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Jerome Bruner (1915-2016) è il padre della Psicologia culturale, una psicologia di cui è
elemento essenziale la circolarità del pensiero narrativo, contrapposto al pensiero
scientifico. I concetti base della psicologia culturale sono:
valorizzazione della nozione di soggettività: l’uomo è un essere riflessivo che formula
scopi e piani, che anticipa le conseguenze delle proprie azioni, che è in grado di
influenzare il proprio ambiente (agency). L’azione è la controparte intenzionale del
comportamento ed è sempre azione nella situazione (scenario culturale e interazioni
reciproche)
approccio epistemologico non riduzionistico: il processo di conoscenza è un atto di
interpretazione attuato da un attore che è intimamente coinvolto nel processo che
osserva (implicazione);
prospettiva monistica: mente e cultura non sono separabili, ciò ha forti connotazioni
evolutive. Esempio: studiare nello sviluppo come il bambino diventa in grado di
coordinarsi ai genitori, di tenere conto delle specifiche aspettative della sua famiglia, di
usare strumenti del suo ambiente, etc.
rifiuto del postulato dell’unità psichica: non è vero che i processi psicologici sono uguali
in tutti gli individui a prescindere dalla loro cultura di riferimento; per spiegare lo
sviluppo abbiamo bisogno di teorie esplicative differenziate in base alla cultura. La
prospettiva culturale non nega che possano esistere processi psicologici universali, solo
che, quando questi “universali” esistono, essi sono dovuti al fatto che gli individui
attribuiscono significati culturali simili e utilizzano pratiche culturali simili. È possibile
generalizzare solo all’interno della stessa cultura o di culture simili.
enfasi sul linguaggio e sull’interazione: linguaggio e interazione sono i veicoli attraverso
i quali i significati sono creati, comunicati, mantenuti e trasformati. I medesimi atti
comunicativi linguistici e interattivi portano alla costruzione di regole comuni del modo
di pensare.
Per Bruner la psicologia dell’uomo si occupa in primo luogo dei significati; nel suo libro “la
ricerca del significato” nel 1990, afferma che agli inizi del periodo cognitivista l’attenzione
si è spostata dal concetto di “significato” al concetto di “informazione” e dunque dalla
ricerca dei significati all’elaborazione delle informazioni. Egli non prende le distanze
dall’orientamento cognitivista, piuttosto critica la dominanza dell’atteggiamento
computazionale con il quale è stata eclissata ogni ricerca dei significati. Il concetto basilare
della psicologia umana è la ricerca di significato, inteso come il principio strutturale dei
processi e delle vicissitudini umane. *
2. Cos’è lo scaffolding?
Per Bruner se la psicologia dell’uomo si occupa in primo luogo di significato non può
ignorare la psicologia ingenua popolare: la gente ha credenze e desideri che muovono le loro
azioni e la psicologia popolare è il modo con il quale una cultura spiega il comportamento
degli esseri umani e ha lo scopo di fornire quei mezzi grazie ai quali la cultura modella
quest’ultimi secondo le proprie esigenze. Anche le istituzioni si fondano sul senso comune
della psicologia popolare la quale non è organizzata su base logica o categoriale, ma su base
narrativa. Partendo dalla distinzione fra queste due forme di pensiero possiamo evidenziare
gli elementi concettuali che le caratterizzano, focalizzandoci in particolar modo proprio sul
pensiero narrativo. Il pensiero logico-matematico costituisce uno strumento potente e
raffinato di conoscenza che si avvale di concetti astratti e di procedure formali, ma quando
si deve far ordine in quella complicata rete di relazioni sociali, dove le persone si muovono
in modo singolare e imprevedibile, bisogna ricorrere al pensiero narrativo fondato sulla
costruzione di storie:
Il Pensiero Logico o Paradigmatico è tipico del ragionamento scientifico, applicato
soprattutto al mondo fisico: costruisce categorie, proposizioni libere dal contesto,
formali, astratte dal tempo. Riguarda le leggi generali della causalità. Sacrifica la
comprensione all'estensione, la ricchezza al rigore, cerca di eliminare le ambiguità
scegliendo le alternative in modo da determinare quale tipo di spiegazione dei fenomeni
sia quella giusta. Usa a questo scopo criteri di verità basati su falsificabilità e validazione
esterna. Produce dizionari.
Il pensiero narrativo può essere considerato come un modo di pensare il sociale. Infatti
parla della vita sociale non solo perché è un sistema di conoscenze che si applica al
sociale, ma anche perché si costruisce a partire dalle relazioni sociali e le modifica
attivamente. Del resto le interazioni sociali contribuiscono a formare il pensiero
narrativo sia in quanto la vita sociale gioca un ruolo decisivo nello sviluppo del pensiero,
dell'intelligenza e della vita affettiva, ma anche e soprattutto perché le interazioni
sociali possono essere considerate narrazioni: esse hanno infatti un'organizzazione
analoga alle narrazioni (soggetto, azione, scopo, ecc.), si organizzano in formati e copioni
e sono portatrici di costrutti narrativi (miti, credenze, ecc.). Produce enciclopedie. Il
pensiero narrativo cerca di dare un'interpretazione ai fatti umani creando una storia
basata sull'intenzionalità degli attori e sulla sensibilità al contesto. Il contesto è costituito
dalla situazione relazionale nella quale nascono o alla quale devono essere adattate le
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storie per essere rese credibili. La storia costituisce quindi un modello interpretativo
delle azioni sociali umane e non è un processo arbitrario: deve essere rispettata una
forma di coerenza. Linguisticamente il pensiero narrativo è sintagmatico, nel senso che
l'asse del suo linguaggio è orizzontale e riguarda tutte le possibili opzioni sintattiche per
concatenare le parole o le frasi tra loro. Il pensiero narrativo è inoltre ideografico, nel
senso che ricerca le leggi relative al caso singolo. Nel cercare la logica delle azioni umane,
esso si muove al livello della intenzionalità dei significati, cercando di ricostruire la
ricchezza del caso singolo secondo un quadro unitario.
