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Terza lezione

Il linguaggio come strumento della mente. In che senso lapprendimento


precede lo sviluppo.
I nodi tematici
1. Come ha inizio la mente
2. Linterazione sociale processo di apprendimento che precede lo sviluppo: linflusso di
Vygotskji
3. Il linguaggio come strumento della mente
4. In che senso lapprendimento precede lo sviluppo per Bruner

1. Come ha inizio la mente


Fin dagli anni 50 Bruner studia Piaget. Egli si rec in visita a Ginevra per la prima volta nel 1956
e di certo pu dirsi che, fino agli anni della sua permanenza a Oxford ( 1972 -1980), il suo
pensiero fu profondamente e dialetticamente influenzato dallo strutturalismo del Piaget. E
tuttavia tale adesione fu costantemente animata da dubbi e ricerche. Come lo stesso Bruner
ebbe a scrivere alcuni anni pi tardi
Credo che ladesione allo strutturalismo porti come profonda conseguenza anche ladesione a
un quietismo che per un funzionalista sempre sconcertante : luno studia come i bisogni
strutturali determinano le forme dellazione ; laltro - come nel celebre detto di Claude Bernard il modo in cui la funzione crea la forma. E non che una posizione sia pi vera dellaltra. Si
tratta di due modi diversi di analizzare la natura. ( Auto, 149)
Piaget, per Bruner era soprattutto un epistemologo e, in particolare, un epistemologo genetista.
Era convinto che studiando lo sviluppo della mente nel bambino fosse possibile ricostruire
levoluzione delle scienze. Lapparato psicologico allinterno del suo sistema di pensiero
decisamente limitato. Si tratta per lo pi di un apparato logico entro il quale possibile
caratterizzare la logica insita nel modo in cui il bambino cerca di risolvere un problema o
spiegare perch ha agito in un modo anzich in un altro. Il bambino, secondo la teoria dello
sviluppo di J. Piaget, passa da uno stadio di sviluppo allaltro per mezzo di un processo di
equilibrazione non meglio specificato tra due potenti movimenti psicologici ed evolutivi
fondamentali : quello della assimilazione del mondo esterno e quello dellaccomodamento al
mondo esterno.
Per il bambino di Piaget che sta crescendo, il mondo un luogo tranquillo. Trovandosi
virtualmente solo, il mondo gli appare pieno di oggetti che deve disporre nello spazio, nel
tempo, nei rapporti causali. Inizia il suo viaggio dominato dallegocentrismo e deve attribuire al
mondo propriet che finir col condividere con altri. Ma gli altri gli saranno di poco aiuto. La
reciprocit sociale di bambino e di madre giuoca un ruolo ridotto nella spiegazione che Piaget
d dello sviluppo, e il linguaggio non fornisce appigli, n offre il mezzo per risolvere gli enigmi
del mondo al quale il linguaggio stesso si applica. Il bambino di Piaget si trova ad affrontare un
problema enorme : quello di portare le rappresentazioni interne della mente ad una posizione di
equilibrio con le strutture dellesperienza. I bambini di Piaget sono dei piccoli intellettuali che
vivono distaccati dalla confusione della condizione umana.......... Con una cocciutaggine tutta
sua , Piaget ha respinto lidea che esista una realt psicologica legata alla cultura, in un qualche
Mondo Tre alla Popper, che possa essere interiorizzata o fungere da anticipazione per la
mente. Per Piaget la conoscenza sempre uninvenzione e le forme dell0invenzione non
comprendono lacquisizione di rappresentazioni della cultura che siano state immagazzinate per
poi pervenire alla conoscenza tramite la loro ricostruzione. Cos il bambino, che nel mondo di
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Piaget, padre delluomo, davvero un bambino calmo e solitario( J. Bruner, Auto, pp. 148149)
Ma la conoscenza e lo studio di Piaget erano agitati, come si diceva, nella riflessione bruneriana
da un rompicapo: che spazio ha il contesto e la cultura nello sviluppo e nel formarsi della mente
nel bambino ? E possibile ricondurre tutti i problemi legati alluso dei sistemi simbolici da parte
del bambino, e di un bambino che cresce in un contesto arricchito di interazioni, allo sviluppo
elle sue strutture psicologiche e logiche fondamentali come propone Piaget ?
La risposta al rompicapo venne occasionata paradossalmente dal disgelo della guerra fredda.
Bruner conosceva gi VygotskIj per un suo articolo sui processi di apprendimento infantile fin
dagli anni 40, uno dei due allora circolante : la tesi sostenuta riguardava appunto lo sviluppo del
pensiero mediante linteriorizzazione del linguaggio. Ma fu dopo il 1961, dopo la riabilitazione di
Vygotskji in Russia e un gran lavoro di contatti diplomatici per ottenere i diritti , che fu possibile
pubblicare in inglese, per la prima volta in edizione mondiale Pensiero e Linguaggio. La
prefazione di Bruner data al 1956. Il lavoro di scrittura della prefazione fece scoprire al Bruner
un nuovo Vygotskji , e fu appunto quella la porta attraverso cui una nuova dimen sione di studi
e di prospettive venne ad aprirsi per la ricerca sul farsi della mente nella psicologia e nella
pedagogia contemporanee.
Il mondo di VygotskIj era un luogo del tutto diverso, da quello di Piaget, quasi il mondo di un
grande romanzo o di un dramma russo, alla Tolstoj o alla Cechov. Lo sviluppo determinato da
una continua presa di coscienza e di controllo volontario, da apprendimenti legati al linguaggio
per la scoperta del loro significato, da lente acquisizioni delle forme e degli strumenti della
cultura per poi imparare ad usarli nel modo pi adeguato. ( Auto, 149)
Gi nel 1934, in Pensiero e linguaggio (1954) egli sottolineava il ruolo del linguaggio verbale
come mezzo per mettere ordine tra i propri pensieri riguardo alla realt e all'esperienza.
VygotskIj lega il pensiero e il linguaggio anche evidenziando la valenza strutturante che
quest'ultimo riveste nel produrre, nel qualificare e nel personalizzare lo stretto rapporto tra
attivit linguistica e attivit cognitiva. Sia in senso filogenetico che ontogenetico, le funzioni
psicologiche superiori dell'uomo( il ricordare, l'astrarre, il generalizzare, il categorizzare,
concettualizzare e riflettere), sono mediate dagli strumenti che la societ fornisce: il linguaggio
verbale risulta essere il pi importante di questi strumenti.
Per V. la coscienza e il controllo appaiono solo ad uno stadio maturo dello sviluppo di una
qualsivoglia funzione psicologica e solo dopo che essa stata usata e praticata in modo
inconscio e spontaneo. Per poter assoggettare una funzione al controllo intellettuale e volitivo
dobbiamo prima possederla.
Ma allora cosa aiuta il bambino a sviluppare ed acquisire il controllo dei suoi atti
mentali ?
Bruner coglie la grande portata della zona di sviluppo prossimale avanzata da VygotskIj.
Labbozzo di una risposta da parte di V. era contenuto in unidea dal nome poco appropriato
zona di sviluppo prossimale. Essa consiste nella capacit che ha il bambino di fare uso di
allusioni per avvalersi dellaiuto che gli altri gli forniscono per organizzare i suoi processi mentali
in attesa che egli sia in grado di farcela da solo. Avvalendosi dellaiuto degli altri egli pone la
propria coscienza e la propria prospettiva sotto controllo e raggiunge un livello pi elevato.
Cos, per citare V. i nuovi concetti di ordine superiore trasformano il significato di quelli
inferiori. Ladolescente che ha appreso i concetti dellalgebra si fa forte di una posizione
vantaggiosa dalla quale vede i concetti dellaritmetica in una prospettiva pi ampia( Pensiero e
Linguaggio, 235). ( Auto, 151)
Insomma matura in Bruner il convincimento che per risolvere il rompicapo di cui si diceva
lapproccio piagetiano mancasse il bersaglio : piuttosto che cercare di individuare quali strutture
logiche andassero formandosi nella mente del bambino nel corso del suo sviluppo ( Piaget),
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sembrava pi opportuno cercare di analizzare il modo con il bambino adotta, perfeziona e


