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Jerome Bruner: il padre della psicologia culturale

Non è l’eredità biologica dell’uomo a plasmare la sua azione e la sua esperienza, l’eredità biologica non ha
la funzione di causa universale, piuttosto questa eredità impone dei limiti all’azione, limiti i cui effetti non
sono immutabili. Le culture, invece, mettono in moto dei meccanismi-protesi che ci rendono possibile
trascendere i limiti biologici: per esempio i limiti di capacità della memoria o quelli dello spettro uditivo. C’è
il rischio che lo studio della mente venga sottratto alla psicologica e si faccia riferimento a circuiti e aree
cerebrali e si perda la soggettività. Si rischia di poter dire che il cervello giustifica ogni cosa, che l’uomo non
è responsabile di ciò che fa perché tutto dipende dal suo cervello.

Prerequisito della cultura umana è il dono dell’intersoggettività: diventa una questione centrale sapere
come in qualsiasi cultura gli esseri umani riescano a condividere e trasmettere le visioni del mondo che
hanno costruito (l’intersoggettività): come gli esseri umani conoscono ciò che i propri simili pensano,
leggendo le loro menti o anche fraintendendole? Come riescono a comunicare i loro pensieri, sentimenti e
credenze? Secondo la teoria del costruttivismo tripolare elaborata di Vygotskij, tra il bambino e la realtà c’è
sempre la mediazione dell’Altro (terzo polo): pertanto, lo sviluppo va dall’intersoggettivo all’intrasoggettivo.

Tra gli anni 40-50 prende corpo il movimento del New Look con gli studi sulla percezione: 1947
esperimento della valutazione della grandezza delle monete, ne risulterà che anche la cultura influenza la
percezione.

Tra gli anni 60-70 Bruner studia lo sviluppo cognitivo, confronta Piaget e Vygotskij, e individua tre linee di
pensiero: pragmatico, iconico e simbolico. Bruner prende posizione per un costruttivismo transazionale che
pone l’accento sull’istruzione. Si focalizza sul pensiero narrativo che ha origine prelinguistica (rutine,
format, script): ciò che si fa è influenzato da come si racconta ciò che si sta facendo.

Format: struttura di base dello scambio fra adulto e bambino, modelli situazionali).

MER (Rappresentazioni Mentali di Eventi): conoscenze organizzate che si riferiscono ad una sequenza di
azioni e rappresentano l’ordine temporale e causale degli eventi entro certi contesti).

Script o Copioni: rappresentazioni verbalizzate di eventi

Per Bruner lo sviluppo è osservazione e imitazione intenzionale di un modello. Nella specie umana, durante
il processo di sviluppo, le intenzioni trascendono le capacità di realizzarle: il bambino piccolo, prima di
essere in grado di identificare completamente i mezzi in rapporto ad un fine, tenderà a palesare
un’irrequietezza, un’attivazione generale rispetto alla situazione. Perciò, i piccoli della specie umana sono
dipendenti (come in nessun’altra specie accade) da una relazione insegnamento/apprendimento con adulti,
i quali sorreggono il bambino attraverso l’azione congiunta entro contesti comunicativi (cfr. il concetto di
Scaffolding). In altre parole, l’adulto coglie l’intenzione del bambino e lo aiuta a realizzarla (come nel gesto
di indicare). Così il bambino procede nello sviluppo, diventando capace di proprie autonome azioni
intenzionali e costruendo Sé e pensiero. In sintesi, attraverso delle interazioni partecipative ripetute
(esperienze familiari dotate di senso), che dunque diventano prevedibili, il bambino impara a mettere in
pratica azioni intenzionali.

L’adulto monitora costantemente ciò che accade attraverso il linguaggio (prevalentemente narrativo). I
copioni consentono al bambino di entrare in un sistema di regole condivise e di imparare anche un
repertorio di emozioni appropriate. Es. di script: “quando vado a letto”
 3 anni: mi metto il pigiamino, la mamma mi dà da bere, mi dà un bacino, mi canta e poi dormo con la
luce accesa.

 4 anni: prima guardo la tv, poi riordino i giochi, faccio il bagno, metto il pigiama. Una volta la mamma e
una volta il babbo mi leggono la storia, l’ascolto e poi mi addormento. Bevo qualche volta! Non sempre. Poi
faccio le preghiere.

 5 anni: prima bevo il latte. Metto il pigiama e poi mi lavo. La mia mamma quando ha voglia mi racconta
la storia. La mamma mi aiuta a fare la preghiera e mi addormento con la luce accesa, poi quando dormo la
mamma la spegne.

