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Psicologia della famiglia: la prospettiva sistemico-relazionale

PARTE PRIMA: famiglia, identità e dinamiche

Capitolo 1: le origini della psicologia della famiglia

A partire dagli sviluppi della psicoanalisi

La famiglia è sempre più oggetto di studio e ambito di intervento in psicologia. Il primo interesse della
psicologia per la famiglia e in ambito clinico.da questo punto di vista è la psicoanalisi a costituire il terreno
nel quale possono germogliare i primi semi della terapia familiare. L’aspetto più significativo è rappresentato
dallo spostamento di interesse, avvenuto in ambito psicoanalitico, dalla dimensione pulsionale, indicato da
Freud come centrale, a quella relazionale. Tale passaggio a permesso di allargare il raggio di osservazione
dalle dinamiche intrapsichiche a quelle interpersonali.

La psicoanalisi classica

È importante sottolineare come nella psicoanalisi sia presente un nucleo relazionale racchiuso nel complesso
di Edipo che descrive lo stretto legame esistente tra la formazione della personalità e le vicende familiari.
Freud inizialmente però è preoccupato di chiarire le sue conseguenze sui processi mentali dell’individuo.
Freud intende la psicologia come lo studio della dinamica della mente, di quel gioco di forze interne che
determina il comportamento dell’individuo. Il suo modo di intendere i processi psichici ruota attorno alla
dialettica che viene a stabilirsi tra le istanze della psiche: l’Io, l’Es e il Super-io.
Per Freud dentro la persona nascono conflitti di natura inconscia tra gli impulsi sessuali ed aggressivi
presenti nell’Es Che cercano di emergere e l’Io Che ha il compito di contenere gli stessi impulsi in modo da
rimanere fedele alle regole acquisite dalla società iscritte nel super-io. La prima struttura si difende dagli
attacchi dell’Es E dall’angoscia, che questa conflittualità comporta.
L’Es però, non può essere sempre comunque represso, perché secondo Freud, fornisce la mente quelle
energie necessarie al suo funzionamento.
È quando l’Io non è capace di realizzare questo compito ad attivo che può insorgere la nevrosi, i cui sintomi
rappresentano un estremo tentativo di adattamento. In questo modo evidente come la psicoanalisi al suo
nascere è chiusa in una prospettiva intra psichica: tutto in fin dei conti accade all’interno della mente
dell’individuo, nel confronto tra le varie istanze. Freud enfatizza la proiezione della fantasia irrazionale,
dominata dall’ansia, mentre trascura ampiamente la realtà interpersonale dell’ambiente di gruppo
contemporaneo. La sua visione tende a scindere ciò che è interno alla psiche da ciò che è esterno, una
tendenza che sopravvaluta l’individuo e trascura il gruppo.
Gli studi successivi a Freud di fatto continuano a occuparsi dell’influenza della famiglia sullo sviluppo della
personalità individuale. Per molto tempo la psicologia, influenzata da tale modello, vedrà nella famiglia
un’entità supposta dietro al bambino. Solo negli anni 50-60, la famiglia diverrà un oggetto da osservare e
studiare direttamente come luogo di interazioni e relazioni.

La psicologia dell’Io di Hartmann

E alla fine degli anni 30 che all’interno della psicoanalisi si assiste ad un importante movimento verso
l’ambiente. Fondamentale a questo proposito è stato l’apporto di Hartmann. Per lo psicanalista, differenza di
Freud, L’Io non è il risultato dell’adattamento dell’Es alla realtà, ma una propria genesi autonoma ed
esistono un insieme di funzioni psichiche come la percezione, l’intenzione, il pensiero, la memoria,… Che
sono di stretta pertinenza dell’io.
Hartmann sposta l’attenzione del Leo dai conflitti interni all’interazione con il mondo esterno al fine di
trovare un adattamento tra i propri bisogni e le richieste dell’ambiente. A differenza di Freud, Hartmann
sposta il conflitto tra l’individuo e l’ambiente.questa evoluzione cambia anche il modo di concepire le
patologie mentali.se per Freud le cause dei disturbi psichici sono esclusivamente i bisogni inconsci, l’odierna
psicologia preferisce parlare di problematiche conflittuali, intendendo questioni più ampie ed articolate,
problematiche che hanno a che vedere anche con le relazioni con gli altri, i ruoli sociali ed il contesto
socioculturale di appartenenza.

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La teoria delle relazioni oggettuali

Nella storia della psicoanalisi merita un’importante citazione l’autrice Klein.


La Klein ha elaborato la teoria delle relazioni oggettuali attraverso il lavoro psicoanalitico con i bambini,
interpretando le fantasie che questi esprimevano nel gioco.le sue conclusioni portano un autentico
scompiglio e alla formazione di tre gruppi: quello della Klein, quello di Anna Freud e quello degli
indipendenti.
I teorici delle relazioni oggettuali prendono in considerazione le pulsioni, ma solo in funzione della
relazione. Per questa nuova teoria le pulsioni hanno senso solo all’interno del contesto relazionale: emergono
nella relazione tra bambino e madre. Al centro di questo nuovo modello teorico cioè quindi la relazione. Il
bambino cresce interiorizzando non un oggetto o una persona, ma un’intera relazione: questa comporta un
particolare vissuto emotivo, uno specifico modo di sentire se stesso e di sentire l’altro.
Quando la madre risponde al bisogno di cibo del bambino, quest’ultimo fa un’esperienza positiva di sé e
dell’altro; nel caso contrario, invece, per qualsiasi motivo la madre non risponda in modo positivo al bisogno
del bambino, causa in lui un vissuto negativo a tutti e tre i livelli appena visti.
Klein sottolinea l’influenza che le fantasie inconsce hanno sul bambino e fa notare che l’oggetto introiettato
non sempre corrisponde alle sue caratteristiche reali.una particolare sensibilità del bambino infatti, può
alimentare in lui delle fantasie che lo portano a percepire la medesima madre come a chiudente o, al
contrario, cattiva.
Più significativo al nostro riguardo, sarà comunque l’apporto del gruppo degli indipendenti che daranno più
peso all’effettiva relazione tra la madre e il bambino rispetto alle fantasie di quest’ultimo. L’incapacità della
madre di far sentire il bambino amato per se stesso genera nell’individuo una paura di amare con una
conseguente chiusura affettiva nei confronti del mondo esterno.

La teoria dell’attaccamento

Bowlby elabora la teoria dell’attaccamento. Una prospettiva che va oltre il modello intrapsichico e che si
focalizza sul problema della separazione del bambino dalla madre. Bowlby osserva che se il rapporto tra la
madre il bambino subisce qualche lesione tutto ciò ha delle conseguenze sulla formazione del carattere
dell’adulto. Al contrario una relazione di attaccamento positiva con la madre rappresenta per il bambino una
base sicura, che gli permette di esplorare il mondo.
Bowlby constata anche che la qualità di questa relazione costituisce una specie di stampo relazionale che
condiziona le future relazioni dell’individuo. Secondo il modello dell’attaccamento, il soggetto a una
tendenza a sviluppare per tutta la sua vita legami affettivi fondati sul modello relazionale vissuto nei primi
mesi di vita con la propria figura di attaccamento.
Le figure di attaccamento cambiano e l’individuo diviene progressivamente sempre più autonomo da essi ma
rimane l’esigenza di attaccamento affettivo ad una o più persone.
Per Bowlby l’attaccamento del bambino è un istinto che aumenta la probabilità di sopravvivenza
dell’individuo. La sua funzione è infatti quella di proteggere il bambino dai pericoli attraverso il
mantenimento della vicinanza alla persona di accudimento.

Il modello interpersonale dei neofreudiani

I cosiddetti neofreudiani come Sullivan, Horney e Fromm sono coloro che hanno concentrato più di tutti gli
altri la propria attenzione sull’universo relazionale.influenzati da sociologia e antropologia, per loro l’uomo è
un essere sociale che cresce nell’interazione con la comunità in cui vive: la sua personalità è un’entità che
non può essere compresa se viene isolata dalle interazioni che gli stabilisce con le persone che lo circondano.
Viene sottolineato come l’intreccio dei rapporti nel quale l’individuo si sviluppa influenza il suo modo di
essere e di comportarsi. Secondo la prospettiva interpersonale tra l’organismo e l’ambiente viene a stabilirsi
un processo circolare nel quale l’uno cambia l’altro.
Secondo Sullivann Lo sviluppo del bambino dipende essenzialmente dal suo bisogno di essere approvato da
parte delle persone significative che lo circondano. Tutto ciò gli permette di interiorizzare un senso di
sicurezza. Quando invece l’ambiente affettivo disapprova il bambino, egli sperimenta un senso di malessere
che può raggiungere un’angoscia totale di base.

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In altre parole il bambino elabora specifiche rappresentazioni mentali, a seconda dell’ansia che l’esterno
provoca in lui, nelle quali si percepisce come la causa del malessere altrui. Si immagina come un “me
cattivo“ che ha prodotto l’angoscia alla madre.
Sullivan formula la propria teoria basandola sulla nozione di campo relazionale, per cui la personalità di un
individuo è la risultante dell’interazione tra i campi di forza Inter personali che agiscono anche in situazioni
di isolamento. Per lo studioso il contesto sociale culturale nel quale l’individuo vive a un’importanza del
tutto speciale nell’influenzare le origini, lo sviluppo e le deformazioni della personalità.

Le ricerche sulla famiglia in psicologia sociale

A partire dagli anni 50 la psicologia sociale ha iniziato a studiare la famiglia come piccolo gruppo.si guarda
la famiglia come ad un modello paradigmatico di ristrette forme di aggregazione.
Lewin si concentra nello studio dello sviluppo dei processi motivazionali e interpersonali a partire dalla
teoria del campo.si tratta di un concetto mutuato dalle scienze fisiche attraverso il quale lo studioso spiega
livello psicologico i rapporti dinamici che intercorrono tra un soggetto e il suo ambiente. Secondo tale teoria
si può affermare che l’individuo è collocato al centro di un campo di forze ambientali che lo modificano
mentre lui modifica le stesse. Secondo tale modello il comportamento dipende dalla dialettica tra fattori
personali e fattori situazionali.
Anche un gruppo è un’entità fondata sull’interdipendenza tra i suoi membri; il gruppo è qualcosa di diverso
dalla somma dei suoi membri: a una struttura propria, in relazione particolare con gli altri gruppi. Quel che
costituisce l’essenza e la loro interdipendenza. Ciò significa che è un cambiamento di stato di una sua parte o
frazione qualsiasi interessa lo stato di tutte le altre.
Partendo da questa definizione di gruppo, che ben si adatta alle caratteristiche di una famiglia, in psicologia
sociale si sviluppano varie ricerche.
La famiglia poi finisce per essere ridotta ad un piccolo gruppo tra I cui membri c’è un certo grado di intimità.
Dalla descrizione di gruppo di Lewin , Infatti, due sono i parametri che i ricercatori sulla famiglia fanno
propri: quello che la famiglia va aldilà della somma delle sue parti e quello di interdipendenza dei suoi
membri.
Da questi studi in poi, sui principali manuali di psicologia sociale, la famiglia viene descritta come l’esempio
per eccellenza di un gruppo naturale primario: con una sua storia, una sua struttura e dei suoi fini specifici.

L’incontro della famiglia con le teorie dei sistemi

La teoria generale dei sistemi di Von Bertalanffy

Il padre della teoria generale dei sistemi è il biologo Von Bertalanffy. Il suo tentativo è quello di confrontarsi
con la complessità degli organismi viventi e di mettere in dialogo tra di loro le discipline che se ne occupano.
La teoria generale dei sistemi, originatasi intorno agli anni 30, inizia essere divulgata negli anni 40 proprio in
risposta la forte esigenza che contraddistingue la cultura americana in questo periodo storico: quello di
unificare il sapere scientifico, di superare la settorializzazione degli studi in modo da organizzare e far
dialogare le varie scienze nella soluzione di problemi e nella comprensione del comportamento degli
organismi viventi.
E questo è un tempo di rinnovamento delle scienze. La stessa tendenza è sostenuta in psicologia dalla scuola
della Gestalt. Al contrario della psicologia associazionista, chi ha come scopo lo studio degli elementi più
semplici che compongono il mentale, la psicologia della forma è interessato a studiare come l’interazione dei
singoli elementi concorrono a dare il tutto. In modo indipendente, in vari campi scientifici si sviluppano
teorie olistiche in grado di confrontarsi con i fenomeni visti nella loro complessità.
Sempre in questo periodo avviene la nascita di ulteriori discipline, particolarmente interessati a comprendere
la condotta dell’individuo. Il problema che rimane e allora quello di rendere possibile il dialogo tra tutte
queste discipline. Proprio cercando di rispondere a queste due sfide, quella della complessità degli organismi
viventi e quella di un loro studio interdisciplinare, Von Bertalanffy Elabora la teoria generale dei sistemi.
Secondo questa teoria ogni organismo è un sistema: una totalità composta di parti interagenti tra di loro e
tendenti all’equilibrio.tra le parti di un sistema esiste un rapporto circolare cosicché il cambiamento di una di
queste provoca una modifica degli altri e quindi dell’intero sistema.
La spiegazione scientifica ad un problema va dunque rintracciata nell’organizzazione: nell’interazione che si
stabilisce tra le singole unità che lo costituiscono.tutto ciò permette di passare dal vecchio metodo scientifico
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basato su una causalità di tipo lineare, ad uno nuovo basato invece su una causalità di tipo circolare, fatto
cioè di interazioni reciproche tra le molteplici variabili, in cui causa ed effetto si influenzano reciprocamente.

La cibernetica

Lo sviluppo del paradigma sistemico è pressoché contemporaneo a quello della cibernetica tanto che vi è un
ricco interscambio tra i due orientamenti. Entrambe le teorie hanno in comune l’intento anti- riduzionista e
quello interdisciplinare. Essi trovano una loro complementarietà nel fatto che la prima si preoccupa di
spiegare i sistemi dal punto di vista strutturale, mentre la seconda osserva gli stessi dal punto di vista
processuale. La cibernetica è alla base delle scienze e delle tecnologie computazionale.
Il suo ideatore, Weiner, La definisce come la scienza del controllo e della comunicazione nell’animale e
nella macchina. Il principio cardine della cibernetica è quello di feedback o retroazione. Esiste una
retroazione positiva ed una negativa. Nel momento in cui tale informazione viene utilizzata per ridurre la
deviazione in uscita rispetto a un valore di riferimento, si parla di retroazione negativa. In questo modo i
sistemi tendono a mantenere il proprio equilibrio interno.
Nel caso della retroazione positiva, invece, la correzione tende ad aumentare la deviazione all’uscita. In
questo caso i sistemi tendono a modificare il proprio equilibrio. Chiaramente chi si occupa dello studio della
famiglia può trovare nei principi della prima cibernetica un valido criterio di lettura di quanto osserva.
Come avviene per esempio quando a ciò che viene comunicato da parte di un membro della famiglia
corrisponde sempre un messaggio di ritorno da parte degli altri, risposta che tende sempre a modificare il
comportamento dell’emittente. La famiglia viene così considerata come un sistema relazionale in
cambiamento per permettere agli individui che ne fanno parte di crescere cambiare influenzandosi a vicenda.
La sofferenza di uno dei suoi membri viene considerata come espressione della disfunzionalità dell’intero
sistema in riferimento alle relazioni interne o col proprio ambiente.

Bateson e il gruppo di Palo Alto

L’introduzione delle prospettive sistemico-cibernetiche allo studio della famiglia si deve al gruppo di palo
alto in California. Inizialmente il gruppo è guidato da Bateson E possiede alcuni esponenti. Dall’incontro di
questi autori nasceranno importanti contributi per la terapia familiare. In particolare, il loro studio sulla
schizofrenia li porta a gettare le basi per una modellizzazione delle relazioni familiari in senso sistemico.
In una loro pubblicazione propongono l’ipotesi della teoria del doppio legame come modalità tipica di
comunicare nella famiglia con un giovane schizzofrenico. Il maggiore studioso pone in evidenza le valenze
psicologiche della comunicazione, cioè come gli individui, comunicando, mettono in gioco se stessi e la
propria identità.
Il problema nasce quando la comunicazione comporta richieste in contraddizione tra di loro alle quali il
ricevente non può sottrarsi. Si parla per questo di ingiunzioni paradossali.è il caso, per esempio, della madre
che invia un messaggio ambiguo al proprio figlio quando gli dice ti voglio bene, ma poi utilizza messaggi
non verbali che contraddicono quanto ha detto.
Si tratta in questo caso di una comunicazione alla quale il ragazzo non riesce a dare un senso. Secondo
Bateson sono proprio questi tipi di comunicazione disfunzionale ad essere alla radice dei disturbi psicologici
più o meno gravi.
Vedi pag. 32–> Bateson

Verso un approccio sistemico-relazionale alla famiglia

La condivisione delle idee fin qui analizzati non porta comunque alla definizione di un unico modello teorico
ed operativo in ambito familiare. Negli anni 60 il movimento di ricerca e terapia familiare appare
definitivamente scisso in due orientamenti. Da una parte i ricercatori del gruppo di palo alto e dall’altra un
gruppo di autori di matrice più psicoanalitica.

I sistemici

L’interesse del primo gruppo si concentra sull’osservazione delle interazioni familiari in tese come la parte
del comportamento e della comunicazione osservabile nel qui ed ora. Questi autori tendono a dare sempre

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minore importanza alle dinamiche mentali e di conseguenza anche i processi storici che riguardano il gruppo
familiare.
Il loro interesse per le famiglie a transazione schizofrenica li porta a prestare una maggiore attenzione ai
meccanismi di retroazione negativa.
Il lavoro di tale gruppo attualmente prevede un lavoro sulle modalità comportamentali-comunicative in atto
nel qui ed ora senza legarli al processo evolutivo di cui fanno parte, per cui la realtà osservata viene
incapsulata in maniera statica e innaturale di venire di un sistema viene ridotto a un’unica dimensione: il
presente. Conseguenza di tale visione è la radicale messa tra parentesi dell’individuo, che viene considerato
impenetrabile.
Ciò significa che la sua osservazione viene ridotta esclusivamente agli aspetti pragmatici.

Alla fine, sono più di uno i limiti a cui incorrono i puristi del sistema: mettono tra parentesi processi mentali,
sottolineano unicamente la dimensione presente non comprendendo le relazioni nella loro storicità, c’è poca
considerazione del rapporto tra la famiglia e il proprio sistema sociale.

I sistemico-relazionali

Il secondo gruppo fa invece proprie le idee della teoria sistemica e la integrano con una prospettiva
relazionale. Questi autori fanno parte di un gruppo di terapeuti familiari che incentra il proprio interesse sulle
relazioni familiari: cioè su ciò che emerge dal presente ma è legato alla soggettività degli individui e alla loro
storia comune. Gli autori concentrano la loro attenzione sulla comprensione dei legami familiari e in sintesi
possiamo dire che tali studiosi guardano anch’essi al qui ed ora, ma con l’intento di collegare il momento
presente al fitto intreccio di interazioni che si sono realizzate nel tempo e cercando di dare un significato
all’attuale condizione emotiva della famiglia nel suo insieme.
Il terapeuta in questo caso non è +1 osservatore distaccato, ma partecipa insieme ai vari componenti della
famiglia, con la propria individualità e le proprie emozioni, collaborando alla costruzione di uno spazio
relazionale nel quale ciascuno possa maturare. Si tratta anche di una prospettiva in linea con la cosiddetta
cibernetica del secondo ordine.
Infatti, parlando di cibernetica del primo ordine, si fa riferimento alla prima fase di sviluppo della
cibernetica, nella quale i sistemi vengono studiati senza tener conto dell’influenza esercitata dall’osservatore
sui fenomeni osservati. Nella cibernetica di secondo ordine invece, prende coscienza di come l’osservatore
sia tutt’altro che esterno alla realtà osservata.
E osservando il proprio vissuto in rapporto ai singoli membri e ad una famiglia nel suo insieme che ci è
possibile comprendere il tipo di relazioni esistenti all’interno di essa.
Vedi scheda 2 —> Ackerman (pag. 35-36)

L’attenzione ai processi evolutivi della famiglia

Sono gli anni 80 ad una concezione prevalentemente omeostatica del funzionamento familiare se ne
sostituisce uno di tipo evolutivo la cui specificità sta nel definire le capacità trasformative della famiglia.
Anche in questo caso la cornice rimane quella sistemica, ma l’oggetto di interesse non è più la famiglia
disfunzionale bensì quella normale, al cui interno non sono presenti particolari sofferenze. Diviene così
importante cercare di definire gli indici di normalità di una famiglia analizzando ciò che la distingue da una a
funzionamento sintomatico.
All’inizio, dagli anni 50 agli anni 60, la teoria del family stress è maggiormente interessata ai cambiamenti
imprevisti all’interno della famiglia, come per esempio una malattia o una morte prematura.l’approccio
evolutivo, invece, si concentra sui principali mutamenti prevedibili come la nascita di un figlio e i
cambiamenti legati alla sua crescita.

