Secondo il senso comune comunicare è la capacità di esprimersi verbalmente per chiedere qualcosa,
esprimere un bisogno, un’opinione, condividere ricordi ed aspettative.
Quando l’uomo acquisisce un determinato codice comunicativo in relazione ad una specifica comunità umana
nascono le singole lingue naturali.
A partire dagli elementi introduttivi possiamo giungere alla definizione generale del concetto di comunicazione,
che può essere intesa come: uno scambio interattivo osservabile tra due o più partecipanti, dotato di
intenzionalità reciproca e di un certo livello di consapevolezza, in grado di far condividere un determinato
significato sulla base di sistemi simboli e convenzionali di significazione e di segnalazione secondo la cultura
di riferimento.
Proprio in virtù della sua complessità e ampiezza, la comunicazione viene spesso sovrapposta per ruolo o
significato ad altri concetti che, non sostituendola, ne sono però frequentemente parte costitutiva.
Un esempio è il comportamento.
Esso è riscontrabile in un’azione di qualsiasi genere ed entità che, compiuta da un individuo, viene percepita
ed identificata come tale da altri.
Il comportamento può essere cosciente o meno, automatico o volontario.
Comunicazione e comportamento
Il rapporto tra comunicazione e comportamento è di tipo inclusivo: ogni comunicazione è un comportamento,
ma non è vero il contrario. Esistono dei comportamenti che non sono comunicativi, mancando di intenzionalità,
e risultano per questo soltanto informativi.
Lo studio relativo al comportamento in psicologia ha inizialmente trattato i due concetti come equivalenti
(Watzlawick). Questo approccio tipico del behaviorismo è stato poi rivisto in virtù delle altrimenti non valutate
specificità della comunicazione (singificazione, intenzione, condivisione, …).
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Comunicazione ed informazione
È necessario esplicitare la differenza tra comunicazione ed informazione definibile come un insieme di
conoscenze derivate autonomamente e inconsapevolmente da comportamenti e azioni di un soggetto.
Comunicazione ed interazione
L’aspetto che differenzia questi due concetti è la consapevolezza di base dello scambio che avviene. Nella
comunicazione essa infatti è massima, mentre nell’interazione può essere nulla.
Per interazione, comunque, si intende qualsiasi contatto che avviene tra individui e che modifica in quale
aspetto la situazione di partenza.
La comunicazione è quindi un’attività umana complessa, sofisticata, articolata che contribuisce a definire
l’identità dei partecipanti e la cultura di appartenenza.
La comunicazione è quindi diventata oggetto di interesse e di studio da parte di discipline diverse: filosofia,
semiotica, etologia, antropologia, linguistica, matematica e psicologia.
Le funzioni proposizionale e relazionale sono tra loro interdipendenti, anche se ognuna mantiene un certo
grado di indipendenza.
Sostanzialmente rappresentano due aspetti diversi del medesimo concetto e questo significa che concorrono
nel definirlo.
Non è quindi possibile parlare di funzione proposizionale senza tenere conto dell’influenza che essa riceve
dall’altra e viceversa. Tuttavia, ognuna delle sue funzioni ha un preciso campo d’azione indipendente e
raggruppa al suo interno ulteriori funzioni caratterizzate da una maggiore specificità.
Proprio per questo motivo la funzione proposizionale e quella relazionale sono delle vere e proprie
“metafunzioni”.
La persona umana è quindi un essere fondamentalmente comunicante. Aspetti di primaria importanza sono:
- La propensione a comunicare
- La scelta di come farlo
La comunicazione è una pianificazione intenzionale. Non si è sempre comunicativi, ma solo se vi è
intenzionalità, se vi è dunque la volontà di rendere l’interlocutore consapevole della propria propensione a
comunicare.
Il punto di vista matematico considera la comunicazione come la trasmissione di informazioni; l’autore che ha
postulato questo approccio è Shannon (1948). Il passaggio di informazioni avviene secondo il seguente
passaggio:
Da una fonte (persona, animale o oggetto)
Attraverso un trasmettitore (dispositivo che permette il passaggio di informazioni)
Il canale che trasferisce l’informazione
Ci può essere il rumore o interferenze
Il messaggio arriva ad un recettore (il dispositivo che permette la conversione del segnale in una
forma comprensibile per il destinatario.
E a un destinatario (animale, persona o oggetto).
I processi che permettono la trasmissione di informazioni e la comprensione del messaggio sono chiamati
codifiche:
- Encoding da parte dell’emittente che traduce l’informazione utilizzando un codice condivisibile con
il destinatario in modo da farsi comprendere.
- Decoding da parte del ricevente che traduce il messaggio in modo da comprenderlo.
Il codice può essere definito come un insieme di regole che associano in maniera coerente e in maniera
tendenzialmente biunivoca gli elementi di un sistema con gli elementi di un altro sistema.
Questo approccio propone una Teoria forte del codice, secondo la quale è necessario e sufficiente avere a
disposizione un codice di trasmissione dei messaggi (ad esempio il linguaggio) per poter comunicare.
Un concetto importante dal punto di vista matematico sulla comunicazione è quello di feedback, cioè la
quantità di informazione che dal ricevente ritorna all’emittente.
Il feedback può essere:
- Positivo: ampliamento dell’informazione di ingresso
- Negativo: riduzione dell’informazione di ingresso
Con il concetto di feedback la comunicazione va considerata come un processo circolare ricorrente senza fine
in cui le informazioni passano dal trasmettitore al ricevente e poi ritornano all’emittente.
Altri concetti importanti, teorizzati da Shannon e Weaver (1949) sono:
- Rumore è interferenza con un altro segnale che percorre lo stesso canale
- Ridondanza riguarda il “surplus” di informazioni, è la ripetizione della codifica del messaggio per
favorirne la decodifica.
- Filtro modifica il segnale di partenza e di arrivo; seleziona alcuni aspetti e proprietà del segnale nella
decodifica.
Una critica mossa a questo approccio è quella della fallacia referenziale: cioè assumere un rapporto diretto tra
simbolo e referente. Il simbolo è sempre un prodotto culturale. Rapporto intrinseco tra comunicazione e cultura
poiché i sistemi e le modalità di comunicazione rappresentano il frutto di un’elaborazione condivisa da parte
dei membri di una determinata comunità.
Occorre precisare una distinzione importante relativa al ruolo che il segno svolge nel processo comunicativo:
- Segno come equivalenza (prospettiva strutturale)
- Segno come inferenza
Secondo la prima prospettiva strutturale il segno non è nient’altro che l’unione tra un’immagine acustica
(significante) e un’immagine mentale (significato).
Ad esempio, la parola cane rimanda ad un’immagine “prototipo” dell’animale o dell’esperienza personale del
soggetto.
Il segno è dunque visto in termini di equivalenza perché la perfetta la corrispondenza tra significante e
significato veicola la piena comprensione del messaggio erogato con un atto comunicativo.
Secondo la seconda prospettiva (Peirce) il segno è qualcosa che per qualcuno sta al posto di qualcos’altro
sotto qualche rispetto o capacità (1894).
Il segno ha dunque la funzione di rimando e a seconda del rapporto che ha con il referente il segno può
essere di tre tipi:
- Icona: somiglianza con il referente
- Indice: contiguità fisica con l’oggetto cui si riferisce
- Simbolo: basato su una contiguità precedentemente appresa e dunque arbitraria
Il segno è qui dunque visto come inferenza poiché costituisce un indizio dal quale è possibile comprendere
significato ed eventuali conseguenze. Il segno come inferenza consente di cogliere la plasticità dell’impiego
dei segni stessi; consente di spiegare lo scarto tra ciò che è detto e da ciò che è implicato in quanto è stato
detto.
In sintesi, il processo di significazione è la capacità di generare significati. Ogni messaggio ha un senso;
questo processo fa riferimento sia al referente che al codice.
Il referente è l’oggetto, l’oggetto su cui si comunica mentre il codice è il sistema impiegato dai partecipanti alla
comunicazione.
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Modello ostentivo-inferenziale
Le premesse sono:
- L’interlocutore deve riconoscere l’intenzione del parlante
- Il messaggio del parlante deve produrre una risposta nell’interlocutore
- La risposta dell’interlocutore si basa (almeno in parte) su tale riconoscimento
L’intenzione comunicativa è la condizione necessaria e sufficiente per comunicare i partecipanti devono
rendere manifesta l’intenzione comunicativa (ostensione).
Sperber e Wilson introducono il concetto di:
- Essere manifesto: un fatto è manifesto ad un soggetto se lo si può rappresentare in un’immagine
mentale, se è percepibile e inferibile.
- Mutuo Ambiente Cognitivo: insieme delle ipotesi possibili condivise che vengono vagliate dai
partecipanti in base alla pertinenza rispetto al contesto specifico. Questo garantisce la cooperazione.
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Pertinenza nelle conversazioni c’è la capacità di genere nuove informazioni dall’integrazione tra
conoscenze precedenti e nuove, attraverso processi di inferenza.
Ci sono inferenze deduttive, non dimostrative e le implicature contestuali che considerano lo specifico
contesto in cui avviene la conversazione per trarne inferenze.
Il grado di pertinenza delle inferenze è funzione del:
1. Numero di effetti contestuali generati dall’informazione
2. Pertinenza ottimale cioè la capacità degli interlocutori di seguire l’ipotesi comunicativa che
ottimizza gli effetti contestuali e minimizza l’impegno cognitivo.
- Comprensione dello sguardo e dell’attenzione dei consimili: i primati comprendono lo sguardo come
fondamentale nelle relazioni sociali
- Riconoscimento di sé allo specchio: alcune specie di animali si riconoscono allo specchio e questo
viene considerato un precursore dello sviluppo della Teoria della Mente.
- Condotte e comunicazioni ingannevoli: la ricerca attuale non riesce a fornire risposte certe circa
l’intenzionalità nei comportamenti ingannevoli dei primati non umani.
Gli studiosi non riescono ad affermare con sicurezza che i primati non umani posseggano la ToM; sembra che
i primati reagiscano ai comportamenti degli altri e non ai loro stati mentali si basano sulla teoria del
comportamento e non sulla teoria della Mente altrui. Si limitano a rappresentazioni primarie dei comportamenti
manifesti dei consimili, tali manifestazioni sarebbero esplicative di stati intenzionali, emozioni, motivazioni. I
primati non umani non si servono della ToM ma reagiscono ai comportamenti altrui.
Comunicazione e cultura
Nel passaggio da comunicazione animale e comunicazione umana la cultura costituisce il fattore
determinante.
La cultura fondamentale per:
- Elaborazione di significati
- Comprensione reciproca della realtà
- Costruzione di significati
- Prefigurazione di futuri scenari e comportamenti
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Cultura e comunicazione sono intrinsecamente connesse, non possono sussistere l’una senza l’altra.
Questi paradigmi teorici hanno permesso di identificare tre aspetti fondamentali del significato:
- La dimensione referenziale
- La dimensione inferenziale
- Dimensione differenziale
La dimensione referenziale rappresenta la necessità di porre un significato in relazione alla realtà; il
riferimento, in questo caso, si denota come rinvio e ancoraggio al reale, senza il quale si avrebbe totale
soggettivismo.
Il riferimento non rappresenta un’entità assoluta e oggettiva, bensì esso rimanda al contenuto dell’esperienza
del soggetto, sempre influenzata dalla cultura di riferimento; quest’ultima, a sua volta, guida il processo di
attribuzione di significato attraverso i suoi schemi mentali e pratici e i suoi valori.
La dimensione inferenziale è l’organizzazione cognitiva del significato a partire dagli indizi raccolti dalla realtà.
Questa organizzazione implica un nesso tra significato e concetto, un costrutto mentale che permette di
categorizzare, rappresentare e definire oggetti/eventi.
La dimensione differenziale definisce il sistema comunicativo come un sistema complesso che contribuisce a
costruire il significato di una parola a partire dalla possibilità di confronto tra i diversi termini linguistici (una
mela non è una pera).
SEMANTICA A TRATTI
Il modello della semantica a tratti concepisce il significato come una realtà eterogenea composta da diversi
tratti.
Secondo tale teoria il significato è scomponibile in tratti semantici, di quantità limitata, che rappresentano
condizioni necessarie che rappresentano condizioni necessarie e sufficienti (CNS) per la sua formazione.
Questo modello prevede alcuni principi:
- Nessun tratto può essere cancellato, in quanto condizione necessaria e sufficiente
- Nessun tratto può essere aggiunto, in quanti i tratti sono sufficienti
- I tratti sono organizzati secondo un ordine gerarchico ma sono tutti uguali
- Viene applicata la regola della assenza/presenza, che prevede confini netti del significato (o si ha
significato o non si ha).
Il modello CNS si configura come un sistema binario (dicotomico) in cui la presenza di un tratto implica
necessariamente l’assenza di un altro.
Le componenti base del significato sono proprietà analitiche e, in quanto tali non cancellabili, perché
essenziali per definire il concetto. Di conseguenza, esiste un solo significato di una parola, dettato dalle sue
componenti costruttive; viene così garantito l’isomorfismo tra il livello semantico (contenuto) e il livello fonico
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(espressione).
Quindi il significato è da considerarsi un’unità discreta, combinabile con altre unità discrete in modo da
formare una frase.
All’interno di questo modello viene fatta una distinzione tra conoscenze direzionali (costruttive del significato) e
conoscenze enciclopediche (conoscenze secondarie e accessorie).
Un ulteriore distinzione è quella tra proprietà accidentali (di natura contingente e fattuale) e proprietà
necessarie (identificative del significato).
Tuttavia, questo modello presenta dei limiti:
- Non ammette eccezioni, in quanto la modificazione di uno solo dei tratti rende inapplicabile il modello.
- In secondo luogo, i significati sono definiti come entità discrete con confini definiti, in quanto tali non
sono ammesse sfumature di significato.
- È stata ampiamente criticata l’ipotesi, avanzata dal modello, che il significato sia costituito da un
numero finito di tratti e di proprietà; per esempio, se diciamo che tutte le finestre hanno un vetro, ma
rompiamo uno dei vetri della finestra, possiamo ancora definirla tale? Secondo questo modello no.
- Risultano insostenibili le differenze effettuate tra conoscenze enciclopediche e direzionali, di fatto
entrambe di natura culturale e mediate dall’esperienza, nonché tra tratti accidentali e necessari, in
quanto ogni parola prevede una certa gradualità semantica.
- Il CNS non spiega neanche la polisemia semantica, intesa come molteplicità di significati di una
stessa parola.
3. Le regole di appartenenza ad una specifica categoria, non di ordine dicotomico, ma graduale perché
fondato sulla base della somiglianza con il prototipo.
