanno perché ne hanno accesso diretto o
indiretto attraverso la GU? Questo si può capire, considerando
vari apprendenti ,con L1 diverse, e nella cui L1 il principio
grammaticale che stiamo considerando non sia presente. A
questo proposito è molto discusso l’uso del principio di
soggiacenza e quello del soggetto nullo:
Parametro della soggiacenza nelle varie L1: il movimento di
un costituente della frase può avvenire attraverso un nodo
limitante di un solo tipo .
in inglese i nodi limitante lo spostamento di un nome nella frase
sono due : soggetto(S) e sintagma nominale (SN) che ne
rapprendano i nodi limitanti, (vedi es. pag 182) il principio è
invalicabile nelle lingue che permettono questi spostamenti,
anche se in lingue diverse può variare che cosa costituisca un
nodo. Il coreano ed il giapponese non hanno lo stesso
movimento, del inglesi, per cui se gli apprendenti coreano e
giapponese , seguono il loro principio della soggiacenza (che è
diverso da quello inglese)nella Interlingua inglese , questo
proverebbe che operano in accordo con le limitazioni della GU,
avendone accesso diretto.
Parametro del soggetto nullo(soggetto sottinteso)
che è possibile in italiano e spagnolo ma non in
francese ,inglese, tedesco.
valutiamo questo parametro nelle varie lingue:

italiano Parlo I speek. Inglese


spagnolo Hablo je parle francese
Ich spreche. Tedesco

Prendiamo una T. italiana, apprendente in inglese e


sottoponiamole un test sul soggetto nullo; nel test mettiamo
delle frasi in inglese di cui alcune con il soggetto espresso,
come è giusto, ed altre senza soggetto?come le valuta? Tutte
giuste? E se invece prendiamo una T. inglese che studia
italiano, come valuta le frasi con o senza il soggetto?
I risultati dei test sul “parametro” del soggetto nullo e su
quello del principio della soggiacenza , non sono chiari , né
conclusivi.

in conclusione, ad oggi su questo teoria possiamo dire che è:


Teoria della competenza (astratta) e NO dell’esecuzione
ha molte debolezza metodologica MA una solida base
teorica per analizzare come gli apprendenti di L2 imparino
le proprietà formali d L2. La base teorica offre una serie di
ipotesi precise ed empiricamente verificabili.

Parar.3 il funzionalismo( o strutturalismo)


Non è una teoria omogenea ma un approccio linguistico
generale
Il rapporto forma-funzione è centrale
wikipedia.La teoria parte dagli studi di F. de Saussure volti ad identificare e
descrivere le unità della lingua, cioè le forme, (ad es. i fonemi) in base alla
funzione che esse svolgono nella comunicazione.Quindi forme linguistiche al
servizio della funzione linguistica nel contesto.
ci sono 4 filoni :
Scuola di Praga
Il funzionalismo europeo
Il funzionalismo sistemico
Il funzionalismo americano
Vediamone alcuni:
La Scuola di Praga (1926) ha dato, i suoi contributi più importanti nel campo della
fonologia, la scienza che studia i suoni in rapporto alla loro funzione distintiva, vale a dire
alla capacità che essi hanno di far distinguere tra due parole diverse: i diversi fonemi (che
sono la forma) nelle loro diverse associazioni differenziano il significato della parola in
base alla funzione .
M.A.K. Halliday Funzionalismo sistematico ha distinto l’organizzazione del sistema
linguistico in uno schema tripartito, in base a tre diverse funzioni : una funzione
ideazionale, con la quale si esprime l’esperienza personale, usando un certo tipo di forme
linguistiche, una funzione interpersonale, che serve per stabilire rapporti sociali, e una
funzione testuale, per organizzare il discorso.in ognuna di esse, in base alle diverse
funzioni ,cambiano le forme linguistiche usate.
Quindi questa teoria vuole capire come e in che misura le
funzioni determinano la forma( cioè il modo in cui vengono
organizzate le parole, ad es. la successione nella frase), sia
nella L1 che nell’apprendimento della L2. Forma e funzione
sono in rapporto diretto o indiretto, cioè si influenzano
direttamente o no? e non è possibile che le forme(delle parole)
nate in rapporto diretto con le funzioni abbiamo poi assunto
un’esistenza autonoma?

Per le teorie formaliste come la GU è così, abbiamo già detto


che per questi studiosi anche se la lingua serve a svolgere
molte funzioni, le forme che assumono (es SVO) sono
determinate da categorie astratte, innate che nulla hanno a che
fare con le funzioni e i significati del linguaggio. Per loro la
lingua, è specifica dell’uomo ,che ha una mente capace di
elaborare astrattamente categorie grammaticali come “verbo” e
“soggetto”, che sono innate, elaborate in un modulo della mente
che è separato e autonomo e non dipende da aspetti della
cognizione, né dalla funzione, quindi nessuna relazione forma /
funzione. Per il funzionalismo non è così, la mente non è
modulare e opera con categorie linguistiche (forme)
continuamente rimaneggiate in base alla funzione ,soggette al
bisogno di esprimere messaggi diversi, nei vari e diversi
contesti dell’enunciazione, quindi questa teoria ritiene centrale
nell’apprendimento il ruolo forma/funzione.
Il rapporto forma/funzione è teoricamente in un rapporto 1 a 1,
cioè ad 1 forma corrisponde 1 sola funzione, ma nelle lingue
naturali non è così.
ad es. nella frase seguente, vediamo che ci sono 2 forme ed 1
funzione: le 2 forme attiva e passiva del verbo sbucciare,
rappresentano una sola funzione, quella di sbucciare, ma sono
entrambe di senso compiuto.(quindi rapporto 2 a 1)
Es.
(forma attiva)
1)Amelia(sogg o agente) ha sbucciato le mele(c.ogg o
paziente)
( forma passiva)
2)Le mele(sogg o agente) sono state sbucciate da Amelia(c. di
specificazione o paziente)
cosa ci fa scegliere di esprimerci con una frase attiva e non
passiva e viceversa, quindi cosa ci porta verso 1 di queste 2
forme? Si valutano una serie di condizioni che possono
intervenire in questa scelta.

Condizioni cognitive – ordine delle parole, il flusso naturale


della nostra attenzione verso un’azione che si sta svolgendo è
riflesso nell’ordine delle parole, per cui il punto di partenza del
flusso viene menzionato per primo : “amelia" prima di “le mele”
o “le mele” prima di amelia? Dipende da ciò che attira per primo
la nostra attenzione: quello che fa Amelia?allora scegliamo la
forma attiva, oppure quello che succede alle mele?allora
scegliamo la forma passiva.
C. semantiche – animatezza, il sogg.(l’agente)ha di solito un
referente animato, umano o animale, per cui è più probabile
che sia “Amelia” che fa qualcosa all’ oggetto/paziente cioè alle
“mele” e non viceversa. Quindi se nella scelta della frase attiva
o passiva seguiamo questo principio e scegliamo come
soggetto quello animato cioè Amelia, è chiaro che useremo la
forma attiva del verbo
C. linguistiche – soggetto grammaticale- l’agente/sogg. si
presta meglio di chiunque altro ad essere il soggetto
grammaticale, per cui la frase attiva è più naturale di quella
passiva. La passiva si può usare quando si indaga su cosa è
successo alle mele che è il tema dell’enunciato, in questo caso
interviene la grammatica per evitare che “si capisca” le mele
hanno sbucciato Amelia”
C. sociali – la situazione comunicativa, il contesto ambientale /
sociale dell’enunciato , può condizionare gli atti linguistici.
Vediamo ora altri modi per studiare la relazione forma-funzione
e per vedere chi influenza l’altro: 2 possibili direzioni di analisi:

Facciamo degli esempi:


1) prima direzione di analisi: si può partire dalla forma della
frase e chiedersi che funzione esplichi, ad es.
Sbuccia le pesche. Poi tagliale a fettine. -
che funzioni esplica? La forma è sottoposta alla funzione?

Qui la “e” di pesche codifica numero e genere ed il pronome “le”


ha la funzione di legare le frasi, quindi la forma è sottoposta alla
funzione

2)Seconda direzione di analisi: si parte dalla funzione e ci si


chiede in quale forma venga codificata.
Amelia ha sbucciato le mele
Le mele sono state sbucciate da Amelia
che forme sono state usate?ativa e passiva di cui abbiamo già
parlato.

Altri studi sono necessari.

e Il funzionalismo nell’apprendimento della L2,(e


nell’interlingua) come funziona?

L’approccio funzionale è quello più usato dai ricercatori, per


capire l’apprendimento della L2. Tra i vari modelli funzionalisti,
ne presentiamo uno in ambito cognitivista:
Il modello della competizione
in quanto funzionalista ,questo modello, cerca di dare delle
risposte , al rapporto forma /funzione; in quanto cognitivista
cerca di spiegare l’elaborazione linguistica in tempo reale.
Secondo questo modello il parlante, per determinare le
relazioni degli elementi nella frase ( e capirne la funzione),
fa uso di indizi formali(o forme). Facciamo l’esempio
dell’agentività (che è la funzione che il parlante deve capire
se ascolta o usare se è lui che parla) e dai vari indizi (forme)
con cui si può esprimere.

Es. agentività( wikipedia: cose dell’agire umano, in linguistica, come il parlante può
cambiare il costrutto nella frase)
Questa funzione è espressa da 4 forme. Cioè nelle varie
lingue, l’agentività usa 1 sola di queste forme(indizi) al
servizio della funzione e della comprensibilità della frase .

a)ordine delle parole


b)accordo
c)caso
d)animatezza

Es: Io lascio Venezia domani in aereo con tre valige


gli indizi collaborano cioè l’ordine delle
parole(forme) è semanticamente corretto

in questa frase sono 4 gli agenti/sogg. possibili(cioè quelle


parole che possono fungere da soggetto): (io,Venezia, aereo,
valige), tra questi è più normale che sia quello animato (io) a
svolgere questo funzione, almeno in italiano.

vediamo ora le possibili modifiche che si possono fare nella


frase con l’agentività(l’agire umano)
ad es. cambiando l’ordine delle parole ,che è 1 dei 4 indizi
(forme) legate all’agentività, vediamo se la frase ha un
significato( i cambiamenti che apportiamo sono sempre relativi
alle 4 possibili forme dell’agentività sopra elencate). In italiano,
di queste frasi quale conserva un significato semantico?

3) Domani in aereo per Venezia parto io


4) L’aereo domani mi porta a Venezia *
5)Domani in aereo per Venezia partono io
gli indizi sono in competizione cioè
cambiando l’ordine il significato della frase non è più
semanticamente corretto. Qusta scorrettezza di che grado è?a
cosa è dovuto?

Nella frase n.3 l’agente (io) sta all’ultimo posto, rispetto alla
posizione di “io” nella frase N1, si dice che il sogg. ha ceduto il
posto, però la frase conserva ancora un significato anche se
non correttissima grammaticamente, nella 4-5 chi cede è
l’animatezza , cioè scompare come probabile agente /soggetto
“io” ,diventando agente/sogg un nome inanimato.il senso della
frase è ancora accettabile.
La frase n.5, è l’unica senza senso. Perché? ha ceduto
l’accordo.
Ciò significa che la forma dell’agentività che in lingua italiana
non può mai cedere è l’accordo tra soggetto e verbo, questa
forma va sempre rispettata pena, frasi senza senso .

agentività ( ITALIANO)
ordine delle parole
accordo – indizio più forte in italiano
caso
animatezza

Cosa significa rispetto alla teoria del funzionalismo?Forma/


funzione? Che l’agentività (funzione) è strettamente collegata in
italiano all’accordo (forma). Se questo rapporto forma/funzione
non viene rispettata, la frase non ha più significato. Quindi è
una prova della veridicità della teoria funzionalista e del Modello
della Competizione.
Vediamo l’agentività in altre lingue:
in inglese, la forma dell’agentività da rispettare è l’ordine delle
parole(per conservare la comprensione), ed è più utile
dell’accordo (italiano), che è disponibile solo nella III pers. sing.
del presente. Quando c’è conflitto tra gli indizi, anche in inglese
come in italiano , è l’animatezza che cede, sebbene in inglese
lo faccia nei confronti dell’ordine delle parole e non all’accordo.

Andrew is leaving Palermo by plane tomorrow


*Is leaving Palermo by plane tomorrow Andrew
*Leave Palermo by plane tomorrow we

Il modello della competizione


Es. agentività. (INGLESE)

ordine delle parole – indizio più forte in inglese
accordo
caso
animatezza

Il modello della competizione


Es. agentività. (TEDESCO)
ordine delle parole
accordo
caso – indizio più forte in tedesco (cioè quello che va
sempre rispettato ,non va mai violato)
animatezza

Il modello della competizione. (GIAPPONESE)


Es. agentività
ordine delle parole
accordo
caso
animatezza – indizio più forte in giapponese

La forza di un indizio dipende dalle seguenti proprietà:


Affidabilità – regolarità di relazione tra forma-funzione in modo
che l’indizio porti alla conclusione corretta.
Disponibilità – frequenza con cui l’indizio compare nell’input
Validità nel conflitto – n. di volte in cui vince sugli altri/n. di
volte in cui si trova in confitto.
Il modello della competizione è valido a tutti i livelli linguistici,
gramm., lessico, fonologia ecc., e si può calcolare
statisticamente, per questo si dice che è un :
modello di natura probabilistica, costruito a partire dai dati.
Nell’apprendimento della L2 , soprattutto in relazione al ruolo
della L1, come funziona questo modello?

Applicazione del modello della competizione


all’apprendimento della L2.
È compito dell’apprendenteT. scoprire la forza degli indizi nella
L2 che sta imparando, ed in quali delle 4 forme dell’agentività
(ordine delle parole, animatezza, accordo ecc.) si espletano le
funzioni della L2, cioè quali di questi4 è più forte nell’L2 che sta
studiando T.
Siccome il Modello si basa su corrispondenti statistiche
dedotte dall’input (cioè le esperienze che ha fatto nella L1
hanno insegnato a T. quali forme cedono e quali no nella sua
lingua), è chiaro che T. all’inizio, conoscendo solo le
corrispondenze di L1, trasferisce dalla L1 tutto ciò che può
trasferire, almeno finché non impara quale delle 4 forme va
sempre rispettata nella L2

Metodologia degli studi sull’agentività in L2: esercizi di


comprensione, uguali a quelli descritti per L1, cioè esercizi di
comprensione di frasi allo scopo di testare la collaborazione o
la competizione tra i vari indizi grammaticali. I risultati sono
poi trasformati statisticamente.

