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1.

La prospettiva acquisizionale e le ricadute didattiche

Con acquisizione di una lingua si intende il processo per cui un individuo diventa competente
nell’uso di quella lingua per comunicare con i suoi parlanti. la capacità di acquisire una lingua è
connaturata in ogni essere umano: fin dalla prima infanzia inizia a sviluppare la capacità di
interagire con gli altri per mezzo di una o più lingue, l'acquisizione è innescata dall'esposizione a
un input grazie all'interazione tra individui🡪 acquisizione spontanea. L'acquisizione di una lingua
seconda è più difficoltosa rispetto all'acquisizione della propria L1: l'esito dell’acquisizione della
propria lingua materna sono sicuramente positivi ma gli esiti dell'acquisizione di una lingua
seconda sono variabili. Dipendono infatti da fattori interni al soggetto come lo stato cognitivo ed
emozionale durante il processo di apprendimento, e fattori esterni come il contesto e i rapporti
relazionali tra la apprendente e l'insegnante.
Lo studio della L1 e della L2 si assomigliano in quanto con la L1 si apprende un nuovo sistema
cognitivo che serve per comunicare, con la L2 si devono ristrutturare elementi organizzati
diversamente. Per cui si avranno strutture acquisiste secondo lo stesso ordine, strategie di
apprendimento simili.
La disciplina che si occupa dello studio dell'acquisizione di una lingua e la linguistica acquisizionale.
Questa e la glottodidattica vengono chiamate Second Language Acquisition (SLA) e hanno un
oggetto comune (studio dell’apprendimento delle lingue seconde) ma obiettivi differenti.
La linguistica acquisizionale si concentra sull’apprendente e si occupa di studiare i fattori che
influenzano l’acquisizione di L2, studia l’apprendimento spontaneo e ha finalità descrittive e
teoriche. La glottodidattica si concentra sull’insegnante e sull’apprendimento guidato, riflette sulle
modalità di valutare, le proposte didattiche e ha finalità più applicative e di intervento didattico.
Ma i due studi si mescolano: momenti spontanei nell’apprendimento guidato e viceversa.

L’INTERLINGUA
Concetto elaborato nel 1972 da Selinker per individuare un sistema linguistico a sé stante che
risulta dai tentativi dell’apprendente di riprodurre una norma della Lingua Obiettivo. Induce a
cercare le regole e i principi della competenza e spiega alcuni errori.
Selinker parla di 5 processi cognitivi:

1. Transfer da L1
2. Transfer of training
3. Strategie di apprendimento in L2
4. Strategie di comunicazione in L2
5. Sovrestensione di regole apprese

Distingue inoltre la L1 e la L2 per la fossilizzazione: la L2 si fossilizza ad uno stadio precedente


rispetto a quello dei nativi.
Pit Corder elabora una denominazione sinonimica a quella di interlingua: competenza transitoria
che si evolve in due processi:
- Graduale (di ristrutturazione): caratteristiche di L2 si sostituiscono a L1
- Continua (di ricreazione): complessificazione delle strutture

MODELLI
● MODELLI INNATISTI: enfatizzano il ruolo della competenza innata nell’acquisizione di una
lingua
APPROCCIO GENERATIVO DI CHOMSKY: esiste una Grammatica Universale che spiega come, a
fronte della povertà dello stimolo, un bambino acquisisca in breve tempo strutture complesse
come la sintassi. La GU si compone di principi astratti e uguali per tutte le lingue e parametri
innati, diversi. L’acquisizione di una lingua consiste nell’apprendere i principi e i valori assunti dai
parametri in una lingua + lessico.
Sistema minimalista: parametri risiedono nel lessico

MODELLO DEL MONITOR DI KRASHEN: riconduce l’acquisizione a un’elaborazione interna dovuta a


tre operatori mentali.
1. Filtro affettivo: insieme di fattori psicoaffettivi che seleziona l’input e determina ciò che
l’apprendente apprendere in base a cosa è aperto.
2. Organizzatore: elabora l’intake del filtro
3. Monitor: opera solo se c’è consapevolezza di una regola e controlla le produzioni
conformandole alle regole.

- Ipotesi dell’acquisizione/apprendimento
- Ipotesi del monitor
- Ipotesi del filtro affettivo
- Ipotesi dell’ordine naturale
- Ipotesi dell’input

● MODELLI COGNITIVI: spiegano l’acquisizione studiando ciò che accade nella mente
dell’apprendente

ACT (ADOPTIVE CONTROL OF THOUGHT) ANDERSON: L’acquisizione di una lingua è una lenta
trasformazione tra conoscenze dichiarative a conoscenze procedurali in diverse fasi (cognitiva,
associativa, autonoma)
MODELLO DELL’INFORMATION PROCESSING MCLAUGHLIN: passaggio tra processi lenti e
controllati a processi rapidi e automatici attraverso la pratica.
TEORIA DELLA PROCESSABILITA’ PIENEMANN:
concettualizzatore: elabora informazioni
formulatore: codifica il messaggio a livello grammaticale
articolatore: produce il messaggio acustico

● MODELLI COGNITIVO-FUNZIONALI

COMPETITION MODEL: l’apprendente scopre il rapporto forma-funzione grazie ad indizi nell’input


che gli permettono di ricostruire la grammatica.

● MODELLI AMBIENTALISTI: tengono conto del contesto sociolingusitico e socioculturale

MODELLO DELL’ACCULTURAZIONE E DELLA PIDGINIZZAZIONE: l’acquisizione corrisponde ad un


adeguamento alla cultura di L2 e risente di fattori come la distanza sociale. Maggiore distanza
processo simile a quello della formazione di un pidgin, meno distanza simile al creolo.

FASI DELL’INTERLINGUA

FASE DI SILENZIO: l’apprendente analizza l’input, memorizza e individua le strutture più frequenti.
È comunque attivo in una fase di presenza-assenza. È una fase importante perché permette di
vedere anche ciò che non è direttamente visibile ed ha implicazioni cognitive legate all’identità
individuale e sociale. Legata alla condizione di double bind: un individuo apprende la lingua se è
socialmente accettato dal gruppo di parlanti di quella lingua, ma è accettato solo se ha già
competenze in quella lingua. La competenza comunicativa e quella sociale sono strettamente
collegate. Inoltre, è possibile che avvenga il private speech.
🡪far partecipare il bambino anche in modo non verbale.

FASE PREBASICA:
- Enunciati brevi ed elementari
- Poche parole per esprimere concetti più ampi
- Assenza di morfologia
- Assenza di nessi sintattici e logici
- Struttura nominale
- Costruzioni fisse (non lo so)
- Avverbi per esprimere la relazione temporale (primo, adesso, dopo)
- Assenza della copula
- Assenza di parole funzione: articolo/preposizione
- Negazione espressa con particella invariabile (no io freddo)
- Poche congiunzioni (quando, perché)
- Incertezze ed esitazioni, autocorrezioni

FASE BASICA:
- Relazione con il contesto: deittici
- Più autonomo anche se telegrafico
- Poche preposizioni e articoli
- Classi di parole
- Morfologia verbale e nominale più consapevole
- Avverbi
- Coordinazione
- Relazione temporale: ordine degli eventi
- Forme non marcate
- Parole che organizzano il discorso
- Discorso scorrevole

FASE POST BASICA:


- Verbi coniugati
- Articoli e preposizioni
- Ausiliari
- Subordinate
- Riconoscimento delle desinenze
- Flusso normale anche a livello di accento

VARIETA’ AVANZATE: pronuncia e prosodia diverse dalla lingua d’arrivo

VARIETA’ QUASI NATIVE: piccole difformità a livello di organizzazione del discorso

SEQUENZE ACQUISIZIONALI
Lo sviluppo di una lingua è sistematico e non aleatorio e si manifesta per la successione di
transizioni. Sono state studiate diverse gerarchie acquisizionali che raggruppano strutture e le
organizzano implicazionalmente. Successivamente sono state elaborate sequenze acquisizionali
che determinano le diverse fasi nell’apprendimento di strutture grammaticali. Sono importanti
perché permettono di capire in quale fase si trova l’apprendente, cosa sa e sviluppare strategie di
insegnamento efficaci.
Per quanto riguarda l’italiano L2 importanti sono stati i lavori del progetto di Pavia che ha studiato
come sono espresse alcune categorie semantiche, pragmatiche e sintattiche nell’acquisizione di
italiano L2. Ha elaborato sequenze riguardo alla temporalità, modalità e genere. Il gruppo Roma-
Siena ha studiato l’acquisizione da un’ottica sociolinguistica elaborando sequenze ad esempio sui
clitici.

TEMPORALITA’
-sistema verbale molto complesso in italiano perché presenta molti morfemi che trasmettono
diverse informazioni morfologiche. Inoltre, esistono difformità rispetto all’italiano standard
(presente al posto del futuro, futuro con valori modali saranno le cinque, imperfetto con valori
modali volevo un caffè, passato prossimo al posto del passato remoto, condizionale con valore di
citazione, imperativo sostituito dal presente).

1. Assenza di elementi morfologici, espressa con:


- Mezzi lessicali (avverbi)
- Mezzi pragmatico-discorsivi (ordine degli eventi, contesto)
- Forma unica (infinito, radice)

2. Opposizione tra azioni passate concluse (-to) e presenti: questo fatto male
3. Distinzione morfologica tra azioni passate a carattere puntuale (participio) e azioni passate
a carattere durativo (imperfetto)
4. Distinzione tra fattualità e non fattualità: futuro, condizionale, congiuntivo

PRESENTE> (AUSILIARE) PARTICIPIO PASSATO > IMPERFETTO > (STARE+ GERUNDIO) FUTURO >
CONDIZIONALE > CONGIUNTIVO

MODALITA’
Epistemica (dubbi e ipotesi)
Deontica (libertà e obblighi)
Dinamica (volontà)
1. Modalità implicita: assenza di elementi linguistici che la codificano, espressa con gesti e
intonazione (domande e ordini)
2. Modalità lessicale: forme verbali fisse (penso, credo, non so) > avverbi (possibile, magari) >
verbi volere, potere, dovere
3. Modalità grammaticale: condizionale e congiuntivo

VOLERE> POTERE > DOVERE


DEONTICO> EPISTEMICO

*imperativo: 2 persona singolare di verbi -ere, -ire > 2 persona negativa > 2 persona verbi -are >
forme di cortesia

NUMERO
-prima del genere
1. omesso o espresso lessicalmente (numerali)
2. espresso dalla desinenza del nome (i> e)
3. accordo con articoli, aggettivi e verbi

GENERE
1. Pragmatica e lessicale: accordo non notato, sovraestesa la desinenza -a, uso di lui/lei
2. Morfologica: marche usate piò consapevolmente ma problematica la -e, combinazioni
semplici di sintagmi nominali, transfer da L1, accordo con l’articolo
3. Morfosintattica: accordo con aggettivi attributivi (amici italiani)
4. Morfosintattica: accordo con aggettivi predicativi (la cucina è piccola)
5. Morfosintattica: accordo tra nome e participio

PRONOME 3 PERSONA LUI/LEI > ARTICOLO > AGGETTIVO ATTRIBUTIVO > AGGETTIVO
PREDICATIVO > PARTICIPIO PASSATO

GERARCHIZZAZIONE DI FRASI COMPLESSE


Giustapposizione > connettivi > subordinate
Causali > temporali > finali > ipotetiche > concessive

La transizione tra le sequenze è molto lenta e possono esistere momenti in cui coesistono
strutture di fasi diverse.

STRATEGIE DI APPRENDIMENTO:
- Ricorso a L1
- Strategia delle parole chiave: si usano pochi elementi lessicali
- Strategie lessicali: ciò che la lingua d’arrivo esprime con morfemi liberi è espresso con
morfemi legati (plurale con numerali e non desinenze)
- Strategie isolanti: lessemi tutti invariabili
- Strategie agglutinanti: una volta riconosciuti i morfemi flessibili vengono applicati alle basi
(caderò)
- Strategie analitiche: forme perifrastiche > sintetiche (avevo credo > credevo)
- Strategie flessive: applicare morfemi flessibili
- Analogia: una regola viene estesa a tutti i contesti
- Semplificazione
- Evitamento

MARCATEZZA
secondo il modello di Chomsky della teoria generativa si ritengono marcate regole periferiche
della grammatica che si imparano solo su evidenze nell’input, non marcate regole centrali che si
apprendono anche con esposizione minima.
Nel modello degli universali linguistici di Greenberg (generalizzazioni induttive formulate a partire
da campioni di lingue) si indica un tratto meno marcato come più diffuso e meno complesso,
marcano come più complessi, appresi più tardi e fonte di errore.
TEORIA DELLA NATURALEZZA: l’acquisizione va dal naturale al marcato e la perdita va al contrario

CARATTERISTICHE DI L2
- Marcatezza relativa al singolo sistema linguistico
- Strutture meno marcate che sono le più frequenti nell’input si imparano prima
- Input formale > strutture marcate, informale > strutture semplificate.

RUOLO DI L1
Negli anni ’50 L1 aveva un ruolo centrale nell’apprendimento di L2 🡪 teoria contrastiva: errori
dove le lingue differivano.
Recentemente il ruolo di L1 è stato rivalutato a influsso interlinguistico: condizionamenti di L2 da
L1 e da altre lingue conosciute dall’individuo.
Sui transfer incidono diversi fattori:
-livello di analisi: influsso è più probabile a livello fonologico e prosodico
-livello di competenza: agisce nelle fasi iniziali nella fonologia e più tardi nella morfologia
-marcatezza: raramente si riprendono elementi di L1 marcati
-prototipicità: le forme più trasferite sono quelle più prototipiche
-distanza: transfer possibile se L1 simile a L2

RUOLO DEI FATTORI EXTRALINGUISTICI


FATTORI INDIVIDUALI
1. ETA’
Apprendere in età infantile porta ad una competenza quasi nativa, ma anche un’esposizione
abbondante entro i 15 anni porta a ottimi risultati.
Alcuni studiosi parlano di un periodo critico per l’apprendimento delle lingue e viene collocato
prima dei 12 anni. Altri lo anticipano fino ai 5 anni e altri ritengono ce ne siano di più per i vari
livelli linguistici.

2. FATTORI COGNITIVI

- Attitudine linguistica: attitudine ad apprendere con facilità le lingue. Riguarda varie abilità:
fonetica, grammatica, memorizzazione associando suoni a significati, induttiva per ricavare
regole da campioni di lingua.
- Stile cognitivo: modalità con cui si elaborano nuove informazioni.
o Stile dipendente dal campo – stile olistico
o Stile indipendente dal campo – stile analitico
- Stili di apprendimento: uditivo, visivo, tattile, cinestetico.
- Intelligenza
- Fattori affettivi e della personalità: bassi livelli di ansietà, sicurezza, autostima,
estroversione, tolleranza favoriscono l’apprendimento perché il soggetto si espone di più.
- Empatia
- Motivazione: si apprende facilmente ciò che si è motivati ad imparare.
o Integrativa: per partecipare alla vita del gruppo L2
o Strumentale: fini lavorativi o di studio, forte nel breve periodo
o Di identificazione con il gruppo sociale: abbandonare l’identità nativa per diventare
parte del gruppo L2
o Culturale: conoscere cultura e letteratura L2
o Estrinseca: ricevere ricompense e gratificazioni
o Intrinseca: interesse generale per le lingue

*motivazione alla riuscita

FATTORI SOCIOCONTESTUALI

FATTORI MACROSOCIALI

- DISTANZA SOCIALE: Schumann. Indica i rapporti tra l’apprendente e il gruppo.


Determinata da 8 fattori:
� Dominanza di un gruppo sull’altro: grande distanza

� Modello di integrazione

� Chiusura del gruppo d’origine

� Coesione interna del gruppo d’origine


� Dimensione del gruppo d’origine: grande = maggiore distanza

� Congruenza culturale tra gruppo d’origine e cultura d’arrivo= riduce la distanza

� Atteggiamenti verso gruppo d’arrivo= se sono neutrali o ostili portano maggiore


distanza
� Progetto migratorio

- DISTANZA PSICOLOGICA: individuale e data da:


� Shock linguistico

� Shock culturale

� Bassa motivazione

� Poca permeabilità dell’io

- VARIABILI SOCIALI
-età: pressioni sociali in età adulta, tra pari negli adolescenti
- sesso
- classe sociale: classe media ottiene risultati migliori e ha atteggiamenti più positivi delle classi
basse. Ma dipende dalle esperienze

FATTORI MICROSOCIALI
- Contesto di apprendimento: informale e spontaneo 🡪 acquisizione inconscia, se è guidato
e formale l’acquisizione è consapevole.
- Ruolo dell’input:
� Modello generativo: input fornisce l’evidenza positiva (modello da cui imparare) e
negativa (ciò che va corretto)
� Stampo interazionista: la quantità dell’input influisce sulla velocità di apprendimento, la
qualità incide sugli esiti.
� L’input è reso più comprensibile affiancando più modalità (scritta e orale), pause,
enunciati brevi, ritmo lento

GRAMMATICA E ACQUISIZIONE DELLA L2 – ADORNO


uno dei compiti dell’insegnante è insegnare la grammatica con l’obbiettivo di ricostruire
nell’apprendente il sistema linguistico dei parlanti nativi.
Per i nativi il sistema verbale è un insieme ordinato di forme che si può replicare per ogni lessema
ma per i non nativi l’input può risultare tutt’altro che ordinato.
Esistono due tipi di descrizione: sistematica (statica e formale, tradizionale) e procedurale
(dinamica e funzionale, più vicina all’interlingua dell’apprendente). La prima riguarda per il sistema
verbale l’organizzazione in paradigmi, modelli che raggruppano i verbi in base a caratteristiche
comuni. La seconda serve per dare una funzione, costruire e usare il verbo. sono necessarie
conoscenze di base: sapere che in italiano esiste un sistema di flessione, cioè che il verbo è una
classe di parole variabili e la variazione ha valore funzionale, per ricostruire le regole di
funzionamento del sistema flessivo occorre capire come sono costruite le forme e attribuire un
valore ad ogni forma. Le due descrizioni si integrano perché dopo aver capito come si costruiscono
le forme bisogna collegarle ad una funzione.
Esistono due modelli per la costruzione delle forme:
- Flessione sintetica (forme semplici): modificando un solo elemento che esprime più valori
(radice + desinenza. Parl-avo)
- Flessione analitica (forme composte): accostando più elementi lessicali (ausiliare + radice +
desinenza. Ho parl-ato)

Esiste un morfema TAM (Tempo Aspetto Modo) che esprime quei valori funzionali.
Parl – av – o
Ho parl- ato

TEMPORALITA’
Momento in cui si realizza l’azione
🡪temporalità deittica: come si colloca il verbo rispetto al momento dell’enunciazione. Presente,
passato, futuro

MODALITA’
Necessità e possibilità che la situazione si realizzi. Certezza (indicativo), eventualità (congiuntivo),
ipotesi

ASPETTO
Prospettiva in cui si vede l’azione, interna o esterna al suo svolgimento.
- Imperfettivo progressivo (azione nel suo svolgersi. Mangiavo quando sei arrivato)
- Imperfettivo abituale (iterazione dell’azione. Mangiavo alle 12.30 in estate)
- Perfettivo (azione conclusa. Ho mangiato quando sei arrivato)

MORFEMA DI PERSONA
Parl- av -o
Ho parl – ato
1 pers. Sing e plur 🡪 coincidenza fra agente e parlante
2 pers. Sing e plur 🡪 coincidenza fra agente e ascoltatore
3 pers sing e plur 🡪 agente diverso da parlante e ascoltatore

ELEMENTI DI COMPLESSITA’
- Forme con più valori 🡪 sono
- Valori espressi da più forme🡪 3 persona espressa da a/e
- Valori difficili da ricostruire🡪 fosse

*per verificare che l’apprendente usi una forma con una funzione specifica si può guardare se usa
la forma nel contesto giusto (participio per il passato) e si possono confrontare forme diverse dello
stesso verbo per verificare se ad ogni forma corrisponde un significato diverso.

Nell’articolo è riportato un colloquio tra un ragazzo italiano nativo e Markus che sta scoprendo il
sistema verbale italiano. Ci sono diverse forme del verbo studiare nelle fasi iniziali, fa dei tentativi
nonostante commetta errori nell’uso delle desinenze.

*percorso di ricostruzione:
FASE 1 - presente, infinito, participio (nessun valore TAM)
FASE 2 - presente, infinito (non perfettivo)
- Participio (perfettivo)
FASE 3 - infinito (futuro, intenzioni, ordini, abituale)
- presente (presente, intemporale)
- imperfetto (passato imperfettivo)
- participio (perfettivo)

Guardato dal punto di vista dell’apprendente l’apprendimento non è casuale ma il sistema viene
ricostruito per classi di forme (participio > imperfetto > futuro), classi di funzioni (perfettivo e
imperfettivo, passato e presente). Quando impara coppie di forme e funzioni le organizza in
paradigmi e le usa secondo le combinazioni più frequenti nell’input. L’insegnante dovrebbe
fungere da mediatore nel processo di ricostruzione. L’insegnante deve conoscere tutto il sistema
verbale e le sue difficoltà.

L’apprendente identifica una struttura, si accorge che esiste, la analizza e formula ipotesi. La
utilizza e verifica le proprie ipotesi, inizia ad automatizzare la struttura praticandola, rimette in
discussione le ipotesi ed infine mette a punto il sistema linguistico.
È necessario tenere conto che le capacità di attenzione sono limitate, che l’automatizzazione
consiste nell’integrazione di varie sotto procedure e deriva dall’uso ripetuto, che l’apprendimento
si basa su automatizzazione e ristrutturazione.

LE RICADUTE DIDATTICHE DELLE RICERCHE SULL’INTERLINGUA – PALLOTTI


Nell’articolo parla delle sequenze di apprendimento riguardo al genere, temporalità e articoli (il/la
> indeterminativi > accordo con aggettivo qualificativo > aggettivo predicativo > participio). Le
strutture non vengono scoperte e usate nello stesso momento, tra la scoperta, i primi tentativi e
l’uso sistematico possono passare anni.
La teoria della processabilità di Pienemann spiega le sequenze dell’interlingua sulla base di attività
acquisite e messe in atto una dopo l’altra in un ordine implicazionale.

LA VALUTAZIONE

Nelle forme di verifica tradizionale si usano esercizi metalinguistici come: volgi dal presente al
passato, orientati verso la forma, che richiedono memoria ma che non riflettono le capacità
comunicative dell’apprendente. Ci si limita inoltre a dire quanto l’apprendente si discosta dalla
norma senza tenere conto del sistema dell’interlingua, di come sta procedendo l’apprendimento.
Un elenco di errori e di mancanze non è utile al miglioramento.
*percorsi a U
Nella fase iniziale la forma corretta è fissa, imparata a memoria, nella seconda fase mostra la
consapevolezza di una regola sovrestesa.
Apprendimento mnemonico 🡪 verifica delle ipotesi 🡪 regolarizzazione della forma.

ESEMPIO
Esercizio sul plurale: ha commesso 5 errori su 8 ma si devono valutare qualitativamente.
Esistono inoltre diversi tipi di errore: fonologico, lessicale, grammaticale.

*nella varietà basica non ha senso parlare di errore, si osserva il codice che si sta formando. Nella
varietà intermedia gli errori sono spie delle strategie di ricostruzione dell’interlingua e mostrano
ipotesi e regolarità. Nella verità avanzata occorre individuare aree problematiche dove
permangono gli errori: serve dare feedback e proporre il focus on form.
Non c’è un unico modo di correggere: non valutiamo ogni errore allo stesso modo. Nelle fasi
iniziali è meglio parlare di improprietà o di infelicità e insuccessi comunicativi. Bisogna considerare
e valutare la correttezza formale, l’appropriatezza comunicativa e la comprensibilità. Tutto ciò non
riduce l’obiettivo di favorire la padronanza linguistica.
Esistono diverse modalità di correzione:

� Segnalare il problema di comprensione o di forma

� Segnalare il tipo di problema (tempo, passato)

� Risolvere il problema

Una valutazione basata sui processi di sviluppo dell’interlingua è utile per descrivere
accuratamente lo sviluppo linguistico, svolgere interventi più mirati di attenzione alla forma e
costruire un sillabo psicologicamente plausibile. L’insegnate deve chiedersi cosa sta imparando
invece che cosa non sa fare. Quali regolarità emergono, non quali errori compie. Quali aspetti
sistematici, non cosa manca. Per valutare le competenze rispetto alla situazione di partenza deve
chiedersi: quali conoscenze possiede?

L’operatività dell’interlingua 🡪 le ricadute del concetto di interlingua nella pratica didattica sono
molte: la correzione dell’errore (come atto comunicativo), l’interazione in classe (adeguamenti
interazionali), la programmazione (scelta e sequenza dei contenuti linguistici), la gradualità delle
attività e la valutazione (in ingresso, itinere o conclusiva 🡪 osservazione delle produzioni inter-
linguistiche).

Esistono vari tipi di sillabo (modi di programmare la didattica)


- Procedurali: competenza comunicativa
- Strutturali: stabiliscono un ordine di presentazione delle strutture
� strutture frequenti ma complesse. Si possono insegnare a livelli bassi ma non si deve
pretendere vengano usati / formule fisse
� Regole complesse costruite da sottoinsiemi di regole (passato prossimo): presentarle
un po’ per volta
� Difficoltà di accertare il livello in una sequenza

È possibile aiutare nell’apprendimento:


- Osservazione guidata
- Pratica limitata (matching, riconoscimento, combinazione)
- Pratica complessa (sostituzione, produzione controllata, filling the gap)
- Produzione libera

Film “La mia classe”, di Daniele Gaglianone, 2013

PRIMA SCENA Osservare le seguenti caratteristiche:

1) La composizione della classe: eterogenea, a livello d’età e di provenienza.

2) Chi sono gli studenti: è un corso d’italiano ad immigrati.

3) L’attività che l’insegnante propone: lettura di un giornale (funzionale anche per trovare lavoro).
La tecnica didattica adottata è quella del role-play, sul piano dell’oralità. È un’attività semi-guidata:
non tutti gli adulti apprendenti gradiscono “giocare” in classe; altri sono ben disposti. È una tecnica
didattica molto diffusa, ma siamo noi che, nel contesto, stabiliamo se è proponibile, oppure no in
base alla reazione degli studenti. Esperienza della prof: all’inizio degli anni ’90, con l’inizio dei corsi
di italiano L2 agli immigrati adulti (non c’era ancora il problema di una grande quantità di alunni
nelle scuole, che si è creato dopo col ricongiungimento familiare, inizialmente gli unici immigrati
erano uomini adulti maschi soli), una classe era interamente formata da apprendenti del Maghreb.
Successe che gli studenti risposero alla proposta di un’attività con il role-play solo memorizzando
delle strutture linguistiche, ripetendole nella coralità della classe, pur senza esplicitare un rifiuto
del tipo di attività. Quella formazione di didattica delle lingue (una formazione moderna), che i
prof avevano ricevuto, faceva attrito con la realtà; infatti, nella classe emergeva questo tipo di
contrasto con la metodologia proposta. Questo per dire che non esiste “IL metodo efficace per
insegnare la lingua” e che le modalità didattiche sono via via definite e rinegoziate, pur
mantenendo alcune linee di fondo, sempre in relazione alla classe, a una specifica classe di
studenti.

