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Piaget, padre delluomo, davvero un bambino calmo e solitario( J. Bruner, Auto, pp. 148149)
Ma la conoscenza e lo studio di Piaget erano agitati, come si diceva, nella riflessione bruneriana
da un rompicapo: che spazio ha il contesto e la cultura nello sviluppo e nel formarsi della mente
nel bambino ? E possibile ricondurre tutti i problemi legati alluso dei sistemi simbolici da parte
del bambino, e di un bambino che cresce in un contesto arricchito di interazioni, allo sviluppo
elle sue strutture psicologiche e logiche fondamentali come propone Piaget ?
La risposta al rompicapo venne occasionata paradossalmente dal disgelo della guerra fredda.
Bruner conosceva gi VygotskIj per un suo articolo sui processi di apprendimento infantile fin
dagli anni 40, uno dei due allora circolante : la tesi sostenuta riguardava appunto lo sviluppo del
pensiero mediante linteriorizzazione del linguaggio. Ma fu dopo il 1961, dopo la riabilitazione di
Vygotskji in Russia e un gran lavoro di contatti diplomatici per ottenere i diritti , che fu possibile
pubblicare in inglese, per la prima volta in edizione mondiale Pensiero e Linguaggio. La
prefazione di Bruner data al 1956. Il lavoro di scrittura della prefazione fece scoprire al Bruner
un nuovo Vygotskji , e fu appunto quella la porta attraverso cui una nuova dimen sione di studi
e di prospettive venne ad aprirsi per la ricerca sul farsi della mente nella psicologia e nella
pedagogia contemporanee.
Il mondo di VygotskIj era un luogo del tutto diverso, da quello di Piaget, quasi il mondo di un
grande romanzo o di un dramma russo, alla Tolstoj o alla Cechov. Lo sviluppo determinato da
una continua presa di coscienza e di controllo volontario, da apprendimenti legati al linguaggio
per la scoperta del loro significato, da lente acquisizioni delle forme e degli strumenti della
cultura per poi imparare ad usarli nel modo pi adeguato. ( Auto, 149)
Gi nel 1934, in Pensiero e linguaggio (1954) egli sottolineava il ruolo del linguaggio verbale
come mezzo per mettere ordine tra i propri pensieri riguardo alla realt e all'esperienza.
VygotskIj lega il pensiero e il linguaggio anche evidenziando la valenza strutturante che
quest'ultimo riveste nel produrre, nel qualificare e nel personalizzare lo stretto rapporto tra
attivit linguistica e attivit cognitiva. Sia in senso filogenetico che ontogenetico, le funzioni
psicologiche superiori dell'uomo( il ricordare, l'astrarre, il generalizzare, il categorizzare,
concettualizzare e riflettere), sono mediate dagli strumenti che la societ fornisce: il linguaggio
verbale risulta essere il pi importante di questi strumenti.
Per V. la coscienza e il controllo appaiono solo ad uno stadio maturo dello sviluppo di una
qualsivoglia funzione psicologica e solo dopo che essa stata usata e praticata in modo
inconscio e spontaneo. Per poter assoggettare una funzione al controllo intellettuale e volitivo
dobbiamo prima possederla.
Ma allora cosa aiuta il bambino a sviluppare ed acquisire il controllo dei suoi atti
mentali ?
Bruner coglie la grande portata della zona di sviluppo prossimale avanzata da VygotskIj.
Labbozzo di una risposta da parte di V. era contenuto in unidea dal nome poco appropriato
zona di sviluppo prossimale. Essa consiste nella capacit che ha il bambino di fare uso di
allusioni per avvalersi dellaiuto che gli altri gli forniscono per organizzare i suoi processi mentali
in attesa che egli sia in grado di farcela da solo. Avvalendosi dellaiuto degli altri egli pone la
propria coscienza e la propria prospettiva sotto controllo e raggiunge un livello pi elevato.