Tutte le frasi che i soggetti arruolati nello studio sentono hanno


sempre due nomi ed un verbo, e vengono variate in vario modo
ad es:
1)si varia l’ordine delle 3 parole:
NVN(nome,verbo,nome) Piero bacia Maria
NNV Piero Maria bacia
VNN bacia Piero Maria
in altre frasi si cambiano gli accordi verbali ad es.:
I bambini baciano la mamma accordo del verbo “baciano”
con il I° nome “i bambini”
La mamma baciano i bambini accordo del verbo “baciano
con il II° nome “i bambini”
Il bambino bacia la mamma accordo del verbo “bacia”
con il I° ma anche il II° nome:
La mamma bacia il bambino
I bambini baciate la mamma accordo del verbo “baciate”
né con il I° né con il II° nome

in altre frasi varia l’animatezza dei due nomi

Il cane annusa il gatto I° e II° nome animati(cane/gatto)


il cane annusa l’osso I° nome animato II° nome(osso)no
L’osso annusa il cane. L’inverso
L’osso annusa l’acqua I° e II° nome inanimati

i soggetti arruolati devono identificare “l’agente”(chi compie


l’azione) o l’attore o complemento nella frase
Si cerca di capire, in caso di conflitto, quale indizio vince e con
quale forza, visto che le risposte non sempre sono ovvie, e
vanno interpretate , si calcolano le % di identificazione da parte
dei soggetti, sempre allo scopo di valutare il rapporto forma/
funione.

vediamo un’altro studio su:

Il modello della competizione e la L2


Studio di Kilborn (1987) sull’ordine delle parole e
l’agentività:( ricordiamo che in inglese la forma più forte
dell’agentività cioè quella che va sempre rispettata è l’ordine
delle parole, mentre in tedesco è il caso)
Questo studio paragona le reazioni di un gruppo di soggetti
tedeschi a due serie di frasi stimolo: una in tedesco quindi in L1
per i soggetti dello studio ed una in inglese che è la L2 che
questi tedeschi stanno studiando, si confrontano le reazioni di
questo gruppo che riceve input in L1/L2 con le reazioni di un
gruppo di controllo di inglesi che ricevono l’input solo in inglese
cioè L1.
Nell’elaborazione delle frasi inglesi,L2, i tedeschi non usano
l’ordine delle parole come gli inglesi di riferimento (L1)
(ricordando che in questa lingua è questa la forma da rispettare
sempre) ma comunque lo fanno più spesso che nelle frasi
tedesche, che per loro è L1(ricordando che in tedesco la forma
più forte è l’accordo); quindi usano strategie simili in L1 tedesco
/L2inglese. Strategie completamente diverse da quelle usate
dagli ingleseL1.
Quindi trasferimento diretto dei modelli dalla L1; almeno nella
fase iniziale dell’apprendimento; poi, con il proseguire degli
studi ,maggiore sarà il livello di competenza (e l’esposizione
all’input), più grande sarà la forza relativa assegnata agli
indizi ,in questo caso all’ordine delle parole nella frase , che si
avvicinerà così ai modelli del parlante nativo.
Oltre al trasferimento diretto dei modelli dalla L1
nell’interlingua si è visto anche un trasferimento indiretto.
Casi di trasferimento indiretto di strategie dalla L1 di inglesi L1 ,
apprendenti giapponese L2.
Esposti a frasi simili a quelle del precedente lavoro, gli inglesi
usano la propria strategia inglese dell’ordine delle parole anche
per il giapponese, però se fosse un semplice transfer
dovrebbero in alta % riconoscere come agenti il primo nome
della frase come avviene in inglese, ed una bassa % di soggetti
che riconosce come agente il secondo nome, questo invece
nelle frasi in L2 giapponesi non si verifica, cioè identificano
l’agente a caso, noi sappiamo però che in giapponese serve
poco l’ordine canonico delle parole a favore degli indizi
sull’animatezza e poi sulla morfologia.coma mai gli inglesi
sbagliano in questo modo? Perché abituati ad usare l’ordine
delle parole come forma principale, trasferiscono in L2 solo la
strategia di interpretazione basata sull’ordine delle parole ma
non l’effettivo ordine delle parole inglese. una volta capito che in
giapponese l’ordine delle parole nella frase èSOV ne tengono
conto finché non capiscono anche che in giapponese ha minor
forza di altri indizi quali l’animatezza e la morfologia

Quindi il transfer da L1aL2 riguarda le strategie non le forme.

Inoltre si è visto che ci sono strategie più universali, quelle


basate su: semantiche e pragmatiche (anziché
grammaticali), che hanno più probabilità di essere
trasferite da L1 a L2 di quelle grammaticali. Però T.
nell’apprendere L2 cerca prima corrispondenze con la propria
L1, e solo quando non le trova cerca una strategia universale:
usare il significato piuttosto che la grammatica per interpretarle.

La maggior parte degli studi empirici( il termine ricerca empirica


intende un tipo di ricerca che basa le conclusioni sull'osservazione diretta o
indiretta dei fatti.
L'osservazione è dunque la prova della realtà: da essa il ricercatore ricava le
proprie deduzioni e su di essa basa i test.)per validare il Modello della
Competizione verte finora sulla comprensione.
IL modello spiega il ruolo dell’input, della L1 e il graduale
avvicinamento alla L2
ma NON è ancora applicabile al campo della produzione in L2 e
frasi non sempre realistiche.

in conclusione:
Il funzionalismo ha
Punti di forza
-Ancoraggio della lingua al mondo reale ottenuto con il tentativo
determinare il rapporto forma-funzione in base a fattori
pragmatici, semantici, cognitivi, psicologici.
-il funzionalismo ha contribuito molto allo studio dell’interlingua
come sistema soprattutto di quella iniziale dei primi stadi di
apprendimento della L2
Punti deboli
Necessità di validazione dalla psicolinguistica ,é necessaria
questa validazione per dimostrare come T. parlante e
ascoltatrice si comporti durante l’elaborazione linguistica in
tempo reale, applica la relazione forma-funzione?altri studi
sono necessari.
da questo punto debole è esente il Modello della Competizione
che è proprio un Modello psicolinguistica dell’esecuzione.
tra i punti di forza: il ruolo dell’input, l’effetto della L1, il modo
graduale di avvcinamento alla L2
tra i punti deboli: almeno 3, mancanza di dati certi sull’influenza
del modello sulla produzione, restano oscuri i meccanismi
cognitivi della comprensione, troppa fiducia nei test sottoposti ai
soggetti arruolati, le frasi sono poco realistiche, non nel
contesto del reale, diremo che sono frasi “strane”.

Formalismo (es teoria della GU) VS Funzionalismo

Formalismo: le forme che una lingua assume sono


determinate da categorie astratte e innate (es. cat. grammaticali
di «verbo» e «soggetto»). Sono teorie modulari.
Funzionalismo: le forme linguistiche sono create, governate,
limitate, acquisite e usate al servizio delle funzioni
comunicative. Sono teorie non modulari.

Parar 4
L’interazionismo (massima importanza all’interazione tra
parlante/interlocutore che impegnati nella conversazione ne
negoziano i contenuti).
Come il funzionalismo è un approccio teorico più che una teoria
specifica, empirista e data-driven, entrate le teorie mirano a
spiegare l’apprendimento, mettendo in relazione causale il
rapporto forma-funzione con lo scopo e la situazione
comunicativa, da questo punto di vista l’interazionismo è un tipo
di funzionalismo sociale.
Differenze tra funzionalismo e interazionismo, almeno 3:
1) sostanziale, nella prima teoria centrale è il rapporto forma-
funzione, nella seconda centrale è l’interazione
comunicativa
2) La prima è sia property therapy, cioè interpretazione degli
stadi dell’interlingua, che transition theory cioè
interpretazione del passaggio da uno stadio dell’interlingua,
la seconda è soprattutto transition theory.
3) la prima, fa poca attenzione alle applicazioni didattiche, la
seconda molta attenzione alle applicazioni didattiche.

Torniamo alla negoziazione dell’input (all’ambiente linguistico


ed alla sua importanza), fondamentale per la comprensione e
l’apprendimento considerando la negoziazione durante
l’interazione (parlante /interlocutore )come una delle tante
variabili dell’input .
se è fuori discussione che l’input è necessario per
l’apprendimento, è sufficiente da solo?
Per la GU, l’input è insufficiente, la cosa determinante
dell’apprendimento linguistico è dovuto ad una facoltà innata
linguistica, geneticamente determinata, appunto la GU, l’nput è
necessario solo a far scattare i meccanismi genetici.(teoria
innatista)
Per l’interazionismo invece, è l’input, necessario e sufficiente ,
unica e vera causa dell’apprendimento.(teoria ambientalista)
Al di là di queste terapie estremiste oggi si concorda che in
gioco ci sono sia il patrimonio genetico sia l’ambiente. Quale
che sia più decisivo dell’altro nell’apprendimento dipende dalla
teoria analizzata. se è solo questione di enfasi perché se ne
discute tanto? la risposta è nei risvolti pratici che la
controversia porta con sè. Se è valido
l’innatismo ,l’insegnamento con i suoi input non può molto, se al
contrario è valida la teoria dell’ambiente linguistico l’input e la
sua variabilità, l’intervento dell’insegnamento, sono tutti fattori
importanti nell’apprendimento di L2.
Quindi:
teorie ambientaliste - Ruolo dell’ambiente linguistico-
Variabilità dell’input al centro
Input necessario e sufficiente (vs GU – disputa su patrimonio
genetico e ambiente)
Questione di enfasi!
Possibilità dell’intervento didattico per l’apprendimento

Ipotesi interazionista di Long


La negoziazione del significato facilita l’apprendimento della
L2.
Possibilità di testare con l’output l’efficacia dell’input.
Restano 2 problemi :
1)su cosa si focalizza l’attenzione dell’apprendente T.,cioè
riguardo all’input quali sono le preferenze di T.?
2)come sono legati percezione e apprendimento?qual’è il nesso
causale?
Per Long stesso l’apprendimento di L2 va facilitato non
causato e afferma che l’ipotesi integrazionista è ancora un
misto di: speculazione, interpretazione, risultati riguardo
l’apprendimento di L1L2 ancora poco stabili.

in conclusione l’interazionismo in quanto parte dell’approccio


ambientalista (pone al centro l’ambiente linguistico) contrasta
con l’approccio mentalista (in cui il ruolo dell’ambiente
linguistico è minimo). Entrambe contribuiscono alla
comprensione dell’apprendimento L2

2 i punti di forza
1) aver portato al centro del dibattito teorico la variabilità
2) la speranza di poter fondare su questa variabilità le
applicazioni didattiche
Punto debole
La gran parte delle ipotesi avanzate non hanno ancora
dimostrazioni certe.
Parar 5
il cognitivismo
Anche questa non è una teoria specifica ma un approccio
generale all’apprendimento.
Per cognitivismo si intende: come operano la mente ed il
cervello nel linguaggio umano.
Caratterizza il cognitivismo la metodologia di studio indiretta
Non essendoci un accesso diretto alla mente i soggetti
esaminati si sottopongono a test e se ne valutano le risposte.
con questa metodologia si è visto che i lapsus, lo scambio di
parole, si ha più probabilmente tra parole affine e che
appartengono alla stessa classe (cavolo/broccolo).
sono cognitive molte teorie di cui abbiamo già parlato come il
modello di Lelelt,il generativismo ed altre.
In generale le teorie cognitive trattano l’apprendimento come
transition theory, studiano l’elaborato in tempo reale per cui si
parla di abilità procedurali e di regole dell’apprendimento come
materia dei loro studi, piuttosto che di regole linguistiche.
Punti di forza
Allargano il nostro campo
Spiegano il linguaggio con le capacità cognitive della
mente(capacità linguistiche e cognitive insieme)
Punti deboli
non riesce a spigare tutti i fenomeni del nostro campo.

Parar.6
L Teoria della processabilità
è una teoria dell'apprendimento della L2. Essa può essere definita
una teoria psicolinguistica perché prende in esame sia gli aspetti
cognitivi sia gli aspetti formali(le forme) dell'acquisizione di una lingua
seconda. Prende l’avvio dalle strategie di elaborazione del parlato del
progetto ZISA che adattò una interpretazione psicolinguistica, nella
identificazione delle sequenze linguistiche E' basata, infatti, da una
parte, su modelli psicolinguistici come quello per la produzione del
parlato in L1 di Levelt e quello della Grammatica Procedurale
Incrementale di Kempen e Hoenkamp (1987)
e, dall'altra, è basata sul modello descrittivo della Grammatica
Lessico Funzionale di Bresnan (1982). Risultato di studi ventennali,
la Teoria spiega le sequenze evolutive dell'interlingua sulla base di
una gerarchia universale di procedure, che vengono gradualmente
acquisite dall'apprendente di una L2, si ipotizza in modo simile a quelle
che un nativo sviluppa nell'apprendere la sua L1.
Dato il carattere universale delle procedure e la dichiarazione di avere
uno scopo universale, essa è applicabile praticamente a tutte le
lingue e apprendenti linguistici .
tra i risultati più robusti e condivisi che emergono dalla ricerca
sull’apprendimento della L2(e della L1) c’è il fatto che l’apprendimento
procede per stadi o tappe obbligate ogni stadio rappresentato da n
insieme di regole che si sviluppa sulla base dello stadio precedente.
Secondo la TP lo stadio precedente è un requisito per l’apprendimento
delle insieme di regole dello stadio successiv- non è possibile saltare
dallo stadio 1 allo stadio 3 senza prima acquisire lo stadio 2
La processabilità si riferisce al “come “ la L2 viene acquisita

Secondo il modello di Levelt (1989), durante l'elaborazione di un


enunciato, le diverse procedure si attivano seguendo una scala di
difficoltà che va dal semplice al complesso, i cui gradini o stadi
rappresentano i vari livelli di accessibilità alla lingua.Tali procedure si
presentano in ordine gerarchico implicazionale, cioè la procedura di
un livello più basso è un prerequisito necessario per il
funzionamento della procedura del livello successivo; inoltre non è
possibile attivare una procedura, ad esempio di livello quattro, prima
che siano diventate operative tutte quelle precedenti. Questo richiama l
'ipotesi di base della TP, e cioè che l'acquisizione delle procedure di
elaborazione linguistica rispecchi la stessa sequenza implicazionale
attivata nella produzione del parlato (Pienemann 1998). Ovviamente, in
un apprendente con L2 in fase iniziale, tali procedure non sono tutte
operative, ma si attiveranno nell'ordine man mano che avanza nel suo
processo di acquisizione. Un concetto chiave della TP è quello di
unificazione dei tratti lessicali ( ad es. far seguire al soggetto il verbo)
che può avvenire solo in presenza di scambio di informazione
grammaticali tra i diversi costituenti di una produzione linguistica. Così
in una gerarchia procedurale come quella proposta da Pienemann
(1998),
il primo gradino della scala di acquisizione prevede solo
l'identificazione di lemmi ( accesso lessicale) e non presenta
alcuna procedura specifica della lingua: non vi è ancora nessun tipo di
informazione, la produzione è costituita da singole parole o formule;

il secondo gradino fa emergere i parametri lessicali dei lemmi


(category procedure): una categoria grammaticale viene assegnata
alle voci lessicali, vengono prodotte le marche morfologiche o tratti
diacritici, l'uso dell'informazione è locale, non c'è ancora comunicazione
tra i vari elementi della produzione;

il successivo terzo gradino consiste nell'unificazione dei parametri


all'interno di un sintagma (Phrase procedure): è attiva la procedura
sintagmatica, c'è scambio di informazione tra la testa del sintagma e gli
altri costituenti all'interno del sintagma;

il quarto gradino presenta l'unificazione dei parametri tra sintagmi


(procedura frasale ): qui avviene lo scambio di informazioni tra i diversi
costituenti della frase, vengono assegnate le funzioni ai sintagmi che
vengono poi assemblati in frasi, l'ordine delle parole rispecchia le
norme L2;
l'ultimo gradino, il quinto,prevede l'acquisizione di
specifiche procedure per processare proposizioni subordinate
(procedura della proposizione subordinata): a questo stadio è acquisita
la capacità di distinguetre le frasi principali da quelle secondarie, è
attivo lo scambio di informazione tra proposizioni differenti sul piano
sintattico.

