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Discutendo si impara

Didattica generale e speciale


Libera Università di Bolzano
16 pag.

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DISCUTENDO SI IMPARA
Cap. 1: IL CONTRIBUTO DELLA PROSPETTIVA VYGOTSKIANA ALLA PSICOLOGIA
DELL’ISTRUZIONE
Le ragioni di un richiamo teorico
Esaminiamo quale contributo ha portato alla psicologia dell’istruzione interessata a illustrare e valorizzare il
ruolo dell’interazione sociale nei processi di costruzione della conoscenza e di cambiamento cognitivo che si
realizzano a scuola.
Perché richiamarci a Vygotskij e alla scuola storico-culturale nel guardare al ruolo dell’interazione sociale e
delle mediazione culturale nell’acquisizione di conoscenza?
Lo sviluppo non si può nemmeno interpretare al di fuori di una cultura e quindi di diverse possibili
mediazioni affettive, educative e socio-culturali che lo rendono possibile. Lo sviluppo avviene sempre nel
contesto di una cultura e attraverso la comunicazione e lo scambio con gli altri.
Le ricerche sulle modalità della prima interazione madre-bambino nell’influenzare lo sviluppo cognitivo,
l’acquisizione del linguaggio e l’organizzazione delle conoscenze, hanno mostrato come lo sviluppo del
bambino e il funzionamento psicologico del soggetto nella vita quotidiana si vadano costruendo
progressivamente attraverso le forme e i modi di una interazione sociale, che è all’inizio gestita
prevalentemente dall’adulto, attraverso l’offerta di uno SCAFFOLDING, cioè di un’impalcatura di sostegno,
ma che progressivamente viene trasferita e quindi sempre più assunta e condivisa dal bambino.
Lo sviluppo cognitivo è sempre sostenuto e mediato da strumenti culturali, da media, cioè da mezzi di
espressione e di comunicazione attraverso cui si sviluppa il soggetto.

Vygotskij: elementi per la storia di un recupero


Vyg. È ricomparso soltanto quando nel 1956 è stata ripubblicata un’eduzione di Pensiero e linguaggio. La
particolarità di Vyg. è che i suoi contributi teorici ed empirici scompaiono dalla circolazione scientifica per la
caduta in disgrazia della sua teoria nell’era dello stalinismo. Nel 1962 viene pubblicata la traduzione inglese
di Pensiero e linguaggio. La prima edizione italiana è del 1966, a esclusione del fondamentale capitolo a
Pensiero e parola: si tratta dell’unico capitolo originale del libro.
È particolarmente grave che la censura sia ancora continuata anche nell’edizione del 1982. L’edizione
inglese di Pensiero e linguaggio del 1962 presenta grosse semplificazioni dei passi filosofici, vistosi tagli e
riassunti anche di tipo ideologico (per esempio l’eliminazione di ogni riferimento al marxismo), così come
scompaiono molti riferimenti filosofico-letterari.

Linguaggio e mediazione semiotica in Vyg.


Un ruolo cruciale è svolto dal linguaggio e dalla mediazione semiotica. La mediazione semiotica dell’attività
pratica, che avviene essenzialmente attraverso il linguaggio (speech), trasforma l’uomo perché l’uomo
diventa consapevole e pianifica le sue azioni servendosi di mezzi di produzione trasmessi e creati
socialmente.
La comprensione reciproca avviene attraverso le parole, anche se gli adulti ne intendono il significato
all’interno di un articolato sistema concettuale e lessicale, mentre i bambini intendono il più concreto
referente o comunque un tipo di concetto complesso caratterizzato da un insieme di aspetti comuni, diversi
perciò dai concetti degli adulti per il tipo di operazioni intellettive implicate.
Va innanzitutto considerata l’evoluzione del linguaggio infantile, a partire dalle prime forme di
simbolizzazione. Separare i significati delle parole dalle cose è un compito assai difficile per il bambino e
passa attraverso la forma transizionale del gioco in cui c’è un oggetto (perno) che funziona al posto di un
altro e che, pur non essendo separato da azioni reali con oggetti reali, gli consente di cominciare a separare il
significato dall’oggetto. Solo successivamente questa attività assume le forme proprie dell’immaginazione e
si sviluppa nelle forme più evolute del gioco di finzione.
Successivamente l’evoluzione interna del linguaggio ha luogo attraverso un passaggio dal linguaggio sociale
a quello interno attraverso il linguaggio privato.

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Linguaggio privato = in quanto è una manifestazione esterna di ciò che i bambini fanno per dirigere la loro
attività e per annunciare i loro piani e intenzioni.
La funzione di questo linguaggio privato, che però si usa in un contesto sociale, è quella di guidare l’azione
del soggetto.
Il linguaggio privato rappresenta una fase di transizione verso un livello di funzionamento intrapsicologico
che è tipico del linguaggio interiore che può essere anche considerato come pensiero verbalizzato.
In ogni caso, qualunque sia l’estremo del continuum linguistico che si prende in considerazione, è sempre in
gioco il nesso tra pensiero e linguaggio, la cui unità componente essenziale è data dal significato della
parola, che è allo stesso tempo un fenomeno verbale e intellettivo, il luogo dove avviene l’incontro tra
pensiero e linguaggio.
Nel linguaggio interno c’è una predominanza del senso (che è fluttuante e dinamico) della parola sul suo
significato, ma quest’ultimo rimane la zona più stabile, più unificata e più precisa.
Vyg si interroga soprattutto sul linguaggio interno, sul lento passaggio dal linguaggio sociale al pensiero
verbale, che è mediato dal linguaggio privato e che conduce al linguaggio interno.
Egli si riferisce, in termini più generali, ai sistemi di segni, in quanto strumenti psicologici essenziali alla
creazione della coscienza e dell’umanità, in analogia con gli strumenti della tecnica che trasformano la
natura attraverso il lavoro dell’uomo.

Dal sociale all’individuale: interiorizzazione e zona di sviluppo prossimo


Il principio generale che egli formula come legge genetica generale dello sviluppo è che ogni funzione
psichica superiore appare due volte nello sviluppo culturale del bambino: prima sul piano sociale, poi su
quello psicologico, cioè in primo luogo come una categoria di funzionamento interpsicologico che poi
diventa intrapsicologico. Quindi ciò che è divenuto mentale e interno è preceduto da una fase esterna sociale:
pertanto le relazioni sociali tra le persone sono geneticamente prioritarie per tutte le funzioni superiori. Per
Vyg i due costrutti fondamentali che possono spiegare il modo in cui avviene il passaggio dall’individuale al
sociale sono: il meccanismo dell’interiorizzazione e la presenza di una zona di sviluppo prossimo.
Il meccanismo essenziale che è sollecitato dall’interazione sociale è quello dell’interiorizzazione delle
funzioni cognitive che sono prima attivate all’esterno da e verso gli altri, e successivamente operano anche
verso se stessi.
Ma la differenza con Piaget sta nel modo diverso di concepire la direzione dello sviluppo: per Piaget si va
dall’individuale al sociale, quindi dalle operazioni alle co-operazioni; mentre per Vyg sono le relazioni
sociali che sono primarie e che poi si trasformano in funzioni psichiche.
La priorità dei processi sociali su quelli individuali si manifesta nel ruolo della zona di sviluppo prossimo,
definita come quell’area di funzionamento psicologico che è possibile al soggetto se è sostenuti dall’aiuto di
un altro, e quindi da una forma di interazione e di regolazione, che sostiene e attiva quelle funzioni che non
operano ancora da sole, ma che hanno bisogno del supporto esterno.
Ci sono due usi di questa nozione che ci interessa rilevare. Un primo uso si riferisce a un modo diverso di
considerare i risultati del testing, distinguendo tra ciò che il soggetto può fare da solo nel suo funzionamento
indipendente (il suo livello attuale di sviluppo) e ciò che può fare quando riceve un qualche aiuto (il suo
livello di sviluppo potenziale, prossimale o prossimo) che può essere molto diverso.
Una misurazione orientata a verificare di quanto e quale aiuto ha bisogno un soggetto per risolvere un certo
compito o problema, ci indica il suo potenziale di sviluppo.
Il secondo uso è particolarmente rilevante per l’istruzione. Dato che il bambino può operare al di là del suo
livello attuale quando interagisce con adulti, ma anche con i compagni, l’istruzione può operare attivamente
nella zona prossima e nello stesso tempo può creare una nuova zona, in quanto anche il livello potenziale
può essere espanso dall’intervento dell’istruzione.

