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PROCESSI COGNITIVI, lezioni 10/11, 15/11

IL PENSIERO
Il pensiero è un processo che permette di organizzare le informazioni, integrandole con quelle già presenti
e mettendole in relazione tra loro.

Il pensiero è strettamente correlato al linguaggio ed ancora oggi è uno dei temi più dibattuti. Ma su cosa si
interrogano gli studiosi?

 Esiste un pensiero senza linguaggio?


 Il linguaggio può essere separato dal pensiero?
 Come interagiscono linguaggio e pensiero?
 I limiti del linguaggio coincidono con quelli del pensiero?

Ma quindi cosa ne sappiamo?

o Sembra che ci sia un pensiero che preceda/accompagni le parole, le quali senza di esso non
possono funzionare nel modo giusto.
o Pensiero e linguaggio non solo sono distinguibili, ma sono anche SEPARABILI. Sono due momenti e
due spazi separati (quello che penso avviene all’interno, quando parlo avviene all’esterno).
o Pensiero e linguaggio non coincidono, in quanto il primo eccede il secondo che non sempre riesce
ad esprimerlo nel modo del tutto adeguato.

In queste espressioni linguistiche si riflette una FILOSOFIA POPOLARE che vede il pensiero come un
processo superiore della mente, non del tutto afferrabile e alla base del funzionamento del linguaggio che
viene rappresentato come il lato esteriore, corrispondente, non coincidente con quanto avviene all’interno
della mente. Questa filosofia è dovuta al DUALISMO CARTESIANO…”il linguaggio ha a che fare più con il
corpo che con la mente, mentre il pensiero è di ordine superiore perché avviene nella mente.”

Ci sono due studiosi che si sono opposti alla filosofia cartesiana: Wittgenstein e Heidegger.

WITTGENSTEIN= io penso con le parole. Il pensiero è sempre articolato in una LINGUA, non
posso fare a meno delle parole.

Inizialmente Wittgenstein ha sostenuto un ISOMORFISMO LOGICO tra realtà e linguaggio. Le


parole significano solo nel flusso del pensiero e della vita. Tuttavia, in seguito lo studioso ha
abbandonato questo pensiero, poiché non sempre parliamo e pensiamo cose che sono reali,
ma parliamo anche di cose ultraterrene, non reali, immaginarie, ecc.

HEIDEGGER= il linguaggio è la dimora dell’essere. Tutto ciò che accade, che


interpretiamo trova casa nel linguaggio. Noi viviamo nel mondo attraverso una lingua,
abbiamo bisogno delle parole per pensare, per articolare la nostra biografia, per entrare
in contatto con gli altri, ecc. Nella sua dimora abita l’uomo. I pensatori e i poeti sono i
custodi di questa dimora. Loro prestano più attenzione alla scelta delle parole, mentre la
chiacchiera è il centro del pensiero, del modo di vivere inautentico.
DIVERSE PROSPETTIVE SUL RAPPORTO PENSIERO-LINGUAGGIO
COMPORTAMENTISMO= sostiene che pensiero e linguaggio coincidano sulla base di uno schema stimolo-
risposta. È fondamentale l’AMBIENTE di vita: non c’è nulla di innato, il modo in cui mi comporto è il
risultato di quello che apprendo nell’ambiente.

a cui si oppone il

COGNITIVISMO CHOMSKIANO= Chomski afferma un innatismo dei processi della mente essenziali e
funzionali al linguaggio. Noi nasciamo dotati della capacità di parlare e pensare, pensiero e linguaggio non
coincidono, il primo precede e governa il secondo. Noi possiamo parlare grazie ad un dispositivo innato di
cui siamo dotati dalla nascita: il “LANGUAGE AQUISITION DEVICE.” Il mondo esterno non è fondamentale in
questo caso, in quanto c’è già una base biologica.

queste due teorie sono state sintetizzate nel

COSTRUTTIVISMO= singolarmente le due teorie sono riduttive. È necessario sia l’ambiente che le strategie
cognitive e metacognitive dell’apprendente per costruire una relazione interdipendente tra pensiero e
linguaggio.

il tutto diventa ancora più chiaro con

L’EMBODIED COGNITION= riduce la separazione netta tra mente e corpo e ristabilisce un equilibrio nella
loro relazione sostenendo che molte abilità umane, tra cui anche quelle linguistiche evolvono a partire
dall’interazione del corpo con il mondo circostante e con i processi di pensiero.