Pensiero e linguaggio ordinano dunque la realtà interna ed esterna, raggruppando oggetti
sparsi secondo dei criteri: in senso paradigmatico e in senso narrativo, cioè tramite
CATEGORIE e STORIE. Secondo Bruner le categorie sono dei fiori che cogliamo dal
giardino delle narrazioni, perché derivano da esse ma, una volta colte da questo giardino,
non perdono il loro profumo originario. In altri termini, è come se il concetto di bicchiere
mantenesse ancora dentro di sé qualcosa di quel bicchiere d’acqua dato dalla mamma prima
di addormentarsi. La PSICOLOGIA CULTURALE intende la cultura parte integrante della
mente (non solo il contesto della mente!): cultura è il mondo a cui adattarsi, ma anche lʼinsieme
degli strumenti per farlo e, nella metafora precedente, il giardino delle narrazioni è collocato nel più
vasto mondo della cultura: categorie e storie sono infatti entrambi strumenti culturali.
Attraverso le STORIE (l’uso di questi strumenti culturali) con cui gli adulti accompagnano
tutte le azioni svolte insieme al bambino, la CULTURA struttura il Sé e la mente, realizzando
le nozioni di normalità e possibilità: La CULTURA è DIALETTICA del CONSOLIDATO e
del POSSIBILE (risvolti educativi e terapeutici). La narrazione permette l’organizzazione
dell’esperienza, ma anche la sua congiuntivizzazione.
L’obiettivo di Bruner è quello di dimostrare che l’acquisizione della capacità di narrare non
è semplicemente un’acquisizione mentale, bensì un’acquisizione di pratica sociale. Egli
vuole arrivare a ciò attraverso la discussione sulle modalità con cui gli esseri umani in tenera
età cominciano a “entrare nel significato”, ovvero come imparano ad assegnare un senso, in
particolare un senso narrativo, al mondo intorno a sé: il ragionamento di Bruner muove dal
disaccordo manifestatosi verso la teoria di Noam Chomsky, il quale aveva ipotizzato un
“meccanismo” innato per l “acquisizione del linguaggio”. Egli invece, con l’obiettivo di
“smontare” la teoria di Chomsky, evidenzia tre punti che, inoltre, lo avrebbero poi portato
all’affermazione dell’origine prelinguistica del pensiero narrativo:
Il linguaggio viene acquisito non da spettatori, ma attraverso l’uso. L’acquisizione del
linguaggio richiede assistenza e interazione con chi si prende cura del bambino.
Certe funzioni o intenzioni comunicative risultano ben evidenti prima che il bambino
sia giunto a padroneggiare il linguaggio formale (atto di indicare).
L’acquisizione della prima lingua dipende molto dal contesto. Tramite una valutazione
del contesto il bambino sembra che il bambino sia in grado di afferrare il lessico e aspetti
grammaticali appropriati di una lingua.
Bruner a questo punto afferma che la questione di come noi “entriamo nel linguaggio”
debba tener conto di un insieme selettivo di “attitudini al significato” di tipo prelinguistico;
esistono certe classi di significato nei confronti delle quali gli esseri umani si trovano
“sintonizzati” in modo innato. Possiamo dunque parlare di una vera e propria, così definita
da Bruner, attitudine prelinguistica: egli la descrive come una forma di rappresentazione
mentale che viene attivata dalle azioni, dalle espressioni degli altri e da certi contesti
sociali. L’essere umano dispone quindi di un bagaglio di predisposizioni a costruire il
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mondo sociale in un certo modo e ad agire sulle proprie costruzioni; ciò equivale a dire che
noi veniamo al mondo già in possesso di una forma primitiva di psicologia popolare.
Successivamente Bruner completa il ragionamento sull’origine prelinguistica del pensiero
narrativo esplicitando le quattro interazioni partecipative principali, in particolare modo
proprie del contesto familiare, attraverso le quali il bambino “scopre” il pensiero narrativo:
Routine: abitudine lentamente acquisita per mezzo della pratica e dell’esperienza.
Format: struttura di base dello scambio fra adulto e bambino, modelli situazionali.
Mer: rappresentazioni mentali di eventi: conoscenze organizzate che si riferiscono a una
sequenza di azioni e rappresentano l’ordine temporale e causale degli eventi entro certi
contesti.
Script o Copioni: rappresentazioni verbalizzate di eventi. L’adulto monitora
costantemente col linguaggio (prevalentemente narrativo) ciò che accade; prescrizioni,
divieti, richieste, incoraggiamenti e interpretazioni. I copioni o script permettono al
bambino di entrare in un sistema di regole condivise e di imparare anche un repertorio
di emozioni appropriate.
Ciò che determina l’ordine di priorità in cui le forme grammaticali vengono assimilate dal
bambino in tenera età è proprio la “spinta” a costruire una narrazione.
Si tratta di uno studio longitudinale che Bruner analizza e descrive nel terzo capitolo del
suo libro, ascoltando i soliloqui di Emily dai 18 mesi ai 3 anni. Questo studio consentì di
osservare lo sviluppo del suo linguaggio, non utilizzato solo come strumento comunicativo,
ma anche come veicolo per riflettere ad alta voce, alla fine delle sue giornate piene di
impegni. Circa un quarto dei suoi soliloqui erano resoconti narrativi di tipo autobiografico
su quello che aveva fatto o su quello che pensava avrebbe fatto l’indomani.
Emily non si limitava a riferire: cercava di dare un senso alla propria vita quotidiana, alla
ricerca di una struttura globale che comprendesse le cose che aveva fatto, le cose che sentiva
e le cose in cui credeva. I progressi nel linguaggio di Emily parevano essere alimentati dal
bisogno di costruire significati narrativi, di organizzare le cose in ordine seriale, di
distinguerle in base alle loro peculiarità. A prova di questo si può osservare che forme
gestuali per esprimere richieste e indicare oggetti esistono da molto prima della comparsa
del discorso lessicale grammaticale per esprimere tali funzioni, sono proprio questi bisogni
che spingono il bambino all’acquisizione della padronanza di forme linguistiche
appropriate. Dalla ricerca sono emersi tre risultati importanti:
Anzitutto si manifestò una solida padronanza delle forme linguistiche volte ad acquisire
una sequenzialità più lineare nei suoi racconti (i resoconti si evolvevano, prima semplici
congiunzioni per legare gli avvenimenti, poi locuzioni temporali, infine causali), Emily
era alla ricerca del significato di quanto accaduto e questo dipendeva dall’ordine e dalla
forma della sua sequenza.