Gli sviluppi successivi della teoria vyg: la teoria dell’attività di Leont’ev


L’interazione sociale caratterizza l’attività congiunta dei soggetti (adulto-bambino, insegnante-allievo, allievi
tra loro) nella zona di sviluppo prossimo.

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La nozione di attività e la correlata teoria dell’attività, proposte da Leont’ev: si tratta di un’unità molare, non
additiva, della vita del soggetto corporeo materiale; è l’unità della vita mediata dalla riflessione mentale, la
cui funzione reale consiste nell’orientare il soggetto nel mondo oggettivo.
L’attività non è una reazione, né un insieme di reazione, ma un sistema che ha una sua struttura, i suoi
passaggi, le sue trasformazioni interne e un suo sviluppo.
Un’attività è caratterizzata da u motivo che ne costituisce l’oggetto: esempi molto differenziati di attività
sono il gioco, l’istruzione formale, il lavoro, la caccia nelle società di cacciatori.
L’aspetto interessante della proposta di Leont’ev e della sua scuola è che, oltre all’attività, vengono
considerati anche altri livelli di analisi Quello delle azioni, in cui consiste e si compone l’attività: le azioni
sono processi subordinati a uno scopo consapevole. A sua volta ogni azione ha un suo aspetto operativo che
è dato dalle condizioni operative di raggiungimento del suo scopo. I modi di realizzazione dell’azione sono
le operazioni, che sono associate alle condizioni concrete in cui è condotta un’azione. Le azioni si realizzano
attraverso strumenti che si presentano poi come cristallizzazioni di operazioni. Tali sono gli utensili associati
a certe azioni pratiche (ad es. il martello). In ogni caso operazioni e strumenti possono essere utilizzati per
svariati scopi e quindi anche per diverse azioni.
Il livello di analisi dell’attività determina il significato funzionale delle azioni: ad es., l’azione di camminare
per raggiungere un posto ha una diversa funzione nel quadro dell’attività dell’esercizio fisico salutare.
Invece il livello di analisi dell’azione diretta a uno scopo specifica la relazione mezzi-fini e consente di
identificare una possibile unità di analisi per la coscienza. L’azione è il punto di incontro tra il piano del
funzionamento interpsicologico e quello intrapsicologico.
All’interno di un contesto educativo, un’azione si articola per lo più in sub-azioni. Ad es. si tratta dell’azione
di interpretare una storia, le cui sub azioni sono le fasi necessarie a costruire l’azione dell’interpretare. La
prospettiva qui presentata consente di assumere che l’azione, con le sue sub azioni, rappresenta perciò il
punto di incontro tra chi sa e chi non sa ancora fare da solo.
Le ricerche di Wertsch individuano le differenze tra genitori e insegnanti: i genitori guidano molto più
direttamente il bambino verso l’azione corretta, mentre gli insegnanti usano una guida assai più diretta. I
genitori sono più preoccupate dalla buona riuscita del prodotto finale, mentre gli insegnanti sono orientati a
dare più autonomia al bambino in modo che impari progressivamente a fare da sé.
Differenze analoghe si possono ritrovare nel modo in cui una stessa azione didattica è condotta da diversi
insegnanti, in corrispondenza dei modi in cui si rappresenta l’apprendimento. È pertanto evidente che la
stessa azione può essere condotta attraverso operazioni discorsive che possono essere molto diverse.

Cap. 2: LA PROSPETTIVA PEDAGOGICA NELLO STUDIO DEI PROCESSI SOCIALI A


SCUOLA
Gli sviluppi recenti della teorizzazione psicopedagogica contribuiscono a una nuova prospettiva con cui si
focalizzano i processi interattivi che svolgono un ruolo nello sviluppo cognitivo oltre che sociale.
Dewey: educazione alla democrazia e attività sociali
Il ruolo della comunicazione e della trasmissione sociale in una società democratica riveste una posizione
centrale nella riflessione di Dewey.
L’ambiente consiste nell’insieme degli aspetti che condizionano la realizzazione dell’attività caratteristica di
un essere umano. I giovani devono apprendere a rapportarsi con gli altri, a rispettare i diritti e le opinioni
altrui, a lavorare insieme per la soluzione di problemi e per progetti comuni, in breve devono fare
l’esperienza dei processi di cooperazione a scuola.
La dimensione sociale svolge una duplice funzione:
• La prima si riferisce al fatto che l’individuo di sviluppa in una società partecipando a esperienze
condivise come attività e come media, primo fra i quali il linguaggio;
• La seconda riguarda il ruolo dell’educazione in un ambiente speciale che è la scuola in cui i modi di
realizzazione sono a fondamento degli scopi che la società persegue.

Piaget: dalla cooperazione all’azione

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L’urto dei nostri pensieri con quelli degli altri che producono in noi il dubbio e il bisogno di dimostrare c’è
bisogno sociale di partecipare il pensiero agli altri, di comunicarlo e di convincere.
Piaget assegna un ruolo privilegiato agli scambi fra bambini rispetto a quelli fra adulto e bambino.
La cooperazione conduce all’autonomia e alla logica formale nello stesso tempo.
Una questione fondamentale riguarda il cosiddetto linguaggio egocentrico a proposito del quale Piaget
aggiunge un capitolo con cui cerca di spiegare le notevoli differenze che si trovano tra bambini diversi nella
misura del linguaggio egocentrico.
Piaget cambia completamente il quadro di riferimento: non è più lo scambio sociale che è il fattore
determinante, ma piuttosto la coordinazione graduale con le azioni.
L’egocentrismo intellettuale è a un certo momento superato dalla coordinazione delle azioni che rendono
così possibile la cooperazione interindividuale.
Piaget considera insufficiente descrivere la logica del bambino attraverso il pensiero verbale e il linguaggio
e propone il metodo critico che si basa sull’analisi delle azioni e delle operazioni.
A questo punto dell’itinerario di Piaget, né il discorso né lo scambio sociale sono più considerati come fattori
importanti nello sviluppo delle operazioni del pensiero dipendendo le coordinazioni dall’azione e non più dal
linguaggio né dalla trasmissione sociale. Per di più le azioni sono nello stesso tempo collettive e individuali;
si tratta di due aspetti indissociabili della stessa realtà, quelli delle operazioni e della cooperazione.

Il lavoro per gruppi di Cousinet


Roger Cousinet sviluppa il suo metodo di lavoro livero per gruppi (1949) che attribuisce un ruolo centrale
alle relazioni sociali fra i bambini come mezzo per l’educazione e l’istruzione.
Il maestro non ha più il compito di stabilire la sua autorità, di esporre lezioni, di interrogare, di mirare a
risultati fissati da un programma. Si tratta non più di insegnare, ma di preparare un ambiente vivente, come
uno scienziato prepara nel laboratorio la soluzione in cui un organismo potrà vivere e crescere.
L’elemento infatti che aiuta il bambino a passare dall’azione al pensiero è la presa di coscienza degli altri
bambini attraverso il linguaggio e della sua funzione sociale, cioè come comunicazione fra pensieri
individuali.

La cooperazione nella pratica educativa


Il metodo pedagogico è quello di far partecipare attivamente i bambini al lavoro scolare attraverso una
valorizzazione del lavoro di gruppo.
Conseguentemente i gruppi sono utilizzati soprattutto per la motivazione essenzialmente sociale che li
sostiene e per la validità dei loro prodotti che possono in ogni caso avere un feedback positivo sul
coinvolgimento degli alunni nel lavoro scolare.
• Sposta per conseguenza l’accento sui processi più che sui prodotti.
Per studiare le interazioni sociali a scuola si devono prima di tutto introdurre delle innovazioni sostanziali
che diano luogo sia a occasioni di scambi fra bambini, sia a modalità diverse di interazione fra insegnanti e
alunni.