arricchisce le sue strategie mentali. E questo per verificare la portata dellintuizione di Vygotskji
secondo il quale , cio, lapprendimento precede lo sviluppo.
Studiando sperimentalmente i blocchi di apprendimento Bruner osserva come i bambini
imparino e affrontino situazioni problematiche in ambienti comuni. Ritiene anzi che i bambini
imparano ad andare oltre linformazione data rielaborando forme particolari di pensiero
produttivo in forma rallentata rispetto al pensiero degli adulti.
Dunque qualcosa di progressivamente e profondamente diverso dalla prospettiva di ricerca
piagetiana.
Per Piaget lo sviluppo va avanti da s purch il bambino abbia un adeguato alimento di
esperienza attiva col mondo. Basta solo attendere. Gli stadi di sviluppo si susseguiranno nello
stesso ordine, magari accelerati da una pi ricca esperienza, anche se Piaget liquid
questultimo punto come la question americaine........E possibile che gli stadi fossero
monolitici a tal punto ? E lo sviluppo procede davvero col passo lento e costante di un
ghiacciaio spinto in avanti da ununica forza ? A me sembrava che dietro lo sviluppo mentale ci
fosse un quadro ben pi ricco di questo.( Auto, 152)
Secondo Bruner, a questo punto, la spiegazione piagetiana appare profondamente insufficiente.
A lui sembra, piuttosto, che ciascuno di noi sviluppa la sua conoscenza del mondo in tre modi.
In primo luogo attraverso labitudine e lazione : sapere che cosa fare. In secondo luogo
attraverso limmaginazione, raffigurandosi cio eventi e relazioni. In terzo luogo attraverso la
conoscenza, che non mai solo contemplazione : rappresentandoci le cose, gli eventi e le
categorie del mondo in appropriati sistemi simbolici ( il linguaggio, la matematica, la storia ecc.)
che , per il fatto di risultare impregnati di immaginazione e di esperienza ( azione), sono
amplificatori mentali potenti per il farsi della mente.
Del resto lesperienza conferma che per acquisire padronanza in un qualsiasi campo, il pi delle
volte necessario che vengano interessate tutte tre le modalit rappresentative del pensiero :
quella attiva, quella iconica e quella simbolica, secondo una progressione non preordinata ma
che si combina e si ridisloca continuamente, insomma si mixa secondo le caratteristiche del
contesto e lintenzionalit dellattore.
Bruner cos riprende lispirazione di VygotskIj quando parla di "amplificatori culturali" che
determinano i processi cognitivi dell'uomo. Dei tre tipi di amplificatori culturali che egli identifica,
i sistemi simbolici, quindi i linguaggi, amplificano lo sviluppo del pensiero. Certo lo stesso
Piaget, pur considerando secondario nello sviluppo mentale del bambino il ruolo del linguaggio,
riconosce che esso indispensabile per l'estensione e la mobilit delle operazioni logiche.
Inoltre, la verbalizzazione e la simbolizzazione linguistica operano sul risultato dei processi
cognitivi portando alla scoperta originale di concetti ad un livello altissimo di astrazione: "solo i
tipi di problem-solving pi primitivi sono possibili senza linguaggio" (Ausubel 1987).
Ma come annota Bruner La psicologia ginevrina si fondava sugli stadi sviluppo ciascuno dei
quali dotato della propria sottostante logica di operazioni. Quella parte di me che era in sintonia
con VygotskIj si ribell al quietismo della teoria degli stadi... la mia soluzione fu quella di
convertire le mie idee sulle modalit di rappresentazione ( attiva, iconica e simbolica) in stadi di
sviluppo... e di adattare le mie ad una sorta di camicia cronologica : prima la modalit attiva, poi
quella iconica infine quella simbolica ( Auto, 153). Lobiettivo ? Riuscire a comprendere per
questa via il funzionamento effettivo delle strategie mentali del bambino nel corso del suo
sviluppo.
Seguirono ricerche su ricerche. I contatti con Ginevra si moltiplicarono soprattutto grazie alla
collaborazione della pi esperta tra le collaboratrici di J. Piaget, Barbel Inhelder. Ma vennero
contemporaneamente sviluppati contatti, scambi e incontri con la psicologia sovietica, in
particolare con uno dei pi intelligenti interpreti di VygotskIj, Alexander Romanovich Lurija. E
progressivamente linfluenza di Piaget illanguidisce, lo strutturalismo cede il passo ad una pi
attenta analisi del modo con cui il linguaggio media tra cultura e natura nello sviluppo della
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mente, e lautonoma capacit della mente di farsi attiva grazie al suo contesto culturale , e in
continua relazione conflittuale con lo sviluppo biologico della specie porta Bruner e i suoi
collaboratori ad optare per i seguenti protocolli esplicativi :
A. Le caratteristiche descrittive dello sviluppo intellettivo
1. La crescita caratterizzata da una crescente indipendenza della risposta dalla natura
immediata dello stimolo
2. Lo sviluppo basato sulla interiorizzazione di eventi in un sistema di conserva<zione che
corrisponde allambiente
3. Lo sviluppo intellettuale implica la crescente capacit individuale di dire a se stessi e agli
altri, attraverso parole e simboli, quello che si fatto o che si intende fare o che si far
B. Le caratteristiche propositive dello sviluppo intellettivo
1. Lo sviluppo intellettuale dipende da una interazione sistematica e contingente tra educatore
ed educando
2. Linsegnamento enormemente facilitato dal mezzo del linguaggio che finisce per essere
non solo il mezzo per lo scambio, ma lo strumento che3 lo stesso discente pu usare in
seguito per organizzare lambiente
3. Lo sviluppo intellettuale caratterizzato da una capacit crescente di considerare
simultaneamente diverse alternative, di tener presenti diverse serie di connessioni durante lo
stesso periodo di tempo e di suddividere il tempo e lattenzione in modo adeguato a queste
semplici richieste.
Con la pubblicazione di Studies in Cognitive Growth , 1966 ( Lo sviluppo cognitivo, Roma 1968)
alcune acquisizioni sono ormai definitive :
a) non per caso che i bambini appaiano precocemente ed estremamente abili nelladattarsi al
mondo che li circonda ;
b) lo studio della suzione non serve solo a soddisfare i propri bisogni alimentari, o il proprio
bisogno di benessere, ma ancor pi a controllare aspetti dellambiente che non sono in
relazione con il nutrimento e con lautoconsolazione ;
c) quando i bambini osservano delle immagini e ne distolgono lo sguardo , ci avviene non
quando le immagini si sfocano ma quando cambia lo scopo finale del guardare. Insomma i
bambini possiedono fin dalla primissima infanzia una prontezza mezzi-fini particolarmente
sensibile che li rende generatori di ipotesi e che fornisce una direzionalit al loro
comportamento.
d) Tutto ci porta a sottolineare il fatto che fin dalla pi tenera et i bambini riescono a
combinare le loro azioni e la loro conoscenza del mondo per formare o routine di azioni di
ordine superiore o mappe cognitive pi generalizzate del loro mondo
e) Infine , il fatto che la nostra specie sia dipendente da una lunga immaturit e rende
inevitabile il nostro essere sensibili allinterazione con gli altri, rende i bambini fin dalla pi
tenera et sensibili alla gente. E questa sensibilit che stimola lacquisizione del linguaggio.
Certamente per Bruner gli elementi costitutivi dellintelligenza sono presenti fin dallinizio sotto le
forme della componente che presiede alle capacit potenziali, ed in particolare di quella che
regola i rapporti mezzi-fini ( cio lintenzionalit). E certamente la capacit di coordinare tra loro
una pluralit di azioni fa parte di un patrimonio innato. Anche la capacit di rappresentare quel
che era stato coordinato sicuramente in essere fin dallinizio come dimostrato da una lunga
serie di studi sulla sensibilit che il bambino presenta nei confronti delle deviazioni dal
consueto. Le abilit rappresentative iniziali devono includere con ogni probabilit una
predisposizione nei confronti dello spazio, del tempo e perfino della causalit : se non proprio
innata, di certo attivata dalle prime esperienze. La curiosit del bambino non ha nemmeno
bisogno di essere stimolata.