INTERSOGGETTIVITÀ E CULTURA

Nello sviluppo l’intersoggettività è primaria e strutturante: condivisione, attenzione e sguardo, pointing,


gioco simbolico/Scaffolding. La cultura comprende anche la psicologia popolare e l’arte ( “immagini del
possibile in un mondo imperfetto”).

IL PENSIERO NARRATIVO

Il pensiero logico-matematico costituisce un potente strumento di conoscenza che si avvale di concetti


astratti e procedure formali. Ma quando si deve fare ordine in quella complicata rete di relazioni sociali,
dove le persone si muovono in modo singolare ed imprevedibile, bisogna ricorrere al pensiero narrativo
fondato sulla costruzione di storie. Il pensiero narrativo può essere considerato come un modo di pensare il
sociale. Infatti, parla della vita sociale non solo perché è un sistema di conoscenze che si applica al sociale
ma anche perché si costruisce a partire dalle relazioni sociali e le modifica attivamente. Del resto, le
interazioni sociali contribuiscono a formare il pensiero narrativo sia in quanto la vita sociale gioca un ruolo
decisivo nello sviluppo del pensiero, dell’intelligenza e della vita affettiva, ma anche e soprattutto perché le
interazioni sociali possono essere considerate narrazioni; esse hanno infatti un’organizzazione analoga alle
narrazioni (soggetto, azione, scopo), si organizzano in formati e copioni e sono portatrici di costrutti
narrativi (miti, credenze). Il pensiero narrativo cerca di dare un’interpretazione ai fatti umani creando una
storia basata sull’intenzionalità degli attori e sulla sensibilità del contesto. Il contesto è costituito dalla
situazione relazionale nella quale nascono o alla quale devono essere adattate le storie per essere rese
credibili. Quindi, la storia costituisce un modello interpretativo delle azioni sociali umane e non è un
processo arbitrario: deve essere rispettata una forma di coerenza. Linguisticamente il pensiero narrativo è
sintagmatico, nel senso che l’asse del suo linguaggio è orizzontale e riguarda tutte le possibili opzioni
sintattiche per concatenare le parole o le frasi tra loro. Il pensiero narrativo inoltre è ideografico, nel senso
che ricerca le leggi relative al caso singolo. Nel cercare la logica delle azioni umane, esso si muove al livello
della intensionalità dei significati, cercando di ricostruire la ricchezza del caso singolo secondo un quadro
unitario. Infatti, il termine intensionale indica il particolare e preciso contenuto, la qualità individuale, la
connotazione di un termine, di un predicato o di un enunciato. Si contrappone ad estensionale, termine che
invece indica la classe di tutti gli oggetti che sono denotati con lo stesso segno, cioè con la stessa parola; per
cui un insieme viene definito per estensione quando si enumerano esplicitamente tutti gli elementi che
appartengono a tale insieme.

SCAFFOLDING

Sostegno tecnico e organizzativo, cognitivo e meta-cognitivo, ma anche emotivo. Lo Scaffolding possiede


diverse funzioni:
1.Coinvolgimento o interessamento al compito = il tutor deve catturare l’attenzione dell’apprendista e
motivarlo, non solo nella fase iniziale ma anche in qualsiasi momento di difficoltà egli incontri.

2.Facilitazione o riduzione dei gradi di libertà = il tutor cerca di alleggerire o facilitare il compito rendendolo
alla portata dell’allievo in quel momento.

3.Mantenimento della direzione = il tutor sollecita l’allievo al mantenimento della strada che lo porterà
all’obiettivo finale, cercando di mantenere alta la motivazione.

4.Evidenziazione degli aspetti cruciali = il tutor sottolinea all’allievo gli aspetti cruciali del compito.

5.Controllo della frustrazione = lo aiuta a contenere l’ansia del raggiungimento dell’obiettivo derivante da
frustrazione e scoraggiamento.

6.Dimostrazione o modeling = il tutor propone la soluzione mostrando egli stesso come si fa ma in modo
comprensibile all’allievo; tira le fila e chiarisce il senso di ciò che è accaduto.

LA RICERCA DEL SIGNIFICATO (1990)

L’opera è considerata come manifesto della psicologia culturale. Affronta la storia della tentata rivoluzione
cognitiva degli anni 50: dal comportamento all’azione intenzionale. La psicologia si occupa del significato.
Centralità al linguaggio: studio della nascita del linguaggio; intreccio con il pensiero narrativo; ricerche sui
soliloqui di Emily; ricerca sul ghetto di Baltimora; ricerca sulle autobiografie familiari.