4) Le modalità didattiche che utilizza per far svolgere queste attività: se proponiamo un role-play in
classe assegniamo i ruoli, ci saranno delle variazioni e cercheremo di coprire tutti i componenti
della classe, ad esempio, facendo svolgere più telefonate. L’insegnante assegna dei ruoli, ma non
dei contenuti, quindi gli studenti sono liberi di far emergere le loro conoscenze in merito
all’argomento (in questo caso, la ricerca di un lavoro, attraverso gli annunci su un giornale locale).
Altra modalità didattica: il dibattito. È meno guidato, se non con una domanda stimolo dalla quale
prende avvio una libera discussione. Sono due attività con un grado diverso di gestione della
classe, di orientamento.

5) Cosa emerge dal punto di vista del lessico: tentativo di formazione di una parola, “schiavetà”. In
un contesto classe, in cui l’ambiente è favorevole alla presa di parola (un contesto libero), gli
episodi di creatività o creazione di parole (con meccanismi di derivazione, ad esempio) sono più
frequenti, perché si crea una sorta di contesto favorevole all’intervento libero degli studenti, un
contesto propizio alla libera presa di parola e ai tentativi di uso linguistico. Lo studente “meta-
comunica”, dice “non so come si dice”, definisce cioè un ‘problema linguistico’ nel contesto locale
dell’interazione, però è interessante lo sforzo e l’impegno di usare una parola, pur non avendo la
certezza che sia presente o no nel vocabolario. Di solito l’adulto teme di sbagliare, però qui c’è un
contesto in cui si ride di un errore, non c’è timore di sbagliare.

6) Tutte le osservazioni sul loro livello di competenza linguistica: post-basica. Sanno usare anche il
“lei”, le preposizioni. C’è comunque una notevole eterogeneità: l’apprendente più anziano in
prima fila è probabilmente nella fase basica della sua acquisizione dell’italiano L2. La fase è molto
avanzata, invece, in quello che l’ha appreso a Napoli.

C’è quindi una grande distanza nelle competenze linguistiche. Il flusso di parola dell’insegnante è
molto naturale, non sembra semplificare nulla (cosa che potrebbe essere necessaria in alcuni
frangenti, ma non lo fa). Ancora sul piano linguistico: uso del lei e del tu. Il tempo di parola degli
studenti è maggioritario rispetto a quello dell’insegnante. Nella classe di lingua il tempo di parola
dell’insegnante deve essere ridotto rispetto a quello degli studenti, non si può pensare di fare una
lezione frontale su un oggetto di insegnamento/apprendimento come la lingua. Il tempo di parola
da dare agli studenti, va visto anche nel senso di attendere, di considerare un tempo di attesa della
loro risposta, soprattutto se la classe è disomogenea dal punto di vista delle competenze
linguistiche). L’obiettivo che si è posto l’insegnante in questa lezione è: pianificazione molto legata
a questioni di vita reale e autentica, non è un syllabus che si basa su temi “slegati” dall’esperienza
di vita; quindi, se fosse un corso di lingua italiana a ingegneri (che magari devono apprendere la
lingua in tempo breve per poter lavorare o interagire all’università), la programmazione avrebbe
un’altra finalità. Bisogna guardare all’obiettivo prioritario. Qui era della ‘ricerca del lavoro’, quindi
su come rivolgersi a una persona che non si conoscere, cosa chiedere, come usare la forma di
cortesia. Dal role-play della telefonata, la riflessione sul lavoro come argomento, come obiettivo
tematico.

SECONDA SCENA

L’insegnante propone un sinonimo di “vivere” – “abitare”. Spiegazione di un costrutto: “mi sento a


casa”. Stimola il dibattito partendo dalla spiegazione grammaticale di “sentirsi a casa”. La prima
attività è la lettura e la seconda è raccontare a partire da un oggetto. Di solito in classe l’insegnante
porta fisicamente i “realia” (oggetti reali): non utilizza solo le immagini, le foto, i video, etc. ma
porta proprio degli oggetti. Es. mostra della frutta in classe e i bambini associano l’oggetto reale
alla parola, alla pronuncia, etc. è interessante qui perché i realia sono quelli portati dagli studenti.
La prima attività è la lettura e la seconda è la descrizione o la narrazione. La seconda, quindi, è
ancora un’attività di parlato, ma è un parlato diverso, ossia è libero: non ci sono vincoli, né ruoli
assegnati come può essere in un role-play. Stanno parlando del sentirsi a casa o fuori casa.
Dal punto di vista strettamente didattico: quando corregge e cosa fa? In questo caso interrompe o
corregge immediatamente, mentre stanno parlando, probabilmente perché l’idea è quella di
fornire subito l’informazione corretta, prima che si creino le condizioni di una fossilizzazione della
forma scorretta. Modalità di correzione: sostituzione immediata dell’elemento sbagliato con
quello corretto.
Qui avremmo molto da dire perché la didattica delle lingue oggi descrive delle modalità quasi
impercettibili di correzione. Il feedback correttivo non deve essere sempre e sistematicamente
percepito come tale dagli studenti in classe. Grazie a delle micro-operazioni correttive,
l’insegnante dà il tempo per un’autocorrezione, innanzitutto, perché imputare l’errore mette in
gioco la faccia dell’interlocutore. La classe di lingua è un luogo in cui è ammesso l’errore e anche
su questo tipo di contesto l’azione dell’insegnante può essere decisiva: rendere la classe un luogo
in cui l’errore è concesso, dato che è inevitabile; si può sbagliare, soprattutto quando si svolgono
attività mirate a favorire la parola.
La centralità in questa classe ce l’hanno gli studenti. Questo è un punto cruciale. Se noi insegniamo
e per un’ora abbiamo parlato, sovrastando gli studenti, non va bene. Dobbiamo, invece, fin
dall’inizio, favorire l’interazione e porre le basi affinché ne scaturisca un contesto psicologico
adeguato. L’aula può essere anche uno spazio fisico non propriamente adeguato, anche se sono
nate delle polemiche riguardo il fatto che nell’associazionismo e volontariato le aule erano prive
dell’essenziale (es. lavagna non presente). La scena psicologica deve non far temere di sbagliare. In
questo modo favoriamo l’uso linguistico, ossia lo sviluppo dell’abilità linguistiche. È una lezione
student-centered. Nella letteratura specialistica troveremo la distinzione fra student-centered e
teacher-centered.
La prima attività che propone è la lettura del testo scritto alla lavagna; quindi, una lettura svolta
individualmente con il turno assegnato dall’insegnante, ma gli altri comunque ascoltano, quindi
non è una lettura isolata. Il tipo di attività è un contesto micro che apre delle sequenze di natura
metalinguistica, è come se in classe si incrociassero un mondo didattico e uno linguistico-
comunicativo (quello didattico è quello focalizzato sulla lingua). Parlare della lingua in classe è
un’attività naturale, perché nella classe ci esercitiamo a parlare; quindi, a scrivere e sviluppare
diverse abilità linguistiche, ma abbiamo anche necessità di riflettere esplicitamente sull’oggetto di
apprendimento. Pertanto, ogni frase di un esercizio che si corregge può aprire una sequenza
metagrammaticale.
Questa distinzione ci serve per capire come possiamo gestire la classe nei due diversi momenti, e
questo ha conseguenze anche sulla correzione. Se l’attività si colloca nel mondo comunicativo (es.
parlare del lavoro, raccontare a partire da un oggetto che ci ricorda qualcosa) allora potrebbe
anche non essere rilevante correggere subito; ecco perché l’azione dell’insegnante si distanzia da
quella che è la vulgata sul feedback correttivo, perché la finalità è quella di favorire la
comunicazione. Se invece siamo concentrati sul mondo didattico, allora la spiegazione non solo è
attesa, ma dobbiamo anche corrispondere all’aspettativa dello studente. Quando la finalità è
stimolare la comunicazione, possiamo mettere per un momento ai margini la correzione
immediata.
A un certo punto l’insegnante dice “dillo in un italiano lento e corretto”: lo dice per facilitare la
comprensione linguistica degli altri. Un’azione ricorrente dell’insegnante è controllare che gli
studenti abbiano compreso, è mantenere una sorta di monitoraggio della comprensione
linguistica. “Primaverale”: tentativo (come “schiavetà”), però questo tentativo di costruzione della
parola poggia su qualcosa che appartiene alla lingua, ossia una terminazione che ha trovato in
altre parole: invernale, autunnale. Ci sono, quindi, errori costruiti sul sistema della lingua oggetto
di apprendimento, mentre ci sono altri che non hanno riscontro sul piano linguistico, ma sono
frutto di una creazione linguistica, un’ipotesi. L’errore, quindi, diventa informativo per
l’insegnante.
La ragazza è commossa, l’insegnante le dice di non preoccuparsi. L’obiettivo è far parlare gli
studenti, ma non deve esserci una forzatura: se l’apprendente non è disponibile, non occorre una
forzatura, men che mai se si tratta di un bambino nella sua fase di apprendimento. Noi come
insegnanti non forziamo la comunicazione linguistica, se non c’è (momentaneamente)
disponibilità, per una serie di fattori psicologici.

TERZA SCENA

Attività: scrivere la storia di una donna. Scelta di un nome “universale”: Maria. È un’attività scritta
alla lavagna. Si corregge subito dopo che lo studente alla lavagna finisce di scrivere, però si lascia
correggere la classe (non in modo “invasivo”, ma suggerendo la correzione). L’insegnante invita
uno degli studenti a spiegare ad un altro cosa significa “separato”: lo studente spiega il significato,
facendo un esempio dei dialoghi che avvengono fra i “separati”. L’insegnante parte dal contrario,
“unire”, per spiegare brevemente il significato di “separare”. È una scrittura collettiva, ognuno può
aggiungere un frammento. Il focus è sulla scrittura, ma è un’attività linguistica che si intreccia con
altre: una lezione definisce sempre un obiettivo centrale, e poi ne ha altri che sono laterali - Non
esiste solo un’abilità linguistica individuale, sono sempre intrecciate nella comunicazione reale.
Anche la correzione è collettiva ed è svolta dagli studenti. L’insegnante segnala che c’è un errore,
ripetendo la parola con intonazione ascendente, la ripetizione lessicale con intonazione
ascendente è un invito alla correzione: è una pratica linguistica che si usa con tutti. Anziché dire “ti
chiedo di ripetere in forma corretta”, si ripete la parola.
Utilizza anche un’altra modalità: domande polari. “Si dice: al ristorante o a ristorante?” Fornisce la
soluzione, presenta un’alternativa al tentativo di uso che è stato fatto e chiede di scegliere fra
queste due alternative. Ancora una volta sono loro a correggere. L’insegnante cede l’attività
correttiva agli studenti, quindi il feedback correttivo avviene anche fra pari. L’insegnante dice
“cosa c’è qui di sbagliato?” quindi favorisce l’individuazione di ciò che non va. È una modalità
correttiva completamente diversa. Inoltre, chiede conferma (“va bene per te?”), quindi è una
modalità molto interattiva: la valutazione della correttezza è formulata dagli studenti. Il testo che
scrivono alla lavagna è co-costruito e anche la lettura lo è, cioè è condotta congiuntamente, con un
orientamento dell’attenzione del gruppo-classe verso il testo scritto. A un certo punto l’insegnante
esplicita scherzosamente che lui può correggere in maniera marcata, mentre loro devono essere
solidali. È un’attività didattica ancora una volta molto student-centered.
Il lessico: per sviluppare la competenza lessicale si lavora molto sui sinonimi e i contrari.
L’insegnante chiede di spiegare il significato della parola (quindi cerca di favorire una competenza
meta-lessicale) ad uno studente; alla fine dà dei sinonimi, aggiunge due verbi; ma dice “chi spiega
a *nome dell’apprendente* cosa significa?” l’insegnante assegna dei turni di parola, ma non è la
persona che sta parlando di più.
È il responsabile della gestione della classe, ossia ha una competenza molto precisa. Le modalità di
gestione della classe variano da: assegnazione di turni di parola a scelta di autoselezione agli
studenti (“chi spiega cosa significa questa parola?”). Quindi c’è una co-costruzione degli enunciati;
sono prodotti congiuntamente.
La peculiarità della scrittura co-costruita è che favorisce la correzione degli errori, facendo
partecipare tutti (ogni studente offre un contributo verbale nell’elaborazione del testo – il testo è
scritto da tutti e da nessuno, non c’è un contributo individuale, il testo alla lavagna è un prodotto
congiunto e ciò “crea” la classe. Questa non è solo la compresenza di studenti in uno spazio fisico,
ma è soprattutto una classe di lingua, in cui l’esigenza è diversa da altri tipi di classe perché c’è
anche la necessità di parlare.
Utilizza anche il linguaggio gestuale (per spiegare il significato di “unita”-“separata”), sono gesti
iconici che cercano di esplicitare il significato della parola, quindi sono complementari alla parola.
Abbiamo elencato le tipologie di attività didattiche. Le attività che abbiamo visto sono: scrivere,
leggere, parlare, ascoltare. Poi ci sono delle tecniche didattiche: roleplay, dibattito, etc.
Distinguiamo le attività dalle tecniche: una tecnica può essere, ad esempio, quella delle parole in
disordine da mettere in ordine (scramble order) o il completamento (filling the gap), ad esempio.
Le attività (e le connesse abilità linguistiche), invece, sono quelle che si sviluppano attraverso le
diverse tecniche didattiche.

LA VARIABILITA’

se si considera l’interlingua una lingua a tutti gli effetti (per quanto transitoria e in continua
evoluzione), avremo dei gradi di variabilità. Dalle ricerche in questo campo si possono descrivere il
funzionamento e lo sviluppo dell’interlingua. La variabilità interna può essere sistematica o libera
(come per tutti gli altri sistemi linguistici): sistematica, per esempio grammaticale quando
l’articolo femminile una prende l’apostrofo davanti ai nomi che iniziano per vocale, oppure
lessicale quando si usa un termine diverso a seconda del contesto; libera, quando ci sono delle
differenze non spiegabili (si può dire sia “a casa” che “in casa”). La variabilità può essere poi
evolutiva (definisce l’interlingua), sincronica (inter-soggettiva confrontando diversi apprendenti,
intra-soggettiva analizzando un solo studente). La variabilità è attribuibile a una serie di fattori:
contesto linguistico (chi parla, con chi parla, dove, ecc.); contesto extralinguistico (situazionale);
contesto psicologico; tipo di task (attività).

Contesto linguistico
-Fonologico 🡪 per esempio riduzione minore di certi gruppi consonantici (st) se a inizio di
sillaba (station), maggiore se alla fine (last).
-Morfologico 🡪 appare il plurale in maniera marcata quando è presente un qualificatore
numerale.
-sintattico 🡪 accordo non sistematico con participio passato e soggetto femminile (prima
dice è ritornata, poi andato).

Contesto extralinguistico
-Variazione (fonologica, lessicale, ecc.) che dipende anche dal contesto, dalla situazione e
dall’interlocutore. Si studia soprattutto in riferimento ai parlanti nativi (teacher talk, baby
talk, spech accomodation, ecc.).
-In riferimento ai parlanti non nativi, altri studi hanno dimostrato che c’è una variazione del
numero di preposizioni subordinate in inglese da parte di ispanofoni e di parlanti bilingue.

Task
-Influenza di fattori come tempo a disposizione e attenzione alla forma
-In genere si scelgono compiti o attività che consentano una maggiore attenzione alla
forma
(compito scritto). Altri vertono sull’accuratezza.

La variazione libera
Due o più forme alternative hanno la stessa funzione nello stesso contesto.
No look my card – don’t look my card
La descrizione dell’interlingua, quindi, è di natura probabilistica e non deterministica. Ogni
ricercatore che analizza sistemi instabili, ricchi di variabilità, transitorietà e dinamicità, dovrebbe
chiedersi: Qual è l’effettivo punto di apprendimento di un elemento linguistico? Quando possiamo
definire una struttura ormai stabile?
Bettoni riporta una schematizzazione:
-emergere dell’elemento linguistico: la struttura appare la prima volta, affiora, notiamo che
è presente, mentre prima non lo era.
-apprendimento: la stessa forma ricorre un certo numero di volte, inizia ad essere
frequente.
-padronanza: quando la forma ricorre tutte le volte che è necessario.

La variabilità può dunque riflettere le caratteristiche dell’ambiente linguistico e culturale, i fattori


individuali (età, motivazione, stili cognitivi, intelligenza, attitudine, personalità) e le strategie
messe in atto. Essa ci fa capire perché variano gli esiti finali dell’apprendimento: a parità di
condizioni (stessa classe, stesso contesto, stessa L1), ma risultati diversi. Ciò che può variare è il
ritmo di apprendimento, il passaggio da una fase all’altra.
Nella fase iniziale, gli apprendenti seguono dei principi funzionali di economia linguistica e di
efficienza comunicativa (la forma e l’accuratezza non sono un problema principale per
l’apprendente, ma per l’insegnante). Essi hanno delle risorse linguistiche minime (dimostrativi,
formule rituali, ecc.), ma ricorrono anche a strategie sociali, comunicative e cognitive. L’interlingua
evolve secondo un ordine di acquisizione, cioè un’acquisizione secondo certi stadi (delle sequenze
grammaticali evolutive). Sono queste che riguardano l’emergere della struttura, non l’uso
sistematico. Le teorie sono diverse, una di cui si è molto parlato è la teoria della processabilità di
Pienemann. Essa si spiega come si sviluppano le abilità processuali di elaborazione cognitiva in
relazione all’apprendimento linguistico. Queste procedure sono gerarchiche e implicazionali:
bisogna conoscere la prima per acquisire la seconda. [tabella con le varie procedure: categoriale,
frasale, ecc.] alle procedure di questa tabella se ne aggiunge un’altra in cui lo studente ripete i
lemmi che sente nell’input. In quella categoriale, si acquisiscono numero e genere per aggettivi e
nomi. A questa teoria è legata l’ipotesi dell’insegnabilità. L’insegnamento è una mediazione che
cerca di rendere più agevole l’apprendimento, cercando di ridurre il carico cognitivo. L’insegnate
cerca di farsi da tramite, non può garantire l’apprendimento, ma può renderlo più pratico e
agevole. È possibile dunque mettere in pratica delle conoscenze teoriche. Una didattica
linguisticamente consapevole può fare la differenza tra apprendimento guidato e spontaneo.

DIDATTICA ACQUISIZIONALE
Si tratta di una didattica linguistica che tiene in considerazione e prende sul serio i processi e i
meccanismi cognitivi soggiacenti all’uso linguistico. È un modello teorico che si rapporti alle
prospettive acquisizionali, rispettando le fasi di sviluppo dell’acquisizione della L2 e non violando le
sequenze implicazionali. È come se ci fosse un tempo dell’apprendimento e gli insegnanti possono
spiegare e insegnare i vari elementi in un determinato tempo. Si cerca il più possibile di
armonizzare l’intervento didattico con le dinamiche di apprendimento. La competenza del docente
è data dalla capacità di leggere questi meccanismi. Tra le competenze specifiche ci sono: quella
dichiarativa (capacità esplicita di parlare della lingua e spiegare come essa funziona); quella
acquisizionale (conoscenza e capacità di leggere i meccanismi cognitivi e gli aspetti linguistici
universali che influenzano il processo di apprendimento); quella diagnostica sull’interlingua (si
cerca di capire cosa conoscono i vari apprendenti a seconda della loro interlingua, se si sanno
riconoscere le linee dell’interlingua si possono collocare gli apprendenti in diverse fasi); quella
linguistica (che lo metta in grado di trattare in maniera diversa i diversi elementi del programma di
insegnamento a seconda del tipo di discente).

DIDATTICA ACQUISIZIONALE GLOTTODIDATTICA LINGUISTICA ACQUISIZIONALE


Indaga i fattori linguistici del Fattori legati alla motivazione,
processo di apprendimento stili di apprendimento
Risolve i problemi
Metodo sperimentale Criterio della coerenza e
dell’efficacia
Apprendimento guidato Apprendimento spontaneo
Indaga se insegnando in un Spiega perché si apprende un
modo il concetto viene concetto insegnato in un
appreso o no determinato modo

Pienemann nel 1989 scrive un articolo sull’insegnabilità delle lingue, “Is language teachable?”:
“ipotesi dell’insegnabilità afferma che l’istruzione formale non è in grado di fare saltare gli stadi
delle sequenze naturali di acquisizione, ma è in grado di velocizzare il passaggio da uno studio al
successivo a condizione che gli elementi insegnati siano a un livello immediatamente superiore a
quello in cui si trovano gli apprendenti.” Qui si incontra con l’ipotesi di Krashen, il modello teorico
articolato in cinque ipotesi, tra cui quella dell’input+1, in cui 1 è l’incognita, il dato nuovo, che sia
solo uno e che sia di poco superiore a livello di conoscenza che già si ha. Ciò è molto importante
perché se insegniamo tante cose insieme, gli apprendenti potrebbero scoraggiarsi e non capire,
non avendo le basi per farlo. Il risvolto maggiore è sempre psicologico. Il nuovo ci deve essere e
non deve essere insormontabile. Questo significa calibrare le conoscenze, i contenuti, le
spiegazioni, ecc. Questa ipotesi ha suscitato un insieme di domande: si insegna una struttura
perché è utile o non la si insegna perché è difficile? Che cosa è giusto fare: insegnare tutto subito o
insegnare le strutture un poco alla volta? Qual è il livello raggiunto da un apprendente in una
sequenza acquisizionale?
Si viene a creare una discrepanza tra insegnabilità e insegnamento: da un lato la ricerca ci dice che
qualcosa non può essere insegnato in un determinato momento perché non può essere imparato,
ma dall’altro lato la didattica ha il dovere di tenere conto di esigenze comunicative e di bisogni di
natura anche non linguistica. Da una parte abbiamo l’insegnabilità dall’altra il processo
didattico(?), da una parte il sillabo interno e dall’altra quello esterno.
Se c’è un processo graduale nell’interlingua e nell’apprendimento può e deve esserci anche nel
sillabo, che deve essere basato sugli studenti e non sulla grammatica. L’importante è che ci si basi
per ogni spiegazione su un testo (che può essere uno slogan pubblicitario, un racconto, un articolo,
ecc.). Un altro metodo è quello delle 3P (presentation, practice, production).

Seven ways of looking at languages


Parlando di una lingua abbiamo a che fare con suoni, forme e significato.
-fonetica
-sintassi
-semantica
-comunicazione (pragmatica)
-language variation (identity)
-diacronia (cambiamento linguistico)
-scrittura (symbol, the significance of writing)

La pragmatica tiene conto della language interaction e quindi di tutti gli aspetti che permettono la
comunicazione: direzione dello sguardo, prossemica, gesti, così come sono concertati alle parole.
Non possiamo solo ragionare in termini di grammatica. Finora abbiamo visto quanto è importante
il piano delle forme nell’acquisizione e come queste forme possono essere problematiche per chi
studia una lingua (perché spesso una singola forma ha più funzioni o più forme hanno la stessa
funzione). Siccome però l’oggetto dell’apprendimento è la lingua, dobbiamo guardare ai
meccanismi di funzionamento della lingua e a quelli di acquisizione. Ogni insegnante deve
possedere delle competenze specifiche, che tengano conto dell’acquisizione. La grammatica, cioè
la lingua come sistema formale, però non basta: sapere una lingua significa sviluppare delle
conoscenze e delle abilità, quindi dobbiamo assumere anche la prospettiva dell’uso. Anche per gli
apprendenti bisogna partire dai loro tentativi di uso per poi andare a capire il sistema formale
della lingua. Lingua come uso significa capire come vengono espressi dei messaggi comunicativi.
Bisogna prendere il punto di vista pragmatico. Qui entrano in gioco argomenti, destinatario,
enunciatore, scopo comunicativo, situazione, ecc. Noi non sappiamo formulare le regole
pragmatiche della nostra lingua perché le impariamo nel percorso di socializzazione primaria.
La pragmatica si occupa della distanza fisica e sociale tra gli interlocutori, del contesto, dell’uso del
linguaggio, del significato nelle interazioni sociali (non sono enunciati staccati dal contesto, non è
la frase dell’esercizio grammaticale di cui si analizza la forma, ma sono sempre enunciati formulati
in contesti comunicativi precisi), del significato nelle interazioni sociali (il significato cambia a
seconda delle situazioni) e poi c’è tutto un piano che riguarda ciò che un parlante comunica al di là
di ciò che dice, ovvero il significato implicito (ciò ci porta a capire i testi, capire i significati non
esplicitati, decifrare i testi, ecc.).

“Ma tu quanti anni hai?” 🡪 può avere due significati: domandare l’età e far notare che ci si
comporta in maniera immatura. Dietro uno stesso enunciato, possono esserci significati diversi.
C’è un significato primario e uno secondario, che si può ricostruire solo sulla base della situazione
o di altri elementi come le risorse prosodiche (intonazione, gesti, sguardi, ecc.). Questo significato
secondario dipende generalmente dal contesto o dal punto in cui è collocato.

C’è un livello proprio che è quello dell’interazione verbale. Negli ultimi decenni c’è stato un cambio
di paradigma: l’idea di un individuo che interiorizza le competenze linguistiche specifiche lascia
spazio progressivamente all’idea di un locutore che interagisce con altri interlocutori e si appropria
progressivamente delle risorse comunicative variabili e funzionali. Prima si vedeva l’apprendente
di una L2 come qualcuno con un deficit, ma non è così. Piano piano si cambia rotta.

Segnali discorsivi 🡪 parole descritte dalla grammatica in un certo modo, che però assumono un
certo peso nella lingua parlata, per esempio “allora” o i verbi di percezione “sentire”, “ascoltare”.
Nell’input linguistico a cui può essere esposto un apprendente di L2, possiamo trovare molti
segnali discorsivi, come “figurati”. Si tratta di una classe variegata di parole che assumo una
funzione precisa nel parlato. Hanno funzioni variabili: possono servire a interrompere, a prendere
la parola, a cambiare argomento nel corso di un’interazione. Di queste parole di cui il senso è dato
dall’uso, si occupa la pragmatica.