In secondo luogo, aumentò il suo interesse per distinguere il canonico o l’ordinario
dall’insolito; tutto ciò che era stabile, affidabile e normale la interessava e serviva per
spiegare l’eccezionale.
Infine, Emily iniziò a introdurre nei suoi resoconti narrativi una prospettiva ed una
valutazione personale, quasi sempre nella forma di esprimere i suoi sentimenti a
proposito di ciò che stava raccontando.
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Lo psicologo e psicanalista Roy Schafer (1922-2018) si interessò non solo a ciò che possiamo
definire la sostanza o il contenuto dei sé, ma anche alle modalità di tale costruzione;
l’analista deve soffermarsi non solo sul contenuto ma anche sulla forma della narrazione.
Col suo pensiero Schafer contribuì a quella che è stata poi definita la “svolta narrativa”: la
nostra identità personale e il nostro concetto del sé vengono acquisiti tramite l’uso della
struttura narrativa, e la concezione della nostra esistenza come un unico insieme è compiuta
per mezzo della comprensione della nostra vita come espressione di un’unica storia che si
svela e si sviluppa.
Bruner, nella sua psicologia culturale, sulla linea del pensiero di Schafer, pone l’enfasi sulla
narrazione come strumento privilegiato per la costruzione del sé e dell’identità, processo
fondamentale per lo sviluppo dell’adolescente.
8. Cos’è un compito di sviluppo? Quale autore lo ha definito nei suoi vari aspetti? Quale
autore ha definito questo concetto? (Erikson)
La definizione più nota di compito di sviluppo si deve allo studioso Havighurst: un compito
di sviluppo è un compito che si presenta in un determinato periodo della vita di un
individuo e la cui buona risoluzione conduce alla felicità ed al successo nell’affrontare i
problemi successivi, mentre il fallimento di fronte ad esso conduce all’infelicità, alla
disapprovazione da parte della società e a difficoltà di fronte ai compiti che si presentano in
seguito. Una caratteristica dei compiti di sviluppo non ricorrenti è che devono essere
affrontati in momenti specifici o fasi della vita; i compiti di sviluppo ricorrenti si
ripresentano in ogni fase e vengono affrontati diversamente a partire dalle esperienze
pregresse.
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Erik Erikson ha individuato per ciascuno stadio del ciclo di vita un particolare compito di
sviluppo che, a seconda di come viene affrontato e risolto, condurrà ad esiti evolutivi
positivi o negativi. Ogni stadio dello sviluppo è infatti caratterizzato da un dilemma psico-
sociale che nasce all’interno della relazione soggetto/ambiente e che deve essere superato
perché la crescita possa procedere in senso maturativo. Egli individua otto tappe di
sviluppo, in ciascuna delle quali è costretto a consolidare una nuova competenza in seguito
alla crisi e alla precarietà dovuta alla necessità di sperimentare una riorganizzazione
dell’equilibrio che è stato sconvolto:
Infanzia: fiducia di fondo vs sfiducia di fondo: Speranza;
Prima fanciullezza: autonomia vs dubbio e vergogna: Volontà;
Età del gioco: iniziativa vs senso di colpa: Finalità;
Età scolare: industriosità vs senso di inferiorità: competenza;
Adolescenza: identità vs confusione di identità: fedeltà;
Giovinezza: intimità vs isolamento: amore;
Età adulta: generatività vs stagnazione: cura;
Età senile: integrità vs disperazione e disprezzo: saggezza.
Il dilemma che l’adolescente deve affrontare è legato dall’antitesi tra identità e confusione
di identità e può portare a raggiungere la forza psicosociale positiva della fedeltà, ovvero la
capacità di essere coerenti e leali rispetto ad un impegno assunto sia verso se stessi che gli
altri. Caratteristica di questo stadio è la sperimentazione. L’autore parla di periodo
adolescenziale come una moratoria psicosociale: un periodo di maturazione sessuale e
cognitiva che tuttavia è sanzionato dal rinvio di un definitivo impegno. Da un lato il ragazzo
è chiamato a ripudiare le identificazioni della fanciullezza, rintracciando un diverso e
personale modo di relazionarsi agli altri; dall’altro è chiamato ad assumere un ruolo, che gli
consenta di essere riconosciuto dalla comunità sociale. In tale fase due sono i processi
cruciali per la costruzione dell’identità: identificazione e sperimentazione. Attraverso il
primo processo, l’adolescente abbandona le identificazioni precedenti scegliendo nuovi
modelli identificativi. Nel secondo egli sperimenta nell’adesione consapevole ai gruppi
sociali, che gli consentono di assumere svariati ruoli favorendo il confronto, la riflessione e
la conoscenza del Sé. Al termine dell’adolescenza il ragazzo dovrebbe possedere una
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maggiore e più articolata consapevolezza della propria identità e delle sue caratteristiche
che Erikson individua in quattro componenti:
Continuità e coerenza: l’adolescente percepisce una continuità e una consistenza interna;
Reciprocità: consapevolezza di una sostanziale corrispondenza fra l’immagine che
abbiamo di noi e quella percepita dagli altri con cui entriamo in relazione;
Libertà ed accettazione dei limiti: comprensione dei propri limiti fisici e delle proprie
capacità;
Avvertire una destinazione: aver costruito delle rappresentazioni realistiche di sé e del
proprio progetto/percorso di vita.
Nel caso in cui l’adolescente non riesca a superare le ambiguità, andrà incontro ad
un’identità confusa e in qualche modo negativa. Tale lavoro di costruzione non termina con
l’uscita dallo stato adolescenziale: la costruzione dell’identità continuerà ad essere
componente essenziale nella vita della persona.