LE RICERCHE

I STUDIO (J. Lucariello): a 4-5 anni che cosa stimola l’attività narrativa dei bambini? Storie da completare.

II STUDIO (P. Miller): narrazioni familiari nel ghetto nero di Baltimora (madri e bambini di 3 anni) –
ostentazione della dura realtà per rendere duri i bambini (guarda quella CAGNA col nasone, allora io mi giro
e gli faccio: “dì, ce l’hai con me, CE L’HAI CON ME?”).

III STUDIO (J. Dunn): la storia giusta nella commedia familiare.

IV STUDIO (J. Bruner): registrazione dei soliloqui di Emily fra i 18 mesi e i 3 anni (periodo narratogeno).
Funzione costitutiva del linguaggio per dare senso alla vita quotidiana “sembrava alla ricerca di una
struttura globale che comprendesse FARE, SENTIRE e CREDERE”.

V STUDIO (J. Bruner): sulla famiglia Goodhertz (madre e padre sessantenni, 2 figli maschi e 2 femmine, tutti
adulti) con interviste separate e una seduta comune di discussione su cosa significa crescere nella famiglia
Goodhertz.

RICERCA LONGITUDINALE SUI SOLILOQUI DI EMILY

18 mesi – 3 anni

Evento critico che rompe la canonicità: il linguaggio nasce dalla ricerca della storia giusta.

Analisi dei soliloqui:

1 fase: sequenzialità (e…E poi…);

2 fase: canonicità/violazione (di solito, sempre, a volte);


3 fase: prospettiva personale (credo, penso, forse);

In sintesi, impariamo a parlare per il bisogno di narrare, per costruire la storia giusta.

LA PSICOLOGIA COME RICERCA DEL SIGNIFICATO

Alla fine degli anni 50 il Cognitivismo si propose di ribaltare gli assunti del Comportamentismo, tentando di
definire un nuovo oggetto della psicologia: oggetto della psicologia non sono gli stimoli e le risposte, il
comportamento osservabile, le pulsioni biologiche e le loro trasformazioni, ma il loro significato. Ma ben
presto (in concomitanza con la rivoluzione informatica che si sviluppava nel mondo post-industriale
proponendo prodigiose elaborazioni di dati col minimo sforzo) l’interesse cominciò a spostarsi dal
significato all’informazione, dalla costruzione del significato all’elaborazione dell’informazione. Si tratta di
cose profondamente differenti: la computazione divenne metafora dominante, la computabilità criterio
indispensabile per ogni modello teorico valido. Per l’informazione non è rilevante il significato: in termini
computazionali, l’informazione contiene un messaggio precodificato nel sistema, il significato è assegnato a
priori ai messaggi. Per un sistema computazionale è del tutto indifferente se ciò che viene immagazzinato
sono parole tratte dai sonetti di Shakespeare o invece numeri di una tabella di numeri casuali. Secondo la
teoria classica dell’informazione: un messaggio contiene informazione se riduce il numero delle scelte
alternative, e questo implica l’esistenza di un codice di scelte possibili prestabilite. Un tale sistema non può
affrontare l’indeterminatezza, la polisemia, i collegamenti di tipo metaforico. Nel modello che equipara la
mente ad un computer, la capacità di memorizzare e comprendere è equiparata alla capacità di simulare
realisticamente, per mezzo di un software, memoria e comprensione. A stimolo e risposta vengono
sostituiti Input e Output. Essere agente significa scegliere razionalmente (cioè calcolando i vantaggi). Le
nostre scelte invece cadono in un contesto attivo, di cui fanno parte anche le scelte che gli altri fanno nei
nostri confronti. La scelta non è un calcolo né una semplice preferenza, ma una convinzione (e soprattutto
un’assunzione di rischio). La psicologia culturale intende la cultura come parte integrante della mente (non
solo come contesto della mente): cultura è il mondo a cui adattarsi ma anche l’insieme degli strumenti per
farlo.