LIRA 🡪 Lingua Italiana in Rete per l’Apprendimento


È un progetto finanziato dal Ministero con l’obiettivo di fornire agli immigrati italiani di più
generazioni per fornire strumenti più validi. Nel sito si possono trovare documenti audio e video
per imparare l’italiano. Ci sono esempi di parlato spontaneo e semi spontaneo, frammenti di
trasmissioni radiofoniche e televisive, riprese video e registrazioni di role-play. Quando si parla di
lingua in contesto, non si può parlare di regole o di “giusto” e “sbagliato”. Ogni percorso all’interno
del sito è costruito secondo dei learning objects. Si parte da cosa “so già” e si arriva a “cosa ho
imparato”. Bisogna riflettere sulla conoscenza pregressa e aggiungere un nuovo elemento, il +1 di
cui parlavamo ieri. Non è un corso di lingua in un contesto formale, ma è una piattaforma d’uso. Si
tratta di termini di uso quotidiano, non di tecnicismi. Probabilmente è il primo strumento di
italiano ad affrontare anche il tema delle parolacce. La proposta didattica è quella di lavorare sulla
pragmatica, sulle azioni linguistiche. Per esempio, non si spiega come si costruisce il passato in
italiano, ma come si accusa o si protesta in italiano. Tutto è legato ai contesti d’uso. Questa è una
piattaforma accessibile per la pragmatica dell’italiano L2 e lingua etnica. Un altro esempio molto
recente è quello fondato pochi anni fa a Barcellona, l’ITAP (International Association for Teaching
Pragmatics), secondo cui la pragmatica è la Cenerentola della linguistica: nessuno presta
attenzione ad essa, ma essa si rivela essenziale. Questa associazione si occupa soprattutto della
pragmatica nella didattica, della formazione di insegnanti. Si deve sostituire il solito “oggi facciamo
grammatica” con “oggi facciamo pragmatica” e studiare insieme agli apprendenti come fare una
richiesta, come formulare un ordine e tutti gli altri aspetti pragmatici della lingua.

“Se violo l’ordine rituale della comunicazione non mi portano a scuola a imparare di nuovo la
lingua e la grammatica, mi portano in manicomio” (Claudia Caffi). L’incompetenza pragmatica
solitamente non è di natura linguistica ma psichica. Così come, se un alunno non riesce ancora a
dire “scusi, posso andare in bagno?”, il commento dell’insegnante sarà “che maleducato” quindi
anche in questo caso verte sulla personalità di chi sbaglia, senza pensare che dietro potrebbe
esserci un errore pragmatico. Mentre l’errore grammaticale solitamente lo tolleriamo, quello
pragmatico solitamente viene interpretato come comportamento, tratto caratteriale o peculiarità.

Un altro ambito di studi, a livello internazionale, è quello che riguarda la pragmatica


dell’interlingua. Più recentemente, per quanto riguarda l’italiano, si è iniziato a studiare anche le
sequenze di acquisizione di un atto linguistico (come formulare una richiesta, ringraziare, mitigare,
accentuare). La pragmatica si basa su più prospettive: comparativa (confrontare come si
comportano i nativi e come si comportano gli apprendenti della stessa lingua, è necessaria per
capire quali sono le modalità), acquisizionale (non si fanno confronti con il nativo, ma si studia
semplicemente l’interlingua della pragmatica). C’è un modo di studiare l’evoluzione della
competenza pragmatica. Ovviamente è un po’ più difficile insegnare con un approccio
comunicativo.

La prospettiva acquisizionale studia la pragmatica dell’interlingua dei soggetti. Due studiose


americane hanno individuato quattro fasi:
-forte dipendenza dal contesto 🡪 assenza di sintassi
-fase formulaca🡪 usare una formula fissa senza analizzarla
-spacchettamento 🡪 consapevolezza che quella forma ha una valenza pragmatica
-ampliamento pragmatico 🡪 alla crescita della competenza linguistica corrisponde una crescita
della competenza pragmatica.

DIDATTICA ACQUISIZIONALE E CORTESIA LINGUISTICA IN ITALIANO L2 – NUZZO, RASTELLI

POLITENESS
La cortesia linguistica in L2 è strettamente legata agli elementi del contesto e della situazione
sociale. Quando si entra nel campo della pragmatica entriamo in un mondo che dipende dai
contesti, non ci sono delle regole fisse, precise e sempre valide. Si intrecciano da un lato delle
forme complesse, dall’altro di tipo pragmatico. Con la pragmatica entriamo anche nell’analisi di
aspetti impliciti, ciò che possiamo interpretare in diversi modi. Uno dei temi cruciali della
pragmatica è la deissi (di tempo, spazio, persona, sociale, ecc.). Il tu e il lei rientrano nella deissi e
riguardano delle regole che intrecciano fattori morfosintattici e pragmatici. Deissi viene dal greco e
vuol dire “indicare” e fa riferimento a tutte quelle parole che sono strettamente legate al contesto,
alla persona e al qui e ora (quando dico “questi occhiali”, soltanto gli interlocutori che mi vedono
possono sapere a quale referente mi riferiscono, in questo caso gli occhiali). Sono elementi
linguistici che possiamo capire solo grazie al contesto.
L’insegnamento degli aspetti linguistici della cortesia è ineludibile, si tratta di una complessità di
regole che intrecciano fattori morfosintattici e pragmatici (deissi sociale e forza illocutoria). A
livello pragmalinguistico si può parlare di accordi e clitici. A livello socio-pragmatico invece si ha
maggiore complessità, perché in ogni situazione comunicativa bisogna selezionare la giusta forma
allocutiva. Per i parlanti non nativi acquisire la competenza allocutiva in italiano L2 significa
imparare a utilizzare le forme linguistiche di due sottosistemi alternativi e a sviluppare le
rappresentazioni concettuali che permettono di compiere decisioni automatiche in merito all’uso
appropria di ciascun sottosistema. Per questo Nuzzo e Rastelli propongono un addestramento alle
formule e non un insegnamento delle forme. Inoltre, è altrettanto importante il riconoscimento
del contesto comunicativo.
LA DEISSI SOCIALE
L’italiano codifica grammaticalmente la relazione tra parlante ed interlocutore con due opzioni:
tu/lei.
Dal punto di vista pragmalinguistico (risorse per modificare pragmaticamente un’espressione e
adattarla al contesto d’uso) l’apprendente deve imparare che esistono due forme di allocuzione, la
scelta di una o dell’altra si riflette su elementi verbali e nominali correlati e comporta la scelta di
un repertorio di formule di appello e di saluto (ciao, buongiorno, chiamare per nome o cognome o
con appellativo di professione). È complesso perché ci sono forme particolari nell’accordo e
nell’imperativo.
L’acquisizione della componente sociopragmatica della deissi, cioè la capacità di scegliere la forma
allocutiva in base alla situazione è ancora più complessa. Il lavoro di Brown e Gilman afferma che
la scelta dipende dalle due dimensioni della solidarietà e del potere. La prima è una dimensione
simmetrica che comporta l’uso reciproco del tu o del lei, la seconda è asimmetrica: il parlante con
minor potere da del lei e riceve un tu. Negli anni ritengono che la solidarietà.
Ma esistono numerosi casi di variazione che dipendono dal contesto: i parlanti, ad esempio,
agiscono in base all’identità personale e sociale ma anche in base a quella locale.

LA MODULAZIONE DELLA FORZA ILLOCUTORIA


Dal punto di vista della pragmalinguistica un apprendente deve imparare gli strumenti per
modulare la forza illocutoria di un atto: per mitigare una richiesta o una protesta è possibile usare
risorse grammaticali come il condizionale o l’imperfetto, o lessicali come i diminutivi e i
quantificatori. Sul piano sociopragmatico un apprendente deve sapere in quale contesto e in che
misura la cultura prevede di mitigare o rafforzare quell’atto.

L’uso errato della cortesia può rappresentare un ostacolo all’accettazione del non nativo da parte
dei membri della comunità ospitante. Gli errori hanno prevalentemente conseguenze sociali
perché possono generare imbarazzo, sconcerto, sorpresa o offesa. Quando le deviazioni non
possono essere spiegate con una scarsa competenza grammaticale, i nativi le attribuiscono a
tendenze caratteriali.
Le semplificazioni dei parlanti nativi sul piano pragmatico riguardano l’uso del tu e la riduzione di
elementi che contribuiscono alla modulazione della forza illocutoria.

Più che di insegnamento alcuni autori parlano di addestramento. Possiamo aiutare i nostri
apprendenti nel livello iniziale a riconoscere quale sia il livello socio-pragmatico. Addestrare può
significare semplicemente far usare certe forme così come sono e poi riflettere dopo, in un
secondo momento, su come si costruiscono.
Per la cortesia gli obiettivi dell’addestramento sono:
- Insegnare a riconoscere i contesti in cui le formule di cortesia vanno usate
- Insegnare a manifestare agli interlocutori la volontà di usarle
- Insegnare a velocizzarne il recupero
-
*non prevede una valutazione
GLOTTODIDATTICA SPERIMENTALE
Noi siamo partiti dagli studi e dalle ricerche sull’acquisizione che hanno portato a parlare
dell’importanza della didattica acquisizionale. La glottodidattica sperimentale è un’area della
linguistica sperimentale che si occupa della lingua, di come viene appresa in classe e di come viene
rappresentata mentalmente. Come la linguistica acquisizionale utilizza dei metodi di ricerca e che
cosa dice in proposito. È un approccio molto recente di ricerca che nasce dal fatto che da alcune
osservazioni critiche sullo studio di alcune sequenze di acquisizione. Il criterio delle sequenze di
acquisizione non esaurisce l’acquisizione, non è imprescindibile. Si basa su ciò che l’apprendente
sa dire ad un certo punto, su che strutture emergono. Questi studi dimostrano che gli apprendenti
sanno qualcosa anche se ancora non la producono. Si tratta di ricerche sperimentali che cercano di
capire come avviene l’apprendimento, utilizzando strumenti sperimentali, per esempio la
risonanza magnetica. Quello che sembra emergere è che la costruzione di una conoscenza si
realizza anche se non si manifesta la traccia linguistica. Anche se un alunno è silenzioso e non
parla, sta imparando. La glottodidattica sperimentale ipotizza delle operazioni cognitive senza
doversi basare per forza sulla performance orale o scritta degli apprendenti. La glottodidattica
sperimentale parte da tracce e prove non visibili, da cose non ancora prodotte ma che
l’apprendente sta già apprendendo. Non possiamo dare per scontato che solo ciò che si manifesta
è acquisito. Si occupa anche di capire come avviene l’acquisizione in classe (non solo in ambito
spontaneo). Non è una messa in discussione degli studi sull’interlingua, ma bisogna tenere conto
di come procede la ricerca e di quali possono essere le varie applicazioni nella didattica.
L’importanza della nozione di interlingua è data dall’attenzione che l’insegnante può rivolgere alle
forme visibili linguistiche e da come può interpretarle. L’insegnante si fa interprete di questa
lingua in costruzione e quindi può anticipare e capire quali siano i prossimi sviluppi dell’interlingua
dello studente.

TRATTARE GLI ERRORI A SCUOLA – ADORNO BOARIO


Edutopia 🡪 sito educativo che tratta diversi aspetti dell’apprendimento (linguistico e non).
Errore 🡪 dimostrazione di qualche ipotesi sulla lingua; discostamento dalla regola grammaticale. È
solitamente associato a una mancanza di conoscenza e alla correzione.
Andorno e Boario 🡪 partono dalla definizione etimologica della parola e considerano la distanza
tra l’errore nel dibattito scientifico (traccia visibile e transitoria di competenze in via di
costruzione) e quella generalmente diffusa nella prassi glottodidattica (dato linguistico da
sanzionare). Le due autrici propongono una riflessione in chiave acquisizionale e sociolinguistica:
la prima è la dimensione creativa dell’errore nel senso di elaborazione cognitiva, la seconda ci
riconduce alla norma e all’uso. Si parte dall’idea che c’è ambiguità semantica nella parola errore,
che ci conduce al verbo “errare”, che ha due sensi: sbagliare, ma anche vagabondare, muoversi
senza una meta precisa, cercare un proprio percorso e magari finire con lo scoprire qualcosa. Sulla
Treccani troviamo la stessa distinzione, che è uguale anche in inglese o in francese. Compiere un
errore linguistico vuol dire allontanarsi dalla norma, ma può significare anche fare una scoperta,
compiere una piccola sperimentazione linguistica, verificare alcune ipotesi sulla lingua. Riflettere
sull’errore a scuola (è chiaro che occorre farlo) è qualcosa di più ampio rispetto alla correzione
dell’errore. Ciò implica una distanza tra lingua parlata e lingua scritta. La lingua parlata è la vera
lingua madre, quella scritta invece è un sistema che apprendiamo man mano. Tra le due c’è uno
scarto. La riflessione sull’errore dunque può essere dunque una riflessione sullo scarto tra lingua
parlata e scritta. Osservare questo scarto serve a sperimentare l’efficacia della norma. Anche
nell’italiano ci sono dei livelli fonetici e di grafia che possono far cadere in errore, sebbene si scriva
come si legga. L’errore quindi si contrappone alla forma target normale, prevista dalla norma. A
volte però un uso cambia a seconda dei contesti; quindi, dobbiamo sempre far riferimento alla
norma? Ciò che dal punto di vista della norma a volte è un errore, dal punto di vista della
situazione comunicativa può essere più o meno appropriato. Mentre forme come “salo” o
“salisco” sono errate in ogni testo, altre varianti sono da discutere. Portano dunque un esempio di
Berruto, sociolinguista. [Quando si parla di italiano “neo-standard”, ci si riferisce a un sistema
linguistico che si sta man mano affermando come nuovo standard. Secondo un etnolinguista, i
nativi non fanno errori. La diffusione è definita gradualmente dai parlanti. Altri punti dell’italiano
neo-standard sono la questione del “che”, la valenza della concordanza] Valutare adeguatamente
gli errori, in definitiva, non implica (sol)tanto il sapere identificare la (sola) forma target corretta,
ma piuttosto l’essere consapevoli del quadro, mobile e sfumato, della norma linguistica, delle
varianti esistenti e del loro valore sociale.
Berruto propone le varianti dello stesso enunciato tutte proprie del sistema italiano. Qualunque
parlante colto classificherebbe la variante cinque come poco colta ma gli stessi parlanti non
sarebbero concordi su quale delle altre varianti dovrebbero essere ammessi quali no. Un problema
riguarda il pronome loro e gli. Serianni afferma che tanto gli quanto loro possono essere utilizzati la
differenza è da cogliere in termini di canali di comunicazione (Scritto e orale) e di occasione
comunicativo (formale e informale). Berruto identifica la forma loro come propria dello standard e
gli proprio del neo-standard, una forma che si sta sempre più affermandosi deve considerare
accettabile anche in contesti formali. Valutare adeguatamente gli errori non implica saper
identificare la forma corretta ma essere consapevoli del quadro mobile sfumato della norma
linguistica, delle varianti esistenti del loro valore sociale. Per fare questo è necessario documentarsi
su grammatiche di riferimento aggiornate ed è necessario un approccio aperto e di ricerca. A
Cadorna afferma che i parlanti di una lingua non sbagliano mai cioè non si comportano.
Diversamente dal sistema perché esso è descritto a partire da ciò che loro stessi fanno. La
distinzione che si traccia è legata a parlanti nativi e parlanti non nativi. Esistono errori che deviano
dalla norma dell’italiano standard, errori riguardo alla situazione comunicativa (uso del tu e del lei).
Un errore può anche dare origine a una forma che non è presente nel sistema e si producono
sovraestendendo le regole (prenduto, rubatore, bevei). questo tipo di errore per analogia
suggerisce una competenza della regola da parte di chi lo commette. Sulla base della citazione di
Cadorna errori da parte del parlante nativo non dovrebbero esistere, possono incontrarsi nei
parlanti normativi che stanno ancora apprendendo il sistema linguistico e nei parlanti nativi
quando il sistema è anche per loro ancora in corso di apprendimento, ossia nei primi anni di vita.

Alcuni errori vengono sanzionati socialmente, quindi non ci si può rapportare a una forma
assoluta, perché ci saranno sempre delle forme su cui si potrebbe discutere. Bisogna essere
consapevoli che la lingua cambia, che i parlanti la cambiano e che ci sono delle varianti. La norma
vuole che si corregga la forma errata, ma come insegnanti dobbiamo anche assumere una
prospettiva descrittiva (non solo normativa) e quindi considerare sempre come la lingua sta
cambiando. Ci sono anche norme di appropriatezza alla situazione comunicativa. Il presupposto è
quello di avere una consapevolezza sociolinguistica da parte dell’insegnante, poi è importante
anche distinguere l’errore che sfrutta il sistema linguistico da quello che infrange le regole del
sistema. Il primo riguarda la prospettiva acquisizionale e ci fa distinguere e comprendere alcuni
errori tipici, come quello per analogia (prenduto, salo, rubatore, spreferito). Sono errori che
sfruttano le regole del sistema e ci informano circa la competenza della regola stessa di chi fa
l’errore. Sono una finestra preziosa sulla competenza del sistema da parte dei parlanti che li
commettono e vanno trattati con attenzione. Gli errori che infrangono le regole del sistema sono
quelli dei parlanti non nativi o dei parlanti nativi quando il sistema è ancora in corso di
apprendimento. Ecco perché alcuni meccanismi e alcuni errori per analogia sono simili nell’adulto
che impara una lingua come lingua secondo e nel bambino che la impara come lingua materna.
Tuttavia, questi errori non sono per nulla comparabili se non per la loro strategia di
apprendimento. Gli errori che infrangono le regole del sistema sono per esempio “io c’è sono
partito” oppure “diffacile”. È difficile assumere un’altra prospettiva rispetto all’errore perché se si
esce dall’ambito linguistico l’errore solitamente è scandaloso, ci sconcerta, vogliamo che tutto
funzioni bene e rapidamente. Eppure, le scienze cognitive gli assegnano un mandato educativo, a
scuola bisognerebbe riflettere sull’errore, classificarlo e solo dopo trovare una soluzione. L’errore
è materia di lavoro in classe e non per trovare subito una forma corretta. Esso non è tollerato
ovunque, in quanto cattivo funzionamento, ma in contesto educativo è talmente radicato che si
procede ancora secondo certe modalità, quando invece lo si dovrebbe rendere materia di lavoro e
avviare la riflessione sull’errore insieme agli apprendenti. Le due autrici fanno riferimento a
Adriano Colombo, che dice che una classificazione in base alle cause si pone da parte di chi scrive e
dei suoi processi formali, mentre una formale si pone dal punto di vista linguistico e non di chi
apprende. Prima si segnala la forma errata e poi bisogna descrivere l’errore, capire a che cosa è
dovuto, che cosa fa linguisticamente in relazione al sistema. Più che sanzionare l’errore, allora, si
tratta di far capire perché è stato commesso e quali sono le sue conseguenze. Ciò equivale a dare
allo studente una consapevolezza riguardo alla complessità dell’errore, significa favorire una
maggiore motivazione all’apprendimento e una maggiore disponibilità al riconoscimento dei
propri errori. [Stanislas Dehaene “Imparare” 🡪 neuroscienziato secondo cui i pilastri
dell’apprendimento sono quattro: attenzione, coinvolgimento attivo, riscontro dell’errore e
consolidamento. Dice che bisogna riflettere sull’errore, che non bisogna confonderlo con le
consuetudini della scuola (sanzioni o voti)]

Feedback correttivo
Questa formulazione indica tutta una serie di azioni di intervento sull’errore che è parte integrante
dell’interazione in classe, che ha ricadute interazionali e le ricadute didattiche. Roberta Grassi
identifica 4 modalità di correzione: assenza di correzione; sollecitazione a intervenire su ciò che
qualcun altro ha appena detto, senza suggerire come intervenire; la riformulazione; la spiegazione
metalinguistica. Ogni modalità ha dei pro e dei contro, non c’è una modalità corretta e migliore in
assoluto.
1. Assenza di correzione
🡪 PRO = Lascia lo studente spazio e tempo per esprimersi; aspetto socio-affettivo:
mostrare attenzione, apertura, tatto; aspetto motivazionale: può dare fiducia
all’apprendente; favorisce la fluenza.
🡪 CONTRO = l’errore si fossilizza; a cosa serve l’insegnante?; può disorientare non dando
indicazioni e dando false impressioni rispetto al livello di competenza dello studente.
2. Sollecitazione
🡪 PRO = impegna lo studente attivamente; attira l’attenzione; lo studente può non
accorgersi dell’errore; lo studente è spinto ai limiti più alti della sua competenza.
🡪 CONTRO = è dispendiosa, può durare a lungo; ha esito incerto, altri errori potrebbero
insorgere correggendo il primo.
3. Riformulazione
🡪 PRO = interruzione breve, che permette di non perdere il filo del discorso; è un modo
“economico” di riparare all’errore; fornisce la formulazione corretta; giustappone errore e
forma corretta; sollecita il noticing.
🡪 CONTRO = lo studente potrebbe non notare la correzione; lo studente può solo
“prendere atto” della riparazione (o fare finta).
4. Correzione metalinguistica
🡪 PRO = dà indicazioni certe e a favore, aiuta lo studente a capire gli errori, spiega e
chiarisce le regole; generalizza: cerca di aiutare a livello di sistema e non solo di item.
🡪 CONTRO = toglie spazio allo studente; distoglie dal messaggio perché si sposta sulla
forma; può inibire; le regole possono non essere chiare per lo studente; capire una regola
non significa non sbagliarne più; le spiegazioni possono non attagliarsi alle ragioni
dell’errore dello studente.

A questo punto diventa importante il lavoro sull’errore dal punto di vista dello studente e
dell’insegnante: rilevazione, valutazione, ricerca comune delle cause e ricerca della soluzione. È
come se ci debba appoggiare alla valutazione dell’insegnante ma anche farsi carico dell’errore. È
chiaro che l’automatismo linguistico sarà l’esito di una pratica, ma la spiegazione meta-
grammaticale non è la garanzia della forma corretta rispetto all’errore. Non ci sono risposte nette:
dipende dal livello di competenza degli studenti, dal clima della classe, dalla situazione, dagli
obiettivi che ci siamo preposti. Ovviamente un ambiente favorevole alla presa di parola e alla
liberà di sbagliare non inibisce e promuove il parlato, il tentativo di uso della lingua. Su questa
base si può pensare un lavoro di riflessione esplicita.
[esempio 🡪 esercizio svolto, ma lo studente ha iper-interpretato che lo spazio dei punti significhi
che doveva inserire delle parole, non solo i simboli di interpunzione. Non dobbiamo mai dare per
scontato che la consegna o determinati tipi di attività siano sempre totalmente e universalmente
comprensibili e adatte. Alcuni errori possono derivare da una consegna fuorviante o poco chiara]

Altro fenomeno che avviene molto spesso è quello della correzione tra pari. Bisognerebbe
incoraggiare la riflessione e non la correzione. Si dovrebbe invitare a riflettere collettivamente
sull’errore, più che correggere. La correzione tra pari è organizzata quando si chiede di giustificare
e motivare. Non si deve solo sottolineare l’errore del compagno, ma si deve spiegare il perché. Un
criterio guida è la co-costruzione, la costruzione congiunta delle conoscenze. Si impara più
socialmente prima che individualmente. Condividere i propri feedback, lo scambio riduce la
dimensione della valutazione e del giudizio. Dipende sempre tutto dal contesto che viene creato.
L’interazione in classe può costruire un determinato contesto, che deve essere favorevole al
prendere parola senza preoccuparsi del giudizio degli altri. Bisogna puntare a una classe “safe and
supporting”, in cui attraverso lo scaffolding gli studenti possono sentirsi powerful.

Scaffolding 🡪 letteralmente significa “impalcatura”, è quell’input+1 di cui abbiamo già parlato, è la


predisposizione di un gradino per cui l’insegnante non fornisce la risposta ma crea quella struttura
che facilita l’impegno dell’alunno a trovare la risposta.

APPRENDIMENTO, INSEGNAMENTO E USO DI COMPETENZE PRAGMATICHE IN ITALIANO L2/LS -


NUZZO, SANTORO
Studi che riguardano la teoria degli atti linguistici postulata da Austin. Anche nell'ambito della
pragmatica che si occupa del confronto tra più lingue dell'insegnamento e dell'apprendimento la
lingua seconda e dell'interazione tra parlanti nativi e non nativi uno dei punti di partenza più
frequenti e quello dell'atto linguistico. Gli studi sono stati svolti esaminando l'evoluzione dei
parlanti non nativi in contesti di apprendimento spontaneo. L'atto linguistico ad oggi più studiato e
la richiesta e i metodi per mitigare o attenuare la richiesta. gli obiettivi dell'attenuazione sono
l'autoprotezione quando il parlante vuole tutelarsi riducendo il suo legame con quanto afferma, la
prevenzione quando l'intenzione e prevenire una minaccia all'immagine dell'altro, riparazione
quando l'obiettivo è riparare una minaccia all'immagine dell'altro. Gli atti linguistici presi in
considerazione sono le richieste, le scuse, le proteste, i complimenti, inviti, ringraziamenti,
disdette. Uno studio di Nuzzo del 2006 riprende dati e li citati tramite roleplay aperti spontanei
che non imponevano limiti di tempo e cambiamenti di identità punto le partecipanti sono tre
apprendenti intermedie di italiano con le quali sono state realizzate diverse registrazioni nell'arco
di 5 mesi. il corpus comprende proteste, scuse e richieste. In un primo momento producono
proteste piuttosto aggressive Perché si attribuisce la responsabilità all'interlocutore e per lo scarso
uso di mitigatori. Nelle successive osservazioni l'aggressività tende a diminuire perché si usano in
modo più equilibrato mitigatore e rafforzatori.
Un altro studio del 2007 osserva come a una maggiore padronanza di l due corrisponde un
incremento dell'abilità a gestire le richieste e le proteste. Nel 2013 si presenta uno studio
focalizzato sull'atto del ringraziare studiando manuali di italiano alle due e si arriva alla conclusione
che i libri di testo non offrono un input pragmatico adeguato mentre l'uso del parlato televisivo
sembra avvicinarsi a quello reale e può essere un buon supporto per gli insegnanti per insegnare la
pragmatica.

I segnali discorsivi sono quegli elementi che si svuotano del loro significato originario assumendo
dei valori aggiuntivi per sottolineare la strutturazione del discorso o connettere elementi della
frase punto sono oggetti pragmatici per eccellenza che non possono essere interpretati se non
indipendenza dal contesto. Spesso questi segnali discorsivi sono ignorati nei libri di testo di lingue
seconde ma una buona parte della ricerca su aspetti pragmatici dell'italiano l due realizzata a
partire dagli anni 2000 si è rivolta proprio a questi elementi. Ad esempio, abbiamo lavori che
analizzano la presenza Di ma nelle diverse varietà di apprendimento, segnali discorsivi commessi,
no, così, anche, invece insomma bene vabbè, figurati (Pugliese).

Altri lavori più generali studiano ad esempio come i segnali discorsivi compaiono nelle
conversazioni degli apprendenti fin dalle fasi iniziali dell'acquisizione (ipotesi confermata dai
risultati dell'analisi di quattro studenti spagnoli di livello elementare).

Sono stati svolti anche altri studi su altri elementi pragmatici come, ad esempio, il topic e focus, gli
ordini marcati virgole meccanismi di gestione della conversazione, l'uso degli allocativi o i
meccanismi linguistici associati alle strategie della cortesia.