La teoria del family stress

Il primo modello elaborato all’interno di questa teoria è quello di Hill, nel 1949, il cosiddetto “ABCX” dove
il fattore “X” rappresenta la crisi, A l’elemento stressante causa della crisi, B la capacità della famiglia di
trovare le risorse e il fattore C la definizione che la famiglia dà all’evento stressante e alla gravità della
situazione.

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La famiglia reagisce alla crisi cercando un nuovo adattamento che prevede una fase di disorganizzazione,
una fase di ricerca attiva e infine una fase che porta al raggiungimento da parte della famiglia di un nuovo
equilibrio di organizzazione. Più avanti, alcuni contributi offrono una visione positiva di tale modello,
sottolineando come gli eventi stressanti non debbano essere necessariamente negativi.
Lungo sempre questa prospettiva, negli anni 80, la teoria di Hill viene rielaborata, in modo da ottenere il
FAAR Model ovvero un modello in grado di spiegare come le famiglie fronteggiano eventi stressanti e vi si
adattano. Secondo questi autori, la storia di ogni famiglia comprende tempi di funzionamento e adattamento
intervallati da periodi critici. Quando le cose funzionano, non è detto che la famiglia non incontra difficoltà,
ma è in grado di superarle utilizzando alcune strategie come l’Evitamento, l’eliminazione o l’assimilazione.
La vera crisi, invece, è quella che supera le capacità della famiglia e persiste nel tempo richiedendole di
rivedere la propria organizzazione. Per superare tale crisi la famiglia deve mettere in atto svariate condotte
che alla fine la porteranno a consolidare nuove modalità di comportamento per irrobustire la propria unità
familiare.

L’approccio dello sviluppo

Tale approccio viene alla luce alla fine del secondo conflitto mondiale. L’approccio evolutivo considera la
famiglia come un campo di personalità interagenti tra di loro.il concetto centrale è quello del ciclo vitale
della famiglia. Il compito che si propone è infatti quello di definire i meccanismi attraverso i quali le famiglie
si sviluppano: dal modello della formazione della coppia fino alla sua dissoluzione.

L’incontro delle due prospettive nel modello di Olson

Il contributo di Olson È significativo proprio perché rappresenta concretamente un punto di convergenza tra
la teoria del family stress e l’approccio dello sviluppo. Il suo modello integrato prende il nome di MASCH
Model. il punto di congiunzione tra le due teorie precedenti sia quando Olson ipotizza che la possibilità di
trovare la soluzione migliore nelle situazioni di copying risieda nella capacità di ciascuna unità di aumentare
i livelli di coesione, di adattabilità e di comunicazione. In altre parole, che è tanto più facile per un
sottosistema superare un evento stressante quanto più è in grado di accrescere la vicinanza emotiva, la
flessibilità rispetto alle norme e alle regole, la capacità comunicativa.

Capitolo 2: L’identità della famiglia

Famiglia e forme di vita familiari

Il termine famiglia può apparire ovvio nel suo significato, ma se osserviamo il mutare delle forme familiari
lungo la storia è chiaro quanto sia complesso definire l’identità della famiglia. Già la ricerca antropologica e
quella sociologica hanno messo in evidenza come sia impossibile offrire una definizione alla famiglia
prescindendo dal contesto geografico e storico in cui essa è inserita. In questo senso è evidente lo stretto
legame che esiste tra famiglia e società, e come la prima modifichi le sue strutture in conseguenza alle
mutazioni socio culturali del contesto in cui è inserita. All’interno della nostra società la famiglia costituisce
una realtà particolarmente complessa, con numerose sfaccettature e in rapida evoluzione.
Di fatto il problema di definire l’identità della famiglia e oggi più complesso perché all’interno della stessa
comunità sociale convivono più forme di famiglia. Non a caso viene utilizzato il termine pluralizzazione
della famiglia.

La famiglia post-moderna

A partire dalla metà degli anni 70, nei paesi dell’Europa occidentale, a causa di varie trasformazioni sociali,
culturali ed economiche, si fa sempre più evidente una disaffezione verso la famiglia tradizionale. Più che di
un’autentica crisi si tratta di una trasformazione della famiglia verso nuove molteplici modalità di vivere
insieme.
L’aspetto fondamentale della famiglia moderna e stava nel connubio tra sentimento amoroso e matrimonio. Il
matrimonio veniva rappresentare il naturale approdo di una storia d’amore tra un uomo e una donna. Alcune
caratteristiche di tali famiglie erano: una forte attenzione e cura per i figli, una chiara divisione dei ruoli

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coniugali, un’inferiorità sociale e giuridica della moglie nei confronti del marito. Era alto il numero di
matrimoni e assai pochi erano i divorzi.
A partire dalla metà degli anni 70, al contrario, il numero di matrimoni tende sempre più a diminuire e così,
quello delle nascite, mentre aumentano separazioni e divorzi. Inoltre essi diffondono nuove forme di vita di
coppia a prescindere dal matrimonio. Si giunge così ad una famiglia post-moderna che rende più fragile
l’istituzione matrimoniale.
Le ragioni, sia caratteri socio economico che culturale, che portano a passare dalla prima alla seconda forma
di famiglia sono molteplici e collegate tra di loro. Tra le prime abbiamo l’industrializzazione avanzata, lo
stile di vita nelle città e l’ingresso in massa delle donne nel mondo del lavoro. Tra le seconde abbiamo il
declino dei valori religiosi tradizionali, l’affermazione dell’autonomia individuale e dell’ideale romantico
dell’amore.
Inoltre, i giovani si sposano più tardi e si sposano o meno, ma anziché vivere soli o convivere senza
matrimonio, rimangono più allungo nella famiglia d’origine.

Una pluralità di forme familiari

Anche se in Italia questo fenomeno si mostra più lento appare comunque avviato il processo di
pluralizzazione della famiglia per il quale insieme alle famiglie nucleari e alle famiglie allargate sono sempre
più presenti altri modelli di famiglia. Riportiamo quindi ora le diverse forme familiari presenti in Europa:
• La famiglia allargata: è composta da più di due generazioni. Per esempio, nella stessa casa vivono i nonni
con i figli sposati e i relativi nipoti. Si tratta di una forma tradizionale di famiglia in declino. Per famiglia
estesa invece si intende che più nuclei coabitano sotto lo stesso tetto.
• La famiglia nucleare: è composta dei coniugi e dei loro figli. Si tratta di un tipo di famiglia abbastanza
diffuso, anche se negli ultimi tempi tende a calare.
• La famiglia con coniugi senza figli: è composta da coppie anziane i cui figli se ne sono andati di casa, da
coppie giovani che non hanno ancora figli, da coppie che hanno scelto o che non possono avere figli.
• La famiglia di fatto: è conseguenza di un’unione civile di un uomo ed una donna senza matrimonio. In
questa famiglia la coppia non è legittimata dal matrimonio, ma dalla decisione di convivere.
• La famiglia mono genitoriale: è composta da un solo genitore ed uno o più figli. Le cause che sono
all’origine di questa struttura familiare sono molteplici come la vedovanza, la separazione, la procreazione
al di fuori del matrimonio,…
• La famiglia ricomposta: è caratterizzata dalla presenza di figli nati da un precedente matrimonio, in special
modo quando questo è finito a causa di un divorzio. Le famiglie ricomposte esistevano già nel passato ma
erano più relative alla vedovanza. Oggi invece sono soprattutto i divorzi ad essere alla base di tale
famiglia. La complessità di tale forma è data dal fatto che coppia coniugale e coppia genitoriale non
corrisponde. In questo caso i figli transitano tra due famiglie.
• La famiglia multietnica: nasce dal matrimonio di persone appartenenti a diverse etnie. Visti i fenomeni
migratori, tale forma sta crescendo via via col passare del tempo.
• La famiglia immigrata: si tratta di una famiglia che vive all’estero rispetto al proprio paese di origine.
• La famiglia adottiva: ha al suo interno uno o più figli adottati. L’esperienza adottiva coinvolge tutta la
famiglia e si presenta di per sé delicata perché richiede l’adattamento dei nuovi componenti.
• Le coppie omosessuali: sono composte da partner dello stesso sesso. Nel caso delle coppie omosessuali è
proprio il tipo di sessualità che queste propongono a contrastare con l’idea di famiglia: perché non
eterosessuale e quindi non potenzialmente generativa.
• La famiglia unipersonale: sono le cosiddette famiglie di persone sole. Si tratta di una forma alquanto
anomala, ma che sta assumendo sempre +1 propria rilevanza statistica. A tale famiglia appartengono
giovani celibi e nubili, adulti separati divorziati e anziani vedovi.

Lo specifico della famiglia

In questa condizione di eterogeneità è evidente come diventi difficile e urgente definire cosa si intende per
famiglia. Individuare quali sono gli elementi che la caratterizzano diviene una necessità dettata dal bisogno,
ma si tratta di un compito non facile in quanto richiede di individuare alcuni criteri definitorie generali senza
prescindere dei processi sociali e dal rispetto della complessità.

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Il punto di maggiore difficoltà nel percorso di definizione dell’identità della famiglia è proprio l’eterogeneità
delle forme familiari riscontrate all’interno di una stessa cultura. Il problema potrebbe essere il seguente:
nell’attuale società occidentale è ancora possibile parlare di famiglia o è più giusto parlare di famiglie?
La risposta più ovvia è che l’attuale complessità sociale culturale fa sì che la famiglia si organizza e si
strutturi in modi diversi, funzionali alle attuali e molteplici sfide.
Con l’individuazione delle caratteristiche specifiche della famiglia e si avrà la possibilità poi anche di
distinguere le sue diverse forme di adattamento e i tipi di convivenza che invece niente hanno a che vedere
con la famiglia.
Per ora, una possibile definizione è la seguente: la famiglia è quella specifica e unica organizzazione che lega
e tiene insieme le differenze originarie e fondamentali dell’umano, quella tra i generi, tra le generazioni e tra
le stirpi.

La famiglia: spazio di incontro delle differenze

La differenza di genere

La famiglia si fonda sulla coppia ed è anche grazie ad essa chi è luogo della scoperta della complementarietà
e della distinzione tra maschile e femminile. Questo è vero per i genitori come per i figli. All’interno della
famiglia, il bambino la bambina intuiscono quale sia la loro identità di genere per i rimandi che ricevono
anzitutto dei propri genitori.
È bene ricordare che il sesso è qualcosa di naturale (biologia), mentre il genere è qualcosa di culturale.
Per quanto riguarda la formazione dell’identità di genere due estremi possono essere pericolosi: quello di una
cultura in cui la distinzione tra maschile e femminile sia troppo rigida o, viceversa, quello in cui i confini tra
i due ruoli sessuali siano praticamente inesistenti.

La differenza generazionale

La famiglia oltre a quella tra i sessi permette anche una relazione tra le generazioni. Al suo interno anche le
differenti generazioni trovano spazio per incontrarsi, confrontarsi, competere, dividersi compiti e ridefinire i
propri confini. La famiglia è quel luogo che tiene unite più generazioni.
Sono i figli con la loro nascita e poi con la loro crescita, i loro sposarsi,… A rimescolare continuamente la
struttura familiare, a ridefinire i confini e a segnare il passo del ciclo vitale della famiglia. Il divieto di
incesto traccia un netto confine tra le generazioni.
Un elemento importante alla base dello scambio tra le generazioni e il loro reciproco riconoscimento. In
modo particolare quello dei genitori nei confronti dei propri figli, con l’assunzione delle responsabilità
genitoriali.

La differenza di stirpe

L’incontro tra le generazioni porta in sé anche l’interscambio tra le stirpi. Se il primo tipo di scambio è
rappresentato dalla fitta rete di rapporti che si effettuano tra genitori e figli, il secondo tipo di scambio
travalica la relazione genitori e figli e si estende, a livello simbolico-culturale, nel tempo lungo il legame tra
le stirpi materna e paterna, chiamando in causa il tema dell’eredità di valori, culture familiari, miti legati al
ramo materno e paterno dell’albero genealogico.
Oggi, invece, crescendo i matrimoni misti e le famiglie multietniche diventa importante comprendere in che
modo tutto ciò che è definito trans-generazionale, frutto di almeno due culture, venga a combinarsi nella
stessa famiglia.

La famiglia: luogo della generatività

La famiglia, oltre ad organizzare le differenze originarie e fondamentali dell’umano, ha come suo obiettivo il
progetto intrinseco la generatività.
Si tratta di un concetto che pur comprendendo quello di procreazione lo supera per abbracciare in senso più
ampio la produttività e la creatività in senso spirituale. La famiglia non si limita a mettere al mondo i figli,
ma dà forma umana a ciò che da lei nasce Watch o che in lei si lega. Ciò che organizza la famiglia sono le

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relazioni primarie fondate, appunto, proprio su un legame generativo, inteso sia nel senso del generare che
dell’essere generati.
Quello generativo è un tipo di legame che tiene insieme le persone con una forza del tutto speciale.a
differenza di altre aggregazioni la famiglia include nuovi membri attraverso la nascita o l’adozione e il suo
abbandono è possibile esclusivamente con la morte.non esiste altra organizzazione chi è soggetta a questi
particolari vincoli. A differenza di un’azienda, nella famiglia non è possibile un licenziamento.

I livelli di scambio

Lo scambio all’interno della famiglia si realizza a tre livelli: interattivo, relazionale e simbolico.

Il livello interattivo

Per interazione intendiamo l’azione reciproca che si stabilisce tra due o più persone in 1:00 sequenza. Come
già affermato, tale concetto prende rilievo grazie al contributo di Lewin , Che lo pone al centro della sua
teoria di campo. Secondo altri autori per interazione si intende l’influenza reciproca che i partner esercitano
sulle loro azioni rispettive allorché si trovano in presenza fisica e immediata gli UNI degli altri.
Osservare lo scambio interattivo tra i membri di una famiglia significa concentrarsi su come essi si
comportano tra di loro in alcune situazioni. Il vantaggio è quello di avere un quadro in diretta di alcune
condotte utilizzate dalla famiglia. Il limite è invece quello di non poter avere informazioni più profonde sulla
qualità dei legami esistenti tra i soggetti.

Il livello relazionale

L’interazione privilegia la dimensione spaziale e riduce la temporalità a sequenza focalizzandosi su l’ hic et


nunc. Al contrario, la relazione privilegia proprio la dimensione temporale. Attiene alla relazione e tutto ciò
che la famiglia ha vissuto e acquisito nel tempo, a livello più o meno consapevole: valori, norme, modelli
comportamentali, emozioni,…
Le persone che appartengono ad una famiglia hanno in comune una storia che lega reciprocamente ancora
prima di interagire nel presente. Si tratta di una storia collegata come minimo tre generazioni ma che
indubbiamente, per l’influenza che ogni generazione ha sulle altre, va molto oltre.
Da questo punto di vista allora l’interesse di chi osserva è quello di ricostruire la storia dei legami e di come
questi siano venuti formandosi e intrecciandosi tra di loro dando origine alle relazioni presenti.
È evidente comunque come interazione e relazione si richiamino a vicenda. Quando i membri di una famiglia
interagiscono tra di loro, solo in parte sono loro stessi a determinare un’azione congiunta.
È evidente come nello spazio del qui e ora vi sia anche una quota di implicito che influenza e caratterizza
l’interazione senza che i soggetti ne abbiano piena consapevolezza. È facile allora comprendere come la
relazione orienti lo scambio comunicativo che si sviluppa nel qui e ora. Le esperienze pregresse
interiorizzate dalle persone fanno in qualche modo dal contesto all’interazione.
I legami che caratterizzano la famiglia a livello relazionale sono quello coniugale, quello fraterno, quello
intergenerazionale e quello tra la famiglia e la comunità di appartenenza. La famiglia si costituisce attorno al
legame coniugale fondato su di un patto.
Il legame tra fratelli rappresenta unimportante sotto sistema alternativo e complementare a quello coniugale-
genitoriale. Esso può essere allo stesso tempo luogo di solidarietà come di rivalità. L’ambito della relazione
fraterna è quindi un importante ambito di differenziazione e attribuzione di significato per ciascuno dei figli.
L’importante è che non si stabiliscano ruoli così rigidi da creare profonde divisioni tra fratelli o sorelle.
Se il legame coniugale e quello fraterno rappresentano i due assi orizzontali della famiglia, il legame Inter-
generazionale ne costituisce invece l’asse verticale. Il suo compito è quello di legare le generazioni tra di
loro.
L’ultimo ambito di scambio è quello rappresentato dal legame tra la famiglia e la comunità. La comunità
rappresenta un sociale organizzato: una rete istituzionale e informale di rapporti più o meno significativi.

Il livello simbolico

Ai due precedenti livelli se ne aggiunge un terzo, quello simbolico. Alla storia sedimentata tra le generazioni,
che è specifica di ogni famiglia, va aggiunta anche la dimensione simbolica chi è la struttura in variante che
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attraversa le diverse forme storiche di famiglia ed è specie-specifica, cioè tipica della specie umana. Essa si
manifesta tramite il linguaggio e le forme di cultura, ovvero in altre parole si afferma che tutte le famiglie
Umane sono tenute insieme e caratterizzate da 1:00 qualità simbolica. La parola simbolo, deriva dal greco e
significa mettere insieme, unire. I principali significati che danno un senso alla famiglia sono la qualità
affettiva e quella etica.
Unite tra di loro queste due qualità costituiscono quello che viene definito familiare: ossia, la matrice
simbolica del legame tra i sessi, le generazioni e le stirpi che dà sostanza simbolica alle singole famiglie e
alle varie forme familiari.
La famiglia è luogo privilegiato degli affetti, ma anche dell’assunzione di responsabilità nei confronti
dell’altro, sia che si tratti del figlio o del coniuge.
Fin dall’inizio come membri della famiglia siamo tutti legati alla matrice simbolica del dono materno e del
dono paterno.
Il dono materno corrisponde a dare la vita e a garantirla. Il dare la vita e la cura della madre sono un antidoto
contro la morte. Infatti la morte nella sua valenza psichica, corrisponde proprio alla mancanza di legame e di
cura. La madre, invece, nel momento in cui dà la vita al figlio, lo lega alle generazioni precedenti. Per questo
la madre è anche colei che rappresenta le qualità affettive della fiducia e della speranza. Per giustificare il
senso di queste due qualità è stato fatto riferimento ad autori come Erikson.
Per l’autore la speranza è una forza che nasce dal superamento della prima fase del ciclo vitale dell’individuo
che prevede l’antitesi fiducia di base verso sfiducia. Di conseguenza quindi, una buona relazione con la
madre nelle prime fasi della vita infonde al bambino un senso di sicurezza che lo accompagna nella vita
futura.
Dal lato del padre, il dono-compito paterno che consiste nella trasmissione dei beni e, con essi, nel
riconoscimento e nell’offerta di un’appartenenza.questi ultimi due elementi sono fondativi dell’essere e
constatazione di identità e perciò stesso riconducono all’ordine e alla legge piuttosto che al disordine e alla
confusione. Per questo il dono che riceviamo dal padre è rappresentato dalle qualità etiche della giustizia e
della lealtà.
Così sia fiducia e speranza che lealtà e giustizia convivono con i loro opposti, dando luogo a un equilibrio tra
le diverse tendenze. In tale senso nessuna famiglia è priva di elementi di speranza come di sfiducia, di
correttezza come di sopraffazione e, allo stesso modo, la famiglia può essere sia luogo di benessere che di
sofferenza e patologia. Possiamo quindi concludere, affermando che il dono materno e quello paterno
rappresentano l’invariante simbolica dell’organizzazione familiare.
La variante invece è costituita dall’incontro specifico tra organizzazione familiare e organizzazione socio
culturale.
Scheda 3 —> Scabini e Cigoli (pag. 56).

Capitolo 3: Processi interattivi e relazionali nella famiglia

La famiglia come sistema

Abbiamo visto come le teorie dei sistemi abbiano rappresentato una svolta nello studio e nell’intervento sulla
famiglia. Si possono delineare alcuni dei principi della prospettiva sistemica che hanno contribuito a
comprendere meglio le dinamiche familiari.Secondo tale orientamento la famiglia è un sistema aperto in
interazione con l’ambiente.le principali proprietà dei sistemi aperti sono: totalità e non-sommatività,
causalità circolare, e quifinalità, omeostasi, morfogenesi.

Secondo la proprietà della totalità tutti gli individui che compongono la famiglia sono in relazione tra di loro
in modo tale che il cambiamento di uno di questi rappresenta una perturbazione per gli altri e per l’intera
famiglia. Collegata alla totalità, cioè la proprietà della non-somma attività per la quale una famiglia non è
costituita dalla somma delle sue parti, ma dalla loro interazione.