4. Le categorie non hanno confini netti, bensì si può parlare di una somiglianza di famiglia che li unifica.
Negli anni ’90 è stata elaborata la teoria estesa del prototipo, nella quale quest’ultimo è inteso come entità
astratta e come costrutto mentale.
Il prototipo diviene l’insieme di effetti prototipici (caratteristiche salienti) sulla base dei quali vengono
differenziate le diverse categorie.
In questo modo, una categoria può rimandare a diversi referenti senza essere percepita come ambigua, come
accade nel caso della polisemia (molteplicità di significati per lo stesso termine).
L’appartenenza ad una categoria è data dalle proprietà essenziali, più importanti e comuni a tutti gli elementi
definite attraverso la negazione.
Per esempio: se un animale non ha il becco e le piume non viene inserito nella categoria uccelli.
Le proprietà tipiche, invece, sono intese come caratteristiche specifiche, cancellabili e soggette ad accezioni
che possono, quindi mettere a rischio la stessa appartenenza. Esse sono definite culturalmente e strettamente
collegate alla prototipicità di una categoria: maggiori sono le caratteristiche tipiche, maggiore è il livello di
rappresentatività dell’elemento di una data categoria.
LA SEMANTICA UNIFICATA
Il significato, inteso come percorso interpretativo, ha tre dimensioni fondamentali:
1. Referenziale il significato è sempre mediato dall’esperienza personale del parlante (manifestazione
di un punto di vista, di valori, di schemi mentali e pratiche comunicative; esito di un’attività culturale
personale, poi condivisa con altri.
2. Differenziale il sistema lingua contribuisce a costruire il significato di una parola, in questo senso le
strutture semantiche vincolano le rappresentazioni mentali (modi espressivi, enunciazione,
disposizione alle parole, …).
3. Inferenziale riguarda l’organizzazione cognitiva dei significati.
Significato e concetto sono distinti ma interdipendenti:
- Concetti = rappresentazioni multimodali elaborate a partire da informazioni multisensoriali, emotive e
motorie. Si basano sull’esperienza, sono radicati nel corpo e situati nel contesto immediato.
- Significati = convenzioni culturali, formazione del contesto e del rapporto tra parlanti.
Sintonia semantica e pragmatica: il significato esprime la convergenza tra sistemi di significazione e
segnalazioni: l’unione di componenti verbali e non verbali precisa il significato di un messaggio.
Scarto lessicale quando non esiste un unico termine per esprimere una categoria concettuale.
Polisemia quando esiste un rapporto biunivoco tra parola e concetto (ad un termine corrispondono concetti
diversi)
Sinonimia quando uno stesso concetto è rappresentato da più termini.
I significati richiedono processi di inferenza in funzione del contesto e della rete di relazioni. Le parole sono,
cioè, indizi linguistici per effettuare ipotesi interpretative.
Dal punto di vista semiotico della comunicazione umana, analizzare la comunicazione significa osservare un
processo, cioè un sistema che coinvolge più soggetti sociali.
Significa focalizzarsi sull’interazione e sulla relazione tra gli interlocutori, sui comportamenti dei partecipanti,
sulla costruzione e condivisione dei significati che si realizzano in determinati contesti sociali di vita quotidiana.
Esaminando proprio quest’ultimo aspetto e ricordando gli studi di De Saussure, si può riflettere sulla relazione
tra significato e significante.
La potenzialità di un messaggio di produrre senso viene definita “significazione” mentre la comunicazione è
l’attuazione di queste potenzialità in uno scambio concreto, tale scambio è possibile se due interlocutori
condividono un codice comune, cioè un sistema di regole per originare dei segni che uniscano il significante
(un’immagine acustica) e il significato (immagine mentale).
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La teoria della Gestalt fa riferimento al concetto di “buona forma”, ponendo in luce il ruolo di elementi
degli e stimoli come la semplicità, equilibrio, ordine, …
Per altro verso, Eysenck (1941), ha focalizzato l’attenzione sui tratti di personalità che sembrano
predisporre a specifiche preferenze artistiche. Secondo le sue indagini, ad esempio, gli estroversi e i
giovani sembrano amare di più l’arte astratta, gli stimoli ricchi di colore e con composizione irregolare;
gli introversi, invece, preferirebbero le forme classiche, più semplici e regolari.
Seguendo la stessa linea di ricerca, Lindauer (1985) ha dimostrato che le persone “esteticamente
sensibili”, non mostrano particolari doti creative, ma possiedono un profondo interesse per le
manifestazioni artistiche e hanno un’intensa capacità immaginativa.
Inoltre, interessanti studi hanno valutato l’organizzazione cognitiva della personalità artistica,
individuando le differenze funzionali dei due emisferi cerebrali. Gli studi di Sperry e di Torrnce (1978)
hanno identificato tre stili prevalenti di una persona: destro, sinistro ed integrato.
- Il pensiero “destro” è caratterizzato da un’elaborazione simultanea delle informazioni, da abilità
creative, musicali e fantasiose, da risoluzioni di problemi intuitive ed immediate.
- Il pensiero “sinistro” è quello in cui dominano i processi mentali tipici di questo emisfero cerebrale,
cioè le elaborazioni linguistiche delle informazioni, le produzioni di idee logiche ed analitiche, le
procedure di risoluzione di tipo sequenziale.
- Il pensiero “integrato” è l’integrazione dei due precedenti stili cognitivi
La sensibilità e la capacità artistica sarebbero legate alla dominanza dell’emisfero destro: la creatività e il
gusto per la bellezza dipenderebbero, così, dalla tendenza dei soggetti ad utilizzare principalmente lo stile di
“pensiero destro”.
Vediamo ora come il fenomeno sinestesico sia connesso alla sensibilità estetica e alla comunicazione
artistica.
L’attitudine sinestesica è un aspetto importante della predisposizione artistica, può essere definita come uno
specifico modo di funzionamento della percezione, cioè è la capacità di percepire corrispondenze tra
stimolazioni pertinenti a campi sensoriali differenti.
Ad esempio, le frasi “questo profumo è morbido” o “quel brano musicale è dolce”, sono modi di dire che
appartengono al nostro vocabolario abituale e che racchiudono un miscuglio di esperienze sensoriali inerenti
alla vista, udito e tatto.
Tali accostamenti linguistici sono in realtà metafore sinestesiche, nelle quali una stimolazione riguardante uno
specifico canale sensoriale (ad esempio l’odorato) è definita con riferimento ad un’altra modalità sensoriale
(ad esempio il tatto).
Le persone differiscono nella disponibilità ad accettare le “acrobazie di senso” implicite in tali metafore, così
come differiscono nel fruire e produrre un linguaggio artistico.
Non ci sono opinioni univoche riguardo al legame tra sinestesia e predisposizione alla sensibilità estetica e
alla creatività. Tuttavia, è indubbio che i maggiori esempi di associazioni sinestesiche sono presenti in ambito
artistico.
Secondo un famoso esperto d’arte, quale G. Dorfles (1967), alla base della motivazione a creare e a fruire
dell’opera d’arte, ci sarebbe proprio la capacità di integrare immagini sensoriali diverse.
In poesia, gli esempi più eclatanti sono quelli dei “poeti maledetti” francesi della seconda metà dell’800.
Costoro, attraverso l’assunzione di hashish, descrivevano in versi le loro confusioni sensoriali.
Anche in pittura l’artista può avere il preciso desiderio, attraverso la sua tela, di comunicare un sapore, un
grido, e via di seguito.
Ad esempio, Giotto nella Resurrezione di Lazzaro vuole farci “sentire l’odore” acre del corpo di Lazzaro, già in
avanzato stato di decomposizione, e così, dipinge gli astanti mente si chiudono il naso.
Ancora, le nature morte fiamminghe del Seicento e del Settecento, desiderano trasmettere una sensazione
gustativa attraverso un codice visivo. Nell’arte è possibile vedere colori caldi, freddi, silenziosi, rumorosi,
leggeri, pesanti; avere sensazioni acustiche morbide, pungenti, dolci o luminose.
Nel nostro secolo, il cinema, la radio, la televisione e il computer hanno creato prodotti estetici che, sempre
più, hanno fuso tipi diversi di linguaggi e cercano di colpire simultaneamente diversi organi sensoriali.
Ad esempio, si possono osservare le immagini pubblicitarie: quando è necessario esaltare la franchezza del
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prodotto, prevalgono il verde e il bianco; per il soffice, i colori tenui come quelli pastello; per i prodotti di
profumeria, il lilla e l’azzurro e così via.
Molte pratiche artistiche di oggi sono finalizzate ad una percezione estetica simultanea e “multisensoriale”,
tanto che si fatica a trovare ordinamenti e classificazioni di genere.
STILI COMUNICATIVI
Come abbiamo visto, Grice ha individuato 4 massime che, se rispettate dagli interlocutori, permettono una
conversazione efficace:
- Quantità: gli interlocutori forniscono informazioni necessarie, esaurienti, non rispondenti e superflue.
- Qualità: gli interlocutori assumono la veridicità delle informazioni che forniscono e ricevono
- Relazione: gli interlocutori riferiscono informazioni pertinenti con lo scambio comunicativo
- Modo: chiarezza comunicativa e comprensibilità nelle modalità di conversazione.
IL PRINCIPIO DI COOPERAZIONE è alla base di ogni conversazione e riassume in sé le massime.
- Di impatto: stile definito “distintivo”, cioè lascia una forte impressione sull’ascoltatore, può essere
un’impressione positiva o negativa ma comunque intensa.
- Dominante, polemico e preciso: chi utilizza questo stile appare assertivo e sicuro, mostra un
trascinante carisma attraverso il tono di voce forte, il contatto diretto dello sguardo, la brevità dei tempi
di latenza. Lo stile preciso si riferisce alle continue precisazioni nelle argomentazioni e alle frequenti
distinzioni di significato.
- Drammatico e animato: è caratteristico di chi usa sapientemente il ritmo della voce, la gestualità, le
espressioni mimiche e gioca con le emozioni e la tensione.
ASCOLTO ATTIVO
Tipo di comunicazione completa. Coinvolge aspetti comunicativi verbali e non verbali ed è espressione della
disponibilità degli interlocutori sia in termini di attenzione che di comprensione.
Facilita la costruzione di una buona relazione e fa sentire l’altro accolto.
Un ascolto attivo rappresenta l’integrazione delle capacità di:
- Attenzione
- Comprensione
- Osservazione dell’interlocutore
Lo psicologo statunitense Thomas Gordon si è occupato di comunicazione in vari ambiti (scolastico,
ambientale, nella relazione genitori-figli, per gli educatori e operatori sociali, …), ha individuato 4 fasi per
migliorare le capacità di ascolto in un colloquio:
1. Ascolto passivo: permettere all’altro di esporre senza essere interrotto, il proprio vissuto/problema, di
vista. Questa fase prevede il silenzio e la concentrazione di tutte le capacità attentive.
2. Messaggi di accoglimento e cenni di attenzione: Indicano all’altro che lo stiamo seguendo e
ascoltando, possono essere:
- Non verbali (cenno della testa, sorriso)
- Verbali (“Ti ascolto”, “sto cercando di capire).
3. Espressioni facilitanti: incoraggiano l’altro a parlare e ad approfondire quello che sta dicendo; non
valutano ne giudicano.
4. Ascolto attivo: “Riflette” il messaggio all’altro, recependo solamente senza emettere ulteriori messaggi
personali. In questo modo l’altro si può sentire oggetto di attenzione, non subisce valutazioni negative
e può trovare da solo l’eventuale soluzione ai suoi problemi.
Esempi di frasi che introducono l’ascolto attivo:
- Ti senti …
- Dal tuo punto di vista…
- Mi stai dicendo che …
- Sembra che tu …
- Mi pare di capire …
- Vediamo se ho capito …
Esempi di frasi che facilitano l’espressione e il racconto di sé nell’interlocutore, inducono l’altro a raccontarsi o
a spiegare meglio il suo pensiero, l’evento che si sta descrivendo.
Questo aiuta la comprensione non sono nel ricevente ma anche nell’emittente che, dovendo spiegare meglio,
potrà approfondire ed aumentare il livello di consapevolezza.
I messaggi in prima persona sono più efficaci perché chi parla si assume la responsabilità del proprio stato
d’animo e lo esprime apertamente, lasciando all’altro la responsabilità del proprio comportamento.
I messaggi in prima persona evitano l’impatto, negativo e permettono all’altro di sentirsi considerato piuttosto
che risentito e arrabbiato.
Più precisamente, i messaggi “io”:
- Possono con molta facilità sollecitare la volontà di cambiamento
- Riducono al minimo la valutazione negativa dell’altro
- Non pregiudicano il rapporto
Molti dei messaggi con il “tu” hanno i seguenti effetti:
- Concentrano l’attenzione sull’altro
- Scaricano la responsabilità di quanto accade sull’altro
- Sono quasi sempre recepito dall’altro come valutazione negativa di sé stesso.
(Smettila, non dovresti comportarti così, non ti permettere mai più di, e non la smetti, perché fai così, sei
tremendo! ti stai comportando come un bambino, vuoi attirare l’attenzione, …).
Adolescenza e trasgressione sono costitutivamente legate: un ragazzo per crescere deve mettere in
discussione le regole che gli adulti hanno insegnato e che egli ha interiorizzato durante l’infanzia, per poterle
far proprie, per modificarle o per rifiutarle (Maggiolini, Riva, 1999).
Secondo una prospettiva relazionale il conflitto è la situazione in cui due o più individui si trovano in
disaccordo perché le loro posizioni, interessi, necessità, desideri o valori sono incompatibili o percepiti come
tali.
Le relazioni tra le parti possono uscirne rinsaldate o deteriorate in relazione al processo di soluzione.
In fase adolescenziale, uno dei compiti di sviluppo riguarda la richiesta di autonomia e il processo di
separazione ed individuazione del sé.
Solo attraverso il confronto, anche aspro, si avviano processi di ristrutturazione dell’identità dell’adolescente e
dei rapporti famigliari della nuova fase del ciclo di vita della famiglia.
I motivi di discussione spesso riguardano questioni ordinarie, quotidiane non temi valoriali o morali non si
arriva ad intaccare il legame affettivo profondo.
Il sé aggressivo adolescenziale si contrappone all’autorità, al mondo adulto per chiedere spazi di autonomia,
la possibilità di sperimentarsi come differenti dai genitori.
c. Stile trascurante disimpegnato, non sente la responsabilità educativa, non offre sostegno né
affetto, è disinteressato alle attività, ai pensieri e alle emozioni del figlio, scoraggia il dialogo e una
comunicazione a due vie; non tiene conto delle opinioni e dei sentimenti del figlio.
d. Stile autorevole dà spiegazioni circa le decisioni che assume, offre regole e limiti, mostra i
sentimenti e ascolta e dialoga con il figlio in modo empatico e valorizzandolo.