Cos, per citare V. i nuovi concetti di ordine superiore trasformano il significato di quelli
inferiori. Ladolescente che ha appreso i concetti dellalgebra si fa forte di una posizione
vantaggiosa dalla quale vede i concetti dellaritmetica in una prospettiva pi ampia( Pensiero e
Linguaggio, 235). ( Auto, 151)
Insomma matura in Bruner il convincimento che per risolvere il rompicapo di cui si diceva
lapproccio piagetiano mancasse il bersaglio : piuttosto che cercare di individuare quali strutture
logiche andassero formandosi nella mente del bambino nel corso del suo sviluppo ( Piaget),
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mente, e lautonoma capacit della mente di farsi attiva grazie al suo contesto culturale , e in
continua relazione conflittuale con lo sviluppo biologico della specie porta Bruner e i suoi
collaboratori ad optare per i seguenti protocolli esplicativi :
A. Le caratteristiche descrittive dello sviluppo intellettivo
1. La crescita caratterizzata da una crescente indipendenza della risposta dalla natura
immediata dello stimolo
2. Lo sviluppo basato sulla interiorizzazione di eventi in un sistema di conserva<zione che
corrisponde allambiente
3. Lo sviluppo intellettuale implica la crescente capacit individuale di dire a se stessi e agli
altri, attraverso parole e simboli, quello che si fatto o che si intende fare o che si far
B. Le caratteristiche propositive dello sviluppo intellettivo
1. Lo sviluppo intellettuale dipende da una interazione sistematica e contingente tra educatore
ed educando
2. Linsegnamento enormemente facilitato dal mezzo del linguaggio che finisce per essere
non solo il mezzo per lo scambio, ma lo strumento che3 lo stesso discente pu usare in
seguito per organizzare lambiente
3. Lo sviluppo intellettuale caratterizzato da una capacit crescente di considerare
simultaneamente diverse alternative, di tener presenti diverse serie di connessioni durante lo
stesso periodo di tempo e di suddividere il tempo e lattenzione in modo adeguato a queste
semplici richieste.
Con la pubblicazione di Studies in Cognitive Growth , 1966 ( Lo sviluppo cognitivo, Roma 1968)
alcune acquisizioni sono ormai definitive :
a) non per caso che i bambini appaiano precocemente ed estremamente abili nelladattarsi al
mondo che li circonda ;
b) lo studio della suzione non serve solo a soddisfare i propri bisogni alimentari, o il proprio
bisogno di benessere, ma ancor pi a controllare aspetti dellambiente che non sono in
relazione con il nutrimento e con lautoconsolazione ;
c) quando i bambini osservano delle immagini e ne distolgono lo sguardo , ci avviene non
quando le immagini si sfocano ma quando cambia lo scopo finale del guardare. Insomma i
bambini possiedono fin dalla primissima infanzia una prontezza mezzi-fini particolarmente
sensibile che li rende generatori di ipotesi e che fornisce una direzionalit al loro
comportamento.
d) Tutto ci porta a sottolineare il fatto che fin dalla pi tenera et i bambini riescono a
combinare le loro azioni e la loro conoscenza del mondo per formare o routine di azioni di
ordine superiore o mappe cognitive pi generalizzate del loro mondo
e) Infine , il fatto che la nostra specie sia dipendente da una lunga immaturit e rende
inevitabile il nostro essere sensibili allinterazione con gli altri, rende i bambini fin dalla pi
tenera et sensibili alla gente. E questa sensibilit che stimola lacquisizione del linguaggio.
Certamente per Bruner gli elementi costitutivi dellintelligenza sono presenti fin dallinizio sotto le
forme della componente che presiede alle capacit potenziali, ed in particolare di quella che
regola i rapporti mezzi-fini ( cio lintenzionalit). E certamente la capacit di coordinare tra loro
una pluralit di azioni fa parte di un patrimonio innato. Anche la capacit di rappresentare quel
che era stato coordinato sicuramente in essere fin dallinizio come dimostrato da una lunga
serie di studi sulla sensibilit che il bambino presenta nei confronti delle deviazioni dal
consueto. Le abilit rappresentative iniziali devono includere con ogni probabilit una
predisposizione nei confronti dello spazio, del tempo e perfino della causalit : se non proprio
innata, di certo attivata dalle prime esperienze. La curiosit del bambino non ha nemmeno
bisogno di essere stimolata.