La comunicazione di una famiglia non è mai univoca e unidirezionale e, secondo un’interpretazione di


causalità circolare, l’azione di ogni individuo provoca e a sua volta è l’effetto o la reazione ad un complesso
e costante processo di influenzamento reciproco.

Nei sistemi aperti, come la famiglia, le condizioni iniziali non determinano rigidamente il suo stato finale e
viceversa.in questo caso, pur partendo da vicende diverse due famiglie possono giungere a comportamenti
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simili oppure, al contrario, due famiglie con una situazione iniziale affine possono giungere a condizioni di
vita assai diverse tra di loro.
Secondo il principio dell’omeostasi, la famiglia funziona un po’ come un termostato che grazie a dei
meccanismi di retroazione è in grado di mantenere costante la temperatura in un ambiente. L’omeostasi
indica la tendenza del sistema familiare a mantenere la sua coesione, la sua stabilità e la sua sicurezza
all’interno del proprio contesto socio culturale, attraverso meccanismi di retroazione negativa.

Morfongenesi: I sistemi viventi possiedono anche la capacità di evolvere verso gradi di organizzazione
superiore. Hanno cioè una capacità di adattarsi. In questo caso si verifica una retroazione positiva:
l’informazione che rientra nel sistema agisce in modo tale da ampliare le deviazioni all’uscita rispetto al
valore normativo; in questo caso si parla di morfogenesi, ovvero la capacità della famiglia di produrre
cambiamenti organizzativi stabili e profondi.

La struttura familiare

Minuchin, uno dei pionieri della terapia familiare, tratta della struttura della famiglia. Per l’autore la famiglia
è un sistema con una propria struttura. Tra i membri di ogni famiglia vengono a stabilirsi dei modelli
transazionale (modelli di interazione reciproca) praticamente costanti i quali determinano la relazione e
regolano i loro comportamenti. Tali modelli servono al sistema famiglia per mantenere la propria identità e
opporre resistenza al cambiamento.è importante però che tali modelli non divengano così rigidi da non
permettere la crescita e lo sviluppo.
Grazie all’osservazione delle transazioni che si realizzano tra i familiari è possibile disegnare la mappa della
struttura familiare indicando sottoinsiemi, gerarchie e confini.

I sottoinsiemi

Il sistema familiare presenta diversi sottoinsiemi, con precise funzioni, che vengono a crearsi attorno a
specifiche caratteristiche. Le principali differenze che contraddistinguono i sottosistemi sono relative all’età
e al sesso. Tra i vari sottosistemi quelli specifici del sistema famiglia, sono: il sottosistema dei coniugi,
quello dei genitori, quello dei fratelli e delle sorelle.
Il sottosistema coppia è formato da due adulti di sesso diverso che si uniscono con l’espresso proposito di
formare una famiglia. La funzione di questo sottosistema è quella di riuscire a stabilire tra i due partner un
rapporto complementare, di reciproco accomodamento e sostegno.
Il sottosistema genitoriale alla funzione di guidare e allevare i figli.è un sottosistema che si costituisce a
partire dalla nascita del primo figlio e svolge i compiti di nutrimento e di guida alla socializzazione del
bambino.
Il sottosistema fratelli è costituito da i figli legati orizzontalmente tra di loro da una relazione di fratellanza.
Questo sottosistema costituisce anche un primo importante laboratorio per lo sviluppo delle capacità sociali,
in cui imparare a negoziare, cooperare e competere. Quando il sottosistema dei fratelli è numeroso è
possibile che si creino al suo interno altri sottosistemi per esempio rispetto all’età o al sesso dei fratelli.

Gerarchia e confini

In ogni struttura familiare esistono specifici rapporti gerarchici. La gerarchia nasce dalla differenziazione
delle funzioni e dal riconoscimento reciproco delle personali competenze in specifiche aree al fine di un
miglior funzionamento del sistema familiare.
La presenza di una gerarchia generazionale sufficientemente solida è importante per il buon funzionamento
della famiglia.
Il buon funzionamento della famiglia dipende anche dalla chiarezza dei confini. La famiglia è composta di
sottosistemi e questi sono delimitati da confini, ossia da regole che definiscono chi e come partecipa un
determinato sistema. La funzione dei confini è dunque quella di differenziare i sottosistemi rispetta funzioni
e ruoli. In questo senso, se i confini sono chiari, i membri di un sistema possono esercitare al meglio le
funzioni di cui sono investiti.
Quando nasce un problema di confini occorre stare attenti a vedere la situazione secondo una causalità
circolare. Se per esempio, i genitori si lamentano con i nonni perché interferiscono con il loro ruolo

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genitoriale, occorre che questi ultimi riflettano su quanto non creino esistessi le condizioni di questo loro
strapotere.
I confini possono essere rappresentati lungo un continuum ai cui estremi ci sono i confini rigidi e quelli
diffusi mentre al centro ci sono quelli chiari.se i confini sono diffusi significa che ad esempio, i suoceri
Interferiscono nella coppia genitoriale, mentre se il confine rigido significa che i suoceri sono completamente
distaccati rispetto alla coppia genitoriale.

Le tipologie strutturali della famiglia

Per Minuchin Uno dei parametri per valutare la funzionalità di una famiglia sta nella chiarezza nei suoi
confini.a questo riguardo l’autore definisce tre tipologie di famiglia: quella funzionale, quella invischiata e
quella disimpegnata.
Nelle famiglie funzionali i confini tra i sottosistemi sono chiari. In questo tipo di famiglia non ci sono
interferenze tra i sottosistemi e allo stesso tempo è reso possibile lo scambio.
Nelle famiglie invischiate i confini sono molto diffusi e questo fa sì che la differenziazione tra i sottosistemi
tende a scomparire.non ci sono segreti tra i vari membri della famiglia e l’emozione provata da uno è vissuta
anche dall’intero sistema. Tutto è portato al suo interno e i legami si fanno molto stretti: tutti si intromettono
nei pensieri e nei sentimenti degli altri. Una tipologia di famiglia invischiata è la famiglia Psicosomatica; in
essa le transazioni tra i membri sono caratterizzate da una estrema vicinanza e intimità; i membri sono
eccessivamente preoccupati l’uno dell’altro; i familiari fanno di tutto per non cambiare i propri modelli
transazionale e i familiari evitano contrasti e dissapori, non permettendo una negoziazione esplicita delle
differenze.
Nelle famiglie disimpegnate, al contrario, i confini sono molto rigidi, i sottosistemi sono eccessivamente
separati tra di loro, tanto che la comunicazione è difficile sia livello di passaggio di informazioni che a livello
di scambio emotivo. A differenza delle famiglie invischiate i membri di questo tipo di famiglia sembrano
essere reciprocamente autonomi, ma si tratta di una falsa indipendenza perché di fatto sono incapaci di
sentimenti di lealtà e di appartenenza nei confronti della famiglia. Un esempio di famiglia disimpegnata è
quella con il figlio delinquente e di bassa classe sociale. I genitori di queste famiglie non sono in grado di
avere una buona cura dei figli.così, questi ultimi scoprono che l’intensità dell’azione o del suono è più
efficace delle parole al fine di ottenere attenzione.

Gli schieramenti

Un altro elemento per definire la struttura familiare è quello di vedere quali sono gli schieramenti al suo
interno.in altre parole, come le persone si posizionano rispetto agli altri al momento in cui si presenta un
conflitto.
Minuchin presenta tre soluzioni tra quelle inadeguate che nel tempo possono cristallizzarsi, definendo le
coalizione, triangolazione e deviazione.
Nella coalizione due o più persone creano un rapporto di solidarietà per andare contro una terza. Essa non ha
niente a che fare con un rapporto di alleanza, dove la relazione si fonda su una semplice affinità e attrazione
reciproca senza un doppio fine.
Nella triangolazione una persona viene messa nel mezzo da due persone o più nei propri problemi affinché si
schieri dalla propria parte. È il tipico caso in cui due coniugi in conflitto tra di loro esigono che il figlio
prenda le difese dell’uno contro l’altro. Tutto ciò provoca una situazione paralizzante in quanto, qualunque
sia la soluzione che sceglie accontenterà una parte e scontenterà l’altra.
Nella deviazione, infine, due persone in disaccordo tra loro indirizzano il loro conflitto su un terzo. In questo
caso, le tensioni coniugali vengono sempre deviate sul figlio e servono a mantenere il sottosistema dei
coniugi in unapparente stato di calma. Quando poi questa modalità viene ad irrigidirsi il figlio diviene la
causa principale di tutti i problemi e su di lui viene deviato lo stress proveniente dai conflitti coniugali, da
disaccordi sul lavoro,…

Modelli di funzionamento familiare

Negli anni 80, nel tentativo di integrare la teoria con i risultati conseguiti in ambito di ricerca in ambito
terapeutico, vengono creati alcuni modelli di funzionamento della famiglia.

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Questo studio sui modelli, attento a valutare le interazioni familiari, è strettamente collegato all’interesse che
in questo periodo si sviluppa per la famiglia normale invece che per quella patologica.l’obiettivo è quello di
definire quale sia il suo funzionamento ottimale. Importante a questo proposito è la sintesi offerta da Walsh
sulle convergenze emerse dagli interventi clinici a proposito dei processi funzionali della famiglia, Dove
l’autrice riporta i seguenti elementi:
- connessione e impegno dei membri della famiglia come unità di cura e di sostegno reciproco;
- Rispetto per le differenze individuali, per l’autonomia E i bisogni dei singoli;
- Per le coppie, una relazione caratterizzata dal rispetto reciproco, dal sostegno e dalla condivisione paritaria
del potere e delle responsabilità;
- Stabilità organizzativa, caratterizzata da chiarezza, coerenza e prevedibilità;
- Comunicazione aperta caratterizzata dalla chiarezza delle regole e delle aspettative;
- Processi efficaci di problem solving e di risoluzione dei conflitti;
- ….
È importante ricordare che queste componenti base del funzionamento familiare possono essere organizzate
ed espresse in modi del tutto diversi e a livelli differenti.

Il modello circonflesso di Olson

Il modello circonflesso di Olson si basa su 3 dimensioni: coesione, adattabilità e comunicazione.


Nel modello la coesione è rappresentata sull’asse orizzontale, l’adattabilità su quello verticale, mentre la
comunicazione non compare in quanto viene vista come una dimensione facilitante e le altre due.
La comunicazione familiare è intesa come modalità di interazione tra i membri della famiglia. Questa è
positiva quando è fatta di ascolto empatico, di scambio comunicativo, di apertura verso l’altro, di chiarezza,
di rispetto e attenzione. Invece risulta essere negativa quando è chiusa, confusa, poco rispettosa e attenta
all’altro.
La coesione si riferisce al legame emotivo esistente tra i membri della famiglia. Tale dimensione indica
quindi la vicinanza o la lontananza cognitiva e affettiva tra le persone che appartengono al nucleo familiare.
L’asse di coesione è rappresentato da un continuum che prevede 4 gradi di coesione: agli estremi c’è il
disimpegno e l’invischia mento passando per la separatezza e la connessione.
L’adattabilità e flessibilità familiare si riferisce alla capacità della famiglia di modificare la struttura
gerarchica, i ruoli e le regole relazionali in risposta al superamento dei compiti evolutivi o di particolari
eventi della vita.anche questa dimensione è caratterizzata da quattro livelli quali: rigido, strutturato, flessibile
e caotico.
L’intreccio delle dimensioni che abbiamo ora visto vanno a definire 16 tipologie di famiglia: quattro delle
quali appartengono al sistema estremo, ovvero le famiglie estreme, quattro al sistema bilanciato, ovvero le
famiglie bilanciate, e altre otto al sistema intermedio cioè famiglie intermedie.
Le famiglie estreme sono il risultato dell’incrocio di modelli estremi. Esse corrispondono a tipologie
familiari disfunzionali, carenti sia sul piano dell’autonomia personale che su quello della capacità
organizzativa.
Le famiglie bilanciate corrispondono a tipologie familiari funzionali, i cui membri si sperimentano
differenziati ma uniti tra di loro e capaci di adattare le proprie modalità interattive.
Le famiglie intermedie, derivano dall’incrocio del polo negativo della flessibilità con il polo positivo della
coesione. Corrispondono a tipologie familiari che si trovano nel mezzo tra disfunzionalità e funzionalità.

Uno dei vantaggi di tale modello circonflesso è quello di essere dinamico, ossia di prevedere cambiamenti al
fine di far fronte a compiti evolutivi oppure a situazioni stressanti.
Scheda 4–> Barnes e Olson (pag. 68).

Il modello di Beavers

Simile al modello di Olson è quello di Beavers. Si tratta di un modello B dimensione che classifica le
famiglie in relazione al loro stile (asse verticale) e alla loro competenza familiare (asse orizzontale).

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La dimensione stilistica è stimata secondo un continuum ai cui estremi ci sono stili familiari rispettivamente
centripete e centrifughe. I primi corrispondono alle famiglie con legami vicini all’ambiente, i secondi invece,
alle famiglie lontane dal proprio contesto sociale di appartenenza.
Imposizione intermedia, tra gli stili familiari centripete e centrifughe, ci sono quelli misti rappresentati da
famiglie che si mantengono in equilibrio tra il difendere i propri confini rispetto all’esterno e il mantenersi in
relazioni con l’ambiente.
La dimensione relativa alla competenza si riferisce alla capacità della famiglia di adattare flessibilmente la
propria organizzazione in base alle esigenze che si presentano di volta in volta. I fattori legati alla
competenza sono: la chiarezza e la partecipazione della leadership, la precisa definizione dei confini, la
capacità di negoziare i conflitti, la comunicazione aperta e permeabile, un buon livello di intimità e di
reciproca autonomia tra i vari membri della famiglia.
Dall’incrocio di queste due dimensioni sono individuabili nove tipi di famiglie. Le famiglie ottimali sono
quelle funzionali e competenti; le famiglie adeguate sono simili alle precedenti seppur con un minor livello
di funzionalità e competenza; le famiglie intermedie rappresentano il primo livello di disfunzionalità. A
questo tipo di famiglie appartengono quelle centripete, miste e centrifughe.
Le famiglie borderline si suddividono in due tipologie: quelle centripete, che manifestano il proprio caos a
livello più verbale che non verbale; quelle centrifughe, in cui le manifestazioni di collera sono più aperte.
Anche le famiglie gravemente disturbate si suddividono in due tipologie: quelle centripete, che presentano
confini esterni quasi impermeabili e quelle centrifughe, che presentano confini molto permeabili e nelle quali
sono riscontrabili comportamenti antisociali.
Anche il modello di Beavers dinamico. Le due dimensioni considerate dall’autore interagiscono tra loro
dando luogo a diverse tipologie familiari. Allo stesso tempo, l’autore, sottolinea come la stessa famiglia in
momenti diversi del suo sviluppo possa collocarsi in tipologie diverse. (Vedi pag.71).
Una stessa famiglia, infatti, lungo l’arco del suo ciclo evolutivo assume diverse forme di modelli relazionali.
All’inizio, durante la formazione della coppia è ovvio che verrà assunto uno stile centripeto.quando invece si
trova ad accompagnare il processo di emancipazione dei propri figli, è evidente che la coppia allora tenderà
ad assumere uno stile centrifugo.

Processi comunicativi famiglia

Fu il gruppo di Palo Alto ad introdurre la teoria dei sistemi nello studio della famiglia, studiando gli effetti
pratici della comunicazione.
Secondo questi autori la comunicazione si articola su due livelli: quello denotativo che si identifica con il
contesto letterale e, quello metacomunicativo, ovvero il contesto che accompagna la comunicazione
attraverso il quale interpretare il messaggio.
Non c’è nessun contenuto senza contesto e viceversa. Ed è proprio in riferimento al contesto che lo stesso
messaggio può assumere di volta in volta significati diversi.

Gli assiomi della comunicazione

Ecco i cinque assiomi o proprietà fondamentali della comunicazione:


- il primo assioma afferma che non si può non comunicare. Ogni comportamento che si verifica in un
contesto interpersonale diventa comunicativo. Le parole o il silenzio hanno tutti il valore di messaggio:
influenzano gli altri e gli altri, a loro volta, non possono non rispondere a queste comunicazioni e, in tal
modo, comunicano anche loro.
- Il secondo assioma afferma che nella comunicazione umana esistono due livelli: quello del contenuto e
quello della relazione. Il livello di contenuto ha la funzione di trasmettere l’informazione mentre il livello
di relazione comunica come deve essere recepita l’informazione e determinata la relazione tra i
comunicanti. Dato che il livello di relazione fornisce informazioni sulle informazioni si parla a questo
proposito di metacomunicazione, ossia di comunicazione sulla comunicazione.
- Il terzo assioma ha a che fare con la punteggiatura della sequenza di eventi. Ogni interazione umana è
caratterizzata da una sequenza di scambi. Ogni individuo è portato a dare alla sequenza un preciso ordine
piuttosto che un altro, in modo tale che alcuni avvenimenti divengano la causa di altri. Quindi, la natura di
una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti. Definire la

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punteggiatura significa ordinare e organizzare gli eventi comportamentali a seconda del proprio punto di
vista. Si tratta di per sé di un fenomeno che caratterizza tutte le interazioni.
- Il quarto assioma è strettamente collegato al primo e al secondo. Questo dice che gli esseri umani
comunicano sia col modulo numerico che con quello analogico. La comunicazione numerica è quella
verbale, mentre quella analogica è non verbale. La prima riguarda il contenuto della comunicazione
mentre la seconda l’aspetto della relazione. Il modulo analogico è importante, ma vi sono dei limiti anche
nella comunicazione analogica: con essa è assai difficile esprimere concetti astratti.
- Il quinto assioma afferma che ogni scambio comunicativo può essere ritenuto simmetrico o
complementare. Nell’interazione simmetrica i partner dell’interazione tendono a scambiarsi gli stessi
modelli di comportamento, a rapportarsi in modo analogo l’uno con l’altro. Le interazioni simmetriche
sono descritte in termini di rivalità o emulazione reciproca. Nell’interazione complementare i partner
dell’interazione tendono invece ad assumere modelli di comportamenti reciproci che si completano
vicendevolmente, rinforzando l’uno il comportamento dell’altro.

La comunicazione disfunzionale e patologica

Oltre il significato dei 5 assiomi, si illustrano le principali modalità disfunzionali di comunicare correlate a
ciascuno degli assiomi: la squalifica, la disconferma, i problemi di punteggiatura, i difetti di decodificazione,
l’escalation simmetrica e la complementarietà rigida.

La squalifica

La comunicazione disfunzionale relativa all’impossibilità di comunicare e la squalifica del messaggio.


Corrisponde ad una comunicazione, successiva o contemporanea un messaggio la quale ne riduce o annulla il
valore. La squalifica rappresenta un artificio comunicativo al quale si ricorre soprattutto nelle situazioni in
cui si è costretti a comunicare.
È un modo, per esempio, di rispondere ad una domanda senza dare una risposta, come a volte fanno i politici
davanti i giornalisti. Oppure tante altre situazioni dove non si vuole dire la verità. Oltre allo sproloquio senza
senso sono tanti modi con i quali togliere valore alla comunicazione: si può fraintendere, cambiare
argomento, contraddirsi.
La squalifica di per sé è un artificio comunicativo utilizzato con una certa frequenza dalle persone. In alcuni
casi riveste anche una valenza positiva, come quando è strettamente legata al gioco, la fantasia o
all’umorismo.
Possiamo comunque dire che la squalifica non rappresenta in ogni caso un modello interattivo disfunzionale.
Dalla squalifica ci si può difendere criticando, chiedendo spiegazioni,… Il problema si presenta invece
quando questa modalità comunicativa diviene prevalente e non occasionale, come è nel caso delle famiglie
con un figlio schizofrenico nelle quali la squalifica è l’unica modalità comunicativa.