Il problema dunque non dove o quando la mente ha inizio. La mente , in una qualunque
forma operativa, l fin dallinizio, esattamente dove deve essere. Il problema piuttosto quello
di individuare le condizioni capaci di produrre menti umane pi ricche, pi forti, pi fiduciose.

2.Linterazione sociale processo di apprendimento che precede lo sviluppo : linflusso


di Vygotskji
Dunque Bruner riscopre V. Ma dove sono le radici teoriche della ricerca empirica di Vygotskji?
L.S. Vygotskji stato uno studioso di psicologia e di pedagogia che negli anni '20-'30 in Unione
Sovietica (ma a stretto contatto con le correnti pi importanti della ricerca europea e americana)
ha posto le basi per una teoria dello sviluppo e dell'apprendimento fondata sulla centralit delle
interazioni sociali e dei sistemi di segni, come strumenti essenziali per la comunicazione e la
trasmissione della conoscenza tra le generazioni. Egli aspirava a dare anche una spiegazione
sia dei pi generali processi culturali che sono propri della specie umana e pertanto comuni alle
pi diverse culture, sia di quei fenomeni che sono invece particolari di una data cultura e che
sono in moto dalla trasmissione sistematica della conoscenza che avviene attraverso la scuola.
In particolare era interessato, insieme a Luria, a studiare tutti quegli aspetti che riguardano la
particolare organizzazione della conoscenza proposta dall'insegnamento scolastico nelle nostre
culture complesse, la concettualizzazione scientifica che essa propone, il linguaggio che vi si
parla e soprattutto l'acquisizione della lingua scritta come sistema simbolico al secondo ordine
che ne costituisce la mediazione essenziale, e che influenza, in forme che ancora non
conosciamo a sufficienza, il modo di categorizzare, di ragionare, di pensare degli uomini.
Da quanto precede, consegue che l'interazione sociale vista da Vygotskji non solo nella pi
diretta dimensione interpersonale, tipicamente rappresentata dalla relazione educativa adultobambino, ma soprattutto nella sua articolata dimensione socioculturale, che include valori
culturali, regole di funzionamento delle societ e dei rapporti sociali pi allargati, sistemi e
categorizzazioni, concezioni del mondo, conoscenze scientifiche di vario tipo.
a) L'interiorizzazione delle funzioni sociali
In questo quadro di riferimento risulta particolarmente rilevante la sua concezione che considera
i processi psichici superiori come interiorizzazione di funzioni sociali (Vygotskji, 1974). Questa
concezione pone su basi radicalmente diverse il processo di sviluppo e di apprendimento
dell'individuo, perch non assume pi questi ultimi come contrapposti. Infatti "sviluppo" e
"apprendimento" sono ambedue spiegati da un meccanismo che va dall'esterno verso l'interno,
che procede cio dal sociale all'intrapersonale (Vygotskji, 1966) e non dall'individuale al sociale
come postulato correntemente in psicologia dello sviluppo. Ci vuol dire che l'uso di una
capacit cognitiva o linguistica nel contesto dello scambio sociale necessario precursore della
padronanza individuale e autonoma di quella stessa capacit: in altri termini le funzioni
psicologiche complesse di qualsiasi tipo (linguistiche, logiche, emotive) appaiono prima come
funzioni sociali, e quindi all'interno dell'interazione sociale, e solo successivamente si
manifestano anche nel funzionamento mentale autonomo del singolo.
L'interazione sociale, pertanto, opera come uno strumento di facilitazione per lo sviluppo e
l'apprendimento di capacit cognitive, intese in senso lato. In modo particolare ci avviene nel
contesto dell'interazione fra un soggetto pi competente, che pu essere genitore, educatore,
insegnante, ma anche coetaneo, e un bambino che ancora non sufficientemente competente
per operare efficacemente da solo: in questo caso il pi esperto (anche se a gradi diversi di
capacit) pu sostenere l'attivit cognitiva o di problem-solving dell'altro, "reclutandolo" al
compito, semplificando il setting, focalizzando la sua attenzione sugli aspetti salienti,
dividendogli opportunamente il problema. In generale, il pi esperto sostiene l'attivit del meno
esperto con una sorta di "impalcatura di sostegno", secondo la metafora dello scaffolding che
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stata usata da Bruner in una ricerca orientata all'analisi del tipo di aiuto efficace che pu fornire
l'adulto. Si tratta di una impalcatura che pu essere progressivamente smantellata quando il
soggetto diventa sempre pi capace di operare senza aiuto dell'altro pi competente. In questa
linea di ricerca e di sperimentazione, nel contesto di un approccio vigotskjiano si sono studiati
soprattutto i modi in cui gli adulti (prevalentemente madri) aiutano bambini di et pre-scolare a
risolvere semplici compiti in cui c' da copiare un modello, completare un incastro, costruire una
torre. L'aiuto dell'adulto si manifesta soprattutto nel mettere insieme i diversi passi che sono
necessari per arrivare alla corretta soluzione e nel coordinare la sequenza di azioni necessaria
a raggiungere lo scopo finale: ad esempio, guardare al modello, scegliere un pezzo da
collocare, mettere il pezzo nel posto previsto. I passaggi successivi che conducono al
funzionamento intrapsicologico e quindi individuale sono realizzati attraverso una progressiva
diminuzione del grado di regolazione esterna dell'attivit del discente: si passa cos ad una
azione che prima svolta poi solo indirizzata dal tutor per arrivare ad una semplice regolazione
indiretta, cosicch il bambino possa cogliere il significato funzionale delle azioni e impadronirsi
progressivamente dei mezzi adeguati allo scopo generale.
b>) La "zona di sviluppo potenziale"
Vygotskji (1966) sostiene che la ragione per la quale i bambini operano a un livello cognitivo
superiore con i concetti scientifici prima che con quelli spontanei dipende dal fatto che
l'apprendimento dei concetti scientifici sistematico, mediato dal linguaggio verbale, quindi
esplicito ed avviene pertanto nel contesto di una "collaborazione con una adulto che ha
spiegato, domandato, corretto". (ivi, p. 197). Lo sviluppo delle funzioni psichiche superiori si
lega alla consapevolezza delle proprie operazioni cognitive e procede dalla funzione di
coscienza che l'adulto esercita in modo "vicario" nell'interazione sociale con il bambino, fin dalla
prima acquisizione del linguaggio (De Lemos, 1982). Risulta in questa prospettiva cruciale la
funzione dell'interazione con un adulto sensibile ai livelli manifesti di competenza del bambino,
e capace di operare con il bambino al "limite sempre crescente" della sua competenza attuale
(Bruner, 1986). In questo senso l'adulto deve essere capace di tener conto della "zona di
sviluppo potenziale" del soggetto in evoluzione. Questa definita dal Vygotskji come ci che il
soggetto non in grado di fare (o di risolvere) da solo - che corrisponde invece al suo livello di
sviluppo attuale ma che pu riuscire a fare se gli offerto un aiuto: il livello "potenziale" in
quanto corrisponde a quello che sar il prossimo livello di sviluppo del soggetto e che si pu
presentare molto differenziato, anche in soggetti che al Testing tradizionale raggiungono identici
risultati.
Si potrebbe dire che proprio nell'area di sviluppo potenziale che si trovano ad operare la