L’EPISTEMOLOGIA GENETICA DI PIAGET


Ci sono diversi stadi dello sviluppo cognitivo:

1. Stadio senso-motorio= dalla nascita ai 2 anni. Prevale la conoscenza


del mondo attraverso il movimento.
2. Stadio pre-operativo= va dai 2 ai 7 anni. Il bambino inizia a
rappresentare i pensieri, tramite i colori, i giochi e poi scrivendo.
3. Stadio operativo concreto= dai 7 agli 11 anni. Stadio in cui inizia a
prendere forma il pensiero astratto…si riesce ad estrarre una teoria
sulla base di quello che si vede, si osserva.
4. Stadio operativo= dagli 11 ai 15 anni. Si applica il pensiero logico alle varie attività

I processi del pensiero sono lo strumento per formulare ipotesi e predisporre al problem-solving.

L’organizzazione delle informazioni e l’adattamento sono alla base del funzionamento del processo
cognitivo del pensiero. Il pensiero funziona organizzando ed adattando le informazioni…le informazioni non
vengono aggiunte in maniera passiva, ma vengono integrate attraverso schemi già costituiti nella nostra
mente (vedi la memoria a lungo termine).

Questo adattamento avviene attraverso due processi che si avvicendano costantemente lungo l’intero
sviluppo cognitivo della persona: il processo di assimilazione e di accomodamento.

ASSIMILAZIONE= le nuove informazioni vengono incorporate negli schemi cognitivi già posseduti
aggiungendosi alle conoscenze del mondo già accumulate.
ACCOMODAMENTO= le nuove informazioni vengono modificate per essere integrate al meglio con quanto
già noto.

Questi due processi sono fondamentali, poiché ci permettono di aggiornare le nostre conoscenze.

VYGOTSKIJ E LA RELAZIONE DINAMICA PENSIERO-LINGUAGGIO


Vygostkij è stato un altro studioso che si è occupato della relazione pensiero-linguaggio. Può
essere considerato un precursore della visione integrata pensiero-linguaggio.

Sostiene che pensiero e linguaggio sono processi interrelati dal punto di vista dello sviluppo
cognitivo-evolutivo della coscienza umana: il primo orientato verso il secondo e viceversa.

Pensiero e linguaggio sono distinguibili, ma non li posso separare.

Il pensiero e il linguaggio sono originariamente indipendenti: non nasciamo con due processi interrelati, ma
con lo sviluppo della coscienza, del pensiero verso sé stessi.

I due processi diventano interrelati.

Laddove c’è pensiero, c’è un linguaggio che gli dà forma e lo influenza e laddove c’è un linguaggio c’è un
pensiero che lo struttura e lo sostiene.

Ogni lingua ha un suo modo di concettualizzare il mondo. Il pensiero non viene semplicemente espresso
nella parola, ma si realizza in essa e la parola viene orientata dal pensiero.

Il SIGNIFICATO è l’unità tra linguaggio e pensiero. Anche all’interno di una stessa lingua il significato muta,
poiché cambiano i modi di pensare (cambia anche tra varie lingue, in quanto cambia il modo di vedere le
cose culturalmente).

Tra pensiero e linguaggio c’è una relazione DINAMICA. Al mutare di essa cambia anche il significato di una
parola. Il significato non è una struttura fissa, immutabile, visto che è soggetta allo sviluppo dinamico della
relazione tra linguaggio e pensiero.

Il linguaggio diventa un medium tra mente e ambiente di crescita e sviluppo delle abilità sociali e cognitive.

L’IPOTESI SAPIR-WHORF
In cosa consiste tale ipotesi? Ogni lingua traccia intorno al popolo che la parla dei confini e questi confini
corrispondono ad un certo modo di pensare, di vedere il mondo. Di conseguenza, la lingua può influenzare i
pensieri (e la costruzione della visione del mondo) e per questo viene detta “IPOTESI DELLA RELATIVITÀ
LINGUISTICA” …ogni lingua ha la sua visione del mondo.

Ma come sono arrivati i due studiosi a questa ipotesi?

Hanno studiato la lingua Hopi e si sono resi conto di una mancata corrispondenza tra le
espressioni grammaticali verbali di tempo e la categorizzazione passato-presente-futuro
tipica delle lingue europee. In questa lingua non c’è un tempo grammaticale perché usano
lo STESSO tempo grammaticale. Per loro è un continuo il tempo: non c’è un presente poiché
è già passato.

Quindi, uno stesso fatto del mondo o una stessa situazione di vita vengono espressi in modi
concettualmente o grammaticalmente differenti nelle diverse lingue.
Tra lingua e pensiero non c’è rapporto deterministico (secondo cui la lingua influenza sempre il pensiero):
l’influenza è RECIPROCA, le lingue con le loro specifiche strutture grammaticali, sono in grado di influenzare
e strutturare il pensiero e non è vero solo il contrario, cioè che il pensiero preceda sempre la lingua. A
dimostrarlo, alcune strutture grammaticali nel corso del tempo sono cambiate, grazie al pensiero (che
evolve con il passare del tempo): molti nomi che fino ad ora sono stati maschili, sono stati cambiati nel
femminile, poiché le donne hanno iniziato a rivestire ruoli che fino ad allora erano stati solo degli uomini. A
tal proposito,

nel 1987 Alma Sabatini ha scritto un libro importantissimo, “LE RACCOMANDAZIONI PER USO NON
SESSISTA DELLA LINGUA ITALIANA”. Così pone la questione del sessismo linguistico all’attenzione pubblica e
mira a prendere coscienza di quanto la storia, la tradizione, i giudizi possano cristallizzarsi nella lingua e
prendere un potere discriminatorio.