La disconferma

Dal secondo assioma sulla distinzione tra il livello del contenuto e il livello della relazione deriva che ogni
evento comunicativo contribuisce alla definizione della relazione tra i comunicanti, confermando, rifiutando
o non confermando l’interlocutore. La conferma da parte del ricevente della definizione proposta
dall’emittente nella sua comunicazione a un’importante funzione di sostegno poiché va a garantire lo
sviluppo e la stabilità mentale dell’emittente.
Il rifiuto da parte del ricevente della definizione di relazione proposta dell’emittente comporta però sempre
un reciproco riconoscimento tra i comunicanti, nonostante risulti frustrante.
La situazione risulta invece disfunzionale e gravemente patogeno nel caso della disconferma. In questo caso,
il ricevente non dà né una conferma né un rifiuto ma si comporta in modo così sfuggente da comunicare
all’emittente il messaggio “per me tu non esisti“. Si tratta di una modalità comunicativa che può mettere
gravemente in crisi il senso del sé.
La disconferma totale Rivolta a tutta la persona e fortunatamente rara. Più frequente è invece quella parziale,
che corrisponde al non riconoscimento di alcuni aspetti dell’individuo: di alcune sue idee o sentimenti o
desideri. Alcuni genitori, per esempio possono Miss-conoscere al proprio bambino la possibilità di
manifestare la sua sofferenza dicendo di quando piange: non fare la femminuccia. Anche questo tipo di
disconferme parziale sono lesive per l’individuo quanto più sono precoci e continue.
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Problemi di punteggiatura

Diviene però disfunzionale quando tra le parti si instaura una specie di gioco senza fine. Ogni persona
punteggio al discorso in modo da attribuire automaticamente agli altri delle colpe fino a giungere a posizioni
rispettivamente rigide, fondate unicamente sul mantenimento delle proprie posizioni. Si tratta di un
disaccordo che può per durare all’infinito fino a che gli interlocutori non decidono di meta-comunicare,
ovvero di comprendere cosa è accaduto nella loro relazione.
Un altro fenomeno disfunzionale legato alla punteggiatura è quello della profezia che si auto determina. In
questo caso una persona è così convinta di un tipo di punteggiatura fino a causare la situazione ipotizzata.
Una persona che parte con l’idea di non piacere a nessuno alla fine si comporterà in modo sospettoso,
confermando la sua idea interna, ovvero che non piace a nessuno.

Difficoltà di decodificazione

Riguardo al quarto assioma si possono considerare gli errori nella traduzione del messaggio analogico in
NUMERO. Il messaggio analogico infatti a quasi sempre una certa ambiguità e si può prestare a più
interpretazioni. È quindi opportuno parlare di difetto di traduzione del messaggio analogico in numerico solo
nei casi in cui ciò comporta un’alta disfunzionalità.

Escalation simmetrica e complementarietà rigida

Riguardo al quinto assioma, sia l’interazione simmetrica sia l’interazione complementare sono normali
caratteristiche di una relazione e quindi non sono disfunzionali. Ci sono però dei casi che costituiscono un
tipo di comunicazione inadeguata o patologica: quando c’è uno sbilanciamento eccessivo verso una delle due
forme di interazione. Si può giungere ad una escalation simmetrica quando la competitività prende il
sopravvento. In questo caso si passa velocemente di conflitto in conflitto fino a trasformare radicalmente la
relazione o a romperla.
Allo stesso modo anche la complementarietà può essere spinta fino al punto che una persona arriva ad
assumere sempre una posizione one-Down. In questo caso sia una complementarietà rigida che con il tempo
si fa problematica come quando, ad esempio, il partner in posizione subalterna acquista quelle competenze
che gli consentono di avere un certo grado di autonomia.

La prospettiva trigenerazionale

Questo tipo di prospettiva e di grande aiuto poiché osserva la famiglia sotto la dimensione storico-evolutiva.
Tale visione considera le relazioni familiari come punto di incontro di almeno tre generazioni: quella dei figli
e quella dei genitori con quella della famiglia d’origine. Secondo tale prospettiva la famiglia di origine e
mantiene la sua importanza anche quando l’individuo si è separato da essa per costruire una propria famiglia.

La trasmissione intergenerazionale

Nel tempo la famiglia, in un intricato intreccio di legami, scrive la propria storia. Si tratta di una narrazione
molto importante perché racchiude anche le varie capacità di influenzare il suo presente.
Le vecchie generazioni condividono con quelle più recenti varie dimensioni. Così un bambino può far sue
alcune modalità relazionali appartenenti a generazioni molto lontane da lui vivendo a contatto con i propri
genitori. La trasmissione Inter-generazionale può essere interpretata come una sorta di meccanismo di
riproduzione psicologica e culturale della famiglia nel tempo. E attraverso le varie forme di linguaggio che la
famiglia ha a propria disposizione che avviene tale passaggio: tramite il linguaggio parlato, scritto, emotivo e
quello legato al comportamento. Quando queste comunicazioni sono tra loro integrate si raggiunge l’effetto
ottimale. Si possono individuare un’ampia gamma di aree soggette a questo passaggio intergenerazionale: le
tradizioni, i ruoli, gli atteggiamenti, il grado di coesione della famiglia e i conflitti familiari.
Ogni famiglia può avere dei nodi da sciogliere che ha ereditato nel tempo. Tutti gli aspetti irrisolti delle
generazioni precedenti vengono trasmessi come vincolo alle generazioni successive. Insieme ai vincoli
chiaramente le generazioni precedenti trasmettono a quelle successive come risorse ciò che hanno superato o
elaborato.
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È interessante la distinzione tra passaggio e trasmissione intergenerazionale, a seconda del tipo di legame che
si instaura tra le generazioni, del modo in cui questi affrontano il problema della perdita e del lutto.
Se i membri della famiglia non sono capaci di sperimentare il lutto allora si svilupperà un modello familiare
soggetto al passaggio intergenerazionale, ossia una famiglia in cui vengono trasferite da una generazione
all’altra modalità relazionali senza che queste siano elaborate. Quindi nel primo caso, ovvero quello del
passaggio, la famiglia non è in grado di far proprio quanto riceve dalle generazioni precedenti. Il concetto di
trasmissione invece implica una capacità di elaborazione del lutto che consente un’assimilazione critica e
selettiva della tradizione che viene trasmessa.
Solo la trasmissione rende possibile la crescita delle persone.

Miti, storie e rituali familiari

La famiglia cresce ed educa i propri figli attraverso una serie di processi dinamici che si esplicano nei miti,
nelle storie e nei rituali. In tale senso la famiglia rappresenta quel complesso sistema simbolico che dà forma
e tramanda la propria cultura da una generazione all’altra attraverso tradizioni, valori e condotte.

I miti familiari

Per miti familiari si intende un insieme di credenze condivise da tutti membri della famiglia, in parte reali, in
parte frutto della fantasia che vanno a favorire l’identità e la coesione dei vari ruoli familiari. I miti si
costruiscono e si modificano nel tempo, sono tramandati di generazione in generazione, spesso espressi
attraverso detti o proverbi.
Il mito rappresenta una sorta di chiave di lettura e di interpretazione della realtà per tutta la famiglia: offre
delle immagini ideali e dice ciò che non si deve essere o fare, inoltre offre delle conoscenze comuni
condivise da tutti i familiari.
Tali credenze assumono il carattere di mito proprio perché non sono messi in discussione o sottoposte a
verifica. La forza del mito sta proprio nell’implicito divieto a meta-comunicare su di esso. I membri della
famiglia inconsapevolmente aderiscono al mito attraverso i loro comportamenti quotidiani.
Per quanto ad una persona esterna un mito possa apparire irreale e poco ragionevole, ai membri della
famiglia questo appare come chiaro ed evidente. Attraverso il mito vengono trasmesse anche alle future
generazioni le modalità relazionali proprie della famiglia, con i suoi valori, ruoli e funzioni.
I miti sono legati a problematiche irrisolte che hanno a che fare con tematiche fondamentali dell’esistenza;
esso serve a dare un senso ad un insieme di avvenimenti ambigui dei quali è difficile trovare la causa. Perciò,
il mito può essere collocato tra la realtà e la cronaca, in quanto è costruito sulla mancanza di fatti e di
spiegazioni attendibili.
I miti sono per le famiglie ciò che i meccanismi di difesa rappresentano per gli individui.sono come valvole
di sicurezza che proteggono la famiglia dalla disgregazione. I miti costituiscono delle difese nei confronti
degli eventi che potrebbero mettere in crisi la stabilità familiare.occorre quindi precisare che è un mito non è
di per sé rapportabile ad una realtà familiare disfunzionale. I miti, infatti, possono assolvere anche ad una
funzione adattiva.
Diventa, invece, un problema quando il mito familiare è troppo rigido: se il mito familiare diventa un sistema
di credenze chiuso, l’interazione familiare può diventare rigida e la famiglia non è più in grado di adattarsi ai
suoi cambiamenti. Tutto ciò è confermato dal fatto che è proprio nelle famiglie che presentano una patologia
che limiti assumono una forma dogmatica.
È stato sottolineato che i miti si costituiscono e si modificano nel tempo, nelle interazioni quotidiane, in
conseguenza delle trasformazioni del ciclo vitale. Nelle famiglie funzionali i miti assumono una
connotazione più fluida e possono essere rivisti e trasformati col passare del tempo mentre nelle famiglie
problematiche e si sono tramandati in modo assai dogmatico e ripetitivo.

Le storie familiari

Attraverso il racconto di proprie storie la famiglia condivide memorie, trasmette valori e riorganizza la
propria identità in continuità con il passato. Una storia può essere raccontata da una singola persona o
composta oralmente. Le occasioni per iniziare a narrare avvenimenti accaduti in passato sono veramente
molteplici.

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La capacità delle storie è quella di connettere avvenimenti e persone attorno ad un significato.in questo modo
permettono alla famiglia di organizzarsi attorno ad un’identità.
Attraverso l’analisi delle storie che i membri delle famiglie raccontano e si raccontano, è possibile
individuare i valori e i principi a cui si sentono vincolati, i modi in cui essi definiscono se stessi, le modalità
con cui caratterizzano l’identità del gruppo e le spiegazioni che danno dei loro rapporti. Ciò che è importante
cogliere è comunque come questo processo simbolico costituito dalla narrazione sia strettamente
interdipendente con le dinamiche familiari, come le condotte interpersonali siano influenzate dalle
rappresentazioni che le persone danno rispetto a ciò che accade ed è accaduto.
A proposito del “pensare per storie” è interessante come la stessa terapia, utilizzando storie, possa essere
vista come una modalità di trasformare trame narrative. Il terapeuta ascolta la storia raccontata con l’intento
di apportarne delle modifiche.

I rituali familiari

I rituali familiari sono azioni che ricorrono in tempi e luoghi prevedibili e che forniscono i membri della
famiglia un senso di identità al suo interno. Vi sono rituali speciali, articolati e solenni, che marcano i
passaggi principali della vita familiare (compleanni, anniversari) e i rituali ordinari, semplici ed essenziali
legati alla vita quotidiana familiare (i pasti, i modi di salutarsi).

Il genogramma familiare

Uno strumento di conoscenza della storia della famiglia a livello tri generazionale è il Genogramma: Si tratta
di una forma di rappresentazione dell’albero genealogico che Registra informazioni sui membri di una
famiglia e sulle loro relazioni nel corso di almeno tre generazioni. Il primo ad attualizzare questa tecnica in
ambito sistemico-relazionale è Bowen.
(Vedi pag. 87).
Nella rappresentazione del proprio genogramma il soggetto fornisce una mappa grafica della struttura
familiare insieme ad alcune informazioni sul tipo di relazione che esiste tra i vari membri, su eventi
significativi della storia familiare e su alcuni riferimenti utili. Tutto ciò permette all’operatore di avere utili
informazioni sulla storia affettiva dell’individuo e sulla funzionalità della famiglia.
L’aspetto più interessante del genogramma sta proprio nella considerazione di come le vicende
intergenerazionali della famiglia possono essere collegate ed offrire una ulteriore comprensione del presente,
del comportamento delle nuove generazioni e fornire un orientamento su quanto potrà accadere. Questa
rappresentazione inoltre può permettere anche il riemergere di elementi inconsci o rimasti a lungo in ombra.
Non è improbabile che il paziente, mentre riporta la memoria a fatti accaduti nella propria famiglia, elabori
un vero e proprio insight grazie ai nessi e alle ridondanze che emergono dal racconto.

Le relazioni familiari e il contesto socio culturale

La famiglia viene influenzata dal contesto sociale e culturale in cui è inserita ed allo stesso tempo alla
capacità di modificarlo. Per questo la comprensione delle sue relazioni è solo possibile inquadrando le stesse
all’interno dei processi sociali, culturali, economici e religiosi in cui la famiglia vive.
In questo senso, i modelli di funzionamento familiare di Olson e Beavers si dimostrano poveri, in quanto
confrontano la famiglia con un ambiente generico. I modelli appena visti quindi appaiono da un certo punto
di vista semplicistici perché non considerano quanto la società possa modificare la famiglia e le sue relazioni.
Invece è interessante e importante vedere come i cambiamenti socio-culturali di una famiglia contadina che
si trasferisce in città possono avere delle conseguenze disfunzionali sulle relazioni familiari.

Il modello ecologico dello sviluppo

Per approfondire il tema dello scambio tra la famiglia e la società di appartenenza è utile il modello
ecologico dello sviluppo elaborato da Bronfenbrenner. L’autore considera l’individuo in evoluzione
all’interno di una rete di relazioni interpersonali significative alle quali partecipa direttamente o
indirettamente.tale ambiente ecologico è rappresentato da strutture concentriche, luna inclusa nell’altra (vedi
Pag 90).
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Al centro c’è il micro sistema che è caratterizzato dalle persone con le quali il soggetto stabilisce relazioni
intime.tale luogo può essere rappresentato dalla casa. Successivamente si ha il meso sistema che comprende
le interrelazioni tra due o più contesti ambientali alle quali l’individuo partecipa attivamente, come per
esempio la scuola o i gruppi dei pari. Al terzo posto abbiamo leso sistema che riguarda due o più contesti
ambientali ai quali l’individuo non partecipa direttamente, ma Che hanno ugualmente la capacità di
influenzare gli altri due cerchi precedenti. Un esempio potrebbe essere il lavoro dei genitori per un bambino
piccolo. Infine al quarto posto abbiamo il macro sistema che comprende tutti gli altri sistemi e che consiste
nelle congruenze di forma e di contenuto dei vari sistemi a livello di subcultura o di cultura considerate come
un tutto.
Tale modello risulta molto utile alla comprensione di come lo sviluppo individuale, quello familiare e quello
sociale procedano insieme implicandosi reciprocamente.

Lo strumento valutativo dell’ecomappa di Hartman

Sempre nella prospettiva dell’aiutare a comprendere il rapporto tra la famiglia e la propria comunità di
appartenenza, Hartman ha realizzato uno strumento chiamato eco mappa con il compito di valutare la rete
relazionale della famiglia. Il presupposto teorico alla base di questo strumento è che il tipo di relazioni che
ciascuna famiglia intreccia con i sistemi posti al di fuori dei propri confini rappresentano comunque una
risorsa importante per essa stessa. È stato dimostrato che le famiglie responsabili di abbandono di un minore
non sono adeguatamente inserite in una rete efficace di sostegno.
In questo metodo all’intervistato viene consegnato un foglio bianco dove sono disegnati dei cerchi vuoti nei
quali indicare i propri sistemi relazionali di riferimento. Il grande cerchio al centro della mappa racchiude la
famiglia del soggetto. In ciascuno degli altri cerchi va indicato il nome dei sistemi con i quali la famiglia è
collegata. Vi si possono inserire diversi simboli che vanno a specificare elementi. Vi sono inoltre alcuni
simboli inerenti alla natura dei diversi legami, i quali specificano se il legame sia forte, debole o stressante.

PARTE SECONDA: Famiglia, ciclo di vita e compiti di sviluppo

Capitolo 4: Il ciclo di vita della famiglia

Le caratteristiche del ciclo di vita familiare

Il concetto di “ciclo di vita” in psicologia ha le sue origini nello studio dello sviluppo degli individui.
L’opera più conosciuta è quella di Erickson che suddivide l’intero arco di vita in 8 stadi. Ogni stadio risulta
contraddistinto da un conflitto che l’individuo deve superare prima di poter accedere al successivo.
In coincidenza con questi passaggi si verificano cambiamenti significativi nella persona, che possono andare
in senso funzionale o disfunzionale.
Il buon esito di una fase evolutiva è unimportante premessa per il conseguimento dei compiti di sviluppo
inerenti agli stadi successivi, in quanto ogni livello si fonda sulle esperienze precedenti. Il discorso di
Eriksson è interessante anche perché colloca lo sviluppo individuale all’interno del contesto storico-sociale.
Il suo sforzo è quello di mostrare come ad ogni stadio evolutivo corrisponde a un bisogno emotivo
individuale, a sua volta strettamente connesso a delle relazioni significative.
Sono i pionieri della terapia familiare a mettere in evidenza il legame esistente tra il ciclo vitale individuale e
quello della famiglia.ogni famiglia è sollecitata dalle trasformazioni connesse con il ciclo di vita individuale
di ciascuno dei suoi componenti.così un figlio adolescente obbliga il proprio nucleo familiare a
riorganizzarsi.non solo le persone che costituiscono una famiglia mutano nel tempo, ma mutano anche le
relazioni tra di loro.anche a livello interpersonale la famiglia si modifica nel tempo. Infine, una famiglia
cambia in collegamento ai mutamenti dell’ambiente in cui vive (livello sociale). Le condizioni economiche e
quelle socio culturali si riverberano sulla famiglia in infiniti modi.

Fasi evolutive

Il ciclo di vita della famiglia è composto dalla successione di fasi che essa deve attraversare dalla sua
formazione alla sua dissoluzione.ogni fase è avviata da un evento critico e comporta il suo superamento. Il
superamento dei vari compiti permette alla famiglia di transitare alla fase evolutiva successiva. Cos’è che

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segna il passaggio da uno stadio all’altro del ciclo di vita della famiglia? La maggior parte degli autori lo
identificano con l’incrocio di due fattori: l’ingresso-uscita di un membro della famiglia e l’età dei figli.

Eventi critici

Ogni fase evolutiva è caratterizzata dal sopraggiungere di 1:00 situazione problematica che per essere
superata richiede una ristrutturazione delle relazioni familiari. Per tale motivo, i momenti di crisi familiare
hanno una funzione positiva perché, nonostante comportino un disagio per l’intero sistema, essi
rappresentano una condizione per l’attivazione di processi di sviluppo. La situazione diviene invece
distruttiva quando la famiglia non è in grado di adattarsi, di reagire all’evento critico.
In questo caso la famiglia viene a trovarsi in una condizione di malessere che può manifestarsi anche in un
comportamento sintomatico da parte di uno o più dei suoi componenti. Gli eventi critici sono suddivisi in
due tipologie: quelli prevedibili o normativi e quelli imprevedibili o para normativi.
Sono gli eventi critici normativi a marcare la successione delle fasi del ciclo familiare in quanto riguardano
quelle situazioni che la maggior parte delle persone delle famiglie si aspettano di incontrare nell’arco della
propria vita.
Gli eventi critici paranormativi sono invece rappresentati dalle situazioni che accadono in modo imprevisto e
che sono quindi in attese, come un incidente o una malattia o una morte precoce. Si tratta in questo caso di
avvenimenti che comportano uno stress maggiore proprio perché inattesi.

Compiti di sviluppo

A ogni evento critico corrispondono alcuni compiti di sviluppo che tutta la famiglia deve svolgere se vuole
superarlo e riuscire ad assolvere anche gli altri impegni adesso correlati. I compiti di sviluppo coinvolgono
almeno tre generazioni e il rapporto della famiglia con la comunità di appartenenza. Questi compiti si
riferiscono globalmente all’individuazione di ogni membro della famiglia e alla realizzazione di legami tra i
membri sulla base di un riconoscimento reciproco e della cura e sostegno nei confronti dei membri più
piccoli e deboli.
Secondo la prospettiva di Bowen più l’individuo cresce più deve essere in grado di differenziarsi dalla
famiglia di origine sentendosene sempre più autonomo ed essendo quindi in grado anche di assumere ruoli
diversi dentro e fuori la famiglia senza perdere il senso di continuità della propria identità personale.
La capacità della famiglia di superare i compiti di sviluppo dipende dalle risorse di cui essa dispone e che
riesce ad attivare per far fronte alla situazione problematica. Le risorse personali riguardano qualità e
capacità dei singoli membri della famiglia riferite alle caratteristiche di personalità, alle competenze, alla
salute,… Le risorse della famiglia includono lo stile di funzionamento che è proprio della famiglia.le risorse
sociali non sono fattori interni alla famiglia ma fattori esterni, dei quali comunque la famiglia può
avvalersi.in questo caso si fa riferimento al sostegno di cui le famiglie possono usufruire nell’ambito della
propria comunità; sono essenzialmente di due tipi: reti formali e reti informali.

L’origine storica del concetto “ciclo di vita”

Con il termine ciclo di vita si intendono tutti quei processi attraverso i quali la famiglia si sviluppa dalla
nascita alla morte.
I contributi più significativi sono quelli dei sociologi Duvall e Hill.
L’attenzione degli studiosi dell’approccio evolutivo si concentra sui cambiamenti dovuti ad eventi
prevedibili. Le possibili variabili individuate per suddividere il ciclo vitale della famiglia sono quattro: la
presenza e l’assenza di figli, l’età del figlio maggiore, il grado di scolarità del figlio maggiore è la
combinazione dei fattori età e status della coppia sposata.
Ognuno degli stadi può essere considerato secondo tre dimensioni di complessità crescente: cambiamento dei
compiti e aspettative di ruolo dei genitori; cambiamento dei compiti e aspettative di ruolo dei figli e compiti
della famiglia come risultato delle norme culturali nei diversi momenti della crescita familiare.
A differenza della Duvall, Hill si muove in una direzione di maggiore complessità, arrivando a definire nove
stadi, rispetto alla collega che ne ha stabiliti otto, in cui valuta anche l’interdipendenza tra le varie
generazioni che compongono la famiglia.