scuola e l'insegnamento quando riescono a intervenire efficacemente nello sviluppo di quelle
capacit del bambino che sono embrionalmente gi presenti come funzioni semplici ma che
richiedono di essere esercitate, coordinate, contestualizzate, rese consapevoli e flessibili
nell'uso, affinch il soggetto sia capace di utilizzare le sue capacit anche senza il supporto di
altri.
Pertanto, in questo quadro teorico, l'insegnamento pu essere visto proprio come facilitatore
all'attivit di colui che impara : agisce infatti nella sua zona di sviluppo potenziale, ma nello
stesso tempo pu operare per estenderla, per ampliarla attraverso il supporto sociale e la
mediazione offerta dai sistemi simbolici propri della cultura.
Un buon esempio di ricerca di ispirazione vigotskijana che ha riguardato in modo specifico
l'area dell'apprendimento scolastico stato realizzato da due ricercatori statunitensi, Ann Brown
e Annemarie Palincsar (1984), le quali hanno usato l'interazione sociale come strumento per
favorire lo sviluppo di una importante capacit dal punto di vista della riuscita scolastica: la
capacit di comprensione della lettura. Esse hanno organizzato una situazione di
"insegnamento reciproco" rivolta a ragazzi della scuola media che avevano molte difficolt di
comprensione della lettura. Il loro intervento ha innanzitutto utilizzato i risultati della ricerca sulla
comprensione del testo, identificando le quattro abilit essenziali che i buoni lettori mettono in
pratica quando leggono e cercano di capire quello che leggono: "prevedere" la possibile
continuazione, "chiarire" i punti poco chiari, "sintetizzare" ci che si viene leggendo, "porsi delle
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domande" su ci che si viene leggendo. La modalit di conduzione della ricerca prevedeva che
di fronte ad un testo, la cui lettura collettiva veniva suddivisa in paragrafi, l'insegnante prima e
poi a turno gli studenti che componevano il gruppo (che pu essere anche di numerosit molto
variabile) svolgessero il ruolo del tutor, cio dell'insegnante o dell'allievo che cerca di far
praticare agli altri l'abilit che oggetto di apprendimento. Pertanto si richiedeva agli studenti,
quando facevano la parte di tutor, di far mettere in atto agli altri membri del gruppo quelle
quattro abilit ritenute necessarie alla comprensione, che cos divenivano oggetto di
insegnamento esplicito. Il risultato molto notevole di questa ricerca che, attraverso una decina
di sedute in cui veniva realizzata questa metodologia, sono notevolmente migliorate non solo le
capacit di "guida" da parte degli studenti e quindi di esplicita attivit sul testo ma anche (e in
modo stabile) le capacit autonome e individuali di comprensione della lettura dei ragazzi
sottoposti al trattamento sperimentale.
L'idea di fondo, che ha reso particolarmente famosa questa ricerca, riguarda l'uso
dell'insegnamento reciproco e conseguentemente dell'interazione tra studenti, come strumento
per apprendere: il altri termini, i ragazzi hanno imparato in quanto hanno dovuto cercare di far
usare agli altri quelle strategie che loro stessi non sapevano usare, in un contesto di
esteriorizzazione di procedure che normalmente risultano nascoste e inconsapevoli. In questo
caso la situazione sociale servita anche a rendere sensata, necessaria e motivante una
esplicitazione di strategie che altrimenti sarebbe risultata fittizia e noiosa e conseguentemente
di difficile apprendimento.
c) Aspetti caratterizzanti del modello dell'interazione sociale
E' possibile a questo punto identificare con pi precisione gli elementi caratterizzanti del
modello dell'interazione sociale.
Innanzitutto va ricordato che in questo modello in primo piano la motivazione "sociale", che
una motivazione profonda degli esseri umani e in particolare dei bambini. In altri termini, si
affrontano con pi facilit i problemi, gli apprendimenti, gli esercizi, le attivit che vengono
proposte dalla scuola, quando se ne condivide con gli altri la responsabilit, la difficolt,
l'impegno, il carico cognitivo ed emotivo di "porsi di fronte al problema". La divisione e la
condivisione del problema che si pu realizzare nel gruppo pu facilitare - ovviamente a certe
condizioni di realizzazione - la messa in atto di efficaci strategie risolutive, pu soprattutto
aumentare la motivazione e l'impegno nel compito, pu ridurre l'ansia nei confronti di qualcosa
che non si sa risolvere da soli. Anche gli adulti trovano facilitante la situazione dei gruppo
quando devono affrontare un problema nuovo, per il quale non possano gi percorrere una via
tracciata o familiare. In secondo luogo il contesto sociale della diade, del piccolo o del grande
gruppo (corrispondente pi o meno ad una classe scolastica) consente e richiede che agli
interlocutori esplicitino agli altri le loro idee, ne offrono cio ragioni sufficientemente chiare
perch si possa scegliere un'opzione piuttosto di un'altra, giustifichino le loro scelte o
preferenze in modo intersoggettivo. E' proprio questa necessit e richiesta di esplicitazione e di
spiegazione (come attivit in cui si danno ragioni fondate per quello che si fa o che si vuole fare)
che rende la situazione sociale di risoluzione di un problema particolarmente efficace sul piano
della crescita della consapevolezza e quindi anche della competenza autonoma individuale. In
modo particolare questa situazione pu favorire lo sviluppo della consapevolezza dei propri atti
del pensiero. Infatti quella che oggi si definisce come metacognizione (Flavell, 1976) e che
svolge un ruolo determinante nell'imparare a imparare (Voss, 1987), il prodotto di un'attivit
sociale, che poi prevalentemente linguistica, in cui si spinti a riflettere al secondo ordine
sulle vie perseguite o su quelle che si vogliono prendere, perch si deve negoziare e
concordare con un altro la scelta preferibile.
In una serie di ricerche dedicate all'uso del computer per l'acquisizione della lingua scritta in
classi di scuola elementare e media, abbiamo rilevato (Pontecorvo, Zucchermaglio, Taffarel,
1989) dall'osservazione puntuale delle interazioni tra bambini mentre lavorano a semplici
programmi di composizione e trattamento di testi pi o meno guidati - dall'uso della normale
videoscrittura all'impiego di un software didattico che presentava supporti e vincoli alla
composizione - come si verifichi un aumento significativo delle considerazioni di tipo
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metalinguistico di tipo pi complesso nelle interazioni tra bambini al computer (con gruppi di
due, tre o quattro bambini, di numero variabile in funzione dell'et e del programma da usare).
L'uso "sociale" del computer, che anche una necessit dato il numero comunque ridotto di
computer di cui pu disporre una scuola elementare o media normale, produce risultati
effettivamente positivi sullo sviluppo delle capacit di revisione del testo, proprio ed altrui, che si
possono cos acquisire anche in quelle et in cui i bambini sembrano pi lontani dal revisionare
i loro testi scritti. Sono effetti che si possono spiegare anche attraverso la maggiore
oggettivizzazione che il testo scritto assume in quanto distaccato dal soggetto sia per lo stesso
fatto materiale della composizione sullo schermo del computer sia perch oggetto di una analisi
e di una riflessione collettiva e consapevole.