2. La prospettiva interazionale e socioculturale; le ricadute didattiche

SOCIALIZZAZIONE LINGUISTICA

assumere una visione olistica della socializzazione linguistica —> inglobare diversi elementi della
situazione, tenere conto del contesto. prima ci si concentrava sulla diade intervistato-
intervistatore, oppure c’erano i casi di studio longitudinali (si segue lo stesso studente lungo il
corso dell’apprendimento). Con Pallotti, si inizia a tenere conto dell’interazione e del contesto, si
osserva una bambina neoarrivata, ma mentre interagisce con l’insegnante e con i compagni. la
socializzazione linguistica in L1 riguardava l’interazione tra mamma e bambino, la socializzazione
linguistica in L2 si estende. si tratta di un’analisi micro-analitica dei contesti sociali. lo status di
esperto e principiante è uno status che assumiamo a seconda delle situazioni, è un ruolo che si
modifica. il focus dell’analisi è l’apprendimento linguistico e culturale (non solo quale è la lingua
che viene acquisita ma anche quali sono le situazioni sociali a cui si adatta l’apprendente). l’input
linguistico è considerato solo dal punto di vista interazionale. si guarda come l’apprendente
prende parte ad eventi sociali marcati linguisticamente attraverso indici verbali. si guarda anche
l’interazione tra pari. i ruoli di esperto e principiante si possono alternare (per esempio articolo
Tradurre per la compagna di banco).
Child language brokering —> mediazione di un bambino per un altro —> brokee chi beneficia della
traduzione; broker chi traduce. in questo contesto si guarda alle potenzialità di azione
(affordances). si tiene conto della partecipazione simmetrica e dell’acquisizione che sono context-
specific (legate ai micro-contesti). il contesto va considerato in tutti i sensi: come setting fisico e
come contesto socioculturale (come si acquisiscono le regole di un contesto usando la lingua). Si
parla di un apprendimento situato. alle spalle di queste affermazioni ci sono delle ricerche
antropologiche ed etnografiche. la concezione dell’apprendimento situato a cui si collega quella
della partecipazione periferica. un’antropologa ha osservato come in Africa degli adolescenti
imparano a diventare sarti. svolgere una ricerca etnografica vuol dire essere lì, osservare cosa fa il
maestro e cosa fanno gli allievi. condurre una ricerca del genere in un posto così povero ha
significato per l’antropologa la definizione di partecipazione periferica —> l’attenzione è
inizialmente al margine, limitata, periferica, poi gradualmente il grado di expertise diventa più
centrale, più attiva, più evidente. questo diventa un apprendimento specifico, che osservato nel
tempo ha sottolineato delle dinamiche, che sono quelle che portano da uno spazio periferico a
uno più centrale. questo centra con la didattica dell’italiano l2 perché se abbiamo uno studente
neoarrivato e consideriamo che la sua partecipazione iniziale non sarà centrale, possiamo tenere
conto del tempo che l’alunno ha bisogno per osservare, ascoltare, percepire, imparare a
distinguere e discriminare i suoni… quindi non possiamo pretendere una partecipazione attiva
immediatamente, ma non possiamo neanche relegarlo ai margini reali dicendo “noi andiamo
avanti col programma, tu intanto impara queste parole”. la partecipazione ci deve essere, da
subito, ma a livelli diversi: magari all’inizio quella dell’alunno in fase iniziale sarà periferica, ciò gli
servirà a osservare il contesto sulla classe. (citazioni slide Duff, 2007). i soggetti che apprendono
hanno già un repertorio linguistico e culturale; quindi, quando ne apprendono uno nuovo possono
emergere dei problemi, delle resistenze, delle ambivalenze, poca adattazione. socializzazione
linguistica —> intreccio tra lingua e cultura, che costituiscono un binomio inscindibile. la lingua
veicola degli elementi socioculturali, quindi osservare l’apprendimento e l’adattamento a un
contesto sociale può portare a delle ambivalenze e a delle resistenze oltre che a una volontà di
assimilazione.
l’approccio della SL è nato per capire come i bambini sviluppano la competenza pragmatica e
come si sviluppa l’interazione e la socializzazione. oggi il campo si è esteso: language heritage, i
contesti di migrazione, alfabetizzazione (la literacy), la socializzazione dei media. si tratta di un
processo che continua lungo l’arco della vita, è interazionale e non unidirezionale. è un processo in
base al quale un esperto in una situazione diventa principiante in un’altra e in cui sono importanti
la conversazione e le altre pratiche discorsi e che sono incorporate in situazioni sociali più ampie.
come si studia? facendo una ricerca etnografica sul campo, raccogliendo dati di diversa natura
(interviste, osservazioni, annotazioni, diario di bordo, audio e/o video-registrazioni delle
interazioni). si conduce un’analisi che tende alla microscopia, ai micro-dettagli. è solo una
descrizione molto molto densa che ci può consentire di capire davvero una situazione, un
fenomeno, una dinamica o un percorso di apprendimento. si tratta di dati naturali, di osservazioni
naturalistiche —> non sono preparate ad hoc in laboratorio, ma sono spontanee, reali. non è uno
studio sperimentale. le riflessioni possono essere da outsider o da partecipanti. osservare le
interazioni ci permette di comprendere meglio come si elabora una competenza che è sia
linguistica che socioculturale. studiare le interazioni vuol dire descrivere le sequenzialità (le cose
che diciamo sono legate l’una all’altra, si cerca di capire il nesso tra un turno di parola e l’altro). si
guarda con attenzione ciò che i parlanti ritengono importante, il ricercatore indietreggia
(retrocessione del ricercatore, non ci interessa quello che interessa a lui, ma il focus sono i
parlanti). focus sulle azioni che i parlanti “fanno” —> si usa la metodologia dell’analisi della
conversazione, che riguarda la lingua parlata nell’interazione. in una classe (soprattutto di lingua) il
sillabo è programmato, ma non si può mai anticipare il tipo di dialogo che si svolgerà. per
analizzare questo tipo di dialoghi, anche noi ricercatori dobbiamo percorrere cosa si dicono i
parlanti, cosa fanno, senza anticipare ciò che avviene dopo. è un’analisi sistematica di quello che
viene fatto e detto in un contesto sociale. a noi interessa la classe, in particolare quella di lingua,
ma questi studi riguardano tutti i tipi dell’interazione (medico-paziente, ambito giuridico, ecc.). la
modalità e le operazioni discorsive dell’insegnante incidono sull’apprendimento. non dobbiamo
interpretare le intenzioni dei parlanti, non possiamo entrare nella loro testa, ma possiamo
attenerci strettamente a ciò che fanno e a ciò che dicono. è strutturale, non c’è descrizione
psicologica. all’inizio è difficile entrare in questa idea, si tende a dare interpretazioni di natura
psicologica. si studiano la lezione frontale, interazione tra studenti, interazioni con l’insegnante, i
lavori di gruppo, la consultazione tra studenti e le attività parallela alla lezione (quelle che
avvengono “sotto banco”)
Pekarek Doehler —> considerare l’interazione in classe come luogo primario e quasi unico
dell’acquisizione è una posizione radicale. una posizione moderata è quella secondo cui bisogna
riflettere sul modo in cui queste interazioni strutturano il nostro apprendimento, visto che siamo
agenti sociali. non si può dire che noi non apprendiamo fuori dall’aula. si è studiata quindi il
legame tra classe e azioni extrascolastiche. (slide con le domande di Pekarek Doehler)

socializzazione linguistica italiano L2 (esempio)


entriamo in un laboratorio di italiano L2 —> facilitazione linguistica, dalle classi ordinarie escono
dei bambini che hanno bisogno di un supporto italiano. per alcune ore alla settimana, alcuni
bambini escono dalla classe ordinaria e fanno delle ore di italiano. l’insegnante di laboratorio deve
collaborare con l’insegnante in classe. Frammento della lezione con un bambino appena arrivato.
lezione di italiano L2 sulle routine quotidiane. riga 10 l’insegnante ritaglia una diade, anche se ci
sono più bambini nel laboratorio, lei si rivolge solo ad Avis. riga 13 risposta funzionale (dal punto di
vista linguistico il bambino omette delle informazioni importanti), quindi l’insegnante pone
l’accento su alcune strutture linguistiche facendogli costruire meglio la frase. troviamo il “come si
dice?” —> che racchiude molto ciò che avviene nelle classi di lingua. questo è un esempio basico
ed elementare di socializzazione linguistica. il primo “come si dice” è relativo alla lingua, il secondo
riguarda la regola sociale + la formula linguistica di cortesia di natura pragmatica (per favore).
l’insegnante lo conduce nell’esplicitazione delle varie azioni quotidiane (quando lui dice che va
subito a scuola, lei gli chiede “non vai in bagno? non ti lavi la faccia?”). l’attenzione al come si dice
ci rivela che il saper dire è una competenza legata al dover dire. le regole della lingua vanno
insieme al discorso sociale.
altro esempio (classe II elementare)
l’insegnante fa una domanda e tutti si accavallano. allora chiede “che si fa per rispondere?” e uno
le risponde “si pensa”. l’insegnante ripete, quindi l’alunno capisce che è corretto. i bambini
continuano a sovrapporsi. insegnante ribadisce le regole da seguire in classe, facendole dire ai
bambini. “si pensa” “si riflette a quel che si dice” “si alza la mano”. la prof esce dall’attività,
sequenza laterale, per ribadire la regola. questo riguarda la socializzazione linguistica. il focus non
è la lingua italiana, ma le regole sociali per stare in classe correttamente.

altro esempio (scuola media, alunne filippine)


entrambe le alunne sono state scolarizzate in inglese, ma parlano anche la lingua d’origine del loro
paese. a questo si aggiunge l’italiano, lingua del paese d’accoglienza. la bambina filippina
neoarrivata si rivolge alla sua compagna in L1 per chiedere se deve portare o meno un libro. l’altra
dice di sì. l’alunna P ha un buon livello di comprensione, ma non di produzione (infatti parla nella
sua lingua). nella seconda parte, l’alunna P capisce di nuovo cosa viene detto in italiano e si
preoccupa di non avere il riassunto, di non agire come tutti gli altri. la preoccupazione non è
conoscere l’italiano peggio degli altri, ma non avere il quaderno con il riassunto fatto. la
comunicazione con la compagna di banco rappresenta un supporto.

plurilinguismo nell’interazione in classe


approccio della socializzazione linguistica e l’analisi della conversazione ci servono per analizzare il
plurilinguismo in classe. abbiamo alunni italiani, alunni nati in italia ma da genitori stranieri, alunni
neoarrivati. le classi possono essere composite e comportare delle dinamiche linguistiche
particolari (dinamiche parallele). solitamente l’insegnamento dell’italiano è pensato come una
fornitura di nozioni e lessico, ma in un contesto socioculturale l’apprendimento si lega anche ad
altro. nella classe plurilingue c’è: alternanza di codice (codeswitching), mediazione linguistica
infantile (child language brokering), traduzioni (brevi, di una sola parola).
Heritage e Claymann sono due studiosi dell’analisi della conversazione, che affermano che: (slide)
—> spostandoci sul contesto educativo, altri autori dicono che (citazione nella stessa slide). si
introduce una riflessività istituzionale che non può essere messa in atto mentre si agisce (o siamo
nell’azione o siamo nell’analisi). Analizzare le interazioni in classi di italiano L2 significa
confrontarsi con altre lingue, questo è inevitabile. non si può guardare all’italiano L2 in maniera
mono-linguistica, perché il contatto con le altre lingue sarà inevitabile.

(foto)
questo è l’approccio metodologico di chi studia la socializzazione linguistica in L2. l’analisi della
conversazione nasce nel campo della sociologia. anche se la matrice è sociologica, questo
approccio ha implicazioni importanti per le scienze umanistiche e linguistiche. in questo caso i dati
non sono elicitati. non sappiamo cosa avverrà nell’interazione. lo sguardo dei ricercatori è
unmotivated, non sanno cosa studieranno, ma vogliono capire come si svolgono e come si
sviluppano il dialogo e l’interazione. questi analisti mirano a descrivere le pratiche stabili che sono
soggiacenti alle organizzazioni e alle pratiche istituzionali.
differenza emico vs etico
questa analisi ha una prospettiva emica —> prospettiva del parlante. questa descrizione è
proposta da uno studio che si basa sulla differenza tra fonetic e fonemic —> due approcci diversi:
emica dal punto di vista dei parlanti, per capire come essi danno senso alla realtà e si concentrano
su elementi culturali; quella etica si basa sulla cultura dall’esterno, su griglie di osservazione, su
generalizzazioni, metodi quantitativi e criteri universali.

Durante le conversazioni un fattore importante è la co-costruzione, non solo dal punto di vista
verbale (completando le frasi a vicenda) ma anche con gesti o minimal feedback.

Goffmann ha criticato la diade emittente-ricevente in quanto ogni volta che viene detto qualcosa i
presenti prendono un ruolo, uno statuto partecipato anche se non sono parte della conversazione
(anche con elementi non verbali, guardare una persona per assegnare il turno di parola). Elabora
una struttura di partecipazione: una categoria descrittiva che consente di osservare il tipo di
relazione tra gli interagenti che fanno parte dell’incontro sociale e quanto viene enunciato in un
dato momento da un parlante.

Scomposizione dei ruoli:

emittente:
- animatore (chi pronuncia una sequenza di parole)
- animatore e autore (chi sceglie la formulazione delle parole)
- principle (chi è responsabile delle parole)

ricevente:
- destinatario
- partecipante ratificato (presente)
- uditorio

l’ordine sequenziale è importante: tutti gli elementi del discorso sono valutati in base alla loro
posizione e al lavoro che svolgono rispetto ai turni precedenti.

LE DOMANDE
Si riconoscono perché creano un’attesa e richiedono un compimento. Hanno un ruolo
fondamentale nella socializzazione perché imparare a rispettare i turni, le modalità di intervento,
aggiungere contenuti pertinenti è fondamentale per partecipare nel discorso in maniera rilevante
ed essere riconosciuti. L’assenza di riconoscimento di un atto di parola è una grande minaccia
anche per l’identità e la partecipazione al gruppo (PALLOTTI, EXTERNAL).

Nel contesto scolastico le domande sono molto importanti e si strutturano in base a un inizio, una
risposta e un feedback. Esistono diversi tipi di domande imbeccate: contengono già la risposta
- le domande contrario: o…o (è meglio costruire vicino o lontano dai fiumi?)
- con parola o frase da completare (come si chiama? È un…)

CLASSROOM INTERACTION

Esaminata da una prospettiva di social interaction, cioè di attività studiate come processi sociali
piuttosto che processi cognitivi individuali.
- Lezione frontale
- Lavoro di gruppo
- Consultazione tra studenti
- Attività parallele alla lezione

La ricerca è concentrata al coinvolgimento interazionale, ciò che è osservabile e si concentra sui


meccanismi organizzativi dell’interazione in classe:

1. Turni di parola (differenze con le conversazioni quotidiane: il parlante può selezionare


quello successivo, se no un altro può autoselezionarsi, se nessuno si autoseleziona il
parlante può continuare): l’insegnante seleziona e invita uno studente (individual
nomination) o più (invitation to bid).
2. Le attività: turni di parola presi come perform an action (controllare i compiti). Interessa
vedere come si organizza l’attività in termini di sequenze di azioni.

EXTERNAL APPROPRIATIONS AS A STRATEGY FOR PARTICIPATING IN INTERCULTURAL


MULTIPARTY CONVERSATIONS – PALLOTTI

Occorre una convergenza tra studi interculturali (persone con culture diverse) e interlinguistici
(sull’interazione tra nativi e non nativi). Secondo Pallotti raramente si sono presi in considerazione
aspetti evolutivi della competenza linguistica e culturale. Il paradigma della socializzazione
linguistica va esteso all’acquisizione della lingua seconda: occorre esaminare i contesti
interazionali.

La ricerca si basa sul modo in cui una bambina marocchina di 5 anni impara a partecipare
all’interazione nella scuola materna in modo da essere accettata nella microcultura in cui agisce.
L’elemento centrale sono le ripetizioni di espressioni linguistiche usate da altri interlocutori. Sono
considerate come un dispositivo per ottenere coerenza testuale e come una strategia per
partecipare all’interazione.

lo sviluppo sugli studi sulla comunicazione interculturale ha messo in luce come persone con
diversi background culturali non condivisi interagiscono fra loro. un numero importante di studi ha
esaminato le strategie di conversazione usate da nativi e non nativi per superare le difficoltà
durante una conversazione ma spesso il background culturale e il contesto socioculturale in cui
avveniva la conversazione non era considerato. È necessario che ci sia una convergenza tra i due
campi da un punto di vista della socializzazione e della linguistica.

Il presente studio si concentra su una bambina marocchina di cinque anni Fatma e su come impara
a partecipare all’interazioni in una scuola materna italiana, acquisendo i mezzi linguistici e
socioculturali necessari per essere accettata nella comunità della scuola materna. Uno dei mezzi
più utilizzati è la ripetizione, appropriation. Un concetto fondamentale è quello di script (Saville-
Troike e Kleifgen): i bambini fanno affidamento sul proprio background e sulla propria conoscenza
pregressa di quello che ci si aspetta che succede in una scuola (indici contestuali) per interpretare
la lingua che viene utilizzata intorno all’oro. Si individuano alcuni elementi comuni riescono a
partecipare nelle attività anche senza capire quello che viene detto.

Goffman elabora una schematizzazione sul ruolo dei partecipanti: individua un destinatario, un
partecipante ratificato, un uditorio.
In questo studio si utilizzeranno le parole partecipante per indicare chiunque si trovi nel contesto
in cui avviene l’interazione, il partecipante è attivo quando prende parte all’interazione mentre
potenziale se non partecipa direttamente. Inoltre, si parlerà di opening quando qualcuno inizia una
conversazione con qualcuno. Oppure si può cercare di coinvolgere gli altri nella propria
interazione: si parla di introductions quando si cerca di coinvolgere gli altri in una interazione già
iniziata e di intrusions quando si cerca di aprire una nuova attività. Si distinguono in oltre due tipi
di appropriazioni, interne cioè quando il parlante ripete parole di cui era destinatario, esterne
quando il parlante ripete parole dirette a qualcun altro. In questo caso il ruolo del parlante è
quello di un partecipante potenziale. Le proprie azioni esterne sono allo stesso tempo un concetto
linguistico e socio antropologico in quanto per introdursi nell’interazione bisogna che siano
coerenti dal punto di vista linguistico ma possono essere anche viste come un modo per fare
qualcosa insieme quindi un modo di partecipare alla stessa attività. Riassumendo concentrano la
nozione linguistica di coesione e il concetto socio antropologico di partecipazione.

Fatma è una bambina di cinque anni nata in Francia che ho vissuto lì fino a cinque anni quando si è
trasferita in Italia con la famiglia. Non ha mai frequentato una scuola materna in Francia per cui
l’unica lingua che conosce è l’arabo marocchino. È stata video registrata per otto mesi per tre
mattine alla settimana. Non è l’unica marocchina nella classe c’è anche un altro bambino Rashid. I
dati vengono raccolti durante l’ora di pranzo che è il momento in cui la conversazione è più libera
(open state of talk), può coinvolgere adulti ma anche solo bambini. Il momento in cui è possibile
parlare si colloca normalmente verso la fine del pasto in quanto nelle scuole materne l’obiettivo
principale è quello di terminare il cibo. Per Fatma più che per gli altri bambini non è sempre chiaro
quando è consentito parlare. Se non avesse voluto essere uno spettatore nelle conversazioni altrui
avrebbe avuto due possibilità: iniziare una nuova conversazione ma doveva scegliere un
argomento e esprimersi con un vocabolario limitato, oppure introdursi in una conversazione già
aperta ma in questo caso anche se l’argomento era già stato scelto da qualcun altro, doveva
adattarsi all’argomento e rispettare i turni di parola.

E nei primi due periodi dello studio, dal secondo al sesto mese, tre introduzioni su quattro
contenevano parole di altri, ripetizioni. nel terzo periodo, settimo e ottavo mese, le ripetizioni
diminuiscono.
PRIMO PERIODO
Nel primo periodo utilizza appropriazioni esterne da conversazioni di altri e cerca di intervenire
nella conversazione indipendentemente da quello che loro stavano facendo. Inizialmente non
aggiungeva contenuti e non dava contributi alla conversazione ma ripeteva cose da un punto di
vista orizzontale parallelo. Inizialmente le ripetizioni non le permettevano di fare qualcosa insieme
agli altri ma di fare la stessa cosa degli altri.

ripetendo la parola mela Fatma fa quello che gli altri stavano facendo ossia chiedere per un
particolare tipo di frutta. Riconoscendo la parola Fatma riconosci anche il momento in cui è
possibile chiedere determinate cose come l’acqua o un frutto.

In un altro frammento Fatma cerca di parlare delle stesse cose che sente, cerca di costruire un
discorso verticale contribuendo alla conversazione ma i suoi tentativi non vengono colti
dall’insegnante perché non mette in evidenza un’intenzione comunicativa.

In un altro caso Fatma cerca di introdursi nella conversazione attraendo l’attenzione


dell’insegnante. Ma sbagli al momento in quanto cerca di introdursi nella conversazione sul freddo
ma fa un’intrusione nella conversazione riguardo al cibo.
SECONDO PERIODO utilizza ancora appropriazioni che però servono per contornare: saluti
richieste. dimostra che inizia essere capace di partecipare nelle conversazioni collettive nelle quali
si parla per parlare e non per raggiungere un obiettivo. In una prima occasione dimostra di
acquisire la struttura anche io usata da molti nativi per porre l’attenzione su ciò che si sta dicendo.
È una struttura che soddisfa il requisito di same topic-something new.
Fatma non solo sia proprio delle parole riguardanti il tema: letto grande ma anche esprimere il
proprio punto di vista riguardo al tema. Qui il turno di Fatma è evidenziato del volume di voce
elevato. Viene quindi considerata in quanto usa un volume più alto, si inserisce perfettamente nella
raffica di informazioni con anch’io, è rilevante.

In un altro frammento Fatma impara identificare il momento in cui il suo turno anche senza parlare
a voce alta viene ratificato. Qui Fatma non ripete più volte no piaci come in anch’io probabilmente
perché il ritmo non è così elevato come nella prima conversazione. Inoltre, si nota che inizia a
migliorare nelle sue competenze perché non parla di se stessa ma parla di Gianni.
In questo frammento Fatma riconosce la parola malato e aggiunge la parola testo. Il suo intervento
non è considerato dalla maestra ma dal compagno che la corregge sulla pronuncia della parola.
Fatma non si è introdotta con un volume di voce alto o un ritmo serrato ma ha parlato durante una
pausa e aggiungendo qualcosa di rilevante alla conversazione. Probabilmente non è stata
considerata dagli insegnanti in quanto concentrati a controllare che i bambini mangiassero oppure
non hanno percepito quello che stava dicendo.
E qui Fatma dimostra di avere conoscenze che vanno oltre le nozioni del qui e ora e che riguardano
il mangiare l’avere freddo, richieste. Cerca di intervenire in una conversazione riguardo alla festa e
non parla di sé stessa ma di sua madre. Inoltre, si inserisce in un punto significativo ma nonostante
questo non viene considerata nonostante utilizzi anche la comunicazione non verbale toccando la
maestra per ricevere attenzioni. Il motivo riguarda ha simmetria all’interno del sistema scolastico:
fosse stato un’adulta la maestra l’avrebbe incluso nella conversazione. È importante notare quindi
che la ratificazione non è scontata ma è qualcosa che deve essere conquistato da parte dei bambini
e il successo non è sempre garantito.

Nel settimo e ottavo mese Fatma è in grado di produrre interventi più indipendenti e complessi.
Uno dei punti fondamentali è la capacità di intervenire in sequenze narrative. In questa sequenza
Fatma riconosce la parola casa e introduce nuovi elementi relativi all’argomento per parlare della
propria casa.
Un altro punto importante riguarda una piccola narrazione al passato. Fatma riprende tutte parole
che ho sentito dai compagni ma lo organizza in una nuova costruzione. Non è ancora in grado di
comprendere le relazioni morfo sintattiche per cui non capisce bene il significato della frase
(capisce che l’autista gli aveva minacciati di non mangiare il pranzo ma in realtà intendeva
mangiare i bambini).
Le appropriazioni esterne hanno avuto un ruolo fondamentale nell’aiutare la bambina a
raggiungere lo status di partecipante ratificato. Inizialmente Fatma ripeteva parole di altri per
partecipare e fare quello che gli altri facevano come richiedere, salutare. Successivamente ha
cercato di diventare partecipante in attività costruite verticalmente come conversazioni costruite
con un ordine di sequenze di turni. Nel primo periodo Fatma aggiungeva pochissime parole a
quelle ripetute al contrario semplificava. Successivamente inizia raggiungere piccoli contributi
come espressioni negative o particelle polifunzionali. Nel secondo periodo e anche nel terzo
aggiunge molti più contributi originali. E Fatma, inoltre, inizialmente si riferiva solamente al
contesto ma col passare dei mesi è in grado di de contestualizzare e parlare di eventi passati o
descrivere la propria casa, grazie anche a uno sviluppo del proprio lessico. Fatma inoltre ha
sviluppato diverse strategie per diventare partecipante ratificato come la rilevanza, la ripetizione a
ritmo serrato di parole, il volume di voce alto, il parlare durante le pause.

SOCIALIZZARSI AL’USO APPROPRIATO DELL’ITALIANO L2 - NASI

Articolo si concentra sulle pratiche discorsive tra bambini non nativi e prendi in considerazione un
gruppo di allievi che partecipano laboratorio di italiano le due in una scuola primaria in particolare
al centro dello studio ci sarà un bambino di origine filippina neoarrivati in Italia che socializza i pari
e specifiche norme linguistiche riproducendo forme discorsive tipiche dell’istituzione scolastica del
parlato dell’insegnante. E ci si concentra sul processo tramite cui un novizio attraverso la
partecipazione alle attività quotidiane con partecipanti più esperti acquisisce una serie di
conoscenze linguistiche e culturali che gli permettono di diventare un membro attivo e
competente della nuova comunità.
Negli ultimi anni un numero crescente di ricerche si è focalizzato sull’interazione tra bambini e
bambine ossia sul gruppo di Pari e queste ricerche mostrano come anche i bambini socializzino i
propri compagni a norme linguistiche socioculturali. Tra i bambini vengono costruite posizioni di
asimmetria che non riguardano solamente la distinzione tra parlante nativo e non nativo ma anche
tra bambini e non nativi si creano posizioni di squilibrio. Un concetto fondamentale è quello del
Subteaching ossia bambini che si appropriano di forme discorsive proprie del mondo dell’adulto
riproducendole all’interno del gruppo dei pari in particolare seguendo il modo di parlare
dell’insegnante.
L’espressione fa riferimento a una serie di pratiche attraverso cui i bambini incarnano il ruolo
dell’insegnante riproducendo azioni sociali forme discorsive prototipiche di questa posizione. Il
concetto è legato alla nozione di footing che fa riferimento alla posizione che i diversi interlocutori
assumono nei confronti degli altri partecipanti, sono posizionamenti dinamici.