Vi sono alcuni atteggiamenti e stili genitoriali che facilitano il superamento del conflitto con figli adolescenti e
permettono una crescita sufficientemente armonica dei ragazzi:
1. Stile autorevole equilibrio tra richieste e sollecitudine; scambi comunicativi efficaci.
2. Disposizione all’ascolto attivo
3. Funzione di guida e sostegno (presenza sicura e rassicurante, un punto di riferimento.
4. Chiarezza dei ruoli educativi
5. Importanza di dire no e porre limiti.
Abbiamo visto nelle lezioni precedenti come la comunicazione sia: “Scambio interattivo, osservabile tra due o
più partecipanti, dotato di intenzionalità reciproca e di un certo livello di consapevolezza, in grado di far
condividere un significato sulla base di sistemi simbolici e conversazionali di significazione e di segnalazione
secondo la cultura di riferimento.
Secondo Beatson le persone “sono” in comunicazione e giocano sé stessi e la propria identità. Ogni scambio
comunicativo implica un’interazione concreta tra due o più persone e determina il tessuto che crea, modifica e
rinnova i legami tra soggetti.
La comunicazione diventa base costitutiva dell’identità e delle reti di relazioni in cui ciascuno è inserito.
Spesso gli adolescenti cercano modalità di comunicazione ed espressione di sé particolari (tatuaggi, graffiti,
stili di vita, diario intimo e poesie oppure internet e social network).
Il conflitto viene generalmente definito come un confronto acceso, di carattere vario e non definito: può essere
verbale, fisico o figurato.
Alla base di questa dinamica gioca un ruolo fondamentale la modalità comunicativa utilizzata dai soggetti;
essa, infatti, oltre ad essere il mezzo con il quale il conflitto si protrae, spesso è anche la causa del suo
avviarsi. Le incomprensioni e difetti di comunicazione ne sono infatti le ragioni più frequenti.
Alla base di ogni conflitto vi è una relazione. Questa affermazione è importante perché definisce il reale punto
di partenza di una comunicazione che evolve negativamente. Qualsiasi interazione, infatti, anche se
prevalentemente informativa, è rappresentante e portatrice della relazione che si crea tra gli interlocutori.
Definizione: “Il conflitto si esplicita in situazioni in cui nella discussione si intrecciano aspetti di tipo più ampio
del contenuto di ciò che si sta discutendo, tali da sfuggire alla specifica finalità della discussione, mettendo in
gioco l’aspetto relazionale del contendere” (Mizzau, 2002).
Non tutti gli scontri sono conflitti; abbiamo visto che l’aspetto di relazionalità già opera una discriminazione:
spesso discussioni o litigi, ad esempio, sono la causa di un conflitto, ma non lo rappresentano.
IL conflitto aperto si manifesta in scontri diretti, a livello verbale e non verbale, litigi, manifestazioni aggressive
o di rabbia: è esplicito.
Il conflitto coperto si articola in un sottile piano volto a colpire l’altro in maniera studiata e diretta, in profondità.
Si tratta di una modalità implicita.
La spiegazione primaria dell’origine di un conflitto risiede nel livello comunicativo: la funzione interattiva della
comunicazione prende forma andando in due direzioni che, però, si allontanano progressivamente fino a
divenire opposte.
Da una parte, la propensione a costruire e mantenere uno stato di quiete ed armonia. Qui la ricerca del
consenso porta alla condivisione e all’accettazione dell’altro e delle sue opinioni. Dall’altra, la motivazione
all’autoaffermazione porta il soggetto a mettere in secondo piano la condivisione e l’armonia per prevalere
sull’altro.
La comunicazione diviene così strumento atto a portare avanti le esigenze individuali e il procedere nella
seconda direzione incrementa la portata emozionale e cognitiva, generando in questo modo il conflitto.
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Il conflitto implicito si attua in maniera spesso ambigua e non chiara, proprio in virtù del fatto che lo scopo degli
interlocutori, pur essendo ben evidente, rimane su un piano nascosto a livello dichiarativo.
Le strategie tipiche di questa tipologia di conflitto si attuano in modi che permettono grande libertà di
interpretazione, che, nella fattispecie ha una duplice conseguenza: da un lato consente di ripararsi dagli esiti
negativi e rischiosi della conflittualità esplicita, dall’altro salva, in apparenza, dignità e credibilità dell’altra
persona, non evidenziando bruscamente quanto invece detto in maniera subliminale.
Le strategie per mettere in atto un conflitto possono essere:
Fare intendere nello scambio verbale, vengono utilizzati termini che suonano come “presupposizioni”, oppure
che rivelano intenzioni differenti da quelle evidenti (es. “Potresti almeno darmi una mano”).
Sottintendere: viene intenzionalmente omessa qualche informazione rilevante ai fini di una comprensione
corretta. Viene violato il principio di cooperazione di Grice (1967), secondo il quale il contributo del soggetto
alla conversazione deve contenere informazioni di quantità, qualità, relazione o pertinenza e modo sufficienti
ad una comprensione corretta e completa.
Dare ad intendere: in questa categoria rientrano le risposte intenzionalmente fuorvianti: le intenzioni sono
mascherate o la verità omessa. Il bluff al gioco ne è un esempio.
Impertinenze comunicative: vengono presi alla lettera modi di dire o affermazioni non pertinenti ma
contestualizzate. In questo modo si innesca un processo polemico o di difficile comprensione che genera il
conflitto.
Volontà di non capire: all’esposizione chiara es esplicita di un concetto (disturbante per il ricevente) viene data
una risposta intenzionalmente non pertinente, in grado di fuorviare il discorso.
Malinteso provocatorio: fraintendimento intenzionale, in certi casi mascherato ma in modo del tutto evidente
anche all’interlocutore (es. “Posso aver capito male” “si, senza dubbio”).
Fingere di non capire: questa strategia consiste nel dichiarare una mancata comprensione, rendendo invece
implicitamente evidente il contrario. Questo atteggiamento costringe l’interlocutore a ripetere, pur essendo
infastidito e generando così uno scambio comunicativo conflittuale.
CONFLITTO PROLUNGATO
La perpetuazione e il prolungamento della situazione conflittuale avvengono specialmente tra soggetti con
relazioni interpersonali durature e stabili e con un certo grado di conoscenza. Queste circostanze consentono
lo svolgersi e l’evolversi del conflitto “a più riprese” e con differenti modalità di attuazione.
È comunque anche possibile il verificarsi di un conflitto “prolungato” tra persone non legate da relazioni di
continuità: in questo caso ogni occasione di incontro viene impostata su una logica comunicativa conflittuale.
Obliquità comunicativa il bisogno e la preferenza di innescare un conflitto ma senza esporsi
eccessivamente porta a mettere in atto strategie che rientrano nel concetto di conflitto implicito
precedentemente trattato. La forma di comunicazione dell’obliquità comunicativa nasce dall’innescarsi del
contenuto del messaggio e della relazione esistente tra interlocutori.
All’interno di questa categoria distinguiamo:
- La generalizzazione: parlando per il tutto riferendosi al particolare
- La perpetuosità: opposta alla precedente. Le accuse sono formulate a partire da un particolare per
stigmatizzare una serie o la ripetizione di atteggiamenti della stessa categoria.
- Dire l’opposto: viene violata la massima di quantità di Grice
- Parlare d’altro: il focus del discorso viene spostato del tutto
- Silenzio: caso estremo, molto eloquente nelle intenzioni
Circolarità ogni comportamento è causa del comportamento dell’altro e viceversa. Si innesca così un
circolo vizioso di attribuzioni negative all’interlocutore e giustificazioni personali dal quale è difficile uscire.
La profezia che si autoavvera il pensiero costante o la paura che si avveri qualcosa di immaginato porta a
mettere in atto comportamenti per cui l’avvenimento temuto si verifica effettivamente nella realtà.
Impegno ed evitamento Il conflitto tra intimi si instaura lungo un continuum i cui estremi sono rappresentati
dall’impegno e dall’evitamento. Da una parte, infatti, si tende a ricercare un confronto verbale che sia
immediato e aperto, mentre dall’altra c’è la tendenza ad evitare il conflitto, e in particolare, le sue conseguenze
perlopiù negative.
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Si mettono in atto così, comportamenti di allontanamento. Il giusto equilibrio tra questi due estremi avvicina i
contendenti alla volontà di risoluzione.
LA RISOLUZIONE
Nella conclusione di un conflitto sono presenti moltissimi aspetti che coinvolgono il soggetto su più livelli.
Contrariamente alle fasi precedenti, infatti, non sono soltanto la valutazione emozionale e quella cognitiva a
dominare le azioni svolte, ma anche la previsione e la gestione di un piano e delle conseguenze a breve e a
lungo termine. La decisione di dirigersi verso una soluzione positiva o negativa per sé e per gli altri (o una non
– soluzione) determinano un’attivazione globale delle risorse dell’individuo.
È stato frequentemente verificato a livello sperimentale che si tende a privilegiare la scelta di proseguire con il
conflitto piuttosto che quella di trovare una soluzione. Un’altra modalità molto frequente è il mantenimento di
una situazione bloccata, una sorta di “pausa” che si rivela risolutrice. Questa avviene specialmente nei conflitti
a carattere episodico, che sono più frequenti, e che vedono coinvolti soprattutto componenti di un gruppo ben
definito (famiglia).
Tale comportamento si verifica anche perché, in questi casi, data la vicinanza, si attende che il conflitto venga
cancellato da altri eventi o aspetti di maggiore rilevanza nel contesto.
Cambio di livello
Una strategia particolare, ma spesso vincente è portare la comunicazione su un altro piano: il passaggio da
quello conflittuale, di scontro, a quello complice di gioco o di scherzo si rivela una tra le modalità risolutive con
frequente esito positivo.
Ironia, paradosso e gioco interrompono bruscamente la dinamica obbligando i partecipanti a bloccarsi per
comprendere un evento inaspettato. Proprio quest’ultimo, se anche piacevole, ridefinisce ruoli e posizioni e
permette di trovare un punto di incontro o di accordo per ripartire con una comunicazione basata su premesse
diverse.
- Comunicazione non verbale (CNV), chiamata anche comunicazione extra – linguistica e comprende
un insieme molto ampio di processi comunicativi
I sistemi che compongono l’insieme della comunicazione non verbale si intersecano nell’elaborazione di un
significato (cosiddetta porzione di significato) che è parte della configurazione finale.
Il rapporto che esiste tra i due sistemi è di intersezione: il codice linguistico, espressione della comunicazione
verbale, si appoggia ad una serie di sistemi non verbali di significazione e segnalazione che permettono la
creazione e l’identificazione di un messaggio globale.
A livello teorico vi sono due prospettive che si contrappongono:
1. L’ipotesi della contrapposizione dicotomica tra linguistico ed extra – linguistico: non contempla
l’intersezione tra sistemi linguistici ed extra – linguistici.
2. L’ipotesi dell’autonomia dei sistemi non verbali e relativa interdipendenza semantica: teorizza
un’interdipendenza tra i diversi sistemi caratterizzata però dall’autonomia degli stessi.
L’ambito comunicativo verbale, costituito dal linguaggio, parole e significati, non ha un’articolazione precisa e
standard. Esso, infatti, raccoglie in sé aspetti culturali e contestuali specifici che sfociano nel campo dell’analisi
del discorso.
Le aree di pertinenza della comunicazione verbale sono:
- Linguaggio
- Parole
- Relativi significati
Le aree di pertinenza della comunicazione non verbale sono:
- Espressioni e gesti del corpo
- Espressioni del viso
- Postura
- Aspetti vocali non verbali (tono, intensità della voce, …)
- I segnali che contribuiscono a dare significato alle parole eventualmente pronunciate
Gli SCOPI del comportamento non verbale, in ogni sua forma di espressione:
- Rendere manifeste certe informazioni riguardanti lo stato d’animo dei protagonisti dell’interazione e il
loro atteggiamento reciproco
- Stabilire la regolazione dei turni di parola attraverso la segnalazione e anticipazione
- Rendere evidente il livello di intimità tra gli interlocutori
- Stabilire gradi di dominanza e controllo tra i progetti protagonisti dell’interazione
- Fornire una presentazione degli stessi
I comportamenti non verbali accompagnano, supportano ed enfatizzano il nucleo prettamente verbale
dell’interazione; data questa premessa, però, va sottolineato un aspetto fondamentale e sul quale si basa la
maggior parte delle teorie e degli studi sulla comunicazione non verbale: non sempre il contenuto verbale e
quello non verbale di un messaggio nel contesto di un’interazione coincidono o sono coerenti.
L’aspetto non verbale è quasi totalmente sotto il controllo volontario del parlante contrariamente a quello non
verbale. Espressioni, gesti e movimenti spesso tradiscono i pensieri e le emozioni realmente provate
nonostante i tentativi di dissimulazione fatti dal parlante.
Sono proprio i comportamenti non verbali, infatti, ad essere evidenti e salienti per l’interlocutore: è noto,
inoltre, che l’espressione del volto sia l’aspetto più semplice da controllare, ma spesso contrastante con gesti
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e movimenti che denotano l’esatto contrario rispetto a ciò che il soggetto vuole mostrare.
Alcuni aspetti fondamentali della comunicazione non verbale sono: la prossemica, la cronemica e la postura,
aptica e sguardo.
Prossemica
Studio delle modalità con cui l’individuo percepisce e utilizza lo spazio che circonda. La distanza tra emittente
e ricevente del messaggio è un fattore che influenza la stessa interpretazione del messaggio.
In quest’area di studio in particolare è importante tenere presente le differenze che esistono tra le varie culture
nell’intendere questo concetto. È stato infatti dimostrato che la percezione e l’uso dello spazio hanno un tasso
di variabilità interculturale molto ampio.
Nell’analisi della comunicazione non verbale lo spazio viene diviso in 4 categorie a seconda della prossimità
del soggetto. Lo spazio è dunque:
- Intimo
- Personale
- Sociale
- Pubblico
La distanza tra gli interlocutori dipende anche dal genere, dallo status e dal ruolo sociale.
A livello evolutivo le origini della prossemica possono essere ricercate nella territorialità tipica degli animali. Gli
studi comunicativi a riguardo sono partiti dalla definizione di questa modalità di relazione che, tipica degli
animali, ha precise corrispondenze negli umani.