3. Il linguaggio come strumento della mente


Il fatto che la pi importante e diffusa forma di comunicazione umana sia il linguaggio verbale ci
porta a considerarlo tanto naturale da sottovalutarne la complessa e raffinata dinamica
costruttiva. Potremmo allora definirlo "un sistema di comunicazione che usa suoni o simboli con
significati arbitrari ma strutturali" (Smelser 1981), sul versante della produzione individuale, ma
proprio in quanto sistema di comunicazione esso esige forme e livelli di padronanza che ne
assicurino l'efficacia. Non dunque casuale che H. Gardner (1983) definisca la padronanza
linguistica come" l'intelligenza pi ampiamente e democraticamente condivisa tra gli esseri
umani".
La lingua dunque da considerarsi sia un prodotto di cultura sia colei che "parla" la cultura, e
cio ci attraverso cui opera la trasmissione/ riproduzione/ generazione della cultura, attraverso
i processi di inculturazione (conoscenza della propria cultura) che di acculturazione,
conoscenza-manipolazione di culture diverse dalla propria. La lingua cio lo strumento
essenziale per attuare e per specificare processi di interazione comunicativa, per diventare e
restare membri di un gruppo, per esprimere e comunicare agli altri le proprie esperienze, i propri
pensieri e i propri sentimenti, per persuaderli, convincerli ovvero per autoregolare i propri
comportamenti comunicativi in relazione a quelli degli altri. Il linguaggio verbale ha per anche
una valenza euristico-produttiva: lo strumento privilegiato per esplorare e conoscere la realt`,
per formare progressivamente una rete di significati entro cui inserire i fenomeni osservati o
sperimentati, per produrre "cose". La lingua permette di incasellare le esperienze in categorie
generali, oggettivandole in campi semantici creati con il lessico, la grammatica, la sintassi
(Berger-Luckmann 1969).
Il linguaggio, allora, non solo codifica il mondo e l'esperienza che di esso si ottiene, ma crea la
conoscenza della realt`: esso produce una prospettiva dalla quale l'uomo osserva il mondo,
indirizza l'impiego della mente nei confronti della realt` che descrive in forma indipendente e
creativa. Il fenomeno dell' "amnesia infantile" (Pontecorvo 1986) ne costituisce una prova
indiretta: l'acquisizione del linguaggio porta ad assumere e a riprodurre "schemi" di
elaborazione dell'esperienza diversi da quelli usati nella prima infanzia, quando non si ha
ancora una competenza linguistica consolidata; non si riescono a ricordare gli eventi dei primi
anni di vita in quanto questi ultimi non risultano utilizzabili in seguito, da adulti.
Ma torniamo a Bruner. Il problema con cui egli doveva fare i conti, a questo punto della sua
ricerca era di conoscere se e come il linguaggio del contesto condiziona e influenza lo
sviluppo intellettivo e mentale del bambino.
Nella cultura scientifica anglosassone, il riferimento era costituito dalle teorie di Frederic Bartlett
( Remembering, 1932) : il linguaggio serviva essenzialmente sul piano narrativo a riscrivere un
copione gi presente e tracciato nella memoria. Ma come annota lo stesso Bruner, fu VygotskIj
prima, B.Lee Worf e infine N. Chomsky a modificare profondamente tale prospettive e a fare
quel passo in avanti che port al superamento di quel banale luogo comune secondo cui il
linguaggio influenza la mente e il pensiero.
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Va a loro merito di aver sostenuto che il linguaggio deve influenza e perfino dar forma al
pensiero, il linguaggio non gi come resoconto verbale o etichetta, ma come sistema per
dividere il mondo in categorie e in rapporti per mezzo ella grammatica e del lessico( Auto, 168)
Gli input
Vygotskji
V parla di due flussi indipendenti di attivit mentale : un flusso del pensiero e un flusso del
linguaggio. Nella prima fase della vita il pensiero ha gi le sue regole, Il linguaggio, per parte
sua. Diventa prima uno strumento e poi un mezzo espressivo del pensiero : la scatola porta
attrezzi attraverso cui la cultura e la storia prendono forma finendo con il determinare
lesperienza e il pensiero
Worf
Se le nostre modalit di pensiero sono riconducibili a due : quella analitica ( raziocinativa) e
quella sintetica ( empirica). E certo la forma forte quella propria della mentalit analitica. Ma
dopo tutto lesperienza del mondo e non il linguaggio a dar forma alla modalit sintetica.
Wittgenstein ( Philosophical Investigations)
Determinarti settori del sapere possono essere compresi, ma non detto che sia possibile
comprenderli meglio, includendoli con altri in settori pi generali. Vi connesso un principio di
intraducibilit poich ogni sfera del discorso costituisce un gioco linguistico governato non tanto
dal proprio sistema di regole quanto da un sistema di vita. La traducibilit di un sistema di vita in
un altro resta indeterminata, perfino quella orientata in alto verso astrazioni di ordine superiori.
Chomsky ( Sinctactic Structures)
Non esistono grammatiche dello stato finito. Si tratta di grammatiche associative che si basano
in modo esclusivo sui rapporti tra elementi immediatamente vicini in un periodo., grammatiche
che non prendono mai in considerazione la struttura della frase dallalto verso il basso. Il
comportamento verbale del neo-comportamentista Skinner viene messo alla berlina.
Come non possibile percepire il mondo senza distinguere la figura dallo sfondo, cos non
possibile utilizzare il linguaggio senza imporre in esso le strutture del periodo, periodi con
proposizioni nominali, proposizioni verbali e i loro naturali elementi di collegamento. Non
dunque tanto lesperienza passata che determina un comportamento verbale quanto la natura
attiva della mente e del cervello.
Dunque il linguaggio doveva trovarsi l, fin dallinizio come un generatore di ipotesi innato .
Doveva trattarsi di una competenza precostituita, il potere peculiare di una grammatica
profonda universale della quale i vari linguaggi erano esempi e realizzazioni di superficie.
Jakobson ( funzionalismo linguistico)
Innanzitutto, prima di essere trasmesso, il senso deve essere fissato, il che pone subito il
problema del significare. Tale operazione porta alla fissazione del senso di una parola nella
mente, insieme all'immagine della realt cui essa rinvia. Significato il participio-nome che
rende attuale tale processo dinamico. La parola senso, invece, indica quanto rimane nella
mente del soggetto; essa rimanda all'immagine mentale, statica, immobile, definitiva che risulta
dal processo di significazione, strettamente legata al segno che l'ha fissata. Da un punto di vista
psicologico, il segno diventa lo stimolo in grado di suscitare una serie di reazioni psicofisiche,
capaci di rievocare l'immagine memoriale, di un altro stimolo che ha agito precedentemente su
di noi, lasciando una traccia mnestica nella nostra psiche.
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Partendo dall'assunto che i nomi hanno un carattere puramente convenzionale, e che simbolo e
referenza sono strettamente connessi con il referente e viceversa, viene introdotto anche il
referente (o la cosa esterna) nel processo significativo. Ne deriva una relazione tricotomica,
evidenziata nel triangolo logico di Ogden e Richards che presenta simbolo, referenza e
referente ai tre vertici, come appare nella figura qui appresso.