Il problema dunque non dove o quando la mente ha inizio. La mente , in una qualunque
forma operativa, l fin dallinizio, esattamente dove deve essere. Il problema piuttosto quello
di individuare le condizioni capaci di produrre menti umane pi ricche, pi forti, pi fiduciose.
stata usata da Bruner in una ricerca orientata all'analisi del tipo di aiuto efficace che pu fornire
l'adulto. Si tratta di una impalcatura che pu essere progressivamente smantellata quando il
soggetto diventa sempre pi capace di operare senza aiuto dell'altro pi competente. In questa
linea di ricerca e di sperimentazione, nel contesto di un approccio vigotskjiano si sono studiati
soprattutto i modi in cui gli adulti (prevalentemente madri) aiutano bambini di et pre-scolare a
risolvere semplici compiti in cui c' da copiare un modello, completare un incastro, costruire una
torre. L'aiuto dell'adulto si manifesta soprattutto nel mettere insieme i diversi passi che sono
necessari per arrivare alla corretta soluzione e nel coordinare la sequenza di azioni necessaria
a raggiungere lo scopo finale: ad esempio, guardare al modello, scegliere un pezzo da
collocare, mettere il pezzo nel posto previsto. I passaggi successivi che conducono al
funzionamento intrapsicologico e quindi individuale sono realizzati attraverso una progressiva
diminuzione del grado di regolazione esterna dell'attivit del discente: si passa cos ad una
azione che prima svolta poi solo indirizzata dal tutor per arrivare ad una semplice regolazione
indiretta, cosicch il bambino possa cogliere il significato funzionale delle azioni e impadronirsi
progressivamente dei mezzi adeguati allo scopo generale.
b>) La "zona di sviluppo potenziale"
Vygotskji (1966) sostiene che la ragione per la quale i bambini operano a un livello cognitivo
superiore con i concetti scientifici prima che con quelli spontanei dipende dal fatto che
l'apprendimento dei concetti scientifici sistematico, mediato dal linguaggio verbale, quindi
esplicito ed avviene pertanto nel contesto di una "collaborazione con una adulto che ha
spiegato, domandato, corretto". (ivi, p. 197). Lo sviluppo delle funzioni psichiche superiori si
lega alla consapevolezza delle proprie operazioni cognitive e procede dalla funzione di
coscienza che l'adulto esercita in modo "vicario" nell'interazione sociale con il bambino, fin dalla
prima acquisizione del linguaggio (De Lemos, 1982). Risulta in questa prospettiva cruciale la
funzione dell'interazione con un adulto sensibile ai livelli manifesti di competenza del bambino,
e capace di operare con il bambino al "limite sempre crescente" della sua competenza attuale
(Bruner, 1986). In questo senso l'adulto deve essere capace di tener conto della "zona di
sviluppo potenziale" del soggetto in evoluzione. Questa definita dal Vygotskji come ci che il
soggetto non in grado di fare (o di risolvere) da solo - che corrisponde invece al suo livello di
sviluppo attuale ma che pu riuscire a fare se gli offerto un aiuto: il livello "potenziale" in
quanto corrisponde a quello che sar il prossimo livello di sviluppo del soggetto e che si pu
presentare molto differenziato, anche in soggetti che al Testing tradizionale raggiungono identici
risultati.
Si potrebbe dire che proprio nell'area di sviluppo potenziale che si trovano ad operare la
scuola e l'insegnamento quando riescono a intervenire efficacemente nello sviluppo di quelle
capacit del bambino che sono embrionalmente gi presenti come funzioni semplici ma che
richiedono di essere esercitate, coordinate, contestualizzate, rese consapevoli e flessibili
nell'uso, affinch il soggetto sia capace di utilizzare le sue capacit anche senza il supporto di
altri.