Cronemica
Questo ambito di studi riguarda l’utilizzo del tempo in contesti di comunicazione non verbale.
Il modo di usufruire del tempo e il modo di percepirlo e gestirlo sono aspetti che descrivono e definiscono
l’interlocutore. Puntualità e disponibilità di attesa, velocità dell’eloquio e durata sono gli elementi costitutivi da
valutare in sede di ricerca in questo ambito. La collocazione temporale e la frequenza di un’azione sono fattori
rilevanti nell’interpretazione dei messaggi non verbali.
Si possono identificare due modalità dominanti di gestione e percezione del tempo:
- Monocronica: il fattore tempo è considerato molto importante ed è caratterizzato da organizzazione
precisa e schematica. Viene scandito da eventi programmati ed è visto come qualcosa che può
essere controllato volontariamente o sprecato.
La tendenza è quella di compiere una sola azione alla volta. Questa modalità è tipica del Nord Europa
e del Nord America.
- Policronica: qui viene valutato maggiormente il coinvolgimento personale rispetto all’organizzazione e
l’enfasi è posta sull’aspetto relazionale più che sul controllo.
Questa modalità è tipica dei paesi orientali e del sud America.
Postura
Nella comunicazione non verbale la postura è un indice significativo per determinare il grado di risorse
attentive del soggetto e del suo coinvolgimento nell’eventuale interazione.
Gli studi hanno dimostrato come sia importante a livello relazionale la congruenza tra gli interlocutori: si parla
di immagine specchio e di posture complementari per spiegare la tendenza imitatrice e compensatrice dei
comunicati negli atteggiamenti.
La postura viene valutata attraverso i seguenti indicatori:
- Orientamento del corpo
- Chiusura
- Direzione del busto
- Posizione delle braccia
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Aptica
Lo studio del contratto da un punto di vista comunicativo. Tutti quei gesti che quotidianamente vengono fatti a
livello personale ed interpersonale sono un importante veicolo di messaggi. Essi possono essere: tenersi per
mano, stringersi, baciarsi, utilizzare gesti convenzionali (“dammi il cinque!” o “pacca sulla spalla”), grattarsi un
braccio, …
In un contesto comunicativo, questi comportamenti sono considerati come adattatori e veicolano messaggi
che svelano intenzioni, sentimenti e pensieri.
Fondamentale in questo ambito è la considerazione dell’intensità e del contesto, sia situazionale sia culturale,
per poter dare un significato pertinente all’azione.
Sguardo
Lo studio del contatto oculare e del movimento degli occhi è un ambito di ricerca tra i più significativi nel
contesto della comunicazione non verbale.
Di questa categoria fanno parte:
Guardare durante la conversazione
Frequenza e velocità dell’occhiata
Sbattere le palpebre
Dilatazione della pupilla
Movimenti muscolari orbitali
Reciprocità
Fissazione oculare
La comunicazione vocale
I segni paralinguistici sono essenziali per capire appieno un dialogo e, allo stesso modo, non si può
comprendere totalmente un discorso senza considerare i segni soprassegnati o prosodici, che risultano cioè
dall’applicazione delle categorie musicali alla catena parlata.
Tutto ciò acquista notevole rilevanza, non tanto in un normale contesto, ma soprattutto prosodia tipica del
linguaggio oratorio, che attiva tutta una gamma di tratti soprasegmentali.
Ci si riferisce qui ad alcune categorie paramusicali come:
- Volume o intensità di voce
- Altezza o livello della linea melodico – recitativa
- Attacchi e clausole
- Enfasi o foga con cui la frase è pronunciata
- Ritmo o velocità con cui si susseguono le varie unità dell’enunciato
- Legatura e spaziatura delle sillabe
- Alterazione della pronuncia di certe vocali e consonanti.
Fondamentale è il ruolo delle pause, sia piene sia vuote. Esse costituiscono infatti un organico codice con gli
altri elementi linguistici.
Le pause piene contengono:
- Vocalizzi
- Respiri o altri effetti
Le pause vuote prevedono l’interruzione silenziosa dell’eloquio.
La pausa riesce spesso a legare più di una congiunzione: riesce a creare infatti un’attesa che, gestita e
studiata, risulta essere una saldatura.
Inoltre, allungando l’attesa rende più soddisfacente l’esaudimento.
In questo gioco di parole e silenzi è naturale la rilevanza dell’aspetto del tempismo. Una pausa troppo lunga è
snervante, una troppo breve insufficiente a rendere l’aspetto che si vuole.
Gesti
Un gesto è qualsiasi movimento corporeo, non vocale, volto ad esprimere qualcosa e dotato di significato a
seconda del contesto, dell’intenzione e della soggettività di chi lo compie.
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I gesti sono molto frequenti a livello delle mani, ma possono essere svolti con tutto il corpo, con le braccia e
includono movimenti della testa, del viso e degli occhi.
Il legame tra gesti e linguaggio è fortissimo tanto che la comunicazione verbale e quella non verbale si
coordinano in virtù della presenza dei gesti.
Ottenheimer (2007) ha elencato cinque tipologie di gesti:
1. Emblemi sono gesti che significano qualcosa di per sé: sono una traduzione dell’aspetto comunicativo
verbale.
2. Gesti illusori mimano l’evento o l’oggetto inteso, per ottenere chiarezza maggiore
3. Gesti affettivi manifestano emozioni provate
4. Gesti regolatori forniscono una cadenza all’interazione
5. Gesti adattatori, tipo autocontatto o tic, riempiono il contesto relazionale
CONCETTO DI DISCORSO
Possiamo definire il sapere scientifico come un particolare linguaggio che ha come scopo quello di dare
spiegazioni, certe ed attendibili, nei vari ambiti della realtà.
La svolta portata dal recente dibattito epistemologico comporta la concezione delle discipline scientifiche come
universi di discorso, soggetti a continue riformulazioni ed esposti a conflitti di interpretazioni.
Ogni sapere scientifico è una pratica discorsiva regolata da specifiche procedure di produzione di senso o
significazione. (Anolli, 2002).
Discorso = atto del discorrere, esprimere il pensiero per mezzo della parola.
In un senso più specifico con il termine discorso si fa riferimento al parlare di qualcuno. Discorso = pratica di
costruzione di senso con la quale una particolare persona fa valere la sua unicità nel sistema di relazioni che
lo lega al mondo.
Nella tradizione della civiltà occidentale troviamo parole che definiscono in modo ambiguo, e mai univoco, la
capacità specifica dell’individuo di usare il linguaggio.
In greco logos vuol dire parola, ma anche RAGIONE.
Il discorso nella cultura occidentale ha dunque una doppia responsabilità: quella di dare consistenza e validità
alla razionalità e quella di prendersi cura degli eventi.
In conclusione, possiamo dire che: definendo il discorso si passa dalla risposta più semplice (linguaggio in
uso, pratica del parlare), a quella più completa di qualsiasi procedura umana di produzione di senso, questo ci
fa rendere conto di come la società umana sia costruita discorsivamente anche mediante pratiche talvolta
silenziose (Anolli, 2002).
Linguaggio Discorso
Psicologia Moderna: il linguaggio come metafora dello specchio
Psicologia Postmoderna: discorso come metafora della ragnatela
Lo spostamento terminologico da linguaggio a discorso dimostra il diverso valore assegnato all’agire
comunicativo e all’ordine simbolico come oggetto delle scienze umane, e in particolar modo della psicologia.
Nella psicologia moderna il linguaggio viene rappresentato con la metafora dello specchio, questo perché si
ritiene che il parlare umano faccia vedere qualcos’altro:
- Organizzazione della mente
- Struttura della società
- Flusso delle culture
Nella psicologia postmoderna la parola discorso viene comparata alla metafora della ragnatela, in quanto, si è
rilevato che il parlare è un’azione di tessitura autopoietica, da cui le persone attingono il senso globale della
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All’interno del costruzionismo sociale, negli ultimi 30 anni, è nato un orientamento di studio noto come Analisi
del Discorso (AD).
L’AD è una prospettiva di indagine sulla comunicazione (comunicazione intesa come una serie di pratiche in
grado di attivare vari sistemi di segni). I suoi assunti di base sono:
Natura socio – costruttiva della conoscenza (forma, cultura e contenuto dei processi cognitivi sono
situati nella storia e nella cultura di una data comunità).
Carattere intenzionale del significato ( azione intra individuale dell’intenzione di senso è legata con le
dinamiche interindividuali realizzate dai discorsi).
Partendo dal paradigma di Chomsky si possono evidenziare due principali direzioni di ricerca che hanno
permesso nuovi percorsi di indagine caratterizzabili come AD.
- Linguistica testuale pone l’accento sull’assetto gestaltico del parlare, inteso come il prende forma
in unità strutturate, che organizzano le procedure di connessione degli elementi linguistici in base alle
attese di coerenza e coesione della propria mente.
- Pragmatica linguistica sottolinea la natura di azione del parlare e il suo radicarsi inevitabile nel
contesto.
M. Foucault con la sua lezione inaugurale tenuta al Collège de France (1971) fornisce un manifesto
programmatico per l’AD.
In tale discorso affronta questi interrogativi: dove, quando, perché, come comincia e finisce un discorso?
La difficoltà nel rispondere a questi interrogativi sta nel fatto che il termine discorso è un termine ambiguo; gli
esseri umani sono sia soggetti che oggetti della parola. Allo stesso modo sono sia capaci di determinare un
assetto enunciativo sia inermi rispetto alle prescrizioni che escludono quanto è socialmente sgradito alla sfera
del dicibile (Anolli, 2002).
L’idea principale di Foucault è quella di rintracciare la trama che collega la produzione dei discorsi alle forme
di potere.
La capacità discorsiva umana viene intesa come una decisone all’ordine, e quindi ogni categorizzazione si
traduce in prescrizione (il discorso è nell’ordine delle leggi).
Foucault mette l’accento sui meccanismi di controllo e di esclusione che le società di discorso esercitano
stabilendo ordinamenti e gerarchie.
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Altro autore importante per l’AD è Van Dijk. Il suo lavoro si inserisce in una particolare direzione di ricerca
etichettata come Analisi Critica del Discorso (ACD).
L’ACD è indirizzata a far risaltare la tensione demistificatrice che dovrebbe animare qualsiasi indagine sul
nesso tra le pratiche enunciative di senso e l’ideologia dell’organizzazione sociale di appartenenza (Anolli,
2002).
ETNOMETODOLOGIA
Etno: conoscenza etnica; propria del senso comune; relativa alla società cui si appartiene e che ciascun
individuo possiede.
Metodologia: ragionamento pratico a cui ricorrono i membri di una società nel costruire e valutare azioni ed
eventi.
Essa intende esaminare la capacità degli individui di produrre ed interpretare l’interazione sociale in base a
comuni schemi socioculturali (Anolli, 2002).
Focus dell’attenzione: pratiche quotidiane
Obiettivo: esplicitare gli aspetti impliciti che in tali pratiche si danno per acquisiti da parte dei partecipanti.
Assunto di partenza: le attività attraverso cui le persone producono e gestiscono le relazioni quotidiane,
all’interno di una comunità, sono identiche ai procedimenti usati dai membri della comunità medesima per
renderle spiegabili (Anolli, 2002).
Due sono le caratteristiche delle pratiche quotidiane:
1. Indessicalità le attività pratiche sono indissolubilmente legate al contesto di uso, e il loro significato
è strettamente dipendente dalle condizioni contestuali.
2. Riflessività supera la dicotomia tra il fare società e lo spiegare la società; non esiste una società
(che fa) e una meta società (che riflette sulla prima e la spiega). La società è una sola e fornisce le
categorie sia per interagire sia per interpretare.
Garfinker (1967) ha studiato le regole che governano la conversazione e ha definito le procedure ad hoc e le
pratiche di glossa.
- Procedure ad hoc servono ai soggetti coinvolti nella comunicazione per collegare ad un contesto
specifico gli aspetti razionali del proprio agire sociale, con particolare attenzione alle norme.
- Pratiche di glossa rendere espliciti gli assunti a cui il parlante si riferisce, facendoli diventare
oggetto stesso della comunicazione.
Svolgono la funzione di disambiguare la comunicazione e di mostrare come essa vada intesa da parte
di chi vi partecipa.
Colloquio deriva dal latino “colloqui”, parlare con, parlare insieme. Il colloquio è un’intervista fissata di
comune accordo, tra due o più persone per dare l’agio all’una di sottoporre all’altra questioni di certo interesse,
oppure uno scambio di opinioni e idee con il fine di un avvicinamento e accordo tra correnti (partiti politici) o
ancora un qualsiasi esame orale che si svolga sotto forma di conversazione che permetta al candidato di
rivelare le proprie capacità e preparazione.
Quindi la definizione del dizionario, individua il colloquio con la presenza di due persone, di cui una pone delle
questioni mentre l’altra risponde; il fatto che vi sia un accordo comune e un oggetto, un fine e uno scopo, vi sia
un clima che favorisca la conversazione, tutti questi elementi vengono accettati come costitutivi delle
definizioni tecniche che gli autori principali che si sono occupati di studiare i colloqui propongono.
Indipendentemente dalla cornice teorica di riferimento, dal punto di vista psicologico, le varie definizioni di
colloquio prendono in considerazione tutti questi elementi.
Definizione di Carli e Padovani di “Colloquio” particolare tipo di test in cui il processo di conoscenza
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avviene attraverso il crearsi di un rapporto emotivo tra psicologo e soggetto nel corso del quale il conduttore
sospende ogni atteggiamento valutativo. Questo aspetto è importante non ci può essere giudizio e
valutazione; il colloquio viene realizzato mediante tecniche non direttive che consentono di far sentire a
proprio agio il soggetto, in modo che questo percepisca nel conduttore disponibilità e apertura affettiva e si
senta considerato come una persona con un proprio valore ed una propria autonomia.
Secondo questi autori il colloquio ha come suoi ambiti di applicazione, quello diagnostico e quello
psicoterapeutico.
Carli e Padovani individuano ed esplicitano quegli aspetti che sono già presenti nella definizione riportata dal
dizionario e che caratterizzano il colloquio in ambito psicologico cioè:
- Motivazione
- Scopo
- Processo di conoscenza
- Oggetto (azione)
- Mezzo di scambio (parola)
Bisogna considerare la situazione dinamica motivazionale e il rapporto emotivo che si instaura tra i
partecipanti. Essa si può creare anche su basi cognitive, può svilupparsi il processo conoscitivo.
La definizione di colloquio su cui è necessario riflettere è più ambia di quella relativo all’ambito psico –
diagnostico e psicoterapeutico.