Il triangolo di Ogden e Richards


La differenza che offre questa simbologia rispetto a quella saussuriana sta nel fatto che, mentre
per Saussure immagine acustica e concetto sono pure e semplici realt mentali, qui il simbolo
contiene sia l'immagine acustica, sia la forma significante. Inoltre, il simbolo ha un carattere
puramente referenziale, in quanto le parole non significano nulla di per s, ma indicano solo il
riferimento a qualcosa, sono rivolte verso qualcosa e la parola senso sta a indicare la
direzione, il senso di marcia; il simbolo, infatti, volto verso il referente, ma passando per la
referenza e viceversa.
Il significato non una componente del segno, insieme al significante, ma risulta dai tre vertici
del triangolo: la parola (o simbolo), la referenza (o pensiero), il referente (o evento esterno). Il
simbolo prende il posto del referente, ma non comunica con lui che attraverso i lati del triangolo.
La realt esterna esperita dal soggetto che porta nella sua mente le tracce delle situazioni
segniche in cui si imbattuto. Queste tracce residue (o engrammi) contribuiscono a
conoscere il mondo. La conoscenza diventa una serie sempre pi vasta di situazioni
segniche il cui ripetersi produce gli automatismi verbali, cos come la comprensione il
nesso che collega la realt esterna con la realt psichica. Infine il significato sar il risultato
degli effetti mnestici di uno stimolo, la somma delle associazioni e situazioni; SIGNIFICATO =
USO, come afferma Malinowski.

Dunque quando trattiamo del segno non possiamo non parlare della sua funzione nella
comunicazione. Lo schema saussuriano ci propone: a) un parlante, b) un ascoltatore, c) un
qualcosa che si vuole comunicare, d) dei segni con cui awiene la comunicazione. Notiamo tre
tipi di fenomeni: 1) psichici (concetto e immagine acustica); 2) fisiologici (fonazione, audizione);
3) fisici (trasmissione dei suoni per mezzo delle onde). Inoltre, il circuito pu essere diviso in: a)
una parte esteriore (non psichica); b) una parte interiore (psichica), c) una parte attiva (dal
centro di associazione di A all'orecchio di B); d) una parte passiva (dall'orecchio al centro di
associazione di B) .
Ma Il segno, come portatore di senso, ha la funzione di comunicare. Ma per evitare interferenze
ed errori di interpretazione dovrebbe esserci un solo nome per ogni senso e un solo senso per
ogni nome. Nella lingua ci imbattiamo. invece, continuamente in parole polisemiche, quali per
es ordinazione (sacerdotale o di merce); chiave (strumento per aprire o svelare e segno
musicale); la parola cosa, l'aggettivo buono, il verbo fare, ecc. che assumono significati
diversi a volte contrastanti, a seconda del contesto in cui figurano; e ancora sinonimi e omonimi,
cio termini diversi ma con lo stesso senso, oppure uguali ma con significati diversi. Dobbiamo
per dire che tutti questi usi delle parole cos bene allineati nel dizionario, sono virtuali,
rappresentano la potenzialit del lessico in quanto nella realt del discorso uno solo e
soltanto quello si fissa, si contestualizza.
Ogni parola dunque legata al suo contesto donde trae il suo senso preciso. Il senso
contestuale inconfondibile e si assimila a quello di base solo nel linguaggio tecnico-scientifico
(es. aspirina, tonsillectomia, ampre, catodo video transfert, Es, blackout, ecc.). Ma i termini
scientifici sono specifici, poco in uso e anche abbastanza rari. Capita, allora, che una parola
finisca per essere sentita come diversa da s stessa, quando sia legata a un altro termine che
ne precisi il senso.
Tuttavia, nel discorso si realizzano altre associazioni significative che vengono definite
connotazioni in quanto colorano, specificano, attualizzano il contesto senza alterarlo, creando
un effetto di senso detto stilistico. Le connotazioni espressive sono evidenziate, nella lingua
scritta, dai segni di interpunzione; nel parlato dal gesto, dall'atteggiamento del volto,
dall'accento di insistenza e dall'intonazione. Sono tutti espedienti che il locutore impiega (a volte
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con sottile furbizia) per trasmettere all'interlocutore la sua emozione, i suoi desideri, le proprie
idee; questa tecnica, quando voluta e messa in atto deliberatamente da chi parla, anche
chiamata captatio benevolentiae . In ogni caso, che ce ne rendiamo conto o no, tali valori
semantico-espressivi sono intenzionali, nel senso che il parlante deve caricare il suo
messaggio di espressione se vuol renderlo convincente. Le connotazioni sociocontestuali, invece, evocano nell'ascoltatore l'idea di un certo ambiente, di un certo gruppo
sociale, del grado d'istruzione, della professione di chi parla. Ognuna di queste realt
evidenziata da una parola, da un'espressione specifica, da un tono di voce, insomma da una
serie di piccoli ma chiari indizi, facilmente rilevabili da chi ascolta, che subito lo mettono in grado
di classificare chi parla. Tali connotati sociali non sono voluti dal soggetto che nondimeno se li
trascina dietro e, talvolta, possono creare un effetto di stile.
Sia i valori espressivi , sia i valori socio-contestuali sono associazioni extrasemantiche
di origine naturale. In entrambi i casi si ha una associazione secondaria motivata che si
aggiunge all'associazione primaria convenzionale che accredita il senso. In ogni parola si
trovano dunque quattro tipi di associazioni: il senso di base, il senso contestuale, il valore
espressivo, il valore socio-contestuale,
A seconda degli individui e delle circostanze, all'interno della parola si producono degli scambi
costanti fra queste diverse associazioni. La funzione delle tre associazioni sussidiarie consiste
nel precisare e nel colorire il senso di base, ma sviluppandosi, esse possono deformarlo,
soffocarlo o persino sostituirsi completamente ad esso, questo il problema degli slittamenti di
senso Se dunque la funzione del segno quella di comunicare un senso, le parole che lo
veicolano si trovano, nel discorso, a sfiorare limiti semantici sempre nuovi, attratte, come sono,
dai campi semantici dei termini che incrociano e con cui si uniscono momentaneamente o
stabilmente per formare i sintagmi. Tale influenza esterna le carica di sensi nuovi, a volte
inaspettati e insospettati; e di qui prende lavvio la spinta che porter pi tardi allo slittamento
di senso e ai cambiamenti semantici.
Come la creazione semantica volontaria e cosciente (tale l'atto di parole saussuriano),
cos l'evoluzione del senso altrettanto spontanea e spesso indipendente da chi ha creato la
parola stessa. Anche l'essere umano voluto, nella generazione volontaria e cosciente ma una
volta uscito dal seno della madre, egli diventa qualcuno che si costruisce da s, con il concorso
della societ e dell'ambiente che lo circonda. Lo stesso awiene negli animali e nelle piante che
spesso tradiscono il giardiniere o l'allevatore con fiori, frutti e specie diverse da
quell'esemplare che egli aveva calcolato di ottenere.
Dunque il senso di una parola il risultato di un equilibrio complesso, ma anche
precario, perch sufficiente che intervenga un leggero spostamento per provocare una
reazione a catena che coinvolge, non solo la parola in questione, ma spesso anche quelle che
hanno delle affinit con essa o che, comunque, sono a lei congiunte. La constatazione
dell'esistenza di una certa affinit semantica fra parole, ci porta a considerare il concetto pi
vasto di campo semantico . Si considera il lessico di una lingua una struttura, un sistema che
abbraccia e seziona, in un certo modo, quelle porzioni di realt che esso riflette. Tale
atteggiamento procede dalla teoria del valore linguistico gi enunciata da Saussure, ma pi
tardi sviluppata da Hjelmslev e dai suoi discepoli della scuola di Copenaghen. Saussure
prevedeva un rapporto di valore fra le parole esistenti all'interno di una lingua. Affermava che il
lessico non una somma di parole, una nomenclatura, una lista di termini aventi ognuno il
proprio corrispondente nella realt esterna, ma un insieme strutturato in cui i campi concettuali
e quelli lessicali si influenzano l'un l'altro.
La svolta di Bruner
Imparare a codificare linguisticamente il mondo per poi operare sul linguaggio anzich sul
mondo : era questo lultimo stadio dello sviluppo cognitivo.
Il passaggio dalla cultura orale a quella scritta acquista nella prima e seconda infanzia un
significato profondo: la possibilit` di scrivere non allevia il carico della memoria ma ne
specifica e ne estende la potenza; il linguaggio scritto, essendo svincolato dal contesto,
favorisce lo sviluppo delle funzioni logiche; i sistemi di scrittura alfabetici e l'invenzione della
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stampa rendono pi accettabile e perci pi accessibile ed economico il testo scritto; infine, il