Gli studi sul cooperative learning


All’interno di questo approccio l’orientamento al prodotto rimane dominante e tuttavia pone attenzione ad
aspetti diversi quali il rendimento scolare individuale, le relazioni interetniche nelle società multietniche, gli
atteggiamenti sociale e i comportamenti interpersonali dei bambini.
Il sistema STAD di Slavin ad esempio prevede che gli studenti studino il materiale scolastico in gruppo dopo
la spiegazione dell’insegnante e siano esaminati individualmente. Il gruppo rally di Huber prevede invece
che i gruppi siano valutati in base ai risultati di ciascun membro del gruppo.
Qui viene valutato non tanto il prodotto del gruppo come nell’approccio pedagogico prima descritto, quanto
il rendimento del gruppo come somma del rendimento di ciascun individui che lo compone.

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Pertanto Slavin difende la necessità di fornire una motivazione esterna affinché tutti siano interessati
all’apprendimento degli altri: ad es. egli propone che il gruppo sia valutato sulla base del risultato dei
risultati individuali dei singoli membri.

Discussione in classe e processi di conoscenza: una linea di ricerca


La situazione di collettività che è sperimentata dagli alunni nella scuola in una società industriale viene qui
considerata alla luce dell’influenza che ciò può avere sui processi di apprendimento e non come un accidente
negativo dovuto all’impossibilità di realizzare un rapporto diadico di tipo tutoriale con l’adulto. Per di più,
proprio il fatto di poter stare insieme offre possibilità cognitive che non si realizzano, come già avvertiva il
primo Piaget, nell’interazione diadica con l’adulto.
Una modifica delle situazioni didattiche, nel senso di proporre specifiche attività curricolari e precise
modalità di conduzione (che costituiscono anche i vincoli organizzativi), e prendendo in carico gli aspetti
della professione insegnante che ne sono coinvolti.

Le interazioni sociali nella discussione in classe


Essendo la maggior parte del lavoro scolastico occupato da discorsi ed essendo il più importante obiettivo
esplicito quello di trasmettere conoscenza alle nuove generazioni, il nostro primo interesse in questo campo
di ricerca è stato quello di studiare se e come la comunicazione era collegata alla possibile attività cognitiva
del bambino, distinguendo, nel discorso reciproco, fra la fonte dell’informazione e il livello cognitivo della
loro interazione.
Altri ricercatori: durante le lezioni degli insegnanti vi erano pochissimi scambi. Un risultato generale dei dati
raccolti in differenti contesti era che gli insegnanti parlano in classe per il 70% del tempo.
Una sequenza tripartita: sollecitazione dell’insegnante (domande), le risposte dello studente e la valutazione
o il commento dell’insegnante che è ripetuta come un ciclo e ritorna sempre all’iniziativa dell’insegnante.
Abbiamo lasciato l’osservazione dei contesti naturali della scuola: abbiamo indirizzato il nostro interesse
nello studiare ciò che accadeva quando si creava una diversa situazione comunicativa e nel verificare se
nuovi tipi di scambi sociali nella classe potrebbero evidenziare che si avviava un processo diverso di
apprendimento nei bambini.
La situazione di insegnamento è stata organizzata in modo da coinvolgere gli alunni direttamente in ogni fase
del lavoro (esperienza diretta ed esperimento, discussione in piccolo gruppo, discussione collettiva guidata
dall’insegnante) e lasciando loro esplicitare sia le loro previsioni sia la loro conoscenza quotidiana
relativamente ai temi proposti e alla modifica delle loro teorie durante lo scambio socio-cognitivo con gli
altri (compagni e insegnante).
Siamo riusciti a scoprire come i bambini potrebbero avere un accesso più facile alle loro rappresentazioni
nella situazione sociale offerta dalla scuola, non soltanto esperimento le loro idee agli altri, ma anche
difendendole e spiegandole mediante gli usi dell’argomentazione e adoperando un largo spettro di mezzi
argomentativi.

Considerazioni conclusive
L’interazione fra pari è un ruolo dichiaratamente educativo. La riflessione sulla dimensione sociale a scuola
ha consentito di individuare ed esplicitare la pluralità degli aspetti presenti in essa e a cui è necessario
prestare una specifica attenzione per un intervento educativo più consapevole.

Cap. 3: INTERAZIONE SOCIALE E COSTRUZIONE DELLA CONOSCENZA: PARADIGMI A


CONFRONTO E PROSPETTIVE DI RICERCA
Interazione sociale e conoscenza
Innanzitutto è necessario rendersi conto che su questo tema si incontrano e si scontrano prospettive teoriche
abbastanza lontane e diverse che è necessario distinguere.
Possiamo distinguere tra:
• Quelle che guardano prevalentemente al prodotto;

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• Quelle che sono invece più interessate al processo, cioè a ciò che ha avuto luogo nell’interazione, ai
modi reali e dinamici in cui l’interazione si è effettivamente svolta, andando a cercare, in tale
svolgimento, costanti e variabili, rispetto a un ideale di riuscita dell’interazione, che si può collocare
sia sul piano comunicativo sia su quello cognitivo.
Il nostro interesse è rivolto a questo secondo tipo di impostazione.
In secondo luogo è necessario tener conto anche di una seconda distinzione, relativa ai tipi essenziali di
interazione che ci interessano dal punto di vista dell’acquisizione di conoscenza, indipendentemente dal fatto
che questa si realizza in un contesto scolastico o in una istituzione educativa. Si tratta della distinzione tra
contesti di interazione tra pari e contesti di interazione adulto-bambino.
Infine, è indispensabile distinguere con chiarezza tra i diversi quadri teorici e quindi tra i possibili
meccanismi con cui si spiega il cambiamento. I principali meccanismi sono:
• Meccanismi di imitazione da parte di chi sa meno e/o di modellamento da parte del più esperto (in
genere l’adulto), che sono chiamati in causa dalla teoria dell’apprendimento sociale.
• Meccanismi di conflitto cognitivo, innescato dalla scoperta, nello scambio sociale simmetrico, di una
prospettiva diversa dalla propria che produce squilibrio.
• Meccanismi di interiorizzazione di una regolazione che è in primo luogo esterna e presenta
all’interno di una relazione sociale.
Le impostazioni piagetiane si sono occupate prevalentemente di interazione tra pari, mentre quelle di Vyg
hanno dedicato più attenzione all’interazione tra bambino e adulto. Rientra tra queste ultime l’interazione
caratterizzata da un insegnamento tutoriale tra pari (peer tutoring) quando un compagno più esperto insegna
a un altro meno esperto in una forma di tipo tutoriale, cioè di guida e sostegno verso la soluzione del
problema o verso l’esecuzione dell’attività.
A noi interessa capire quali processi hanno luogo nell’interazione che ha luogo all’interno di contesti sociali
e naturali in cui è richiesta la partecipazione di tutti, e in che modo i processi di condivisione e di
negoziazione dei significati e delle soluzioni sono significativi rispetto agli obiettivi della trasmissione
culturale e della costruzione della conoscenza.

L’interazione adulto-bambino nel quadro della teoria dell’attività


Questi studi muovono dalla constatazione che tra due soggetti, in particolare tra adulto e bambino, la
situazione in cui si trovano è rappresentata e definita in modo diverso. L’interazione adulto-bambino,
finalizzata all’acquisizione di conoscenza, può portare a una ridefinizione della situazione da parte dei due
soggetti partecipanti attraverso una progressiva condivisione del compito e la costruzione di una sempre
crescente intersoggettività. Si assiste così a una sempre maggiore partecipazione di colui che apprende fino
alla completa interiorizzazione delle operazioni, delle procedure, delle conoscenze.
Nelle prima realizzazione del compito previsto, l’adulto (genitore o insegnante) offre al bambino una
regolazione esterna, iniziando o completando l’azione, dicendo o indicando quello che bisogna fare,
sostenendo l’azione con incoraggiamenti e conferme scaffolding. Man mano che il bambino si impadronisce
del compito, l’adulto diminuisce l’entità della regolazione mantenendosi sempre sul confine in continua
espansione della competenza del bambino.
Sono state così studiate forme diversi di scaffolding, cioè dell’offerta di sostegno al bambino (sempre
singolo) da parte dell’adulto. Reclutare il bambino al compito, mantenere la direzione dell’attività verso il
problema da risolvere, semplificare le componenti del compito, sottolineare gli aspetti cruciali, mostrare le
soluzioni, ridurre i gradi di libertà.
L’adulto controlla inizialmente quegli elementi del compito che sono al di là delle capacità del bambino.
Tutor: passa dal fare l’azione per il bambino al dirigerla direttamente fino poi a suggerirla solo in modo
indiretto, man mano che i bambini colgono il significato funzionale delle azioni compiute.
Confronti tra il comportamento delle madri e quello delle insegnanti: l’adulto opera nella zona di sviluppo
prossimo del bambino e persegue una stessa azione mediata da uno scopo, che è quella di far eseguire una
tessitura al bambino. La differenza sta nelle operazioni, che dipendono dalla concezione generale
dell’attività: infatti le madri che aspirano a realizzare un buon prodotto finito lasciano meno libertà al

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bambino perché non vogliono che produca un errore. Le insegnanti invece ammettono che il bambino possa
sbagliare perché sono orientate all’apprendimento e all’acquisizione di autonomia operativa,
indipendentemente dal risultato materiale.

