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In realtà il concetto di polarità semantiche familiari contempla tre posizioni. Esso riprende la
metafora a cui rimandano molte etimologie del termine opposizione individuando essenzialmente
tre posizioni nella conversazione: le due polari e una serie di posizioni intermedie riassumibili in
quella di mezzo.
Anche per questa sua natura triadica, il concetto di polarità semantiche familiari rientra a pieno
titolo nella tradizione sistemica. Il ricorso a schemi esplicativi triadici costituisce uno degli aspetti
caratterizzanti le psicoterapie sistemiche fin dalla loro nascita. Haley individuava nel triangolo
l'unità privilegiata di analisi della nascente psicoterapia sistemica. Da allora il riconoscimento
dell'importanza del passaggio alla triade per la comprensione del comportamento umano ha
rappresentato un'acquisizione indiscussa nelle concettualizzazioni delle terapie sistemiche.
Triangoli e triangolazioni sono infatti al centro dell'elaborazione clinica dei pionieri della terapia
familiare. Soltanto grazie a Fivaz-Depeursinge e Corboz-Warnery sono emerse evidenze empiriche
che dimostrano la capacità di tutti noi, da un'età sorprendentemente precoce, di poter tener conto
contemporaneamente di due partner conversazionali. Queste autrici, hanno dimostrato attraverso il
gioco “triadico di Losanna” che molti bambini già a tre mesi sono in grado di alternare lo sguardo
fra i due genitori e a nove mesi pressoché tutti i bambini sono capaci di complesse interazioni
triadiche: si dimostra così che non appena il bambino entra nel significato è in grado di interagire in
contesti triadici e quindi quando il bambino entra nel significato è in grado di operare
posizionamenti taciti che tengano conto contemporaneamente di due partner.
I terapeuti sistemici, rispetto ai colleghi, si caratterizzano per la tendenza ad ampliare la loro analisi
alle generazioni precedenti anche quando il trattamento terapeutico è circoscritto al solo paziente
nelle terapie individuali.
Di certo non è sempre vantaggioso in terapia allargare il campo di osservazione. Non è infatti
possibile ricevere informazioni senza contemporaneamente darne, il processo è bidirezionale.
Coinvolgendo in seduta generazioni precedenti, il terapeuta inevitabilmente altera i confini della
famiglia nucleare, un movimento che può comportare effetti negativi anche se neutralizzabili nel
corso della terapia. Più il terapeuta estende la propria analisi alle generazioni passate o alla
parentela, meno tempo gli rimane per approfondire emozioni, sentimenti, scopi, sistemi di credenze
dei membri della famiglia nucleare.
Il campo di interferenza deve quindi essere ampliato quanto è necessario per la comprensione del
problema e per la trasformazione. Non oltre.
Il concetto di polarità semantiche familiari ci suggerisce di estendere l'analisi perlomeno fino a
includere le posizioni ai due estremi delle polarità semantiche ritenute importanti per la situazione
interpersonale che si intende analizzare.
Il problema dovrà allora essere contestualizzato fino a includere i due estremi. I tre poli delle
polarità cruciali diventeranno quindi oggetto della conversazione terapeutica.
La posizione mediana si definisce in rapporto a entrambi gli estremi.
Esaminiamo ora i processi conversazionali fra le persone che occupano le varie posizioni rese
disponibili dalle polarità semantiche salienti: i due estremi polari e la posizione mediana. Tali
processi concorrono a costruire le identità plurime dei partner conversazionali. Ricoprire una
posizione in un contesto conversazionale significa disporre di una gamma di strategie comunicative
verbali e non verbali, nonché un insieme di emozioni, premesse, schemi, sistemi di credenze, scopi
coerenti con quella posizione.
Proprio perché ciascuno occupa una gamma limitata di posizioni alcune storie saranno permesse,
nel senso di facili da costruire e da vivere, mentre altre gli saranno difficili, indisponibili o
addirittura proibite.
I concetti di interazione simmetriche e complementare e di schismogenesi ci aiutano a capire come
vengono costruite le due posizioni agli estremi.
Una delle grandi intuizioni di Bateson, che anticipa un tema centrale della Positioning Theory, è che
i tratti individuali che alimentano ciò che nel linguaggio ordinario chiamiamo “carattere” siano, in
misura significativa, l'esito di processi interattivi, in particolare di interazioni schismogenetiche
simmetriche e complementari.
Per Bateson la schismogenesi era un processo di differenziazione nel comportamento individuale
risultante dall'interazione cumulativa fra individui. Si trattava di un processo potenzialmente
progressivo che poteva verificarsi tanto nelle interazioni complementari quanto in quelle
simmetriche. Nel caso della schismogenesi complementare i due soggetti o gruppi in interazione
manifestavano comportamenti sempre più opposti; nel caso della schismogenesi simmetrica i
soggetti coinvolti, individui o gruppi, esibivano comportamenti sempre più simili.
In virtù dei processi schismogenetici gli individui massimizzano alcuni tratti del carattere a danno di
altri.
La costruzione dell'identità nella conversazione è infatti un processo che richiede, per essere
compreso, un'attenzione alla dimensione temporale e ai significati.
Riprendendo Bateson, possiamo affermare che quando in un contesto una dimensione semantica è
saliente, tra i membri che occupano i poli opposti della dimensione in questione la relazione sarà
complementare, cioè basata sullo scambio di comportamenti comunicativi opposti. Tra coloro che si
collocano nella stessa polarità la relazione sarà invece simmetrica, cioè basata sull'uguaglianza.