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Forse un ragazzo che comincia a lavorare molto presto ed è costretto a maturare in fretta,
precludendosi il tempo per esplorare tipico dell’adolescenza; una ragazza madre ad
esempio.
Forse quando i genitori scelgono loro il futuro del figlio senza permettergli di esplorare le
carie opzioni possibili. A volte può succedere che il giovane non esplori mai le sue opzioni
e non attraversi un periodo di moratoria; in questo caso, costruirà la sua identità attraverso
i consigli o la guida di un adulto.
15. Cos’è la mentalizzazione del corpo? Percorsi atipici della mentalizzazione del corpo:
dismorfofobia e anoressia, autolesionismo
Con mentalizzazione del corpo si intende quel processo attraverso cui si giunge ad una
rappresentazione mentale del proprio corpo e delle sue modificazioni e ad un’accettazione
delle implicazioni psicologiche che esso comporta. La corporeità in adolescenza può essere
diversamente vissuta e problematizzata fra dimensioni ambivalenti che vanno
dall’annientamento, dalla negazione dell’avere un corpo alla sua esaltazione o comunque
esibizione, al tentativo di modificazione e cambiamento. Queste problematiche possono
portare a vari problemi. La dismorfofobia è la sensazione soggettiva di deformità o difetto
fisico per la quale si ritiene di essere notati dagli altri nonostante l’aspetto rientri nei limiti
della norma, fino al punto che l’ansia e la preoccupazione portano ad un disturbo della
funzionalità sociale. Altre problematiche in questa direzione sono patologie quali
l’anoressia e la bulimia e pratiche di modificazione momentanea o definitiva del proprio
corpo quali il piercing e i tatuaggi e anche l’autolesionismo.
La bulimia e l’anoressia rientrano nella categoria dei disturbi alimentari e negli ultimi anni
i soggetti affetti sono in costante aumento arrivando ad interessare una parte significativa
della popolazione, soprattutto giovanile e adolescenziale, imponendosi come un problema
sociale. Di solito l’anoressia inizia con diete incontrollate e apparentemente tale
comportamento è influenzato da stereotipi pubblicitari e sociali e percepisce la propria
corporeità in modo conflittuale ed eccessivo. Pietropolli Charmet parla di iper-
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I meccanismi di difesa sono funzioni dell’Io destinate a proteggere il soggetto dalle richieste
istintuali dell’Es o da un’esperienza pulsionale troppo intensa percepita come pericolo. I
meccanismi di difesa si formano nel corso dell’Infanzia quando si presenta una minaccia
proveniente dal mondo interno, più raramente dalla realtà esterna. Al fine di mantenere
lontano dalla consapevolezza impulsi sessuali e aggressivi il soggetto utilizza strategie
appropriate funzionali all’evitamento dell’ansia, altrimenti indotta, dall’emergere di
impulsi incompatibili con la realtà. Costituiscono quindi delle operazioni di protezione
messi in atto dall’Io per garantire la propria sicurezza. Avendo un importante funzione di
adattamento entrano in gioco anche in condizioni normali, influenzando in modo
determinante il carattere e il comportamento di ciascun individuo.
I meccanismi di difesa operano, con vari gradi di rigidità, in modo automatico e inconscio
al fine di escludere dalla consapevolezza ciò che è inaccettabile. Questo concetto venne
definito per la prima volta da Sigmund Freud, ma venne esteso e ampliato da sua figlia
Anna nel testo “l’Io e i meccanismi di difesa” del 1936, opera in cui l’adolescenza viene
trattata come fase distinta.
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17. Quali sono i meccanismi di difesa degli adolescenti per Anna Freud? C’è un legame
tra ascetismo e intellettualizzazione e disturbi del comportamento alimentare
(anoressia)?
Anna Freud passa dalla psicologia dell’Es del padre alla psicologia dell’Io, un’istanza che
ha la funzione di mantenere l’equilibrio psichico interno mediando tra l’Es e il Super-Io e
che si trova al centro del conflitto tra le pulsioni sessuali che richiedono un soddisfacimento
imminente e la coscienza morale. Questo determina un senso di angoscia a cui il soggetto
reagisce attraverso i meccanismi di difesa. Nella pubertà l’angoscia induce l’Io a rafforzare
i meccanismi di difesa già presenti nella fase di latenza (rimozione, spostamento, negazione,
inversione degli impulsi verso il sé), ma promuove anche l’attivazione di altri meccanismi
di difesa fase specifici che fanno la loro prima comparsa proprio nell’adolescenza:
l’ascetismo e l’intellettualizzazione.
L’ascetismo tende a negare e sopprimere i bisogni corporei, il soggetto tenda di porre sotto
controllo le pulsioni che affiorano finendo per diffidare del soddisfacimento in senso ampio
ed aderendo ad un divieto assoluto di soddisfazione dei bisogni primari (non proteggersi
dal freddo, astenersi dall’alimentazione, rinunciare al sonno, fino al contenimento
sfinterico). Le pulsioni represse non trovano dei soddisfacimenti sostitutivi né
necessariamente si manifestano come sintomi nevrotici, tuttavia avvengono dei
cambiamenti repentini dall’ascesi ad un eccesso pulsionale nel quale il soggetto ignora ogni
restrizione esterna; sebbene questi eccessi pulsionale siano sgraditi, dal punto di vista
analitico corrispondono a dei momenti di guarigione spontanea.
L’intellettualizzazione utilizza le competenze acquisite in questa fase dello sviluppo
(pensiero astratto, pensiero logico-deduttivo e sviluppo di pensieri complessi) per traslare
su un piano teorico e astratto questioni appartenenti alla vita quotidiana ed emotiva, ma
questa febbrile attività intellettiva non si traduce in azione concreta. I temi su cui si attua
questo processo riguardano i conflitti interni dell’adolescente; nonostante ciò non sono
messi in atto reali tentativi di risoluzione dei problemi. L’intellettualizzazione
dell’adolescente sembra non servire ad altro scopo che ai suoi sogni ad occhi aperti, egli
prova già soddisfazione per il solo fatto di pensare, rimuginare o discutere.