Impostazioni piagetiane: il meccanismo del conflitto socio-cognitivo


L’interazione sociale è vista prevalentemente come uno strumento per accelerare lo sviluppo delle strutture
dell’intelligenza. Il meccanismo esplicativo dei cambiamenti nelle strutture cognitive che si verificano nei
soggetti è dato dal conflitto socio-cognitivo.
Il conflitto socio-cognitivo è prodotto da conflitti interindividuali. L’insieme delle ricerche ha mostrato che
un soggetto può trarre vantaggio dall’interazione anche quando si confronta con un compagno che non è a un
livello superiore del suo, purché questi abbia una centrazione diversa.

Piaget e Vyg: dove si contrappongono i paradigmi


I due principali modelli teorici di riferimento sono sicuramente quello piagetiano e quello vygotskiano.
Differenze ben definite tra le due prospettive teoriche:
1. Pur considerando ambedue come centrale il ruolo dell’interazione individuo-ambiente, per Piaget
questo è soprattutto definito come naturale/artificiale. Per Vyg invece è assai più importante
l’ambiente sociale in tutto il suo spessore storico-culturale.
2. Per Piaget il conflitto cognitivo (o socio-cognitivo) è il meccanismo che spiega il cambiamento,
mentre in una prospettiva di Vyg è piuttosto l’incontro e l’aiuto reciproco tra le menti, quello che
Bruner ha chiamato il sistema di supporto sociale, che viene messo in atto attraverso la
negoziazione.
3. Piaget dà maggiore importanza all’interazione tra pari rispetto a Vyg che privilegia la situazione
asimmetrica con un adulto o con un pari più competente.
4. In ambedue le teorie si parla di interiorizzazione, ma nel caso di Piaget si tratta dell’azione che viene
interiorizzata e che dà così luogo all’operazione (e si tratta per lo più di un’azione individuale su
oggetto); mentre nel caso di Vyg si interiorizza qualcosa che è prima stato realizzato nella forma di
una relazione.
5. Le ricerche piagetiane hanno sempre insistito sul fatto che un reale cambiamento cognitivo
qualitativo, di tipo stadiale è possibile attraverso l’interazione solo se il soggetto si trova in una fase
vicina allo squilibrio. Analogamente Vyg parla di zona di sviluppo prossimo: ma questa può essere
diversa anche per soggetti allo steso livello di sviluppo, ed è pertanto una nozione assai più elastica,
anche perché può essere anche creata dall’intervento educativo.
6. Per Vyg la consapevolezza è il risultato dell’abilità linguistica dell’adulto e del processo sistematico
di insegnamento-apprendimento che permette una riorganizzazione consapevole dei concetto
spontanei. Per Piaget invece la presa di coscienza dipende dallo sviluppo della struttura operatoria e
non è significativamente influenzata né dal linguaggio né dall’istruzione.
7. Differenza nel meccanismo esplicativo generale: per Piaget si tratta sempre di un meccanismo
intrapsicologico (di decentramento e di coordinazione tra diversi punti di vista). In Vyg esso è invece
interpsicologico. Ciò che si produce nel sociale non è solo un meccanismo scatenante ma è oggetto
di per sé di particolare attenzione perché corrisponde a ciò che sarà poi rappresentato interiormente,
quando si sarà in grado di condurre una conversazione con l’altro generalizzato e quindi di pensare.
La più importante differenza sta quindi nel modello generale. Per Piaget lo sviluppo va da una prospettiva
individuale egocentrica verso una prospettiva più socializzata (dalle operazioni alle co operazioni); mentre
per Vyg lo sviluppo va dall’interazione sociale, all’inizio molto sostenta dagli altri più competenti, verso un
pensiero individuale che si manifesta prima come linguaggio privato e infine come pensiero verbale.
Il linguaggio per Piaget è sempre secondario e relegato al periodo pre logico; per Vyg linguaggio e
trasmissione culturale hanno un posto del tutto centrale nel processo di sviluppo.
Sulla base della teoria di Vyg il pensiero e il ragionamento individuale si costruiscono attraverso pratiche
sociali di discorsi: i processi interattivi che sono condotti pubblicamente nello scambio con altri individui

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sono la base per qualsiasi competenza che possa venire interiorizzata e riattivati in altri contesti di discorsi e
ragionamento. È in questo quadro che noi collochiamo la nostra prospettiva di ricerca.

L’analisi dell’interazione verbale in classe: dagli studi processo-prodotto alla prospettiva


sociolinguistica
Il discorso in classe e il linguaggio che lo caratterizza possono essere considerati il punto di incontro tra
processi comunicativi e sociali da un lato e aspetti cognitivi dall’altro.
Una prima direzione “processo-prodotto” ha cercato di cogliere la relazione tra insegnamento e
apprendimento nel senso di stabilire una relazione tra il tipo di comunicazione dell’insegnante e il
rendimento degli allievi.
È stato mostrato infatti che in media gli insegnanti parlano per il 70% del tempo.
• La funzione del rispecchiamento o della riformulazione da parte dell’insegnante rispetto ad atti
linguistici oscuri, ambigui e incompleti prodotti dai bambini più svantaggiati sul piano
comunicativo. L’effetto positivo che tali riformulazioni o rispecchiamenti selettivi hanno nel favorire
la partecipazione è nel rendere più chiaro e più utilizzabile l’intervento successivo.
La seconda direzione di ricerca è quella che si occupa del linguaggio che viene utilizzato in classe. Si tratta
di una direzione più interessata alla descrizione e alla definizione di ciò che gli insegnanti e gli allievi dicono
effettivamente in classe, in un contesto che è definito dall’interazione tra loro e dalle regole implicite che la
governano. Si utilizzano pertanto degli approcci di tipo sociolinguistico.
Un punto di riferimento essenziale, in questo ambito, è la struttura essenziale del discorso in classe nella
tripletta domanda dell’insegnante-risposta dell’allievo-commento dell’insegnante.

L’analisi del discorso in classe e il contributo degli studi sulla conversazione


Edwards (1990) mostra come non sia corretto assumere, con una presunzione di oggettività e di trasparenza,
le espressioni linguistiche dei bambini come indicatori del loro pensiero, come se essi disponessero di
conoscenze e di spiegazioni già pronte che aspetterebbero solo l’opportunità sociale per essere prodotte.
Piuttosto si tratta di pezzi di discorso, in cui i concetti sono esposti e potremmo dire messi in scena nel
discorso. E se si guarda meglio alla storia di una interazione si scopre che i bambini stanno piuttosto
cimentandosi in un esercizio di ricordo orchestrato dall’insegnante o stanno rispondendo a quelli che
suppongono essere i suoi desideri.