Esiste tuttavia anche la posizione mediana. La tesi che intendo avanzare è che la posizione di mezzo
non sia una semplice derivazione da quelle agli estremi. Esse ha una sua specificità perché è
costruita da processi conversazionali diversi da quelli che alimentano le due posizioni polari
contrapposte. La differenza non è immediatamente evidente. I processi conversazionali che
alimentano le posizioni di mezzo sono apparentemente simili ai processi ce costruiscono le due
posizioni polarmente contrapposte. Tra chi si pone, rispetto a una stessa dimensione semantica,
nella posizione mediana, e coloro che si contrappongono polarmente, la relazione, essendo definita
per differenza, è complementare. Analogamente, le relazioni fra coloro che occupano la posizione
mediana sono simmetriche, in quanto basate sull'uguaglianza. Si tratta tuttavia di analogie
superficiali. Le relazioni complementari che alimentano la popolazione di mezzo hanno
caratteristiche ben diverse da quelle che concorrono a costruire i due estremi. Possiamo definirle
speculari perché sono l'esito di un continuo bilanciamento: le alleanze, i conflitti, le collaborazioni
con coloro che occupano i due estremi sono sempre parziali. Di conseguenza esprimono un certo
ritiro dall'interazione.
Ma è soprattutto nei loro esiti sull'identità che i processi conversazionali della posizione mediana si
differenziano da quelli relativi agli altri due poli. Mentre le relazioni alimentate dalle posizioni
polari contrapposte stimolano – anche a prescindere dei fenomeni schismogenetici –
l'esteriorizzazione delle qualità individuali, le relazioni che costruiscono la posizione mediana –
siano speculari o simmetriche – danno luogo a un processo opposto che chiamo centralizzazione.
(fig 2.2) L'individuo collocato a uno dei due estremi, con-ponendosi per differenza o per
uguaglianza con gli altri, esteriorizza, esprime specifiche qualità. Proprio perché la sua attenzione è
diretta all'altro, egli acquista sempre più una sua specificità individuale: non c'è un io senza un tu.
Le posizioni agli estremi implicano un pieno riconoscimento del partner conversazionale, come
uguale, simile a sé, o come diverso, opposto a sé. Esse sono espressione nelle quali l'altro è centrale
nella sua posizione di alleato o di antagonista.
Le relazioni alimentare dalla posizione di mezzo innescano un processo opposto rispetto
all'esteriorizzazione: la centralizzazione. La posizione mediana si costruisce e si mantiene attraverso
un continuo bilanciamento nei confronti di chi si colloca ai due estremi. L'individuo in questa
posizione si sposta sensibilmente ora verso l'uno ora verso l'altro polo, ma questi spostamenti sono
contenuti e bilanciati, in un arco temporale relativamente breve, da cambiamenti di segno opposto.
Essendo la sua attenzione primariamente rivolta a mantenersi in equilibrio rispetto ai due estremi,
l'individuo in posizione mediana acquista una minore specificità individuale nella dimensione
semantica su cui il processo si applica di quanto accade a chi si colloca agli estremi. La definizione
di sé rispetto alla dimensione semantica saliente sarà altrettanto parziale.
Anche le relazioni tra coloro che condividono la stessa posizione mediana hanno un esito del tutto
simile sull'identità: gli individui saranno tanto più uguali tra loro quanto più risulteranno in
equilibrio rispetto ai due poli, e quindi poco o per nulla definiti rispetto alla dimensione semantica
entro cui si collocano.
I processi sia di esteriorizzazione sia di centralizzazione sono massimi allorché si verificano
fenomeni di polarizzazione. Gli individui massimizzano il tratto messo in gioco dalla polarità entro
cui ha luogo l'interazione schismogenetica, sviluppando una sorta di iperspecializzazione.
Chi si colloca nell'estremo culturalmente valorizzato di una dimensione semantica saliente sviluppa
una vera e propria eccellenza, in quanto massimizza una qualità socialmente apprezzata. Tuttavia è
esposto al rischio di unidimensionalità: ogni eccellenza si accompagna a qualche deficienza. Per
massimizzare certe qualità l'individuo deve trascurarne altre. L'iperspecializzazione in un contesto
rende l'individuo inadatto a partecipare ad altri tipi di conversazione.
Tutti i linguaggi sono infatti multidimensionali dal punto di vista semantico e il tipo puro si realizza
nel naufragio.
I pericoli sono ovviamente ancora più netti per coloro che si trovano nel polo con la connotazione
culturale negativa. Anche questi individui esteriorizzano qualità ben definite. La loro posizione
richiede un notevole dispendio di energie e molto apprendimento specialistico. S'impara a essere
passivi così come s'impara a essere attivi... ma chi si colloca all'interno dell'estremo connotato
negativamente, oltre a essere esposto a tutti i rischi del suo opposto polare, riceve una valutazione
negativa di sé: la sua eccellenza è di segno negativo.
I fenomeni di polarizzazione investono anche la posizione di mezzo. Essi sono il prodotto di
processi implogenetici, che rendono estrema la centralizzazione. L'esito di questi processi è
l'armonia, ma anche l'indifferenziazione. Quando la centralizzazione rispetto a una dimensione
semantica è massima, l'individuo è perfettamente bilanciato rispetto alla dimensione in questione.
L'eccellenza è rischiosa per la sua unilateralità, ma anche l'armonia contiene in sé i rischi del
naufragio, sia pure di altra natura. Essere perfettamente bilanciati rispetto a una dimensione
semantica saliente equivale a un ritiro dalla conversazione: l'individuo, limitatamente a quel gioco
semantico, non è più un partner conversazionale. Poiché non c'è un io senza un tu, se questa
posizione limite investe pressoché tutte le dimensioni semantiche salienti comporta la peggiore
minaccia a cui è esposto l'individuo: la perdita del sé.
I processi implogenetici esprimono una condizione in cui l'individuo non può definirsi perché l'altro
non può essere riconosciuto neppure come oggetto. Questi processi sono l'esito di situazioni
interpersonali in cui un partner conversazionale teme, sbilanciandosi verso uno degli estremi, di
ferire o addirittura di distruggere, o di essere a sua volta leso e sopraffatto, da chi si colloca nei due
poli contrapposti.