linguaggio scritto consente ad ogni utente di differenziare e di confrontare con un modello
argomentativo i propri personali ritmi di analisi e di acquisizione.
Oggi, in tutte le societ` sviluppate, l'alfabetizzazione lo scopo centrale dell'istruzione di base
e la lingua il multiverso attraverso il quale si realizza la trasmissione della cultura, la
socializzazione, la personalizzazione degli stili cognitivi di ciascun parlante.
Il legame tra scuola e lingua i sottolineato dai Nuovi Programmi per la scuola elementare, che
risultano attraversati dalla concezione della centralit` della formazione linguistica nel curricolo
scolastico di base. Inoltre l'interazione linguistico-cognitiva viene indicata come uno dei
principali fattori della motivazione intrinseca del bambino a scuola: in essa si "apprende in una
situazione di gruppo dove si assumono ruoli sociali attraverso il dialogo e il discorso e dove si
devono negoziare in modo esplicito ed approfondito i significati" (Pontecorvo 1986).
4. In che senso lapprendimento precede lo sviluppo per Bruner
Un decennio di studi sullacquisizione del linguaggio serv cos a convincere Bruner che non
possibile studiarlo adeguatamente solo come se fosse un processo psicologico procedendo
semplicemente allesame dellordine in cui emergono le forme grammaticali nellesperienza
linguistica del bambino.
La formazione dei progetti personali e intenzionali di padronanza linguistica, la sensibilit di
grado elevato, i modi di inserire il linguaggio nellazione e nellinterazione sono tutti esempi
dellesistenza di Un language Acquisition Support Sistem ( LASS) che rende possibile il
funzionamento di una Language Acquisition Development alla Chomsky.
La necessit di usare il linguaggio nella sua pienezza come strumento per essere partecipi di
una cultura complessa ci che fornisce il motore per lacquisizione del linguaggio. Il
programma genetico del linguaggio rappresenta una met dellintera storia, laltra met va
ricerca nel sistema di supporto ovvero si pu dire che ciascuna delle due contribuisce al centro
per cento della varianza dei comportamenti mentali nello sviluppo della personalit.
a) La scuola come contesto per l'interazione sociale
La prospettiva teorica fin qui scelta considera essenziali per l'apprendimento proprio le
caratteristiche di contesto sociale, come contesto di discorso e di negoziazione, che sono
proprie della scuola. Infatti in quanto contesto sociale, in cui sono presenti soggetti diversi,
che la scuola si pu definire come un luogo in cui possibile l'apprendimento. E' d'altra parte
frequente l'osservazione che in molte situazioni scolastiche, in particolare con il progredire della
scolarit, sembra che l'apprendimento vero e proprio come processo non possa aver luogo a
scuola: come se esso si fosse sempre realizzato prima o dopo, comunque non nel
tempo/spazio scolastico, e la scuola avesse solo il compito di sollecitarlo e verificarlo. I dati
delle ricerche osservative, soprattutto ispirate alla sociolinguistica e alla etnografia della classe,
hanno infatti dimostrato come predomini nell'interazione verbale tra insegnante e alunni la
sequenza a tre parti costituita da "domanda dell'insegnante, risposta dell'allievo e commentovalutazione dell'insegnante". L'attivit di "porre domande" che di gran lunga il comportamento
pi frequente dell'insegnante e che accomuna anche diversi stili di insegnamento si caratterizza
per il fatto che non si tratta di "domande per sapere" o per capire, ma di domande che hanno,
nella grande maggioranza dei casi, lo scopo di verificare se l'allievo sa quello che dovrebbe
sapere. Come ha mostrato un ricercatore (Mehan, 1979), gi in prima elementare i bambini
hanno imparato il particolare status di queste domande, che profondamente diverso da quello
proprio della vita quotidiana: ad esse rispondere cercando per lo pi di ricordare ci che stato
detto dall'insegnante o che si letto nel libro di testo.
E' invece possibile "ridare" alla
illustrazione degli "oggetti del
all'interazione sociale consente
all'educazione e rende possibile

scuola il ruolo essenziale di elaborazione, precisazione e


conoscere" che le compete. L'approccio vigotskjiano
di cogliere il nesso fondamentale che lega lo sviluppo
capire come l'istruzione scolastica - con le sue particolari
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modalit di trasmissione della conoscenza, con il suo continuo riferimento ad una "realt"
basata sulla lingua scritta (Olson, 1979), sulla conoscenza scientifica (Pontecorvo, 1988), con le
sue pratiche di alfabetizzazione - possa produrre il modo scientifico, razionale e astratto di
pensare e di ragionare. In questa prospettiva l'interazione sociale tra insegnante e allievi svolge
un ruolo fondamentale perch essa si verifica prevalentemente attraverso la "mediazione
semiotica" (Wertsch, 1985) offerta dagli strumenti tecnici propri della cultura di appartenenza,
dai complessi sistemici simbolici, ad esempio, della lingua scritta, della matematica, delle
scienze fisico-naturali, delle scienze sociali.