Pertanto, in questo quadro teorico, l'insegnamento pu essere visto proprio come facilitatore
all'attivit di colui che impara : agisce infatti nella sua zona di sviluppo potenziale, ma nello
stesso tempo pu operare per estenderla, per ampliarla attraverso il supporto sociale e la
mediazione offerta dai sistemi simbolici propri della cultura.
Un buon esempio di ricerca di ispirazione vigotskijana che ha riguardato in modo specifico
l'area dell'apprendimento scolastico stato realizzato da due ricercatori statunitensi, Ann Brown
e Annemarie Palincsar (1984), le quali hanno usato l'interazione sociale come strumento per
favorire lo sviluppo di una importante capacit dal punto di vista della riuscita scolastica: la
capacit di comprensione della lettura. Esse hanno organizzato una situazione di
"insegnamento reciproco" rivolta a ragazzi della scuola media che avevano molte difficolt di
comprensione della lettura. Il loro intervento ha innanzitutto utilizzato i risultati della ricerca sulla
comprensione del testo, identificando le quattro abilit essenziali che i buoni lettori mettono in
pratica quando leggono e cercano di capire quello che leggono: "prevedere" la possibile
continuazione, "chiarire" i punti poco chiari, "sintetizzare" ci che si viene leggendo, "porsi delle
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domande" su ci che si viene leggendo. La modalit di conduzione della ricerca prevedeva che
di fronte ad un testo, la cui lettura collettiva veniva suddivisa in paragrafi, l'insegnante prima e
poi a turno gli studenti che componevano il gruppo (che pu essere anche di numerosit molto
variabile) svolgessero il ruolo del tutor, cio dell'insegnante o dell'allievo che cerca di far
praticare agli altri l'abilit che oggetto di apprendimento. Pertanto si richiedeva agli studenti,
quando facevano la parte di tutor, di far mettere in atto agli altri membri del gruppo quelle
quattro abilit ritenute necessarie alla comprensione, che cos divenivano oggetto di
insegnamento esplicito. Il risultato molto notevole di questa ricerca che, attraverso una decina
di sedute in cui veniva realizzata questa metodologia, sono notevolmente migliorate non solo le
capacit di "guida" da parte degli studenti e quindi di esplicita attivit sul testo ma anche (e in
modo stabile) le capacit autonome e individuali di comprensione della lettura dei ragazzi
sottoposti al trattamento sperimentale.
L'idea di fondo, che ha reso particolarmente famosa questa ricerca, riguarda l'uso
dell'insegnamento reciproco e conseguentemente dell'interazione tra studenti, come strumento
per apprendere: il altri termini, i ragazzi hanno imparato in quanto hanno dovuto cercare di far
usare agli altri quelle strategie che loro stessi non sapevano usare, in un contesto di
esteriorizzazione di procedure che normalmente risultano nascoste e inconsapevoli. In questo
caso la situazione sociale servita anche a rendere sensata, necessaria e motivante una
esplicitazione di strategie che altrimenti sarebbe risultata fittizia e noiosa e conseguentemente
di difficile apprendimento.
c) Aspetti caratterizzanti del modello dell'interazione sociale
E' possibile a questo punto identificare con pi precisione gli elementi caratterizzanti del
modello dell'interazione sociale.