L'individuo in posizione mediana opera continui sbilanciamenti verso l'uno o l'altro dei due estremi,
e grazie a questi sbilanciamenti partecipa alla conversazione e si definisce come partner. Anzi le sue
alleanze parziali, così come i suoi conflitti limitati, gli consentono una multidimensionalità
semantica che è negata a chi si colloca agli estremi. Tuttavia quando i fenomeni implogenetici
prevalgono, e anche quando le possibilità di forme di partecipazione parziale alla conversazione
sono rese problematiche, la posizione mediana diventa la sede elettiva di pattern conversazionali
patogeni, a cui le psicoterapie sistemiche si sono riferite con termini quali disconferma, squalifica,
risposte tangenziali. Questi pattern conversazionali non sono necessariamente espressione di
contesti psicopatologici e sono riscontrabili con una certa frequenza nelle culture che privilegiano la
posizione mediana.
In sintesi, le famiglie o i gruppi con storia più ampi che valorizzano gli estremi e in cui prevalgono i
processi di esteriorizzazione tendono a favorire la differenziazione degli individui o, se si vuole
utilizzare un termine di derivazione psicoanalitica, l'individuazione. Differenziarsi implica di per sé
sviluppare certe qualità a scapito di altre e, come già detto, in ogni gruppo con storia vi sono sempre
più dimensioni semantiche salienti.
In questa prospettiva è possibile reinterpretare il termine “carattere”: così come viene usato nel
linguaggio della vita quotidiana, esso starebbe a indicare una persona che, essendo cresciuta in
contesti schismogenetici, risulta definita da un numero ridotto di caratteristiche.
Al contrario, le famiglie e anche le culture che valorizzano la posizione mediana e in cui prevalgono
i processi di centralizzazione, favoriscono lo sviluppo della multidimensionalità. Di conseguenza
l'identità degli individui che si collocano in posizione mediana può avvicinarsi a un ideale di
armonia. Quando tuttavia prevalgono i processi implogenetici si ha un incremento dei messaggi di
disconferma e di autosqualifica che minacciano la stessa esistenza dei soggetti come partner
conversazionali. È comunque insito nella posizione mediana un certo grado di ritiro dall'interazione;
di conseguenza gli individui che si collocano in questa posizione risultano meno differenziati
rispetto a chi si pone agli estremi delle polarità semantiche.
In che modo il bambino entra a far parte della trama condivisa di polarità semantiche della sua
famiglia? Ciò che il bambino apprende è un modo di posizionarsi con i familiari in contesti
semantici tripolari.
Ma in che modo il bambino si con-pone con gli altri membri della famiglia? Stabilendo quelli che la
letteratura chiama “legami di attaccamento”: i legami di attaccamento sono diversi in rapporto alle
polarità semantiche salienti nella particolare famiglia in cui il bambino entra a far parte.
Le emozioni vengono via via apprese grazie all'empatia.
La costruzione di una nuova posizione relazionale è l'esito di processi di attaccamento che sono
diversi in rapporto alle polarità semantiche presenti nella famiglia. La nostra specie non si può
prescindere dal significato. Per questo non può privilegiare un unico modello di attaccamento.
I bambini stabiliscono legami con i membri della famiglia, si con-pongono con loro secondo una
gamma di strategie coerenti con i significati polari salienti nel loro contesto familiare. In tutti è
sempre l'adulto ad attribuire i significati agli eventi. A livello semantico non esiste la bidirezionalità
adulto-bambino che è invece presente. Già dalla nascita, negli scambi interattivi.
Come è noto, tutti gli adulti, interagendo con il bambino piccolo, si comportano “come se” il
piccolo avesse intenzioni, scopi che di fatto è presumibile non abbia, ne fanno un partner
conversazionale a pieno titolo anche se non lo è. Gli adulti sovra-interpretano il comportamento del
bambino, attribuendogli un senso anche quando ne è sprovvisto. Tuttavia ciascun adulto privilegia
certi contenuti semantici e non altri; in questo modo l'adulto fornisce al bambino quella che
possiamo chiamare un'impalcatura semantica all'interno della quale il piccolo inizierà a con-porsi
con i membri della famiglia, definendo così la propria posizione. Questo processo non è quindi
bidirezionale ma l'adulto non esercita neppure un'influenza deterministica.
Di certo la nascita in una famiglia e in una cultura, delimitano le possibili posizioni con cui ciascun
individuo può con-porsi con gli altri. Ma proprio questa delimitazione dà realtà all'individuo. Le
posizioni che l'individuo può ricoprire non sono infinite.
Il concetto di polarità semantiche non confina l'individuo entro un'unica dimensione semantica.
Esso prevede che l'individuo disponga sempre di più di giochi semantici in cui posizionarsi con gli
altri. Via via che costruisce una propria posizione all'interno della famiglia, il soggetto si trova
tuttavia a disporre di una serie di abitudini comunicative, di capacità emotive e cognitive che gli
renderanno facile con-porsi con persone con un repertorio di capacità compatibili, in quanto
cresciuti in contesti con polarità semantiche simili; queste stesse capacità gli renderanno invece
difficile con-porsi con chi si è costruito all'interno di dimensioni semantiche diverse.
Il concetto prevede che il soggetto sia in grado di mettere in atto cambiamenti di posizione che
richiedono la capacità di con-porsi entro giochi semantici nuovi, entro dimensioni semantiche che
erano prima sconosciute. Questo tipo di cambiamento è stimolato dagli episodi enigmatici e dalle
relazioni enigmatiche.
Ciascuno, per entrare in una relazione significativa con una persona che non appartiene già ai suoi
contesti di riferimento, deve condividere uno o più giochi semantici. Ciascuno individua l'altro,
ancor prima di esserne consapevole.
L'avvio di una relazione di lavoro, di amicizia, di una relazione sentimentale, avviene quindi sempre
sulla base di qualche gioco semantico noto a entrambi i partner.