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I risultati dell’approccio evolutivo risultano più ricchi grazie al confronto con gli apporti provenienti dalla
teoria generale dei sistemi, alla proficua collaborazione con professionisti impegnati in ambito sociale e agli
scambi con la teoria del family stress.

Il modello di McGoldrick e Carter

Modello che riesce ad integrare le sollecitazioni provenienti dalla ricerca sociale e dall’ambito clinico è
quello di questi due autrici, le quali mettono in evidenza l’interazione che esiste tra individuo, famiglia e
società. Il ciclo vitale della famiglia rappresenta il contesto principale all’interno del quale crescono le
persone. Tuttavia, per comprenderlo in modo adeguato occorre considerarlo come parte di un contesto più
ampio, quello socio-culturale.
Per le due autrici, la famiglia è un sistema emozionale pluri generazionale e, quindi, per comprendere una
persona occorre considerare il suo collegamento con le generazioni che l’hanno preceduta e con quelle che la
seguono.
Il rapporto esistente tra individuo, famiglia e società è di tipo inclusivo: la dimensione storico-culturale a una
maggiore influenza su quella familiare e questa su quella individuale. La famiglia assume una posizione
intermedia rispetto all’individuo e alla società. (Vedi figura pag. 104).
Il modello delle due autrici è suddiviso in tre livelli sistemici. Nel livello individuale, l’asse verticale della
persona comprende ciò che ogni individuo ha ereditato a livello biologico e temperamentale, mentre quello
orizzontale si riferisce al suo sviluppo a livello fisico, emotivo e cognitivo nell’arco della vita.
In riferimento a livello familiare, l’asse verticale della famiglia comprende la storia familiare; l’asse
orizzontale invece, si riferisce ai compiti di sviluppo che la famiglia deve affrontare nella fase evolutiva in
cui si trova il momento presente. Il modo di affrontare questi compiti dipende anche da come essi sono stati
affrontati nelle rispettive famiglie d’origine e prima ancora.
Nel livello sociale, l’asse verticale della storia culturale comprende gli eventi storici, i modelli culturali, i
valori che le generazioni si sono trasmesse nel tempo a livello sociale. L’asse orizzontale invece, si riferisce
agli eventi economici e socio culturali attuali. In questo caso la comprensione delle attuali condizioni è
influenzata dalle proprie origini socio culturali.

L’attenzione che nel due autrici hanno per i mutamenti sociali le porta anche alla considerazione che il ciclo
di vita familiare va modificato di volta in volta a seconda dei mutamenti che una società a lungo la sua storia.
Ogni ciclo vitale della famiglia quindi deve essere contestualizzato all’interno delle coordinate storico-
geografiche in cui si sviluppa.

Le microtransizioni di Breunlin

Questo autore giudica l’impostazione del ciclo vitale troppo semplicista nel ridurre le possibilità di
cambiamento della famiglia e a quei pochi momenti corrispondenti agli eventi critici. Secondo l’autore, un
bambino passa gradualmente dalla posizione a carponi alla postura eretta, quindi poi impara un sacco di
azioni da solo.
Tutti questi piccoli traguardi, definite micro transizioni, in esse coesistono in modo oscillatorio vecchie
modalità comportamentali, connesse con livelli di competenza precedenti e nuove modalità comportamentali,
connesse con livelli di competenza superiore.
Per la teoria dell’oscillazione, le transizioni non avvengono per salti discontinui da un modello di
funzionamento ad un altro, ma piuttosto attraverso una oscillazione tra i diversi livelli di funzionamento. Gli
esiti di una micro transizione possono essere almeno tre: le sequenze interattive possono fermarsi a una
vecchia condotta che risulterà inadeguata; le sequenze possono regolare condotte ad un livello di competenza
chi è al di sopra del livello di competenza adeguato; le sequenze interattive possono regolare i
comportamenti ad un livello appropriato di competenza.
Nelle famiglie normali l’oscillazione si spegne quando un livello di funzionamento superiore predomina e
sostituisce un precedente livello di funzionamento. In sintesi, il pensiero dell’autore è che non esiste una
distinzione tra eventi critici e non. La transizione continua, solo che alla presenza di un evento critico
aumentano e si fanno più complesse le micro transizioni, per quanto il processo che le regola rimanga lo
stesso.

Disfunzioni e sintomi nel ciclo di vita


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Non tutte le famiglie riescono a superare i compiti evolutivi del proprio ciclo di vita. In “Terapie non
comuni” Haley È il primo ad introdurre il concetto di ciclo vitale della famiglia nel lavoro terapeutico. La
sua idea di fondo è che le condotte sintomatiche siano indice di una difficoltà del sistema familiare a far
fronte ai compiti del ciclo di vita. In questo senso ogni stadio evolutivo rappresenta per la famiglia una
situazione critica che obbliga la stessa a modificare le proprie modalità di funzionamento verso il
raggiungimento di una forma di organizzazione più idonea alla nuova condizione.
Le difficoltà che la famiglia incontra in questo percorso di ristrutturazione possono dar luogo a
comportamenti disfunzionali o a veri e propri sintomi. Nella prospettiva del ciclo di vita il sintomo viene
esaminato in relazione al normale processo evolutivo della famiglia ed è perciò inteso come una deviazione o
un’interruzione del sano svolgimento del ciclo vitale della famiglia.
A questo punto, il compito del terapeuta è quello di aiutare la famiglia a mettere in atto modalità relazionali
più idonee alla fase di crescita che sta attraversando. A questo punto il sintomo scompare. (Vedi esempio
pag. 108)

Aspetti critici nell’attuale contesto socioculturale

È evidente che chi opera con le famiglie debba avere una conoscenza del ciclo di vita della famiglia, in modo
da saper contestualizzare e avere una chiave interpretativa di ciò che osserva.
Gli stadi del ciclo di vita della famiglia non sono universali, ma assumono caratteristiche diverse a seconda
del contesto in cui si realizzano.
Una caratteristica critica dell’attuale società complessa è legata alla molteplicità dei possibili modelli di
condotta, tali da non offrire alle famiglie tempi e criteri chiari per regolare il loro passaggio da una fase
evolutiva all’altra.
Al contrario delle società tradizionali, la società attuale delega agli individui la scelta di quando e come
realizzare le proprie transizioni. Col passaggio da una famiglia fondata su vincoli obbligati ad una basata su
vincoli volontari è venuta meno quella certezza normativa o quella uniformità che governava i processi
familiari.
La libertà di scelta di cui gode l’attuale famiglia comporta una maggiore incertezza e numerose
responsabilità.le possibilità e le decisioni da prendere sono infinite e possono creare confusione. Lo
sbilanciamento dell’attuale società verso la soggettività ha impoverito anche la dimensione rituale, così
importante nel marcare i passaggi e nel preparare e orientare le scelte degli individui.
Vi sono diverse fasi evolutive, dove ciascuna possiede degli aspetti critici.
A riguardo della prima fase, quella della formazione della coppia, è evidente come anche in Italia si assiste
ad una progressiva fragilità della vita di coppia.
Perciò che riguarda la seconda fase del ciclo evolutivo, quella della famiglia con figli piccoli, gli elementi di
crisi sono espressi dal significativo calo delle nascite.
Riguardo alla terza fase del ciclo vitale, quello della famiglia con figli adolescenti, la crisi della stessa è
rappresentata dallo sbilanciamento della famiglia sulla polarità affettiva e sulla centralità del ruolo materno,
lasciando in penombra il ruolo del padre.
Perciò che riguarda il penultimo stadio del ciclo vitale, quello della famiglia con figli giovani adulti, il suo
elemento critico è dato dal protrarsi del periodo di permanenza dei figli nella casa dei genitori. Si tratta del
cosiddetto fenomeno della famiglia lunga.
L’ultima fase del ciclo vitale, quello della famiglia nell’età anziana, trova un elemento critico
nell’allungamento della vita, che comporta nel nostro paese un sorpasso a livello demografico degli anziani
sui giovani.

Capitolo 5: la formazione della coppia

I significati dello sposarsi lungo la storia

Nel corso della storia la costituzione di una coppia coniugale ha assunto varie funzioni. Prima dell’epoca
moderna, infatti, rappresenta una modalità per creare alleanze tra famiglie, in seguito con l’avvio
dell’industrializzazione, assume le caratteristiche di una sorta di impresa privata.

Il matrimonio come alleanza tra gruppi


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Quando l’unione era funzionale alla creazione di un’alleanza tra gruppi solo alcuni potevano accedere al
matrimonio e alla scelta del proprio coniuge. Prima dell’età moderna nei ceti aristocratici, il matrimonio è un
avere propria strategia di alleanze politiche ed economiche. Il rapporto tra i coniugi non aveva importanza in
se stesso ma solo in quanto garanzia di continuità del vincolo di alleanza tra gruppi.
Per questo il matrimonio era pattuito dalle famiglie e aveva come precondizione la trasmissione dell’eredità e
la disponibilità di una dote. In tale modo è facile comprendere come tali fattori non differenziassero
solamente i membri di famiglie di ceti diversi, visto che le alleanze avvenivano tra famiglie di pari dignità,
ma anche i figli e le figlie di una stessa famiglia rispetto alla possibilità di sposarsi. Una volta che l’eredità
era data al figlio maggiore questa non mi era più a disposizione per gli altri figli maschi. Anche le donne non
avevano più possibilità di maritarsi quando nella famiglia non era più disponibile una dote.

Il matrimonio nella “famiglia acquisitiva“

All’inizio dell’epoca moderna il matrimonio da forma di alleanza tra le famiglie diventa una forma di affare
in grado di portare riuscita economica e affermazione sociale.
Per secoli la famiglia ha rappresentato una vera e propria impresa: produttiva e finanziaria.
All’interno della società borghese fa la sua comparsa la famiglia acquisitiva, frutto della separazione tra
economia domestica ed economia dell’impresa familiare. La famiglia moderna nasce proprio dalla
distinzione dei conti relativi alle due tipologie di economia.
Tale fenomeno porta a un ridimensionamento della composizione familiare: dalla famiglia estesa, che serve a
sostenere l’impresa, si passa alla famiglia coniugale-nucleare moderna. Ogni matrimonio da luogo ad una
nuova famiglia anche dal punto di vista della convivenza. Anche la maggiore mobilità geografica e sociale,
consentita dall’industrializzazione e dal fenomeno dell’urbanizzazione, contribuisce a far aumentare la
possibilità di sposarsi e abbassa l’età media di accesso al matrimonio. Non a caso i primi decenni del 900
sono definiti l’età d’oro della nuzialità.

Il matrimonio e la famiglia “luogo degli affetti e delle relazioni primarie”

Di fatto nella società decisamente post industriali si accentua la privatizzazione della famiglia e questa
diviene sempre più spazio delle relazioni primarie. L’attenuarsi della sua connotazione acquisitiva offre alla
famiglia un orientamento privatistico ed espressivo, anche grazie alla diffusione dei servizi e dei consumi.
La famiglia diviene luogo degli affetti e dei processi di socializzazione primaria e secondaria.
In questo modo la famiglia nel trascorrere dei secoli passa dal suo essere così fortemente legata alla società
ad essere sempre più uno spazio privato nel quale è centrale la cura delle relazioni.
La coppia è in qualche modo funzionale alla propria felicità personale. In sintesi, alla fedeltà alle proprie
famiglie d’origine si sostituisce la fedeltà intesa in senso lato, al proprio coniuge e in definitiva a se stessi,
alla propria realizzazione.

L’amore come legittimazione dell’attuale matrimonio

Va approfondita la motivazione principale che porta oggi due persone a sposarsi sia l’amore romantico.
L’attuale matrimonio non è più il frutto di strategie familiari per creare alleanze tra parentele o per
incrementare le proprie risorse economiche. Oggi ci si sposa per amore.
All’interno dell’ideologia dell’amore, l’innamoramento e l’esperienza di fidanzamento che ne consegue
diviene lo spazio di mediazione e di scelta, di contrattazione più o meno esplicita tra richieste e aspettative
dei due partner. Sempre più il fidanzamento ha perso i suoi connotati di alleanza ufficiale tra famiglie per
divenire sempre +1 sfumato patto fiduciario tra due individui che si scelgono senza la presenza di testimoni.
L’ideologia dell’amore ha delle conseguenze anche sulla struttura delle relazioni sociali e di parentela: essa
presuppone che la coppia abbia una sua autonomia rispetto alla parentela in modo da concentrarsi sul proprio
rapporto. Le famiglie di origine e i parenti non possono istituzionalmente valere come forma di collocazione
sociale: la scelta libera e autonoma che i partner devono fare permette agli stessi di rendersi autonomi dai
propri genitori e familiari.
Al centro della coniugalità viene posta la cura della relazione di coppia. Rimangono gli aspetti di matrimonio
e di patrimonio, ma questi sono ora contrattati all’interno della relazione. Qui ciascuno ha la possibilità di

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esprimere i suoi bisogni e le sue aspettative più profonde. L’amore romantico, infatti, presuppone un modello
di relazione di coppia basato sulla parità e sulla reciprocità. Vi è anche l’intimità.
Da questi vari elementi possiamo quindi dedurre come l’attuale coppia coniugale sia sbilanciata sul polo
affettivo piuttosto che su quello etico: il rispetto della soggettività dei partner e la cura della loro relazione è
al primo posto rispetto agli impegni che questi hanno nei confronti delle proprie famiglie d’origine o delle
comunità a cui appartengono.
L’aumento delle separazioni e dei divorzi e spiega la fragilità dell’attuale coppia. In tale prospettiva è
possibile trovare una spiegazione anche al diffondersi delle convivenze e dell’unioni di fatto.

L’attuale fragilità della coppia coniugale

Vi sono alcuni fattori che rendono più fragile l’attuale coppia coniugale: le alte aspettative, facilmente
soggetta delusioni, che i coniugi hanno nei confronti del partner della relazione; l’accresciuto bisogno di
autorealizzazione; lo sbilanciamento della relazione sul polo affettivo e l’espressione di sé.
Questa fragilità è resa indirettamente visibile dalla diminuzione dei matrimoni, dal relativo aumento delle
unioni libere e dall’aumento di separazioni e divorzi.
A proposito del calo dei matrimoni è già stato visto come a partire dagli anni 70, dopo la cosiddetta età d’oro
della nuzialità, in particolare nel nord Europa si assiste a un’inversione di tendenza. In Italia questo dato è
molto attenuato.
Se i matrimoni diminuiscono o sono rimandati, viceversa, sono in aumento le convivenze. Queste però
risultano in gran parte funzionali al matrimonio stesso. Infatti, l’insicurezza che i giovani sperimentano nei
confronti di un evento, li porta a provare preventivamente le proprie affinità e la propria consistenza di
coppia prima di un eventuale passo decisivo.

Costruire l’identità di coppia

L’obiettivo principale che caratterizza la prima fase del ciclo di vita della famiglia e la costruzione
dell’identità di coppia. È facile comprendere come la costruzione dell’identità di coppia sia una transizione
che non impegna solo i due partner ma tutte quelle persone che sono a vario titolo legati ad essi. Il passo
decisivo nella formazione dell’identità sta nella scelta consapevole del partner, nel passaggio
dell’innamoramento all’amore, ovvero dal patto segreto al patto dichiarato che ha nel matrimonio il suo rito
di transizione.

La scelta inconsapevole del partner

La prima scelta del partner avviene a livello inconsapevole ed è legata alle proprie esperienze individuali
familiari, più specificamente alla relazione che sia vissuta con il proprio genitore di sesso opposto. Dicks
sostiene che esistono due modalità di scelta: quella complementare e quella per contrasto.
La scelta complementare avviene per somiglianza. In questo caso sia portati a preferire il partner in base alle
proprie identificazioni originarie.
La scelta per contrasto avviene invece per differenza.in questo caso la ricerca dell’uomo va verso una donna
che abbia caratteristiche ben diverse da quelle della propria madre e viceversa.
Tuttavia, tutte e due le possibilità individuate possono integrarsi nella scelta della stessa persona. È possibile
che un partner possa essere preferito perché possiede sia alcune caratteristiche simili sia altre che sono
differenti rispetto a quelle del proprio genitore di sesso opposto. Siamo portati a formare coppie in continuità
con le esperienze vissute con i nostri genitori, soprattutto nel soddisfare quei bisogni profondi a cui nostra
madre o nostro padre non hanno risposto.
La scelta inconsapevole del partner fa parte del processo di innamoramento e si fonda sull’idealizzazione di
sé e dell’altro.
In esso ogni partner è attratto da alcune qualità positive dell’altro fino al punto di idealizzarlo nella sua
totalità.
È sulla scia di questa spinta ideale, fatta di uno scambio reciproco di immagini, che si forma la coppia.
Nell’innamoramento la coppia realizza il suo primo contratto o patto segreto: come è stato visto si tratta di
un accordo su base inconscia e narcisistica.

La scelta consapevole del partner


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L’innamoramento costituisce oggi l’atto fondativo della coppia per la sua capacità di offrire alla stessa
fiducia e speranza. Allo stesso tempo è altrettanto vero che questa fase viene perdendo nel tempo la sua
intensità, almeno così come viene sperimentata all’inizio. È la quotidianità a svelare l’illusione sottesa la
parte sommersa del primo contratto, a mettere in evidenza i limiti della relazione di coppia, i propri e quelli
del partner.
L’irreale pretesa di poter soddisfare tutti i propri bisogni profondi attraverso l’altro e la relazione entra in una
fase di crisi. All’illusione fa seguito la disillusione. L’altro non è più così perfetto come sembrava.
All’euforia di momenti magici subentrano la noia e la pesantezza e le tensioni. Tale fase critica può
rappresentare la fine del rapporto, ma anche un importante salto qualitativo in grado di far maturare la coppia
in modo che l’altro sia accettato come individuo autonomo, separato, non in funzione di sé e dei propri
bisogni. La disillusione permette il passaggio dall’innamoramento all’amore.
Le coppie disfunzionali si caratterizzano, invece, proprio per il fatto di non riuscire ad affrontare la crisi,
fermandosi alla prima forma di contratto: non sono in grado di riconoscere la disillusione in quanto
evenienza evolutiva. A differenza del primo patto, il secondo a una natura intenzionale.
Il matrimonio rappresenta l’atto esplicito di questo patto fiduciario in cui i coniugi esprimono il loro
impegno di fronte alla comunità.
La promessa di condividere gioie dolori, salute e malattia, implica una serie di impegni molto significativi: la
condivisione e la collaborazione verso la realizzazione di un progetto comune che perduri nel tempo.

Compiti di sviluppo in riferimento alla coppia

La relazione di coppia è luogo di elaborazione, uno spazio mentale nuovo.prevede l’integrazione dei diversi
modelli di coppia che i due coniugi hanno ricevuto nel processo di trasmissione intergenerazionale
all’interno delle proprie famiglie di origine. Per questo la creazione di un’identità di coppia richiede che i
due partner siano in grado di trattare e far fruttare le proprie storie pregresse.

Accordarsi sui reciproci ruoli e funzioni

Per prima cosa i due partner devono negoziare e stabilire come essere coppia, cosa compete all’uno e cosa
compete all’altra.
Fino a qualche decennio fa questo era un compito più semplice, visto che i ruoli e le funzioni coniugali erano
già definite in gran parte dalla cultura di appartenenza. Oggi invece, l’ideale della parità tra i sessi e
l’allargamento delle opportunità delle donne hanno portato a profonde trasformazioni nel modo di intendere i
ruoli dei sessi all’interno della coppia. Sempre meno la costituzione della coppia coniugale è intesa come un
processo insieme funzionale e asimmetrico, in cui il benessere e la riuscita dell’uomo diventano l’interesse
della donna.
Nei matrimoni contemporanei l’obiettivo di ciascun componente della coppia e in particolare della donna e,
mantenere la dualità.
Il matrimonio contemporaneo viene definito come matrimonio conversazione, in cui i ruoli e le funzioni
all’interno della coppia coniugale sono continuamente costruiti e riscritti in modo da garantire a tutti e due i
membri la piena espressione e valorizzazione di sé.

Comunicare efficacemente

La continua contrattazione a cui la coppia è sottoposta nella risoluzione dei propri problemi richiede una
buona capacità nel saper comunicare.è facile comprendere come una comunicazione efficace rappresenti un
prerequisito per la soluzione di tutti i suoi compiti di sviluppo.
Le coppie soddisfatte del proprio rapporto hanno un livello di comunicazione notevolmente migliore rispetto
a quelle insoddisfatte. Per buona comunicazione si intende la capacità di inviare messaggi chiari e
comprensibili, ma anche quella di riuscire ad aprirsi all’altro manifestando i propri sentimenti e i propri
pensieri. La comunicazione permette la conoscenza reciproca e favorisce allo stesso tempo alcune qualità
caratteristiche del rapporto di coppia.