Attualmente l’ascetismo trova una sua caratterizzazione nelle ragazze affette da disturbi del
comportamento alimentare, mentre l’intellettualizzazione sembra meno diffusa anche a
causa della perdita di familiarità con i processi di pensiero riflessivo della generazione dei
“nativi digitali” e la diffusione dei mass-media.
Anna Freud individua e descrive altri meccanismi di difesa tipicamente adolescenziali: la
tendenza ad agire e le difese contro i legami oggettuali interni dell’infanzia. Il primo consiste
nella conversione dei vissuti psichici in forme comportamentali compulsivamente
manifestate, la cosiddetta messa in atto. Il secondo, agisce mediante lo spostamento
dell’investimento libidico, originariamente diretto verso i propri genitori, nell’ambiente
esterno, in direzione della formazione di nuovi legami. Esso può distinguersi in 4
sottocategorie, descritte da Anna Freud in ordine crescente di gravità (ultimi due con
maggiore rischio di crescita disfunzionale in direzione psicopatologica):
Difesa per spostamento della libido: gli adolescenti affrontano l’angoscia sollecitata
dall’attaccamento agli oggetti infantili con la fuga e il trasferimento dell’investimento su
figure alternative come sostituti parentali con caratteristiche diametralmente opposte ad
essi, su “capi” e su coetanei per la formazione delle cosiddette bande.
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18. Il contributo di Blos allo studio dell’adolescenza. Perché secondo Blos gli adolescenti
maschi formano gruppi omosessuali? Che ruolo svolge, secondo Blos, l’amico del
cuore? Perché secondo Blos c’è una differenza di genere in adolescenza?
Peter Blos ha contribuito in modo decisivo allo sviluppo di una cultura psicoanalitica
dell’adolescenza attraverso una trattazione del funzionamento della mente e dello sviluppo
psicosessuale in questa fase di vita, che definisce come “secondo processo di
individuazione”. Blos inquadra lo sviluppo adolescenziale in cinque fasi secondo una
sequenza evolutiva che segna il passaggio dal periodo di latenza, che conclude l’infanzia,
alla vita adulta: preadolescenza, prima adolescenza, adolescenza vera e propria, tarda
adolescenza e post-adolescenza. L’adolescenza viene messa in relazione all’infanzia,
collocando le due fasi lungo un continuum che rappresenta lo sviluppo psicosessuale
dell’individuo. Il periodo di latenza assume particolare rilevanza poiché costituisce la
premessa necessaria per una positiva risoluzione della fase adolescenziale; in questa fase sia
genitori che ambiente sociale svolgono una funzione significativa. Nella fase di latenza si
manifestano differenze significative tra maschi e femmine; la regressione a livello pre-
genitale all’inizio della latenza sembra una forma di difesa più tipica del maschio che della
femmina. Nel maschio la tendenza aggressiva pre-adombra il suo sviluppo adolescenziale.
Il fatto che il maschio abbandoni la fase edipica in modo più rigido e netto della bambina
gli rende estremamente difficile la prima parte della latenza, invece la bambina entra in
questa fase in modo meno conflittuale e anzi mantiene con una certa libertà alcuni aspetti
fallici del suo passato pre-edipico. Per la bambina inizia un periodo più conflittuale negli
ultimi anni di latenza quando è imminente l’erompere delle pulsioni e il Super-Io risulto
inadeguato. L’adolescenza è definita da Blos come la fase in cui il ragazzo e la ragazza
elaborano la totalità delle loro esperienze di vita per raggiungere un’organizzazione stabile
dell’Io; questa fase è caratterizzata da turbolenze e ansietà che dipendono non solo dal
primato della genitalità e dalla lotta dell’Io, ma anche dall’attivazione dei processi di
separazione e individuazione, che conducono alla costituzione del senso di identità.
Preadolescenza: l’individuo viene investito da una forte quantità pulsionale a cui fa
fronte attraverso modalità di gratificazione di tipo libidico e aggressivo tipiche
dell’infanzia; in questa fase il soggetto è impossibilitato a discernere sia un nuovo
oggetto di amore sia un nuovo scopo istintuale (non vi è ancora il primato della
genitalità, ma si ha una reviviscenza della pre-genitalità). Pertanto si hanno
comportamenti diversi nei due sessi: nel ragazzo si osserva una riattivazione
dell’immagine infantile della madre minacciosa, castrante e fallica e vissuti di paura e
invidia per il sesso femminile. Questo determina l’evitamento delle coetanee e un
rafforzamento dei legami con il gruppo dei pari che presenta caratteristiche di esclusività
e condotte omosessuali. Nelle ragazze si evidenzia un atteggiamento opposto:
interessamento dell’altro sesso a scopo difensivo contro la madre pre-edipica; inoltre il
loro compito consiste nella rimozione della pre-genitalità per acquisire la femminilità. In
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questa fase compare per gli adolescenti una nuova modalità di gratificazione istintuale
che è la socializzazione della colpa (l’adolescente scarica il proprio senso di colpa sul
gruppo o sul suo leader evitando l’attivazione di meccanismi di difesa personali).
Prima adolescenza: in questa fase viene acquisita la capacità di abbandonare le relazioni
oggettuali infantili con un parallelo rafforzamento dell’Io e indebolimento del Super-Io
e un investimento affettivo nei confronti di nuovi oggetti extra-familiari. Anche in questo
caso compaiono modalità differenti nei due sessi: nel maschio l’importanza cruciale
viene assunta dall’amico del cuore, che possiede le caratteristiche e qualità sognate
dall’adolescente. Questa fase ha un ruolo fondamentale per la formazione dell’Ideale
dell’Io che assorbe la libido narcisistica e omosessuale favorendo uno sviluppo
eterosessuale. Anche per le ragazze è importante il ruolo svolto dall’amica del cuore (la
cui perdita può portare a stati depressivi e sensazioni di inutilità) e delle “cotte”, con
tratti di bisessualità e di passività nei confronti dell’oggetto amato che spesso presenta
delle parziali somiglianze alle figure genitoriali.