Alcuni ricercatori hanno dimostrato che il cambiamento è innescato da situazioni interattive che
presentano qualche affinità con quelli che ho chiamato episodi enigmatici. Non tutti gli incontri
sociali sono risultati efficaci ai fini dell'apprendimento; soltanto alcune interazioni, affini ai nostri
episodi enigmatici, erano in grado di operare avanzamenti: si tratta di interazioni in cui tra i due
soggetti viene a crearsi quello che possiamo definire un “conflitto socio-cognitivo”.
Affinché ciò si verifichi due condizioni risultano cruciali:
a) i soggetti coinvolti nell'interazione devono produrre, di fronte a un compito comune, risposte
divergenti; la divergenza può essere causata da ragioni contingenti e dal diverso livello di
competenza dei partner nella costruzione della nozione su cui verte l'esperimento;
b) i soggetti, in virtù della consegna sperimentale che li sollecitava a formulare una risposta o
semplicemente per il piacere della condivisione, dovevano essere indotti a trovare un accordo non
soltanto di facciata.
In breve, affinché la situazione interattiva diventasse generativa di avanzamenti cognitivi si
dovevano creare, tra i partner, una situazione di conflittualità e contemporaneamente il desiderio di
superare la divergenza.
Per diventare occasione per l'apprendimento di nuovi giochi semantici, anche gli episodi enigmatici
devono essere contestualizzati da emozioni che inducono i soggetti a mantenere l'interazione. Sono
queste emozioni a far superare ai partner l'impasse: entrambi entrambi i partner, nel tentativo di
mantenere l'interazione, sperimentano stati emotivi che consentono loro di con-porsi sulla base di
una dimensione semantica che era ignota a entrambi o, come spesso accade, uno dei partner
sviluppa modi di sentire che gli permettono di con-porsi con l'altro.
Quando ciò accade uno o entrambi i partner apprendono una nuova posizione nella conversazione.
Il coinvolgimento emotivo è sicuramente cruciale per il cambiamento. Le divergenze che si
riscontrano negli episodi enigmatici importanti per la costruzione e rottura dei legami e per l'identità
di ciascun partner conversazionale sono prevalentemente emotive.
Le relazioni costellate da episodi enigmatici hanno in genere durata breve. Un numero davvero
ampio di risultati sperimentali dimostrano che le persone interrogano i fatti per confermare le
proprie ipotesi e non per falsificarle. Analogamente, preferiamo con-porci con persone e in
situazioni interattive che non mettono in discussione la nostra identità. Con-porci all'interno di
dimensioni semantiche che ci sono ignote implica modificare significativamente la nostra posizione
e conseguentemente la nostra identità.
Poiché il cambiamento non è necessariamente un valore, è probabile che alla base della preferenza
per relazioni “confermanti” ci siano buone ragioni. Alcune relazioni sono tuttavia obbligatoriamente
enigmatiche. È il caso della relazione terapeutica che è finalizzata al cambiamento del paziente. Se
rinuncia a provocare episodi enigmatici, la relazione terapeutica produce dipendenza o produce
aggiustamenti all'interno di una trama di polarità semantiche che non viene modificata. Ma proprio
perché deve provocare episodi enigmatici, tale relazioni deve configurarsi come un contesto
emotivamente significativo per il paziente.
I significati che dominano la conversazione nei contesti con cui si sviluppano le organizzazioni
fobiche, ossessive, tipiche dei disturbi alimentari e depressive, si chiamano rispettivamente
“semantica della libertà”, della “bontà”, del “potere” e dell' “appartenenza” perché le polarità
caratterizzanti sono alimentate dalle stesse emozioni e quindi formano un insieme coerente di
opposizioni polari.
In queste semantiche sono coinvolti tutti i membri della famiglia, ma soltanto il partner
conversazionale, di regola, presenta un'organizzazione psicopatologica. Ciò che sembra favorire lo
sviluppo della psicopatologia è la posizione che il soggetto assume entro la semantica critica.
Con la Positioning Theory accanto al livello di contenuto di ogni messaggio e al livello di relazione
del meta-messaggio che indica quale significato debba essere attribuito ad un messaggio, vanno
inclusi l'episodio, la relazione fra i comunicanti, il sé o biografia personale e i modelli culturali.
Tutti questi livelli sono costruiti nel corso della conversazione e sono organizzati gerarchicamente.
In altri termini, il significato di un messaggio è definito non solo dal meta-messaggio, ma anche
dall'episodio di cui è parte e dalla relazione tra i partner, oltre che dai rispettivi sé e dai modelli
culturali.
Normalmente i messaggi sono contestualizzati dei livelli superiori che rappresentano la “forza
contestuale”. Fintanto che ciò accade, la natura dell'episodio, il tipo di relazione fra i partner, il
concetto di sé degli individui coinvolti e i modelli culturali vengono confermati dal messaggio. Ma
può accadere, come di fatto accade, che la “forza implicativa” (che preme dal basso verso l'alto)
prevalga. In questo caso un singolo messaggio capovolge la natura dell'episodio poiché diventa il
contesto entro il quale dare significato all'episodio. A sua volta, un episodio può diventare il
contesto in cui interpretare una relazione, e una relazione può fungere da contesto per il sé. E
l'episodio può modificare la relazione.
Di regola i ribaltamenti che vedono la forza implicativa diventare forza contestuale riguardano i
livelli di significato che coinvolgono messaggio-metamessaggio-episodio. Ma non mancano episodi
capaci di cambiare la natura di una relazione, il sé dei protagonisti e persino i modelli culturali.
È evidente che quando la forza implicativa sta per diventare forza contestuale la riflessività potrà, a
tratti, essere massima: i partecipanti oscillano circa l'interpretazione da dare all'episodio o alla
natura della loro relazione. I positioning difficili che caratterizzano la posizione dei soggetti che
sviluppano una psicopatologia fobica, ossessiva, depressiva e i disturbi alimentari riguardano due
dei livelli implicati: il sé e le relazioni. Tra di essi la riflessività è massima: il soggetto oscilla tra
prospettive inconciliabili.