Innanzitutto va ricordato che in questo modello in primo piano la motivazione "sociale", che
una motivazione profonda degli esseri umani e in particolare dei bambini. In altri termini, si
affrontano con pi facilit i problemi, gli apprendimenti, gli esercizi, le attivit che vengono
proposte dalla scuola, quando se ne condivide con gli altri la responsabilit, la difficolt,
l'impegno, il carico cognitivo ed emotivo di "porsi di fronte al problema". La divisione e la
condivisione del problema che si pu realizzare nel gruppo pu facilitare - ovviamente a certe
condizioni di realizzazione - la messa in atto di efficaci strategie risolutive, pu soprattutto
aumentare la motivazione e l'impegno nel compito, pu ridurre l'ansia nei confronti di qualcosa
che non si sa risolvere da soli. Anche gli adulti trovano facilitante la situazione dei gruppo
quando devono affrontare un problema nuovo, per il quale non possano gi percorrere una via
tracciata o familiare. In secondo luogo il contesto sociale della diade, del piccolo o del grande
gruppo (corrispondente pi o meno ad una classe scolastica) consente e richiede che agli
interlocutori esplicitino agli altri le loro idee, ne offrono cio ragioni sufficientemente chiare
perch si possa scegliere un'opzione piuttosto di un'altra, giustifichino le loro scelte o
preferenze in modo intersoggettivo. E' proprio questa necessit e richiesta di esplicitazione e di
spiegazione (come attivit in cui si danno ragioni fondate per quello che si fa o che si vuole fare)
che rende la situazione sociale di risoluzione di un problema particolarmente efficace sul piano
della crescita della consapevolezza e quindi anche della competenza autonoma individuale. In
modo particolare questa situazione pu favorire lo sviluppo della consapevolezza dei propri atti
del pensiero. Infatti quella che oggi si definisce come metacognizione (Flavell, 1976) e che
svolge un ruolo determinante nell'imparare a imparare (Voss, 1987), il prodotto di un'attivit
sociale, che poi prevalentemente linguistica, in cui si spinti a riflettere al secondo ordine
sulle vie perseguite o su quelle che si vogliono prendere, perch si deve negoziare e
concordare con un altro la scelta preferibile.
In una serie di ricerche dedicate all'uso del computer per l'acquisizione della lingua scritta in
classi di scuola elementare e media, abbiamo rilevato (Pontecorvo, Zucchermaglio, Taffarel,
1989) dall'osservazione puntuale delle interazioni tra bambini mentre lavorano a semplici
programmi di composizione e trattamento di testi pi o meno guidati - dall'uso della normale
videoscrittura all'impiego di un software didattico che presentava supporti e vincoli alla
composizione - come si verifichi un aumento significativo delle considerazioni di tipo
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metalinguistico di tipo pi complesso nelle interazioni tra bambini al computer (con gruppi di
due, tre o quattro bambini, di numero variabile in funzione dell'et e del programma da usare).
L'uso "sociale" del computer, che anche una necessit dato il numero comunque ridotto di
computer di cui pu disporre una scuola elementare o media normale, produce risultati
effettivamente positivi sullo sviluppo delle capacit di revisione del testo, proprio ed altrui, che si
possono cos acquisire anche in quelle et in cui i bambini sembrano pi lontani dal revisionare
i loro testi scritti. Sono effetti che si possono spiegare anche attraverso la maggiore
oggettivizzazione che il testo scritto assume in quanto distaccato dal soggetto sia per lo stesso
fatto materiale della composizione sullo schermo del computer sia perch oggetto di una analisi
e di una riflessione collettiva e consapevole.
Va a loro merito di aver sostenuto che il linguaggio deve influenza e perfino dar forma al
pensiero, il linguaggio non gi come resoconto verbale o etichetta, ma come sistema per
dividere il mondo in categorie e in rapporti per mezzo ella grammatica e del lessico( Auto, 168)
Gli input
Vygotskji
V parla di due flussi indipendenti di attivit mentale : un flusso del pensiero e un flusso del
linguaggio. Nella prima fase della vita il pensiero ha gi le sue regole, Il linguaggio, per parte
sua. Diventa prima uno strumento e poi un mezzo espressivo del pensiero : la scatola porta
attrezzi attraverso cui la cultura e la storia prendono forma finendo con il determinare
lesperienza e il pensiero
Worf
Se le nostre modalit di pensiero sono riconducibili a due : quella analitica ( raziocinativa) e
quella sintetica ( empirica). E certo la forma forte quella propria della mentalit analitica. Ma
dopo tutto lesperienza del mondo e non il linguaggio a dar forma alla modalit sintetica.