Un colloquio è un particolare tipo di strumento caratterizzato da uno scambio verbale in una situazione
dinamica di interazione psichica, che permetta lo svilupparsi di un processo di conoscenza e per raggiungere
tale obiettivo ci si basa sul consenso tra conduttore e partecipante.
Per facilitare la conoscenza, il conduttore utilizza tecniche non direttive, consente al soggetto di sentirsi
valorizzato, non sottoposto a giudizio valutativo, trattato come persona da un’altra persona di cui percepisce la
disponibilità.
Nel 1980, Trentini, introducendo il “Manuale sul colloquio e intervista” sottolinea l’assenza in Italia, ma anche
in Europa, che proponga la trattazione di questo tema; il lavoro dell’autore si poneva di colmare questa lacuna.
Sempre negli anni ’80, Quadro e Ugazio presentavano una rassegna dell’utilizzo del colloquio in ambito clinico
e sociale e, a distanza di anni dal lavoro di questi autori gli studi sul colloquio si sono ampliati e sottoposti ad
approfondimenti ed i contributi sono arrivati da discipline anche non psicologiche. Il colloquio si situa
nell’interfaccia tra diverse discipline psicologiche e diversi ambiti di ricerca che contribuiscono in maniera
parziale, a completare questo puzzle di definizioni.
Un elemento costitutivo del colloquio è la Tecnica di analisi della domanda che prevede colloqui, interviste e
questionari. Il colloquio, quindi, a differenza di un questionario, prevede un’interazione ed una modalità di
linguaggio chiaro, semplice, monitorato costantemente in quanto vi è un substrato emotivo che garantisce
quella relazione.
TESTO ED ENUNCIAZIONE
La linguistica ha fornito contributi importanti per comprendere i processi che stanno alla base delle pratiche
discorsive quotidiane in grado di attivare vari sistemi di segni in interdipendenza tra loro.
- Linguistica: scienza del linguaggio
- Morfema: in linguistica, elemento formativo che conferisce aspetto e funzionalità alle parole e alle
radici, definendone la categoria grammaticale e la funzione sintattica.
In altre parole, sono le più piccole unità dotate di significato, esprimibili in un lessico.
- Frasi: unità strutturate che organizzano, a loro volta, unità elementari (fonemi e sintagmi).
Linguistica temporale
Regole generative della testualità (De Beaugrande, Dressler, 1981):
- Coesione: rispetto dei vincoli grammaticali della lingua
- Coerenza: garanzia di reciproca accessibilità tra le componenti testuali che devono essere attinenti ad
un particolare tema
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- Intenzionalità: le componenti testuali devono essere in sintonia con gli scopi dell’enunciatore.
- Accettabilità: considerare le aspettative e le capacità inferenziali dell’auditorio a cui il comunicatore si
rivolge.
- Situazionalità: congruenza tra le componenti testuali e le circostanze
- Informatività: grado di prevedibilità di ciò che le componenti testuali propongono in base alla loro
probabilità attesta
- Intertestualità: ogni testo è riconoscibile per il sistema di somiglianze e di differenze rispetto ad altri
testi.
Psicologia dell’enunciazione
Ha come scopo quello di reperire le procedure di modalizzazione del discorso, dal momento che esse
possono valere da indicatori del legame tra il soggetto ed il suo contesto di riferimento (Anolli, 2002).
- Verbi modali (potere, dovere, volere, sapere)
- Avverbi di modo (con suffisso -mente)
Modellano l’immagine di sé che chi comunica vuole consegnare a ciò che dice.
Altro indicatore di modalità è il grado di evidenzialità (posizione epistemica del parlante rispetto alle
informazioni trasmesse).
- Marcare con certezza (è ovvio, naturalmente, certo, davvero, giusto, …)
- Marcare come credenza opinabile (forse, si dice, …)
Da qui si può deviare il profilo di identità del parlante: può presentarsi come persona sicura/ affidabile o
insicura/dubbiosa. Le procedure di modalizzazione enunciativa possono essere utilizzate come base per
individuare gli stili personali di comunicazione.
La pragmatica linguistica fornisce all’AD la nozione basilare di azione sociale.
Lo scopo è quello di reperire l’ordine intenzionale del discorso, cercando di trovare risposta alle seguenti
domande:
- Come la comunicazione verbale come attività congiunta?
- Come le persone coordinano il loro parlare?
- Che cosa fanno con il linguaggio?
- Come usano per presentare sé stessi e compiere la vita sociale?
- Che cosa rende possibile le pratiche discorsive?
L’oggetto d’indagine della psicologia discorsiva è la produzione, la comprensione e lo scambio del significato
come fulcro che attiva la mente.
Assunto generale: la condotta umana è significativa per default in condizioni standard. In questa prospettiva
prevale una psicologia dell’azione rispetto alla psicologia cognitiva.
Il concetto di repertorio interpretativo esemplifica bene il passaggio dalla rappresentazione all’azione implicato
dalla psicologia discorsiva. In questo contesto di senso viene posto al centro dell’analisi il concetto di
rappresentazione mentale, in quanto dispositivo cognitivo in grado di elaborare, conservare e rinnovare la
conoscenza della realtà e il controllo su di essa.
Concludendo si può dire che la conversazione è un’attività complessa ed impegnativa in cui i partecipanti
giocano sé stessi attraverso le mosse che hanno a loro disposizione.
Oltre ad un’aria di superficialità e spontaneità, la conversazione nasconde in sé dispositivi comunicativi molto
potenti, i quali richiedono una grande attenzione nella scelta e nella calibrazione delle parole e dei segnali non
verbali.
Si ha una conversazione quando si ha un avvicendamento dei turni. In una conversazione a due il parlante A
parla e poi si ferma, inizia a parlare il parlante B e poi si ferma, riprende A e così via (si avrà quindi una
sequenza del tipo A-B-C-D). Si ha solo un 5% (a volte anche meno) di sovrapposizioni tra i due parlanti.
Questo dato ci dice come in una struttura così fluttuante e in apparenza casuale le sovrapposizioni siano
minime (e la loro durata è di pochi decimi di secondo).
Com’è possibile un’interazione così ordinata in circostanze molto disparate tra loro?
L’alternanza dei turni appare quindi regolata da un sistema variabile di segnali non verbali; come lo sguardo,
le espressioni facciali, e soprattutto le qualità soprasegmentali della voce (queste risultano molto utili nei turni
delle conversazioni senza visione come quelle telefoniche).
Le sequenze complementari
Sono un altro processo conversazionale a gestione locale. Esempi di frequenze complementari tipiche sono le
coppie comunicative domanda/risposta, invito/accettazione, scusa/minimizzazione, …
Esse sono:
- Normalmente adiacenti tra loro
- Sono prodotte da parlanti diversi
- Prevedono una distinzione di ordine tra la “prima parte” e la “parte complementare”
- Costituiscono routine comunicative, in quanto una prima parte richiede necessariamente il
complemento.
Solitamente chi ha enunciato la prima parte deve lasciare il turno all’interlocutore per lo svolgimento della
parte complementare.
L’adiacenza non costituisce un vincolo assoluto, ma può prevedere una sequenza – inserto che solitamente
consiste in un’altra coppia domanda-risposta:
- Mi può fare lo sconto?
- Ha la tessera dei soci?
- No
- NO
La prima parte (domanda o invito) può essere seguita da una gamma molto estesa di parti complementari:
- Che lavoro fa Gianni?
- Lavora con i PC
- Fa un po' di tutto
- Non lo so
- Vive di rendita
- Che c’entra con questo
Il concetto di preferenza
Tra le alternative delle varie risposte si possono individuare le parti complementari preferenziali rispetto a
quelle non preferenziali.
A livello comunicativo, il concetto di preferenza corrisponde a marcatezza, in quanto i componenti preferenziali
sono non marcati (sono semplici, fluenti – vedi conversazione A), mentre i componenti non preferenziali sono
marcati (sono cioè più elaborati e complessi – conversazione B).
L’analisi delle sequenze complementari mette in luce che nella conversazione compaiono vincoli comunicativi
che occorre tener presenti.
Questi vincoli possono trasformarsi in opportunità in quanto offrono gradi di libertà ai partecipanti in funzione
dei quali essi sono in grado di declinare le loro mosse a proprio vantaggio per raggiungere il loro scopo.
Le pre-sequenze
Solitamente la conversazione quotidiana non consiste in un flusso continuo di turni con il medesimo valore
comunicativo, ma si articola e si organizza in modo gerarchico con turni più rilevanti rispetto a turni secondari
e preparatori.
Questo fenomeno è particolarmente evidente con le pre-sequenze, ossia con scambi conversazionali che
prevedono dei turni preliminari:
- Che fai Valentino?
- Niente
- Hai voglia di venire al bar con me?
La logica comunicativa sottesa alla precedente modalità conversazionale è la seguente:
a. Una domanda preliminare volta ad accertare se è soddisfatta una certa precondizione
b. Indicazione che tale condizione è soddisfatta
c. Attuazione della proposta e dell’invito da parte del parlante
Oppure:
b2. La precondizione non è soddisfatta
C2. L’invito da parte del parlante non si realizza.
L’organizzazione conversazionale delle pre-sequenze è evidente anche nei preannunci e nelle pre-richieste.
Nel caso dei pre-annunci:
- Il turno preliminare serve ad attivare l’attenzione, l’interesse, la partecipazione dell’interlocutore
- La risposta di quest’ultimo risulta positiva
- Il parlante ha modo di esprimere al meglio la notizia preannunciata
a. Eleonora, hai sentito l’ultima?
b. No
c. Il preside ha sospeso le lezioni per domani dopo la nostra denuncia
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I saluti
In alcune culture l’inferiore deve rivolgere l primo saluto a chi è in una posizione sociale superiore; in altre
culture è il superiore che deve salutare per primo. Nella maggioranza delle culture occidentali le forme di
precedenza in materia si sono molto attenuate.
Spesso i saluti vengono accompagnati da domande rituali che riguardano lo stato di salute (come va?). In
Giappone questa domanda appare molto indiscreta, mentre in Vietnam si usa la domanda sul benessere
gastronomico (Come, ha mangiato riso?).
Tali differenze possono rappresentare la base per i malintesi e fraintendimenti, che se non chiariti, generano
malinteso su malinteso.
In società sempre più multiculturali e sempre più globalizzate, dove gli incontri e le conversazioni tra membri di
diverse culture sono inevitabili, tali differenze assumono una notevole importanza.
LA DISCOMUNICAZIONE
La comunicazione è sempre un’attività a rischio. Seguendo l’idea della psicologia ingenua le persone
avrebbero una predisposizione naturale a comunicare, come se la comunicazione fosse un dono di natura
fondato sulla trasparenza dei segni, come se la comunicazione fosse un dato e non un processo in cui gli
assunti non sono né totalmente prevedibili né deducibili dagli scambi precedenti.
Rispetto alla comunicazione per default parliamo di discomunicazione in tutti quei casi in cui gli aspetti impliciti
e indiretti della comunicazione prevalgono su quelli espliciti e diretti; emerge quindi uno scarto rilevante tra
detto e non detto.
La discomunicazione rappresenta non soltanto una mancanza e una violazione delle regole comunicative, ma
comprende anche le forme della comunicazione ironica, menzognera o seduttiva, del linguaggio figurato, della
finzione e della parodia.
Comunicazione per default e discomunicazione non rappresentano due ambiti separati e distinti di
comunicazione, ma fra essi esiste una soluzione di continuità che impedisce una netta separazione e
dicotomia.
Nel caso della discomunicazione, oltre a non avere la condizione di trasparenza né semantica né intenzionale,
abbiamo più che nella comunicazione per default, una condizione di opacità intenzionale cioè l’intenzione
comunicativa dell’attore risulta essere diversa dall’intenzione espressiva o informativa.
Vi è quindi una sorta di copertura/velatura intenzionale, in quanto il gioco tra i diversi livelli intenzionali
conduce ad un messaggio segnatamente plurivoco, lasciando al partner la responsabilità di disambiguare e di
scegliere un certo percorso di senso tra quelli possibili suggeriti dall’autore medesimo.
Vantaggi essa aumenta i gradi di libertà dei partecipanti; apre nuovi scenari comunicativi e dischiude nuove
possibilità di interazione sul piano relazionale e di condivisione dei significati. In questo senso la
discomunicazione può essere considerata un’opportunità.
La discomunicazione non può essere intesa come un fallimento della comunicazione, in quanto un fallimento
implica una sorta di arresto e di soppressione dello scambio comunicativo medesimo. Per default la
comunicazione non può né fallire né essere silente, ma è un sistema continuo e articolato di processi e
fenomeni che variano in modo flessibile e mutevole in funzione delle condizioni dei partecipanti e del contesto
di riferimento.
LA COMUNICAZIONE IRONICA
Ironia = nell’uso comune significa dissimulazione del proprio pensiero (e la corrispondente figura retorica) con
parole che significano il contrario di ciò che si vuol dire, con un tono tuttavia che lascia intendere il verso
sentimento.
A livello etimologico:
- Dal greco ironia significa finzione; colui che interroga fingendo di non sapere
- Dall’etimologia semitica di ironia deriva dall’accadico erewum, che significa coprire.
Sul piano comunicativo l’ironia si configura come una strategia del “fare come se” sfuggendo all’alternativa
vero-falso e sospendendo i parametri di giudizio che ne conseguono. È rivolta a raggiungere un’efficace
salvaguardia dei rapporti interpersonali, lasciando notevoli spazi di libertà per la gestione dei significati e le
relazioni.
L’ironia non è un fenomeno unico e fisso, ma copre una “famiglia “di processi discomunicativi:
Ironia sarcastica: consiste nel disprezzare il partner con parole di elogio. In questo modo non si vuole
attenuare la durezza dell’impostazione critica, ma all’opposto si vuole condannare l’altro senza
scomporsi, umiliandolo con sarcasmo e freddezza.
Ironia bonaria: consiste nell’elogiare il partner facendo ricorso a frasi di critica, così in questo modo è
possibile ridurre l’euforia dell’elogio diretto che può essere fonte di imbarazzo.
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Ironia socratica: consiste nell’usare un modo di comunicare che risulti elegante, ingegnoso, garbato
per mettere in discussione mode o dogmi senza sbilanciarsi né compromettersi.
Ironia scherzosa (o giocosa): si avvicina alla battuta di spirito e serve a sdrammatizzare
eventualmente una situazione tesa o conflittuale.
Possiamo, in conclusione dire, che l’ironia è l’arte di essere chiaro senza essere evidente. La chiarezza
dell’enunciato ironico non implica trasparenza comunicativa e per questa ragione l’ironia costituisce una forma
di discomunicazione.