In ambito italiano uno dei primi autori a considerare i processi di acquisizione dell’L2 nella
prospettiva della socializzazione linguistica è stato Gabriele Pallotti con lo studio su Fatma,
successivamente pugliese che mostra come i bambini bilingui facciano gli insegnanti aiutando i
compagni arrivati nello svolgimento delle attività quotidiane.

Gli estratti fanno parte di un piccolo corpus che comprende sei ore di lezione video registrate in un
laboratorio italiano come lingua straniera in una scuola elementare. I corsi si dividono in
alfabetizzazione e potenziamento a seconda delle competenze degli alunni, il presente studio si
basa su un corso di alfabetizzazione. Il focus sarà sulle strategie di Subteaching messa in atto da
Ramil un bambino di origine filippina da poco arrivato in Italia e inserito in una classe terza. Nel
laboratorio italiano i bambini svolgono attività che vanno ad esercizi di grammatica su libri e
fotocopie a narrazioni estese su temi legati alla loro quotidianità.

Il ricercatore era presente in classe ma rispondeva solo se sollecitato e non iniziava mai
un’interazione.

I primi due estratti riportano due esempi concentrati sulla socializzazione a norme linguistiche di
tipo lessicale, Ramil mette in atto fenomeni di Subteaching volte a evidenziare l’uso delle parole
appropriate per riferirsi agli oggetti della quotidianità scolastica. Il secondo fenomeno è la
socializzazione a norme pragmatiche legate all’azione di chiedere qualcosa.

Nel primo estratto i bambini hanno ricevuto un esercizio individuale e devono rispondere a
domande di comprensione. L’interazione coinvolgere Ramil e due compagne.

All’inizio della sequenza Ying sembra cercare qualcosa ma non trovandolo lo chiede esplicitamente
al compagno senza conoscerne la parola e si affida il dittico quella accompagnato da risorse non
verbali, il gesto della mano. Ramil non soddisfa la richiesta e inizia una sequenza di riparazione che
potrebbe indicare la non comprensione della richiesta ma successivamente annuendo mostra di
realtà di aver capito la domanda e di volere l’esplicitazione del nome dell’oggetto. Ramil compreso
fin da subito il contenuto della domanda ma non ne accetta la forma e sembra voler portare la
compagna pronunciare la parola appropriata per designare l’oggetto. La riformulazione di Ramil
che sollecita una risposta con una serie di domande rimandano a una strategia del discorso
scolastico: per segnalare la propria la mia problematicità della risposta l’insegnante può evitare di
produrre il terzo turno valutativo e riformulare la domanda alla ricerca di un contributo
soddisfacente. nella parte finale incarna nuovamente il ruolo dell’insegnante con un ulteriore
domanda che sembra ricordare le frasi lasciate in sospeso che richiedono comporta un
completamento da parte dell’allievo. Ramil non si limita ad esplicitare la parola ma verifica
l’apprendimento dell’allievo e solo alla risposta corretta consegna il bianchetto. il bambino
socializza la compagna ha la necessità di chiamare le cose con il proprio nome. Un ulteriore
dimensione è legata alla gerarchia interna al gruppo dei pari: all’inizio era mila in una posizione di
potere dovuta al successo al materiale di cui la compagna bisogno, alla domanda della ragazza e il
bambino accentua questa asimmetria facendo emergere uno squilibrio in quanto la bambina non
conosce la parola e Ramil si pone in una posizione sovraordinata.

Anche nel secondo estratto il bambino evita di adempiere alla richiesta del compagno e corregge
la sua scelta lessicale prima negando l’associazione proposta e poi suggerendo il termine
appropriato. L’insegnante, inoltre, esplicita la regola con la formula impersonale del si dice. Con
questa sequenza mostra ai bambini uno dei modi di chiedere le cose gentilmente e li socializza a
specifiche norme pragmatiche.

IN ITALIANO E IN ALTRE LINGUE, A CASA E A SCUOLA – PUGLIESE


la quotidianità comunicativa nelle classi scolastiche è caratterizzata da diversi verbi come chiedere,
rispondere, riassumere, ripetere ma un altro verbo è altrettanto importante: tradurre. Tradurre
non solo nell’accezione di traduzione da una varietà all’altra all’interno della stessa lingua ma
anche nel significato più esplicito ossia di traduzione da una lingua all’altra, una traduzione che
interpella l’alunno bilingue ma anche l’insegnante.

Osservare le dinamiche di mediazione linguistica ed interazione tra pari permette di cogliere


aspetti importanti della comunicazione nella classe plurilingue odierna. È rilevante l’approccio
della socializzazione linguistica che assegna un’importanza centrale agli aspetti contestuali e sociali
dell’acquisizione linguistica.si avvale della metodologia della analisi della conversazione. Si può
studiare l’acquisizione linguistica come socializzazione linguistica e nelle due adottando un
approccio per comprendere il nesso tra l’apprendimento di una lingua seconda e lo sviluppo delle
competenze sociali in quella lingua.

Nel panorama italiano delle ricerche il filone prevalente è quello del cognitivista che descrive la
costruzione individuale del sistema Inter lingua considerando l’interazione come una delle possibili
variabili. la prospettiva della socializzazione linguistica in L2 si basa sull’impossibilità di isolare i
processi cognitivi dalle attività nelle quali e per le quali sono messi in azione.

La configurazione multietnica delle classi conseguente all’evolversi del fenomeno migratorio


spiega l’emergere di pratiche di mediazione linguistica che mostrano come l’acquisizione della
lingua seconda sia legata al mondo sociale in cui si compie e si estenda oltre il dialogo adulto-
bambino. E si concentra anche sull’interazione tra gli apprendenti alcuni dei quali possono agire in
qualità di esperti a favore dei compagni principianti, i ruoli possono anche alternarsi.

Con il termine interazione tra Paris si intende interazione fra un gruppo della stessa età, un gruppo
multi-età, bambini che si conoscono come il caso di fratelli e sorelle. Pari può essere inteso in
termini di età, abilità, rendimento scolastico, gruppo classe i cui bambini sono accomunati da una
stessa finalità. Interazione fra Paris fa riferimento all’attività comunicativa orale e scritta condotta
tra bambini con una minima o con nessuna partecipazione dell’adulto. In classe può trattarsi di
interazioni sollecitate organizzate oppure di dialoghi spontanei. L’interazione rappresenta uno dei
due ambiti cruciali della socializzazione infantile insieme all’interazione adulto-bambino.
Quest’ultima è stata ampiamente studiata siccome si considerava l’insegnamento come ambito di
pertinenza dell’insegnante. Questa visione è stata messa in discussione in tempi recenti le teorie
che hanno evidenziato come insegnare abbia meno a che fare con il trasferimento di conoscenze e
più con rendere possibile a chi a prendere l’appropriarsi di nuovi modi di comprendere le cose. I
contesti in cui può venire questa appropriazione possono includere l’interazione tra pari negli
ambienti educativi e in quelli informali. L’interazione gestito da bambini si riconosce come luogo di
opportunità di apprendimento in quanto si attivano potenzialità uniche per lo sviluppo linguistico
e sociale attraverso l’osservazione di azioni verbali non verbali, la produzione di risposte, la
correzione reciproca, lo sviluppo della consapevolezza pragmatica.

È emerso da alcuni studi che si hanno maggiori ricadute positive nell’interazione tra bambini nativi
e non nativi dove questi ultimi abbiano una minima competenza di base. I bambini nativi possono
costituire una fonte di input ma non si rivelano degli insegnanti nelle prime fasi dell’acquisizione
linguistica da parte dei compagni non nativi.
Scambio verbale tra due sorelle bengalesi di 11 e 4 anni. La prima chiede alla seconda di andare in
cucina prenderle dell’acqua. nelle ultime righe si intrecciano due lingue i due livelli, semantico e
pragmatico. La correzione esplicita da parte della sorella maggiore della replica pragmaticamente
errata detta in inglese ringraziamento appena espresso in italiano. La correzione della sorella
maggiore parte da una valutazione critica dell’uso linguistico udito e successivamente lega al micro
contesto in atto il comportamento linguistico adeguato, prego. La correzione tra Paris si manifesta
come una micro-azione sociale che è una duplice funzione di: dire come si dice in italiano, e
simultaneamente puntare sull’appropriatezza li pragmatica della routine linguistica qual è la
parola da usare, in base alla quale si reagisce in genere al grazie.

Scambio a scuola tra due alunne cinesi preceduto dà la spiegazione didattica dell’insegnante. Il
modo della spiegazione dell’insegnante e marcato nella prosodia tramite il volume della voce,
evidenziando parole chiave scandendole e ripetendole, utilizzando l’enfasi su alcune parole e il
prolungamento del suono. Queste ultime due strategie conferiscono la spiegazione storico
geografica una connotazione narrativa rendendola simile a un racconto ed è evidenziato dalle
reazioni di stupore degli alunni ed alla loro attenta partecipazione.
L’alunna S si rivolge la sua compagna C facendosi portavoce del discorso dell’insegnante. quando
essi si serve della mappa per mostrare la circumnavigazione di cui si parla si nota l’importanza che
il ruolo dell’insegnante mantiene nell’interazione tra pari: è un modello da emulare. Il commento
su quanto fosse complicato il viaggio consente di vedere nella lingua nativa dell’alunna lo stesso
stupore espresso in precedenza dei compagni italiani. S fa una sintesi di tutta la spiegazione
limitandosi al contenuto sostanziale per garantire la compagna di non perdere gli elementi
fondamentali.

Un altro estratto riguarda l’interazione tra due alunni in una classe prima media. Vi è una
correzione collettiva di un esercizio grammaticale. Nello scambio tra le due alunne Filippine le
prime righe riguardano la preoccupazione dell’alunna riguardo al suo possibile intervento e
l’identificazione della frase che dovrà leggere, sono le ultime due frasi riguardano il contenuto
grammaticale e la correttezza linguistica.

La socializzazione a ogni nuovo contesto di attività comprende generalmente l’apprendimento di


un vocabolario e di una certa modalità di esecuzione delle azioni. questi apprendimenti oltre a
rendere possibile lo svolgimento delle attività previste nel contesto denotano l’appartenenza di chi
parla o agisce in quel determinato modo al contesto medesimo. -Fasulo
E nell’interazione tra due alunni filippine oltre alla correttezza linguistica la sua preoccupazione
riguarda anche il tempo opportuno della sua risposta, ossia l’esecuzione appropriata e corretta del
compito durante un rituale comunicativo didattico che produce e segnala un’appartenenza al
gruppo.

Il discorso nella classe e simultaneamente un luogo di elaborazione di un’identità sociale e di saper


disciplinare diversi oltre che un contesto locale della costruzione di competenze linguistiche.
vengono identificati tipologie di attività discorsive:-discorsi costitutivi della piccola comunità del
gruppo classe che precedono il momento didattico e sono riservati alla narrazione di eventi ed
esperienze individuali,-Discorsi tramite i quali gli alunni sono proprio alcuni rituali didattici come la
correzione collettiva o momenti organizzativi,-discorsi incentrati sulla costruzione dei saperi
disciplinari,-discorsi meta linguistici focalizzati sulla lingua.
La distinzione tra le diverse attività discorsive ci restituisce una configurazione all’interno della
quale si intrecciano l’apprendimento linguistico e quello delle discipline e ci mostra la
socializzazione all’italiano L2 e la socializzazione tramite l’italiano L2. È il più la lingua Ismo
spontaneo messi in atto dagli alunni stranieri nella fase iniziale può costituire un ponte verso
l’apprendimento dell’italiano L2 proprio perché è funzionale promuovere la partecipazione in
classe.

TRADURRE PER LA COMPAGNA DI BANCO – PUGLIESE

Il child language brokering è possible con una L1 comune e disparità della conoscenza di L2. Sul
piano scientifico propone delle novità:
-documentare in dettaglio questa circostanza comunicativa per esaminarla in modo approfondito
-rendere evidente una traduzione invisibile
-descrivere una mediazione culturale.

In economia il termine brokering significa negoziazione, intermediazione, un tipo di attività che va


al di là della traduzione di una parola perché offre delle spiegazioni e sostegno culturale.

� Diversi studi e prospettive teoriche: GB studio su una rassegna di letteratura con


inchiesta online a 60 insegnanti e ex brokers.
� Spagna e Italia: inclusion, diversity and communication across cultures, per dare line
guida ed elaborare attività inclusive.

Vantaggi: facilita l’accesso dei genitori ai servizi, dà ai genitori la possibilità di comunicare in L2,
collaborazione nella gestione delle attività famigliari riguardo a questioni burocratiche. Senso di
competenza, sicurezza, capacità decisionale.

Svantaggi: parentificazione, inversione dei ruoli, stress, vergogna, un peso per il bambino.

Nelle classi italiane c’è una compresenza di alunni autoctoni, con background migratorio nati in
Italia e alunni neoarrivati.
Si parla di plurilinguismo spontaneo: visibile nelle analisi delle pratiche di socializzazione
linguistica in L2 (traduzione di singole parole, alternanza delle lingue nel parlato, CLB); e di
plurilinguismo come progetto educativo: da raggiungere ampliando il repertorio linguistico di
partenza degli apprendenti e riconoscendo le lingue già esistenti.

COMMENTI VALUTATIVI:
- Valutazioni personali
- Dubbio rispetto a quanto viene detto
- Lei a ha detto che..: autore vs animatore

INTERAZIONI COSTRUTTIVE
È suscitata da uno stimolo significativo che elicita una risposta pertinente. Include il lessico delle
discipline e consente agli studenti di esprimere le loro opinioni e spiegare al loro pensiero. Poggia
su turni di parola costruiti sul turno precedente. Indicatori verbali e interazionali di
apprendimento: gli studenti pongono domande autentiche, l'alternanza dei turni spontanea e
l'ascolto autentico. Il parlato di tipo esplorativo e le valutazioni personali trovano una libera
espressione.

È però necessario evitare che il brokee deleghi. In classe è necessario lavorare sull’interazione
verbale e sulle abilità interazionale, favorire le interazioni tra alunni, tematizzare nelle attività sul
lessico i diversi modi di dare spiegazioni, ampliare le possibilità di mediazione linguistica in classe.

Non è raro nella scuola italiana plurilingue la compresenza di due o più alunni che condividono la
stessa lingua nativa ma non ancora la stessa competenza nella lingua seconda. L’italiano è parte
integrante del repertorio linguistico di un alunno in virtù di una permanenza di lungo periodo nella
società di accoglienza e si presenta nel repertorio dell’altro con le fragilità tipiche delle fasi iniziali
di acquisizione dato lo status di alunno neoarrivato. l’alunno bilingue interviene in modo
spontaneo e sollecitato in favore del compagno assumendo un ruolo di interprete e mediatore
linguistico. oggetto di questo contributo è l’attività di interpretar Jato che coinvolge due alunne
cinesi di quarta elementare durante la lezione e nello specifico di alcuni segmenti di contenuti
disciplinari che l’insegnante va simultaneamente spiegando.
Child language brokering: a scuola può configurarsi come una pratica comunicativa, educativa e
relazionale molto comune. il CLB È oggetto di indagini qualitative etnografiche e psicosociologiche
che descrivono la percezione da parte di ex brokers dell’esperienza. I risultati delle indagini
evidenziano aspetti positivi come la percezione della propria competenza bilingue, una maturità
sociale, una capacità di agire supporto ai genitori; dall’altro le ricerche sembrano suggerire
implicazioni negative date dal carico cognitivo che comporta l’attività d’impresa di interpretariato
in contesti delicati, dal disagio psicologico, è un rovesciamento dei ruoli adulto bambino. Il
fenomeno del CLB richiama un collegamento al filone sociologico dei childhood studies e si
concentra su una critica nei confronti della visione tradizionale dei bambini come Human
Becoming rather than human beings. E gli studi si avvalgono dell’analisi della conversazione, un
approccio sociologico microanalitico che descrive nel dettaglio l’organizzazione sequenziale e i
meccanismi delle attività verbali viste come azioni sociali e assume l’orientamento dei parlanti.
Il corpus di dati si compone di 18 sequenze di mediazione linguistica infantile, audioregistrate
durante alcune lezioni di italiano, storia e geografia. Due delle sequenze sono sollecitate
dall’insegnante su una questione non didattica.le restanti 16 sono realizzate su iniziativa
spontanea della bambina bilingue o come reazione alla richiesta spesso non verbale trasmessa
dalla compagna di banco.

Broker= bilingue, S
Brokee = C

PEKAREK

Nella linguistica moderna si parla di competenza linguistica, competenza comunicativa e


competenza interazionale, che è un cambiamento radicale di prospettiva.
La competenza internazionale è una componente centrale delle abilità sociali attraverso le quali le
persone ottengono l’accesso al mondo sociale e istituzionale, sono riconosciuti come membri della
comunità e costruiscono le loro identità. Inoltre, è fondamentale per essere partecipanti del
mondo sociale. Negli ultimi due decenni l’apprendimento della L2 è stato interpretato come lo
sviluppo di mezzi linguistici per impegnarsi nel mondo sociale come un processo cognitivo non
individuale ma guidato dall’uso della lingua. Il concetto di competenza internazionale può essere
visto come una nuova prospettiva dell’apprendimento della lingua nel campo della SLA. Le prime
concettualizzazioni sulla competenza internazionale vengono fatte negli anni 90 ma è solamente
nell’ultimo decennio che lo sviluppo della competenza internazionale riguardo alla lingua seconda a
ottenuto attenzioni nelle sperimentazioni della SLA.
la nozione di competenza internazionale riflette un cambiamento sulla nostra concezione di che
cosa è l’apprendimento linguistico. Inizialmente la SLA si concentrava su uno studio della forma
linguistica e della competenza individuale, di conseguenza il contesto comunicativo e la interazione
sociale non sono state prese in considerazione dalla tradizione della SLA. Anche il concetto di
competenza comunicativa ha riguardato soprattutto l’abilità del parlato ma sempre in prospettiva
decontestualizzata.
Hymes elabora il concetto di competenza comunicativa e grazie adesso le competenze
sociolinguistiche vengono messi in primo piano. un altro studio divide la competenza comunicativa
in linguistica, sociolinguistica, strategica, discorsiva con un focus sulla produzione individuale del
parlante piuttosto che sulla sua partecipazione all’interazioni sociali. In questa prospettiva questi
concetti contrastano con studi più recenti che identificano l’apprendimento della lingua come
profondamente legato al contesto. negli anni 90 gli studi iniziano a offrire una concettualizzazione
più dinamica della competenza focalizzata sull’interazione sociale ma solo nell’ultimo decennio che
l’interazione sociale inizia a essere studiati empiricamente come oggetto dell’apprendimento della
lingua seconda.

Uno studio definisce la competenza internazionale in termini di metodi che i partecipanti utilizzano
per organizzare l’interazione sociale. I metodi sono procedure sistematiche grazie, le quali
partecipanti coordinano le loro azioni, svolgono dei ruoli, stabiliscono comprensione. Queste
procedure includono risorse verbali ma anche non verbali (osservabili e analizzabili). La principale
differenza tra un parlante nativo e una prendente di lingua seconda è che il parlante nativo a e
utilizza maggiori alternative per quanto riguarda i metodi. Riassumendo la competenza
internazionale consiste nella capacità di implementare procedure per la gestione dell’interazione
sociale in modi che sono pertinenti alle circostanze dell’interazione. La competenza internazionale
include la capacità di comprendere il contesto e le pratiche attese da esso sia di mettere in atto
comportamenti rilevanti sulla base di risorse verbali e non verbali. Un altro concetto fondamentale
riguarda il fatto che quando i parlanti interagiscono nella lingua seconda utilizzano abilità che
hanno sviluppato durante la loro infanzia che vengono riadattate nel processo di apprendimento
della lingua seconda. Ma nel corso del tempo questi processi si sviluppano e diventano più simili a
quelli di un parlante nativo grazie alla diversificazione all’espansione di risorse lessicali e
grammaticali. Grazie a questa diversificazione i parlanti riescono ad adattarsi alle diverse situazioni.
inoltre, una serie di studi su ragazzi alla pari che avevano già condotto degli studi sulla lingua
seconda e che vengono poi inserite ogni giorno nel contesto linguistico della lingua seconda
dimostrano che alcuni aspetti della competenza internazionale sì immersi nell’uso quotidiano della
lingua seconda vengono sviluppati più velocemente. Questo dimostra come sia necessario
integrare all’attività in classe altre opportunità per sviluppare l’interazione: scambi culturali, attività
online.

Competenza comunicativa applicata non al singolo ma al singolo in interazione con gli altri.
L’approccio usato è quello per descrivere il parlato in interazione e permette di descrivere le
procedure utilizzate per gestire le dinamiche delle interazioni verbali. Pekarek parla di prendere il
turno di parola, aprire o chiudere una conversazione, iniziare un racconto, esprime un disaccordo e
accordo. I parlanti ricalibrano nel tempo, riadattano le loro procedure come parte di una
competenza interazionale in progress. Sono elementi che affiancano la grammatica. La competenza
interazionale definisce la capacità di interagire con altri in un determinato contesto. Gli studiosi
osservano la progressiva adattabilità dei comportamenti linguistici alle esigenze dell’interazione e
ai contenuti esposti. Si parla anche di sensibilità contestuale. Gestire l’alternanza dei turni di
parola: studente alla pari che progredisce nella sua competenza e diversificazione dei modi di
reagire (sempre più attiva). In una fase iniziale ci sono esitazioni e rallentamenti ma
successivamente si è molto rapidi. Interdipendenza tra lo sviluppo dei turni di parola e quello
lessico grammaticale. Implicazioni: -scambi e lavoro alla pari -conoscere gli studi sulla CI -
competenze come gestire il disaccordò, fare domande, richieste di aiuto diventano parte del sillabo
e argomenti affiancati alla grammatica

LANGUAGE SOCIALIZATION AND THE REVISIONING OF FIRST AND SECOND LANGUAGE


LEARNING – WATSON-GEGEO

Si inizia con un riferimento a una studentessa giapponese che continua ad avere problemi nell’uso
dell’articolo (definito e non definito, ciò che è conosciuto e ciò che non lo è). Gli autori scrivono
che un aumento nella conoscenza del problematico uso dell’articolo si è verificato quando le cose
sono state guardate dalla prospettiva della socializzazione linguistica. Questo articolo fa
riferimento al paradigma e all’approccio della SLA 🡪 il problema viene spiegato nei termini di una
fossilizzazione, che però non è una parola molto utile per comprendere il problema perché non
tiene conto della distinzione tra dato e nuovo, tra tema e rema. Al di là di questo, non si spiega
però perché la ragazza fa l’errore. Se si assumono approcci acquisizionali circoscritti alla parola
scritta, non si spiega il perché di un uso errato. L’esempio della ragazza è solo un caso, ma
comunque richiede che si aggiunga una prospettiva più ampia, socioculturale e politica su come gli
esseri umani apprendono sperimentano e usano la cultura, secondo il neologismo di
languaculture. È importante un orientamento critico, si potenzia la teoria della Language
Socialization e si distinguono diversi programmi di ricerca.
È importante la categorizzazione degli approcci di come la LS può esser vista: come topic, come
approccio e come metodo (questo è l’aspetto centrale di questo articolo).

LS come topic

Come topic si riferisce a studi che riguardano il processo di LS senza incarnare approcci o metodi.
Tali ricercatori possono esaminare l'intersezione tra vita sociale, uso del linguaggio e sviluppo del
linguaggio. In questo senso, LS è stato applicato come rubrica per gli studi, ad esempio, sugli indici
lessicali e discorsivi del cambiamento linguistico e dell'identità bilingue inglese-spagnola negli Stati
Uniti, le interpretazioni multimediali basate dell'identità tra gli studenti immigrati negli Stati Uniti
(Harklau, 2003), dell'orientamento sessuale in Egitto (Khayatt, 2003) e del codemixing aymara-
spagnolo tra i bilingui in Bolivia (Luykx, 2003). Tale ricerca è spesso basata su insiemi di dati
relativamente scarsi, forse interviste e pochi esempi senza un'analisi intensiva dei dati del discorso
primario in una cornice longitudinale (ad esempio Lamarre, 2003 esamina gli atteggiamenti
linguistici e il bilinguismo a Montreal basati interamente su interviste a bilingui; e lo studio di
Pease-Alvarez del 2003 non include alcun dato sul discorso per esaminare empiricamente l'uso).
Questi studi possono includere metodi che non si basano né su una prospettiva genuinamente
socioculturale né critica, come quelli associati alla linguistica funzionale sistemica (SFL). I lettori
critici dovrebbero attribuire maggiore validità agli studi che sono longitudinali, genuinamente
etnografici e che sono sia "densamente" documentati che spiegati, cioè che includono molteplici
prospettive e ricchi set di dati rispetto a quelli che si concentrano su un singolo incidente.

Tuttavia, gli studi che trattano la LS come un argomento possono contribuire a una comprensione
collettiva degli aspetti del complesso della languaculture, nonostante utilizzino modalità di ricerca
disparate all'interno di diversi contesti e comunità di pratica. Sono apparsi notevoli volumi raccolti
che utilizzano LS come argomento (Bayley e Schecter, 2003; Kramsch, 2002) e sono contributi
importanti. L'opportunità di un dialogo più sostanziale tra ricercatori con approcci e metodi diversi
dovrebbe essere uno degli obiettivi di tali volumi. Il valore di perfezionare e far avanzare la
discussione è che porterà a una comprensione più comune degli standard appropriati per la
prossima generazione di ricerca LS, ispirando i ricercatori a un più alto grado di trasparenza e
responsabilità, articolando in modo più esplicito il modo in cui si sono avvicinati alla progettazione
della ricerca, raccolta e analisi dei dati. Questa mossa è sostenuta qui come un modo per
amplificare un "momento critico" in SLA, che richiederà ai ricercatori di valutare ciò che hanno
tralasciato e ciò che hanno incluso nei loro set di dati e procedure. Quando valutano il potere
esplicativo e l'impatto delle loro interpretazioni finali, devono confrontarsi con questioni di
responsabilità e responsabilità nei confronti delle comunità che stanno studiando, nonché delle
proprie comunità di pratica.