Vi è riflessività quando due elementi in una gerarchia sono organizzati in modo tale che ciascuno di
essi è contemporaneamente il contesto in cui l'altro va inserito e il contenuto di cui l'altro è il
contesto.
I circuiti riflessivi, sono intrinseci all'interazione sociale. Se gli individui, percorrendo un'unità di
significato dall'alto verso il basso e viceversa, non si trovassero mai al punto di partenza, non
sarebbe neppure possibile il cambiamento. L'esperienza della riflessività – alla base dei messaggi di
doppio legame che Bateson considerava patogeni – è invece una conditio sine qua non del
cambiamento, della crescita e dell'evoluzione.
Il fatto che la riflessività sia un attributo normale dei processi comunicativi, non significa che non
abbia nulla a che fare con la patologia. Accanto ai circuiti “armonici” che non sono problematici, ci
sono i circuiti “bizzarri” che creano disagio e alla peggio patologie psicologiche. Sono di questa
natura i circuiti in cui finiscono per trovarsi intrappolate le persone con organizzazione fobica,
ossessiva, depressiva e tipica dei disturbi alimentari.
I concetti di transitività e intransitività consentono di distinguere i due tipi di circuiti: due livelli di
significato sociale hanno una relazione transitiva quando ciascuno può diventare il contesto
dell'altro senza che si modifichi il significato di nessuno dei due; i due livelli di significato hanno
invece una relazione intransitiva quando non è possibile che ciascuno dei due diventi il contesto
dell'altro senza che nessuno cambi di significato.
La transitività o intransitività fra i livelli di significato è definita dall'esperienza soggettiva da
“meta-regole” che sono il prodotto di modelli culturali e familiari e della particolare posizione
occupata da ciascuno entro i propri contesti di appartenenza. Di conseguenza non esiste alcun
messaggio a cui possano essere universalmente attribuite le caratteristiche di circuito ricorsivo
bizzarro.
Autori ipotizzano che l'entità del danno prodotto dei circuiti riflessivi bizzarri irrisolti sia tanto
maggiore quanto più sono coinvolti i livelli di significato superiori. Se la riflessività persiste e se
arriva a coinvolgere il sé, l'individuo – oltre a essere posto in uno stato di indecidibilità - non riesce
più a raggiungere un punto di riferimento stabile a partire dal quale poter dare significato agli
eventi.
Anche la posizione dei soggetti con un'organizzazione fobica, ossessiva-compulsiva, anoressico-
bulimica e depressiva all'interno della semantica dominante assume i contorni di un circuito
ricorsivo bizzarro che coinvolge i livelli del sé e della relazione. Due esigenze imprescindibili per
l'essere umano - disporre di relazioni soddisfacenti e mantenere un'autostima accettabile –
diventano autoescludenti proprio rispetto ai significati centrali per il contesto conversazionale di cui
il soggetto è parte.
I circuiti ricorsivi o i dilemmi implicativi non esauriscono la pluralità delle condizioni che possono
rendere problematici i positioning degli individui entro le semantiche. Tutte le polarità semantiche
rendono disponibili accanto a posizioni nell'estremo valorizzato, altre più difficili da vivere perché
nell'estremo considerato negativamente.
La collocazione del polo positivo non garantisce all'individuo un futuro privo di problemi. Chi si
colloca nell'estremo negativo può a volte trarre vantaggi dal suo positioning. La collocazione nel
polo connotato negativamente, per quanto fonte di sofferenza, non costituisce un pre-requisito che
interessa trasversalmente tutte le condizioni psicopatologiche.
In sintesi ricevere una definizione negativa di sé non sembra essere una condizione che
necessariamente favorisce lo sviluppo della psicopatologia. Almeno per le organizzazioni
psicopatologiche di cui ci occupiamo qui, l'esordio sintomatico sembra essere connesso più che a
esperienze traumatiche a un positioning che minaccia di privare il soggetto della struttura narrativa
entro la quale poter collocare la propria parte. Il problema – perlomeno nel momento che precede
l'ingresso nella patologia – non è che alcune storie gli siano proibite, mentre altre gli sono permesse,
ma che la stessa possibilità di comporsi entro una struttura narrativa gli è preclusa. È la patologia a
restituirgliela, a caro prezzo.
L'esperienza con le famiglie delle persone con organizzazione ossessiva dimostra che alcuni
membri di questi nuclei scelgono la via del sacrificio, della rinuncia, senza per questo essere colti da
quei sentimenti di annientamento che rendono questa scelta impraticabile per il soggetto ossessivo.
Altri membri della stessa famiglia vivono le loro pulsioni colpevoli senza essere minacciati da
livelli intollerabili di paura e angoscia.
Perché queste due strade sono invece, nello stesso tempo, ineludibili e bloccate, per il paziente
ossessivo?
Ritengo che entrambi i genitori siano essenziali per la comprensione di questa organizzazione.
Circoscrivendo il campo di osservazione al solo genitore verso cui il bambino ha il legame
preferenziale, il contesto non risulta sufficientemente ampio da includere la configurazione
relazionale necessaria per spiegare gli aspetti caratterizzanti di questa organizzazione. L'altro
genitore non è affatto marginale. Dalla casistica emerge un contesto intersoggettivo triadico, dentro
il quale prende forma e acquista significato la posizione difficile del paziente ossessivo e il dilemma
che lo caratterizza. Questa configurazione è frutto dell'esperienza del paziente.
1) Padre e madre si trovano ai due estremi della semantica critica, e la relazione della coppia è
caratterizzata da processi schismogenetici complementari che rendono il conflitto acuto, a
volte lacerante.
2) La figura principale di attaccamento del soggetto che svilupperà un'organizzazione
ossessiva-compulsiva si colloca di regola nell'estremo bontà, purezza (genitore astinente).