La TP non pretende di essere una teoria di tutti gli aspetti della SLA
(second langue acquisition), e in effetti il suo campo di interesse è
circoscritto alla grammatica e in particolare alla sequenza di sviluppo
della capacità di elaborarla da parte di un apprendente. Essa si limita a
definire una gerarchia di procedure che costringono in un dato percorso
lo “Spazio delle Ipotesi” (Pienemann 1998: 239 sgg.), cioè quella serie
di opzioni strutturali a disposizione di un apprendente a un
determinato livello della sua interlingua (es., prima di produrre
correttamente ‘
1)Il bambino grande’,
l'apprendente può dire:
Lo bambino grande,
Il bambino grando,
Lo bambino grando ecc.
Tali opzioni specifiche definiscono a priori la variabilità,che viene
spiegata quindi come oscillazione dei livelli di correttezza.
La TP fornisce indicazioni anche sulla sua applicabilità nell'ambito della
didattica attraverso l’“Ipotesi dell'Insegnabilità”(Pienemann 1998:
252):la quale dimostra che le sequenze sono acquisite seguendo un
ordine implicazionale rigido: ne consegue che esse non possono essere
alterate da nessun insegnamento.

per produrre una frase il parlante codifica il messaggio forme


linguistiche che poi deve in qualche modo ordinare e cioè:
1)Prima recupera le parole che gli servono dal proprio lessico mentale
ogni parola è composta di elementi semantici (senso e significato), di
elementi grammaticali (sintattici e morfologici) e di elementi
fonologici(suoni)
2)Poi li assembla e li ordina
3)Infine li sonorizza
Applicazioni della Teoria alle diverse lingue
La Grammatica Lessico-funzionale(Bresnan 1992) è la teoria della
grammatica, compatibile con le procedure psicolinguistiche, adot
tata da Pienemann (1998) per descrivere formalmente le diverse L2 in
sede di applicazione trans-linguistica della TP.
Gli studi sulla Processabilità hanno preso avvio in Germania con il
progetto ZISA(Zweitspracher werb italianischer und spanischer Arbeiter)
finalizzato allo studio delle sequenze evolutive del tedesco in
apprendenti-lavoratori spagnoli e italiani (Meisel, Clahsen, Pienemann
1981; Clahsen, Meisel, Pienemann 1983). Questi dati uniti a quelli
sull'inglese, raccolti da Johnston (1985) in Australia, hanno costituito la
base per la prima formulazione della Teoria. Tuttavia, per offrire una
spiegazione più dettagliata della TP e poterla anche applicare a lingue
diverse, molti altri dati sono stati assemblati in seguito: quelli sullo
spagnolo(Johnston 1995) e sull'italiano(Di Biase 1999) forniscono
nuove precisazioni teoriche, come quella relativa alle lingue
pro-drop, cioè quelle lingue senza soggetto pronominale obbligatorio,
che presentano l
a comparsa della morfologia
personale del verbo al terzo stadio, e in alcuni casi
anche al secondo, anziché al
quarto come nelle lingue con soggetto obbligatorio
(Bettoni 2001). I dati sullo
svedese
(Pienemann, Håkansson 1999) offrono lo spunto per r
iflettere su
un'importante questione riguardante la
consistenza interna
dell'interlingua contro la
correttezza dell'uso dei morfemi secondo la lingua ta
rget (LT). Tale corpus
fornisce anche indicazioni sulla moderata influenza de
lla L1 sulla L2 (Håkansson
e al. 2002) anche in presenza di strutture identiche
in entrambe le lingue. Il
contributo dei dati raccolti sulle lingue scandinave
(Glahn e al. 2001) riguarda la

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• Esemplifichiamo la rappresentazione del percorso del


messaggio (Figura 1) dal momento dell’intenzione del
parlante di comunicarlo fino alla sua articolazione. (Per un
trattamento esauriente si veda Levelt, 1989.)
• Chiariamo prima di tuttoche non si tratta di un processo che
richiede cosciente: l’attenzione serve per seguire lo
svolgimento e monitoraggio del messaggio mentre si parla
piuttosto che la sua formulazione.
• Si tratta infatti di un processo talmente veloce (più di due
parole al secondo per l’italiano, vedi tabella qui di seguito)
che renderebbe pressocché impossibile prestare attenzione
sia allo svolgimento del messaggio che al suo
assemblaggio lessicale, morfologico-sintattico e fonologico.

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La Teoria della Processabilità e l'acquisizione del


l'italiano L2:
questioni teoretiche e metodologiche nello studio d
i un
apprendente francofono
Assunta Giuseppina Zedda
1.
La Teoria
La Teoria della Processabilità (TP; Pienemann, 1998)
è una teoria
dell'apprendimento della L2. Essa può essere definita u
na teoria psicolinguistica
perché prende in esame sia gli aspetti cognitivi sia
gli aspetti formali
dell'acquisizione di una lingua seconda. E' basata, in
fatti, da una parte, su modelli
psicolinguistici come quello per la produzione del pa
rlato in L1 di Levelt (1989:
adattato alla produzione bilingue da De Bot nel 1992),
e quello della Grammatica
Procedurale Incrementale di Kempen e Hoenkamp (1987)
e, dall'altra, è basata
sul modello descrittivo della
Grammatica Lessico Funzionale
di Bresnan (1982).
Risultato di studi ventennali, la Teoria spiega le se
quenze evolutive
dell'interlingua sulla base di una gerarchia
universale di procedure, o abilità
procedurali, che vengono gradualmente acquisite dall'
apprendente di una L2, si
ipotizza similarmente a quelle che un nativo svilup
pa nell'apprendere la sua L1.
Dato il carattere universale delle procedure e la dich
iarazione di avere uno scopo
universale, essa è applicabile praticamente a tutte
le lingue e apprendenti
linguistici (guidati e spontanei), fanno eccezione f
orse poche lingue non-
configurazionali o senza procedura della frase subordinata
(Pallotti 2005).
Secondo il modello di Levelt (1989), durante l'elaboraz
ione di un
enunciato, le diverse procedure si attivano seguendo
una scala di difficoltà che va
dal semplice al complesso, i cui gradini o stadi rappr
esentano i vari livelli di
accessibilità alla lingua:
1. accesso lessicale
(
lemma access
),
2. procedura categoriale
(
category procedure
),
3. procedura sintagmatica
(
phrasal procedure
),
4. procedura frasale
(
S-procedure
),
5. procedura della proposizione subordinata
(
sub clause procedure
), se
applicabile.

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Assunta Giuseppina Zedda


AnnalSS 3, 2003 (2005)
68
Tali procedure si presentano in ordine gerarchico
implicazionale
, cioè la
procedura di un livello più basso è un prerequisito n
ecessario per il
funzionamento della procedura del livello successivo;
inoltre non è possibile
attivare una procedura, ad esempio di livello quattro,
prima che siano diventate
operative tutte quelle precedenti. Questo richiama l
'ipotesi di base della TP, e
cioè che l'acquisizione delle procedure di elaborazio
ne linguistica rispecchi la
stessa sequenza implicazionale attivata nella produz
ione del parlato (Pienemann
1998). Ovviamente, in un apprendente con L2 in fase
iniziale, tali procedure non
sono tutte operative, ma si attiveranno nell'ordine
man mano che avanza nel suo
processo di acquisizione.
Un concetto chiave della TP è quello di unificazione
dei tratti lessicali
che
può avvenire solo in presenza di scambio di informazi
one tra i diversi costituenti
di una produzione linguistica. Così in una gerarchia
procedurale come quella
proposta da Pienemann (1998), il primo gradino della s
cala di acquisizione
prevede solo l'identificazione di lemmi (
lemma access
) e non presenta alcuna
procedura specifica della lingua: non vi è ancora nes
sun tipo di informazione, la
produzione è costituita da singole parole o formule;
il secondo gradino fa
emergere i parametri lessicali dei lemmi (
category procedure
): una categoria
grammaticale viene assegnata alle voci lessicali, v
engono prodotte le marche
morfologiche o tratti diacritici, l'uso dell'informa
zione è locale, non c'è ancora
comunicazione tra i vari elementi della produzione; i
l successivo terzo gradino
consiste nell'unificazione dei parametri all'interno
di un sintagma (
Phrase
procedure
): è attiva la procedura sintagmatica, c'è scambio di
informazione tra la
testa del sintagma e gli altri costituenti all'inter
no del sintagma
1
; il quarto gradino
presenta l'unificazione dei parametri tra sintagmi (
S- procedure
): qui avviene lo
scambio di informazioni tra i diversi costituenti dell
a frase, vengono assegnate le
funzioni ai sintagmi che vengono poi assemblati in
frasi, l'ordine delle parole
rispecchia le norme L2; l'ultimo gradino, il quinto,
prevede l'acquisizione di
specifiche procedure per processare proposizioni sub
ordinate (
sub-clause
procedure
): a questo stadio è acquisita la capacità di distingue
re le frasi principali da
quelle secondarie, è attivo lo scambio di informazion
e tra proposizioni differenti
sul piano sintattico.
La TP non pretende di essere una teoria di tutti gli
aspetti della SLA (
second langue
acquisition
), e in effetti il suo campo di interesse è circoscr
itto alla grammatica e in
particolare alla sequenza di sviluppo della capacità
di elaborarla da parte di un
apprendente. Essa si limita a definire una gerarchia
di procedure che costringono
in un dato percorso lo “Spazio delle Ipotesi” (Pienem
ann 1998: 239 sgg.), cioè

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La Teoria della Processabilità e l'acquisizione dell'italia
no L2...
AnnalSS 3, 2003 (2005)
69
quella serie di opzioni strutturali a disposizione di
un apprendente a un
determinato livello della sua interlingua (es., prim
a di produrre correttamente ‘
Il
bambino grande
’, l'apprendente può dire:
Lo bambino grande
,
Il bambino grando
,
Lo
bambino grando
, ecc.). Tali opzioni specifiche definiscono a prior
i la variabilità,
che
viene spiegata quindi non solo a posteriori come osc
illazione dei livelli di
correttezza. La TP fornisce indicazioni anche sulla
sua applicabilità nell'ambito
della didattica attraverso l’“Ipotesi dell'Insegnabili
tà”
(Pienemann 1998: 252 sgg.;
Pienemann 1984, e 1986: cit. in Bettoni 2001: 139):
la quale dimostra che le
sequenze sono acquisite seguendo un ordine implicazio
nale rigido: ne consegue
che esse non possono essere alterate da nessun insegnamento
.
2.
Applicazioni della Teoria alle diverse lingue
La
Grammatica Lessico-funzionale
(Bresnan 1992) è la teoria della grammatica,
compatibile con le procedure psicolinguistiche, adot
tata da Pienemann (1998)
per descrivere formalmente le diverse L2 in sede di app
licazione trans-linguistica
della TP.
Gli studi sulla Processabilità hanno preso avvio in
Germania con il
progetto ZISA
(
Zweitspracher werb italianischer und spanischer Arbei
ter
) finalizzato allo
studio delle sequenze evolutive del tedesco in apprenden
ti-lavoratori spagnoli e
italiani (Meisel, Clahsen, Pienemann 1981; Clahsen,
Meisel, Pienemann 1983).
Questi dati uniti a quelli sull'inglese, raccolti da
Johnston (1985) in Australia,
hanno costituito la base per la prima formulazione
della Teoria. Tuttavia, per
offrire una spiegazione più dettagliata della TP e po
terla anche applicare a lingue
diverse, molti altri dati sono stati assemblati in se
guito: quelli sullo spagnolo
(Johnston 1995) e sull'italiano
(Di Biase 1999) forniscono nuove precisazioni
teoriche, come quella relativa alle lingue
pro-drop
, cioè quelle lingue senza
soggetto pronominale obbligatorio, che presentano l
a comparsa della morfologia
personale del verbo al terzo stadio, e in alcuni casi
anche al secondo, anziché al
quarto come nelle lingue con soggetto obbligatorio
(Bettoni 2001). I dati sullo
svedese
(Pienemann, Håkansson 1999) offrono lo spunto per r
iflettere su
un'importante questione riguardante la
consistenza interna
dell'interlingua contro la
correttezza dell'uso dei morfemi secondo la lingua ta
rget (LT). Tale corpus
fornisce anche indicazioni sulla moderata influenza de
lla L1 sulla L2 (Håkansson
e al. 2002) anche in presenza di strutture identiche
in entrambe le lingue. Il
contributo dei dati raccolti sulle lingue scandinave
(Glahn e al. 2001) riguarda la

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Assunta Giuseppina Zedda


AnnalSS 3, 2003 (2005)
70
morfologia dell'aggettivo attributivo e predicativo e
dimostra come l'acquisizione
del numero sul nome e sui suoi target avvenga prima
di quella del genere.
L’applicazione al giapponese
(Kawaguchi 2000; Di Biase, Kawaguchi 2002)
arricchisce il corpus riguardo alla plausibilità tip
ologica essendo questa una lingua
non-configurazionale e agglutinativa, quindi molto l
ontana tipologicamente dalle
lingue europee sulle quali la Teoria è stata testat
a fino ad oggi. L’ultimo
contributo giunge da uno studio condotto in parallelo
su tedesco, italiano,
giapponese e svedese che si concentra sull’interazio
ne tra trasfer della L1 e le
limitazioni psicolinguistiche nella processabilità dell
a L2 (Pienemann e al. 2003).
3.
Un'applicazione della Teoria all’italiano
Uno studio sulla gerarchia di Processabilità applicat
a all'italiano L2 è stato
condotto in Australia da Bruno Di Biase (Di Biase, Ka
waguchi 2002) nell'ambito
di ricerca sulla plausibilità tipologica della TP: qu
esto studio è stato affiancato
infatti da un altro relativo al giapponese che prese
nta notevoli differenze
sintattiche e morfologiche rispetto alle lingue eur
opee. I risultati confermano
l'ordine di acquisizione previsto dalla gerarchia di Pr
ocessabilità e dimostrano
che il principio di scambio di informazione grammatic
ale è un concetto
produttivo in lingue tipologicamente diverse (Di Bias
e, Kawaguchi 2002: 2).
Nello studio le due lingue sono descritte tipologicamen
te seguendo la
Grammatica
Lessico-funzionale
di Bresnan (1982; 2001), e in particolare l'italian
o è descritto
come una lingua
head marking
, in quanto la morfologia della testa del sintagma
incorpora sempre i parametri diacritici, inoltre è u
na lingua ‘fusiva’ o flessiva
poiché le parole sono formate da una radice lessicale
e da uno o più affissi
flessivi. Quindi una morfologia ricca e complessa so
prattutto rispetto alla sintassi
che non presenta un ordine rigido delle parole SVO, dal
momento che il
soggetto può essere facoltativo, nullo o sottointeso e con p
osizione variabile.
Con questa situazione linguistica di partenza, Di Bi
ase sceglie di testare le
sue ipotesi su alcune strutture morfologiche e sint
attiche particolari, che gli sono
sembrate adatte a far emergere l'uso, da parte di un
apprendente, di una
determinata procedura. Dall'analisi è tenuta fuori la
procedura della proposizione
subordinata (livello cinque), in quanto è possibile
testare la Teoria anche solo su
una parte della gerarchia di Processabilità (Pienema
nn 1998). Al primo livello
della scala gerarchica ci sono solo 'parole' e nessu
na struttura può essere
individuata. Al secondo livello, che prevede l'attribuz
ione dei parametri lessicali,
La Teoria della Processabilità e l'acquisizione dell'italia
no L2...
AnnalSS 3, 2003 (2005)
71
si notano due strutture con operazione
in loco
, cioè senza scambio di
informazione: la desinenza -
i
come marca della pluralità e il suffisso morfologi
co
-
to
del participio passato. Nel primo caso, Di Biase (2
002) sceglie solo -
i
come
suffisso del plurale perché considera ambigua la desin
enza -
e,
che marca sia nomi
singolari che nomi plurali; nel secondo caso, il par
ticipio passato (-
to
) è stato
selezionato perché è una forma verbale che compare
precocemente nelle
interlingue per marcare il tempo passato con aspett
o perfettivo; a questo livello,
esso è prodotto senza l'ausiliare, quindi in assenza di scamb
io di informazione tra
l'ausiliare e verbo lessicale, prevista invece per
il quarto stadio. Per il terzo livello
della gerarchia, Di Biase (2002) seleziona come struttura qu
ella di accordo plurale
all'interno del sintagma nominale,
I bambini buoni
, che richiede l'unificazione dei
parametri del nome e dei suoi modificatori. Sia per qu
• Tra i risultati più robusti e condivisi che emergono dalla
ricerca sull’acquisizione della lingua (sia L1 che L2) c’è il
fatto che l’apprendimento procede per stadi o tappe
obbligate. Ogni stadio è rappresentato da un insieme di
regole che si sviluppa sulla base dello stadio precedente.
• Secondo la Processabilità lo stadio precedente è un
requisito per l’apprendimento dell’insieme di regole dello
stadio immediatamente successivo – non è possibile
saltare, per es., dallo stadio 1 allo stadio 3 senza prima
acquisire lo stadio 2.
• L’ipotesi sull’italiano L2 qui presentata si basa sulla Teoria
della Processabilità (Pienemann 1998) e sulla mia ricerca
(condotta con il finanziamento dell’Australian Research.

esta procedura che per


quella precedente è il numero e non il genere ad ess
ere considerato, dal
momento che il genere nell'italiano, ma anche in al
tre lingue, viene acquisito più
tardi rispetto al numero (Pienemann 1998) e la sua a
ttribuzione è altamente
arbitraria essendoci scarsa relazione tra il signifi

• la sequenza temporale delle fasi con cui


si produce l’enunciato quando si parla;
• lo scambio di informazione tra elementi
linguistici*
cato del nome e il suo genere e
tra il genere e la sua forma grammaticale (Di Biase
2002). Per la procedura inter-
sintagmatica del quarto livello viene preso in consi
derazione l'accordo anaforico
tra oggetto diretto e pronome clitico,
I biscotti li compra Giovanni
, e viene trascurato
invece l'accordo grammaticale con il soggetto. Le ra

su linguistiche che poi deve in qualche


gioni di questa scelta sono
probabilmente da rintracciare nell'ambiguità struttu
rale della marca del soggetto
dell'italiano che può essere espressa ma anche più f
acilmente omessa. Lo stesso
Pienemann (comunicazione personale a Pallotti, apri
le 2002) avverte che la
regola dell'accordo soggetto-verbo deve ritenersi acqu
isita solo se il soggetto è
pieno, e forse anche pronominale. Si riassumono bre
vemente le strutture scelte
da Di Biase:
1. Accesso lessicale → nessuna struttura →
2. Proc. categoriale → -
i
, marca del pl. di nomi → amici
→-
to
, marca del passato → mangiato
3. Proc. sintagmatica → accordo sintagma nom. (-
i
) → tanti amici australiani
4. Proc. frasale
→ accordo
topic-objet
→ i biscotti li compra Giovanni.