LS come approccio

"LS as approach" include studi che incarnano l'ontologia e l'epistemologia della LS, cioè studi che
tengono conto delle realtà vissute degli studenti e delle condizioni sociali in cui si verifica il loro
apprendimento, ma non seguono necessariamente un disegno longitudinale. Tornando all'uso di
Keiko di "the", il suo problema potrebbe essere affrontato da molte diverse prospettive teoriche
che non sono allineate con LS. Gran parte della ricerca non ispirata alla LS e certamente molti
insegnanti ESL nel campo evocano un'immagine unidirezionale dell'acquisizione e una
comprensione unidimensionale di uno studente come "dispositivo di acquisizione del linguaggio"
(come criticato da McGroarty, 1998 nella sua discussione sul paradigma generativo ispirato da
Chomsky in SLA). La natura del contesto e del compito della performance e la complessa
interazione cognitiva e anche i fattori politici nell'apprendimento e nella vita sociale possono
essere oscurati da questa immagine LS come approccio al problema di Keiko solleva un diverso
insieme di domande e una diversa ontologia, che è allo stesso tempo particolareggiata, sociale e
cognitiva. L'approccio LS può servire come lemma che mette a fuoco le esperienze vissute e le
sfide degli studenti. Abbraccia la dimensione soggettiva, fenomenologica, del processo di
socializzazione attraverso il linguaggio. Se visti attraverso la lente di LS, i problemi di trasferimento
come quelli vissuti da Keiko sono sempre già annidati all'interno di più sistemi e livelli. Nuove
domande si presentano al ricercatore, linee di indagine si aprono per aumentare l'analisi
contrastiva e il filone linguistico dell'apprendente. L'approccio LS fornisce quindi un'apertura per la
ricerca e la teoria SLA per mettersi al passo con gli sviluppi nella scienza cognitiva (Watson-Gegeo,
2004).

LS come metodo

"LS come metodo caratterizza gli studi che aderiscono agli standard più elevati, compresa la
ricerca etnografica longitudinale in piena regola e l'analisi del discorso dei dati rilevanti. per poter
contare come contributi genuini. Un alto grado di trasparenza sulla natura del contesto, dei
partecipanti, del contesto, dei dati e dell'analisi è essenziale. I metodi possono essere eclettici in
un buon studio LS. Per ottenere quello che potremmo chiamare un contributo "gold standard" per
il rigore progettuale e metodologico nella ricerca LS da una prospettiva critica, tuttavia, alcune
caratteristiche e strategie sono essenziali (vedi anche Watson-Gegeo, 2004, pp. 341-342).

Lo studio deve comprendere almeno una combinazione di metodi etnografici, sociolinguistici e di


analisi del discorso, attingendo al lavoro critico in queste aree (ad esempio, Fairclough, 2005; van
Dijk, 1993). I dati qualitativi e quantitativi ecologicamente validi possono essere entrambi
utilmente combinati e di solito servono per studi approfonditi. L'ambito della ricerca deve
includere tutte le macro e micro dimensioni rilevanti del contesto e incorporare interi eventi e
comportamenti piuttosto che brevi strisce di tempo che sono state codificate in categorie
prestabilite; la maggior parte delle categorie deve essere generata e fondata sui dati Gli studi LS
comportano studi longitudinali a grana fine sull'apprendimento della lingua e della cultura in
contesti di comunità e/o di classe che sono stati sistematicamente documentati attraverso
audiocassetta, videocassetta e attente note di interazione sul campo . Interviste etnografiche
approfondite con studenti e altre persone coinvolte sono una parte essenziale di uno studio LS. I
metodi LS apportano alcune teorie a priori allo studio, ma dipendono in gran parte dall'evoluzione
la teoria e la ricerca mettono in discussione lo stile della "teoria fondata" sul campo e attraverso
l'accumulo di dati e l'analisi continua.

Diversi esempi recenti di tale lavoro includono Aminy (2004), che riporta uno studio longitudinale
(due anni e mezzo) sulla socializzazione dell'alfabetizzazione (imparare a recitare il Corano) che
abbraccia tre siti, un'analisi esaustiva di dati testuali e contestuali e un'etnografia completamente
sviluppata della comunità target da parte di un insider. Yang (2004) studia un processo di riforma
scolastica in un distretto urbano di una scuola superiore a Oakland, in California, in cui i
partecipanti si sono aiutati a socializzare a vicenda nelle loro varie identità sociali attraverso
conversazioni e incontri formali e informali. Lo studio include un'attenta analisi degli incontri
attraverso video e audiocassette, nonché un'intensa analisi testuale dei documenti scambiati nel
processo di riforma della scuola. Yang (2004, p. i) utilizza un framework LS per indagare su come i
membri di un movimento di riforma scolastica di base "sono progrediti dalla creazione di piccole
scuole verso la ricreazione dello stesso distretto scolastico urbano" I partecipanti al suo studio
hanno affrontato la sfida di costruire una comprensione comune di politica in una scuola in fase di
riforma imposta dallo stato utilizzando un processo che è stato fortemente mediato dallo scambio
di testi. L'idea di "sfida" evoca gli scopi e le intenzioni di coloro che sono oggetto di ricerca e la loro
lotta vissuta per sfruttare al meglio le scelte disponibili mentre rispondono a contesti dinamici.

Un ritorno al caso di Keiko illustra il valore dei robusti set di dati e dell'analisi fondata richiesti dalle
migliori pratiche nei metodi LS. Lo studio includeva riviste riflessive scritte da Keiko in cui
affrontava domande relative al suo processo di apprendimento delle lingue e molte conferenze e
interviste scritte, nonché campioni delle bozze di Keiko. Bronson ha scoperto che la collocazione di
"the" era emblematica delle questioni più profonde di identità e ideologia nell'apprendimento e
nell'uso delle lingue per Keiko. Aveva scoperto leggendo più autori di diversi paesi che c'erano
molti "inglesi". Ha deciso di allinearsi con l'inglese britannico per la maggior parte delle forme di
ortografia nella sua scrittura.

Tuttavia, Keiko ha deciso di prendersi anche la libertà di sperimentare con la propria varietà di
inglese, compreso anche il modo idiosincratico in cui ha usato "the". Come ha scritto nel suo
diario, "ho scoperto che posso sovvertire e creare una sorta di" mio inglese "e stile seguendo
determinati generi in modo che i miei articoli possano essere letti e compresi". Questo l'ha portata
a un "incidente critico" di realizzazione mentre lavorava alle revisioni della sua scrittura con
Bronson, il suo insegnante di scrittura. Le loro negoziazioni di contrappunto hanno portato Keiko a
scrivere sulla propria varietà di inglese (Bronson, 2005, pp. 333-334); "Ho imparato (sic) che la
sovversione non è una pratica qualunque ed è una negoziazione continua con i generi e gli stili
dominanti della scrittura accademica".

Il significato dell'incidente critico di Keiko era che l'aveva indotta a trovare una ragione per
imparare a produrre un inglese grammaticalmente ben formato, una ragione che non
rappresentava un'automatica, corrispondente sommersione della sua identità giapponese. Inoltre,
l'ha aiutata ad attivare una strategia per suddividere l'arduo compito di padroneggiare la
grammatica a livello di frase in una serie di passaggi discreti ed eseguibili. I metodi LS di questo
studio, che comprendono appunti sul campo, diari degli studenti, discorso e analisi testuale della
sua scrittura, hanno permesso alla ricercatrice di descrivere non solo la sostanza della lotta di
Keiko con la forma inglese, ma anche cosa significava quella lotta per lei e per i suoi insegnanti.
Questo "spesso registro" di dati longitudinali significava che le differenze, i conflitti ei punti di
resistenza tra i partecipanti erano disponibili nel registro della ricerca così come gli allineamenti
nelle loro motivazioni e azioni. Gli "incidenti critici" servono come punti di svolta nella traiettoria
delle narrazioni LS in cui coloro che vengono studiati fanno un cambiamento importante nella
comprensione o nella prospettiva.

Gli autori contestualizzano la loro riflessione, ritornando sulle origini di questa prospettiva di
ricerca iniziata negli anni 70 e poi conosciuta e utilizzata negli 80, soprattutto grazie a Schieffelin e
Ochs in una curatela di articoli che si è distinta come particolarmente innovativa per quegli anni, si
tratta di una risposta a una dimensione molto ristretta del paradigma della SLA. Il paradigma della
socializzazione linguistica e quello dell’acculturazione sono parti integrate di un solo processo.
queste studiose erano allieve di altri autori, figure fondative e cruciali nel dare vita a nozioni come
“competenza comunicativa” “partecipazione, “indici di contestualizzazione”, “interazione”, ecc. Si
tratta di antropologi, linguisti, etnografi, studiosi della comunicazione, ecc. che hanno fondato i
capisaldi della materia. Le due studiose hanno diffuso il paradigma ampliando ciò che a loro
appariva delimitato nelle spiegazioni acquisizionali date finora e questi studiosi attraverso le loro
ricerche hanno esaminato in che modo la discriminazione avviene anche attraverso le varietà
linguistici o gli stili discorsivi associati alla razza, genere, classe sociale, ecc. Questi lavori però non
erano esplicitamente collocati in una prospettiva critica. Tutta la parte iniziale dell’articolo si
sofferma sulla matrice storica, sull’aspetto critico (agli autori interessa l’approccio critico e post-
coloniale/post-moderno, noi dobbiamo concentrarci sulla tipologia proposta dagli autori). Questa
prospettiva teorico ed empirica può essere applicata tenendo conto della distinzione di LS come
approccio, argomento e metodo. Una ricerca di questo tipo deve essere connessa alle basi
teoriche e filosofiche, ci deve essere un metodo, un approccio e un argomento specifici e ben
analizzati, descritti in dettaglio 🡪 questo permette di capire il problema in generale, ma i dati di un
singolo caso di studio non può avere dei risultati che poi vengono estesi e generalizzati per tutti gli
studenti. Tutto ciò ci fa capire l’interplay tra apprendimento linguistico e socializzazione
(attraverso la lingua e alla lingua).

3. La didattica dell’italiano L2 in prospettiva plurilingue

LA PLURALITA’ LINGUISTICA IN CLASSE - PUGLIESE

La scuola multiculturale dalla prospettiva dell'insegnante:


conoscere alcuni strumenti disponibili per attuare un'educazione linguistica plurale, conoscere i
principali approcci didattici con riferimento alla letteratura specialistica, soffermarsi su un esempio
di esperienza didattica.

la scuola multiculturale dalla prospettiva degli alunni: osservare alcune dinamiche di


apprendimento e soffermarsi sull'integrazione tra pari e le implicazioni per la didattica in aula.

ogni questione educativa si colloca all'incrocio dell'ambito istituzionale (nazionale e sovranazionale


con decreti e orientamenti), scientifico (della ricerca accademica), pratico didattico.

Premessa: l'insegnamento è un processo aperto che va continuamente modificato nel tempo e


nello spazio e adattato alla situazione e alla domanda socioculturale.

1990: primo documento sull’educazione interculturale


1994: dimensione interculturale nelle discipline
1998: legge sull'immigrazione
2000: l'educazione interculturale come normalità dell'educazione
2006: linee guida per l'accoglienza e l'integrazione
2007: scuola interculturale italiana e la formazione dei dirigenti è l'insegnamento dell'italiano a
stranieri
2008: distinzione tra alunni stranieri nati in Italia e alunni di recente immigrazione

Una visione plurale dell'educazione linguistica ammirata a una valorizzazione delle lingue e una
valorizzazione dei parlanti. Un'educazione linguistica che poggia sulla diversità virgole sulla
variazione interna alla lingua e tra le lingue. Plurilinguismo si intende quindi il riferimento alla
lingua standard, ai dialetti, alle varietà regionali, alle nuove lingue di minoranza. Educazione
plurilingue intesa come educazione alla variazione linguistica e alla diversità e come insegnamento
della lingua italiana in una prospettiva plurilingue.

CARAP: Quadro di riferimento per gli approcci plurali alle lingue e alle culture. Orientamenti
didattici che chiamano in gioco diverse varietà linguistiche e culturali. Offre una griglia di indicatori
utili per la progettazione di percorsi didattici nella prospettiva di un'educazione plurilingue. Utilizza
l'approccio interculturale, la didattica integrata delle lingue (si studia lo stesso argomento in lingue
diverse), l’incomprensione (si studiano lingue affini, come le romanze. Si basa sul presupposto che
i parlanti di lingue affini sono in grado di comprendere il senso globale di un testo in una lingua
simile senza averla studiata prima), l’eveil aux langues (sensibilizzare alle diverse lingue, ricerca
comparativa delle differenze e somiglianze tra le diverse lingue curriculare, native, parlate a casa.
In Inghilterra si parla di language awareness. Presenta dei vantaggi nello sviluppo di un interesse
per la diversità linguistica e di atteggiamenti positivi verso la diversità, capacità metacomunicative
metalinguistiche, di una cultura linguistica. Non è una materia supplementare ma un approccio
trasversale basato sulla pedagogia della scoperta).

Nonostante esistono diverse teorie e concettualizzazioni riguardo al plurilinguismo nelle scuole non
è ancora diffusa la pratica educativa. In Italia in particolare esistono diverse riflessioni sul perché
occorre insegnare la lingua nazionale valorizzando il tempo stesso il plurilinguismo degli alunni, ma
questi discorsi non sono ancora trasformati in azioni concrete e prassi didattiche. Paradosso
educativo poiché da un lato le lingue straniere curricolari sono enfatizzate in virtù dei vantaggi
cognitivi e se ne promuove l’apprendimento, dall’altro le lingue native degli stranieri restano ignote
e ignorate e viste come un ostacolo all’apprendimento della lingua di scolarizzazione. Distinzione
tra bilinguismo d’Elite e bilinguismo popolare. Nella scuola primaria da qualche anno la questione
va assumendo un maggiore rilievo nelle pratiche scolastiche extra scolastiche e: iniziative tese a
sensibilizzare gli autoctoni verso le lingue native parlato in Italia, primi percorsi sperimentali per
valorizzare tali lingue attraverso il loro insegnamento, tentativi di traduzione occasionale di parole,
stabilendo comparazioni con l’italiano sul piano lessicale e grammaticale e della riflessione
metalinguistica. Gruppo Giscel Emilia-Romagna A messo a punto un progetto che intende fornire
un’applicazione educativa del plurilinguismo. Il progetto ha privilegiato il riconoscere il repertorio
linguistico iniziale degli apprendenti, plurilinguismo come punto di avvio, proponendo un percorso
che include una dimensione Inter linguistica fino a porre l’attenzione sulle lingue parlate dei
bambini per trasformarlo in oggetti di riflessione. Le lingue degli alunni alloglotti diventano quindi
una risorsa è un’opportunità per pensare l’insegnamento della lingua nazionale. Attività riflessive:
quelle grammaticali e quelle che rendono l’argomento di discorso un uso linguistico, una
Variazione, la regola pragmatica. E riflessività è la capacità e la tendenza dell’interazione verbale a
dare forma e rappresentare la sua stessa natura e funzionamento. I livelli formali caratterizzano la
riflessività come esplicita descrivendo situazioni in cui la lingua parlata e quella di cui essa parla
coincidono. QI sono presi due e Progetti come riferimento e la loro originalità risiede nel fare
svolgere attività in cui gli alunni sono impegnati simultaneamente su più lingue con la finalità
educativa di imparare a riflettere sulle lingue, sui tratti che accomunano e su quelli che li
differenziano tramite supporti scritti e sonori riguardanti lingue che non sono oggetto di
insegnamento. La prospettiva Inter linguistica delle attività riflessive si configura come materia
ponte che serve a suscitare atteggiamenti positivi verso l’apprendimento delle lingue e a
legittimare le diverse lingue native rappresentati nella scuola. Le attività proposte cercano di
stimolare l’interesse per le lingue e di stimolare la curiosità verso lingue lontane e di modificare
eventuali pregiudizi stereotipi verso di essi. Il progetto è stato realizzato in una classe terza della
scuola secondaria di secondo grado formata da 27 alunni di cui 21 con lingue native diversa
dall’italiano, è una classe di seconda una scuola secondaria di primo grado composta da 22 alunni
di cui 11 con lingue diverse. Inizio del progetto c’è stata una lettura del racconto Eufemia di Italo
Calvino. Il percorso si è articolato in macro-tappe: l’osservazione e la comparazione di elementi di
variazione di terna la lingua italiana, la riflessione sull’Italia in altre lingue tramite una
documentazione, la traduzione di un frammento in alcune lingue svolte in piccoli gruppi e poi
condivisa al gruppo classe.
Riflessione le prime due fasi ci sono focalizzati sul livello del lessico: spiegazione del significato e
uso di sinonimi, variazioni di registri linguistici, prestiti lessicali e la morfologia in particolare sugli
articoli determinativi e in determinativi e loro funzionamento. Gli obiettivi sono stati quindi fa
riflettere sul carattere arbitrario del genere fare rafforzare la consapevolezza della complessità
degli articoli in italiano.

PRIMA TAPPA
Dopo la lettura ad alta voce da parte dell’insegnante di racconto nel seguito una individuale con
successive domande di comprensione. In questa prima fase è seguito lavoro lessicale sulle parole
difficili raggruppati in elenchi. Gli studenti hanno condotto la loro ricerca sulle parole utilizzando un
glossario predisposto dall’insegnante e un dizionario dei sinonimi online, è stato condotto anche
lavoro sulle parole in prestito.

SECONDA TAPPA
Nella seconda tappa si è lavorato sulla variazione linguistica interna la lingua italiana: gli alunni in
piccoli gruppi hanno trasformato il livello letterario in un registro medio e informale.
Successivamente si è proposta l’attività sugli articoli. Dopo averli individuati gli alunni gli hanno
classificati inserendoli in una griglia per poi confrontare la propria classificazione con quella dei
compagni e discutere sulla loro funzione.

TERZA TAPPA
Si è proposta una prima comparazione tra l’italiano e l’inglese è focalizzato sulle differenze tra le
due lingue come l’obbligo della marca morfologica finale per segnare il genere numero e linguale in
variabilità dell’articolo. Seguito un esercizio di traduzione in inglese di alcuni passaggi del testo
successivamente si suddivise in quattro sottogruppi misti ciascuno rappresentante una diversa
lingua nativa (arabo, cinese, singalese, rumeno) il primo compito è stato quello di leggere una
scheda descrittiva riguardante la lingua di pertinenza del gruppo e di condivisione con la classe
delle informazioni principali sulla grammatica.

TAPPA CONCLUSIVA mentre gli alunni erano impegnati a tradurre compagni potevano rileggere le
schede e annotare le domande da rivolgere All’autore della traduzione e provare a copiare il testo
i caratteri in una lingua diversa. Chiedermi la traduzione ogni gruppo con lo normativo la illustrata
alla classe e rispondeva alle domande dei compagni.

DOING PLURILINGUALISM AT SCHOOL – LLOMPART

Nelle società multilingue per fornire un’istruzione è qua Le scuole devono confrontarsi con due
sfide: in primo luogo devono integrare nei propri programmi educativi la diversità linguistica
presente nella classe, in secondo luogo devono riconsiderare i modi di insegnare le lingue per
tenere conto del background linguistico degli alunni e delle loro pratiche comunicative quotidiane.
Ho il contatto linguistico è stato storicamente studiato per documentare il cambiamento linguistico
nel tempo. La linguistica del XX secolo a cercato di descrivere aspetti sistematici sul contatto
linguistico e sull’uso di una lingua o più varietà nella società dove due o più lingue sono
comunemente usate. Ciò ha dato origine a concetti come prestiti (incorporazione di una parola da
una data lingua in un’altra lingua) e interferenze (sostituzione di un elemento specifico di una
lingua motivato dall’influenza di un’altra lingua.) le interferenze sono considerate come errori e
sono usate per valutare negativamente il modo di parlare o scrivere delle persone. E alcuni
sociolinguisti E hanno studiato i legami tra le pratiche plurilingue quotidiane, l’organizzazione della
società e le ideologie linguistiche e attribuendo valori a ciascuna delle lingue in contatto e
mostrando le distribuzioni sociali. Barker È stato uno dei primi ad interessarsi all’alterazione del
linguaggio tra gli abitanti messicani dell’Arizona e annotato che queste persone usavano lo
spagnolo nelle relazioni informali e l’inglese nelle situazioni formali. Vogt È stato però il primo a
utilizzare il termine code-switching per riferirsi alla scelta di una lingua in base alla situazione. Per
molti anni a prevalso la concezione dell’uso di una lingua alla volta è influenzato gli approcci
all’apprendimento delle lingue come processi separati nelle menti degli apprendenti. Ferguson ha
coniato il termine diglossia per spiegare l’uso sociale di lingue o varietà in contesti specifici, la
lingua X è usata in famiglia, la lingua Y è usata in contesti più formali. Questo concetto ha
influenzato la definizione di situational code-switching di Blom e Gumperz Che si distingue dal
metaphorical code- switching, cioè l’uso di codici diversi per produrre effetti espressivi retorici
come citare le parole di un’altra persona o enfatizzare. viene introdotto anche il termine
Conversational code switching per identificare tutte le alterazioni che si verificano nell’interazione
e questo ha introdotto il termine contextualization cue per indicare che l’alterazione può fungere
da segnale per l’interlocutore che qualcosa è stato cambiato nell’organizzazione dell’interazione,
per esempio, un cambio di tono di voce o un gesto.

Auer propone quello che chiama conversazione bilingue. Secondo l’autore si può parlare di due tipi
di alterazione del linguaggio quel: quella legata al discorso è quella legata ai partecipanti. La prima
indica ai partecipanti che qualcosa sta cambiando nell’organizzazione dell’interazione, quindi il
cambio di codice può indicare che la struttura della conversazione è stata modificata. Il secondo
tipo indica una preferenza per l’utilizzo di un insieme di risorse probabilmente legata a una
mancanza di competenza da parte degli interlocutori o all’esibizione di una specifica identità.
Distingue anche tra code switching, code mixing e fused lects. Il primo concetto riguarda i casi in
cui la giustapposizione di due lingue è percepita dai parlanti come sequenzialmente rilevante, nel
secondo caso ci si riferisce a usi specifici di un in group, E il terzo concetto indica varietà
stabilizzate. Gumperz propone il termine repertoire Per riferirsi all’insieme delle risorse linguistiche
a disposizione delle persone per agire socialmente. Include varietà linguistiche, dialetti, atti
linguistici in ogni gruppo sociale. Inoltre, non riguarda solo forme linguistiche per produrre e
interpretare significati ma anche forme di espressione come gesti, sguardi, movimenti
culturalmente riconoscibili in ciascun gruppo. L’idea di repertorio rompe con lo stereotipo che
considera le lingue come sistemi stagni nella mente delle persone. Garafanga propone il termine
medium per descrivere le risorse comunicative orientate all’uso di una o più lingue. Per l’autore
l’uso mischiato di sistemi linguistici sarebbe un mezzo usato dei parlanti per interagire in ambienti
multilingue. L’uso della lingua inteso come pratica comunicativa che attinge un insieme di risorse
che va oltre la considerazione della sua associazione con un singolo linguaggio stabilito
istituzionalmente e chiamato linguaging / plurilanguaging/ translanguaging. Alcuni autori
considerano quest’ultimo concetto come una pratica trasgressiva, ad esempio, l’utilizzo di alcune
forme che non appartengono alla comunità che li usa come modo per essere inclusi in altri gruppi.
Viene usato anche come un avere propria pedagogia nell’educazione delle minoranze perché
permette agli studenti di esprimere atteggiamenti e credenze e di rompere con le pratiche mono
lingue nelle aule americane.questo approccio differisce dagli approcci europei Inter azionisti che
prestano attenzione a come gli studenti affrontano in sequenza le attività. Si concentra sulle attività
che praticano gli apprendenti nelle classi per stabilire relazioni con il mezzo di istruzione stabilito
che riflette i modelli educativi dell’insegnante o le politiche scolastiche.

la competenza plurilingue non è la somma di competenze in lingue diverse ma un nuovo tipo di


capacità che contiene elementi di diverse varietà linguistiche e forme di comunicazione e forme
coniate ad hoc dei partecipanti per raggiungere finalità pratiche in determinati contesti di
interazione. non è una capacità individuale ma deve essere considerata come manifestazione di
modi di agire condivisi dai partecipanti di una interazione e. Le competenze comunicative sono
costruite in una maniera sociale e legate al contesto dell’interazione e non sono trasferibili da un
contesto all’altro. E per decenni gli studi sulle pratiche parole plurilingue nelle conversazioni e gli
studi sull’apprendimento delle lingue hanno percorso percorsi per paralleli.alcuni concetti di
linguistica sul contatto delle lingue sono stati usati per caratterizzare forme miste del discorso della
prendente chiamate Inter lingua da gli approcci sull’acquisizione. In secondo luogo alcune visioni
qualificano il repertorio della prendente in L2 come varietà dinamiche la cui evoluzione è spiegata
dalle circostanze sociali e dalla motivazione all’apprendimento di nuovi repertori e la cui variabilità
può essere determinata dal contesto linguistico di una particolare produzione. L’acquisizione di
competenze plurilingue e iscritta nella biografia degli individui che vivono in una comunità
multilingue o imparano scuola o per motivi di mobilità. L’apprendimento formale e
l’apprendimento non formale il primo in contesti educativi e il secondo stando a contatto con
persone che parlano lingue diverse, sono integrate nello stesso individuo. La competenza
plurilingue si acquisisce attraverso l’esperienza di vita e partecipando a pratiche comunicative. Gli
studi tradizionali sull’acquisizione del linguaggio si sono interessati i processi cognitivi sottesi
all’acquisizione di elementi linguistici e considerano la prendente come qualcuno che acquisisce la
lingua e non come un partecipante. lo sfondo di queste concezioni è l’esistenza di quattro miti
descritti da Pekarík: il mito del parlante nativo, il mito del parlante mono lingue che considera
l’educazione plurilingue come una somma di mono lingue, il mito del parlante solo che ignora che
le competenze vengono apprese in situazioni sociali e il mito della disponibilità universale delle
competenze che immagine che ciò che è stato dimostrato di essere conosciuto a un certo punto sia
preso per sempre indipendentemente dal fatto che le competenze sono sensibili al contesto.

Gli approcci socio inter-attivisti intendono l’apprendimento come un processo sociale che si svolge
nell’interazione e non come un processo localizzato nel cervello dell’individuo. La ricerca socio
Inter attivista considera come una prova dell’apprendimento i diversi modi di partecipare ad
un’attività. Inoltre, e mentre gli approcci cognitivi attribuiscono al fallimento dell’apprendimento
fattori individuali che processo centro attivisti ricercano le cause del fallimento nei problemi di
accesso alla comunità come emarginazione ed esclusione. Per anni si è pensato che
l’apprendimento delle lingue dovesse essere un processo guidato dal completamento di tappe e
per iniziare l’apprendimento di una seconda lingua si riteneva necessario consolidare
l’apprendimento della prima. Queste concezioni sono state superate da studi che dimostrano che
l’uso simultaneo di lingue diverse può favorire lo sviluppo delle capacità di comunicare
efficacemente. E gli studi sulla relazione tra pratiche plurilingue e apprendimento hanno
sottolineato che gli studenti plurilingue attengono all’oro repertorio per svolgere compiti. Alcuni
studiosi hanno esplorato lo sviluppo della competenza comunicativa orale L2 analizzando compiti
di lavoro in coppia gli autori affermano che l’adempimento dei compiti implica in primo luogo
contribuire alla gestione dell’attività con ossia prendere il turno e concentrarsi sugli argomenti
adeguati, formulare espressioni appropriate per il raggiungimento del compito e superare gli
ostacoli comunicativi. L’analisi dei dati rivela l’esistenza di tre fasi dalla modalità plurilingue alla
modalità UNI lingue di interazione. Nella prima fase lo studente usa le lingue conosciute inserendo
espressioni nella lingua di destinazione gestisce l’attività nelle lingue condivise dei partecipanti e
superare gli ostacoli chiedendo aiuto in modo Inter linguistico con gesti o Code Mixing. Nella fase
due lo studente produce un numero considerevole di espressioni nella lingua di destinazione e
gestisce l’attività nelle lingue condivise e chiede aiuto in modo Inter linguistico. Nella fase tre
utilizza sempre la lingua di destinazione gestisce l’attività nella lingua di arrivo e supera gli ostacoli
in modo intra linguistico ossia con riformulazioni o cercando vie alternative. È possibile affermare
che il processo di apprendimento di una lingua presuppone la possibilità di passare da una
modalità plurilingue a una modalità UNI lingue.