L’ironia è come una maschera che copre ciò che si pensa e si prova, ma che per certi versi rivela ciò che
copre e opera altri versi copre ciò che svela.
Prospettiva razionalista: teoria avanzata da Grice che ha formalizzato l’impostazione classica dell’antifrasi, in
quanto l’enunciato ironico consiste nel “dire p facendo intendere non-p”. In questo senso l’ironia rappresenta
una trasgressione alla massima di Qualità.
Searle sostiene anch’esso questa posizione razionalista e identifica l’ironia come negazione logica
dell’interpretazione letterale.
Fish inoltre attribuisce particolare importanza all’interpretazione della comunicazione ironica. Non esiste ironia
univoca o equivoca: il dilemma si risolve nel livello di competenza del partner, perché l’ironia è una strategia
comunicativa indiretta, ma chiara.
In sintesi, possiamo dire che la prospettiva razionalista rimane ancorata all’articolazione linguistica della
comunicazione ironica e non prende in considerazione gli aspetti psicologici e relazionali della stessa.
Prospettiva macchiavellica: in questa teoria l’ironia viene intesa come forma comunicativa volta a creare una
serie di effetti sul partner, senza tenere in debito conto il rispetto delle regole formali del linguaggio, né la
veridicità del messaggio.
Implica la violazione delle attese contestuali del partner. Secondo l’ipotesi della simulazione allusiva gli effetti
ironici sono generati dall’allusione ad un’attesa mancata, prevista sul piano conversazionale (se uno fa una
brutta figura aspetta una critica e non un elogio).
Sempre secondo questa teoria alla base della comunicazione ironica vi è una condizione di incongruenza
suscitata dall’incoerenza e dalla mancata aderenza ad uno script atteso.
La comprensione dell’ironia dipende da un processo a due livelli:
1. La percezione di incongruenza rispetto alla situazione in oggetto
2. La rilevazione del valore ironico della frase come soluzione dell’incongruenza percepita
In questo senso possiamo dire che l’efficacia della comunicazione ironica è inversamente proporzionale alla
presenza di segnalatori espliciti e raggiunge il suo massimo livello quando risulta essere il più sottile e implicita
possibile.
Prospettiva teatrale
In questa prospettiva la comunicazione ironica è interpretata anche come finzione. Morgan parla di finzione
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trasparente: il parlante afferma qualcosa facendo finta di credervi e, nel medesimo tempo, segnala, attraverso
gli indicatori paralinguistici, che si tratta di una finzione. In questa prospettiva si colloca anche il concetto di
ironia come simulazione, propsoto da Clark e Gerring, ironista lungi dall’usare una frase per farne capire la
contraddittorietà, fa finta di servirsene e crea una sorta di complicità con il destinatario.
La comunicazione ironica si avvicina alla parodia: si fonda sul meccanismo dell’antinomia, contrapposizione
antitetica di due termini da cui sorge l’effetto ironico. L’ironia come parodia e come la rappresentazione
teatrale implica una sorta di complicità tra l’autore e il destinatario, in quanto richiedono la condivisione dei
livelli di comunicazione primario-secondario. Il commesso ironico comporta necessariamente la facoltà di
selezionare il destinatario in base alla competenza, alla condivisone di uno specifico patrimonio di conoscenze
e anche al riferimento ad un dato contesto.
Con la comunicazione ironica si crea una triangolazione comunicativa in quanto si verifica un’esclusione,
selezione di chi deve capire; in un certo senso è una comunicazione discriminante tra chi può e chi non può
capire. La comunicazione ironica diviene allora in questo senso, una strategia di esclusione (chi può capire è
incluso mentre chi non può capire ne rimane escluso).
Mitigazione dell’implicito: critica espressa in modo ironico appare più leggera di un insulto aperto; un
elogio espresso in maniera ironica appare meno imbarazzante di un apprezzamento esplicito
Accentuazione dell’implicito: un commento sarcastico risulta più mirato, calcolato e quindi incisivo di
una critica aperta.
La voce dell’ironia
La comunicazione ironica è un fenomeno fortemente vocale, originato, cioè, dal gioco contrastivo tra gli aspetti
linguistici e gli aspetti paralinguistici nella produzione di un dato enunciato.
Lo studio sperimentale della voce ironica ha posto in evidenza che:
- Il profilo vocale della comunicazione ironica è dato dalla combinazione di tono acuto e modulato,
intensità elevata e ritmo rallentato, in alcuni casi con una tendenza alla nasalizzazione.
- La voce ironica si presenta come una sorta di sottolineatura caricatoriale e una marcatura enfatica dei
tratti soprasegmentali, in funzione della quale l’ironia appare come tecnica per giocare con la voce, la
quale viene usata in modo non naturale ma studiato e premeditato.
I diversi profili vocali in riferimento alle diverse forme di ironia sono:
- IRONIA SARCASTICA si caratterizza per un tono fortemente acuto e ricco di variazioni e per
un’intensità elevata e costante (voce ampia e tesa) che enfatizzano il disprezzo.
- IRONIA BONARIA: è espressa con tono medio e modulato e con un’intensità non molto elevata
(ampia e distesa) che attenuano l’elogio.
LA COMUNICAZIONE SEDUTTIVA
Iniziamo questa parte relativa alla comunicazione seduttiva utilizzando una metafora che spiega bene il
cosiddetto dilemma del porcospino.
Stare insieme senza ferirsi: il dilemma del porcospino di Schopenhauer
“Alcuni porcospini, in una fredda giornata di inverno, si strinsero vicini vicini per proteggersi, con calore
reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche. Il dolore li costrinse di
nuovo ad allontanarsi l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò nuovamente a stare insieme,
si ripeté quell’altro malanno: di modo che venivano sballottati avanti e indietro tra i due mali. Finché non
ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione”.
La vicinanza e la distanza fisica e psicologica tra gli individui è oggetto di un complesso sistema di regolazione
che non può essere né definitivo né stabile, ma suscettibile di continue variazioni e oscillazioni.
La seduzione costituisce un importante processo di avvicinamento tra presone e l’esito sperato è quello di una
notevole diminuzione della distanza psicologica fra due individui.
Possiamo definire la seduzione come: una sequenza strategica ed intenzionale di mosse il cui traguardo è
quello di attrarre (anche sul piano sessuale) un’altra persona (di solito di sesso opposto). Lo scopo della
seduzione è quello di costruire un legame forte ed intrigante con il partner con l’obiettivo di raggiungere (con
lui o con lei) una relazione intima. (Anolli 2002).
In questa prospettiva la seduzione viene alimentata da sentimenti forti ed importanti, attivati
dall’innamoramento dell’altra persona. Essa, altresì, può consistere anche in altri tipi di giochi relazionali legati
all’autostima, all’immagine di sé, all’esigenza di mettere alla prova la propria capacità interattiva, …
Il processo comunicativo specifico, che permette il raggiungimento del traguardo della seduzione, rappresenta
la comunicazione seduttiva.
Storiella per descrivere le differenze di genere nel corteggiamento: Effetto Coolidge il termine deriverebbe
da una vecchia battuta secondo la quale la moglie del Presidente degli Stati Uniti Calvin Coolidge, in visita ad
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una fattoria sperimentale patrocinata dal governo, notò un gallo che si accoppiava molto frequentemente.
Chiedendo al suo accompagnatore quanto spesso avvenisse il fanno, le venne risposto “dozzine di volte al
giorno”. “Lo dica al signor Coolidge” replicò la First Lady.
Il Presidente, informato della cosa, chiese a sua volta “Ma ogni volta la stessa gallina?” “NO”, rispose il
contadino, “ogni volta con una gallina diversa”. “Lo dica alla signora Coolidge” disse il presidente.
Per la specie umana questo effetto si traduce in comportamenti comunicativi precisi durante il corteggiamento.
Gli uomini: tendono ad enfatizzare la loro posizione sociale e la loro disponibilità di risorse (come segno
implicito di capacità di mantenere la prole).
Le donne: tendono a privilegiare gli indicatori morfologici della bellezza, della giovinezza e della salute (come
segnali di fertilità).
All’interno di questa cornice prende avvio e si svolge la danza del corteggiamento, che ha lo scopo di
conquistare il partner con un gioco reciproco di seduzione che prevede una sequenza di tappe successive:
individuazione e selezione di un partner attraente e interessante; stabilire il contatto con il potenziale partner
attraverso opportune strategie di esibizione, al fine di farsi notare, di catturare la sua attenzione e di farsi
scegliere a sua volta; stabilire un reciproco avvicinamento per instaurare una relazione di intimità attraverso la
riduzione progressiva del grado di incertezza; decisione di mantenere un legame in una cornice di relativa
stabilità.
Per concludere è interessante notare come, dall’etimo, seduzione vuol dire:
- Se – ducere da un lato significa far deviare, nel senso di traviare, prendere la strada sbagliata, come
se la seduzione fosse una forza inarrestabile del destino che conduce alla perdizione; Nel linguaggio
comune richiama al serpente che promette ad Eva l’albero della conoscenza del bene e del male che
la renderà come Dio.
- Se – ducere da un lato significa condurre in disparte, appartarsi, al fine di far crescere l’intimità e
l’esclusività.
L’esibizione paradossale
La seduzione, pur essendo evidente, non è formalizzata; pur essendo esplicita, non è dichiarata. Questo
perché nella comunicazione seduttiva l’individuo mette in gioco sé stesso, ma allo stesso non può rischiare un
rifiuto netto da parte del partner, dall’altro dall’esigenza di rispettare la sua libertà. Per questo motivo,
l’esibizione seduttiva non può diventare costrizione violenta e tantomeno abuso.
La comunicazione seduttiva inoltre implica un certo grado di responsabilità relazionale, in quanto implica un
coinvolgimento diretto e totale, una dichiarazione di responsabilità all’avventura e all’impegno nei confronti
dell’eventuale compagno/a.
Una volta avvenuto il contatto tra i partner si passa alla fase di avvicinamento reciproco.
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In questa fase ci si scambiano conoscenze sulle proprie esperienze, si narra sé stessi e la propria vita all’altro
e questo fa sì che si riduca l’incertezza, limitando il rischio di rendersi vulnerabili l’un l’altro.
La seduzione viene spesso definita come una forma di manipolazione, una sorta di rielaborazione tendenziosa
della verità mediante la presentazione alterata o parziale delle notizie, per manovrare, secondo i propri fini,
qualcun altro.
L’idea della seduzione come meccanismo comunicativo di distorsione della verità che opera dal dominio della
completa inconsapevolezza sembra suggerire l’idea della seduzione come, appunto, manipolazione.
In questo senso la seduzione è concepibile come una forma di inganno. Tuttavia, la seduzione non coincide
necessariamente con una forma di inganno simile alla manipolazione.
Nella seduzione le emozioni hanno un ruolo centrale nel modulare la comprensione del contenuto che viene
comunicato e inoltre la seduzione può essere esplicitata (a differenza dell’inganno) e portare ad un guadagno
condiviso. In questo senso la seduzione ha un significato positivo e può essere vista come un impulso a
conoscere e fare qualcosa di nuovo.
Si può pensare che l’accezione negativa legata alla seduzione, almeno nella tradizione filosofica occidentale,
ha nozione di decisione, deliberazione contrapposta alle emozioni. In questa prospettiva l’uso critico della
ragione sembra avere poco a che fare con il carattere soggettivo e temporaneo dei fenomeni emozionali il cui
funzionamento è automatico, inconscio e obbligato dalle emozioni.
Altri autori hanno sostenuto che nella presa di decisione, la vigilanza ovvero la capacità che ci permette di far
fronte agli inganni e ai tentativi di manipolazione svolge un ruolo fondamentale nel filtrare le emozioni. C’è un
meccanismo cognitivo adibito alla vigilanza, che ci permette di cogliere quello che dicono gli altri in termini di
malevolenza (che è un aspetto emotivo), in termini di falsità (aspetto epistemico), con l’intenzione di
ingannare. Questa capacità che ci permette di vedere questi aspetti ci aiuta a prendere delle decisioni
attraverso la ragione e la valutazione degli argomenti addotti dall’interlocutore, quindi ci permette di capire se
possiamo dare fiducia o no all’interlocutore.
In questo senso la seduzione può essere distinta dall’inganno e dalla manipolazione affinando l’aspetto
affettivo della vigilanza; nella seduzione le emozioni contribuiscono alla valutazione sia della fonte sia del
contenuto dell’informazione comunicata e quindi, diversamente dall’inganno, dove le emozioni svolgono un
ruolo negativo, la seduzione presuppone un ruolo positivo delle emozioni che porta la persona sedotta a
pensare maggiormente e ad avere maggiormente attenzione.
Quando pensiamo alle prese di decisione ispirate ai principi di razionalità, basate su informazioni veritiere si
tenta di tenere distinti gli aspetti emotivi e persuasivi dai quali possiamo essere sedotti ed ingannati.
Uno degli autori che ha contribuito a fissare il confine tra comunicazione e seduzione, denunciando l’invasione
dei processi di seduzione e dando una valutazione negativa degli stessi, fu Baudrillard, la cui prospettiva parte
da un’analisi dei comportamenti di consumo e da un attacco alla società post-moderna in cui è stato creato il
bisogno di avere bisogno. La seduzione sarebbe quindi lo strumento che il marketing e la comunicazione,
soprattutto in ambito pubblicitario, utilizzano per condizionare i comportamenti di consumo il cui obiettivo non
sarebbe quello di acquistare dei beni di cui si ha bisogno ma di avere la rappresentazione simbolica degli
oggetti. Gli oggetti sono considerati segni e ciò che conta è appropriarsi della loro immagine, consumarli come
parte di un linguaggio.
In questo quadro avviene una valutazione negativa dell’ipertrofia di immagini e segni considerati parti di una
realtà illusoria. La conseguenza di questa prospettiva è credere che sedurre coincida con spostare l’altro dalla
realtà, sviare, volgere le cose verso un gioco di apparenze e rendere fragile e affascinante. Tuttavia, gli aspetti
emotivi e persuasivi, che hanno lo scopo di convincere l’altro della veridicità di ciò che stiamo comunicando,
sono comunque presenti in qualunque atto comunicativo.
La seduzione è un tipico effetto espressivo che dipende dalla capacità dell’emittente di esprimere un forte
valore di sé stesso. Rinunciando a dare valore e significato al modo in cui comunichiamo un contenuto, stiamo
rinunciando a rendere condiviso e comprensibile il nostro messaggio e questo diviene un duro prezzo da
pagare, sia in ambito pubblicitario ma anche in amore o in tutte le iniziative volte a generare una tendenza
(moda, commercio, …) in cui l’obiettivo di raggiungere un aspetto persuasivo è esplicito e in tutti questi casi, è
evidente il ruolo predominante della funzione espressiva che determina l’efficacia del messaggio.