Questa figura con cui il futuro ossessivo sviluppa un attaccamento intenso, spesso esclusivo,
offre al bambino, in contesti importanti, una posizione di parità o di superiorità rispetto
all'altro genitore e ad altri membri della famiglia di livello gerarchico superiore. La barriera
generazionale è così infranta. La figura principale di attaccamento ponendolo in quella
posizione sembra anteporlo al partner e/o ad altri membri della famiglia della sua stessa
generazione. Le motivazioni che il soggetto si dà sono svariate: perché è più sensibile e
buono, o più riflessivo e collaborante o altro ancora. Il bambino sente che l'adulto di
riferimento sta meglio con lui che con il partner. Successivamente la preferenza viene
connessa a qualità che rendono il bambino superiore al partner come persona: è più
intelligente, più creativo e addirittura più maturo del partner.
3) La posizione di superiorità che gli è attribuita stimola il bambino al confronto e alla
competizione con l'altro genitore. Il bambino è dichiarato dalla figura principale superiore
all'altro genitore. Proprio per questo è indotto a pretendere per sé lo stesso trattamento.
Tanto più il bambino è in posizione di superiorità, tanto più la pretesa di uguaglianza con il
genitore “pulsionale” aumenta, e con essa il desiderio di assumerne i comportamenti. Si
aggiunga che il genitore pulsionale dà di regola un'interpretazione malevola dei
comportamenti del bambino: leggerà come seduzione sessuale la ricerca di vicinanza del
bambino al genitore preferito e/o come prepotenza ed egoismo le sue richieste. Il genitore
pulsionale, essendo percepito e percependosi come cattivo, non può che fornire
interpretazioni malevole. Inoltre la sua malevolenza è acuita dalla gelosia e dall'irritazione
per la posizione di superiorità che il partner accorda al figlio. Questi aspetti contribuiscono a
indurre il bambino a percepire in sé pulsioni sessuali e/o aggressive.
4) Il dramma nasce non appena il bambino tenta di esprimere le pulsioni. Il genitore
“astinente”, che è la figura principale di attaccamento, lo rifiuta perché vede in lui i
comportamenti odiati nel coniuge: la stessa protervia, lo stesso egoismo, lo stesso interesse
morboso per il sesso e così via. Il genitore astinente, che sopporta i comportamenti egoisti o
cattivi del partner pulsionale, anche perché spesso ambivalente lo ammira e ne è attratto, non
è certo disposto a subire analoghi comportamenti da parte di un bambino. Se le pulsioni
stigmatizzate sono quelle aggressive, ogni gesto di prepotenza del bambino verso la madre
riceverà una risposta di odio e di disprezzo.
La ripulsa della figura principale di attaccamento ferisce in modo particolare il bambino per più di
un motivo.
a) è carica di un astio sproporzionato al gesto che l'ha suscitata.
b) esprime disgusto per il fatto che il bambino provi impulsi colpevoli (una ripulsa del bambino
come persona).
c) riporta il bambino, improvvisamente e incomprensibilmente, in una posizione gerarchica
inferiore.
Come risultato di questa configurazione relazionale, per il bambino mantenere la propria posizione
di privilegio nei confronti della figura principale di attaccamento significa disconoscere in sé,
negare, quegli impulsi che proprio il confronto paritario con l'altro genitore, prodotto dalla
posizione di privilegio, alimenta e rende ineludibili.
Questa configurazione spiega perché al futuro ossessivo la via dell'ascesi e quella dell'espressione
degli impulsi siano ineludibili e bloccate. Il confronto paritario con il genitore pulsionale e
l'interpretazione malevola che questi dà del suo attaccamento al genitore preferito inducono il
bambino a riconoscere e a sperimentare in sé i desideri colpevoli. Non gli è quindi possibile
collocarsi nella stessa polarità del genitore preferito e seguirne la via della bontà astinenze, senza
sperimentare intollerabili sentimenti di mortificazione.
Il soggetto impara rapidamente che, esprimendo le proprie pulsioni, si scontra con le rappresaglie
del genitore pulsionale, e soprattutto con la ripulsa del genitore preferito: la relazione con la figura
principale di attaccamento si incrina, e il bambino rischia di precipitare dalla posizione di privilegio
alla condizione di infetto, colpevole.
Il genitore astinente non nutre odio per il bambino né lo camuffa, sicuramente rifiuta gli impulsi
sessuali e aggressivi del bambino. Si tratta di un rifiuto netto ed esplicito.
La configurazione triadica descritta presenta analogie con quella che ritroviamo nei contesti in cui si
sviluppano le organizzazioni fobiche?
La semantica critica è diversa. Anche le posizioni del soggetto ossessivo e di quello fobico rispetto
alla figura principale di attaccamento hanno poco in comune. Il soggetto fobico sa che questa
figura, sebbene nutra verso di lui affetto, antepone un altro membro della famiglia. Il futuro
paziente fobico non gode di alcune posizione di superiorità. Al contrario, con il suo ruolo di partner
consolatorio è in una posizione di totale svantaggio rispetto alla persona verso cui la madre
mantiene il coinvolgimento emotivo prioritario. Nel contesto triadico tipico delle organizzazioni
fobiche il confine tra le generazioni è rigidamente mantenuto. Anche quando i due adulti della
configurazione triangolare critica coincidono con i genitori, i desideri edipici non sono centrali. La
configurazione critica tende infatti a farli recedere, anziché stimolarli, perché stabilisce una distanza
invalicabile fra il bambino e il suo “antagonista”.
Nonostante queste differenze, le configurazioni triadiche che accompagnano lo sviluppo delle
organizzazioni fobiche e ossessive presentano un'importante analogia: tutte stimolano nel bambino
l'ambivalenza verso la figura principale di attaccamento, anche se le ragioni che sostengono
l'ambivalenza sono diverse.
La collera, la rabbia che il futuro paziente fobico sviluppa verso l'adulto con cui ha il legame
preferenziale, e i sentimenti di colpa che, di conseguenza, lo affliggono derivano dalle frustrazioni e
dall'impotenza che il bambino esperisce nel suo ruolo di partner consolatorio: la madre non si
consola. Il bambino non è in grado di colmare i vuoti e le sofferenze prodotti dal partner fuggitivo.