b). Interazione sociale e contenuti culturali: la discussione in classe


In altri termini, le origini sociali del funzionamento mentale individuale non possono essere
ritrovate soltanto nella semplice interazione sociale con gli adulti e con i pari, e quindi nel
funzionamento interindividuale della diade che opera insieme nel discorso, nell'attivit di
routine, nella soluzione di problemi. Anche in quel caso, infatti sono presenti oggetti, pratiche,
discorsi che hanno senso in riferimento a un contesto socioculturale pi ampio: si pensi
all'ambiente fisico in cui ha luogo l'attivit, all'organizzazione del tempo, alla presenza di oggetti
particolari, al setting particolare. Tanto pi questo vale quando ci riferiamo all'interazione sociale
che ha luogo a scuola e alle nuove forme di mediazione semiotica che sono proprie del
contenuto scolastico ai suoi vari livelli o che per lo meno lo caratterizzano: la presenza
dominante di testi scritti, la formalizzazione e l'astrazione propria della matematica, la (diversa)
sistematicit degli insegnamenti scientifici e di quelli storico-culturali e di quelli storico-sociali, la
decontestualizzazione.
Le specificit delle mediazioni culturali determinano differenti forme di discorso, diverse
"pratiche discorsive" che sono proprie della scuola e che possono spiegare i cambiamenti nelle
capacit cognitive e nell'organizzazione concettuale che si verificano nei bambini negli anni
della scolarizzazione. Si tratta di modi di ricordare, di fare inferenze, di spiegare, di giustificare,
di argomentare che trasmettono al bambino nuove procedure conoscitive, nuove organizzazioni
concettuali, nuovi modi di leggere e interpretare la realt. Alcune ricerche (Edwards &
Middleton, 1988) hanno mostrato come attraverso le conversazioni tra madri e figli (di et tra i
due e i sei anni) che guardano insieme album di fotografie, i bambini "imparano a ricordare", a
ricostruire e ad argomentare i loro ricordi e le loro interpretazioni.
Il nostro interesse di ricerca rivolto da alcuni anni verso la discussione in classe, allo scopo di
precisare e verificare le condizioni che rendono cognitivamente produttivo questo particolare
tipo di interazione verbale anche nel contesto scolastico. Dall'insieme delle nostre ricerche
precedenti (ora raccolte in Pontecorvo, in stampa) emerso come la situazione di interazione
sociale in classe, che noi definiamo come discussione, comporti processi linguistici e
sociocognitivi particolarmente rilevanti ai fini dell'acquisizione di strategie e conoscenze nuove o
pi complesse.
Queste precedenti ricerche hanno anche mostrato che la discussione non si realizza
"naturalmente" a scuola: il risultato dell'inserimento di un insieme di condizioni che possiamo
definire come "sperimentali", in quanto definite a priori e introdotte nei contesti scolastici
naturali. Tali condizioni specifiche sono:
a) un'esperienza comune, preliminare alla discussione, tale per da non comportare un'unica
"lettura" o soluzione;
b) un discorso che rielabora l'esperienza compiuta e che si struttura come situazione di
problem-solving collettivo, in cui sia possibile negoziare significati, condividere e confrontare
differenti soluzioni o interpretazioni di uno stesso materiale (ad esempio, un testo scritto) o di
una stessa esperienza (ad esempio, un'osservazione o un "esperimento" scientifico);
c) un cambiamento delle usuali regole di partecipazione al discorso scolastico; i turni di discorsi
non debbono essere controllati dall'insegnante; le "usuali" domande dell'insegnante sono in
parte sostituite da ripetizioni degli interventi degli allievi, da richieste di spiegazione e da
interventi che sottolineano un'eventuale discordanza di posizioni. Abbiamo osservato che
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queste condizioni producono modalit di scambio socio-linguistico particolarmente produttive: la


necessit di rispondere a obiezioni ed a opposizioni (Orsolini, Pontecorvo, Amoni, 1989) e di
persuadere l'interlocutore che sostiene una posizione diversa, cercando di mostrarne
l'infondatezza, motiva una sempre maggiore esplicitazione di "garanzie" e "fondamenti" delle
proprie asserzioni (Toulmin, 1958; Pontecorvo, 1985). Pertanto, la situazione di discussione
attiva e sollecita la messa in atto (si potrebbe dire la "messa in scena") nel contesto sociale
della scuola di operazioni cognitive nuove, che possono successivamente essere interiorizzate
come capacit di ragionamento individuale (Vygotskji, 1974; Caron. 1983). Ma necessario che
il discorso-ragionamento collettivo si articoli nella produzione di argomentazioni a contrasto e a
sostegno, e che gli elementi cruciali dell'argomentare, propri dell'oggetto di conoscenza,
possano essere elaborati, approfonditi ed esplicitati nel discorso.
In questo contesto la produzione di spiegazioni da parte degli interlocutori ha la funzione
essenziale di produrre argomenti convincenti a sostegno della propria tesi. Ma affinch ci si
verifichi essenziale che la situazione proposta offra interpretazioni alternative, che siano
possibili e ammesse molteplici prospettive, che infine anche le soluzioni non verificate
mantengano tutta la loro valenza di possibilit, se sono difese con riferimento a criteri
comprensibili e condivisibili.
In ricerche svolte nel contesto scolastico (Orsolini & Pontecorvo, 1989) si visto come
possibile che bambini di scuola materna (oltre che di scuola elementare) discutano tra di loro
una storia che la loro insegnante ha in precedenza letto, interrompendola in punti cruciali e
sollecitando ad ogni interruzione i bambini a dire come poteva proseguire: in questo setting i
bambini hanno innanzitutto cercato di indovinare la prosecuzione, utilizzando le loro
conoscenze delle storie, si sono poi impegnati nel ricordare e drammatizzare insieme la storia
ascoltata, e infine sono riusciti ad assumere punti di vista personali e a discuterne, apportando
elementi probanti per giustificare le loro posizioni rispetto alla furbizia della protagonista e
dell'antagonista. Si cos potuto vedere come i bambini possano imparare a padroneggiare una
modalit di parlare e di argomentare attraverso la partecipazione ad una particolare "pratica di
lettura" pur senza avere ancora accesso diretto al testo scritto: la mediazione semiotica
costituita in questo caso sia dal testo e dal modo in cui letto dall'insegnante sia dal modo in
cui l'insegnante propone ai bambini di discutere della storia e guida questa discussione,
accettando di negoziare con i bambini l'interpretazione delle diverse fasi del compito proposto.
In questa, come in altre ricerche (Pontecorvo & Pontecorvo, 1986), si pu constatare come
effettivamente sia vera l'affermazione di Vygotskji (1974) che nei bambini "la discussione
precede il ragionamento". Ci vuol dire che nella situazione sociale di discussione tra pari i
bambini costruiscono un "ragionamento" collettivo e esteriorizzato; le capacit che essi mettono
in atto, ad esempio quelle di fornire giustificazioni e di fondare le proprie affermazioni in
funzione dell'argomentare con gli altri, possono essere interiorizzate come individuali capacit
di ragionamento in una fase successiva. Questo processo che va dal sociale all'intrapersonale
pu essere ipotizzato per l'imparare a spiegare, come capacit che si esercita prima nel
contesto sociale dell'argomentare, del rispondere a opposizioni e a obiezioni mosse da altri
(Einseberg & Garvey, 1981; Genishi & Di Paolo, 1982).
La situazione sociale di costruzione collettiva della conoscenza e della spiegazione, pi o meno
direttamente guidata dall'insegnante, produce e consente di esercitare nuove capacit
cognitive. In aggiunta a questo effetto possibile mostrare come anche in questo tipo di
interazione sociale i bambini non acquisiscano per soltanto una nuova formazione cognitiva
me anche una consapevolezza riguardo al suo uso. La situazione di interazione finalizzata alla
conoscenza rende possibile lo sviluppo di capacit metacognitive, che sono essenziali per
l'ulteriore apprendimento.
Imparando a scrivere, a risolvere problemi scientifici o sociali, a spiegare eventi narrativi in un
contesto di scambio e comunicazione con gli altri, bambini e allievi sono sollecitati a giustificare
ed a esplicitare le ragioni delle loro scelte: diventano cos consapevoli delle diverse attivit
cognitive che stanno mettendo in atto.

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Bibliografia
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In Search of Mind. Essays in Autobiography, 1983 by J.Bruner

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