Assunta Giuseppina Zedda


AnnalSS 3, 2003 (2005)
72
4.
Una nuova applicazione della Teoria all’italiano
Il presente lavoro ha come
obiettivo
la discussione di argomenti teorici e
metodologici che coinvolgono non solo lo studio sull’
applicazione della Teoria
all’italiano ma anche i test trans-linguistici della
stessa; nella speranza di riuscire a
dare un contributo su questioni generali, il lavoro
non trascura la ricerca di prove
che riguardino anche la sua falsificazione.
Per testare una teoria che pretende di avere portata
universale (Pienemann
1998), dato che la sua applicazione si estende a tutt
e le lingue e apprendenti
diversi, i ricercatori dovrebbero disporre di criteri o
perativi molto chiari al fine di
verificare le previsioni della TP nei confronti delle
diverse lingue, dentro un
quadro di riferimento coerente ed esplicito (Pallotti 2005).
L'analisi condotta dal gruppo di ricerca
2
sull'acquisizione dell'italiano L2
deve considerarsi complementare e di approfondimento ri
spetto a quella di Di
Biase (Di Biase, Kawaguchi 2002). Le ipotesi sono b
asate su un corpus di dati e
sull’osservazione empirica. I dati considerati da ques
to studio hanno due fonti
differenti: il
database
dell’Università di Pavia (Andorno 2000), costituitos
i
all'interno di svariati progetti di ricerca sull'acqu
isizione dell'italiano L2 da essa
coordinati, e il corpus di interviste assemblato da
questo gruppo di ricerca,
affiliato all’Università di Sassari, avente lo scopo precis
o di testare la Teoria.
La procedura di ricerca prende avvio dalla questione re
lativa alle strutture
linguistiche da identificare per verificare le ipotes
i sostenute dalla TP. Essa
continua affrontando argomenti riguardanti la raccolt
a dei dati, la loro
adeguatezza per una corretta applicazione della Teor
ia, la loro interpretazione,
l’adozione di un criterio d’emergenza e l’analisi quan
titativa dei dati. La
discussione è seguita dall’analisi, sia quantitativa c
he qualitativa, dell’interlingua di
un apprendente di italiano L2 francofono
Assunta Giuseppina Zedda
AnnalSS 3, 2003 (2005)
70
morfologia dell'aggettivo attributivo e predicativo e
dimostra come l'acquisizione
del numero sul nome e sui suoi target avvenga prima
di quella del genere.
L’applicazione al giapponese
(Kawaguchi 2000; Di Biase, Kawaguchi 2002)
arricchisce il corpus riguardo alla plausibilità tip
ologica essendo questa una lingua
non-configurazionale e agglutinativa, quindi molto l
ontana tipologicamente dalle
lingue europee sulle quali la Teoria è stata testat
a fino ad oggi. L’ultimo
contributo giunge da uno studio condotto in parallelo
su tedesco, italiano,
giapponese e svedese che si concentra sull’interazio
ne tra trasfer della L1 e le
limitazioni psicolinguistiche nella processabilità dell
a L2 (Pienemann e al. 2003).
3.
Un'applicazione della Teoria all’italiano
Uno studio sulla gerarchia di Processabilità applicat
a all'italiano L2 è stato
condotto in Australia da Bruno Di Biase (Di Biase, Ka
waguchi 2002) nell'ambito
di ricerca sulla plausibilità tipologica della TP: qu
esto studio è stato affiancato
infatti da un altro relativo al giapponese che prese
nta notevoli differenze
sintattiche e morfologiche rispetto alle lingue eur
opee. I risultati confermano
l'ordine di acquisizione previsto dalla gerarchia di Pr
ocessabilità e dimostrano
che il principio di scambio di informazione grammatic
ale è un concetto
produttivo in lingue tipologicamente diverse (Di Bias
e, Kawaguchi 2002: 2).
Nello studio le due lingue sono descritte tipologicamen
te seguendo la
Grammatica
Lessico-funzionale
di Bresnan (1982; 2001), e in particolare l'italian
o è descritto
come una lingua
head marking
, in quanto la morfologia della testa del sintagma
incorpora sempre i parametri diacritici, inoltre è u
na lingua ‘fusiva’ o flessiva
poiché le parole sono formate da una radice lessicale
e da uno o più affissi
flessivi. Quindi una morfologia ricca e complessa so
prattutto rispetto alla sintassi
che non presenta un ordine rigido delle parole SVO, dal
momento che il
soggetto può essere facoltativo, nullo o sottointeso e con p
osizione variabile.
Con questa situazione linguistica di partenza, Di Bi
ase sceglie di testare le
sue ipotesi su alcune strutture morfologiche e sint
attiche particolari, che gli sono
sembrate adatte a far emergere l'uso, da parte di un
apprendente, di una
determinata procedura. Dall'analisi è tenuta fuori la
procedura della proposizione
subordinata (livello cinque), in quanto è possibile
testare la Teoria anche solo su
una parte della gerarchia di Processabilità (Pienema
nn 1998). Al primo livello
della scala gerarchica ci sono solo 'parole' e nessu
na struttura può essere
individuata. Al secondo livello, che prevede l'attribuz
ione dei parametri lessicali,

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La Teoria della Processabilità e l'acquisizione dell'italia


no L2...
AnnalSS 3, 2003 (2005)
71
si notano due strutture con operazione
in loco
, cioè senza scambio di
informazione: la desinenza -
i
come marca della pluralità e il suffisso morfologi
co
-
to
del participio passato. Nel primo caso, Di Biase (2
002) sceglie solo -
i
come
suffisso del plurale perché considera ambigua la desin
enza -
e,
che marca sia nomi
singolari che nomi plurali; nel secondo caso, il par
ticipio passato (-
to
) è stato
selezionato perché è una forma verbale che compare
precocemente nelle
interlingue per marcare il tempo passato con aspett
o perfettivo; a questo livello,
esso è prodotto senza l'ausiliare, quindi in assenza di scamb
io di informazione tra
l'ausiliare e verbo lessicale, prevista invece per
il quarto stadio. Per il terzo livello
della gerarchia, Di Biase (2002) seleziona come struttura qu
ella di accordo plurale
all'interno del sintagma nominale,
I bambini buoni
, che richiede l'unificazione dei
parametri del nome e dei suoi modificatori. Sia per qu
esta procedura che per
quella precedente è il numero e non il genere ad ess
ere considerato, dal
momento che il genere nell'italiano, ma anche in al
tre lingue, viene acquisito più
tardi rispetto al numero (Pienemann 1998) e la sua a
ttribuzione è altamente
arbitraria essendoci scarsa relazione tra il signifi
cato del nome e il suo genere e
tra il genere e la sua forma grammaticale (Di Biase
2002). Per la procedura inter-
sintagmatica del quarto livello viene preso in consi
derazione l'accordo anaforico
tra oggetto diretto e pronome clitico,
I biscotti li compra Giovanni
, e viene trascurato
invece l'accordo grammaticale con il soggetto. Le ra
gioni di questa scelta sono
probabilmente da rintracciare nell'ambiguità struttu
rale della marca del soggetto
dell'italiano che può essere espressa ma anche più f
acilmente omessa. Lo stesso
Pienemann (comunicazione personale a Pallotti, apri
le 2002) avverte che la
regola dell'accordo soggetto-verbo deve ritenersi acqu
isita solo se il soggetto è
pieno, e forse anche pronominale. Si riassumono bre
vemente le strutture scelte
da Di Biase:
1. Accesso lessicale → nessuna struttura →
2. Proc. categoriale → -
i
, marca del pl. di nomi → amici
→-
to
, marca del passato → mangiato
3. Proc. sintagmatica → accordo sintagma nom. (-
i
) → tanti amici australiani
4. Proc. frasale
→ accordo
topic-objet
→ i biscotti li compra Giovanni.

Assunta Giuseppina Zedda


AnnalSS 3, 2003 (2005)
72
4.
Una nuova applicazione della Teoria all’italiano
Il presente lavoro ha come
obiettivo
la discussione di argomenti teorici e
metodologici che coinvolgono non solo lo studio sull’
applicazione della Teoria
all’italiano ma anche i test trans-linguistici della
stessa; nella speranza di riuscire a
dare un contributo su questioni generali, il lavoro
non trascura la ricerca di prove
che riguardino anche la sua falsificazione.
Per testare una teoria che pretende di avere portata
universale (Pienemann
1998), dato che la sua applicazione si estende a tutt
e le lingue e apprendenti
diversi, i ricercatori dovrebbero disporre di criteri o
perativi molto chiari al fine di
verificare le previsioni della TP nei confronti delle
diverse lingue, dentro un
quadro di riferimento coerente ed esplicito (Pallotti 2005).
L'analisi condotta dal gruppo di ricerca
2
sull'acquisizione dell'italiano L2
deve considerarsi complementare e di approfondimento ri
spetto a quella di Di
Biase (Di Biase, Kawaguchi 2002). Le ipotesi sono b
asate su un corpus di dati e
sull’osservazione empirica. I dati considerati da ques
to studio hanno due fonti
differenti: il
database
dell’Università di Pavia (Andorno 2000), costituitos
i
all'interno di svariati progetti di ricerca sull'acqu
isizione dell'italiano L2 da essa
coordinati, e il corpus di interviste assemblato da
questo gruppo di ricerca,
affiliato all’Università di Sassari, avente lo scopo precis
o di testare la Teoria.
La procedura di ricerca prende avvio dalla questione re
lativa alle strutture
linguistiche da identificare per verificare le ipotes
i sostenute dalla TP. Essa
continua affrontando argomenti riguardanti la raccolt
a dei dati, la loro
adeguatezza per una corretta applicazione della Teor
ia, la loro interpretazione,
l’adozione di un criterio d’emergenza e l’analisi quan
titativa dei dati. La
discussione è seguita dall’analisi, sia quantitativa c
he qualitativa, dell’interlingua di
un apprendente di italiano L2 francofono Per semplici
ragioni pratiche verrà
presentata, in questo lavoro, solo una minima parte
dei dati analizzati che si
ritiene possano essere sufficienti per le questioni
metodologiche da trattare. Per i
dati integrali si rimanda al sito:
(LEGGERE SOLO SE VUOI)
Il linguaggio secondo Chomsky

2. In che modo questo sistema di conoscenza si forma nella


mente/cervello del parlante?
L’argomento a favore della conoscenza innata

L’argomento a favore della conoscenza innata


• Il modo in cui i bambini imparano a parlare implica che il
cervello umano abbia una specializzazione, geneticamente
determinata, che è finalizzata al linguaggio.
Indagine sulla grammatica mentale
• Ibambiniapprendonoillinguaggiodai genitori?
Dagli altri parlanti con cui vivono – es. genitori immigrati: i
bambini apprendono più dei genitori
Ci sono parole che non possono essere insegnate: es.
Perché non mangi il tramezzino?
Nemmeno il solo insegnamento scolastico...
L’apprendimento del linguaggio non può essere né soltanto il
risultato dell’apprendimento di parole...
Ma nemmeno soltanto dell’apprendimento di strutture
grammaticali!
Ma:
Certe strutture grammaticali sono insegnate a scuola;
C’è una dimensione storica della lingua: es. regole grammaticali
imposte (uso del congiuntivo in italiano, composizione degli
ideogrammi in cinese, preposizione finale in inglese).
Tuttavia, quando si parla di grammatica mentale si fa
riferimento a qualcosa di diverso.
Es. Pronomi
- Francesco si interroga sulla grammatica mentale;
- Gli puoi dare un tramezzino?
Non vengono insegnati!
(Il bambino impara la distinz. nome, verbo, ecc. intorno ai dieci
anni!)
Non si possono spiegare questi principi ai bambini; al massimo
si possono offrire delle esemplificazioni che offrano una forma
corretta
I bambini non pensano a questi principi in modo cosciente
Il bambino deve costruire da sé la propria grammatica mentale

Ciò fa supporre che i bambini siano in grado di acquisire


inconsciamente delle strutture inconsce, con un addestramento
scarso o perfino nullo.
Es. salto.
Disparità fra
- padronanza del linguaggio
e
- coscienza di tale padronanza
Il paradosso dell’acquisizione del linguaggio
All’esterno i bambini hanno la possibilità di sentire frasi;
Ma devono scoprire da sé le strutture che permettono di
capire tali frasi e di costruirne di nuove.
Ci deve essere una “partenza avvantaggiata”...
Abbiamo un bagaglio di conoscenze innate finalizzate al
linguaggio che ci servono per rintracciare una struttura nelle
frasi che sentiamo.
E poiché tale bagaglio di conoscenze innate ci deve servire per
imparare una QUALSIASI lingua, esso deve essere
UNA GRAMMATICA UNIVERSALE

Tre domande
• Che cos’è la Grammatica Universale?
• Da dove viene la Grammatica Universale?
• Come si spiega la varietà delle lingue alla luce dell’ipotesi
della Grammatica Universale?
Che cos’è la Grammatica
Universale?
La Grammatica Universale fornisce al bambino un consistente
scheletro di strutture sintattiche che permettono al processo di
acquisizione di prendere avvio.
Si tratta di un repertorio di presupposti universali (circa le
possibili unità e loro mutue relazioni, a disposizione di tutte le
lingue umane) con in più una specie di menù che aiuta chi
apprende a orientarsi fra le varie opzioni.
Il diagramma “ad albero”
Per rappresentare queste diverse configurazioni e
sottoconfigurazioni.

Possiamo così visualizzare la differenza tra lingue!