Wittgenstein ( Philosophical Investigations)
Determinarti settori del sapere possono essere compresi, ma non detto che sia possibile
comprenderli meglio, includendoli con altri in settori pi generali. Vi connesso un principio di
intraducibilit poich ogni sfera del discorso costituisce un gioco linguistico governato non tanto
dal proprio sistema di regole quanto da un sistema di vita. La traducibilit di un sistema di vita in
un altro resta indeterminata, perfino quella orientata in alto verso astrazioni di ordine superiori.
Chomsky ( Sinctactic Structures)
Non esistono grammatiche dello stato finito. Si tratta di grammatiche associative che si basano
in modo esclusivo sui rapporti tra elementi immediatamente vicini in un periodo., grammatiche
che non prendono mai in considerazione la struttura della frase dallalto verso il basso. Il
comportamento verbale del neo-comportamentista Skinner viene messo alla berlina.
Come non possibile percepire il mondo senza distinguere la figura dallo sfondo, cos non
possibile utilizzare il linguaggio senza imporre in esso le strutture del periodo, periodi con
proposizioni nominali, proposizioni verbali e i loro naturali elementi di collegamento. Non
dunque tanto lesperienza passata che determina un comportamento verbale quanto la natura
attiva della mente e del cervello.
Dunque il linguaggio doveva trovarsi l, fin dallinizio come un generatore di ipotesi innato .
Doveva trattarsi di una competenza precostituita, il potere peculiare di una grammatica
profonda universale della quale i vari linguaggi erano esempi e realizzazioni di superficie.
Jakobson ( funzionalismo linguistico)
Innanzitutto, prima di essere trasmesso, il senso deve essere fissato, il che pone subito il
problema del significare. Tale operazione porta alla fissazione del senso di una parola nella
mente, insieme all'immagine della realt cui essa rinvia. Significato il participio-nome che
rende attuale tale processo dinamico. La parola senso, invece, indica quanto rimane nella
mente del soggetto; essa rimanda all'immagine mentale, statica, immobile, definitiva che risulta
dal processo di significazione, strettamente legata al segno che l'ha fissata. Da un punto di vista
psicologico, il segno diventa lo stimolo in grado di suscitare una serie di reazioni psicofisiche,
capaci di rievocare l'immagine memoriale, di un altro stimolo che ha agito precedentemente su
di noi, lasciando una traccia mnestica nella nostra psiche.
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Partendo dall'assunto che i nomi hanno un carattere puramente convenzionale, e che simbolo e
referenza sono strettamente connessi con il referente e viceversa, viene introdotto anche il
referente (o la cosa esterna) nel processo significativo. Ne deriva una relazione tricotomica,
evidenziata nel triangolo logico di Ogden e Richards che presenta simbolo, referenza e
referente ai tre vertici, come appare nella figura qui appresso.
Dunque quando trattiamo del segno non possiamo non parlare della sua funzione nella
comunicazione. Lo schema saussuriano ci propone: a) un parlante, b) un ascoltatore, c) un
qualcosa che si vuole comunicare, d) dei segni con cui awiene la comunicazione. Notiamo tre
tipi di fenomeni: 1) psichici (concetto e immagine acustica); 2) fisiologici (fonazione, audizione);
3) fisici (trasmissione dei suoni per mezzo delle onde). Inoltre, il circuito pu essere diviso in: a)
una parte esteriore (non psichica); b) una parte interiore (psichica), c) una parte attiva (dal
centro di associazione di A all'orecchio di B); d) una parte passiva (dall'orecchio al centro di
associazione di B) .
Ma Il segno, come portatore di senso, ha la funzione di comunicare. Ma per evitare interferenze
ed errori di interpretazione dovrebbe esserci un solo nome per ogni senso e un solo senso per
ogni nome. Nella lingua ci imbattiamo. invece, continuamente in parole polisemiche, quali per
es ordinazione (sacerdotale o di merce); chiave (strumento per aprire o svelare e segno
musicale); la parola cosa, l'aggettivo buono, il verbo fare, ecc. che assumono significati
diversi a volte contrastanti, a seconda del contesto in cui figurano; e ancora sinonimi e omonimi,
cio termini diversi ma con lo stesso senso, oppure uguali ma con significati diversi. Dobbiamo
per dire che tutti questi usi delle parole cos bene allineati nel dizionario, sono virtuali,
rappresentano la potenzialit del lessico in quanto nella realt del discorso uno solo e
soltanto quello si fissa, si contestualizza.