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Nel processo di comunicazione seduttiva, il cui obiettivo è quello di condurre il destinatario a condividere i
propri valori e le emozioni, diventa rilevante la valutazione di successo dell’azione comunicativa.
Gli aspetti negativi della comunicazione persuasiva, cioè indurre un comportamento d’acquisto specifico ad
esempio non legato ad un bisogno funzionale, si trasferisce alle modalità di comunicazione conducendo a
scindere la buona dalla cattiva comunicazione secondo parametri che vedono da una parte l’argomentazione
logico – simbolica, il cui esito è una conseguenza veritiera e accettabile delle regole asettiche del sistema
logico di riferimento, dall’altra quelle di seduzione che includono anche gli aspetti emotivi legati all’aspetto non
verbale e paraverbale.
anche di trasmettere segnali di socievolezza, entusiasmo, virilità. Successivamente, dopo essere riusciti a
stabilire il contatto iniziale, la voce diviene tenera e calda, caratterizzata da un tono più basso e da un’intensità
più debole per favorire l’avvicinamento reciproco e stabilire un legame affettivo.
Seduttori non efficaci: presentano una voce debole e piatta, monotona ed uguale, senza variazioni rilevanti nel
corso dell’interazione seduttiva; il tono è basso e con intensità debole. Si tratta di una voce calda e anche
noiosa.
L’insieme dei segnali non verbali della comunicazione seduttiva rimanda alla capacità di sintonizzarsi con il
partner attraverso l’attenta valutazione dei suoi feedback a cui adeguare il messaggio successivo.
Si tratta di riuscire a manifestare un’attenzione incondizionata verso il partner, di farlo sentire esclusivo ed
indispensabile, nell’inversione di un ruolo per cui seduce chi si mostra sedotto.
LA COMUNICAZIONE MENZOGNERA
Rappresenta una forma rilevante di discomunicazione ed è stata oggetto di numerosi studi in questi ultimi 30
anni.
Possiamo individuare due filoni di ricerca:
1. Studi naturalistici sul campo: attraverso la rilevazione dei comportamenti ingannevoli attuati nel corso
della vita quotidiana.
2. Studi sperimentali di laboratorio: attraverso l’analisi sistematica dei processi cognitivi, emotivi e
comunicativi coinvolti nell’agire menzognero.
Prima di addentrarci nel territorio della comunicazione menzognera è utile definire bene il termine menzogna.
La menzogna NON è finzione; la prima, infatti, rimanda al concetto di falso, mentre la seconda rinvia al
concetto di finto. Esempio: “La maschera è finta” (esibisce i segni del suo non essere vera) mentre “La
parrucca è falsa” (in quanto vuole essere creduta per quello che non è).
La finzione è fare finta, è la trasposizione di una certa attività con un dato significato in un’attività analoga che
in un altro contesto assume significato diverso (un esempio è il gioco del dottore da parte dei bambini, il loro
giocare al dottore è molto diverso dalla professione medica in una situazione standard).
La finzione è la negazione palese e ostentata di ciò che appare. Rientrano in questa categoria fenomeno e
processi diversi tra i quali: la satira, la parodia, l’ironia e l’umorismo, l’arte e la letteratura, l’immaginario dei miti
e delle saghe popolari.
La finzione costituisce quindi il risultato delle capacità di inventare da parte dell’essere umano ed è un’attività
improntata alla fantasia e all’immaginazione.
La finzione implica la distinzione tra il mondo reale e il mondo fantastico e la consapevolezza che durante tale
attività (gioco di finzione) le proprie azioni non sono vere in quanto non producono effetti sulla vita reale. Nella
finzione il valore della verità non è né fondamentale né decisivo, importanti sono invece i valori della creatività
e della bellezza.
Nella menzogna il valore di verità è essenziale.
Menzogna ed errore
Esiste una grande differenza tra menzogna ed errore. Nella menzogna si conosce la verità e poi si dice il
falso; nell’errore si dice il falso senza essere consapevoli e pensando di dire il vero, poi si viene a conoscenza
della verità. Se una persona dice il falso per errore nel momento in cui lo dice non lo ritiene tale.
Menzogna e segreto
In questo caso abbiamo a che fare, in entrambi i casi, con l’occultamento intenzionale di informazioni. Sia chi
tiene un segreto sia chi dice che una bugia non rivela intenzionalmente un’informazione. Tutti sanno però che:
un conto è dire una menzogna, un conto è tenere un segreto.
Il segreto è una conoscenza che una persona (Tizio) non vuol far sapere ad un’altra persona (Caio) poiché si
sente in diritto di non fargliela sapere. Tale diritto riguarda certi ambiti della propria vita personale e sociale.
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Il diritto a tenere un segreto entra in competizione con il diritto a sapere da parte dell’interlocutore.
Il giudice ha diritto di sciogliere il segreto professionale in udienze riservate e nei casi previsti dalla legge. In
questa prospettiva il segreto è il risultato di un processo di negoziazione fra il diritto di tacere di Tizio e il diritto
di conoscere di Caio. Il segreto può divenire una menzogna quando Tizio non ha il diritto di tacere e Caio ha il
diritto di conoscere. In questo caso il segreto si trasforma in omissione di informazioni che è un esempio
classico di inganno e menzogna.
L’inganno non è una categoria comunicativa omogenea, ma è articolata al suo interno in diverse
sottocategorie.
- Auto-inganno e falsità patologica: l’impiego sistematico e regolare della menzogna nell’interazione con
gli altri;
- Menzogne preparate: solitamente usate per evitare una punizione
- Menzogne impreparate: per far fronte ad una situazione imbarazzante
- Bugie pedagogiche: per rassicurare un bambino
- Bugie innocenti o convenzionali: dette per buona educazione
Incrociando due fattori (volere che l’interlocutore creda il falso e non volere che egli creda il vero) si ottengono
4 sottogruppi di inganni:
1. Omissione: il parlante omette di fornire al partner alcune informazioni essenziali per gli scopi di
quest’ultimo
2. Occultamento: il parlante nasconde alcune informazioni rilevanti, fornendo al partner informazioni
divergenti o secondarie per fargli assumere false credenze.
3. Falsificazione: il parlante deliberatamente invia al partner informazioni che sa essere false
4. Mascheramento: il parlante cela informazioni importanti e pertinenti, fornendo al partner altre
informazioni false.
Non è quindi necessario dire il falso per dire una menzogna, anzi spesso vero e falso sono mescolati tra loro.
Si può dire una menzogna anche dicendo la verità (come nelle esagerazioni), o facendo sì che pur dicendo la
verità il partner assuma false credenze sulla base di false presupposizioni.
Il parlante può produrre in base a quanto detto sopra:
- Inganno per commissione
- Inganno per omissione
Non è corretto però parlare di categorie di inganno come se fossero categorie discrete, separate da confini
precisi e netti, ma è più corretto parlare di un continuum di fenomeni ingannevoli, dai confini sfumati, sulla
base di una certa somiglianza di famiglia.
INTERPERSONAL DECEPTION THEORY (IDT) elaborata da Buller e Burgoon, questa teoria assume
un’impostazione strategica nella spiegazione dell’inganno e considera la comunicazione menzognera come
una categoria comunicativa a sé stante, contrapposta a quella veritiera. I mentitori controllano in maniera
strategica le informazioni dei loro messaggi ingannevoli con lo scopo di presentarsi in modo affabile.
L’interazione menzognera è vista come una serie di mosse e contromosse e il successo il fallimento finale
dipende dall’abilità di entrambi i partner (contendenti): si ha successo se il mentitore è in grado di trasmettere
informazioni false in modo credibile e se il partner non è abile nello scoprire la menzogna attraverso gli indizi
di smascheramento; nel caso opposto si ha il fallimento.
La teoria dell’IDT ha distinto all’interno dell’interazione ingannevole la comunicazione strategica e quella non
strategica:
- Comunicazione strategica è attuata in modo consapevole dal mentitore con lo scopo di presentarsi
in modo credibile e sincero e di fornire un’impressione onesta di sé mentre sta dicendo il falso.
Le strategie comunicative impiegate in questa direzione sono:
a. Incertezza (o vaghezza): inviare messaggi volutamente ambigui, con la presenza di informazioni
irrilevanti, l’impiego modesto di verbi assoluti, …
b. Reticenza (o non immediatezza): ritirarsi da un’intenzione diretta attraverso risposte più brevi, tempi
di latenza lunghi per le risposte, minore frequenza nello sguardo, distanza prossemica ampia, …
c. Dissociazione: allontanare da sé la responsabilità della menzogna per mezzo di un limitato
riferimento alle proprie esperienze ed interessi, maggiore riferimento agli altri, scarsa immediatezza
linguistica, …
d. Protezione dell’immagine e della relazione: presentarsi in modo positivo e favorevole attraverso
cenni del capo, sorrisi, evitando le interruzioni delle frasi o delle parole, …
- Comunicazione non strategica essa è formata dagli indizi di smascheramento, che sono involontari
e non intenzionali, quando il mentitore non è in grado di controllare la produzione del proprio discorso
menzognero, essi sono rivelatori della presenza di inganno e si possono raggruppare in tre categorie:
a) Rivelatori di attivazione emotiva e di nervosismo: l’ammiccamento frequente, il tono elevato della
voce, la disfluenza e la presenza di errori linguistici, numero elevato di errori linguistici, numero
elevato di movimenti delle gambe e dei piedi, maggiore frequenza dei cambiamenti di postura, …
b) Rilevatori di effetti negativi: espressioni facciali di spiacevolezza, ridotto contatto oculare, maggiore
frequenza di frasi negative, …
C) Rilevatori di incompetenza comunicativa: esitazioni e ripetizioni di parole, frasi brevi e interrotte,
maggiore frequenza di pause piene e vuote, asincronia fra il canale linguistico e gli altri canali non
verbali, …
Secondo la teoria IDT possiamo considerare la comunicazione menzognera come l’esito di un bilanciamento
tra segnali intenzionali e segnali non intenzionali. Se prevalgono i primi è probabile che la menzogna abbia
successo, se prevalgono i secondi è probabile il fallimento della menzogna.
DECEPTIVE MISCOMMUNICATION THEORY (DeMiT): proposta da Anolli, Balconi e Ciceri (2002). Questa
teoria assume che la comunicazione menzognera sia un processo eterogeneo e non omogeneo. In
particolare, si distingue tra: menzogne ad alto contenuto e menzogne a basso contenuto.
Le prime hanno conseguenze serie sia per il mentitore (perdere la faccia e l’autostima, essere attaccato come
bugiardo e disonesto, …) sia per il partner (essere sfruttato a vantaggio del mentitore, essere danneggiato nei
propri interessi, …). La comunicazione menzognera, inoltre, sempre in base a questa teoria, è governata da
un atteggiamento intenzionale o complesso e graduabile in funzione della produzione dell’atto ingannevole
entro un dato contesto relazionale. Essa segue comunque gli stessi meccanismi e processi cognitivi di
pianificazione del messaggio della comunicazione veritiera. La comunicazione menzognera è realizzata
seguendo le regole di una gestione locale degli scambi conversazionali, legate ad una situazione contingente
e con la condivisione di un focus discorsivo.
In funzione di questa gestione locale si distinguono:
- Mentitori ingenui: quelli che spesso falliscono
- Mentitori abili: quelli che solitamente hanno successo
49
LA COMUNICAZIONE PATOLOGICA
La comunicazione schizofrenica
La comunicazione è un’attività relazionale articolata che va a toccare le radici dell’identità personale e della
posizione sociale di ogni individuo; essa è costituita dal se di ogni soggetto e per questo la comunicazione
stessa è una condizione essenziale del benessere e del disagio psicologico.
La sofferenza psicologica è strettamente collegata con quanto gli altri ci hanno comunicato attraverso parole,
gesti o fatti.
Molti psicologi clinici hanno ipotizzato una stretta interdipendenza tra disturbi comunicativi e disturbi patologici,
in quanto i modi di comunicare costituiscono fattori fondamentali per la genesi e il mantenimento dei disturbi
mentali.
La schizofrenia rappresenta una delle forme più gravi di disagio psichico ed è caratterizzata da un dissesto
generale della personalità che va dalla percezione e dal pensiero ai sentimenti e alle emozioni, ai rapporti
sociali e produttivi. Il soggetto schizofrenico tende a rifiutare ciò che è evidente in quanto pura apparenza e
invece tende alla continua ricerca di indizi che convalidino la sua vera interpretazione della realtà.
La sua attenzione tende a mantenere uno stato di ipervigilanza e il suo pensiero è caratterizzato da forme
deliranti di costruzione di eventi e di interpretazione della realtà.
Presenta inoltre una forma di iperintenzionalità in quanto coglie segnali minimi degli altri per attribuirvi
significati particolari e bizzarri.
Niente è privo di senso per uno schizofrenico e niente può sfuggire al suo controllo, tutto va previsto. In questo
modo si crea un enorme distacco tra realtà esterna e il suo mondo mentale,
A livello comunicativo parliamo di uno stile comunicativo contraddittorio, frammentario, dispero,
sgrammaticato, con la presenza consistente di neologismi e di forme sintattiche idiosincratiche. L’esito di
questo tipo di comunicazione è l’incomprensibilità e l’inafferrabilità. In questo modo egli può mantenere il
controllo nel confronto delle relazioni con gli altri, con la presunzione di restarne fuori.
Allo stesso modo si giunge ad una condizione comunicativa indicibile perché diventa impossibile pronunciarsi
sulla realtà dei rapporti e ogni scambio comunicativo finisce nell’ambiguo e nel vago.
Parliamo quindi di una situazione relazionale caotica ed imprevedibile, caratterizzata da:
- Impenetrabilità: che comporta l’impegno a non definire sé stessi, a comparire come una sfinge
enigmatica, a comunicare in modo criptico ed incomprensibile.
- Imprendibilità: comporta la situazione di irraggiungibilità, di collocarsi fuori dagli schemi standard
previsti dalla cultura di appartenenza e della comunicazione di default.