Il vecchio uomo su una sedia con una gamba rotta (1)

Il vecchio uomo su una sedia con una gamba rotta (2)


Alcuni principi della GU
- Leparolenonsonomeramentemesseinfila una dietro l’altra
(dipendenza dalla struttura);
- Lalinguacontienenomi,chevannoa costituire i sintagmi nominali
(SN: nome + modificatori);
- Esistonoverbi,checompongonoisintagmi verbali (SV = V + SN);
- Esistonodelleparolewh-(inglese)usateper fare domande.
La posizione dei diversi elementi nelle frasi può variare da
lingua a lingua.
La Grammatica Universale
Nell’avanzare ipotesi circa la GU, la strategia del linguista
consiste nel tentativo di limitare ciò che un bambino deve
elaborare a quanto è osservabile nell’ambiente fisico e
linguistico. Previa conoscenza delle parole, un bambino può
determinare il loro ordine nelle frasi.
Ma le strutture ad albero e le categorie in esse presenti non si
possono osservare: devono provenire dall’interno della mente,
in modo, per così dire, “intuitivo” o “dettato dall’istinto”.
Potremmo anche dire che la GU è l’organizzazione di questo
istinto.
Da dove viene la Grammatica Universale?
• L’argomento a favore della conoscenza innata (e l’argomento
della povertà dello stimolo) ci dicono che la Grammatica
Universale è innata.
In che senso?
In che senso la GU è “innata”?
• Non necessariamente significa che essa ci sia dalla nascita
• Potrebbe svilupparsi in un periodo posteriore alla nascita (es.
denti)
• Ma il suo sviluppo deve essere legato ad una “tabella di
marcia” biologica.
LA GRAMMATICA UNIVERSALE NON è APPRESA, MA è UN
MECCANISMO CHE RENDE POSSIBILE L’APPRENDIMENTO
DEL LINGUAGGIO
Come può essere disponibile al bambino prima
dell’apprendimento?
Ipotesi genetica Prima componente:
Determinazione della struttura cerebrale da parte di
informazioni genetiche
(codificate nel DNA e trasmesso da una generazione all’altra).
Come non impariamo ad avere braccia, così il nostro cervello è
tale non per apprendimento ma per via geneticamente
ereditaria.
Ipotesi genetica Seconda componente:
Determinazione dei processi mentali da parte della struttura
cerebrale
La conoscenza innata dei bambini che consente di costruire la
grammatica mentale è conseguenza di qualche regione del
cervello determinata dalla sua struttura genetica.
Capacità di apprendere una lingua
È radicata nella nostra biologia,
È un carattere genetico della nostra specie
Si può supporre che ci sia una specializzazione strutturale nel
cervello, finalizzata al linguaggio
• Ciònonsignificapresupporreun“genedel linguaggio”...
• LaconnessionetrasequenzedelDNAnei cromosomi e struttura
corporea sono notevolmente indirette
• Restadunqueapertalaquestionedel rapporto fra struttura
cerebrale e natura del pensiero!
Obiezioni
• L’acquisizionedellinguaggiodapartedel bambino si può
spiegare solo con l’esposizione alla lingua parlata nel suo
ambiente.
• Es.strutturaossea:èpredisposta geneticamente ma ha bisogno
di nutrimento ed esercizio. Lo stesso per il linguaggio.
• Questionenatura-cultura:
Sono necessarie entrambe!
• Grammatica mentale =
Parte innata (GU) + Parte appresa
È una questione empirica determinare quanto viene da una
componente e quanto dall’altra. Tre criteri:
1) Differenze di una lingua vengono apprese;
2) È probabile che le similarità fra tutte e lingue
rientrano nella parte innata;
3) Aspetti del linguaggio non ricavabili sulla base
dei dati rientrano nella parte innata.
• Parte innata del linguaggio =
Ciò che è dovuto a una capacità specificamente finalizzata al
linguaggio
+
Ciò che è dovuto alle caratteristiche generali della mente
L’ipotesi del “periodo critico”
• Perchéibambinifannomegliodeigenitori nell’apprendimento di
una nuova lingua?
• Éunacapacitàchesembraesaurirsiintorno ai 10/12 anni...
• Lennebergipotizzaunperiodocriticoper l’acquisizione del
linguaggio: un periodo in cui i nostri cervelli sono preparati a
costruire grammatiche mentali
• Osservandoilrecuperodibambini cerebrolesi, afasici: più il
bambino è piccolo più ci sono possibilità che recuperi il
linguaggio.
• Perchéc’èunperiodocritico?Nonsisa,ma è una prova a
sostegno dell’esistenza di una capacità specializzata
nell’apprendimento del linguaggio, distinta da capacità generali.
• Lanaturaoffrecasisimilinel regno animale
(es. imprinting).

E la varietà delle lingue?


• Comesispiegalavarietàdellelinguealla luce dell’ipotesi della
Grammatica Universale?
• LaGUècompostadaprincipiuniversali, validi per tutte le lingue.
In alcuni punti è però possibile fare una scelta binaria,
selezionando una serie di parametri (specifici da lingua a
lingua).
• IdatisullabasedeiqualilaGUviene “parametrizzata” sono i dati
linguistici forniti dall’esperienza.
Il parametro del soggetto
ITALIANO
È possibile formare frasi anche senza esprimere il soggetto.
Es. “Mangio”.
INGLESE
Non è possibile formare frasi senza esprimere il soggetto.
Es. “You eat”.
A partire dai principi della GU, il bambino “seleziona” i
parametri specifici per la propria lingua, arrivando così a
costruire la grammatica mentale dell’inglese o dell’italiano.
“Il processo di acquisizione del linguaggio non è quindi una
malcerta, lunga esplorazione di tante possibili soluzioni per
“tentativi ed errori”. Il processo è selettivo, non istruttivo; pre-
canalizzato, non a tastoni”.
Chi apprende la lingua (e non solo) è un agente attivo, non un
“recipiente” da riempire di nozioni o fatti.

Introduzione(leggere solo)
Questo volume nasce con l’intento di approfondire il rapporto tra l’inse-
gnamento e l’apprendimento delle lingue seconde: un rapporto meno
lineare di quanto comunemente si pensi. Per imparare una lingua diversa
da quella materna, infatti, non è necessario studiarla: da sempre gli esseri
umani si spostano, entrano in contatto con codici linguistici differenti da
quello che hanno acquisito dalla nascita e imparano a usarli per
comunicare. È anche vero, però, che l’apprendimento di una lingua
seconda, almeno in età adulta, risulta agevolato dall’intervento didattico,
che può velocizzare il processo e far raggiungere livelli di competenza
superiori rispetto a quelli ottenuti me- diante l’acquisizione spontanea.
Per contro, molti ragazzi escono dalla scuola senza essere in grado di usare
le lingue straniere che hanno studiato per anni; eppure, tanti tra i giovani
che si avvicinano alla professione dell’insegnamento, ma anche tra gli
inse- gnanti d’esperienza, sono fermamente convinti che lo studio formale,
orga- nizzato, basato sulla spiegazione delle regole e svolto all’interno di
una strut- tura educativa porti inevitabilmente a padroneggiare la lingua
straniera oggetto di tali sforzi. Insomma, studio e apprendimento delle
lingue stra- niere vengono per lo più percepiti come due fenomeni
sovrapponibili, coinci- denti. La realtà, tuttavia, presenta un quadro più
complesso: l’insegnamento non è una condizione necessaria né sufficiente
perché una lingua seconda venga imparata; può però rivelarsi uno
strumento prezioso per facilitare il percorso di apprendimento. Sviluppare
questa consapevolezza rappresenta a nostro parere un primo passo
importante per avvicinarsi con uno sguardo maturo ai temi che rientrano
nell’area della Didattica delle lingue.
Partendo da questa premessa, il volume indaga gli spazi di manovra a
disposizione dell’insegnante per guidare, ottimizzandolo, il processo spon-
taneo di acquisizione linguistica dei propri studenti, mettendo in luce
anche i limiti dell’insegnamento, ovvero i meccanismi naturali di cui
l’intervento
9

10

didattico deve tenere conto se non vuole risultare inutile o addirittura


contro- producente. Proprio il lavoro di “guida” svolto dall’insegnante ci
sembra l’im- magine che rende al meglio il ruolo di chi accompagna e
sostiene il percorso naturale di apprendimento della lingua. L’idea di
scindere il concetto di “in- segnare”, trasformandolo in “guidare
l’apprendimento”, coglie a nostro parere la moderna centralità da dare
all’apprendente e ai suoi processi cognitivi, in ascolto dei quali
l’insegnante e l’insegnamento devono porsi. Questo ci pare debba essere il
punto di vista tanto del glottodidatta quanto dell’insegnante: pur
riconoscendo che l’insegnabilità dipende dall’apprendibilità e non vi-
ceversa, entrambi dovrebbero operare presupponendo che l’insegnamento
abbia un ruolo e un peso da giocare nell’accompagnare – anzi, come detto,
guidare per favorire – i percorsi di apprendimento nel contesto didattico.
Non intendiamo proporre qui una disamina di modelli operativi o una
rassegna di tecniche, ma uno sguardo che renda il lettore criticamente con-
sapevole di tre importanti aree di manovra nel lavoro di “guida
all’apprendi- mento” svolto dall’insegnante. Le aree messe al centro di
questo volume, pre- sentate e discusse alla luce dei risultati ottenuti dalle
ricerche condotte negli ultimi decenni, sono la manipolazione dell’input
fornito agli studenti, l’in- tervento sull’output prodotto dai discenti, e il
trattamento degli errori.
Il primo capitolo del libro (di E. Nuzzo) sostanzia le basi dell’argomenta-
zione di fondo dell’intero volume, ovvero, i limiti e i vincoli entro i quali
può legittimamente e proficuamente muoversi l’intervento didattico per
ottimiz- zare l’apprendimento di una lingua seconda. Pertanto, dopo aver
introdotto il tema della differenza tra acquisizione e apprendimento e
illustrato breve- mente i principi essenziali alla base dello sviluppo
naturale dell’interlingua, si presentano e discutono i vantaggi che la ricerca
ha riconosciuto all’inse- gnamento, soprattutto in termini di maggiore
rapidità, maggiore accura- tezza, minore rischio di stabilizzazione e
sviluppo più equilibrato di tutte le abilità, senza trascurare quelli legati alla
sfera affettivo-emozionale. L’op- posizione acquisizione/apprendimento
viene poi approfondita dal punto di vista dei diversi tipi di conoscenze che
si possono sviluppare in relazione alla L2 e, conseguentemente, dei modi
di selezionare e sequenziare gli obiettivi didattici, ossia di definire il
sillabo. Quest’ultimo argomento offre lo spunto per una breve sezione di
taglio storico, nella quale si accenna a come tali que- stioni siano state
affrontate e risolte da diverse prospettive metodologiche.
Nei capitoli successivi vengono poi presi in esame singolarmente i tre
aspetti che abbiamo selezionato come “leve” per l’ottimizzazione
dell’appren- dimento in contesto guidato, ovvero, rispettivamente, l’input
proposto allo studente, la produzione a lui richiesta, e i riscontri a questa
forniti.
Sebbene il concetto di input sia imprescindibile per l’acquisizione di L2, il
lungo dominio dell’ipotesi della “povertà dello stimolo” nell’acquisizione
della
IPNICPCUOTL, AOUECTOPULOTGEIAINDTEGRLAIZSIOTUNDEINLELTLT’IENRSAERGINAMENTO DELLE
LINGUE

prima lingua ha portato a un prevalente disinteresse verso lo studio


analitico dei dati linguistici primari da parte della ricerca di stampo
cognitivista. Non così però in glottodidattica, dove la possibilità di
controllare e manipolare l’input è cruciale (sia nella selezione da materiali
autentici che in predispo- sizioni ad hoc). Nel secondo capitolo (di R.
Grassi), dunque, inquadrata la no- zione di input in ottica glottodidattica, si
tratta delle due principali forme in cui la manipolazione del materiale
linguistico si concretizza, ovvero rispetti- vamente le modifiche in
direzione della maggiore comprensibilità vs. le mo- difiche per
l’elaborazione e l’acquisizione. Le prime coinvolgono la tematica dei
registri semplificati e della “semplificazione” testuale, con applicazioni
nella didattica e facilitazione della lettura e dell’ascolto, mentre le seconde
ri- chiedono l’introduzione dei concetti di noticing e input potenziato.
Quest’ul- timo è visto prima in generale e poi in alcune sue specifiche
realizzazioni, come ad esempio la cosiddetta “inondazione” dell’input, il
potenziamento te- stuale, o l’input strutturato. Il capitolo affronta anche le
peculiarità dell’input interazionale e alcuni problemi aperti legati
all’ottimizzazione dell’intensità d’esposizione all’input. Conclude anche
questo secondo capitolo una parte di taglio storico-critico, che attraverso
alcuni rimandi emblematici mostra vi- sioni contrastanti dell’input in
diverse stagioni metodologiche.
La ricerca riconosce che, oltre all’esposizione all’input, anche la produ-
zione di output è cruciale per lo sviluppo della L2. Nel terzo capitolo (di E.
Nuzzo) vengono quindi innanzitutto presentate le ragioni della centralità
dell’output nel processo di acquisizione, a partire da ciò che gli studiosi,
anche da prospettive teoriche diverse, hanno messo a fuoco: l’importanza
della pro- duzione di output, per esempio, per mettere in pratica le
conoscenze lingui- stiche acquisite (eventualmente trasformandole da
esplicite a implicite), o per “forzare” la propria competenza linguistica
sostituendo un’elaborazione sintattica a una semantica, o, ancora, per
mettere alla prova le proprie ipo- tesi sul funzionamento della L2. Si
mostra poi quali siano gli strumenti a di- sposizione dell’insegnante per
“manipolare” l’output, ossia quali tipi di atti- vità e interventi didattici
concorrano a stimolare la produzione in classe, in quale misura e con quali
limiti. Si pone l’accento in particolare su due obiet- tivi diversi
nell’orientare la produzione, corrispondenti alle due prospettive didattiche
note in letteratura rispettivamente come focus on forms e focus on form: 1)
far reimpiegare e mettere in pratica, con gradi variabili di “controllo”,
strutture linguistiche precedentemente presentate sulla base di un sillabo
esterno, e 2) far utilizzare le risorse linguistiche a disposizione degli
appren- denti per far “emergere” il sillabo interno e quindi procedere alla
focalizza- zione sulle strutture linguistiche impiegate. Anche questo terzo
capitolo si chiude con qualche cenno storico al ruolo dell’output secondo
diversi ap- procci metodologici.
11
INTRODUZIONE

12
IPNICPCUOTL, AOUECTOPULOTGEIAINDTEGRLAIZSIOTUNDEINLELTLT’IENRSAERGINAMENTO DELLE
LINGUE

Nella scelta del tema conclusivo del volume si palesa la matrice interazio-
nista del lavoro: pur non limitandosi a trattare gli strumenti didattici dell’o-
ralità, esso rivela infatti la nostra convinzione che, in fondo, sia nella
modu- lazione e nella gestione dell’interazione in classe che risiedono le
principali armi a disposizione dell’insegnante per lo sviluppo
dell’apprendimento nei suoi studenti.
L’ultimo capitolo (di R. Grassi) affronta quindi metonimicamente il
feedback come parte distintiva dell’interazione del contesto didattico, che
come è noto si struttura su tre turni (e non su due come l’interazione
extradi- dattica): domanda (input), risposta (output), e riscontro
(feedback). Dopo una introduzione terminologica e concettuale, nel
capitolo vengono discussi temi legati all’opportunità o meno di correggere
– per quali ragioni e con quali fi- nalità – ma anche al quanto, quando e
come riparare l’errore. Acclarando, con i distinguo necessari, che la ricerca
oggi ha dimostrato la superiorità della correzione sulla sua assenza, si
affronta il tema prima nel parlato e poi nello scritto, con riflessioni sulle
principali tipologie di feedback, con la loro rile- vanza teorica e dimostrata
efficacia relativa. Segue un approfondimento sul tema, solo recentemente
investigato, delle particolarità e degli effetti della correzione tra pari.
Completa anche questo capitolo uno sguardo critico alla correzione nella
storia della glottodidattica, condotto attraverso alcuni sele- zionati richiami
di particolare rilevanza.
Nel procedere del discorso lungo i diversi capitoli si è cercato primaria-
mente di dare un resoconto chiaro e affidabile dello stato dell’arte sui
diversi temi affrontati, pur senza tacere le questioni aperte e i dibattiti in
atto, e for- nendo al lettore, accanto a un quadro attuale, anche una sintesi
in chiave dia- cronica dei principali punti di svolta nell’evolversi delle
posizioni teoriche e metodologiche relativamente alle questioni al centro
dei singoli capitoli. Lo sviluppo metodologico della Didattica delle lingue
non è invece in questo vo- lume introdotto di per se stesso, bensì
presupposto e richiamato ove funzio- nale alla trattazione delle tematiche
affrontate.
Per come è concepito, il volume si rivolge a insegnanti in servizio e in
formazione, nonché a studenti e appassionati di lingue straniere. La sua
fru- izione è compatibile con la frequenza di corsi universitari o post-
laurea di Didattica delle lingue o Glottodidattica, ma anche funzionale
all’approfondi- mento autonomo per motivi di studio individuale, di
aggiornamento profes- sionale o di interesse personale.
Elena Nuzzo, Roberta Grassi

1. Imparare senza studiare, studiare


senza imparare
40 years of instructed SLA (ISLA) research and classroom studies have demonstrated that
teachers cannot teach whatever they want, whenever they want, if language learning is
their goal. (Long, 2016: 9)

1.1 Apprendimento spontaneo e apprendimento guidato


Per imparare una lingua diversa da quella materna, cioè una lingua se-
conda (o L2), non è necessario frequentare un corso o studiare un manuale:
la L2 si può imparare in modo spontaneo e naturale, semplicemente usan-
dola. È quanto accade quotidianamente a tutte quelle persone che lasciano
il Paese di origine e si ‘immergono’ nella lingua (e cultura) del Paese
ospitante senza avere il tempo e/o le risorse per accedere a una specifica
istruzione lin- guistica (Long, 2015: 4). In Italia, per esempio, incontriamo
spesso lavoratori immigrati che si esprimono efficacemente in italiano con
colleghi e cono- scenti, senza avere mai studiato la nostra lingua. Alcuni
addirittura parlano il dialetto della regione in cui risiedono, e di certo non
l’hanno imparato fre- quentando un corso. Viceversa, chi studia a scuola
una lingua straniera1 non è sempre in grado di usarla in situazioni
comunicative reali. Sono molti i ra-
1. Generalmente s’intende per lingua seconda (o L2) qualsiasi lingua venga appresa in un momento
successivo rispetto a quella materna (o L1). Si è poi soliti distinguere tra L2 e LS (lingua straniera):
la

prima viene appresa in un contesto nel quale si parla comunemente, mentre la seconda viene ap-

presa in un contesto nel quale si usa abitualmente la L1 dell’apprendente. In questo primo capitolo

non applicheremo la distinzione terminologica tra L2 e LS, e pertanto useremo alternativamente

i termini L2, lingua seconda, lingua straniera per indicare una lingua diversa da quella materna, 13
indipendentemente dal contesto di apprendimento.