Gestire la conflittualità

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La coppia è normalmente una realtà conflittuale.due partner, per essere una buona coppia, devono
innanzitutto percepire la conflittualità come una realtà irrinunciabile della propria convivenza. Evitare la
conflittualità non è una buona strategia.
Ci sono persone cresciute in famiglie in cui vige il mito dell’unità e della concordia e quindi è tacitamente
condannato alzare la voce o esprimere il proprio pensiero contrario. Di fatto, alla lunga, questo
atteggiamento si mostra assai pericoloso perché lascia il risolti i problemi che vanno a formare una matassa
intricata di nodi irrisolti, di sentimenti e questioni non elaborate. Alla fine può andarsi a creare una situazione
emotivamente esplosiva e disorientante in cui due partner litigano ma senza avere più di tanto coscienza di
quale sia il vero oggetto del contendere.
Finiscono così per litigare in modo aperto e violento, anche per cose insignificanti.
Un altro impegno importante per la coppia è quello di saper affrontare un problema alla volta. La questione
centrale è saper affrontare i conflitti in modo costruttivo, perché possano trasformarsi in un’esperienza di
crescita per la coppia.
(Vedi pag. 125 esempio di risoluzione del conflitto)

Elaborare un progetto di coppia

Condividere uno stesso progetto permette alla coppia di definire la propria identità in senso generativo.
L’apertura ad un terzo, sia un figlio che un progetto più grosso, rafforza la coppia nella sua identità più
profonda a livello simbolico.

Compiti di sviluppo in riferimento alle famiglie di origine

La formazione della coppia coinvolge anche le famiglie di origine dei due coniugi in quanto la loro unione
comporta l’integrazione di due storie familiari. A partire dalle storie delle proprie famiglie, i coniugi devono
costruire una nuova storia, una terza via frutto dell’integrazione delle prime. Il compito è quello di fondere
due culture in una cultura.
Le modalità di affrontare questo compito sono almeno tre, una positiva e due negative: quella di continuare
la narrazione iniziata a partire dalle proprie famiglie e quelle di voler scrivere una storia totalmente nuova o
al contrario di riproporre quanto è già stato narrato.
La prima possibilità si pone in equilibrio rispetto alle altre due. Con questa modalità integrativa i due coniugi
dimostrano senso di appartenenza alle proprie radici familiari e anche i capacità di rielaborarle.
Il processo relativo all’appartenenza-differenziazione dall’identità delle famiglie di origine fallisce sia
quando la coppia non si riconosce in alcun modo in continuità con essi, sia quando al contrario, ripete
rigidamente il modello ricevuto senza apportare alcuna modifica.

Stabilire dei confini con le proprie famiglie di origine

È necessario attuare un nuovo tipo di legame con le famiglie di origine: la coppia è chiamata a regolare le
distanze dalle due famiglie di appartenenza e la stessa cosa deve essere fatta da ciascuno dei partner con la
propria famiglia in modo che si creino confini chiari e permeabili.
La nuova relazione comporta che tra i genitori, i figli e la coppia si realizzi un rapporto paritario di reciproco
rispetto e sostegno senza interferenze vicendevoli. Solo in questo modo questo legame intergenerazionale
potrà trasformarsi in una risorsa reciproca piuttosto che in un vincolo.
Al contrario si presentano come disfunzionali le soluzioni estreme: quella della coppia che recide nettamente
la relazione con le famiglie di origine e quella che al contrario permette loro di invadere il proprio spazio di
coppia.
Solamente chi ha realizzato un buon percorso di emancipazione dei propri genitori è in grado di aprirsi ad
una nuova relazione intima, pur continuando a mantenere con loro un solido legame.
Nella definizione dei confini la coppia deve anche essere in grado di costruire rapporti e qui con entrambe le
famiglie di origine. Oggi giorno la famiglia della donna tende ad essere preminente. La coppia invece
dovrebbe impegnarsi a garantire un equilibrio relazionale anche da questo punto di vista.
La disponibilità di ciascuno dei partner verso la nuova famiglia, oltre che rendere possibile il processo di
lealtà nei confronti delle due famiglie, favorisce il passaggio dalla posizione di figli a quella di coniugi e la
formazione dell’identità di coppia.

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Costruire un legame tra le famiglie d’origine

Le famiglie d’origine devono aprire il proprio campo relazionale per includere nuore e generi. La formazione
della coppia chiede alle famiglie d’origine di costruire tra di loro una qualche relazione, soprattutto in
funzione del sostegno alla nuova famiglia e per facilitare la stessa nell’instaurare un rapporto equilibrato sia
con la famiglia di lui sia con quella di lei.

Compiti di sviluppo in riferimento alla comunità sociale

Il fatto che la coppia viva all’interno di una comunità sociale fa sì che sia chiamata ad interagire con la
stessa. I due coniugi oltre che ad una rete relazionale parentale, appartengono ad una rete di rapporti formali
ed informali che svolgono un ruolo importante nei confronti di entrambi. È allora necessario che la nuova
dimensione di coppia possa essere partecipata e riconosciuta anche a livello della comunità sociale.
È necessaria da una parte la messa in comune da parte dei coniugi delle proprie relazioni, dall’altra occorre
che ognuno dei due sia in grado di difendere il proprio spazio da invasioni esterne.

Condividere tra i coniugi le reciproche reti sociali

Ogni coniuge ha realizzato nel tempo una propria rete di relazioni che riguardano le amicizie, le specifiche
attività, la dimensione lavorativa,… Al momento della formazione della coppia è importante che ogni
coniuge faccia partecipe l’altro del proprio mondo-relazione.
Allo stesso tempo però, oltre ad una rete amicale e sociale comune, è altrettanto opportuno che esista per
ciascun partner una propria rete amicale non condivisa più di tanto con l’altro. Ci riferiamo a quegli amici
assai prossimi, per esempio quelli di vecchia data.

Definire dei confini tra la coppia e la realtà sociale

Il rapporto con questi gruppi di persone aiuta la coppia ad aprirsi e a non implodere su se stessa.
L’importante è che queste relazioni alternative non divengano eccessive o troppo coinvolgenti, tanto da non
permettere più alla coppia di limitare il proprio spazio. Quando le amicizie, oppure il proprio lavoro
prendono troppo spazio, non permettono al partner di avere cura della propria intimità di coppia, mettendola
in crisi. Per questo è importante stabilire dei confini chiari, oltre che con le proprie famiglie d’origine, anche
con la realtà sociale.

Capitolo 6: La famiglia con figli piccoli

Il significato dell’avere figli lungo la storia

Per il senso comune la coppia coniugale non è ancora sufficiente a costituire una famiglia, questa infatti è
ritenuta tale solo quando ci sono dei figli. Lo scopo essenziale del matrimonio per la gente e perciò quello
procreativo.

I figli nella società tradizionale

Per molti secoli in ciascuna famiglia il numero dei figli da generare è stato regolato dall’alta mortalità sia dei
figli e delle madri. La mancanza di cure mediche adeguate ed igiene erano alcune tra le cause dell’elevata
mortalità infantile nei primi anni di vita e della mortalità femminile per parto.
Oltre il fatto che vi fosse un alto numero di nascite che poteva garantire la sopravvivenza, venivano procreati
tanti figli anche perché rappresentavano una risorsa come forza lavoro.
Nelle famiglie aristocratiche e possidenti, che al contrario, non avevano problemi economici, lo scopo di
generare figli era di costituire anelli di una catena generazionale che perpetuava un lignaggio. La loro
funzione era quella di permettere di realizzare vere proprie alleanze tra famiglie.

I figli nella società moderna

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È stato messo in evidenza che la famiglia moderna è considerata soprattutto una coppia genitoriale educante,
prima ancora che una coppia coniugale amorosa. Il sorgere dell’infanzia come categoria sociale distinta da
quella degli adulti, bisognosa di educazione, ha un ruolo non secondario nella nascita della famiglia
moderna.
I più piccoli vengono ad occupare il centro degli affetti della famiglia. Il numero dei figli diminuisce
progressivamente con l’aumentare della loro importanza affettiva. Questo processo riguarda inizialmente la
famiglia aristocratica, soprattutto quella borghese e successivamente va a coinvolgere anche i ceti inferiori.
Anche in questo caso, come nella famiglia tradizionale, i figli rappresentano una risorsa economica. Ma i
figli, per raggiungere tale scopo, hanno bisogno di vivere prima la loro infanzia e di essere formati. Perciò
diventano sempre più oggetto di interventi educativi.
A questo modello familiare si accompagna anche quella che i sociologi definiscono la prima rivoluzione
contraccettiva. Si tratta di una modalità di contenimento del numero delle nascite attraverso la diffusione di
forme di contraccezione naturale per garantire meno figli e maggiori cure a quelli presenti.

I figli nella società contemporanea

In questo modo l’era moderna apri la strada ad una procreazione responsabile che induce a contenere il
numero dei figli in modo da garantire loro maggiori opportunità.
I genitori di oggi sono sempre più consapevoli e responsabili rispetto all’investimento che un figlio comporta
in termini quantitativi e qualitativi.
Ma questa cultura, intorno agli anni 70, se ne affianca un’altra sorretta da altre motivazioni, che col passare
del tempo prenderà sempre più piede. Ci riferiamo alla cultura della procreazione come scelta. A differenza
del passato, la procreazione di un figlio diventa sempre più conseguenza di una scelta. La gravidanza ormai è
un evento gestito e controllato.
Il figlio, scelto, e di conseguenza spesso caricato di aspettative profonde da parte dei genitori che incidono
sulla loro identità personale. Inoltre, i genitori investono molto nei pochi figli che mettono al mondo.
Venuto meno il figlio come valore sociale però, la procreazione diviene una scelta sempre più personale,
affettiva e intimistica, che riguarda l’adulto.
Sotto il profilo culturale l’ambiente odierno non valorizza più la procreazione come luogo espressivo di
valori in sé, ma tratta sempre più la procreazione come un valore di mercato, in particolare come un valore di
consumo. Il legame con i figli viene indicato come l’unico su cui è bene investire in modo certo e
continuativo.

Un numero sempre più ridotto di figli

Accanto al modello della procreazione responsabile viene a stabilirsi quello della procreazione scelta. Questi
due modelli portano ad una drastica riduzione delle nascite.il modello di famiglia ideale passa così da due-
quattro figli ai due figli. Dagli anni 70 ha avvio la seconda rivoluzione contraccettiva. Lo sviluppo della
tecnologia porta a nuovi metodi chimici, come la pillola,… grazie a questi metodi la sessualità non deve
essere contenuta il più possibile, ma può essere liberamente esercitata venendo così a rappresentare per la
coppia anzitutto una forma espressiva.
Oltre l’utilizzo della contraccezione artificiale, i fenomeni che possono spiegare il calo della fecondità in
Italia sono altri, come il declino della mortalità infantile, il costo materiale e a livello di energie personali per
il mantenimento di un figlio, le precarie possibilità di inserimento sociale dei figli, oltre alle strategie
procreative legate ai singoli partner e alla coppia.
Attualmente il nostro paese ha raggiunto uno dei livelli più bassi di fecondità.
Il calo delle nascite nel nostro paese porta con sé problemi di non facile soluzione se non verranno attivate
tempestivamente politiche capaci di contrastare questo fenomeno.
La riduzione dei figli impoverisce uno dei compiti specifici della famiglia, quello di favorire lo scambio
intergenerazionale.
Nell’ambito della riduzione delle nascite, un altro fenomeno presente nel nostro paese è quello delle famiglie
con un figlio unico. È evidente come tutto ciò rappresenti una forma di povertà relazionale sia per i figli che
per i genitori.

Tipi di genitorialità

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La genitorialità differita

Questa forma ci permette di ribadire come il principio del desiderio, pur avendo una grande influenza nella
scelta del figlio, si integri con il senso di responsabilità nei confronti del nascituro. Oggi i giovani sposi sono
sempre più consapevoli che per crescere un figlio sono necessarie varie risorse a livello economico, ma
anche a livello di cure e disponibilità.
Un insieme di fattori porta le giovani coppie a spostare sempre più avanti l’età in cui avere il primo figlio. È
stato dimostrato con particolare evidenza come nella nostra cultura si tende a separare coniugalità da
genitorialità.

La genitorialità a tutti i costi

Una conseguenza dell’attuale sbilanciamento della nostra cultura sul principio del desiderio è che se i figli
devono venire solo quando sono desiderati, ogni figlio desiderato deve poi nascere. In tale logica la sterilità
risulta inaccettabile perché non consente l’attuazione del proprio desiderio.
Sono allora le nuove tecnologie riproduttive che hanno cercato di esaudire negli ultimi anni il desiderio delle
coppie sterili. L’espansione e l’incremento delle metodologie di procreazione assistita rappresenta un
notevole progresso tecnologico e scientifico, ma al contempo apre un campo di delicati interrogativi a
carattere sociale, psicologico, etico e giuridico.
Il caso più problematico è rappresentato dalle procedure eterologhe per la conseguente scissione tra
genitorialità biologica e quella sociale. La presenza di un terzo anonimo, il donatore, comporta problemi
tutt’altro che semplici.

La genitorialità interrotta

L’aborto come esso al pari della fecondazione assistita, rappresenta il tentativo di controllare la procreazione
seguendo il desiderio della coppia. L’interruzione volontaria della gravidanza è legata a situazioni con
problemi o conflitti a livello affettivo-relazionale, ma allo stesso tempo sono ancora consistenti le situazioni
in cui concorrono le carenze materiali e una condizione di vita precaria.
Dove non esiste un controllo delle relazioni sessuali, ad abortire sono in particolar modo le donne sposate
che hanno già uno o più figli.

La genitorialità negata

Nei confronti dei figli possono convivere posizioni opposte.proprio perché l’avere un figlio è conseguenza di
una scelta, è questa che può motivare una coppia stelle ad avere un figlio a tutti i costi. Tutti e due i casi
trovano la loro collocazione nell’attuale modello che vede nei figli una forma di realizzazione personale: nel
primo caso non averne vissuto dai partner come una forma di coartazione della propria espressione, nel
secondo invece avere dei figli è percepito come un limite alla propria libertà.
È difficile che la coppia faccia una scelta esplicita di non avere figli; il più delle volte diventa col tempo una
scelta di fatto, conseguente ad una serie di rinvii motivati. Questo accade soprattutto nelle coppie dove uno o
entrambi i partner sono concentrati su un progetto più importante.

La genitorialità adottiva

Oltre al legittimo desiderio del figlio è espressamente manifesta anche l’intenzione di presa in carico di un
bambino in quanto bene in sé. L’adozione sta assumendo anche in Italia la rilevanza di un fenomeno sociale
sempre più diffuso. Ad essa ricorrono le coppie sterili o quelle sposate in età matura.
Il progetto adottivo rispetto alle altre scelte genitoriali a una maggiore forza di coinvolgimento della
comunità sociale. Infatti, richiede di essere accolto non solo dalla coppia, ma anche dalla famiglia allargata,

Le grandi difficoltà sono relative alla grande fatica che la coppia deve fare per raggiungere l’idoneità
all’adozione.

Accogliere la nascita del primo figlio

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L’obiettivo principale che caratterizza la seconda fase del ciclo vitale della famiglia potrebbe essere
sintetizzato nel passaggio dalla diade coniugale alla triade familiare. La nascita del primo figlio rappresenta
un evento critico per la coppia, che implica la ridefinizione della sua identità in modo da integrare alla
componente coniugale anche quella genitoriale.
La nascita di un figlio porta un importante cambiamento nella coppia introducendo per sempre un ruolo e un
legame, quello genitoriale.
La nascita del figlio introduce un nuovo anello nella catena generazionale implica una rielaborazione dei
rapporti tra le generazioni: anche i genitori delle rispettive famiglie d’origine sono particolarmente coinvolti
in questa ridefinizione assumendo il ruolo di nonni.
ovviamente l’evento critico è rappresentato dalla nascita del primo figlio si ripete anche all’arrivo degli altri
fratelli, in quanto la famiglia è sempre chiamata a modificare le proprie dinamiche relazionali.

La relazione di coppia durante la gravidanza

Già l’attesa di un figlio ha la capacità di trasformare i suoi genitori e la loro relazione. La gravidanza cambia
la vita della coppia in modo che questa sia in grado di costruire uno spazio affettivo che accolga il bambino.
La capacità della coppia di accettare un figlio è conseguente alla sua maturazione.
La gravidanza introduce nella coppia la presenza di un terzo che induce modificazioni nello spazio di coppia,
nuovi equilibri affettivi tra i partner. I due coniugi devono far posto al bambino preparandogli uno spazio
fisico ed emotivo: tale processo implica una profonda ridefinizione della relazione coniugale.
Il bambino nel grembo riattualizzar le relazioni che i due hanno avuto con i propri genitori, attivando
sentimenti primitivi che richiamano aspettative, desideri e bisogni del proprio sé infantile.
Sì nella fase della formazione della coppia, in relazione alla scelta del partner, ciascuno dei coniugi è
chiamato a rivedere la propria rappresentazione interna del genitore dell’altro sesso, in questo caso, è la
relazione con il proprio genitore interno dello stesso sesso a divenire centrale e verso la quale operare una
scelta che si colloca all’interno di un continuum che ai suoi opposti la possibilità di ripetere e quella di
negare il modello proposto dal genitore.
Le trasformazioni corporee e il rapporto diretto con il bambino permettono alla donna una partecipazione
immediata all’evento. Per l’uomo invece, l’unica possibilità di inserirsi in tale relazione attraverso le
modificazioni relazionali e psicologiche del suo rapporto con la moglie. In questa situazione, la regressione
della donna pone l’uomo in una funzione quasi genitoriale nei confronti della moglie. Allo stesso tempo egli
deve far fronte a sentimenti poco piacevole ma inevitabili: come una certa esclusione dal rapporto con la
moglie, impegnata troppo col proprio bambino e ciò va a provocare gelosia verso il neonato.
Ma i risvolti psicologici della gravidanza non sono sempre positivi. In alcuni casi sentimenti di esclusione
vissuti dal padre, legati ad un suo agire impulsivo, possono portarlo a relazioni sessuali extraconiugali e
anche alla rottura del rapporto di coppia. In questi casi la gravidanza può rendere più rigide le modalità
comunicative disfunzionali della coppia precedenti al concepimento. Così la donna può reagire ai sentimenti
negativi del marito chiudendosi ancor di più nella sfera dell’unità madre-bambino.
In altri casi invece, la gravidanza può portare ad una fusione-confusione tra i partner. In queste situazioni la
gravidanza diventa uno stato assoluto di benessere che si rompe però al momento del parto. Il bambino sarà
rifiutato dai genitori per tutto ciò che sentiranno come diverso, persecutorio e cattivo.
Da tutto ciò si può capire che la nascita di un figlio necessita di una base sicura rappresentata dalla
precedente fase del ciclo vitale della famiglia, dalla formazione di un maturo e soddisfacente rapporto di
coppia. Una situazione particolarmente a rischio è quella delle coppie che si sposano perché in attesa di un
figlio, proprio perché saltano praticamente la fase della formazione della coppia, senza l’opportunità di
passare dal patto segreto a quello dichiarato.
Risulta comunque portante il fatto che la coppia oltre preparare uno spazio per il bambino non deve
dimenticare di preservare curare anche il proprio spazio coniugale.

La relazione con le famiglie d’origine durante la gravidanza

A livello tri generazionale i mesi che precedono il parto sono contraddistinti per entrambi i coniugi da un
clima di assoluta positività delle relazioni con le famiglie di origine.
L’evento della nascita, per sua natura positivo, riflette retroattivamente la sua bontà, bonificando in tal modo
il passato e la storia più o meno facile dei rapporti familiari. Tra le famiglie d’origine, nella fase della

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gravidanza, è la famiglia della madre ad avere un ruolo centrale nell’aiutare la coppia ad affrontare i compiti
organizzativi e di supporto emotivo.

Compiti di sviluppo in riferimento alla coppia

Ridefinire la relazione coniugale

L’arrivo in particolare del primo figlio rappresenta un evento critico per la coppia. La presenza del figlio
come terzo e le ingenti cure che questo richiede aprono ad un altro tipo di relazione, quella genitoriale,
riducendo lo spazio di coppia. Tutto ciò comporta che i coniugi ridefiniscono i propri ruoli e la propria
relazione in funzione del nuovo arrivo.
Allo stesso tempo però la nascita del figlio costituisce una risorsa sia per i singoli partner che per la coppia.
Dal punto di vista individuale, l’avere un figlio è considerato nella nostra società il fondamentale rito di
passaggio all’età adulta. Le coppie che si dimostrano più in grado di superare questo compito evolutivo sono
quelle che riescono a dividersi equamente l’impegno della cura del figlio.sono soprattutto le mogli rispetto ai
mariti a percepire l’impatto di questa transizione del ciclo vitale. Una situazione che può divenire ancora più
pesante quando queste sommano il loro ruolo di madri con quello di lavoratrici.l’arrivo del figlio comporta
infatti una notevole trasformazione del loro stile di vita.