Interazione e conversazione come sede per la condivisione dei significati


Affinché il bambino, o comunque colui che non sa, possa avere accesso alla conoscenza significativa, e
possa acquisire i complessi sistemi simbolici e disciplinari che organizzano l’attività congiunta della gente in
ogni cultura, è inevitabile dare spazio ai modi in cui si costruisce una conoscenza socialmente condivisa.
Alcuni di questi modi sono sicuramente quelli propri dell’educazione formalizzata, ma essi sono preceduti e
accompagnati dalle modalità che hanno luogo nei contesti interattivi non formalizzati.
Oltre alle regole locali di tipo generale, esistono delle regole specifiche che sono proprie di un contesto di
apprendimento dove e comunque presente o un adulto o un compito da lui proposto. Ciò si traduce
nell’azione di una conoscenza-consapevolezza di carattere socioculturale che determina il FRAME
dell’azione discorsiva, rispetto a cui i parlanti sanno distinguere il gioco, la disputa, la finzione, la lezione e
via dicendo.
Le specificità dei discorsi sono determinate dai contesti e dall’insieme delle condizioni al contorno in cui si
svolgono e danno luogo di conseguenza a diverse pratiche sociali di tipo discorsivo.

PROCESSI INTERATTIVI E RUOLO DELL’ADULTO: MODALITA’ DI ANALISI E DI


INTERVENTO
Cap. 4: DISCUTERE, ARGOMENTARE E PENSARE A SCUOLA. L’ADULTO COME
REGOLATORE DELL’APPRENDIMENTO
Dalla suddivisione alla condivisione della conoscenza

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Vi è la necessità di mettere a punto degli strumenti più accurati di descrizione e di interpretazione di ciò che
avviene di fatto nell’interazione sociale finalizzata alla conoscenza e all’apprendimento. Il rivolgersi alla
descrizione del processo, piuttosto che pretendere di offrire subito una spiegazione dei risultati prodotti dal
confronto sperimentale tra trattamenti, si associa a orientamenti teorici che guardano al processo sociale
congiunto, che si crea nell’interazione e che viene variamente denominato: intersoggettività, significato
socialmente condiviso, comprensione comune, conoscenza reciproca.
Cole distingue all’interno degli studi sull’interazione due possibili modi di intendere il termine inglese
SHARING: sharing può intendere sia come dividere, suddividere sia come condividere, mettere in comune.
Nel caso di dividere: ci si rappresenta una situazione sociale che permette di dividere tra partecipanti il
carico cognitivo del compito da affrontare.
Nel caso di condividere: l’oggetto dell’analisi è dato dai modi in cui si viene costruendo e modificando il
contenuto, la conoscenza, il pensare condiviso.
Tutte le azioni umane, inclusi gli atti di pensiero, richiedono la mediazione di oggetti simbolici che sono
costruiti culturalmente, determinati storicamente attraverso un lungo processo evolutivo e prodotti
socialmente nella loro essenza e contenuto.

La definizione del contesto della discussione: situazioni naturali e quasi sperimentali


Mentre nelle interazioni spontanee tra pari che si verificano anche a scuola i bambini discutono su fatti e
opinioni, negli scambi verbali guidati dall’adulto, non si prevedono in generale momenti di reale discussione
(e quindi anche di possibile conflitto) in cui sia in questione un problema conoscitivo. La caratteristica
peculiare delle interazioni verbali a scuola dovrebbe essere costituita dal riferirsi a un oggetto di conoscenza
e dal porsi come scopo essenziale quello di costruire modalità di discorso e di analisi sempre più adeguate
alle specificità degli oggetti del conoscere.
Per converso, la struttura usuale delle conversazioni in classe (domanda, risposta, valutazione) risponde
soprattutto allo scopo di valutare l’allievo verificando le conoscenze che egli possiede; quindi tipo di
interazione verbale non è fatta per favorire la costruzione di nuove conoscenze, né tanto meno la
contrapposizione dei punti di vista.
Il nostro interesse di ricerca è invece rivolto da alcuni anni verso la discussione in classe. Comporta processi
linguistici e socio cognitivi particolarmente rilevanti ai fini dell’acquisizione di nuove strategie e conoscenze
più complesse. In ogni caso la discussione di piccolo e grande gruppo è il modello ideale di una interazione
a scopi cognitivi che si può realizzare anche attraverso forme meno elaborate e non predisposte ad hoc.
La discussione:
• Un’esperienza comune: non comporta un’unica lettura o soluzione;
• Un discorso che rielabora l’esperienza compiuta e che si struttura come situazione di problem
solving collettivo;
• Un cambiamento delle usuali regole di partecipazione al discorso scolastico: le usuali domande
dell’insegnante sono in parte sostituite da riprese o rispecchiamenti degli interventi degli allievi.

Il problema metodologico dell’analisi della discussione: sviluppo e pertinenza: le sequenze forti


Si è operato innanzitutto una distinzione tra due essenziali dimensioni, relative allo SVILUPPO e alla
PERTINENZA. Ambedue essenziali dimensioni si legano all’esigenza di considerare la discussione come un
ragionamento esteriorizzato di tipo collettivo, nel quale la conoscenza si costruisce attraverso la
concatenazione degli argomenti, attraverso un pensiero collettivo che passa dall’uno all’altro.
Intendiamo con SVILUPPO la dimensione che si manifesta nel fatto che il filo del ragionamento si mantiene
in modo coerente nel passare dall’uno all’altro interlocutore, facendo collettivamente avanzare e procedere
l’analisi attraverso l’introduzione di nuovi elementi e di nuove prospettive. Il NON SVILUPPO si verifica
quando si ha una situazione di arresto, di blocco del ragionamento collettivo.
La dimensione della PERTINENZA permette invece di distinguere se il progredire o meno del discorso si
colloca all’interno del tema proposto dall’insegnante e condiviso dagli interlocutori o se ci sono deviazioni
più o meno importanti dall’oggetto principale.

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All’interno della dimensione dello sviluppo si sono successivamente individuati degli indicatori positivi e
negativi nella forma di categorie. Le categorie che segnalano un non sviluppo sono: ripetere, confermare,
riferirsi a una esperienza personale. Le categorie di sviluppo sono invece: apportare elementi nuovi, mettere
in relazione, delimitare, opporsi con ragioni, comporre delle relazioni di livello più alto, problematizzare,
ristrutturare.
Particolare attenzione alle cosiddette SEQUENZE FORTI, quelle sequenze della discussione in cui c’è uno
sviluppo pertinente di più alto livello cognitivo.
Abbiamo a questo punto cominciato a considerare le discussioni come dibattiti, come situazioni in cui
l’opposizione è produttiva perché spinge ad articolare il ragionamento. È attraverso la pratica della
discussione che si manifesta e si articola il ragionare.

Pensare insieme nel discorso collettivo: la co-costruzione della conoscenza


È più facile pensare insieme. Il ragionamento su di un argomento specifico, tra quelli proposti, si costruisce
spesso attraverso il contributo di più interlocutori: pensare insieme. Fenomeno come co-costruzione del
ragionamento.
La co-costruzione si manifesta con una notevole varietà di forme conversazionali. È espressa in forma
estrema, nella sentential cooperation, cioè nel fenomeno di cooperazione nel completamento dell’asserzione
che è tipico tra soggetti ad alta familiarità reciproca, in cui è condiviso l’oggetto del discorso perché si sta
pensando alla stessa cosa. Ciascun interlocutore ha bisogno dell’altro per costruire una proposizione
completa.
Un frequente esempio di co-costruzione è quello offerto dalla ripresa più o meno esplicita di un tema
introdotto da un altro interlocutore, allo scopo di apportarvi delle piccole aggiunte, variazioni, elaborazioni,
integrazioni. Si presenta con grande frequenza nelle discussioni di bambini di 5 anni.