Anche il futuro paziente ossessivo può vivere la frustrazione di non poter difendere il genitore
preferito dalla violenza del partner pulsionale, ma ciò che scatena in lui odio e aggressività verso la
figura principale di attaccamento sono le rinunce a cui deve sottostare per essere approvato e amato
da questa figura, e soprattutto le invalidanti ripulse di cui è oggetto non appena esprime le proprie
pulsioni.
Entrambi hanno nutrito, nell'infanzia, sentimenti profondi di amore verso l'adulto di riferimento. Il
genitore preferito dai soggetti fobici è spesso molto affettuoso ed empatico, mentre nel caso degli
ossessivi è una figura meno espansiva, ma capace di tenerezza e benevolenza.
L'infanzia nella maggioranza delle anoressiche, bulimiche e anche degli obesi non sembra essere
stata teatro di tensioni o conflitti che possono essere letti come precursori della psicopatologia (a
differenza di fobici e ossessivi). Il dilemma emerge nell'adolescenza o pre-adolescenza.
Con la pre-adolescenza e con l'adolescenza un equilibrio si rompe. Coloro che si collocano nel polo
vincente, come le future anoressiche e bulimiche, per mantenere la loro posizione si trovano ora a
competere con le stesse figure della cui conferma hanno costantemente bisogno. Inizia quindi una
rivalità perlopiù sotterranea con i genitori che si gioca su più tavoli. Abituati a misurarsi con i
coetanei, sollecitati dagli stessi genitori per dimostrare la loro superiorità, con il crescere dell'età si
trovano inevitabilmente a confrontarsi con i genitori e con gli altri adulti della famiglia. I contenuti
sono per altro irrilevanti quando prevale la semantica del potere, quel che conta è chi ha la meglio.
Inoltre i genitori controllano le frequentazioni dei figli per tutelarli. Controlli e limiti risultano
fastidiosi per questi adolescenti non solo perché li considerano non necessari avendo sempre dato
prova di essere responsabili e ciò che li rende particolarmente odiosi è il fatto che sono interpretati
come sopraffazioni. Ai loro occhi il controllo dei genitori è espressione della volontà di dominio, un
tentativo di prevaricarli per mantenerli in una condizione di soggezione e la relazione
complementare con gli adulti viene ora letta in termini di inferiorità/superiorità. Accettare con loro
una relazione complementare viene sentito come passività e asservimento e quindi comporta un
certo grado di intransitività con il mantenimento di un'immagine positiva di sé. D'altra parte opporsi
significa perdere le conferme che l'insicurezza della propria identità rende indispensabili.
L'adolescenza è un periodo difficile anche per coloro che si con-pongono tra i perdenti, come
accade ai futuri obesi. Questa fase del ciclo di vita non è però così critica come per chi si colloca nel
polo valorizzato della semantica della famiglia. Anche per questi ragazzi controlli e limiti posti
dagli adulti sono comportamenti prevaricatori. Tuttavia il conflitto con gli adulti non è per loto
opponendosi a queste figure definiscono la propria individualità. Con l'adolescenza il dissenso verso
gli adulti attivi/vincenti da sotterraneo diventa palese, trasformandosi a volte in aperta ribellione.
L'adolescenza con i normali compiti evoluti che la caratterizzano e gli inevitabili cambiamenti nella
relazione genitori/figli è tale da alimentare i conflitti fra sé e relazione tipici del circuito bizzarro.
Questi conflitti diventano dirompenti per chi come le anoressiche e le bulimiche si collocano nel
polo valorizzato della semantica del potere e queste ragioni contribuiscono a spiegare come mai
anoressia e bulimia insorgano più frequentemente nell'adolescenza di quanto accade per l'obesità.
Le persone con l'organizzazione tipica dei disturbi alimentari di regola sono in grado di elaborare in
modo adattivo il dilemma tratteggiato se possono fare affidamento su una figura di attaccamento
che funga da contesto per la definizione dei confini del loro sé. Possiamo chiamare questo
attaccamento preferenziale “legame confermante”. Finché quindi la configurazione relazionale
consente il mantenimento di almeno un legame confermante, la riflessività del circuito bizzarro si
mantiene entro limiti tali da evitare slittamenti psicopatologici. Va precisato che la figura
confermante delle anoressiche e bulimiche a peso ideale si colloca di regola nella polarità vincente:
come loro, è attiva, capace di iniziativa, volitiva mentre l'adulto che garantisce ai futuri obesi il
legame confermante è invece in posizione perdente.
Il processo interattivo che conduce le persone alla psicopatologia conclamata può essere segmentato
per ragioni di chiarezza espositiva in cinque fasi:
1) Il bersaglio dell'istigazione è di regola un genitore collocato in posizione vincente, quindi
attivo e determinato. Per le anoressiche e per le bulimiche a peso ideale coincide con il
legame confermante.
2) Nel corso dell'istigazione, il futuro paziente diventa un interlocutore privilegiato per
l'istigatore e spesso anche per il più ampio schieramento dei perdenti. Inizialmente questa
nuova posizione ha un valore confermante non soltanto per i soggetti collocati nella polarità
negativa della dimensione semantica critica, ma anche per quelli posti fra i vincenti. I primi
si trovano al centro di attenzioni e di un interesse a cui non erano avvezzi, ma anche i
secondi sono lusingati dalla nuova posizione. In questa fase il soggetto riceve conferme da
entrambi gli schieramenti.
3) L'istigatore non coincide con uno dei genitori. Le sue critiche, e i successivi attacchi del
futuro paziente al genitore vincente, sono tuttavia spesso sostenuti dall'altro genitore.
Quest'ultimo svolge così nel processo una funzione di appoggio all'istigazione.