Secondo la Sabatini la lingua deve poter recepire i cambiamenti necessari per esprimere le trasformazioni
della società. Inoltre, critica l’uso del maschile non marcato o generico o neutro… “uomo” andrebbe
sempre sostituito con “persona”, “individuo”.

Suggerisce, tra l’altro di utilizzare il femminile nei titoli e nelle professioni riferite alle donne e accordare
con il genere gli aggettivi riferiti a nomi femminili.

La Sabatini sostiene che la costruzione simbolica generata nella lingua non sia neutra: il genere maschile
evoca l’immagine di un uomo, il genere femminile l’immagine di una donna. L’uso del maschile quando è
una donna a ricoprire un ruolo o a svolgere una professione disconosce l’identità di genere e nega quella
femminile.

Ci sono state diverse visioni sul rapporto pensiero-linguaggio, che hanno portato alla prospettiva
dell’embodied cognition.

MODULARISMO
Ha accolto la visione chomskiana. Concepisce i processi mentali come dei MODULI distinti, separati (il
pensiero per Cartesio) con una organizzazione isomorfica alla struttura neurologica del cervello. (sappiamo
già che non esiste questa corrispondenza tra una sola area-processo cognitivo, ma
c’è una interazione tra più aree).

La mente risulta dunque strutturata in sistemi di input che processano in modo


meccanico le informazioni sensoriali registrate dai trasduttori e inviano le
rappresentazioni di tali input ai sistemi centrali, i quali li utilizzano per svolgere
funzioni cognitive superiori.

Secondo questa prospettiva la mente è ridotta ad un computer.

Entro tale prospettiva, le funzioni del pensiero e del linguaggio prendono forma in moduli distinti, separati,
indipendenti dal punto di vista evolutivo e nell’esecuzione delle attività che presiedono: a ciascun modulo
corrispondono precise connessioni neuronali.

Questa visione è stata superata dal

CONNESSIONISMO
Nega l’esistenza di una corrispondenza tra un modulo cognitivo e una precisa struttura neurale ad esso
corrispondente.

Una funzione cognitiva richiede l’attivazione a rete di diverse aree neurali (questo lo sappiamo anche grazie
agli studi delle tecniche di neuro imaging).

Le stesse aree neurologiche intervengono in molteplici funzioni cognitive


partecipando alle funzioni con diversi livelli di attivazione. La mente, quindi,
non si struttura in moduli disconnessi tra loro che si attivano in modo
sequenziale o parallelo (come credeva il Modularismo). Essa si configura in
reti di connessione con differenti gradi di attivazione in base alla funzione
cognitiva da svolgere.

Grazie alla PLASTICITÀ NEURONALE, tali reti di connessione si modificano nel tempo adattandosi
all’esperienza e all’apprendimento accumulati da ciascun individuo. Il cervello si costituisce continuamente,
i neuroni si combinano dando vita alle sinapsi sulla base di ciò che viviamo, che conosciamo. Ciascuno di noi
ha un cervello diverso.

Entrambi i paradigmi sono tuttavia profondamente radicati in una visione interna del processo del pensiero.
Okay, sicuramente il connessionismo ha fatto grossi passi avanti, ma non proietta il processo del pensiero
verso l’esterno, non ricuce la separazione divulgata dalla visione cartesiana. Questo sarà possibile solo con

L’EMBODIED COGNITION
Il pensiero viene considerato come qualcosa che facciamo, piuttosto che qualcosa che semplicemente
accade dentro di noi. Il pensiero è collegato con quanto arriva dal corpo, con le azioni e viceversa.

Le attività cognitive umane consistono principalmente in interazioni corporee tra esseri umani e tra questi e
l’ambiente in cui vivono (questo permette la plasticità sinaptica).

È proprio grazie a questo tipo di interazioni che gli esseri umani si sono biologicamente evoluti e sempre
grazie a esse ciascun essere umano dalla nascita in poi cresce cognitivamente sviluppando le sue risorse
neurali.

Nella prospettiva dell’embodied cognition, il corpo non è separato dalla mente, bensì la mente è RADICATA
nel corpo: le facoltà mentali sono inseparabili dalle dinamiche corporee che ne permeano la struttura.

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