È opportuno precisare che la prospettiva auspicata da Bruner non costituisce un’alternativa alla ricerca di
oggettività, il lavoro di indagine che si delinea in tale ottica mira a incrementare l’oggettività. Bruner non
prende le distanze dall’orientamento cognitivista, piuttosto egli critica la dominanza dell’atteggiamento
computazionale con cui è stata eclissata ogni ricerca di significati. Ad esempio, Bruner argomenta in favore
di una rifondazione dell’originaria rivoluzione cognitiva, nel senso di una riorganizzazione ispirata al
riconoscimento che il concetto basilare della psicologia umana è la ricerca del significato, inteso come
principio strutturale delle vicissitudini umane. La psicologia culturale è costituita dalla prassi della
narratività e dall’esercizio ermeneutico che si compie in ogni rielaborazione simbolica degli eventi.
L’esercizio della narratività presuppone un sufficiente sviluppo della capacità di ascolto autentico, in
assenza della quale sarebbe insensato teorizzare il valore euristico e strutturante delle narrazioni. È
inevitabile che nella condizione umana vi siano fenomeni di scissione di interessi tali da indurre ad un
continuo di fazioni oppositive. Una delle principali risorse per mantenere un equilibrio di sopravvivenza è la
capacità di elaborare narrazioni interpretative adatte ad attenuare le scissioni che potrebbero scatenare un
eccesso di dinamiche conflittuali. L’obiettivo della narratività non è quello di ricomporre tesi inconciliabili
piuttosto quello di renderle comprensibili e di creare interconnessioni percorribili. Le storie, secondo
Bruner, rendono la realtà una realtà mitigata. Appare ugualmente rilevante il ruolo della narrazione
autobiografica nella costruzione del Sé: Bruner non considera un’autobiografica come un documento
obiettivo ma piuttosto come una spiegazione di ciò che noi riteniamo sia avvenuto. Si tratta di
un’interpretazione di ciò che abbiamo fatto, del mondo, delle circostanze e delle ragioni per cui abbiamo
fatto qualcosa. Anche tutto questo costituisce una sorta di narrazione, una storia in cui alla fine narratore e
protagonista si fondono nel qui ed ora dell’espressione.

Dunque, la vita e il Sé che ci costruiamo costituiscono la risultante dei nostri sforzi di costruzione di
significato. Tuttavia, il programma di ricerca delineato da Bruner non intende svalutare la dimensione
biologica della condizione umana e le sue implicazioni di ordine fisiologico, etologico e computazionale,
bensì mira a porre in risalto una sinergia per cui la vita della mente rappresenta un’espressione non solo
della condizione biologica ma anche e soprattutto delle vicissitudini storiche e culturali. Infatti, per
comprendere gli esseri umani è necessario utilizzare una sinergia teorica che includa la dimensione
filogenetica dalla quale evolviamo, l’orizzonte simbolico in cui viviamo e le vicissitudini ontogenetiche in cui
tali forze biologiche e culturali vengono a interagire. In quest’ottica, la psicologia non può agire isolata ma
stabilire legami epistemologici con altre discipline. Ad esempio, possiamo trasferire la prospettiva
narratologica di Bruner sul versante delle possibili applicazioni psicoterapeutiche: in risposta alla
rivalutazione del controtransfert in quanto strumento idoneo per indagare meglio le profondità della psiche
del paziente, possiamo riproporre tale rivalutazione in senso speculare e intendere il controtransfert del
paziente anche esso come prezioso strumento di conoscenza del transfert dell’analista. Infatti, da entrambe
le parti sono in funzione dinamiche derivanti da proiezioni inconsce, aspettative, fantasie: il paziente al pari
dell’analista ha lo stesso diritto di esprimere risonanze profonde riguardanti il proprio partner analitico e la
struttura stessa del rapporto. Dunque, anche la storia interpretativa del paziente può essere un valido
strumento di conoscenza della situazione.

CONCETTI BASE PER LA PSICOLOGIA CULTURALE

- Valorizzazione della nozione di soggettività.

- Approccio epistemologico non riduzionistico.

- Prospettiva monistica.

- Rifiuto del postulato dell’unità psichica.

- Enfasi sul linguaggio e sull’interazione.

Per Bruner se la psicologia dell’uomo si occupa dunque, in primo luogo, di significato (insieme ai processi e
alle transazioni inerenti la costruzione di significati) non può ignorare la psicologia ingenua popolare: la
gente ha credenze e desideri che muovono le azioni, ed anche le istituzioni si fondano sul senso comune
della psicologia popolare. La psicologia popolare non è organizzata su base logica o categoriale ma su base
narrativa. La narrazione permette l’organizzazione dell’esperienza ma anche la sua congiuntivizzazione.

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