1. IMPARARE SENZA STUDIARE, STUDIARE SENZA IMPARARE

14

gazzi italiani che, pur avendo alle spalle un cospicuo numero di ore di
lingua straniera nel loro percorso scolastico, si trovano in grande difficoltà
nel mo- mento in cui devono concretamente utilizzare la lingua studiata.
Dunque, ci sono persone che imparano le lingue senza studiarle e per- sone
che le studiano senza impararle: perché? Per capirlo occorre partire da due
assunti ormai condivisi da chi si occupa di ricerca scientifica sulla di-
dattica delle lingue, ma non altrettanto noti a tutti coloro che insegnano, o
che studiano, le lingue straniere: 1) l’acquisizione di una lingua seconda è
un processo naturale, che si verifica anche in assenza di insegnamento,
spe- cialmente in contesti di immersione linguistica; 2) i meccanismi
coinvolti nell’acquisizione spontanea sono verosimilmente all’opera anche
quando ci troviamo in una classe scolastica. Come ricorda Pallotti (1998:
2),
nonostante esistano importanti differenze tra i due tipi [spontaneo e guidato] di apprendi- mento,
entrambi si basano fondamentalmente su processi comuni. La scuola è un contesto di uso della
lingua con caratteristiche particolari, ma gli apprendenti, più o meno guidati, sono tutti esseri umani
con caratteristiche comuni.

La più importante conseguenza di ciò, o almeno quella che a noi inte- ressa
maggiormente in questa sede, è che l’insegnamento della L2, se non tiene
conto dei processi naturali che regolano l’acquisizione, può risultare poco
efficace. Insomma, sapere come si imparano spontaneamente le lingue
seconde costituisce un punto di partenza irrinunciabile se si desidera capire
come agisce l’intervento “artificiale” dell’insegnamento per ottenere un ri-
sultato analogo, ossia la capacità di usare una L2 per i propri scopi
comuni- cativi, e addirittura per potenziare e ottimizzare tale risultato. Del
resto – se la metafora non è troppo audace –, sarebbe impensabile che ci si
occupasse di farmaci e cure mediche senza sapere come funziona il
sistema immunitario umano. Ecco perché, prima di concentrarci
sull’insegnamento delle lingue seconde, che costituisce l’oggetto
d’interesse principale del volume, deside- riamo dedicare qualche pagina
al fenomeno dell’acquisizione spontanea.
Ancora prima, però, riteniamo utile una breve precisazione. Nei paragrafi
che seguono ci occuperemo prevalentemente, se non esclusivamente, di
ap- prendimento di aspetti grammaticali della L2, soprattutto perché è su
questo che si è concentrata gran parte della ricerca scientifica nell’ambito
dell’acqui- sizione delle lingue seconde. Siamo tuttavia consapevoli che
imparare una lingua comporta anche molto altro, e che l’apprendimento
linguistico può essere utilmente osservato e analizzato da prospettive
differenti, come per esempio quella dello sviluppo delle diverse abilità
ricettive e produttive, della competenza pragmatico-comunicativa o delle
strategie di apprendimento. È d’altra parte vero che la conoscenza
grammaticale, intesa qui come capacità
IPNICPCUOTL, AOUECTOPULOTGEIAINDTEGRLAIZSIOTUNDEINLELTLT’IENRSAERGINAMENTO DELLE
LINGUE

d’uso delle strutture della lingua e non necessariamente come consapevo-


lezza metalinguistica (cfr. oltre, § 1.3.3, su questa distinzione), rimane uno
degli aspetti su cui si focalizza buona parte dell’attenzione degli insegnanti
– e, di riflesso, dei discenti –, oltre a costituire intuitivamente, nella
percezione comune, il cuore stesso della conoscenza di una lingua.
Come avviene, dunque, il processo naturale di acquisizione della lingua
seconda? A questa domanda stanno provando a rispondere ormai da diversi
decenni gli studiosi di linguistica acquisizionale (una panoramica sulla
storia e sugli obiettivi della disciplina è proposta da Chini, 2005) o Second
Lan- guage Acquisition nella terminologia anglosassone diffusa in ambito
interna- zionale. Nel prossimo paragrafo sintetizzeremo i principali
risultati cui sono pervenuti. Si tratterà naturalmente di una sintesi molto
sommaria e par- ziale, dal momento che i risultati della ricerca in questo
settore della lingui- stica applicata sono ormai talmente sostanziosi da
essere raccolti in volumi di dimensioni ragguardevoli (per esempio,
Doughty, Long, 2003; R. Ellis 2008; Gass, Selinker, 2008). Procederemo
dunque per punti chiave, soffermandoci in particolare su quegli aspetti del
processo naturale di sviluppo della L2 che risultano particolarmente
rilevanti nel momento in cui si desidera interve- nire mediante
l’insegnamento.

1.2 Percorsi e modalità di sviluppo dell’interlingua


Chiamiamo interlingua il sistema linguistico utilizzato da qualsiasi ap-
prendente di una qualsiasi lingua seconda. Questa fortunata etichetta, pro-
posta più di quattro decenni fa da Selinker (1972) e ormai comunemente
adot- tata nel lessico acquisizionale e glottodidattico (si veda il volume
dedicato ai quarant’anni di interlanguage da Han, Tarone, 2014), riassume
efficacemente le due caratteristiche fondamentali del costrutto cui si
riferisce: la sistema- ticità, tipica di tutte le lingue, e la transitorietà.
L’interlingua, infatti, è un sistema dotato di regole come le lingue naturali,
ma è fortemente instabile, perché è in continua evoluzione. La nozione di
interlingua cerca insomma di:
dare conto del fatto che le produzioni di un apprendente non costituiscono un’accozzaglia di frasi
più o meno devianti, più o meno costellate di errori, ma un sistema governato da regole ben precise,
anche se tali regole corrispondono solo in parte alla lingua d’arrivo (Pal- lotti, 1998: 21).

Vi sono caratteristiche comuni a tutte le interlingue e tratti che invece sono


peculiari di alcune popolazioni di apprendenti, o addirittura di ciascun
15
1. IMPARARE SENZA STUDIARE, STUDIARE SENZA IMPARARE

16

individuo. Ciò dipende dal fatto che allo sviluppo dell’interlingua


contribu- iscono da un lato meccanismi neurolinguistici e strategie
cognitive uguali per tutti gli esseri umani, e dall’altro fattori contestuali
che variano secondo le esperienze personali. Ne consegue che tutti gli
apprendenti percorrono de- terminate tappe per acquisire la lingua
seconda, ma lo fanno con tempi e ri- sultati anche molto diversificati.
1.2.1 Fenomeni e tappe comuni
Un fenomeno che accomuna tutte le interlingue nelle fasi iniziali, anche se
in misura diversa da un individuo all’altro, è il silenzio. All’inizio del
percorso acquisizionale, l’apprendente tende a non produrre lingua, anche
perché non sarebbe in grado di farlo. Il suo compito, in questa fase, è
soprat- tutto quello di raccogliere dati e informazioni sulla lingua che deve
impa- rare, di cominciare a capire quali sono i meccanismi che la regolano.
Come fosse un detective, l’apprendente cerca di ottenere il maggior
numero possi- bile di indizi per svelare il mistero della lingua obiettivo, e
per farlo si serve dell’input (cfr. capitolo 2), ossia di tutti i campioni di L2
– in forma orale o scritta – che ha a disposizione: conversazioni tra parlanti
nativi, programmi televisivi e radiofonici, annunci ferroviari, cartelloni e
volantini pubblicitari, giornali, libri ecc. Il lavoro di indagine e
ricostruzione del sistema linguistico è lungo e complesso. Occorre
segmentare la catena fonica (dove cominciano e dove finiscono le parole
nel flusso continuo del parlato?) e associare forme e funzioni, ossia
attribuire significati alle parole, alle loro variazioni morfolo- giche e alle
loro combinazioni.
Naturalmente, il nostro detective non rimane in silenzio fino al termine del
lavoro, ma comincia a formulare ipotesi e a sottoporle a verifica, avventu-
randosi in qualche tentativo di produzione in L2. In questa fase,
l’interlingua è costituita in buona misura da lessemi, cioè elementi privi di
flessione e non assegnabili ad alcuna classe morfologica (Bettoni, 2001:
56), e da formule fisse. Le formule sono espressioni che vengono apprese
come pezzi interi non analizzati, sebbene nella lingua d’arrivo siano
costituite da più componenti. Anche i parlanti nativi utilizzano sequenze
formulari, come per esempio non lo so o mi scusi, ma, a differenza degli
apprendenti, sono generalmente in grado di analizzarle nei loro elementi
costitutivi (con alcune eccezioni: si pensi a grafie errate come *daccordo
[d’accordo] o *apposto [a posto], piuttosto comuni in varietà semicolte
dell’italiano, che rivelano come agli scriventi non risulti trasparente la
natura formulare delle espressioni).
Accanto alle formule, nell’interlingua di queste fasi iniziali compaiono
alcuni enunciati più creativi costituiti da poche parole (o meglio da quei
les- semi cui abbiamo accennato poco sopra), e caratterizzati da importanti
fe-
IPNICPCUOTL, AOUECTOPULOTGEIAINDTEGRLAIZSIOTUNDEINLELTLT’IENRSAERGINAMENTO DELLE
LINGUE
nomeni di semplificazione sia strutturale sia semantica. Rientrano tra i
fenomeni di semplificazione tipici di questa fase iniziale dell’interlingua
l’as- senza o la riduzione delle marche morfologiche e la prevalenza delle
parole di contenuto rispetto a quelle di funzione, come nell’esempio (1), il
ricorso a un ordine pragmatico, invece che sintattico, delle parole, come in
(2), e l’o- missione di parole che possono essere sostituite da informazioni
contestuali, come in (3). Gli esempi (1) e (3) sono ripresi da R. Ellis (2008:
80); l’esempio (2) da Andorno et al. (2003: 130).
(1) (2)

(3)

clean floor (= Give me something for cleaning floors)



adesso – la + *geography* – adesso Kasala non Sudan + non Eritrea (= per quanto riguarda la
geografia, adesso Kasala non è in Sudan e non è in Eritrea)

ein junge ball weg (= Ein Junge wirft den Ball weg)

In una fase successiva inizia il processo di “grammaticalizzazione” (o


“messa in grammatica”) del materiale linguistico acquisito
dall’apprendente. Molta della letteratura sull’acquisizione delle seconde
lingue è dedicata pro- prio all’emersione e allo sviluppo della grammatica
nell’interlingua, secondo due prospettive complementari: da un lato si
cerca di individuare l’ordine in cui diversi elementi grammaticali vengono
acquisiti (cfr. il filone dei cosid- detti morpheme studies sviluppatosi a
partire dagli anni ’70 del Novecento), come esemplificato nella tabella 1, e
dall’altro si ricostruiscono le sequenze degli stadi di realizzazione di un
medesimo elemento grammaticale (si ve- dano gli studi sulle sequenze di
acquisizione, fiorenti soprattutto dagli anni ’90), come nel caso molto noto
della negazione in inglese, sintetizzato nella tabella 2.
1. IMPARARE SENZA STUDIARE, STUDIARE SENZA IMPARARE

Morfema

Esempio

-ing

she’s playing

plural

girls
be copula

she is happy

be ausiliare

she is going

articolo

the girl and the boy

passato irregolare

she left

passato regolare

they arrived

-s terza persona singolare

she reads

-s possessivo

the boy’s toy

Tab. 1. L’ordine naturale per l’acquisizione dell’inglese L2 secondo Krashen (1977); lo schema è
tratto da Bettoni (2001: 79).

17

IPNICPCUOTL, AOUECTOPULOTGEIAINDTEGRLAIZSIOTUNDEINLELTLT’IENRSAERGINAMENTO DELLE


LINGUE

Stadio

Descrizione

Esempio

Negazione esterna (per es. “no” o “not” viene messo all’inizio dell’enunciato).

No you are playing here.

2
Negazione interna (per es. “no”, “not” o “don’t” viene messo tra il soggetto e il verbo
principale).

Marianna not coming today.

Fusione della negazione con i verbi modali.

I can’t play that one.

Fusione della negazione con il verbo ausiliare come nella regola della lingua d’arrivo.

She didn’t believe me. He didn’t said it.

Tab. 2. Sintesi degli stadi nella sequenza di acquisizione per la negazione in inglese L2; lo schema è
tratto e adattato da Ellis (2008: 93).

Al di là dei risultati delle singole ricerche e dei numerosi interrogativi che


restano ancora aperti, ciò che possiamo ricavare a livello generale da
questa vasta letteratura è che lo sviluppo grammaticale delle interlingue
avviene se- condo schemi regolari e in larga misura prevedibili. E sebbene
questi schemi evolutivi siano specifici di ogni lingua bersaglio (la
sequenza della negazione inglese che abbiamo visto sopra non si potrebbe
ritrovare nell’interlingua di un apprendente dell’italiano, per il semplice
fatto che la negazione in italiano segue regole diverse dall’inglese), i
principi che li determinano possono essere ricondotti a meccanismi e
strategie universali. Gli studi sulle sequenze acqui- sizionali hanno quindi
portato a delineare anche uno schema generale di svi- luppo grammaticale
in L2 (quello proposto dalla Teoria della processabilità, cfr. Bettoni, Di
Biase, 2015 per la più recente panoramica sull’argomento), che è fi- nora
risultato applicabile a numerose lingue obiettivo tipologicamente anche
molto diverse. A titolo esemplificativo riportiamo le sequenze
acquisizionali ipotizzate dalla Teoria della processabilità per la morfologia
dell’italiano e per quella del giapponese (tabelle 3 e 4). Rimandando alla
bibliografia segnalata per l’illustrazione delle tabelle nel contesto della
Teoria, ci basti qui osservare come le prime due colonne risultino uguali
nelle due tabelle – perché le procedure attivate dagli apprendenti di
italiano e giapponese L2 e il conseguente stadio morfologico sono gli
stessi –, mentre cambiano le strutture grammaticali e i re- lativi esempi,
che sono ovviamente specifici di ciascuna lingua.
Procedura

Stadio morfologico

Struttura

Esempio

procedura interfrasale

morfologia interfrasale

Marca del congiuntivo nelle subordinate

immagino siano partiti

procedura frasale

morfologia intersintag- matica

NPtop Clobji AUX V-toi NPsubj

NPtop Clobji V NPsubj NPsubj AUX V-to

NPsubj COP aggettivo predicativo

i chi li ho comprati io i chi li compro io



i bimbi sono partiti

i bimbi sono buoni

18

1. IMPARARE SENZA STUDIARE, STUDIARE SENZA IMPARARE

Procedura

Stadio morfologico

Struttura

Esempio

procedura sintagmatica

morfologia del SV

morfologia del SN

AUX V-to

COP aggettivo predicativo N aggettivo

sono usciti sono buoni bambini buoni


procedura categoriale

morfologia lessicale

marca di persona sul verbo marca di passato sul verbo marca di plurale sul nome

mangiare vs. mangio mangia vs. mangiato bambino vs. bambini

accesso lessicale

forme invariate

singole parole formule

no lavoro

mi chiamo Karim

Tab. 3. Stadi di sviluppo morfologico per l’italiano L2 secondo la Teoria della processabilità
(adattata da Bettoni, Di Biase, 2015: 121).