4) L'istigazione trova terreno facile perché il genitore che ne è il bersaglio conferma le critiche
che gli vengono rivolte con la sua intolleranza verso gli attacchi del figlio, o con
atteggiamenti sopraffattori o semplicemente dimostrandosi infastidito. L'esito è che il
soggetto, deluso, prende le distanze dal genitore vincente e si oppone attivamente a lui. Ciò
accade sia a chi è particolarmente legato a questa figura (anoressiche e bulimiche) sia a chi è
più distaccato (bulimico).
5) Il soggetto, che ormai in questa fase è un paziente, viene deluso dal nuovo alleato e da tutto
lo schieramento dei perdenti. Le ragioni possono essere diverse ma l'esito è che il paziente si
allontana dai nuovi alleati ed è ora solo. È a questo punto che la riflessività del circuito
bizzarra diventa massima.
Nel caso dell'anoressia è centrale la fase 4, in cui la paziente è delusa dal genitore vincente e la
disillusione nei confronti del genitore vincente è invece atroce. Nonostante sia disillusa continua a
rimanere ancorata ai comportamenti e ai valori dei vincenti. Di solito questa figura è la madre.
Per le bulimiche sia la disillusione del genitore confortante che è di solito il padre sia quella
successiva degli istigatori hanno spesso una risonanza emotiva ugualmente forte.
Per gli obesi la fase emotivamente più destabilizzante del processo interattivo è la fase 5 perché li
priva del legame confermante. Anche l'obeso, nonostante la delusione, non si stacca dai valori della
figura di attaccamento preferita, continua ad essere anticonformista e ribelle tuttavia il sintomo
allude alla disillusione. L'obesità è una resa ai vincenti ed è anche una difesa.
Vengono confermate le osservazioni di Guidano. L'anoressia e la bulimia mettono alla prova il
genitore preferito, verificano o tentano di verificare le critiche che gli istigatori suggeriscono loro.
Entrambe provocano attivamente la delusione mettendo in atto comportamento che inducono il
genitore oggetto di critiche a uscire allo scoperto o andando alla ricerca di prove. Al contrario gli
obesi non provocano la delusione dei nuovi alleati e tanto meno dell'adulto confermante e preferito.
L'inaffidabilità di questa figura e la conseguente delusione che il processo istigatorio mette in luce
sono costruite come eventi esterno annientanti.
Le famiglie in cui si originano le organizzazioni del significato tipiche dei disturbi alimentari sono
un vivaio fertile per lo sviluppo delle dinamiche istigatorie e nello tempo sono vulnerabili a tali
dinamiche. Queste famiglie non attrezzano i propri componenti a far fronte a uno degli esiti più
frequenti della dinamica istigatoria ossia la perdita dei legami confermanti.
il terapeuta e la stessa esperienza terapeutica finiscono per con-porsi nella semantica dominante
nella conversazione familiare. Non avremo di conseguenza un unico modo di costruire la relazione
terapeutica ma tanti modi diversi quante sono le semantiche. La variabile cruciale che modella la
relazione terapeutica non è la psicopatologia ma la semantica dominante nei contesti
conversazionali del paziente.
1) La terapia tra esplorazione e protezione. Quando domina la semantica della libertà, il
terapeuta all'inizio del trattamento si troverà collocato nel polo della libertà e proprio per
questo dovrà confrontarsi con la paura del paziente della terapia. Lo spettro della dipendenza
dal terapeuta, la paura di esserne influenzato, la preoccupazione di essere stimolato ad
avventurarsi in un mondo in cui potrà trovarsi allo sbaraglio, rendono soprattutto la terapia
individuale un'esperienza temibile e affascinante. Come conseguenza di queste
preoccupazioni, la richiesta avanzata dal paziente si configura di regola come una cauta
esplorazione, spesso seguita da un rapido allontanamento. Sottrarre le vie di uscita a una
persona cresciuta in contesti in cui domina la semantica della libertà apre la strada a un
dropout. L'alleanza terapeutica può nascere soltanto quando il paziente sarà sicuro di poter
entrare e uscire dalla terapia senza per questo incrinare la relazione. La collocazione del
terapeuta nel polo protezione, che si verifica di regola nelle fasi avanzate del processo
terapeutico, ci fa capire come il paziente non abbia torto nel temere l'esperienza terapeutica.
Una volta che il terapeuta è diventato un affidabile punto di riferimento, le sue aspettative
diventano difficilmente eludibili per il paziente che non può perderne la guida. Le persone
provenienti da contesti conversazionali in cui prevale la semantica della libertà difficilmente
accettano di portare la propria famiglia in terapia e coinvolgere la famiglia d'origine o il
partner in un'esperienza su cui non possono esercitare alcun controllo è per loro più
pericoloso che avventurarsi da soli.
2) Il terapeuta tra antagonista e alleato. Difficilmente, quando la semantica del potere domina
la conversazione, il terapeuta è sentito come una persona intenta a trovare insieme al
paziente e alla sua famiglia una via di uscita. Non si tratta di un problema di diffidenza.
L'ostacolo è rappresentato dall'asimmetria che caratterizza la relazione paziente-terapeuta,
che viene letta attraverso la metafora del potere. La relazione terapeutica è
conseguentemente sentita come umiliante. È un pattern che inizia con i primi contatti. Il
setting può addirittura essere sentito come una sorta di “abuso di potere” e si può avvertire il
fastidio per l'asimmetria della relazione terapeutica, che viene interpretata come
un'asimmetria di potere in cui il paziente è nella posizione one-down. Anche se il terapeuta
evita comportamenti che possono essere letti come prevaricatori, sviluppare l'alleanza
terapeutica con questi pazienti è un'impresa ardua. Laddove è dominante la semantica del
potere si apre per il terapeuta, accanto alla posizione di antagonista, necessariamente da
combattere, quella più promettente di alleato. Il paziente è anche disposto ad accettare una
relazione che in quanto asimmetrica gli è sgradita pur di conquistare un alleato.