Opposizione e giustificazione: la genesi pragmatica dell’argomentazione


La dimensione più caratterizzante della discussione è data dal ruolo dell’opposizione nello spingere avanti il
discorso ragionamento e nel provocare sviluppi e approfondimenti. Ne emerge un nesso assai significativo
tra pensare e argomentare. Ci è risultato sempre più chiaro quando il pensare abbia una dimensione e una
genesi argomentativa.
Il pensare discorsivo: il discorso non viene dopo e non nasce o si forma distintamente dal pensiero. Si può
pertanto dire “pensare-parlare” e pensiero discorsivo per indicare nel carattere discorsivo del pensiero la base
di questa unità psicologicamente organica di pensiero e linguaggio.
La connessione tra pensare e argomentare si manifesta infatti con più evidenza e in forma più esplicita nel
dialogo, nella conversazione, nella discussione, cioè nelle forme sociali di discorso. La forma
dell’argomentare è naturalmente e innanzitutto presente quando c’è il sostegno esterno e sostanziale che al
pensare viene dalla presenza di un altro parlante e pensante.
In particolari contesti i bambini si rendono conto che è richiesta una spiegazione. Un contesto di uesto tipo è
costituito dal rifiuto di una richiesta che, essendo un atto socialmente non preferito è tipicamente seguito da
un’offerta di spiegazioni (esempio: devi metterti la giacca per uscire; perché fa molto freddo ragione; e ti
riviene la tosse conseguenza).
Tuttavia anche nell’interazione tra pari la regola dell’offrire spiegazioni risulta frequentemente rispettata,
probabilmente perché i bambini di 3-4 anni hanno ormai imparato ad aspettarsi che una giustificazione è una
strategia efficace per affrontare e risolvere un conflitto.
La funzione delle giustificazioni sembra essere, in generale, quella di ristabilire nel gruppo o nella coppia
l’ordine sociale che è stato momentaneamente perturbato da atti o asserzioni che sono stati giudicati
dall’interlocutore come violazioni di una norma.
La spiegazione è presente in particolare all’interno del contesto pragmatico della giustificazione, che ha
luogo tipicamente quando si riceve una obiezione o si anticipa una possibile obiezione dell’altro.

Il ruolo dell’argomentazione nel costruirsi della conoscenza

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Na modalità di tipo oppositivo-argomentativo appare particolarmente rilevante in tutti i momenti in cui si
verificano degli sviluppo significativi dell’argomento in discussione.
L’opposizione o la messa in questione da parte di uno degli interlocutori nel discorso provoca un
argomentare più approfondito e produce delle analisi più accurate del problema.
Secondo Toulmin formuliamo un’asserzione quando avanziamo una pretesa che si fonda su alcuni dati-fatti.
Bisogna mostrare che il passo compiuto è appropriato e legittimo c’è allora bisogno di proposizioni generali
o garanzie che esplicitino la legittimità del passaggio e che conferiscano forza che può essere di diverso
grado alla conclusione che giustificano.
Il passaggio verso fondamenti che sono considerati più soddisfacenti può anche essere visto come
giustificazione o come spiegazione: un’attività argomentativa con cui attraverso ragioni, esempi, si riporta
l’oscuro al chiaro, l’ignoto al noto.
Questa procedura argomentativa si presenta oggi con due nuovi e importanti risvolti:
• Il primo di carattere epistemologico, riguarda il ruolo determinante dell’argomentazione nel
costruirsi del discorso scientifico procede per via argomentativa.
• Il secondo risvolto è di tipo più direttamente psicologico: la richiesta da parte dell’interlocutore di
dare ragione di quello che si dice, esplicitando meglio i fondamenti delle proprie asserzioni, ha una
funzione di sostegno del discorso e del pensiero l’opposizione svolge un ruolo di cooperazione
cognitiva e di supporto sociale.
Esistono anche, nelle situazioni di disputa molto vivace che si verificano tra bambini, sequenze di
opposizioni non argomentate, in cui interlocutori si contrappongono l’uno all’altro senza fornire
giustificazioni: nelle situazioni di gioco tra bambini.
Mente nei bambini tra 4 e i 6 anni i singoli contributi e turni di parole sono brevi, a partire dai 7-8 anni gli
interventi dei bambini tendono a diventare molto più articolati e a includere più idee-unità e insieme più
argomentazioni.

Le operazioni discorsive dell’insegnante come strumento di regolazione dell’apprendimento


Nei contesti interattivi di tipo scolastico oltre allo svolgersi delle sequenze e degli scambi conversazionali,
opera una dimensione costituita dalla presenza di un motivo di carattere generale, che è dato
dall’esplicitazione e dalla produzione di conoscenze e che caratterizza l’attività di insegnamento, nel senso
proposto dalla teoria dell’attività di Leont’ev. l’attività di insegnamento si manifesta in una gamma di scopi.
La presenza della mediazione offerta dall’insegnamento come ausilio, facilitatore, sollecitatore
dell’apprendimento è comune ai contesti scolastici e formativi in generale.
In altri termini, il sostegno che può essere offerto dal discorso dell’insegnante, dal testo di studio,
dall’organizzazione di attività di laboratorio, è lo strumento mediante (o il mediatore) necessario a
raggiungere gli scopi specifici proposti dal campo di studio.
È pertanto nella zona di sviluppo prossimo che è significativo il ruolo della scuola.
Perché ciò che ha luogo a scuola si possa considerare come apprendimento o come cambiamento cognitivo,
è necessario accettare un aspetto paradossale della relazione di insegnamento, aspetto che era già presente ai
Sofisti. Infatti, l’intervento didattico da parte di un insegnante (poniamo nell’attività di composizione di un
testo) è necessario in quanto gli allievi non sono ancora capaci di svolgere da soli quell’attività in modo
soddisfacente. Ma l’intervento funziona se l’insegnante assume che qualsiasi cosa dicano gli allievi, questo
può diventare un punto di partenza per l’attività prevista di comporre un testo. Il che vuol dire che
l’insegnante accetta/utilizza, con il contributo, anche la prospettiva che l’allievo porta nel compito.
Le azioni specifiche guidate dallo scopo di far interpretare la storia mediante una lettura dell’adulto con
interruzioni in punti cruciali del testo per attivare le previsioni dei bambini erano essenzialmente due:
1. Far confrontare quello che i bambini avevano previsto durante la lettura con lo svolgimento effettivo
della storia;
2. Rendere esplicite le ragioni e le intenzioni dei protagonisti offrendo spiegazioni pertinenti.

Apprendimento come interiorizzazione: conoscenza e consapevolezza

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Quando l’insegnante riesce a rendere la sua richiesta di spiegazione più vicina al livello cognitivo dei
bambini, essi sono in grado di rispondere in modo articolato e quindi integrano la tematica proposta
dall’insegnante in una loro autonoma sequenza co-costruttiva o argomentativa, mostrando di averla
interiorizzata.
Quali sono gli aspetti dell’interazione, del funzionamento interpsicologico che caratterizza la discussione,
che vengono interiorizzati? Ci chiedevamo in un lavoro precedente se fossero le forme del tutoring
(concentrare l’attenzione, focalizzare gli aspetti critici del problema) o i suoi specifici contenuti (scegliere il
pezzo da collocare oppure formulare domande sul testo che si legge). Oggi si è meglio chiaro che ambedue
le dimensioni vengono interiorizzate.
Alcuni studiosi di psicoanalisi considerano l’imitazione come uno degli strumenti dell’identificazione.
L’imitazione in alcuni casi, così come in altri casi la risposta o la reazione, può essere uno strumento per
l’interiorizzazione di specifici modi di operare, di muoversi, di esprimersi, di comportarsi.
L’insegnante presta la sua consapevolezza e le sue capacità di previsione e di controllo a un bambino che non
ce l’ha, in modo che egli riesca a fare con lei ciò che chiaramente non può ancora fare da solo fino a che non
diventa capace di ripetere consapevolmente l’operazione, controllandosi da sé.
L’insegnamento-apprendimento, che opera sulla zona di sviluppo prossimo, si basa sulla presenza di una
funzione che è usata e praticata spontaneamente e non coscientemente, senza che ce ne sia riflessione
consapevole e controllo volontario.
Per questo le attività discorsive sono un potente strumento per lo sviluppo di capacità metalinguistiche e
metacognitive.
Attraverso la mediazione psicopedagogica costituita dall’insegnamento, possiamo meglio intendere l’attività
cognitiva che si svolge a scuola come un pensare insieme molto vicino al pensiero riflessivo, che è stato
descritto da Dewey come un pensiero che riflette sui contenuti di vita, di esperienza.