Adolescenza vera e propria: declino del narcisismo e della bisessualità, si concretizza la
ricerca dell’oggetto d’amore eterosessuale che richiede l’identificazione positiva o
negativa con il genitore dello stesso sesso.
I due avvenimenti principali di questa fase sono il lutto e l’innamoramento: il primo
riguarda il graduale processo di separazione dalle figure genitoriali che porta ad un
profondo senso di vuoto interiore e promuove la tensione creativa e artistica; il secondo
è espressione del processo di individuazione e quindi di reinvestimento della libido
verso nuovi oggetti d’amore.
Tarda adolescenza: fase di consolidamento in cui si giunge alla formazione di un nuovo
principio organizzatore definito “Sé”. Per consolidamento si intende:
- una sistemazione stabile delle funzioni e degli interessi dell’Io;
- Un ampliamento della sfera dell’Io libera da conflitti;
- Una posizione sessuale irreversibile;
- Un investimento relativamente costante delle rappresentazioni degli oggetti e del sé;
- Stabilizzazione degli apparati che salvaguardano l’integrità dell’organismo psichico.
Post-adolescenza: il soggetto in questa fase non possiede ancora tutte le caratteristiche
dell’individuo adulto, ma trovano pieno compimento quei processi avviatisi
nell’adolescenza che grazie ad un’armonizzazione dei desideri pulsionali e dell’Io,
portano all’elaborazione di una personale modalità di vita. La fiducia una volta riposta
nel genitore idealizzato dell’infanzia, viene collocata nel Sé; la maturità si raggiunge solo
tramite la pacificazione del maschio con la propria imago paterna e la femmina con la
propria imago materna.
Blos prova a classificare ulteriormente lo sviluppo adolescenziale ricorrendo a categorie
cliniche individuando la normalità nei primi tre casi e definendo patologici gli altri quattro:
Adolescenza tipica;
Adolescenza protratta (prolungamento dell’adolescenza dovuto a condizioni culturali);
Adolescenza abbreviata (accorciamento dell’adolescenza che sfocia prima nell’età adulta
a scapito della differenziazione della personalità);
Adolescenza simulata (riedizioni di antiche organizzazioni pulsionali);
Adolescenza traumatica;
Adolescenza prolungata (perseveranza allo stato adolescenziale)
Adolescenza abortiva (perdita dell’esame di realtà e psicosi).
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Il mondo degli adulti: riguarda gli adolescenti propensi alla realizzazione schematica di
uno scopo sociale che è però fortemente orientato dalle ambizioni irrealizzate dei
genitori.
Il mondo degli adolescenti: categoria che più si riferisce al normale andamento; il
giovane, incerto e confuso, condivide questa infelice condizione con i coetanei, insieme
ai quali tenderà a ricercare la verità. Il risultato sarà l’ingresso nel mondo degli adulti e
della sessualità.
L’adolescente isolato: si caratterizza per il ritiro in un’organizzazione narcisista adibita
alla creazione di un’illusoria sensazione di onnipotenza e straordinaria originalità a cui
si associa la convinzione di dover compiere una missione unica nel mondo.
20. Il contributo di Winnicott allo studio dell’adolescenza. Cosa intende Winnicott per
dibattersi nella bonaccia? Cosa intende Winnicott per tendenza antisociale?
Donald Woods Winnicott è uno dei rappresentanti più significativi del gruppo degli
indipendenti, il middle group che prese le distanze dai due gruppi che si stavano formando
in quegli anni in Inghilterra dallo scontro teorico e clinico tra Melanie Klein e Anna Freud.
Con Winnicott si assiste ad una sostituzione del concetto di pulsione con il concetto di
bisogno e quindi al passaggio da una prospettiva biologica ad una prospettiva psicologica
con l’intento di sottolineare l’importanza di una relazione diadica madre-bambino in cui la
madre deve essere in grado di sintonizzarsi con le richieste del bambino, soddisfacendone i
bisogni. Questo approccio psicoanalitico è quindi prettamente focalizzato sulla dimensione
dell’interazione, sulla centralità del contesto sociale e affettivo e sul ruolo delle figure di
riferimento, in particolare la madre che deve assolvere 3 compiti per poter essere
considerata sufficientemente buona (preoccupazione materna primaria): holding (sostegno
e contenimento mentale), handling (manipolazione del bambino che favorisce la
personalizzazione, l’insediamento della psiche nel soma per garantire salute mentale) e
object presenting (presentazione del mondo al bambino da parte della madre). I primi sei
mesi di vita del nascituro rappresentano il periodo dello sviluppo emozionale primario e
risultano essere centrali per l’intera vita dell’individuo; in questa fase si avvia un processo
che si basa su 3 concetti: dipendenza (passaggio da dipendenza assoluta a relativa che solo
in adolescenza si trasformerà in indipendenza), organizzazione (passaggio da non-
organizzazione a organizzazione) e integrazione (passaggio da uno stato di non
integrazione, in cui il bambino non possiede un’unità corporea ad una integrazione).
Per Winnicott l’adolescenza si caratterizza si caratterizza per l’angosciante alternanza di
stati in cui prevale lo spirito di indipendenza e stati di regressione verso la dipendenza.
L’angoscia adolescenziale è determinata anche dall’acquisita capacità di dare la morte oltre
che di generare la vita. Il nuovo modo di pensare alla propria mortalità spinge a dimostrare
a se stessi di saper sfidare la paura della morte e di essere in grado di affrontarla più da
vicino; gli adolescenti sono inevitabilmente portati a costruire idee intorno alla morte, ma
anche di andarla a cercare attraverso esperienze che consento di sfidarla, batterla
simbolicamente per proseguire nel proprio percorso di crescita nonostante questa nuova e
dolorosa scoperta. Un’altra esperienza fondamentale è la scoperta e il debutto della
sessualità che si contrappone allo stato di isolamento in cui l’adolescente si ritrova. La
costituzione di gruppi tra adolescenti può essere ritenuta una specie di formazione reattiva.