L’impenetrabilità è una condizione comunicativa alla base dei giochi psicotici della famiglia. Parliamo di:
1. Imbroglio: consiste in una cera e propria truffa relazionale e si svolge in più tappe. Prima si ha una
coalizione stretta fra un genitore e un figlio contro l’altro genitore, ma appena tale coalizione rischia di
diventare insostenibile, il figlio è abbandonato dal padre a favore del suo riavvicinamento con la
madre. Il risultato di questa triangolazione è che il figlio si sentirà ingannato e strumentalizzato per i
giochi di coppia fra i suoi genitori. Questa condizione relazionale di imbroglio comporta autentiche
tempeste emotive, un misto di rabbia, vergogna, confusione e impotenza che se protratte nel tempo
conducono a esiti psicologici infausti.
2. Istigazione: processo di comportamenti da parte del genitore per spingere un figlio ad avere una serie
di reazioni aggressive contro l’altro genitore. Il figlio è quindi strumentalizzato dalla madre per
vendicarsi del marito, per togliergli il potere, per rispondere alle provocazioni, … Il risultato anche in
questo caso è l’emergere di emozioni violente e negative.
Imbroglio ed istigazione rappresentano giochi sporchi, in quanto i partecipanti fanno ricorso a mezzi
comunicativi sleali come menzogne sfacciate, raggiri, truffe, vendette camuffate, pseudo seduzioni, promesse
ambigue, …
Storia di Sara siamo di fronte ad una storia che presenta elementi di gravità clinica cioè l’esordio giovanile,
manifestazioni sintomatiche rilevanti, i comportamenti altamente inadeguati in certe situazioni.
La scarsa coscienza e consapevolezza della malattia con conseguente rifiuto di curarsi e di fare terapia.
Questi esordi e questi comportamenti sono anche conseguenza della sensibilità di questa ragazza che
influisce sulla tipologia dei sintomi presentati. In questo caso possono derivare anche dal fatto che non si sia
costituito subito, tra la paziente e chi cerca di curarla, un rapporto di fiducia; questo non è raro nei soggetti
schizofrenici, in quanto difficili da conquistare nella collaborazione terapeutica. Si deve poi considerare che la
collaborazione medico-paziente, mancata fino a quel momento, non possa realizzarsi in futuro. Talvolta, i
pazienti schizofrenici riescono ad instaurare un rapporto di fiducia con il terapeuta dopo averne scartati diversi,
anche molto validi.
La paziente, nonostante la malattia e le difficoltà di vario genere che hanno impedito l’intraprendere una
continuità terapeutica, hanno mantenuto delle aree di funzionamento psichico e di buon adattamento alla
realtà; nonostante i momenti di crisi, essa raggiunge degli obiettivi scolastici e musicali e supera delle
difficoltà. Questo conferma che vi sono delle aree di funzionamento che comportano un miglioramento, e
questo fa anche pensare che i pazienti schizofrenici non sono destinati al deterioramento grave e totale delle
funzioni psichiche e all’emarginazione dalla società, ma, anzi, vi sono delle aree di funzionamento che
vengono ancora mantenute e su quelle si può lavorare per sostenere e facilitare un adattamento alla realtà.
Non è da escludere che gli interventi terapeutici proposti fino ad ora non siano stati vissuti da Sara come un
tentativo di invadere il suo modo d’essere e di vivere piuttosto che un valido sostegno ed aiuto.
La fragilità di fondo dei pazienti schizofrenici, il timore di essere manipolati e costretti dalla volontà altrui li
porta spesso a diffidare delle terapie proposte considerate come strumenti di manipolazione per ottenere
potere su di loro, sia nella mente che nel corpo.
I farmaci vengono vissuti come strumenti pericolosi nelle mani di un medico di cui ancora questi pazienti non
si fidano e sicuramente, anche le modalità di comunicazione che sostengono l’alleanza e facilitano la
costruzione di una relazione di fiducia sono estremamente importanti (non soltanto medico- paziente ma
anche tra i membri della famiglia).
C’è bisogno di un reale sostegno che mantenga l’alleanza non solo tra Sara e i medici ma anche tra i membri
della famiglia che la sosterranno durante la riabilitazione clinica.
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LA COMUNICAZIONE PARADOSSALE
Paradosso: contraddizione che deriva dalla deduzione corretta da premesse coerenti. Vi sono 3 tipi di
paradossi:
1. Antinomia logica: comporta una contraddizione sul piano formale, come “la classe di tutte le classi che
non dono membri di se stesse” risolta da Russell con la teoria dei tipi logici;
2. Antinomia semantica: implica un’incoerenza contraddittoria del linguaggio come frase detta da un
cretese “Tutti i cretesi sono bugiardi”, risolta da Carnap e Tarski con la teoria dei livelli di linguaggio;
3. Paradosso pragmatico: consiste in messaggi paradossali come ingiunzioni e predizioni. L’ingiunzione
“Sii spontaneo!” rappresenta l’esempio paradigmatico della comunicazione paradossale.
Qualsiasi persona che riceve questo messaggio si trova in una posizione insostenibile, questo perché tale
ingiunzione richiede di essere obbedita, ma di fatto deve essere disobbedita per essere obbedita.
La comunicazione paradossale implica che vi sia una relazione asimmetrica tra chi avanza l’ingiunzione e chi
deve seguirla (genitore – figlio, generale – soldato, …); richiede inoltre che il destinatario dell’ingiunzione non
è nella condizione di uscire fuori dallo schema relazionale e di meta comunicazione ribellandosi a tale
ingiunzione.
Esempi di comunicazione paradossale:
- Dovresti amarmi (se una persona ama un’altra per suo ordine o per dovere non può più essere
considerato amore inteso come sentimento spontaneo).
- Voglio che tu mi domini (frase detta dalla moglie al marito, in questo caso come fa il marito a dominare
un’altra persona che glielo ha comandato).
- Non essere così obbediente (frase detta dai genitori al figlio, con la situazione comunicativa
dell’esempio precedente).
In questa condizione si assiste ad un modello di comunicazione nel quale ciò che è detto a voce è
regolarmente smentito a livello non verbale.
Facciamo un esempio: Una madre depressa che si rivolge al suo piccolo dicendogli: “Vieni qui in braccio a me
caro” – e non appena il figlio si avvicina lei ha un moto di irrigidimento per il suo avvicinarsi.
Abbiamo in questa situazione una desincronizzazione e una desintonizzazione strutturale e funzionale fra i
diversi sistemi di significazione e segnalazione.
L’esito è la frammentazione e la dispersione del significato che non riesce a comporsi in un’unità conclusiva e
coerente; il destinatario si sente dunque smarrito e mentalmente confuso, poiché non sa quale pezzo o parte
di significato assume come valido. Di conseguenza qualunque parte di significato egli assuma è sempre
sbagliato, in quanto ha ignorato altre parti rilevanti del significato.
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Un social network può essere definito come una piattaforma basata sui nuovi media che consenta all’utente di
gestire sia la propria rete sociale, sia la propria identità sociale. Secondo Bond e Ellison sono tre le
caratteristiche dei social:
1. Presenza di spazio virtuale (forum) in cui l’utente può costruire ed esibire un proprio profilo,
accessibile, anche in forma parziale, a tutti gli utenti dello spazio.
2. La possibilità di creare una lista di altri utenti (rete) con cui è possibile comunicare e entrare in
contatto;
3. Possibilità di analizzare le caratteristiche della propria rete, in particolar modo le connessioni degli altri
utenti.
Risulta evidente come la principale caratteristica dei social non sia quella di facilitare la creazione di nuove
relazioni con gli sconosciuti. Questo era già possibile utilizzando un forum o una chat, un sito o un blog.
Invece quello che differenzia i social dai nuovi media disponibili in precedenza è la capacità di rendere visibili
ed utilizzabili le proprie reti sociali. Attraverso di essi, infatti, è possibile identificare opportunità personali,
relazioni e professionali altrimenti non immediatamente evidenti.
L’iscrizione ad un social permette a tutti i partecipanti alla Rete di consultare in maniera parziale i profili degli
altri. In seguito, sarà possibile prendere contatto con le persone più interessanti per chiedere loro di attivare
53
una relazione.
Le relazioni possibili in un social network sono di due tipi:
1. Bidirezionali: (definita amicizia) permette ad entrambi gli utenti di accedere in maniera completa al
profilo del nuovo amico e di contattarlo direttamente mediante mail. Questo meccanismo permette di
creare una rete sociale chiusa (possono entrare solo le persone accettate come amici) al cui interno
nessuno è un totale sconosciuto e chiunque è identificabile come amico di qualcun altro.
2. “A stella” (tipica, per esempio, di Twitter) distingue esplicitamente tra emittente e ricevente.
La modalità bidirezionale consente di creare reti chiuse composte solo da amici di amici, mentre la modalità di
relazione a stella crea reti aperte in cui la maggior parte degli utenti riceventi (follower) non hanno altri contatti
con l’emittente a parte quello della rete sociale. In questo caso, a legare emittente e ricevente sono due tipi di
bisogni opposti: gli emittenti cercano visibilità, i riceventi invece sono curiosi di conoscere la vita o le
impressioni degli emittenti scelti. I social inoltre permettono di decidere come presentarsi alle persone che
compongono la rete, attraverso due tipi di strumenti:
Strumenti individuali
- Profilo consente di descriversi in maniera codificata, cioè rispettando una serie di parametri definiti
dal social network (professione, interessi, musica, …).
- Possibilità di condividere foto e video
- Bacheca (se presente): utilizzata per raccontare quello che si sta facendo e pensando
Strumenti di gruppo
I principali strumenti di gruppo per la descrizione/definizione della propria identità sociale sono 3:
1. I GRUPPI: consentono a più persone di aggregarsi secondo un interesse comune (quale può essere
l’appartenenza ad una stessa università, l’interesse per un gruppo musicale, …). I gruppi non hanno
luogo e scadenza.
2. EVENTI: a differenza dei gruppi hanno una precisa descrizione spazio - temporale. Sono eventi le
feste, i concerti, gli incontri o qualsiasi altro appuntamento che si vuole segnalare alla propria rete di
amici o al proprio gruppo.
3. ALTRE APPLICAZIONI presenti non comuni a tutti i social network. Per esempio, “cause” (presente
su Facebook), permette di segnalare e sostenere cause di ogni tipo; o “viaggi” che permette di
indicare le città visitate o da visitare.
Alla base della piramide si trovano i bisogni fisiologici (fame, sete, sonno, …) che sono i bisogni fondamentali
connessi alla sopravvivenza; al gradino successivo troviamo i bisogni di sicurezza e protezione che servono
per garantire all’individuo protezione e tranquillità; al gradino successivo troviamo i bisogni associativi (amore,
affetto, amicizia) che sono i bisogni legati alle necessità di sentirsi parte di un gruppo, di sentirsi amato e
amare, di cooperare con gli altri; al gradino ancora successivo troviamo i bisogni di autostima che riguardano
la necessità di essere rispettati, apprezzati e approvati, di sentirsi competenti e produttivi; all’ultimo gradino
della piramide troviamo i bisogni di autorealizzazione che riguardano l’esigenza di realizzare la propria identità
e di portare a compimento le proprie aspettative, nonché di occupare una posizione soddisfacente nel proprio
gruppo. Per soddisfare i bisogni presenti ai livelli più elevati della piramide il soggetto deve prima soddisfare
quelli collocati nei livelli più bassi.
- Bisogni di autostima io posso scegliere gli amici, ma anche gli altri possono farlo, per questo se
tanti mi scelgono come amico allora valgo;
- Bisogni di autorealizzazione posso raccontare me stesso, dove sono, cosa faccio e lo racconto
come voglio, possono usare le mie competenze per aiutare qualcuno dei miei amici che mi ascolta.
Troviamo quindi utenti che utilizzano i social network come strumento espressivo, per condividere con gli
amici i momenti salienti della loro vita, troviamo anche utenti che utilizzano i social invece come strumento
professionale a scopo promozionale e persuasivo. In mezzo a queste due tipologie troviamo gli utenti che
usano i social per organizzare la propria vita relazionale.
In altre parole, possiamo dire che i social network sono in grado di offrire una risposta ai bisogni di utenti molto
diversi, e proprio questa capacità di offrire opportunità molto diverse tra loro è una delle spiegazioni del
successo dei social network.
Attraverso questi strumenti l’utente può sviluppare la propria identità, sia comprendere quella dell’altro; allo
stesso tempo può cercare supporto e offrirlo.
L’attrazione verso i social non si può spiegare solo con la capacità di offrire numerose opportunità agli utenti.
Una recente ricerca condotta dagli psicologi dello IULM e della Cattolica di Milano ha mostrato la capacità dei
social network di produrre esperienze ottimali (definite flusso), in grado di fornire una ricompensa intrinseca ai
propri utenti.
Dan Pink (2010) sottolinea come la capacità di un’esperienza di essere gratificante, indipendentemente dal
motivo per cui viene fatta, è la forma di motivazione più efficace. La gioia del compito diventa principale
ricompensa che spinge il soggetto a ripeterla.
Possiamo considerare i social come uno spazio sociale ibrido, un’ irrealtà che permette di far entrare il virtuale
nel nostro mondo reale e viceversa, offrendo a tutti noi un potentissimo strumento per creare e/o modificare la
nostra esperienza sociale.
Proprio grazie all’irrealtà possiamo usare i social network sia come strumento di supporto alla nostra rete
sociale, sia come strumento di espressione della nostra identità sociale, sia come strumento di analisi
dell’identità sociale degli altri.
Le teorie presentate da Sproull e Kiesler hanno alla base un’ipotesi molto precisa: la social presence
di un medium, intesa come le sua capacità di convogliare la presenza dei soggetti comunicanti, è
direttamente proporzionale alla sua media richness la quantità di informazioni trasmesse per unità ditempo
(Daft, Lengel, 1986). In quest’ottica i nuovi media, trasmettendo una quantità limitata di
informazione rispetto al faccia a faccia, non sarebbero in grado di supportare efficacemente le
relazioni interpersonali (Riva, 2010).
Sempre secondo le due studiose Sproull e Kiesler gli effetti di questi media non si manifestano solo
sul singolo soggetto, ma hanno anche un impatto rilevante anche sulle organizzazioni, rendendole
piùdemocratiche. La rarefazione dei media testuali infatti (in particolare delle e-mail) produrrebbe
all’interno delle organizzazioni un effetto di egualizzazione dovuto alla minore influenza delle norme sociali.
Questo rende le informazioni più accessibili consentendo una maggiore partecipazione degli attori alle
decisioni (Dubrovsky, Kiesler, Sethna, 1991).
Le posizioni espresse da Sproull e Kiesler sono state molto criticate.
Numerosi studi e l’esperienza di molti utenti dei nuovi media testimoniano come i soggetti impegnati nelle
interazioni di breve e lungo periodo attraverso le reti di computer siano comunque in grado di sviluppare
relazioni interpersonali con altre persone (Riva, 2010).