GALLINA

CAPITOLO 2

È fondamentale riconoscere la complessità dei repertori linguistici di alunni e alunni non solo nel
caso di background migratorio ma anche per alunni provenienti da famiglie italiane in cui vengono
utilizzati spesso i dialetti. È fondamentale conoscere con certezza quali varietà linguistiche
appartengono al repertorio degli alunni per cambiare la percezione che abbiamo delle loro
competenze. Esistono oggi numerosi strumenti che consentono di rilevare le varietà linguistiche
degli alunni, tra cui schede di rilevazione, questionari, interviste che permettono anche di
individuare le competenze per ciascuna varietà.
E se i repertori linguistici sono composti da più varietà linguistiche ne deriva che i loro usi
linguistici possono variare a seconda del contesto, dell’interlocutore, delle competenze ma anche
del modo di vivere percepire la propria identità. Le scelte linguistiche che ogni parlante fa possono
essere frutto di motivazioni differenti, tra cui la funzionalità comunicativa, il livello di competenza
linguistica individuale dell’altro, la percezione della propria L1 e delle altre lingue, le pressioni
sociali.
il sistema valoriale attribuisce maggior prestigio da alcune lingue nemmeno ad altre e questo fa sì
che gli alunni scelgano di utilizzare o di abbandonare una certa varietà linguistica. Le spinte
all’italianizzazione e all’italiano standard che emergono nel sistema scolastico possono spingere
verso l’abbandono e il rifiuto di una di altre lingue soprattutto nel caso in cui loro prestigio non sia
elevato.
I dati Istat 2014 dimostrano come cittadini stranieri tendano All’italianizzazione in contesti
scolastici e pubblici ma anche in famiglia: giovani tra 6 e 17 anni parlano italiano in famiglia.
inoltre, emerge che nel contesto scolastico prevale negli alunni stranieri una strategia mono lingua
italiana nell’interazione con i docenti mentre con i compagni di classe si usa anche la lingua
d’origine accompagnata dall’italiano ma tali usi sono condizionati da fattori come la presenza di
altri coetanei con la stessa provenienza, il livello scolastico, il fatto di essere nati in Italia o meno. Il
tuo familiare la lingua di origine viene usata con i genitori mentre nell’interazione con i fratelli e
utilizzato l’italiano. Gli alunni di origine straniera usano entrambi i codici per parlare al telefono o
nella comunicazione orale in generale mentre allo scritto utilizzano maggiormente l’italiano.

CAPITOLO 4
Le lingue utilizzate nel contesto familiare gli alunni con background migratori sono le lingue
d’origine, heritage languages. possono essere utilizzate per comunicare in casa con la famiglia
allargata o con le famiglie rimaste, con amici o in altri contesti comunitari. ma possono essere
anche pallonate e diventare un elemento di un repertorio plurilingue. Le motivazioni che portano
alla riduzione nell’uso di una lingua sono molteplici. Ad esempio l’opinione che l’utilizzo del solo
italiano in ambito familiare agevoli l’inserimento dei figli nel paese di accoglienza potrebbe
spingere genitori all’abbandono delle proprie L1.
Per i giovani arrivati oltre una certa età con competenze in L1 già consolidate è più facile il
mantenimento di tali competenze, mentre per il bambino che arriva con la sola competenza in L1
orale sono maggiori i rischi di perdita della competenza.
Che è importante da parte del docente la conoscenza delle caratteristiche delle diverse lingue
presenti in una classe per rendere ogni intervento didattico più efficace e dal punto di vista della
prendente il mantenimento delle lingue d’origine riveste un ruolo essenziale nella creazione della
propria identità, di apprendimento linguistico di sviluppo cognitivo.
Dal punto di vista identitario rilevante mento, il recupero dell’apprendimento delle lingue
d’origine condiziona la costruzione di un’identità plurima. L’identità individuale è un costrutto
fluido che dipende dal contesto, dalle azioni individuali ma anche dalle pratiche didattiche per cui
è necessario attuare una azione didattica rispettosa dell’identità per essere maggiormente attenti
ai quali possibilità di sviluppo identitario per tutti i bambini.
La ricerca linguistica si è interrogata sul rapporto tra L1 e L2 arrivando a formulare teorie che
vedono l’interazione tra i due processi, altri che li vedono separati, teorie che vi sia un sistema
linguistico unitario o che due sistemi siano del tutto autonomi. Oggi prevale l’idea che il sistema
linguistici siano separati ma che ci sia possibilità di interazione tra loro.

Modello dell’interdipendenza di Cummins: le lingue conosciute da un individuo sono come due


punte di un iceberg con base condivisa costituita da elementi linguistico cognitivi. Tale modello
implica che le due lingue possono influenzarsi ovvero che ho competenze elevate in L1 possa
facilitare lo sviluppo della L2 mentre le scarse competenze in L1 vengono accentuate da una forte
esposizione a L2. inoltre, a condizione che vi sia una competenza sufficiente entrambe le lingue è
possibile trasferire in modo bidirezionale le competenze acquisite in una delle due con effetti di
transfer positivo.

Nella definizione di individuo gli studi si sono concentrati dal livello di competenza del parlante
bilingue all’uso alternato di due lingue o varietà da parte dello stesso parlante. È il bilingue non ha
una competenza bilanciata ma i livelli di competenza dipendono da fattori come l’età di
acquisizione, l’esposizione all’input, le opportunità di uso, le scelte del sistema educativo, le
pratiche familiari. E data la condivisione dello stesso base linguistica e cognitiva da parte delle
lingue teorizzato da Cummins le competenze e le abilità maturate in uno dei sistemi linguistici
possono supportare lo sviluppo anche nell’altro sistema in una relazione di scambio reciproco.

gli individui bilingui presentano benefici di tipo linguistico e cognitivo: maggiore capacità di
riflessione metalinguistica, maggiore abilità nella lettura e a usare le lingue con maggiore
flessibilità, svolgere più compiti cognitivi contemporaneamente o in rapida successione, maggiori
capacità di problem solving e matematiche e maggiore consapevolezza dell’esistenza di altre
prospettive.
CAPITOLO 6
L'idea di una didattica attenta alla pluralità linguistica non è certo recente. già negli anni Settanta
nelle Dieci Tesi GISCEL si pone l'accento sulla necessità di partire dai repertori linguistici degli
allievi per impostare qualsiasi azione di educazione linguistica.
alla pedagogia linguistica tradizionale.

I destinatari di una didattica plurilingue sono, oggi, sia alunni con background migratorio sia alunni
che hanno origine italiana. Anche per gli alunni che hanno l'italiano come lingua madre, infatti, la
possibilità di prendere consapevolezza della varietà di lingue, di usi e strutture, è un elemento
fondamentale per il loro sviluppo semiotico e linguistico.

Per quanto concerne il sistema scolastico italiano, a partire dagli anni Novanta si è affermato un
paradigma di matrice pedagogica che ha adottato un approccio di educazione interculturale,
destinata agli alunni stranieri, ma anche agli alunni italiani come veicolo per la crescita in un'ottica
di pluralità e tolleranza che includa tutti.

Alla fine degli anni Novanta, altre forme di sostegno, ad esempio con l'introduzione della figura del
mediatore culturale e del facilitatore linguistico in contesto scolastico oppure con l'organizzazione
di laboratori di italiano L2 nell'ambito dell'offerta formativa dei singoli istituti scolastici e la
predisposizione di protocolli per l'accoglienza degli alunni neoarrivati. Un'attenzione crescente è
andata maturando a partire dai primi anni Duemila.

Negli ultimi anni anche le lingue extraeuropee, come ad esempio il cinese e l'arabo, hanno fatto il
proprio ingresso in alcuni contesti scolastici, in cui vengono insegnate nell'ambito della scuola
secondaria di secondo grado.

Anche le politiche linguistiche emanate dal Consiglio d'Europa o dalle istituzioni dell'Unione
Europea, che a sua volta si fonda sulla diversità linguistica e culturale, hanno spinto verso il
plurilinguismo, verso pratiche didattiche che consentano l'apprendimento, fin dalla più giovane
età, di più lingue. Tali pratiche si devono fondare su percorsi di appren plurilingui.

Proporre una didatti- ca plurilingue significa, dunque, riuscire a integrare il lavoro

somma di diversi monolinguismi, ma si integrino armonio- svolto su lingue differenti, nella


quotidianità dello stare in classe, per fare in modo che le lingue non vivano affiancate l'una
all'altra, e separate, nel sistema scolastico, bensì riflettano il fatto che nell'individuo le diverse
esperienze e com- petenze linguistiche interagiscono CARAP, Quadro di riferimento per gli
approcci plurali alle lingue e alle culture: definisce come approcci plurali quegli approcci che
coinvolgono contemporaneamente più lingue nelle attività di insegnamento-apprendimento. Il
CARAP individua quattro approcci di didattica plurilingue:

a. l'approccio Interculturale, che si fonda sul rilievo del le- game tra lingua e cultura e ha come
obiettivo lo sviluppo di una competenza pluriculturale, oltre che plurilingue: b. la didattica
integrata delle lingue, che sottolinea il valore dell'apporto reciproco che deriva dalla conoscenza di
più lingue, tramite veri e propri ponti che consentono il passaggio da una lingua all'altra con
ricadute positive sul piano linguistico e cognitivo;
c. l'intercomprensione tra lingue affini, che prevede un lavoro parallelo su due lingue appartenenti
alla stessa famiglia, su cui fare reciprocamente leva per comprendere e usare più lingue

d. l'éveil aux langues, rivolto a giovanissimi apprendenti, in età anche prescolare, da avvicinare a
più varietà linguistiche per suscitare lo sviluppo della consapevolezza della varietà linguistica che
caratterizza gli individui e le società.

La didattica plurilingue consente innanzitutto di valorizzare il neoplurilinguismo della società


italiana, legittimando tutte le lingue e le culture degli altri, al di là del prestigio sociale e delle
relazioni di potere che esistono tra le lingue.

Tutte le lingue, dunque, possono essere oggetto di una didattica in ottica plurilingue, andando
oltre la percezione di bilinguismi elitari e popolari.
favorisce il mantenimento delle lingue di origine per gli alunni con background migratorio, ma
soprattutto aumenta la consapevolezza della condizione linguistica multilingue, individuale e
sociale, per le alunne e gli alunni italiani.
la didattica plurilingue ha delle ricadute positive sullo sviluppo delle competenze linguistiche, sia in
italiano che nelle lingue di origine, e in generale sui risultati scolastici degli alunni, che spesso
quando hanno un background migratorio soffrono di esiti peggiori rispetto agli alunni di origine
italiana.
sfruttare le pratiche didattiche plurilingui in classe consente di favorire il transfer linguistico tra
lingue diverse e di sviluppare la competenza metalinguistica generale, promuovendo anche lo
sviluppo della lingua per studiare in tutte le lingue dei repertori plurilingui.

4. La didattica dell’italiano L2: l’operatività in classe

L’unità didattica si divide in 4 fasi

0. Titolo + esplicitazione degli obiettivi: si impara meglio quando si sa cosa si sta facendo e
perché. Esplicitazione dal punto di vista grammaticale e comunicativo (un’abilità)
1. Motivazione: riflettere su un argomento attraverso immagini e con poche parole chiave.
Esercizio libero.
2. Focus: invito a fare delle ipotesi su una spiegazione grammaticale. Riflessione
metalinguistica e piccola produzione, formulazione della regola.
3. Fase di pratica, ricerca sul testo per risolvere un problema comunicativo, lessicale o
linguistico
4. Stimolo per fare produzioni libere.
Si usano diverse tecniche didattiche:
DIADORI

La progettazione dell’azione didattica costituisce una componente essenziale e integrante


dell’insegnamento. Un docente è raro che entri in classe senza aver meditato su cosa fare, è
necessario una pianificazione dell’intero percorso di insegnamento e non solo di una singola
lezione di qualche unità. La definizione del sillabò, cioè la specificazione e la sequenza azione dei
contenuti di insegnamento costituisce solo una parte dell’attività di progettazione didattica che
comprende anche l’individuazione degli obiettivi, la scelta dei materiali, le procedure operative che
ne permettono il conseguimento. Progettare un percorso di apprendimento significa non solo
stabilire cosa insegnare ma anche come farlo e a quale scopo. Programmare significa strutturare il
percorso di apprendimento in unità, moduli. Altri autori si riferiscono questo secondo livello di
definizione del percorso usando il termine progettazione. Tutti gli autori comunque riconoscono
una duplice articolazione dell’attività di progettazione di un percorso di apprendimento: ad un
primo livello la progettazione si concentra su ipotesi relative all’organizzazione di un intervento
didattico in un contesto di insegnamento definendo le competenze da sviluppare, i contenuti, i
materiali e i sussidi (macro progettazione o planning); e successivamente c’è un livello di micro
progettazione o design in cui vengono precisate le modalità di presentazione dei materiali, le
tecniche da impiegare per lo sviluppo delle abilità e l’acquisizione delle conoscenze previste, le
procedure da impiegare per promuovere l’interazione comunicativa in classe. In ambito scolastico
questi due livelli sono realizzati in tre momenti diversi. Il primo è costituito dall’elaborazione da
parte del collegio docenti del piano dell’offerta formativa (POF), attraverso cui viene definita
l’identità dell’istituto e delineate le scelte culturali, didattiche e organizzative, messi a fuoco le
finalità e gli strumenti per conseguirle e indicati criteri di monitoraggio e autovalutazione. In un
secondo momento la macro-progettazione viene completata dal consiglio di classe in cui sono
stabiliti gli obiettivi didattici trasversali e disciplinari e definiti i contenuti oggetto di
apprendimento. Il terzo momento è dedicato alla micro-progettazione.

SCOPI E METE DELLA PROGETTAZIONE DIDATTICA


E nell’insegnamento linguistico le finalità di un progetto didattico assumono valenza educativa
poiché chi apprende una lingua trasforma non solo le proprie conoscenze del sistema linguistico e
le competenze linguistico comunicative ma anche il potenziale cognitivo e certi aspetti della
personalità e atteggiamenti nei confronti del mondo. Educazione viene dal latino e duce re che
significa condurre fuori, trarre Ciò che l’apprendente elabora, cioè promuovere l’emergere di
potenzialità che conducono allo sviluppo della sfera intellettiva, cognitiva, Psico affettivo e sociale
incidendo sul modo di essere di fare dell’individuo. Istruzione viene dal latino e significa costruire,
fabbricare e mira all’acquisizione di un corpus di conoscenze articolato e di abilità pratiche relative
ad un’area disciplinare. il processo educativo comprende quello istruttivo ma non si esaurisce con
esso. Formare significa invece dare forma, modellare ed è un processo che conduce all’acquisizione
di competenze di base e specifiche consentendo l’inserimento culturale, sociale e produttivo
dell’individuo. La formazione presuppone l’educazione ma d’altro canto si integra con l’istruzione.

SCOPI E METE DELLA PROGETTAZIONE DIDATTICA


E nell’insegnamento linguistico le finalità di un progetto didattico assumono valenza educativa
poiché chi apprende una lingua trasforma non solo le proprie conoscenze del sistema linguistico e
le competenze linguistico comunicative ma anche il potenziale cognitivo e certi aspetti della
personalità e atteggiamenti nei confronti del mondo. Educazione viene dal latino e duce re che
significa condurre fuori, trarre Ciò che l’apprendente elabora, cioè promuovere l’emergere di
potenzialità che conducono allo sviluppo della sfera intellettiva, cognitiva, Psico affettivo e sociale
incidendo sul modo di essere di fare dell’individuo. Istruzione viene dal latino e significa costruire,
fabbricare e mira all’acquisizione di un corpus di conoscenze articolato e di abilità pratiche relative
ad un’area disciplinare. il processo educativo comprende quello istruttivo ma non si esaurisce con
esso. Formare significa invece dare forma, modellare ed è un processo che conduce all’acquisizione
di competenze di base e specifiche consentendo l’inserimento culturale, sociale e produttivo
dell’individuo. La formazione presuppone l’educazione ma d’altro canto si integra con l’istruzione.

MODELLI DI PROGETTAZIONE DIDATTICA


E sono stati definiti diversi modelli per la progettazione di percorsi didattici. È possibile ricondurre
le diverse metodologie a due matrici: quella con andamento lineare e quella con struttura
reticolare. Nella prima c’è una concezione dell’apprendimento come processo di accumulazione di
conoscenze e abilità da sviluppare attraverso il conseguimento di obiettivi tassonomici
(progettazione per obiettivi). La seconda considera l’apprendimento come un processo di scoperta
e costruzione personale della conoscenza che si realizza con itinerari caratterizzati da nodi
interconnessi e raggiungibili da ciascuna apprendente seguendo tragitti diversi. (Progettazione per
sfondi integratori e quella per compiti).
PROGETTAZIONE PER OBIETTIVI
È il modello maggiormente utilizzato ed è stato introdotto in Italia negli anni 70. Si basa su una
matrice comportamentista alla quale è da attribuire la concezione lineare e cumulativa del
percorso di apprendimento che procede dal semplice al complesso, insistendo sugli aspetti
osservabili e misurabili degli obiettivi. Consiste nella definizione di obiettivi individuabili e isolabili
da raggiungere seguendo un itinerario didattico ed a formulare in termini di comportamenti
osservabili in modo che il loro conseguimento possa essere verificato. Ogni obiettivo deve essere
descritto come una prestazione realizzabile a un determinato livello che l’alunno deve esibire in
certe condizioni e usando particolari contenuti. La buona formulazione di un obiettivo deve dare
risposta a tre domande: cosa lo studente deve essere in grado di fare, avendo a disposizione che
cosa e a quale grado di accuratezza. L’ultimo aspetto rimanda all’adozione di un criterio di
misurazione che permette di valutare se l’apprendimento ha avuto esiti positivi. Si può elaborare
una gerarchia di obiettivi divisa in obiettivi generali, intermedi e finali. I primi costituiscono i
traguardi da conseguire al termine di un corso di studi, gli obiettivi finali riguardano quelli di un
segmento del percorso formativo, ad esempio un anno scolastico, gli obiettivi intermedi
corrispondono a quelli delle singole unità didattiche.

Deve comprendere anche sistemi di verifica che deve includere strumenti per l’accertamento dei
risultati e per correggere errori, ridefinire obiettivi, modificare il metodo e per procedere quindi
alla revisione del progetto e all’elaborazione di strategie di recupero appropriate. Il feedback
fornito non riguarda solo l’apprendimento degli studenti ma anche l’operato dell’insegnante. nel
corso degli anni questo modello ha subito delle revisioni e si è allontanato dalla logica curva di
portamento lista per giungere ad una formulazione meno rigida. Oggi gli obiettivi non sono più
definiti in termini di comportamenti osservabili ma di competenze cioè di capacità di usare
consapevolmente conoscenze, abilità e atteggiamenti per effettuare prestazioni orientate al
conseguimento di uno scopo. I principali obiettivi sono lo sviluppo di competenze generali della
prendente come quella grammaticale, ma anche lo sviluppo della propria personalità, estensione e
diversificazione della competenza linguistico comunicativa, attività linguistiche specifiche,
operazioni funzionali a un dominio sviluppando competenze che consentono di interagire in una
particolare sfera d’azione come il lavoro, compiti per i quali è necessario arricchire e diversificare le
strategie di comunicazione di apprendimento.

PROGETTAZIONE PER SFONDI INTEGRATORI


Modello diffuso a partire dagli anni 80. Si fonda sul principio Gestalt dico secondo il quale le nostre
percezioni costituiscono un’unità strutturata in cui il rapporto tra le diverse parti è colto
unitariamente in relazione ad un contesto, le diverse esperienze di apprendimento possono
assumere significato all’interno di un quadro di riferimento di uno sfondo che le configuri come un
complesso strutturato di attività. Il contesto ha una valenza motivazionale perché stimola il
bambino alla scoperta, promuove modalità partecipative di apprendimento. Nel modello si ricorre
A tre tipi principali di sfondi: - metaforico, che permette ai bambini di ristrutturare il significato di
una situazione problematica attraverso una metafora che permette di introdurre una prospettiva
diversa di osservazione - narrativo, che consiste in una storia entro la quale si collocano I diversi
compiti di apprendimento - Simulazione di contesti, che consiste nella riproduzione in scala di un
ambiente particolare come la città, il bosco, la nave attraverso cui creare connessioni tra le diverse
attività.
La selezione del tipo di sfondo è affiancata dalla definizione dello sfondo istituzionale, cioè dalla
organizzazione degli spazi, delle modalità di esecuzione, dei tempi e degli strumenti da impiegare.
La forma di verifica prevista da questo modello di progettazione è l’osservazione dei bambini nel
corso delle attività in modo che si possa riflettere e valutare le competenze sviluppate il percorso
realizzato.

PROGETTAZIONE PER COMPITI


modello basato sui compiti cioè attività realizzate in classe in cui la lingua oggetto di
apprendimento è usata con uno scopo comunicativo per conseguire un esito e che presenta i
seguenti aspetti: il significato risulta preminente, esiste una connessione con l’attività e il mondo
reale, c’è un problema comunicativo da risolvere, il completamento del compito rappresenta una
priorità e la verifica consiste nell’esito del compito stesso. Questo modello considera il compito
l’unità base nella pianificazione di interventi didattici. Si parte quindi dalla selezione dei compiti che
devono presentare un grado di complessità adeguata al livello di apprendimento degli studenti. Lo
sviluppo della competenza si verifica quando la prendente può svolgere un’attività linguistica con
influenza ed accuratezza cioè quando presta attenzione sia al piano del contenuto che quello
espressivo. La complessità del compito non deve tenere conto solamente della lingua ma anche le
condizioni in cui il compito deve essere eseguito (limiti temporali, velocità, lunghezza) il carico
cognitivo richiesto (familiarità con l’argomento).
Sono individuabili tre orientamenti nella selezione dei compiti: il primo ritiene che i compiti
debbano essere scelti a partire dalle forme linguistiche, il secondo considera un criterio prioritario
la naturalezza, la connessione con il mondo reale, il terzo sostiene l’importanza della naturalezza
del compito ma riconosce il ruolo svolto dal focus on form, cioè dell’attenzione rivolta le forme
linguistiche. secondo quest’ultima impostazione la progettazione procede dall’individuazione di
una gamma di strutture linguistiche, segue la selezione dei compiti che devono tenere conto della
naturalezza e utilità. La selezione dei singoli compiti non assicura lo sviluppo della fluenza e
accuratezza per cui occorre prevedere segmenti più ampi di progettazione costituiti da sequenze di
compiti. inoltre, è necessario prestare attenzione alle scelte operative relative all’articolazione del
compito. La progettazione dell’intervento didattico deve concentrarsi anche sul pre-task e sul post
task. Le attività pre-task hanno il compito di rendere l’attività maggiormente produttiva chiarendo
nel contenuto e sollecitando la pianificazione del compito che potrà essere eseguito con maggior
influenzare accuratezza. La fase di preparazione conduce allo svolgimento del compito. Le attività
della fase di post task devono guidare lo studente alla riflessione linguistica e a questo scopo
possono essere utilizzate attività di classificazione, formulazione di ipotesi, testi

FASI DELLA PROGETTAZIONE DIDATTICA

La pianificazione di un corso si articola in fasi che non si susseguono rigidamente ma si intersecano


focalizzandosi sui seguenti aspetti: la situazione in cui si realizza il corso cioè le caratteristiche degli
apprendenti, il luogo, i tempi, le modalità, le risorse disponibili; i bisogni degli apprendenti; la
definizione del sillabò; il sistema di verifica. Un progetto didattico deve comprendere un’analisi
delle risorse dei tempi e delle opportunità offerte all’apprendente E. Devono essere prese in esame
diverse variabili come la specificità dell’istituzione da cui derivano le finalità da attribuire all’azione
formativa; la durata dell’intervento didattico; la disponibilità di mezzi tecnologici come laboratori,
lavagne luminose; e le caratteristiche degli spazi in cui si tengono le lezioni. E mentre queste
variabili sono modificabili per consentire migliori opportunità agli studenti, le variabili legate
all’utente costituiscono delle precondizioni che devono precedere l’inizio del corso. Ad esempio
l’ambiente socioculturale degli studenti, l’età, il livello di competenza linguistico comunicativa e la
conoscenza di altre lingue straniere. Nell’insegnamento scolastico occorre considerare le
conoscenze in altri ambiti dell’educazione perché non si può progettare un corso di lingua non
raccordandolo con quello delle altre lingue. È inoltre necessaria un’analisi dei bisogni della
prendente che deve essere un punto di partenza per la specificazione degli obiettivi di
apprendimento. Il bisogno definito come una nozione dinamica che cambia nel tempo e assume
sfaccettature diverse a seconda del livello di apprendimento e delle caratteristiche della prendente.
Si distinguono bisogni soggettivi intesi come le necessità relative ai singoli apprendenti. E quelli
oggettivi derivati dagli scopi per cui la lingua viene appresa. Nei percorsi di apprendimento ci si
concentra sui secondi. L’identificazione dei bisogni può essere realizzata attraverso questionari o
interviste dirette. Inoltre l’analisi dei bisogni può essere ricondotta a vari livelli di generalità: un
livello globale che verte sulle situazioni in cui gli studenti useranno la lingua, le attività linguistiche
svolgeranno in tali situazioni; un livello retorico che prende in esame l’organizzazione
dell’informazione nei tipi di testi e discorsi occorrenti nei tipi di situazioni identificate livello
globale; livello grammaticale retorico in cui vengono individuate le forme linguistiche impiegate nei
testi; livello grammaticale che indaga sulla frequenza con cui le forme linguistiche vengono usate
nei testi.