Procedura

Stadio morfologico

Struttura

Esempio

procedura interfrasale

morfologia interfrasale

gen su SUBJ nella frase che modi ca N

Kumiko-no sotugyosita daigaku-ga Setagaya-ni arimasu



[l’università presso la quale si è laureata Kumiko è Setagaya]

procedura frasale

morfologia intersintag- matica

marca di caso non canonica in costruzioni come passivo, causativo, benefattivo

sakana-ga neko-ni tabe- rare-masita



[il pesce è stato mangiato dal gatto]

procedura sintagmatica

morfologia del SV

morfologia del SN

N-gen N

V-te-V (V-comp V)
inu-no namae

[il nome del cane]

hanasi-te mimasu

[I try speaking (to them)]

procedura categoriale

morfologia lessicale

marca di caso su N, per es., alternanza nom / acc

essione verbale, per es. alternanza presente / passato

sensei-ga / sensei-o [maestro]

tabe-masu / tabe-masita [mangio / ho mangiato]

accesso lessicale

forme invariate

singole parole formule

oisii [squisito] arigatoo [grazie]

Tab. 4. Stadi di sviluppo morfologico per l’italiano L2 secondo la Teoria della processabilità
(adattata da Bettoni, Di Biase, 2015: 153).

Durante tutto il percorso dello sviluppo grammaticale gli apprendenti


producono spesso forme scorrette dal punto di vista del parlante nativo. Gli
errori dell’interlingua sono frutto di ipotesi sbagliate sul funzionamento
della lingua target e rappresentano spie molto interessanti di ciò che
l’appren- dente sta elaborando nel tentativo di ricostruire il sistema della
L2. Dunque gli errori, se accuratamente analizzati e interpretati, possono
rivelarci alcuni
19

20

aspetti della “grammatica dell’interlingua” di un apprendente in un dato


momento. Per esempio, se un apprendente di italiano L2 a un certo punto
produce l’espressione *ragazze elegante, possiamo pensare che nella
gramma- tica della sua interlingua in quel momento esista una regola che
suona più o meno così: “quando un nome finisce con ‘e’ anche l’elemento
che lo accom- pagna finisce con ‘e’”. Non si tratta ovviamente di una
regola corretta nei ter- mini della grammatica dell’italiano, ma indica
comunque un avvicinamento alla norma della lingua obiettivo, nella quale
nome e aggettivo devono essere accordati per genere e numero, e dove
questo accordo si manifesta in molti casi (anche se non in tutti) tramite la
presenza della medesima vocale finale negli elementi accordati.
Questo esempio ci porta a riflettere su un altro elemento importante che
caratterizza lo sviluppo grammaticale dell’interlingua, ossia la differenza
tra l’emersione di una determinata struttura nel sistema linguistico
dell’appren- dente e il suo uso accurato secondo le norme della lingua
d’arrivo. Accade in- fatti spesso che chi sta imparando una seconda lingua
cominci a utilizzare una struttura ma non la usi in modo corretto, o che
comunque non lo faccia in tutti i contesti. Lo stesso apprendente
dell’esempio precedente potrebbe produrre anche espressioni come
ragazze belle e ragazza bella: le regole che de- finiscono l’alternanza
singolare/plurale e l’accordo tra nome e aggettivo ri- sulterebbero dunque
emerse nella sua interlingua, ma non accuratamente applicate a tutti i
contesti lessicali che le richiedono. Non solo: il nostro ap- prendente
potrebbe anche produrre, nello stesso momento e in situazioni co-
municative analoghe, sia ragazze belle sia *ragazze belli: questo tipo di
varia- zione libera (cfr. Pallotti, 1998 e Pallotti et al., 2010 per una
discussione sulle diverse manifestazioni della variabilità nell’interlingua) è
molto frequente nei sistemi linguistici in evoluzione ed è una spia della
loro instabilità e per- meabilità al cambiamento. Vediamo in (4) un
esempio di questa variazione li- bera in un estratto dell’intervista a una
ragazza ghanese che vive in Italia da un anno (tratto da Pallotti 2005).
(4) Florence risponde alla domanda “ti ricordi un argomento di scienze che studiavate in Ghana?”
Scienze? (eamo) studiato erba come erba come quando c’è autunno come fai albero diventa tutto
cade giù perché è autunno. Quando c’è estate diventa tutto caldo fre- non c’è flesco non c’è aria per
dormile bene. Ma però in Ghana il nostro tempo c’è piove e caldo come qui ma però non c’è neve
in Ghana allora non c’è non facciamo troppo freddo. (Insomma) piove che non facciamo freddo. E
quando io quando c’è quando sta piovendo io sempre va fuori fa la doccia. Che vado vado in giro.
Che mi- che mi piace che quando c’è sta piovendo faccio un giro. Sì quando io la sette nove anni,
ma quando io ho la dieci anni mica fatto questa cosa più. E in Ghana abbiamo un frutto che si
chiama mango. Mango è che è un albero frutt che noi mangiamo.

IPNICPCUOTL, AOUECTOPULOTGEIAINDTEGRLAIZSIOTUNDEINLELTLT’IENRSAERGINAMENTO DELLE


LINGUE
In questo monologo la ragazza, a distanza di poche parole, usa dapprima le
forme di terza persona singolare va e fa, ma riferite a un soggetto di prima
persona (io sempre va fuori), e poi quelle di prima persona vado e faccio,
ri- spondenti a quanto richiesto in quel contesto dalla lingua bersaglio.
Inoltre, sempre all’interno del medesimo contesto comunicativo e a
distanza molto ravvicinata, mostra di saper utilizzare correttamente la
prima persona plu- rale dell’indicativo per riferirsi alla collettività delle
persone che vivono in Ghana (abbiamo un frutto e che noi mangiamo), ma
anche di sovraestenderla a contesti nei quali non risulta accettabile, come
nel caso di non facciamo troppo freddo, espressione prodotta tra l’altro a
poca distanza dalla versione target-like non c’è flesco [fresco]. Non
possiamo quindi dire che Florence non conosca la coniugazione del
presente indicativo o l’associazione tra soggetto e desinenza verbale, ma
neppure che utilizzi accuratamente e sistematicamente queste regole
secondo la norma prevista dalla lingua obiettivo.
Quella che abbiamo fin qui illustrato ed esemplificato con il caso di Flo-
rence è la tipica variabilità che si riscontra all’interno di ogni sistema inter-
linguistico, e quindi dei singoli individui che apprendono la L2. Ora
discute- remo invece un altro tipo di variabilità, ossia quella
interindividuale.
1.2.2 Elementi di variabilità interindividuale
Come abbiamo anticipato introducendo il concetto di interlingua, seb-
bene tutti, nell’imparare una lingua seconda, seguano il percorso sintetiz-
zato nel paragrafo precedente, si osservano differenze anche notevoli tra
un apprendente e l’altro: alcuni sono più veloci di altri, alcuni raggiungono
ri- sultati migliori di altri, alcuni manifestano in ogni fase di sviluppo
maggiore accuratezza di altri. I fattori che concorrono a determinare questa
variabilità sono molteplici, e non abbiamo la pretesa di presentarli tutti.
Cercheremo però di mettere in luce i principali, raggruppandoli secondo
una prospettiva funzionale all’interesse prevalentemente didattico di
questo volume: da un lato quelli che l’insegnamento non può modificare,
dall’altro quelli che in- vece, come vedremo meglio nel resto del libro,
possono essere controllati e manipolati tramite l’insegnamento.
Tra i fattori di variabilità appartenenti al primo gruppo prendiamo in
considerazione l’età in cui si comincia a entrare in contatto con la L2 e la
di- stanza tipologica tra la L1 e la L2; accenneremo poi brevemente anche
a tutto quell’insieme di elementi che risultano strettamente legati alla
personalità del singolo apprendente (motivazione, attitudine, stile
cognitivo ecc.) e, di conseguenza, particolarmente sfuggenti e difficili da
identificare e misurare. Abbiamo detto che con l’insegnamento non si può
direttamente intervenire su questi fattori per modificarli, ma ciò non
significa che nell’ambito di un
21
1. IMPARARE SENZA STUDIARE, STUDIARE SENZA IMPARARE

22

eventuale intervento didattico essi vadano ignorati, anzi: è comunque utile


e opportuno che se ne tenga conto, sia per selezionare gli obiettivi, i
materiali e le attività più adatti sia per analizzare più consapevolmente i
comportamenti linguistici degli apprendenti.
È opinione diffusa che per imparare bene una lingua seconda sia con-
sigliabile cominciare il prima possibile. Del resto, osserviamo spesso come
nelle famiglie immigrate siano i più piccoli a raggiungere livelli di compe-
tenza più elevati nella lingua del Paese ospitante. Naturalmente, in questi
casi, all’età biologica potrebbero affiancarsi altri fattori di vantaggio, come
la motivazione o il tempo a disposizione, che concorrono a favorire lo
sviluppo della L2. In effetti, il ruolo dell’età nell’acquisizione della L2 è
stato ed è tuttora oggetto di ampio dibattito, e le posizioni non sono
concordi (per una panora- mica degli studi sull’argomento cfr. per esempio
Birdsong, 2006). Tuttavia, i risultati della ricerca portano nel complesso a
ritenere che esista un’età “cri- tica” determinata dallo sviluppo
neurofisiologico dell’essere umano: chi entra in contatto con la L2 prima
di tale soglia raggiunge livelli di competenza su- periori rispetto a chi
inizia l’acquisizione dopo, e la differenza si manifesta più evidente in certi
aspetti della competenza linguistica (per esempio, in quello fonologico
decisamente più che in quello sintattico). Torneremo breve- mente su
questo argomento più avanti, al § 1.3.
Fino alla fine degli anni Cinquanta del Novecento si pensava che le abi-
tudini linguistiche della L1 influissero pesantemente sul processo di acqui-
sizione della L2 e che tutti gli errori commessi dagli apprendenti fossero
una conseguenza diretta delle differenze strutturali tra la lingua madre e
quella da imparare (è la cosiddetta Ipotesi contrastiva, cfr. Lado, 1957).
Questa po- sizione è stata superata da diversi decenni, ed è ormai opinione
condivisa che molti degli errori osservabili nelle interlingue siano il frutto
delle ipo- tesi formulate mentre si cerca di ricostruire il sistema della
lingua d’arrivo (cfr. § 1.2.1). Oggi si ritiene che la L1 agisca in modo
indiretto sul processo di acquisizione, ostacolando o favorendo la
formulazione di ipotesi corrette sul funzionamento della lingua obiettivo:
maggiore è la distanza tipologica tra la L1 e la L2, maggiori sono le
probabilità che l’apprendente, influenzato dalla lingua nativa, formuli
ipotesi non corrette sulla lingua da apprendere e debba pertanto fare
numerosi tentativi prima di ricostruire il sistema della L2. Una notevole
distanza tra L1 e L2 può quindi tradursi in un prolunga- mento dei tempi di
acquisizione e, viceversa, la vicinanza tra le due lingue può accelerare il
processo.
Che le caratteristiche della personalità incidano sui tempi e sui risultati
dell’acquisizione di una lingua seconda appare tanto scontato quanto
difficile da provare per mezzo di studi scientifici. Fattori quali la
motivazione, l’in- telligenza, l’attitudine, l’ambiente culturale, lo stile
cognitivo e le strategie
IPNICPCUOTL, AOUECTOPULOTGEIAINDTEGRLAIZSIOTUNDEINLELTLT’IENRSAERGINAMENTO DELLE
LINGUE

di apprendimento hanno sicuramente un peso non trascurabile nel deter-


minare differenze tra un individuo e l’altro in relazione al processo di
acqui- sizione della L2. Tuttavia, la definizione e la misurazione di queste
caratte- ristiche individuali rappresentano un ostacolo enorme
all’individuazione di un nesso chiaro e definito con lo sviluppo
interlinguistico. Come ricorda Bet- toni (2001: 168),
se la relazione tra le variabili linguistiche e quelle extralinguistiche è stata provata, ri- mane incerta
la direzione tra la causa e l’effetto, come nel caso della motivazione e delle strategie di
apprendimento: sono la forte motivazione e l’oculato uso delle strategie che portano al successo
linguistico, o è il successo linguistico che aumenta la motivazione e incoraggia/permette la messa in
atto delle strategie?
Passando a trattare i fattori di variabilità che si possono manipolare con
l’insegnamento, prendiamo in considerazione il grado di esposizione
all’input e le opportunità di partecipazione a interazioni verbali.
L’esposizione all’input è condizione essenziale per l’acquisizione di una
lingua seconda. I meccanismi che abbiamo rapidamente illustrato nei pa-
ragrafi precedenti non potrebbero avere luogo in assenza di input, ovvero
senza tutti gli esempi di L2 con cui l’apprendente viene in contatto, in
forma sia orale sia scritta. Appare dunque evidente come coloro che sono
massic- ciamente esposti all’input abbiano maggiori possibilità di acquisire
rapi- damente la lingua target rispetto a coloro che ricevono input in
misura più modesta. E non è solo una questione di quantità: più ampia è la
varietà di si- tuazioni e di contesti comunicativi che l’apprendente ha a
disposizione per formulare e verificare le sue ipotesi sul funzionamento
della L2, più sarà age- volato il suo compito di ricostruire il sistema
linguistico che sta imparando. In altre parole, occorre che l’input sia vario,
oltre che abbondante.
Generalmente, nei contesti di acquisizione spontanea, l’input è rappre-
sentato da “pezzi” di lingua non espressamente progettati per essere
elaborati e compresi da parlanti non nativi (cfr. § 2.3.3): per esempio,
trasmissioni e ré- clame alla TV, alla radio e sui siti internet, annunci vari
in luoghi pubblici, cartelloni e volantini pubblicitari, giornali, moduli ecc.
Vi sono però anche alcuni casi in cui viene prodotto un input
specificamente destinato a par- lanti non nativi, come quando i parlanti
nativi usano una varietà linguistica semplificata perché sanno di avere di
fronte un interlocutore con cui non condividono la lingua madre. Si tratta
del cosiddetto foreigner talk (Ferguson, 1971), che di solito si caratterizza
per un eloquio più lento rispetto a quello abi- tuale, un’articolazione più
chiara, un volume più alto, una sintassi limitata a frasi brevi e semplici, e
un lessico di base privo di espressioni idiomatiche e gergali (cfr. § 2.1).
Sebbene l’uso del foreigner talk abbia risvolti talvolta ridi-
23
1. IMPARARE SENZA STUDIARE, STUDIARE SENZA IMPARARE

IPNICPCUOTL, AOUECTOPULOTGEIAINDTEGRLAIZSIOTUNDEINLELTLT’IENRSAERGINAMENTO DELLE


LINGUE
coli o addirittura offensivi, la sua importanza nel processo di
apprendimento delle lingue è cruciale: essere esposti a maggiori o minori
quantità di input modificato, o a un input modificato in modo più o meno
corretto, può influire sul processo di acquisizione della lingua seconda.
Ma l’input non è solo modificabile in modo unilaterale: è anche negozia-
bile. Nel corso di uno scambio verbale tra parlante nativo e non nativo, en-
trambi i partecipanti tendono a chiedere chiarimenti o a produrre sponta-
neamente riformulazioni, autocorrezioni, ripetizioni ecc., specialmente se
si verificano intoppi o dubbi di comprensione. Vediamo un paio di esempi
(tratti da Nuzzo, 2007)2:
. (5)  PNN: eh so che tu lavori vicino alla casa alla casa della padrona # del mio appartamento
# ehnonlosositulepuòportareil#el##elimpegnono

PN: l’assegno?