Stabilire dei confini tra il sottosistema coniugale e genitoriale

Un altro compito evolutivo importante consiste nel creare confini chiari tra la relazione coniugale e quella
genitoriale. Ciò appare tutt’altro che semplice all’interno della nostra cultura in cui, da una parte, l’ideologia
dell’amore romantico prevede che i partner mantengano tra di loro un alto livello di sostegno e di intimità,
dall’altra, l’altrettanto elevato livello di investimento sui figli richiede molta attenzione e cura nei loro
confronti.
Tale difficoltà a stabilire dei confini tra i due sistemi è accentuato dal fatto che fino a pochi decenni fa la
coppia era quasi esclusivamente concentrata sulla funzione genitoriale.
È evidente che solo i genitori che vivono un buon rapporto di coppia garantiscono ai loro figli sia un clima
positivo che è un valido modello di coppia.
Al contrario, sei partner non sono capaci di realizzare tra di loro un’intesa e una distinzione del sottosistema
coniugale da quello genitoriale è facile che riproducano dei fenomeni di triangolazione in cui il figlio viene
coinvolto nei conflitti della coppia (vedi scheda cinque pagina 145).

Acquisire il ruolo di genitore

La Generatività che contraddistingue lo status adulto riguarda il prendersi cura, il rendersi solleciti e
premurosi verso qualcuno qualcosa.
I genitori devono fornire in eguale misura affetto e orientamento alla crescita, per non scadere
nell’iperprotettivita o viceversa nell’autoritarismo.
L’acquisizione del ruolo di genitore richiede al singolo partner la capacità di ridefinire la propria identità,
aggiungendo in essa anche questa nuova prospettiva e implica che la coppia sia in grado di realizzare un
modello educativo integrato. Occorre anche tenere in considerazione come tutto ciò sia influenzato dalle
caratteristiche del figlio.
L’assunzione di ruolo di genitore e per il singolo un momento di verifica del proprio percorso di maturazione
e individuazione: del suo essere stato figlio e del tipo di relazione che ha avuto con i propri genitori. Un
figlio che nel rapporto con i propri genitori a raggiunto una buona solidità personale e maggiormente
predisposto a presentare un valido riferimento per i propri figli. Vari studi, basati sulla teoria
dell’attaccamento, individuano una stretta correlazione tra le esperienze vissute dai genitori quando questi
erano piccoli e il legame che si instaurano a loro volta con i propri figli.
Il tipo di attaccamento avuto con i propri genitori porta l’individuo a costruire un modello operativo interno
che è una volta stabilizzato si va a influenzare il modo di essere genitore. Così una persona che avuto
un’esperienza infantile negativa, ma che poi avuto la possibilità di costruire relazioni positive, può stabilire
con il figlio un legame di attaccamento sicuro.

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L’acquisizione dell’identità genitoriale ma comunque rapportata anche con l’elaborazione della propria storia
familiare. È stato infatti riscontrato che la qualità dell’esperienza come genitore è legata come ciascun
partner riesce a fare una sintesi delle proprie vicende familiari.

Contrattare uno stile genitoriale comune

I due partner sono chiamati anche a contrattare insieme e lo stile genitoriale da seguire. Dal punto di vista
educativo infatti, risulta fortemente confusivo il comportamento di due genitori che forniscono al figlio
indicazioni richieste assai diverse tra di loro.
Alcuni autori individuano tre stili educativi: lo stile autorevole, lo stile autoritario e lo stile permissivo.
Con uno stile autoritario i genitori impongono regole punizioni ai propri figli. In questo clima educativo i
figli crescono insicuri e incapaci di scegliere da soli.
Con uno stile permissivo i genitori lasciano fare i figli quello che credono: non impartiscono regole né
punizioni e quando poi lo fanno queste non sono chiare e coerenti. In questo clima educativo i figli crescono
ugualmente insicuri e incapaci di scegliere ciò che è bene per loro.
Con uno stile autorevole i genitori motivano i figli il senso delle regole e sono disposti ad adattarle a seconda
delle situazioni, anche venendo incontro alle legittime esigenze dei figli. Stesso modo viene fatto per le
punizioni. In questo clima educativo i figli crescono più sicuri e autonomi, con un buon livello di stima di sé
e di competenza sociale.
Nella costruzione della genitoriali ta riveste comunque un ruolo importante anche il figlio; anche egli
partecipa alla definizione della relazione con i propri genitori.

Compiti di sviluppo in riferimento alle famiglie d’origine

La nascita del figlio richiede una riorganizzazione delle relazioni con le famiglie di origine, visto che anche i
nonni hanno un legame affettivo e acquistano un ruolo educativo rispetto al neonato.
A livello Inter generazionale l’arrivo del primo figlio avvicina la generazione dei neo genitori a quella dei
nonni sulla base della condivisione dello stesso ruolo di genitore. L’avvenimento facilita l’instaurarsi di un
rapporto di reciprocità, di maggiore vicinanza. Diversi studi confermano come il rapporto con le famiglie
d’origine migliori con la nascita dei figli.
Al contrario però sono le coppie che non hanno figli che sembrano incontrare maggiori difficoltà quando ci
sono cambiamenti di una qualche importanza nelle varie relazioni. Indice che il distacco dal nucleo d’origine
non si è ancora del tutto realizzato.

Distinguere il ruolo dei genitori e dei nonni

L’avvicinamento alle famiglie d’origine quando vi è la nascita di un figlio è una situazione di necessità, che
però deve essere ben gestita perché i neo genitori non tornino ad essere dipendenti dei propri genitori. È
necessario che i neo genitori e i nonni ridefiniscono con chiarezza i propri confini. Il compito dei nonni è
quello di sostenere i propri figli nel loro nuovo impegno condividendo spazi di vita con i nipoti, senza
sostituirsi ai figli nel loro ruolo genitoriale. Al contempo però anche i genitori non devono tirare troppo
dentro i nonni nella cura dei nipoti.

Riconoscere il reciproco ruolo di genitore di Nonno

La posizione più proficua dei nonni è quella di un sostegno a distanza nell’aiutare i propri figli
nell’assunzione del ruolo genitoriale. Per questo è anche importante che i nonni riconoscano i propri figli
come genitori capaci e che i figli riconoscano i propri genitori nella loro funzione di nonni.
Nell’attuale cultura l’anello più delicato è rappresentato dal legame madre-figlia adulta. È più probabile che
la neo mamma che dà sostegno alla madre nella gestione del proprio bambino. Questa infatti è percepita
dalla figlia come un’ombra confortante in tutte le sue nuove responsabilità familiari di moglie e di madre.

Compiti di sviluppo in riferimento alla comunità sociale

In questa fase di sviluppo i neo-genitori devono essere in grado di regolare il contatto della famiglia con il
mondo esterno. La nascita del figlio comporta un periodo di restrizione della rete sociale della coppia. Specie
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nei mesi vicini al parto viene meno l’impegno lavorativo della madre e diminuiscono i contatti con gli amici
e il mondo esterno in genere.
Al momento della gravidanza infatti, la coppia è circondata oltre che ad amici e parenti, anche da medici e
operatori sanitari. Anche la nascita del figlio, i suoi primi mesi di vita, sono ricchi di contatti sociali. Basti
pensare alle visite post nascita.oltre i nonni risulta essere importante la presenza di una ristretta cerchia di
amici e la loro presenza risulta particolarmente importante per le famiglie mono genitoriali.
Nelle coppie in cui entrambi i coniugi sono occupati full time risulta molto elevato il supporto offerto da
entrambe le reti in un concorso congiunto delle risorse relazionali nel supportare la giovane coppia.
Le coppie monoreddito si caratterizzano invece per avere una situazione relazionale meno sostenuta: la
permanenza a casa della giovane moglie è probabilmente sufficiente per non richiedere al circuito relazionale
primario di dispiegare al massimo le proprie energie ma al contempo affiora una condizione di relativo
isolamento da parte della coppia.
Le coppie in cui la moglie è impegnata in una occupazione part-time possono contare su una rete a intensa
presenza amicale.

Le relazioni nella famiglia con bambini

Con l’arrivo di più figli la famiglia viene ad arricchirsi di un ulteriore sotto sistema che è quello dei fratelli.
Si avranno così vari tipi di relazione che caratterizzano i sottosistemi di una famiglia con bambini, sia di tipo
simmetrico, sia di tipo asimmetrico.
il compito dei genitori con più bambini è quello di accompagnare la loro crescita in un periodo di intense
trasformazioni e di educarli perché possono progressivamente individuarsi raggiungendo livelli sempre
maggiori di autonomia, imparando a cavarsela da soli.
Anche se alcuni autori sottolineano la presenza di una nuova figura paterna, di fatto è ancora la madre ad
assumere in gran parte la responsabilità della cura e dell’educazione dei figli. Anche se qualcosa è cambiato
rispetto alla famiglia tradizionale, la nascita rimane di fatto il maggior onere ancora alla madre. Comunque
alcuni mariti sono più disposti a collaborar e alle attività di cura, specie quando i figli sono piccoli.
Alcune trasformazioni in tal senso sono state favorite anche da nuove pratiche e leggi: ad esempio
l’incoraggiamento a partecipare alla preparazione al parto e poi al parto stesso e la possibilità di prendere
congedi di paternità.
Apri scindere però lo scarto di disponibilità tra madri e padri a conferme non solo a livello quantitativo, ma
anche qualitativo. Il tempo che le prime passano con i propri figli è molto di più rispetto a quello dei padri.
Da un punto di vista qualitativo i padri prediligono di più lo stare insieme con i figli facendo qualcosa
insieme. L’interazione con la madre è invece legata a giochi tranquilli e soprattutto a problemi di scuola o
attività di tempo libero.

La relazione della coppia genitoriale e quella con i figli

La stabilità emotiva all’interno della coppia favorisce anche il sottosistema genitore-figlio e di conseguenza,
anche la competenza dei figli nelle relazioni sociali. Altri studi mettono in evidenza come siano i padri ad
essere maggiormente dipendenti dalla qualità della relazione di coppia, rispetto al rapporto che hanno col
figlio. Tutto ciò è spiegabile attraverso il fatto che i padri hanno minori possibilità di accedere alle
informazioni che riguardano il figlio.

La relazione tra fratelli

La relazione tra fratelli costituisce il primo laboratorio sociale in cui i figli possono cimentarsi nelle loro
relazioni tra coetanei. In questo mondo di coetanei i figli imparano a negoziare, a cooperare e a competere.
L’importanza della relazione tra i fratelli è evidente anche constatando semplicemente come questi passino
tra di loro molto più tempo di quello trascorso con i propri genitori.
Vi sono diversi fattori che determinano le funzioni che ogni fratello assume nella famiglia.
L’ordine di nascita è importante perché nella maggior parte delle famiglie un solo soggetto può occupare un
certo spazio psicologico. Il primo figlio ad esempio acquisisce come un diritto di prelazione su una
determinata posizione funzionale, mentre gli altri figli dovranno diventare qualcos’altro. Anche i genitori
influenzano le posizioni funzionali dei figli. Un’assegnazione funzionale positiva può essere rinforzata dei

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genitori per anni, fino a diventare un’identità positiva soddisfacente. Al contrario, un’assegnazione
funzionale negativa può essere di peso per lo sviluppo di un figlio e lo può condizionare pesantemente.
L’intensità del legame emozionale che esiste tra i fratelli è legato al livello di accesso ad eventi comuni, ossia
all’aver vissuto alcune esperienze comuni. A questo proposito è evidente come tutto ciò possa essere favorito
nel caso in cui si tratta di fratelli o sorelle vicini negli anni. Per questo i fratelli con un più alto livello di
accesso sono i gemelli.
Alcune ricerche sostengono che i fratelli maggiori, anche se non esplicitamente sollecitati, tendono ad
assumere volontariamente un ruolo di accudimento verso i confronti dei fratelli più piccoli. Ci troviamo in
casi che si pongono di fronte a una configurazione relazionale speciale, contraddistinta dalla presenza di un
parental child.
L’attribuzione del potere genitoriale a un figlio costituisce una soluzione naturale in famiglie numerose e il
sistema può funzionare bene.
La configurazione relazionale caratterizzata dal ruolo genitoriale di un figlio diviene disfunzionale quando la
delega dell’autorità non è esplicita o quando questa situazione si stabilizza e permane oltre il tempo
necessario. Tutto ciò porta il figlio adultizzato a non avere la possibilità di fare quello che fanno
normalmente i suoi coetanei e di crescere insieme a loro.

La socializzazione del bambino

La famiglia è il primo mondo sociale del bambino. E sentendosi sostenuto dalla famiglia che egli è in grado
di interagire con il mondo esterno rappresentato anzitutto dalla scuola e dai coetanei.
Le attuali teorie evolutive evidenziano come fin dalla nascita il bambino sia dotato di capacità sociali, di
interagire e modificare il comportamento delle persone con le quali è in relazione.
Già con le sue prime formulazioni, Bowlby, pone in evidenza come il bambino sia biologicamente
predisposto ad interagire con l’ambiente sociale. La sua tendenza all’attaccamento rappresenterebbe una
forma di difesa che permette al neonato di sopravvivere, procurandosi e mantenendo la vicinanza fisica di un
adulto.
Inoltre, secondo la teoria dello scaffolding , Il bambino dialogando con l’adulto impara a comunicare in
modo sempre più adeguato. Anche nello scaffolding madre bambino costituiscono una realtà condivisa. Nel
tentativo di interpretare i segnali mandati dal piccolo, la madre nei primi mesi di vita offre un’impalcatura
che rappresenta la sua spiegazione.
In tutte e due le teorie appena viste il bambino si dimostra capace di autoregolare i suoi comportamenti
grazie ai feedback che riceve nell’interazione con il proprio contesto sociale. In questo modo, il bambino non
impara solo a comunicare, ma anche ad acquisire un sempre maggior senso di sicurezza e di fiducia in sé.
Più i familiari riconoscono al bambino la capacità di comunicare e di affrontare le situazioni, più lo
aiuteranno ad affinare queste sue potenzialità e a sentirsi parte attiva della famiglia.
La famiglia assume un ruolo essenziale nei processi di socializzazione primaria. Mentre interagisce con
quella parte di comunità più prossima all’esperienza del bambino, gli permette di conoscere e interiorizzare
le regole e le principali rappresentazioni che guidano i processi di interazione con gli altri.
Inoltre una buona socializzazione primaria è alla base di un’efficace socializzazione secondaria, cioè quando
l’individuo sarà chiamato a confrontarsi in modo autonomo con istituzioni diverse dalla famiglia.

Il mondo della scuola

La scuola dell’infanzia la scuola primaria sono luoghi preziosi per l’evoluzione della competenza sociale nei
bambini. Queste esperienze infatti facilitano l’incontro con adulti che sono fuori dalla sfera familiare. La
scuola può essere così vista come ponte o spazio intermedio tra la famiglia e la società: qui ancora può
sperimentare quel senso di protezione offertoli dalla famiglia e allo stesso tempo avere una maggiore
indipendenza.
Un incontro positivo tra il bambino e i suoi insegnanti rappresenta una componente importante per motivare
l’alunno riguardo allo studio e al piacere di andare a scuola. Viceversa un rapporto conflittuale, può chiudere
l’allievo all’interno di un circolo vizioso, nel quale i pregiudizi negativi espressi dall’insegnante non
stimolano il desiderio di apprendimento.
Il compito della famiglia è quello di collaborar e con la scuola e viceversa affinché tra i due sistemi si
stabilisca un’interazione positiva a beneficio del bambino. Purtroppo le cose non vanno sempre così e

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talvolta nel triangolo studente-genitori-insegnanti, viene a stabilirsi una coalizione tra i due vertici a sfavore
del terzo.
(Riflessioni tesi viste e riviste)

Le relazioni con i pari

Per relazioni con i pari si intendono svariate forme di rapporto: compagni di scuola, amichetti scelti, amici
trovati per caso,… Queste relazioni sono estremamente importanti per il bambino perché gli permettono di
acquisire la capacità di interagire con l’ambiente, contrattando e sentendosi riconosciuto e accettato dagli
altri.
È stato evidenziato come i bambini popolari sono quelli estroversi, socievoli e non aggressivi, mentre quelli
rifiutati sono quelli che non sanno interagire adeguatamente con gli altri, dimostrandosi molte volte asociali e
aggressivi; quelli ignorati invece sono timidi e insicuri.
Un fenomeno presente tra i bambini e che preoccupa il mondo degli adulti è quello del bullismo. Ci si
riferisce a quella situazione in cui un individuo, il bullo, si comporta in modo prepotente, mettendo in atto
violenze fisiche e verbali contro il suo compagno che non riesce a ribellarsi.
Non è detto che il bullo sia associato ad un profilo psicopatologico. Anche un bambino senza alcuna
problematica psicopatologica può assumere comportamenti da bullo con un’alta frequenza. Un ruolo
determinante e significativo viene giocato dai membri del gruppo: i sostenitori del bullo, quelli della vittima
e coloro che si pongono come osservatori passivi.
Il fenomeno delle prepotenze trova delle sue concause anche nelle relazioni familiari: Quando c’è un
atteggiamento emotivo negativo dei genitori, in particolare della madre, la quale non consegna calore e
affetto al bambino. Oppure quando lo stile educativo permissivo e tollerante non pone limiti al
comportamento aggressivo del bambino verso i coetanei.
Purtroppo le ricerche confermano che i bambini vittimizzarti sviluppano col crescere diverse problematiche
relazionali.
Un’altra dimensione che preoccupa in particolare i genitori è quella del ritiro sociale, con cui il bambino
esprime sia il suo sentirsi rifiutato, sia il suo senso di solitudine. Tutto ciò è riconoscibile per un maggior
interesse da parte del bambino verso gli oggetti, piuttosto che le persone oppure stare da soli piuttosto che
con i compagni.
Risulta quindi fondamentale come la famiglia abbia un ruolo importante di sostegno e di contenimento
rispetto alle esperienze relazionali che il bambino vive all’esterno con i propri pari.

Capitolo 10: La famiglia divisa

Il fenomeno dell’instabilità coniugale

Come già affermato, oltre la diminuzione dei matrimonio, a partire dagli anni 70 si assiste ad un aumento
delle separazioni dei divorzi.
La percentuale delle separazioni che si trasformano in divorzi è pari a circa il 60%. Evidentemente nei tre
anni di separazione legale previsti dalla legge, prima di passare all’effettivo scioglimento del matrimonio, i
coniugi si adattano al nuovo stile di vita e se non hanno particolari esigenze, rinunciano alla possibilità del
divorzio anche per il costo psicologico ed economico che questo ulteriore passaggio comporta. In questo
senso possiamo dire che è la separazione in Italia a rappresentare l’evento che corrisponde alla fine di un
matrimonio.
È stato evidenziato come ci si separa di più nel settentrione piuttosto che nel meridione. A riguardo del titolo
di studio e del tipo di professione, sono soprattutto i coniugi che hanno livelli di istruzione e di occupazioni
superiori a dividersi. I figli minori implicati nella separazione dei genitori sono molti. (Scheda 10 —> pag.
231)

Il processo psicologico del divorzio

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La separazione e il divorzio non sono eventi che si realizzano in tempi brevi. Essi comportano un vero e
proprio percorso, una successione di fasi, che permetta alle persone implicate di elaborare interiormente
quanto accaduto, di ristrutturare le proprie relazioni e di raggiungere a una nuova organizzazione familiare.
Vi sono tre modelli che descrivono come si articola tale processo.