L’apprendente durante il corso dovrà acquisire un insieme di conoscenze e abilità che


consentiranno l’esecuzione di determinate prestazioni linguistiche, l’elenco di tali conoscenze
abilità costituisce il sillabò del corso. La selezione delle forme linguistiche da far rientrare nel sillabò
può essere operata sulla base delle indicazioni fornite dall’analisi dei bisogni. Esistono Sillabi
proposizionali all’interno di questa categoria si collocano i Silla B formali organizzati secondo criteri
linguistici e volti al raggiungimento dell’accuratezza nella produzione, i Silla B funzionali che
selezionano i contenuti in relazione alle esigenze linguistiche degli studenti. Nella progettazione per
compiti si distinguono i Silla di procedurali che sono costruiti secondo categorie linguistiche e le
decisioni inerenti i contenuti sono presi dall’insegnante, Silla di processuali si caratterizzano poiché
la prendente è coinvolta nel processo decisionale relativo al corso. Ogni progetto didattico per
essere completo deve prevedere la definizione degli strumenti di di verifica, i criteri di valutazione,
gli indicatori di monitoraggio per effettuare eventuali cambiamenti. Questi possono consistere
nella riprogettazione del percorso, la revisione dei percorsi che conducono ai nuclei progettuali, la
pianificazione di nuove sequenze di compiti. Nella progettazione per obiettivi inizialmente si
utilizzava il test standardizzato ma si è passati a quello comunicativo, nella progettazione
corrisponde integratori la forma di verifica adottata è quella del test diffuso cioè l’osservazione dei
bambini durante lo svolgimento delle attività didattiche. La progettazione per compiti ricorre a cicli
di monitoraggio attraverso cui viene effettuata la valutazione di quali forme linguistiche sono
diventate inTake e quale devono costituire ancora oggetto di apprendimento. È molto importante
anche l’autovalutazione poiché lo studente diventa consapevole del proprio percorso di
apprendimento.

PERCORSI DI APPRENDIMENTO ONLINE


L’insegnamento della lingua online avviene con l’ausilio di strumenti di comunicazione asincrona e
questo implica che il docente non gestisce realmente l’interazione con i suoi studenti e non può
scegliere sul momento i materiali o modificare in base al feedback degli studenti. È necessario
sempre analizzare i bisogni del pubblico e inoltre indicare i materiali e le risorse da impiegare
secondo un quadro teorico di riferimento. In particolare è necessario scegliere l’infrastruttura
tecnologica e occorre individuare gli strumenti necessari per i tipi di interazione e attività che si
prevedono di svolgere. L’ambiente può essere pensato con gradi diversi di interattività e possono
essere privilegiate forme diverse di comunicazione ad esempio la comunicazione 11 tra docente e
studente, quella uno a molti tra docente e un gruppo di studenti o quella molti a molti degli
studenti che collaborano nello svolgimento dell’attività. Quello distanza inoltre è un lavoro di
squadra che coinvolge diverse figure come lo staff di web master che collabora nella scelta
dell’infrastruttura ma anche il progettista didattico, il realizzatore di materiali didattici,
l’information broker che ricerca risorse di rete da collegare tramite link ai materiali del corso, il
docente, il tutor che affianca il docente, il personal trainer che gestisce le interazioni uno a uno con
gli studenti. Alcune di queste figure possono essere ricoperte da una stessa persona.

L’INCONTRO/LEZIONE (IL)
Il termine lezione rimanda alla lettura: il docente onnisciente legge, interpreta e trasmette il suo
sapere al pubblico. Il docente è quindi una persona dotta capace di esprimere con chiarezza i
contenuti il compito degli allievi è quello di ascoltare, comprendere e memorizzare. Si traduce in un
approccio di tipo deduttivo che parte dalla regola grammaticale, le mostre esempi e procedi con
esercizi e letture per poi concentrarsi sul lessico. Nonostante questo concetto sia stato messo in
crisi la lezione è ancora molto diffusa perché utile in alcuni ambiti ad esempio quando la classe è
molto numerosa ed a competenze omogenee e obiettivi comuni; l’insegnamento delle altre
discipline adotta questo modello che viene a corrispondere con le aspettative degli apprendenti, il
docente non madrelingua non dispone della fluenza orale necessaria a coinvolgere la classe in
attività esclusivamente nella lingua di apprendimento e quando il docente si pone l’obiettivo di
fornire spiegazioni in maniera strutturata. Questo tipo di modello presenta comunque dei limiti in
quanto nella didattica delle lingue moderne non può fornire quell’input interattivo fondamentale
per lo sviluppo armonico delle competenze produttive e interattive. Il termine lezione può indicare
anche il singolo incontro senza riferirsi a un modello operativo in particolare in questo caso si può
parlare di incontro lezione. L’UNITÀ DIDATTICA (UD) L’idea di lezione come modello operativo
entrò in crisi con l’emergere di nuove correnti di pensiero. Negli anni 70 si impone una revisione
dei modelli di insegnamento a partire dalla teoria E della psicologia della Gestalt che descrive la
percezione divisa in tre fasi: globalità, analisi, sintesi. Alla fine dell’Ottocento il filosofo tedesco
Stumpf Fonda la prima scuola di psicologia sperimentale e lavora a questa teoria a partire dal
fenomeno della percezione. Secondo lo psicologo la mente umana interpreta la realtà secondo
principi olistici che permettono di percepire l’ambiente come un insieme. Le teorie che statiche
affermano l’esistenza di processi mentali innati che organizzano la percezione in unità coerenti che
il soggetto individua in base alle loro caratteristiche comuni. Questo concetto viene applicato anche
i contenuti di una disciplina di studio che potranno essere proposti in maniera più efficace
utilizzando un percorso che dalla globalità passi all’analisi si conclude con la sintesi. Segue quindi le
fasi del modello di unità didattica elaborato da freddi nella metà degli anni 60 e successivamente
ripreso da danesi e poi da Balboni. Questa sequenza di fasi si articolo in un periodo che va dalle
Quattro alle sei ore e comprende più incontri lezione in classe oltre allo studio individuale. Il
docente mette a fuoco uno più obiettivi e insieme agli studenti. A loro raggiungimento: al termine
del percorso sia il docente che gli allievi dovrebbero prendere consapevolezza del cambiamento
avvenuto nel sistema di conoscenze e delle performance degli studenti. Unità didattica si articola in
tre fasi fondamentali che sono:

-globalità: incontro iniziale con il testo nella sua interezza e complessità. Mira a una comprensione
che va dal generale al particolare e sfrutta le conoscenze delle discendente sia la sua competenza
linguistica per comprendere il messaggio del testo.
-analisi: con attività che portano all’esplorazione del testo nelle sue caratteristiche linguistiche,
testuali, pragmatiche, culturali per scoprire regolarità ed eccezioni o con attività di tipo induttivo
sia dal caso particolare alla regola generale.
-sintesi: con attività di riutilizzo delle strutture e contenuti incontrati nel testo allo scopo di fissare e
riutilizzare i contenuti linguistici e culturali analizzati. Le tre fasi sono precedute da una fase di
motivazione che si propone di attività di brainstorming per esplicitare le conoscenze già possedute
dagli allievi sul tema, si forniscono parole chiave. Successivamente sia la fase di riflessione in cui si
sistematizzare i fenomeni in modo da passare dal caso particolare alla regola generale con le sue
eccezioni. Sia infine una fase di controllo nella quale il docente verifica se gli obiettivi prefissati
sono stati raggiunti. In caso affermativo si passa all’unità didattica successiva altrimenti si
propongono attività di rinforzo e di recupero. Danesi giustifica questo percorso in base ai processi
mentali legati alla comprensione e produzione del linguaggio. Afferma che gli esseri umani
elaborano messaggi utilizzando le diverse modalità che caratterizzano i due emisferi: l’emisfero
destro che percepisce meglio il contesto del messaggio e l’emisfero sinistro che percepisce meglio i
singoli elementi. Quando il soggetto entra in contatto con un nuovo stimolo inizialmente attiva
l’emisfero destro e successivamente l’emisfero sinistro nel momento dell’analisi, nella fase di
sintesi vengono attivati entrambi gli emisferi per utilizzare le informazioni derivate dallo stimolo.
L’unità didattica anche dei limiti in quanto riflette soprattutto la prospettiva del docente, è di rigida
applicazione E non è applicabile facilmente in caso di oscillazione delle presenze. Resta comunque
valida in quanto mette a fuoco la necessità di tener conto dei processi mentali implicati
nell’acquisizione, rende conto del fatto che l’acquisizione non avviene solo nell’incontro ma anche
durante il lavoro autonomo, contiene in sé l’idea del carico di lavoro documentabile.

UNITÀ DIDATTICA CENTRATA SUL TESTO (UDT)


il testo offre modelli di lingua, esempi di usi comunicativi, di variabili sociolinguistiche, di generi e
tipologie testuali e trasmette stimoli per la discussione, fornisce occasioni di analisi, esercitazione e
riflessione di tipo meta linguistico e meta culturale. La fase iniziale del micro-percorso fa
riferimento alla necessità di fornire le coordinate indispensabili per l’Inter l’interpretazione del
testo e la fase finale riguarda la capacità di riutilizzare i materiali linguistici e culturali studiati nel
testo.

L’UNITÀ DI APPRENDIMENTO (UDA)

Nel 2002 Balboni ha rivisto la sua idea di unità didattica in una nuova prospettiva che comprende
una rete di più unità di apprendimento. L’unità minima è quella di apprendimento e può durare da
pochi minuti o un’ora. dal punto di vista Del docente l’unità di apprendimento significa accettare
che queste non si attivano sempre secondo la sequenza prevista dal docente o da libri di testo ma
che può solamente sollecitarle e collegarli fra loro. Viene superata la rigidità e sequenzialità
dell’unità didattica se il docente tiene conto dei processi che possono realizzarsi lentamente dei
propri studenti sottoforma di unità di apprendimento.

LEARNING OBJECT
L’idea nasce nel campo della programmazione per il settore informatico basata su componenti
indipendenti l’uno dall’altro che possono essere Ri assemblati in modo diverso riutilizzati in
contesti nuovi. Indica quindi una risorsa online per l’apprendimento purché autonoma, riutilizzabile
e rintracciabile, condivisibile e composto da un certo numero di pagine web che combinano testi,
immagini e altri media, utilizzabili in pochi minuti secondo gli scopi di apprendimento previsti. Un
LO deve essere realizzato indipendentemente da altri LO E deve essere modellato sulle esigenze di
chi lo utilizza, deve fornire un feedback in base alle risposte dell’utente e deve essere
simultaneamente accessibile da più utenti via Internet. Permette quindi di costruire percorsi di
apprendimento personalizzati.

MODULO
Per modulo si intende un percorso tematicamente organico che può riguardare un periodo, una
corrente di pensiero ma può anche riferirsi ad un argomento visto in maniera interdisciplinare. È
più facile individuare dei moduli in ambito scientifico professionale ma è più arduo definirli in
discipline non segmentali basate sulla progressione come la matematica, la fisica o le lingue. Il
modulo a alcune specificità: autonomia in quanto si tratta di una sezione autosufficiente, flessibilità
in quanto può essere composto da più unità didattiche, raccordabilità in quanto la successione fra
moduli può essere obbligata opzionale, complessità, valutabilità in quanto deve essere valutabile
nel suo complesso o nelle sue parti.

UNITÀ DI LAVORO (UDL)


Corrisponde ad una progettazione logica e finalizzata. Esistono diverse definizioni: -unità di lavoro
come iperonimo: può essere utilizzato come iperonimo di unità didattica, unità di apprendimento,
unità didattica centrata sul testo.
• E come lavoro condiviso: implicita è l’idea di negoziazione degli obiettivi e dei modi per
raggiungerli: docente studenti definiscono insieme agli obiettivi e lavorano per raggiungerli • Come
percorso unitario e in si è concluso: è un dispositivo funzionale alla realizzazione di un’esperienza
formativa auto consistente e documentabile capace di consentire il riconoscimento e la
certificazione delle competenze acquisite
• Come realizzazione progettuale: il docente dovrà selezionare fra le varie opzioni e scegliere quelle
più adeguate al contesto decidere nel modo in cui suddividere l’unità di lavoro.
• Come valorizzazione dell’apprendimento guidato: allo scopo di tradurre in pratica la differenza
fra apprendimento spontaneo e guidato nell’accelerare i processi di apprendimento della L2. Un
percorso guidato deve fare la differenza attraverso l’incontro con il testo, un percorso induttivo
guidato dal docente, una progettazione gestita responsabilmente e orientata ai bisogni dei
destinatari, l’attenzione rivolta alla prendente e il raggiungimento di competenze valutabili e
spendibili nei contesti di lavoro e altri. È possibile prevedere la realizzazione dell’unità di lavoro in
tre formati basati sull’interazione fra docente e allievo: l’incontro lezione, cioè il singolo incontro
fra docenti e studenti, l’unità didattica: due o tre incontri lezione raccordati da un progetto unico, il
modulo autonomamente caratterizzato in più unità didattiche accomunate da un tema o da un
obiettivo. Più incontri lezione possono aggregarsi in una unità didattica: corrispondenza fra unità
didattica e unità di lavoro in termini di tempo e modalità di svolgimento. Più unità didattiche
possono aggregarsi in un modulo: in questo caso l’unità progettuale si riferisce al modulo che verrà
a rappresentare l’unità di lavoro massima. L’unità di lavoro si divide in tre momenti sequenziali: -
introduzione: motivazione, attivazione, organizzazione preventiva. • E svolgimento: incontro con i
testi, differenziazione dei temi delle strutture, riflessione. Da realizzare durante l’incontro lezione,
l’unità didattica o il modulo in classe fuori dalla classe • Conclusione: con l’attività basate
sull’output comunicativo degli studenti in relazione ai contenuti e alle attività svolte. • Esiste anche
una fase intermedia nella quale l’attenzione è verso gli apprendenti.

Prima traccia
State insegnando italiano L2 a una classe ‘omogenea’, composta da studenti universitari,
provenienti dagli Stati Uniti, la cui competenza linguistica di partenza nella L2 è stata
attestata al livello A1. Dovete pianificare una lezione/unità didattica sul passato prossimo.
Per alcuni studenti si tratterà di ‘ritornare’ su questo tempo verbale, in parte già appreso,
per altri si tratterà di affrontarlo per la prima volta. Ipotizzate la sequenza didattica
compilando la tabella che ne riporta le fasi.
È importante il fatto che siano gli studenti a proporre degli esempi. Per fare riflessione
metalinguistica, gli studenti stessi possono fornire degli esempi autentici, non solo quelli che
propone il libro sono quelli migliori.
Se l’obiettivo è la spiegazione grammaticale del passato prossimo, concentrarsi sulle attività del
tempo libero potrebbe essere un po’ un uscire fuori strada. La disomogeneità delle competenze ci
porta a non introdurre noi l’argomento e a farlo introdurre agli studenti. Se l’obiettivo è quello di
concentrarsi sulle forme del passato, allora spostarsi sull’argomento del tempo libero, ci distoglie
dall’obiettivo. Se vogliamo proporre un’attività rompi-ghiaccio e non sappiamo se gli alunni sanno
o meno il passato prossimo, partiamo dalle attività del tempo libero e piano piano passiamo al
passato prossimo (prima chiediamo quali siano le attività che preferiscono e poi ci agganciamo
chiedendo quando hanno fatto l’ultima volta l’azione in questione). Ovviamente l’insegnante deve
sempre tenere conto del livello della classe e della situazione in classe in quel determinato
momento. Quindi potrebbe avere senso parlarne prima al presente per poi concentrarsi sul
passato, mantenendo lo stesso orientamento. Un’alternativa potrebbe essere quella di far
identificare a loro in un testo i vari passati, per testare a che livello si trovino.
Procedura graduale, sono gli studenti a formulare la regola grammaticale, non deve essere per
forza solo l’insegnante a spiegare la grammatica.
Gli elementi salienti di una lingua sono così tanti che un apprendente può scartarne alcuni, ma
l’insegnante può segnalarli attraverso il noticing. L’informazione va parcellizzata, ma non troppo
(perché ad alcuni studenti potrebbe dare fastidio). L’insegnante comunque può sempre valutare e
distinguere cosa dire in una lezione e cosa conservare per la prossima. La quota informativa va
diluita lungo il corso. Procedura bottom-up= dal basso verso l’alto, si lavora sulla grammatica, si
riflette sulla lingua e sulle sue strutture, ma l’insegnante invita gli alunni a fare delle ipotesi e a
utilizzare la lingua prima di spiegare la regola grammaticale. Nel coinvolgerli, possiamo farli
riflettere sulle strutture e invitare loro a costruire la regola che poi noi insegnanti completiamo.
Nelle fasi finali, si possono proporre dei verbi anche irregolari ma molto frequenti nell’input. Ogni
cosa che facciamo, può avere al centro lo studente.

Terza traccia
Avete appena letto una notizia del giorno: il Ministro dell’Istruzione ha diffuso presso le
scuole una circolare sul divieto dell’uso del cellulare in classe (v. breve articolo, di seguito).
Decidete di proporre questo tema nella vostra classe di studenti universitari di livello B1+, di
diversa provenienza geografica e linguistico-culturale, a partire dalla notizia di oggi.
Decidete di sviluppare il tema su più lezioni, ma in quella di oggi vi soffermerete sull’articolo
appena letto. Svolgete ora:
1. un’analisi pre-didattica dell’articolo (quali strutture linguistiche sono ricorrenti? Si presta
ad essere trattato per un lessico specialistico usato? quali parole vanno preventivamente
spiegate nel loro significato anche culturale? ecc.); evidenziate in colore nell’articolo le
forme linguistiche su cui vorreste poi richiamare l’attenzione, attraverso domande di
comprensione ed esercizi lessicali;
2. una progettazione delle fasi di una unità didattica (v. tabella) con l’obiettivo principale
della comprensione scritta e del lavoro sul lessico, da proporre nella lezione odierna.

Analisi pre-didattica:
Strutture linguistiche ricorrenti 🡪 frasi nominali, frasi impersonali, verbi-soggetto
Lessico specialistico usato 🡪 giuridico, burocratico, amministrativo, politico
Parole da spiegare preventivamente 🡪 ministro dell’istruzione e del merito; sanzioni;
circolare; analoghi; divieto; statuto degli studenti e delle studentesse; circolare ministeriale
n.30; proficuo; prioritario; autorevolezza; perseguire; senato; effetti dannosi; abuso
reiterato; disciplinari; peraltro; norme; in vigore; patti di corresponsabilità; ecc.

Fasi dell’unità didattica:


I 🡪 sondaggio orale in classe (quanti studenti hanno il cellulare in questo momento? Quanti
sono spenti? È utile in classe? Per cosa lo usiamo? Come può essere usato per scopi
didattici? E simili)
II 🡪 presentazione del testo: fornire un contesto, spiegare preventivamente qualche
vocabolo o parola, leggere collettivamente il testo in classe (selezionare dei lettori),
rileggere individualmente per soffermarsi sui vocaboli che gli studenti non hanno compreso
III 🡪 comprensione del testo: domande orali di tipo generale, domande scritte specifiche
(vero o falso, risposta multipla)
IV 🡪 focus sul lessico: spiegazione dell’ambito in cui si colloca l’articolo, approfondimento
di determinati vocaboli, esercizi in cui riutilizzarli correttamente.
V 🡪 rinforzo: delineare pro e contro, scrivere una lettera formale per rispondere al ministro
dell’Istruzione e del Merito.

Il testo non è dei migliori, ma ogni testo è utilizzabile in classe. Come attività finali è possibile:
intervista di ragazzi, elaborare un testo argomentativo in cui sottolineare i pro e i contro.
Questo testo ha un lessico specifico che non sempre viene trattato nel manuale. L’attività didattica
deve essere modulata a seconda delle competenze degli studenti. Ovviamente trattandosi di un
B1+, forse è più utile lavorare in modo ricettivo (far riconoscere, fare abbinare gli abbinati), solo
dopo ci si può spostare sul piano produttivo (questo non vuol dire che uno studente B1 non possa
produrre nulla, per esempio si può proporre di scrivere una mail di risposta al ministro, per
riutilizzare il lessico). È importante quando ci troviamo davanti a un testo, fare un’analisi pre-
didattica e in base alla lingua e agli elementi accessibili alla classe, scegliere le attività da proporre.
Alcune parole del testo devono necessariamente essere spiegate dall’insegnante stesso, a volte
anche preventivamente (si potrebbe anche fare riferimento alla L1). Altre parole o costruzioni
formali e più generali possono essere spiegate insieme. Non li facciamo lavorare subito su tutte
queste parole, ma il significato dobbiamo fornirlo noi, per poterle chiarire anche dal piano
socioculturale. Questo è un testo perfetto per degli esercizi di matching, di abbinamento (le parole
del lessico giuridico da una parte e le definizioni prese da un dizionario dall’altro). Per la
comprensione del testo invece domande generali o a scelta multipla si prestano meglio. Potrebbe
essere interessante riflettere ed esercitarsi sulla derivazione delle parole, sulle classi delle parole e
questo è molto interessante perché è un esercizio generativo. In questo modo, gli studenti
possono imparare dei suffissi e dei prefissi nuovi, con funzioni che non conoscevano. Si può
lavorare anche sulla ricerca di sinonimi e contrari, sulle parole astratte e concrete, sull’alterazione,
sulle famiglie di parole.

Seconda traccia
State insegnando da oltre un mese in un Laboratorio di italiano L2, presso una scuola
elementare. Il piccolo gruppo è composto da 6 allievi, inseriti nelle classi di 3°, 4° e 5°
(rispettivamente di 8, 9 e 10 anni). Alla lezione di domani parteciperà per la prima volta
anche un nuovo alunno, inserito in una classe 4°. Decidete insieme agli altri alunni di
organizzare la sua ‘accoglienza’. Come procedete nella lezione di oggi, in vista di questa
novità? Descrivete schematicamente o discorsivamente la vostra pianificazione della
lezione che si svolgerà il giorno successivo (con l’arrivo del nuovo alunno) e che oggi
coinvolge il piccolo gruppo di alunni.

I nostri alunni comprendono e parlano l’italiano, quindi possiamo coinvolgerli nell’elaborazione


della lezione di domani, in cui accoglieremo un bambino appena arrivato in Italia. Questo
naturalmente è un pretesto per utilizzare la lingua. Potremmo innanzitutto attivare un dibattito in
classe con i bambini, chiedendo loro come potrebbe essere possibile accoglierlo, ci attendiamo il
parere di ogni bambino presente, ci aspettiamo le loro risposte e proposte. Coinvolgimento attivo
degli alunni nell’organizzare un’accoglienza linguistica. Si possono dividere in coppie e riflettere su
cosa poter fare, poi condividere insieme. Sicuramente si potrà riflettere sulla presentazione. È
importante lavorare su due piani: orale e scritto (anche se non in egual misura, pensando che si
tratta di bambini). Per quanto riguarda lo scritto, possiamo ipotizzare di chiedere ai bambini quali
sono i principali saluti da utilizzare e poi utilizzare dei disegni per spiegare delle parole, così da
creare un ipotetico glossario di classe per accogliere l’alunno neoarrivato. Ovviamente ogni lingua
si utilizza in un contesto, quindi potremmo riflettere sugli oggetti della classe (e anche qui usare
dei disegni). Si potrebbero anche esplorare delle funzioni comunicative specifiche del contesto
classe, che potrebbero rivelarsi utili per il neoarrivato.

Queste fasi dell’unità didattica sono descrittive e non sono obbligatorie, ma sono una scansione
dell’attività didattica in cui lo studente è al centro dell’atto didattico, non è la lingua, non è la
grammatica. Il punto non è “oggi spiego il passato prossimo”, ma “cosa sanno i miei studenti del
passato prossimo? Sanno usarlo?” È cruciale il coinvolgimento attivo degli studenti. È importante
capire che al di là dei nomi e delle denominazioni debba esserci una sequenza logica e
riconoscibile nelle sue fasi, che man mano e a seconda della situazione e della classe in cui si trova
l’insegnante può modificare. La modificazione è spesso cambiata incorso d’opera e questo è un
punto imprescindibile. Ovviamente non si può entrare in classe e pensare di improvvisare
totalmente la lezione. Anche il solo leggere un articolo sul bus e riflettere su quali sono gli
elementi linguistici specifici costituisce un’analisi pre-didattica che poi è fondamentale per la
lezione in classe.

PEKAREK
È un volume collettivo, formato da capitoli scritti da vari autori, curato da Kunitz, Markee e Sert
(italiana, statunitense e turco). Quali sono le prospettive teoriche di questo approccio e quali
quelle pedagogiche. Di tutto il volume, molto denso e specifico, purtroppo non c’è l’italiano L2, ma
ci sono le altre lingue e molti dettagli (osservare lo spelling delle parole, lavoro sulla routine
quotidiana, ecc.). La terza parte è sulla formazione degli insegnanti (questa è una novità:
sottolineare quanto sia importante lavorare con i futuri insegnanti nell’osservazione delle pratiche
discorsive all’interno della classe attraverso l’analisi della conversazione). L’ultima parte è sulla
valutazione.
L’autrice parte da una premessa storica e contemporanea: quali sono le domande che il mondo
sociale pone alla ricerca? Si tratta di una premessa che dà ragione del perché una parte del mondo
della ricerca si è concentrato sull’interazione (sociale, ma in particolar modo verbale, in classe).
Questi studi sono molto recenti e se li confrontiamo con quelli che hanno almeno 50 anni di
ricerche e che hanno guardato alla lingua come dimensione decontestualizzata, questi studi più
nuovi che assumo la prospettiva dell’analisi della conversazione fanno parte di una ricerca giovane.
È importante la nozione di “intercultural competence” che emerge nella SLA. Essa è stata vista
come una componente della competenza linguistica, ma oggi ci si è concentrati di più su di essa.
Spiega le differenze rispetto al vecchio paradigma di ricerca. Questo è importante non solo per gli
studenti, ma anche per gli insegnanti, perché anche loro devono stare attenti all’interazione in
classe e alle sue dinamiche (per esempio quando valutano, quando correggono, quando
selezionano alcuni alunni per parlare, ecc.). si parla di qualcosa che è rilevante nella formazione
degli insegnanti ma che è anche un obiettivo didattico nell’insegnamento linguistico. P una
prospettiva innovativa ch non si trova ancora esattamente riflessa nei manuali se non per il
momento a grandi linee. Oggi nei manuali di lingua non troviamo più dei dialoghi palesemente
falsi, distanti dal parlato in interazione reale e concreto, perché c’è una sensibilità diversa nel
rappresentare il parlato nei manuali dopo questi studi. Non spieghiamo più soltanto la grammatica
come classi di parole staccate, ma si guarda anche alle capacità che sono utili durante l’interazione
(introdurre un argomento, cercare una parola, prendere parola, segnalare un problema linguistico,
motivare una richiesta… si tratta di funzioni non più solo situazionali, come presentarsi, dire come
ci si chiama, salutare, ringraziare… non sono più funzioni staccate dai contesti, ma sono analizzate
nella spontaneità e nell’autenticità dell’interazione: ci sovrapponiamo, chiediamo scusa per aver
interrotto, per mantenere il turno di parola alziamo il tono della voce, ecc. Questi oggetti di analisi
sono ovvi oggi, ma vengono da ricerche e analisi lungo tanti anni). Tutto ciò è rilevante per
l’insegnante in generale (perché la competenza interazionale consente di gestire meglio
l’interazione in classe) e per l’insegnante di lingua in particolare. Si parla di sensibilità testuale.

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