PNN: el assegno el assegno per pagare l’affitto? 

[...] 


. (6)  PN: ieri ho hai ho visto che hai fatto questa festa e vicino allo stereo c’erano alcuni miei
cd a cui sono affezionato ch’erano un po’ in disordine

PNN:oh#ahsì?

PN:sì 

PNN: sì abbiamo ascoltato un po’ di di tui eh cd perché sono troppo buoni e

PN: son belli

PNN: sì e spero che non ti ti fa fastidio.

PN: no infatti non mi dà fastidio semplicemente se la prossima volta li mettete a posto poi
dopo che li avete sentiti 

[...] 

Nel primo caso l’esitazione della parlante non nativa (PNN) spinge
l’inter- 


locutrice nativa (PN) a fornire un suggerimento (l’assegno?); nel secondo,


in- vece, il parlante nativo “corregge” due volte, con delle riformulazioni
proba- bilmente quasi inconsapevoli, le scelte lessicali della sua
interlocutrice non nativa, anche se non ci sono stati veri e propri ostacoli
alla comprensione.
I riaggiustamenti prodotti o suggeriti dal parlante più esperto offrono al
meno esperto l’opportunità di notare la mancata coincidenza tra la forma
prodotta (errata, inesatta o incompleta) e quella attesa, fornendo al tempo
stesso un “buon modello” che risponde immediatamente alle esigenze
espressive dell’apprendente. In altre parole, l’apprendente di fronte alla re-
24

2. In questa trascrizione e nella successiva il simbolo # indica una pausa breve e ## una pausa
media.

azione dell’interlocutore è indotto a capire che il proprio pensiero avrebbe


potuto essere espresso meglio e a confrontare subito la propria produzione
verbale con quella, verosimilmente più appropriata, proposta dal parlante
esperto. Dunque il lavoro di negoziazione, oltre a favorire il successo della
co- municazione rendendo più comprensibili parti di input che non lo
erano, ha delle ricadute positive sull’acquisizione della L2. Questo non
significa ovvia- mente che comprensione e acquisizione siano la stessa
cosa: la comprensione si riferisce a un singolo evento, mentre
l’acquisizione riguarda uno stato per- manente (si veda il capitolo 2 per un
ulteriore approfondimento di questa di- stinzione in riferimento al ruolo
dell’input). Significa piuttosto che la nego- ziazione induce l’apprendente a
notare strutture della lingua bersaglio sulle quali magari non avrebbe
fermato la sua attenzione se le avesse solo sentite, insieme a molte altre,
all’interno dell’input. Il feedback dell’interlocutore lo aiuta cioè a
verificare rapidamente le ipotesi sul funzionamento di una certa struttura
che aveva messo alla prova producendo il suo enunciato.
C’è un altro aspetto dell’interazione che la rende così preziosa per l’acqui-
sizione della seconda lingua, e cioè la necessità di produrre output.
Quando cerchiamo di capire l’input che riceviamo, spesso possiamo
affidarci anche solo a indizi semantici, interpretando il significato delle
frasi senza fare ne- cessariamente ricorso a conoscenze morfosintattiche.
Per esempio, se co- gliamo in un discorso le parole gatto, mangia e pesce,
indipendentemente dall’ordine e dalla forma in cui compaiono
probabilmente interpretiamo l’e- nunciato come Il gatto mangia il pesce.
Se invece dobbiamo produrre lingua – e nel corso di un’interazione siamo
sostanzialmente obbligati a farlo – la situazione cambia, perché per cercare
di rendere il più possibile comprensi- bile il nostro output siamo spinti a
“grammaticalizzare” le parole. Secondo la studiosa che per prima ha
sottolineato l’importanza dell’output nell’acqui- sizione (Swain, 1995), la
fase di produzione orale può forzare l’apprendente a passare da una
processazione semantica a una sintattica. Usare la L2 per dire qualcosa,
quindi, non serve solo a mettere in pratica conoscenze linguistiche già
acquisite, ma anche a “forzare” la propria competenza linguistica al fine di
rendere comprensibile quello che esce dalla nostra bocca (torneremo più
approfonditamente su questi temi al capitolo 3).
In conclusione, oltre che dalla possibilità di essere esposti a un input ricco,
vario e modificato al punto giusto, esiti diversi nell’acquisizione pos- sono
dipendere anche dalle opportunità di partecipare a scambi verbali – spe-
cialmente con parlanti più esperti – che consentono di ricevere feedback e
di essere indotti a produrre output.
Ricapitolando quanto abbiamo visto finora, è possibile – e accade a molte
persone – imparare una lingua diversa da quella materna in modo
spontaneo, usandola. I meccanismi cognitivi che sono alla base di questo
processo di ac-
25
1. IMPARARE SENZA STUDIARE, STUDIARE SENZA IMPARARE

26

quisizione spontanea sono sempre attivi quando impariamo un’altra lingua,


anche se lo facciamo a scuola, ed è quindi opportuno conoscerli per capire
come su di essi agisce l’insegnamento, e come potrebbe agire meglio. Lo
svi- luppo dell’interlingua segue alcune tappe che sono uguali per tutti gli
ap- prendenti, ma è anche caratterizzato da notevole variabilità nei tempi e
nei risultati. La variabilità dipende da numerosi fattori, alcuni intrinseci
all’in- dividuo che impara (l’età, la L1, la personalità), altri legati al
contesto, come l’esposizione all’input e le opportunità di interagire con
altri parlanti rice- vendo feedback e producendo output. Questi fattori
possono essere “manipo- lati” mediante l’intervento didattico, che risulta
così in grado di potenziare e ottimizzare i meccanismi naturali di
acquisizione.

1.3 L’apprendimento guidato


Gli studiosi sono ormai relativamente concordi nel ritenere che l’insegna-
mento della L2 consenta di raggiungere risultati migliori di quelli che si ot-
tengono mediante l’acquisizione spontanea – almeno per quanto riguarda
gli apprendenti adolescenti e adulti –, soprattutto in termini di rapidità e di
ri- sultato finale (cfr., tra i molti contributi sul tema, Long, 1983; Norris,
Ortega, 2000; Doughty, 2003). In altre parole, grazie all’insegnamento è
possibile ac- celerare il percorso acquisizionale e ottenere livelli di
competenza e di accu- ratezza vicini a quelli dei parlanti nativi, evitando o
riducendo il rischio di stabilizzazione, o fossilizzazione (Long, 2003
suggerisce di sostituire il con- cetto di stabilizzazione a quello – più
definitivo e a suo parere scientifica- mente meno fondato – di
fossilizzazione, proposto da Selinker, 1972 e ampia- mente diffuso in
letteratura). È stato infatti notato come negli apprendenti spontanei,
specialmente se esposti alla L2 per la prima volta in età adulta,
l’interlingua tenda spesso a evolvere soltanto fino a un certo livello per poi
stabilizzarsi, benché non abbia percorso interamente le sequenze di
sviluppo grammaticale o non abbia raggiunto un grado di accuratezza
morfosintat- tica, fonologica e lessicale che possa far considerare concluso
il percorso ac- quisizionale. Possiamo osservare esempi concreti di questo
fenomeno in molti cittadini immigrati che vivono da tempo in Italia e che,
nonostante il contatto prolungato con la lingua obiettivo, continuano a
utilizzare una va- rietà fortemente semplificata dell’italiano.
Il tema della stabilizzazione è complesso e delicato, sia perché risulta diffi-
cile da indagare sia perché implica il riferimento a concetti sfuggenti e a
que- siti ancora irrisolti, o forse addirittura impossibili da risolvere:
quando dob- biamo ritenere concluso il percorso acquisizionale, ossia,
quando possiamo
IPNICPCUOTL, AOUECTOPULOTGEIAINDTEGRLAIZSIOTUNDEINLELTLT’IENRSAERGINAMENTO DELLE
LINGUE

dire che un apprendente ha finito di imparare la L2? Forse nel momento in


cui diventa indistinguibile da un parlante nativo di quella lingua? Ma
siamo sicuri che il parlante nativo debba essere considerato il modello,
l’obiettivo da raggiungere – in termini di competenza linguistica – per
l’apprendente? Ed eventualmente, a quale parlante nativo possiamo
riferirci nell’ampia varietà sociolinguistica che caratterizza ogni comunità
di parlanti? Non possiamo né vogliamo discutere qui questioni tanto
spinose. Tuttavia, sarà opportuno tenerne conto via via che
approfondiremo il ruolo dell’insegnamento nell’ap- prendimento della L2.
1.3.1 Vincoli di insegnabilità
Prima di procedere nella discussione su come e perché l’insegnamento
offra la possibilità di ottenere risultati migliori nell’apprendimento di una
lingua seconda rispetto all’acquisizione spontanea, occorre soffermarsi su
una considerazione tanto sgradevole quanto evidente: non è detto che
l’inse- gnamento sia sempre efficace. Anzi, sono piuttosto frequenti i casi
di scarso successo nell’insegnamento delle lingue straniere. Da che cosa
dipendono?
Alla base di un intervento didattico poco efficace vi è spesso il mancato
rispetto dei vincoli naturali di apprendibilità: se per imparare una lingua
dobbiamo percorrere determinate tappe uguali per tutti (cfr. § 1.2.1),
forzare queste tappe cercando di insegnare cose per cui gli apprendenti non
sono an- cora “pronti” può risultare inutile, se non dannoso. Questo
concetto è stato formalizzato nella cosiddetta Ipotesi dell’insegnabilità
(Pienemann, 1984; 1985; 1986; 1989): l’insegnamento risulta efficace solo
se verte su strutture linguistiche dello stesso livello, o di un livello appena
superiore, rispetto a quelle già sviluppate dall’apprendente. Tra le variabili
che incidono sul suc- cesso dell’intervento didattico questa ipotesi
considera dunque prioritaria la “prontezza acquisizionale”
dell’apprendente. Come suggerisce Bettoni (2010: 55) con una metafora
molto efficace, «[...] se uno non ha ancora imparato a stare in piedi, anche
se gli insegniamo a correre nel migliore dei modi pos- sibili, faticherà a
impararlo». Insomma, il livello di sviluppo dell’interlingua è un indicatore
prezioso della possibilità di acquisire una determinata strut- tura della
lingua obiettivo mediante l’insegnamento, e un insegnante non può
trascurarlo nel momento in cui programma un’attività didattica o valuta le
performance dei suoi allievi.
1.3.2 Vantaggi dell’insegnamento
Ritorniamo ora a quanto avevamo affermato all’inizio del paragrafo dedi-
cato all’apprendimento guidato, ovvero che l’insegnamento della L2
consente
27
Perché ci sono persone che imparano una seconda lingua
senza frequentare corsi e persone che seguono corsi per
anni senza successo?
Mentre alcune persone acquisiscono la seconda lingua
spontaneamente, per immersione nella comunità che la parla, altre
non l’apprendono neanche dopo anni d’insegnamento. Molti
studenti, sebbene abbiano studiato una lingua straniera a scuola o
all’università, non sono in grado di interagire efficacemente in
quella lingua. Quali sono i fattori che influiscono sull’apprendimento
dando luogo a esiti tanto diversi? La ricerca acquisizionale ne ha
individuati almeno tre: esposizione, uso e motivazione.
Affinché si verifichi l’apprendimento linguistico occorre che vi sia
ampia esposizione alla L2, cioè che l’apprendente riceva un input
quantitativamente e qualitativamente ricco. Krashen (1981; 1994)
sottolinea in particolare l’importanza, per l’apprendente, di essere
esposto a input comprensibile, cioè a modelli di lingua orale o
scritta nei quali compaiono strutture che appartengono a uno stadio
acquisizionale immediatamente successivo a quello in cui si trova
l’interlingua dell’apprendente. L’input proposto nella classi di lingua
straniera tende invece a essere piuttosto povero: spesso si richiede
agli studenti di leggere frasi o brevi testi, o al massimo di ascoltare
dialoghi preconfezionati. Gli unici esempi di parlato autentico in
lingua seconda sono dunque costituiti dalle istruzioni o dalle
spiegazioni dell’insegnante.
Le ricerche sull’acquisizione delle seconde lingue hanno rivelato
che, oltre all’input, anche l’output, cioè la produzione, è essenziale
nello sviluppo linguistico (e.g. Swain 1995). Utilizzare la lingua per
scopi reali, come condividere esperienze, socializzare o risolvere
problemi, permette all’apprendente di attivare e applicare le
conoscenze acquisite, favorendo uno sviluppo linguistico più rapido
e completo. Come già sottolineava Hatch (1978: 404), usando la
lingua per ottenere obiettivi extralinguistici “si impara a conversare,
si impara a interagire verbalmente, e proprio a partire
dall’interazione si sviluppano le strutture sintattiche”.
Quando un parlante non nativo interagisce con un parlante nativo,
nel corso dello scambio si verificano spesso difficoltà di
comprensione che inducono entrambi a chiedere chiarimenti e
ripetizioni, o a produrre spontaneamente riformulazioni,
autocorrezioni, semplificazioni ecc. Tutto questo lavoro di
negoziazione del significato ha ricadute positive per
l’apprendimento, perché fornisce continui feedback all’apprendente,
inducendolo a riflettere sulla lingua (Long 1996). Johnson (1995)
identifica quattro strategie utili a stimolare un’efficace interazione in
classe:
(1) creare contesti in cui gli studenti hanno motivi per utilizzare la
lingua
(2) favorire l’uso della lingua per esprimere proprie idee o opinioni
(3) accompagnare gli studenti in attività linguistiche via via più
complesse
(4) offrire opportunità di interazione in diversi contesti situazionali
Il ritmo e la qualità dell’apprendimento sono fortemente influenzati
anche dalle caratteristiche individuali, tra cui motivazione, ansia,
età, stile cognitivo ecc. Ci concentriamo qui in particolare sulla
motivazione, un costrutto complesso al quale hanno dedicato la loro
attenzione diversi studiosi che si occupano di acquisizione delle
seconde lingue. Skehan (1989) identifica quattro tipi fondamentali
di motivazione:
(1) quella intrinseca, che dipende dall’interesse o dal piacere
dell’apprendente verso l’attività che sta svolgendo
(2) quella risultativa, che deriva dal successo
(3) quella interna, cioè data a priori
(4) quella “del bastone e della carota”, sulla quale influiscono
soprattutto stimoli e interventi esterni
Queste riflessioni sulla motivazione suggeriscono che nella pratica
didattica è essenziale selezionare temi adatti all’età e agli interessi
degli studenti, nonché predisporre attività che rispecchino i loro
bisogni di apprendimento. Inoltre, dal momento che il successo e la
soddisfazione sono elementi chiave nel sostenere la motivazione ad
apprendere, perché alle persone in genere piace fare ciò che
riescono a fare bene, nell’insegnamento è fondamentale fissare
obiettivi raggiungibili e valorizzare gli apprendimenti raggiunti. In
sostanza, come sottolinea Dörnyei (2001: 26), la motivazione può
essere garantita semplicemente migliorando la qualità del nostro
insegnamento.
Abbiamo appena visto come esposizione, uso e motivazione
influiscano significativamente sull’esito del processo di
apprendimento. In contesti di immersione queste tre condizioni di
solito sussistono naturalmente e gli apprendenti sviluppano la L2
semplicemente usandola. Tuttavia, non sempre raggiungono un alto
livello di accuratezza, perché non hanno l’opportunità di una
riflessione guidata sulle caratteristiche formali del codice. Tale
riflessione si rende infatti possibile solo tramite l’intervento
didattico.
L’insegnamento risulta dunque estremamente utile quando, oltre ad
assicurare in classe il sussistere delle tre condizioni sopra descritte
(motivazione, esposizione e uso), guida l’attenzione degli
apprendenti verso gli aspetti formali. Uno degli obiettivi di un
efficace insegnamento linguistico non può prescindere dall’aiutare
gli apprendenti innanzitutto ad imparare a osservare e di
conseguenza promuovere il loro sviluppo linguistico.

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