Ogni parola dunque legata al suo contesto donde trae il suo senso preciso. Il senso
contestuale inconfondibile e si assimila a quello di base solo nel linguaggio tecnico-scientifico
(es. aspirina, tonsillectomia, ampre, catodo video transfert, Es, blackout, ecc.). Ma i termini
scientifici sono specifici, poco in uso e anche abbastanza rari. Capita, allora, che una parola
finisca per essere sentita come diversa da s stessa, quando sia legata a un altro termine che
ne precisi il senso.
Tuttavia, nel discorso si realizzano altre associazioni significative che vengono definite
connotazioni in quanto colorano, specificano, attualizzano il contesto senza alterarlo, creando
un effetto di senso detto stilistico. Le connotazioni espressive sono evidenziate, nella lingua
scritta, dai segni di interpunzione; nel parlato dal gesto, dall'atteggiamento del volto,
dall'accento di insistenza e dall'intonazione. Sono tutti espedienti che il locutore impiega (a volte
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con sottile furbizia) per trasmettere all'interlocutore la sua emozione, i suoi desideri, le proprie
idee; questa tecnica, quando voluta e messa in atto deliberatamente da chi parla, anche
chiamata captatio benevolentiae . In ogni caso, che ce ne rendiamo conto o no, tali valori
semantico-espressivi sono intenzionali, nel senso che il parlante deve caricare il suo
messaggio di espressione se vuol renderlo convincente. Le connotazioni sociocontestuali, invece, evocano nell'ascoltatore l'idea di un certo ambiente, di un certo gruppo
sociale, del grado d'istruzione, della professione di chi parla. Ognuna di queste realt
evidenziata da una parola, da un'espressione specifica, da un tono di voce, insomma da una
serie di piccoli ma chiari indizi, facilmente rilevabili da chi ascolta, che subito lo mettono in grado
di classificare chi parla. Tali connotati sociali non sono voluti dal soggetto che nondimeno se li
trascina dietro e, talvolta, possono creare un effetto di stile.
Sia i valori espressivi , sia i valori socio-contestuali sono associazioni extrasemantiche
di origine naturale. In entrambi i casi si ha una associazione secondaria motivata che si
aggiunge all'associazione primaria convenzionale che accredita il senso. In ogni parola si
trovano dunque quattro tipi di associazioni: il senso di base, il senso contestuale, il valore
espressivo, il valore socio-contestuale,
A seconda degli individui e delle circostanze, all'interno della parola si producono degli scambi
costanti fra queste diverse associazioni. La funzione delle tre associazioni sussidiarie consiste
nel precisare e nel colorire il senso di base, ma sviluppandosi, esse possono deformarlo,
soffocarlo o persino sostituirsi completamente ad esso, questo il problema degli slittamenti di
senso Se dunque la funzione del segno quella di comunicare un senso, le parole che lo
veicolano si trovano, nel discorso, a sfiorare limiti semantici sempre nuovi, attratte, come sono,
dai campi semantici dei termini che incrociano e con cui si uniscono momentaneamente o
stabilmente per formare i sintagmi. Tale influenza esterna le carica di sensi nuovi, a volte
inaspettati e insospettati; e di qui prende lavvio la spinta che porter pi tardi allo slittamento
di senso e ai cambiamenti semantici.