Per Winnicott inoltre l’adolescenza è un momento di scoperta personale in cui l’influenza
materna e il contesto sociale in cui il soggetto è inserito svolgono una funzione incisiva.
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Gustavo Pietropolli Charmet nel suo libro “Fragile e spavaldo. Ritratto dell’adolescente di
oggi” del 2008 afferma che gli attuali adolescenti sono caratterizzati da un ambiguo impasto
di fragilità e spavalderia. È una fragilità che si fonda sull’impressione di avere una missione
speciale da compiere e che colloca l’adolescente fuori dal suo tempo rendendolo spesso
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disinteressato alle vicende che dovrebbero invece riguardarlo da vicino. Gli adolescenti
pensano di doversi dedicare allo sviluppo della loro bellezza, non solo fisica, ma psichica,
sociale, espressiva. Il bisogno di curare la loro bellezza li rende permalosi, esposti al rischio
di sentirsi poco apprezzati, umiliati e mortificati da un ambiente che non dà loro il giusto
riconoscimento. Quindi Fragili perché esposti alla delusione derivante dal divario tra
aspettative di riconoscimento e trattamento reale da parte di insegnanti, coetanei, genitori.
Fragili perché addolorati dall’umiliazione e dal rischio di doversi troppo spesso vergognare
del proprio corpo e della propria invisibilità sociale. questa fragilità narcisistica è però ben
intrecciata con un altro aspetto: la spavalderia. Sono spavaldi interiormente, non solo e non
tanto con l’autorità. La loro è una supponenza non troppo tracotante, un’indifferenza senza
disprezzo. È un’operazione mentale che ha l’esito di sminuire l’importanza delle persone o
istituzioni che di solito ne avrebbero molta, e che sono invece costrette a fare i conti con
questa perdita di fascino.
22. Quale sarebbe per Pietropolli Charmet la visione della Scuola degli adolescenti
contemporanei? Qual è l’atteggiamento che ha l’adolescente contemporaneo nei
confronti della scuola e dell’autorità? In che senso la scuola ha perso la sua valenza
simbolica?
L’istituzione alla quale più di tutte gli adolescenti di oggi hanno sottratto quasi totalmente
il potere simbolico di cui godeva in passato è la scuola, ridotta a un edificio e un insieme di
adulti deputati a erogare un servizio. Gli adolescenti entrano ed escono dalla loro scuola
con indifferenza e padronanza; non ne hanno paura, non si sentono in colpa se non hanno
fatto i compiti. Ma nello stesso tempo non esagerano: sono solo spavaldi, non aggressivi;
non la attaccano, la sopportano, ma la scuola non deve esagerare.
L’impasto tra fragilità e spavalderia non sempre è gradito agli adulti che lo vivono come
mancanza di rispetto, complicando la relazione educativa. Il mondo adolescenziale di oggi
appare incomprensibile agli occhi degli adulti, troppo distante da quello che hanno
sperimentato anni prima. I genitori e gli insegnanti degli adolescenti di oggi hanno poco
praticato la spavalderia perché nella loro adolescenza hanno dovuto fare i conti con la
sudditanza, obbedienza e devozione. Non erano spavaldi, semmai ribelli, contestatori,
secchioni. Non erano fragili, carismatici, permalosi e dediti al culto della propria persona,
perché erano assorbiti dal tentativo di capire come si potesse conquistare la libertà sessuale
ed espressiva, sempre però conservando buoni rapporti con genitori e insegnanti.
Si perché i genitori hanno paura di perdere l’amore e la stima dei figli, per questo si sono
modificati i rapporti intergenerazionali: sono gli adolescenti che devono confortare i
genitori, perché temono di non essere abbastanza. È nella propria mente che Narciso annulla
l’importanza dell’altro, della crescita, della differenza, che decide di liberarsi di ogni
dipendenza distruggendo gli oggetti d’amore della propria infanzia e dell’adolescenza. La
distruzione riguarda ciò che è avvenuto tra la mamma e il bambino in una lunga fase di
dipendenza reciproca. Alla fine Narciso riesce quasi sempre nel suo intento: sgonfia la
struttura onnipotente e narcisistica infantile e accresce la struttura narcisistica
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adolescenziale, ispessisce la corazza e la barriera di contatto con il mondo sia interno che
esterno e si libera del sogno impossibile.
In questi ultimi anni il conflitto tra le generazioni si è molto placato: il padre ha deposto le
armi, il controllo sociale sui giovani li lascia piuttosto liberi di esprimersi, le pari opportunità
hanno dato i loro frutti, le madri sono intente a lavorare e i figli non debbono perdere tempo
a liberarsi dalla loro ansia. Per tali motivazioni, a differenza degli adolescenti dei decenni
precedenti, l’attuale adolescente ha una diffusa convinzione che il proprio sé sia molto più
importante dell’altro: per questo si parla di narcisismo. Non ritengono che sia un peccato
coltivare i propri interessi, soddisfare i propri desideri, opporsi a quelle richieste che
ostacolano la piena espressione della propria individualità, ampliare l’area delle esperienze
personali, scegliere valori e modelli di vita. Gli adolescenti ritengono che i comportamenti
che derivano da queste convinzioni siano del tutto legittimi e che non vi debba essere alcun
contrasto da parte della cultura degli adulti. Il sé è più importante del culto e della
devozione nei confronti dell’altro da sé, genitore, insegnante, prete o poliziotto. Il sé ha
diritto naturale di esprimersi, di crescere nella verità della propria personale ispirazione.
Il nuovo adolescente può perciò prendere il nome di Narciso perché ha bisogno di vedere
riflessa la propria immagine nello specchio sociale, nel consenso del gruppo, nella
valutazione dei docenti, nell’affetto della madre e del padre.
Mentre il contesto educativo e gli adulti sono molto critici nei confronti del narcisismo
(disprezzo), la televisione, la pubblicità, il cinema, l’editoria sono al completo servizio di
Narciso. Il mercato dei consumi si rivolge a Narciso nella consapevolezza che lui muove
mosse enormi di denaro favorendo un processo di adolescentizzazione dei consumi.