Cap. 5: DINAMICHE SOCIALI E COGNITIVE NEI GRUPPI A SCUOLA


Introduzione
Dobbiamo considerare insieme le variabili sociali e cognitive implicate nella relazione tra bambini.
Differenti tipi di interazione che abbiamo ricondotto a due ambiti principali:
• Variabili di compito: l’oggetto può far parte di un ambito disciplinare specifico, può essere
un’attività di interazione libera (gioco);
• Variabili di contesto: la situazione in cui avviene l’integrazione e soprattutto le competenze socio-
interattive e disciplinari già presenti nei bambini partecipanti all’interazione.
Conoscenze sociali e pensiero quotidiano
L’interazione si caratterizza per i tipi diversi di ragionamento che i diversi campi di indagine (in quanto
variabili di compito) richiedono. Infatti, nelle interazioni su contenuti scientifici o storici, quando i bambini
si trovano a dover decidere tra diverse interpretazioni possibili del fenomeno oggetto di discussione,
possiamo tornare a ripetere un’operazione che hanno già effettuato sul materiale.
In entrambi i casi la possibilità di ricorrere a un dato o a un’esperienza comune o comunque condivisibile
sostiene lo sviluppo del ragionamento e del discorso collettivo e riduce i margini di ambiguità e di opinabilità
delle interpretazioni individuali, permettendo la costruzione di una conoscenza condivisa.
Al contrario, nelle interazioni su contenuti sociali non esiste la possibilità di manipolare un oggetto
condiviso: i contenuti sociali rientrano nell’ambito delle esperienze individuali e solo qualche volta e per
qualche aspetto anche in quella dell’esperienza scolastica. Così, in caso di contrapposizione, i bambini si
appellano alla propria esperienza personale, ma questa non favorisce un chiarimento e la comprensione di un
fenomeno.
Non si riesce a stabilire quale contributo conti di più, perché non si può fare riferimento a un criterio più
generale e comune che inquadri il fenomeno in discussione e si finisce allora per assegnare una validità
maggiore non al giudizio in sé ma alla persona che tale giudizio esprime.
Molte volte ciò che prevale è quindi un principio di autorità e non quello della verifica della validità.

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La connotazione sociale del compito
Una delle caratteristiche metodologiche del curricolo sperimentato era infatti quella di valorizzare e
potenziare i momenti di scambio/confronto tra i punti di vista espressi dai diversi bambini come strumento
per sollecitare ragionamento più complessi.

Variabili di compito sono quelle caratteristiche del compito specifico.


In esse si possono separare gli aspetti relativi alla decodifica del compito e gli aspetti relativi alla
motivazione a svolgere il compito.
1. Decodifica del compito: in nessuna versione delle consegne venivano specificate le regole con cui
organizzare il lavoro e i criteri da utilizzare per decidere l’accettabilità dei lavori. Questo ha dato
luogo a decodifiche differenziate da parte dei gruppi di bambini che a loro volta hanno creato una
notevole variabilità nella configurazione delle interazioni sia sul piano procedurale che sui modi con
cui i bambini si sono rappresentati il compito da svolgere.
In altre situazioni sono state fatte tutte e due le cose: uan volta si sono giudicati i lavori del giudice e
successivamente si sono giudicati i lavori identificati dal gruppo di bambini.
• In certe situazioni i bambini si sono fermati a discutere soprattutto le procedure da utilizzare e
l’organizzazione del lavoro necessaria a svolgere il compito;
• In altre situazioni i bambini hanno discusso soprattutto i criteri da utilizzare per giudicare
l’accettabilità dei lavori proposti;
• In altre situazioni i bambini, avendo raggiunto un sostanziale accordo sui criteri da utilizzare, hanno
lavorato sull’accettabilità dei lavori in base a criteri condivisi dal gruppo steso.
2. Motivazione al compito: questa variabile dipende strettamente dalla scelta del compito su cui far
lavorare i bambini: se il problema su cui si interagisce è un problema che li tocca da vicino, se cioè
anche per loro è un vero problema.

Variabili di contesto riguardano tutto quello che è già presente nella situazione e nei partecipanti prima che
l’interazione abbia luogo.
Tutto ciò che lo sperimentatore non ha introdotto sperimentalmente nell’attività.
Tre tipi di competenza:
1. Una competenza sociale: strettamente collegata all’abitudine dei bambini a lavorare e a parlare
insieme. È la capacità di utilizzare regole condivise di organizzazione del lavoro (ad esempio, come
assegnare i turni di parola).
2. Una competenza comunicativa: è l’abilità del bambino nel saper condurre e gestire in modo
appropriato situazioni di interazione con altre persone.
3. Compretenza disciplinare: la quantità di conoscenze che il bambino possiede sul contenuto di cui si
parla e del livello di elaborazione raggiunto su queste competenze.

Competenze e potere assegnato


Le competenze possedute dal bambino che svolge il ruolo del giudice contribuiscono a definire le possibili
strategie con cui può interpretare il suo ruolo nell’interazione.
Ad esempio, si sono prodotte situazioni in cui il ruolo del giudice era svolto dal bambino più competenze: il
ruolo sociale assegnato è risultato omogeneo e congruente a questa competenza. Nei casi in cui, al contrario,
il ruolo del giudice è stato assegnato a un bambino poco competente questo abbinamento non si è realizzato.

Conclusioni
È essenziale arrivare ad analizzare più in dettaglio la produttività delle diverse interazioni sul piano cognitivo
ed educativo. La produttività delle diverse interazioni infatti va valutata non in generale, ma in base agli

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scopi e agli obiettivi cognitivi ed educativi che ci si propone di raggiungere facendo interagire i bambini su
un compito di apprendimento reale.

Cap. 6: LA COSTRUZIONE DEL DISCORSO NELLE DISCUSSIONI IN CLASSE: UN’ANALISI


SEQUENZIALE
Dialogo e apprendimento
Nel dialogo si manifestano sia i processi di negoziazione del significato di oggetti e situazioni, sia i processi
di riflessione e consapevolezza che permettono un passaggio da concetti spontanei a concetti scientifici.
Un’analisi del discorso è dunque necessaria per individuare con più precisione le pratiche di insegnamento-
apprendimento.

Analisi interattiva del discorso


Un meccanismo conversazionale primario e lo scambio, che è caratterizzato da almeno due ruoli: quello di
chi inizia e quello di chi risponde.
L’azione comunicativa prodotta nel primo elemento di una coppia, attiva delle specifiche aspettative, che
possono essere realizzate o deliberatamente violate dal secondo elemento della coppia.
In altri termini, le caratteristiche sequenziali della conversazione, il suo essere strutturata secondo certe
regolarità temporali (x tende a essere seguito da y), permettono ai parlanti di costruire una rappresentazione
locale della conversazione.
Dunque il meccanismo conversazionale evidenziato in questo ultimo filone di ricerca è quello
dell’aspettativa e della prevedibilità.

La costruzione del discorso nei bambini


I bambini di età dai 3 ai 5 anni utilizzano una notevole varietà di mosse conversazionali. Richieste,
correzioni, domande di chiarificazione, proposte, sono prodotte con una certa frequenza nello scambio tra
pari nel contesto di gioco simbolico.
Nello stesso contesto di gioco simbolico è stato evidenziato un uso informativo del linguaggio, attraverso cui
un argomento di discorso viene elaborato apportando nuove informazioni congruenti con quelle già
introdotte dal parlante precedente.
La collaborazione allo sviluppo di un argomento di discorso è molto sensibile alla familiarità dell’argomento.
Alcune fondamentali mosse conversazionali, come lo sviluppo di un comune argomento di discorso, e alcuni
atti comunicativi, come le spiegazioni, sono accessibili ai bambini di età prescolare soprattutto in
determinate condizioni. Laddove l’argomento non è familiare o il contesto non verbale non facilita il
recupero delle informazioni, la costruzione del discorso tende a essere maggiormente guidata dall’adulto. Se
l’argomento è costituito da eventi fisico naturali, piuttosto che da eventi di tipo sociale, le spiegazioni
tendono a essere molto più rare, oppure sono prevalentemente fornite in risposta ai quesiti dell’adulto.
I discorsi a scuola
I contributi conversazionali con cui l’adulto ripete, riformula o estende l’informazione introdotta dal
bambino, influenzano positivamente lo sviluppo di un comune argomento di discorso. I motivi di questa
previsione sono molteplici. Lumbelli (1985) ha esposto le ragioni teoriche alla base degli interventi di
rispecchiamento: attraverso ripetizioni e riformulazioni il parlante comunica uno sforzo di comprensione e
incoraggia l’interlocutore a proseguire il discorso, fornendogli al tempo stesso l’opportunità di chiarire ed
elaborare ulteriormente il precedente messaggio.
Quando l’insegnante ripete o estende l’informazione introdotta da un bambino, il contenuto semantico del
discorso può essere più facilmente elaborato e compreso da tutti i partecipanti, sia per la focalizzazione
dell’attenzione che ne deriva, sia perché l’informazione introdotta da una bambino ha molta probabilità di
essere alla portata degli altri bambini. Inoltre la riformulazione operata dall’insegnante può rendere più
comprensibile l’informazione, perché ne migliora l’espressione linguistica.
Atti comunicativi di spiegazione possono essere con più probabilità prodotti dai bambini se hanno la
funzione interattiva di giustificare un precedente disaccordo o una precedente posizione.