Come la creazione semantica volontaria e cosciente (tale l'atto di parole saussuriano),
cos l'evoluzione del senso altrettanto spontanea e spesso indipendente da chi ha creato la
parola stessa. Anche l'essere umano voluto, nella generazione volontaria e cosciente ma una
volta uscito dal seno della madre, egli diventa qualcuno che si costruisce da s, con il concorso
della societ e dell'ambiente che lo circonda. Lo stesso awiene negli animali e nelle piante che
spesso tradiscono il giardiniere o l'allevatore con fiori, frutti e specie diverse da
quell'esemplare che egli aveva calcolato di ottenere.
Dunque il senso di una parola il risultato di un equilibrio complesso, ma anche
precario, perch sufficiente che intervenga un leggero spostamento per provocare una
reazione a catena che coinvolge, non solo la parola in questione, ma spesso anche quelle che
hanno delle affinit con essa o che, comunque, sono a lei congiunte. La constatazione
dell'esistenza di una certa affinit semantica fra parole, ci porta a considerare il concetto pi
vasto di campo semantico . Si considera il lessico di una lingua una struttura, un sistema che
abbraccia e seziona, in un certo modo, quelle porzioni di realt che esso riflette. Tale
atteggiamento procede dalla teoria del valore linguistico gi enunciata da Saussure, ma pi
tardi sviluppata da Hjelmslev e dai suoi discepoli della scuola di Copenaghen. Saussure
prevedeva un rapporto di valore fra le parole esistenti all'interno di una lingua. Affermava che il
lessico non una somma di parole, una nomenclatura, una lista di termini aventi ognuno il
proprio corrispondente nella realt esterna, ma un insieme strutturato in cui i campi concettuali
e quelli lessicali si influenzano l'un l'altro.
La svolta di Bruner
Imparare a codificare linguisticamente il mondo per poi operare sul linguaggio anzich sul
mondo : era questo lultimo stadio dello sviluppo cognitivo.
Il passaggio dalla cultura orale a quella scritta acquista nella prima e seconda infanzia un
significato profondo: la possibilit` di scrivere non allevia il carico della memoria ma ne
specifica e ne estende la potenza; il linguaggio scritto, essendo svincolato dal contesto,
favorisce lo sviluppo delle funzioni logiche; i sistemi di scrittura alfabetici e l'invenzione della
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modalit di trasmissione della conoscenza, con il suo continuo riferimento ad una "realt"
basata sulla lingua scritta (Olson, 1979), sulla conoscenza scientifica (Pontecorvo, 1988), con le
sue pratiche di alfabetizzazione - possa produrre il modo scientifico, razionale e astratto di
pensare e di ragionare. In questa prospettiva l'interazione sociale tra insegnante e allievi svolge
un ruolo fondamentale perch essa si verifica prevalentemente attraverso la "mediazione
semiotica" (Wertsch, 1985) offerta dagli strumenti tecnici propri della cultura di appartenenza,
dai complessi sistemici simbolici, ad esempio, della lingua scritta, della matematica, delle
scienze fisico-naturali, delle scienze sociali.
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Bibliografia
AUTO J.BRUNER, Autobiografia. Alla ricerca della mente, Armando, Roma 1983, trad.it. di S.Chiari,
In Search of Mind. Essays in Autobiography, 1983 by J.Bruner
CMS
J. BRUNER, Il conoscere. Saggi per la mano sinistra, Armando ,Roma 1978, trad. di M.
Manno, On Knowing. Essays for the Left Hand, Harvard Univer. Press, Cambridge, Mass. 1962
PC
PSC
PCG J.BRUNER, Prime fasi dello sviluppo cognitivo, Armando , Roma 1978, trad. di P. Massimi,
Processes of Cognitive Growth ( in coll.), Clark Univ. Press with Barre Publishers, 1968
SSC - J.BRUNER et alii, Studi Sullo sviluppo cognitivo, Armando 1968, trad.it. di E. Riverso,
Studies in Cognitive Growth, New York, 1966
VTI
J.BRUNER, Verso una teoria dellistruzione, trad. di G.B. Flores dArcais e P. Massimi,
Armando, Roma 1973, Toward a Theory of Instruction, Harvard Univer. Press, Cambridge
Mass., 1966
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