La debolezza di Narciso consiste però proprio nella sua dipendenza dal riconoscimento da
parte del mondo in cui vive. Le ferite narcisistiche sono dolorosissime, producendo rabbia
impotente e un micidiale progetto vendicativo.
25. Che differenza c’è tra Famiglia degli affetti e Famiglia delle regole? Come è cambiata
la rappresentazione di ‘figlio’ in questi due tipi di famiglia?
Il cambiamento del modello educativo familiare ha giocato un ruolo primo piano alla
trasformazione tra le generazioni di adolescenti. Narciso nasce e prende corpo in famiglia,
cresce e si convince del valore del progetto narcisistico, attraverso la relazione con la madre
e con il padre; anche nelle relazioni con i membri della famiglia allargata, accorsi a salutare
il cucciolo d’oro da tutti adorato. Le madri e i padri hanno modificato le idee guida e i
sistemi di rappresentazione della funzione genitoriale: hanno smesso di pensare che il loro
cucciolo fosse un piccolo selvaggio, che il bambino nasca dall’ombra del peccato originale,
che nasca perverso e debba abbandonare questa sua natura accettando di privilegiare la
cultura e la civiltà. Non pensano più che il loro bambino sia tendenzialmente colpevole e
debba essere riscattato dall’educazione, che debba rinunciare a soddisfare i suoi bisogni e
desideri naturali., né che dovrebbero sottometterlo, anche con la minaccia e la
somministrazione dei castighi, al rispetto della loro autorità, in quanto rappresentanti
all’interno della famiglia dello Stato e della divinità. In sintesi non pensano che il bambino
sia tendenzialmente cattivo, ma buono e non progettano di farsi obbedire per paura di
castighi, né con le regole, ma che servirà molto amore, che cresceranno bene se i genitori li
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capiscono, vogliono bene alla loro intrinseca natura e li assecondano nei loro naturali e
sanissimi desideri. I genitori degli adolescenti di questi ultimi anni pensano che il neonato
sia programmato per cercare il bene, è affamato di latte, ma soprattutto di affetto, di
riconoscimento, di protezione intelligente. È un bambino che ha trasformato la sua famiglia
e la donna e l’uomo che lo hanno generato in madre e padre e la sua unicità, lungamente
attesa e preparata, viene largamente festeggiata. Non è nato un polimorfo perverso, ma un
piccolo messia con miracolose attitudini, che i genitori non tendono a punire e minacciare,
ma ad assecondare.
Nasce quindi il progetto educativo, ma soprattutto relazionale, di farsi obbedire per amore
e non per paura dei castighi e del dolore fisico o morale. È stato quindi quasi del tutto
abbandonato dai genitori dei nuovi adolescenti il modello educativo della colpa e del
castigo, che svolgesse un’azione dissuasiva nei confronti dei comportamenti di natura
sessuale o aggressiva collegati alla natura intrinsecamente colpevole del figlio dell’uomo. È
da questo modello educativo che veniva il figlio portatore del conflitto edipico, cioè
spaventato dai propri impulsi, terrorizzato dalla minaccia di castrazione, quindi
profondamente tormentato dai sensi di colpa: Edipo. Nel momento in cui Edipo entrava
nell’adolescenza, veniva inondato dalla massa di desideri e fantasie che gli erano proibite
(desideri sessuali, di libertà e autonomia), doveva decidere se sottomettersi alla Legge del
padre o tentare di affermare la legittimità della propria natura e affrontare i sensi di colpa
conseguenti. Poi in seguito alla crisi dell’autorità del padre e dell’inserimento massiccio
delle donne madri nel mondo del lavoro, la famiglia è diventata mononucleare, il numero
delle nascite è drasticamente diminuito, i figli sono quasi sempre unici, i rapporti di potere
tra uomini e donne sono cambiati. Questo ha portato alla cultura del narcisismo e la nostra
società è nelle mani degli adolescenti Narcisi.
purché richieda un minimo di dipendenza (merce relazionale che Narciso non concede
volentieri perché cerca indipendenza). In questo periodo Narciso è impegnato nei tentativi
di creare i primi abbozzi del nuovo mondo in un continuo processo creativo, di cui uno dei
primi oggetti d’amore sarà l’amico del cuore. Narciso considera l’amico del cuore un’opera
d’arte, molti adolescenti non sono creativi e non riescono in questa creazione, quindi si
accompagnano nel corso di questa età da compagni di classe o di squadra. La creazione del
migliore amico è ispirata dalla noia, che ha spinto l’adolescente a trovare una soluzione
intelligente e straordinaria, infatti il migliore amico accende le luci del nuovo mondo e
risveglia l’interesse per la scoperta del desiderio favorendo un investimento delle iniziative
specifiche della fase pre-adolescenziale e adolescenziale. Il migliore è stato creato apposta
per verificare la propria adeguatezza a vivere nel nuovo mondo, per legittimare il
trasgressivo desiderio di avventura e esplorazione e per preferire la paura dell’ignoto alla
sicurezza della propria cameretta. Il migliore amico è quindi una creazione specifica
dell’adolescenza promossa dal rischio della noia che funge da “protesi mentale” e che aiuti
a nascere come nuovo soggetto sociale e sessuato
L’adolescente di oggi è però esposto anche al rischio della vergogna, poiché aspira
all’esibizione sociale, accompagnata dal successo, molto più di Edipo. Narciso ha un
bisogno estremo di essere conosciuto e riconosciuto, ma viene anche accompagnato dalla
paura dell’umiliazione e dalla mortificazione (forme estreme di vergogna). Nessuna
esperienza psichica paralizza le abilità e blocca le competenze di Narciso più della vergogna.
Ferito dall’umiliazione può cercare rifugio nella vendetta, anche solo fantasticata (vendetta
strettamente legata al processo creativo). L’accanimento con cui rumina la vendetta consola
Narciso delle innumerevoli umiliazioni alla quale lo espone la permalosità. C’è
un’intenzione vendicativa nello sforzo creativo con cui l’adolescente crea il nuovo sé e i
nuovi oggetti d’amore: si vendica del mortificante bisogno infantile dei genitori.
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