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Anche nell’interazione con i pari e in assenza di un ruolo di guida dell’adulto, i bambini di età prescolare
possono produrre spiegazioni.
Quando il discorso si riferisce ad azioni di risoluzione di qualche problema, la costruzione di spiegazioni
causali può essere facilitata.

Gli scopi della ricerca


Si analizzano conversazioni insegnante-bambino al fine di portare evidenza alle seguenti ipotesi:
• Lo sviluppo di un comune argomento di discorso è facilitato da interventi con cui l’insegnante ripete,
riformula o estende il precedente contributo di un bambino.
• Le spiegazioni di eventi sociali e fisico naturali tendono a essere prodotte con la funzione interattiva
di giustificare un precedente disaccordo o una precedente posizione che è stata messa in questione.

Soggetti e procedure
Sono stati osservati 12 bambini di età tra i 5 e i 6 anni: progetto sperimentale di educazione linguistica.
Attività di formazione a nuove strategie di conduzione della conversazione, incentrate sulla tecnica del
rispecchiamento.
Sono stati proposti due diversi tipi di argomenti (uno scientifico e uno di tipo narrativo) in due tipi di
situazioni interattive: grande gruppo (12 bambini) e piccolo gruppo (4 bambini). L’argomento scientifico ha
avuto per oggetto il concetto fisico di equilibrio riferito a bilance a bracci.
Analisi sequenziale
L’analisi sequenziale va considerata in questa ricerca come un ulteriore strumento di analisi descrittiva, che
permette di cogliere alcune regolarità (prodotte con una probabilità non casuale) nel discorso dei
partecipanti.
Le continuazioni reciproche
Le repliche elaborate dei bambini tendono con una probabilità piuttosto alta a essere precedute da interventi
di ripetizione e riformulazione da parte dell’insegnante. Tuttavia, anche gli interventi dell’insegnante sono
influenzate da quelli dei bambini: le ripetizioni e le riformulazioni tendono a essere precedute da repliche
elaborate di un bambino.
Il modo più semplice di continuare il discorso è quello di completare, con un nome o un predicato,
l’enunciato incompleto di un precedente parlante. Un secondo tipo di continuazione, è la narrazione di un
episodio che è stato iniziato da un precedente parlante, o la continuazione di resoconti e descrizioni che sono
stati introdotti da un precedente parlante in risposta a una richiesta di informazione da parte dell’insegnante.
Gli interventi di rispecchiamento dell’insegnante rinviano al gruppo un’affermazione prodotta da un
precedente parlante e la propongono come oggetto di attenzione comune.

Cicli di richiesta di informazione-risposte


Richieste di chiarificazione, o di richieste di spiegazione:
• Le richieste di chiarificazione chiedono al bambino di specificare uno dei referenti dell’enunciato
tendono a essere seguite da semplici risposte,
• Le richieste di spiegazione, che sono introdotte da una domanda di perché o di come, chiedono
invece di elaborare ulteriormente il contenuto semantico del discorso. tendono ad essere seguite
anche da repliche elaborate, in cui il bambino non solo risponde al perché o al come, ma aggiunge
qualche altra informazione come elaborazione della risposta.
Le dispute
Una disputa è caratterizzata da un’opposizione iniziale che nega l’affermazione di un precedente parlante e
fornisce una giustificazione di questa negoziazione. Ciò che scatena un’opposizione è dunque il prendere
posizione da parte di un bambino, o il suo tentativo di fornire un qualche tipo di insegnamento ai compagni.
Un’opposizione iniziale può ricevere due tipi di repliche:
• Un semplice rifiuto
• O una contro opposizione giustificata.

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Le opposizioni sono seguite con un’alta probabilità da contro opposizioni giustificate, che a loro volta sono
seguite da un’ulteriore contro opposizione giustificata.
Conclusioni
Sono emerse tre principali sequenze conversazionali: le continuazioni reciproche, i cicli richiesta di
informazione risposta, le dispute.
Nelle continuazioni reciproche i bambini costruiscono il discorso con una modalità prevalentemente
narrativa e focalizzano soprattutto quegli argomenti che sono stati raccolti negli interventi di rispecchiamento
dell’insegnante. Infatti le repliche elaborate dei bambini tendono con un’alta probabilità a verificarsi dopo un
intervento di rispecchiamento dell’insegnante.
I cicli di richiesta di informazione risposta sono meno collegati alle repliche elaborate dei bambini. Tuttavia
le richieste di spiegazione dell’insegnante hanno un’alta probabilità di essere seguite da una replica elaborata
da parte dei bambini.
Nelle dispute il disaccordo tra bambini viene portato avanti attraverso giustificazioni che tendono a essere
costituite da spiegazioni causali.
La disputa attiva una funzione di giustificazione, sia nelle discussioni a scuola, sia nei conflitti spontanei tra
pari. Quando la disputa si verifica in un’interazione verbale guidata dall’adulto, i bambini cominciano però a
costruire nuove aspettative.

Cap. 7: INSEGNANTI E DISCUSSIONI: FORMAZIONE E REALIZZAZIONE SUL CAMPO


L’interesse di questo secondo tipo di analisi sta nell’evidenziare un’insospettata variabilità di realizzazione
nella pratica della gestione della discussione a partire dal modo di decodifica dello stesso obiettivo condiviso
ed esplicitato che ciascuna discussione perseguiva.
In particolare:
• Insegnante A: prima raccolta, non sistematica, delle informazioni ricavate dalla visita;
• Insegnante B: prima sistematizzazione dell’informazione rispetto però a un criterio temporale;
• Insegnante C: sistematizzazione delle informazioni in base al criterio previsto.
Queste tre procedure si configurano come strategie di conoscenza che gli insegnanti hanno ritenuto adatte
allo scopo della discussione.
Il livello delle operazioni che è quello in cui ciascun individui, in questo caso l’insegnante, realizza odi
diversi di perseguire la stessa azione didattica e di agire sul gruppo degli allievi, riveste un particolare
interesse perché fornisce un criterio per esaminare e distinguere le tante modalità diverse in cui nella pratica,
a fronte di obiettivi esplicitati e condivisi, sia possibile effettuare interventi educativi molto differenziati.
Con il livello delle azioni infatti si possono identificare gli scopi generali per cui l’insegnante sceglie un
certo tipo di curricolo, mentre attraverso il livello delle operazioni possiamo riconoscere le modalità
linguistico-cognitive adottate come microdecisioni assunte durante la discussione stessa. Entrambi i livelli
insomma forniscono punti di vista diversi ma complementari.

Cap. 8: IMPARARE DA SOLI, IMPARARE INSIEME: RAPPRESENTAZIONI E


COMPORTAMENTI DEGLI INSEGNANTI
È opportuno prevedere una fase di consolidamento, più o meno lunga nel tempo, articolata su interventi
periodici che possono seguire un periodo iniziale più intenso e concentrato. Durante tale fase il ricercatore
svolgerà una funzione di scaffolding e lavorerà per rendere possibile, attraverso la riflessione sulla propria
esperienza e su quelle degli altri insegnanti e di altri gruppo, la costruzione negli insegnanti stessi della
competenza sociale, nonché di quella procedurale e gestionale.

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