1) il modello di Bohannan

L’autore vede il divorzio come un processo multidimensionale che attraversa sei dimensioni: emozionale,
legale, economica, genitoriale, comunitaria e psichica.
Il divorzio emotivo fa riferimento a quella particolare situazione di deterioramento del rapporto di coppia.
Ciò avviene quando il matrimonio non soddisfa i bisogni dei partner e questi finiscono per accusarsi a
vicenda. Questa fase viene definita anche come fase del ping-pong vista la continua oscillazione dei coniugi
tra momenti di avvicinamento reciproco e momenti di aggressività.
Il divorzio legale riguarda l’ufficializzazione della decisione. I due coniugi ricorrono ad un giudice per
regolamentare le questioni legate alla divisione del patrimonio e l’affido dei figli.
Il divorzio economico riguarda la discussione delle due parti sulla divisione dei beni e sull’ammontare
dell’assegno familiare per il coniuge con meno disponibilità e per i figli.
Il divorzio genitoriale riguarda l’assunzione di responsabilità nei confronti dei figli. Il divorzio mette fine al
matrimonio, ma non alla Jenny Tura. In questo senso il divorzio porta a una necessaria rinegoziazione delle
relazioni, in cui si deve scegliere un responsabile maggiore verso i figli.
Il divorzio dalla comunità riguarda il mutamento delle relazioni sociali conseguenti alla separazione. Il
divorzio comporta in questo caso un forte senso di solitudine che sarà più o meno attenuato a seconda di
quanto l’individuo è capace di costruire nuove relazioni. Il divorzio comunitario comporta l’indebolimento la
perdita di alcuni rapporti significativi. Si pensi per esempio a chi a causa della separazione è costretto ad
andare a vivere in un nuovo quartiere ognuna nuova città. Quando poi si torna a casa dai propri genitori il
pericolo è che il figlio non sia capace di mantenere la propria indipendenza emotiva e il proprio status di
genitore.
Il divorzio psichico corrisponde alla separazione di se stessi dalla personalità e dall’influenza dell’ex
coniuge. L’individuo deve imparare a vivere senza una persona accanto, per divenire di nuovo emotivamente
indipendente. Per i divorziati si tratta anche di imparare a fare alcune cose pratiche che prima svolgeva
l’altro. Quando il divorzio psichico non viene portato a termine i due rimarranno emotivamente legati nel
tempo, ma in modo disfunzionale come accade nel caso di un legame conflittuale vissuto in una continua
tensione.
Per l’autore il processo di separazione giunge positivamente alla fine se i due partner hanno accettato la
divisione e se hanno preso coscienza sia delle cause che ne sono alla base di quanto hanno contribuito
personalmente al fallimento della loro unione.

2) Il modello di Kaslow

L’autore mette in relazione le emozioni provate e i comportamenti utilizzati dai partner nelle differenti fasi
del processo separati Ivo. L’autrice prevede tre passaggi per il superamento della separazione coniugale: la
fase dell’alienazione precedente alla separazione, la fase conflittuale durante la separazione e la fase
riequilibratrice successivamente alla separazione.
La fase dell’alienazione coincide con la decisione dei coniugi di separarsi, una volta deciso. Per poter
arrivare a compiere questa scelta, è necessario che si sviluppi tra i coniugi un senso di estraneità da ciò che
precedentemente veniva percepito come appartenente all’esperienza del proprio sé. I due coniugi si
allontanano sempre di più l’uno dall’altro.
Da un punto di vista psicologico, la difficoltà per chi subisce la decisione della separazione, è molto simile al
lutto causato dalla morte di una persona cara. A volte, specie quando i figli sono grandi, si sono resi
testimone partecipe della crisi della coppia, sono loro stessi a consigliare ai genitori di separarsi, i quali
invece cercavano di risolvere i conflitti.
In questa fase del processo di separazione e il conflitto tra i coniugi verte soprattutto su chi tra i due sia il
responsabile del fallimento della coppia. Ognuno scarica sull’altro ogni coppia. Allo stesso tempo, i coniugi
tendono a consigliarsi con parenti e amici su ciò che devono fare.
La fase conflittuale o legale nasce dall’esigenza di riorganizzare in modo concreto la propria vita. In questa
fase la controversia viene spostata sul piano del diritto, per risolvere le questioni implicate nella divisione.
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A livello emotivo questa fase è accompagnata da sentimenti che non favoriscono i partner nelle scelte che
devono prendere a proposito della riorganizzazione della propria vita. In questo momento infatti, prevale il
senso di perdita e la certezza che molti punti di riferimento verranno a mancare dopo la separazione. Così
alla depressione può seguire l’aggressività, alla disperazione e la rabbia e la confusione.
Nella fase riequilibratrice si realizza la riorganizzazione sia individuale che delle relazioni familiari. Quanto
più positivamente sono state superate le precedenti due fasi tanto più i membri della famiglia saranno in
grado di sperimentarsi con fiducia in nuove possibilità. A questo punto la prospettiva temporale è rivolta
verso il futuro e non più al passato, verso ciò che di nuovo si può ottenere.
L’esito migliore di questa fase, corrispondente al divorzio psichico, e quando ciascun partner riacquista la
capacità di progettazione di sé. È questo un tempo molto creativo in cui i coniugi si aprono nuovi rapporti
sociali e di amicizia, individuano nuovi interessi da coltivare, ottengono maggior successo a livello
lavorativo,…

3) Il modello di Emery

L’autore sottolinea la dimensione della perdita legata al divorzio. Quando contro la propria volontà finisce il
matrimonio, l’individuo vive una vera e propria situazione di lutto. Divorziare significa perdere il proprio
compagno o la propria compagna. Studiando il vissuto emotivo legato a questo avvenimento lo psicologo
americano ha sviluppato un modello ciclico del lutto che passa attraverso le seguenti emozioni: amore,
collera e tristezza.
L’amore, nella situazione specifica della separazione, include anche quel senso di nostalgia che può assalire
l’individuo per essersi diviso da una persona cara e per l’inconscio a speranza di tornarci insieme.
Alla collera invece è collegabile la frustrazione e il risentimento, ma anche stati emotivi ben più forti, come
lira e una rabbia furibonda per la separazione.
La tristezza rappresenta una costellazione di sentimenti come il senso di solitudine, la depressione e la
disperazione.affinché il lutto possa avere il suo corso occorre che i coniugi abbiano la possibilità di
sperimentare per un tempo adeguato tutte e tre le emozioni appena descritte.
Difatti ciò non accade sempre, può succedere che molte persone, almeno apparentemente, rimangono fissate
su una sola di queste emozioni. Pertanto occorre aiutare i coniugi a vivere a livello cosciente anche le altre
emozioni dato che, anche se non vengono manifestate, sono presenti ad un livello più profondo.

Compiti di sviluppo della famiglia divisa

Il primo impegno che in questo momento di crisi spetta alla coppia è quello di ristrutturare il proprio legame
in modo da continuare ad essere buoni genitori. La separazione e il divorzio infatti pongono fine alla
relazione coniugale, ma non al compito genitoriale, che congiuntamente i due partner hanno nei riguardi dei
propri figli.
Per il bene dei figli è necessario che gli ex coniugi sappiano mantenere il proprio legame in modo maturo e
costruttivo. Per questo devono essere in grado di proteggere e valorizzare tutte le parti buone del legame,
costruiti insieme, nonostante il fallimento. Tutto ciò comporta un lavoro non indifferente, a livello
psicologico, di ricostruzione e revisione delle vicende del rapporto di coppia. Si tratta di un percorso assai
complesso.
Non perdere ciò che resta dell’essere stati famiglia è una prospettiva pedagogica che, nonostante il dolore
della frattura, salvaguarda per i figli il diritto ad un atteggiamento educativo responsabile e duraturo da parte
dei genitori. È necessario che i tuoi genitori non perpetuino il loro conflitto, ad esempio, parlando male l’uno
dell’altro al proprio figlio. Oltre al preservare qualcosa di buono dal legame coniugale è necessario che i due
ex coniugi mantengono una certa stima e comprensione dell’altro in quanto genitore: in altre parole che
ognuno legittimi l’altro nel suo ruolo genitoriale.
Sono stati individuati tre tipi di stili co-genitoriali possibili dopo il divorzio: cooperativo, disimpegnato e
ostile. Lo stile cooperativo riguarda quei genitori che parlano quotidianamente l’uno dell’altro con il figlio,
non si squalificano reciprocamente e si coordinano nei ruoli.
Lo stile disimpegnato riguarda i genitori che non comunicano tra di loro, pur mantenendo il proprio legame
con il figlio.
Lo stile ostile riguarda invece quei genitori che mantengono i contatti tra di loro, ma in modo ostile e
conflittuale.
È stato evidenziato come, con il passare del tempo lo stile disimpegnato, tende a divenire quello più comune.
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Ridefinire il rapporto con le famiglie d’origine e la comunità sociale

La separazione dal coniuge porta i partner a superare i delicati compiti di sviluppo anche in relazione ai
propri genitori anziani. Il primo compito è quello di ridefinire le distanze tra sé e la propria famiglia
d’origine. Spesso infatti la separazione coincide con ritorno del figlio o della figlia a casa dei propri genitori.
Numerose ricerche hanno evidenziato come le famiglie d’origine sono tutt’altro che tenute in disparte
durante il processo di separazione.
Sono soprattutto le madri separate a cercare l’appoggio della propria famiglia d’origine.
A livello dello scambio della famiglia divisa con la comunità sociale non bisogna sottovalutare l’importante
sostegno garantito dagli amici, non solo per i genitori, ma anche per i loro figli.gli amici sono di aiuto in tutte
le difficoltà che la transizione del divorzio comporta.
La scuola e le varie forme di aggregazione giovanile possono aiutare i figli a superare l’esperienza dolorosa
della marginalità e dell’assenza di un genitore, possono favorire l’incontro con figure educative di
riferimento che sopperiscano in parte alle carenze verificatesi dentro la famiglia.

Le conseguenze della separazione sui figli

La separazione dei genitori rappresenta un evento particolarmente stressante anche per i figli. La situazione
per i figli più difficile è data dall’alta conflittualità che spesso accompagna la separazione dei genitori.
Di fatto la separazione pone i figli di fronte al compito di raggiungere un nuovo adattamento nei confronti di
una famiglia profondamente mutata, sia per quanto riguarda i confini, sia per la composizione dei ruoli.
Le ricerche tendono a confermare che la maggior parte dei figli di genitori divisi sono dotati di una buona
capacità di resilienza, ossia di mantenersi integri anche sotto stress, di conservare un buon equilibrio
personale nonostante la presenza di avversità e condizioni di rischio.
Non è appunto detto che gli effetti della separazione sui figli siano negativi.infatti riescono a sviluppare più
precocemente dei coetanei un senso di responsabilità e maturità. Allo stesso tempo però è evidente che per
loro comporti una notevole sofferenza emotiva.

Fattori di rischio e fattori protettivi

Nel valutare i fattori di rischio sono state individuate alcune condizioni che possono portare i figli a mostrare
dei problemi rispetto ai loro coetanei con genitori non separati.tra queste le più importanti sono la perdita di
un genitore, la conflittualità tra i genitori e la diminuita cura dei genitori.
Quando uno dei due genitori lascia la casa, il bambino non può che vivere questo evento come qualcosa di
sconvolgente.una fantasia frequente nei bambini è la paura di essere abbandonati da uno dei due genitori.
Nella fase successiva, l’adattamento dei figli alla separazione dipende dal livello di conflitto che permane tra
i genitori e da quando i figli ne verranno coinvolti. La separazione pone infatti i figli di fronte a un dilemma
triangolare, quello del conflitto della lealtà. Il pericolo però può essere nella pretesa di alcuni genitori che il
figlio si alleino con uno dei due contro l’altro.
Spesso, nelle famiglie separate, la coalizione è di tipo madre-figlio e l’antagonista è il padre. Tuttavia il
pericolo fa riferimento a modelli educativi rigidi che possono portare il figlio a manifestare il suo disagio
attraverso condotte devianti o disfunzionali.
In vari casi, dopo la separazione, i genitori tendono ad avere meno cura dei propri figli. A riguardo dei fattori
protettivi, gli studi hanno messo in evidenza l’influenza che le variabili relazionali possono avere in senso
positivo su questo fenomeno, in particolare la relazione che il figlio ha con i genitori, il ruolo dei fratelli,
quello delle famiglie d’origine, del nuovo partner, degli amici e insegnanti.
Quando entrambi i genitori sono capaci di offrire i figli un rapporto stabile e affidabile, questi hanno la
possibilità di sapersi adattare alla nuova situazione e di crescere bene.
I fratelli possono svolgere un ruolo protettivo è importante in questa situazione, perché gli UNI per gli altri
rappresentano degli alleati con i quali condividere le proprie ansie legate alla separazione dei propri genitori.
La vicinanza dei nonni è utile ai nipoti per sentirsi parte della storia familiare e allo stesso tempo, un buon
rapporto con il nuovo partner di una delle due figure genitoriali, può permettere al bambino di trovare in lui
un valido punto di riferimento nella quotidianità.

Gli effetti della separazione a seconda dell’età dei figli


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La separazione o il divorzio avrà una risonanza diversa anche in rapporto alla fase di sviluppo in cui si trova
il figlio e agli specifici compiti che questa comporta. Nella prima infanzia, fino ai tre anni, il bambino non è
ancora in grado di comprendere le conseguenze della separazione dei suoi genitori, ma è assai sensibile a
quella mancanza di cure date da entrambe le figure.
Quando invece il bambino è più grandicello soffre per la mancanza del padre, in particolar modo se è un
maschio. Dai due ai tre anni il bambino si trova a sperimentare la propria autonomia e in questo periodo
l’unico modo per manifestare angoscia e disorientamento avviene attraverso manifestazioni somatiche. In
alcuni bambini di questa età la separazione dei genitori comporta l’arresto del loro sviluppo sia sul piano
motorio, sia su quello del linguaggio.
Nella seconda infanzia, dai quattro ai sei anni, il bambino percepisce che qualcosa di grave sta accadendo ma
non riesce a capirne il contenuto e a comprendere le conseguenze. Tende poi a colpevolizzarsi rispetto
all’accaduto fino a crearsi anche una cattiva immagine di sé. La situazione genera nel piccolo un’angoscia di
fronte alla quale si sente solo ed incapace di porre domande.
Nella fanciullezza, fino ai 10 anni, il bambino che si apre sempre di più al mondo esterno e la separazione
dei genitori può incidere in modo particolarmente negativo se il bambino non trova delle persone con le quali
identificarsi. A questa età il bambino possiede le capacità intellettive che gli permettono di comprendere
meglio quanto sta succedendo. Tutta la sofferenza repressa e messa da parte potrebbe esplodere più tardi
attraverso malattie somatiche o attraverso patologie come anoressia e turbe di personalità e depressione.
Nell’adolescenza, dagli 11 ai diciott’anni, in caso di separazione l’individuo è chiamato ad affrontare una
doppia separazione, quella propria dell’età evolutiva e quella causata dalla separazione dei suoi genitori. In
questo caso, può capitare che la normale necessità di autodeterminarsi, porti l’adolescente a comportamenti o
positivi e talvolta anche dimostrativi. I genitori attribuiscono le sue condotte alla disgregazione coniugale di
cui sarebbe vittima, ad alleanze perverse con l’altro genitore oppure a sabotaggi.

L’affido dei figli ai genitori

Con la legge del 2006, la nostra legge È passata ad una nuova regolamentazione dell’affido dei figli minori,
attribuendo l’affidamento dei figli ad entrambi i genitori (affido condiviso).
Fino al 1987 l’affido dei figli era solitamente disposto a favore di uno solo dei due genitori (affido
esclusivo). Tale scelta fu comunque giudicata negativa perché privava il minore di tutti quegli aspetti
educativi e formativi connessi alla presenza di entrambe le figure genitoriali.
Successivamente al 1987, era stato istituito un articolo che dava la possibilità dell’affido congiunto o
dell’affido alternato.
La preferenza per l’affidamento esclusivo è dovuta però anche al fatto che si pensa che l’affido congiunto o
alternato richiedano agli ex coniugi una grande capacità di intesa per l’impegno organizzativo che gli altri
due tipi di affidamento comportano. Non a caso essi risultano applicati soprattutto nelle separazioni o nei
divorzi consensuali.

L’affido esclusivo, congiunto e alternato

È stato evidenziato come l’applicazione dell’affido esclusivo, molto spesso alla madre, comporta pericolosi
disequilibri all’interno della famiglia. In questa situazione infatti, le madri devono rivestire anche le
caratteristiche della figura paterna. Per i figli maschi, in particolare, la mancanza del padre può tradursi in un
atteggiamento aggressivo verso la madre, con il rifiuto della sua autorità.
I padri incontrano i figli solo nel fine settimane e di conseguenza cercano di colmare la distanza da loro
trascorrendo insieme il tempo nel migliore modo possibile.
L’affido esclusivo tende a rendere più profondo il solco di divisione tra gli ex coniugi favorendo anche la
semplificazione per la quale uno dei genitori è il vincitore, quello che ottiene l’affido.
Ma affidamento a un solo genitore non risponde nemmeno al desiderio dei figli di crescere alla presenza di
entrambi i genitori nonostante siano divisi tra di loro. È stato evidenziato come i figli abbiano bisogno di
avere un riferimento educativo paterno per crescere bene.
A tali constatazioni si è cercato di rispondere con l’affido congiunto e quello alternato. Nel 2006 viene
emanato un nuovo testo legislativo sull’affido condiviso che rappresenta una vera e propria rivoluzione. La
particolarità consiste nel fatto che esso prevede come ipotesi normale l’affido dei figli ad entrambi i genitori.

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L’aspetto peculiare della nuova normativa sta nel concetto di bigenitorialità che sancisce il diritto dei figli a
continuare ad avere gli stessi rapporti con le due figure e a conservare rapporti significativi con i parenti di
ciascun ramo genitoriale.
Nell’affido condiviso ognuno dei genitori dovrà ritagliarsi il proprio ruolo all’interno di un progetto
educativo per i figli, concordato insieme al giudice. Qualora l’accordo non fosse possibile, sarà il giudice a
definire sia i tempi che i modi.
La potestà viene esercitata da entrambi genitori che mantengono così la piena responsabilità nei confronti dei
figli mi prendono in modo congiunto le decisioni più importanti per loro. Per le questioni di ordinaria
amministrazione i genitori possono esercitare la loro potestà in modo separato. Spetterà al giudice valutare se
la conflittualità esistente nella coppia permette un vero e proprio esercizio congiunto della potestà.
L’affido condiviso consente l’esercizio della potestà anche in modo disgiunto, cosicché ogni genitore ne è
totalmente responsabile quando i figli sono con lui. Al contrario dell’affido congiunto, l’affido condiviso
disgiunto è applicabile utile soprattutto in casi di conflitto.
I calendari tipici prevedono l’alternanza di due giorni presso ciascun genitore, +1 weekend lungo dal venerdì
al lunedì mattina. Questo realizza un buon bilanciamento tra l’esigenza di un tempo sufficientemente lungo
per vivere insieme la routine quotidiana senza sentire la mancanza dell’altro. Le riconsegni all’altro genitore
possono dar luogo a momenti di attrito e quindi è preferibile renderle meno frequenti.
Il principio che sta alla base dell’affido condiviso e che il fallimento della coppia non deve significare anche
un insuccesso sul piano del ruolo genitoriale. Nonostante i buoni auspici, è ancora difficile prevedere quali
potranno essere gli esiti della nuova legge. Di fatto però uno degli aspetti più delicati dell’affido condiviso
sta proprio nella capacità dei coniugi di raggiungere un circostanziato ed equilibrato accordo rappresentato
da un progetto condiviso.
Una delle conseguenze della separazione divisione dei genitori e la sindrome da alienazione parentale. Tale
sindrome è un disturbo psicologico che può insorgere nei figli.si verifica soprattutto nei casi di affido
esclusivo, quando il genitore affidatario mette in atto strategie di esclusione nei confronti dell’altro genitore.
Il genitore alienante agisce in modo tale da influire sui figli affinché si degradi sempre più il loro rapporto
con il genitore non affidatario (scheda 11 —> pag. 250).

La mediazione familiare

La mediazione familiare rappresenta un percorso di aiuto alla famiglia prima, durante e dopo la separazione,
con lo scopo di offrire agli ex coniugi un contesto strutturato e protetto, in autonomia dall’ambiente
giudiziario, per poter raggiungere accordi concreti su alcune questioni dell’affidamento e dell’educazione dei
figli. Perché i coniugi possono raggiungere i suddetti accordi, la mediazione si avvale di una terza persona: il
mediatore familiare.
La sua funzione è quella di aiutare i genitori a gestire le difficoltà emotive ed organizzative legate alla
frattura del legame coniugale. La mediazione risulta essere un intervento preventivo rispetto al rischio di un
disagio dei minori.
L’obiettivo della mediazione e di rendere la coppia protagonista e responsabile nella gestione del conflitto,
oltre che di aiutarla ad adottare una comunicazione il più possibile funzionale. Nella mediazione mirata per
esempio, la coppia prevede fin dall’inizio il numero di incontri da fare in relazione ai temi scelti. Il mediatore
è unicamente una terza persona neutrale che offre le sue competenze al servizio della coppia per una
soluzione del proprio conflitto.

Modelli di mediazione familiare

Ciò ha portato alla formazione di vari modelli di mediazione familiare che possono essere descritti lungo un
continuum ai cui estremi si trovano approcci che da una parte sottolineano la dimensione negoziale e
dall’altra il paradigma terapeutico. La differenza tra tali modelli è data dalla modalità di trattare le dinamiche
relazionali e i vissuti soggettivi rispetto alla separazione all’interno del rapporto di mediazione.
I modelli che si avvicinano alla dimensione negoziale utilizzano le principali procedure impiegate per la
definizione degli accordi nell’universo aziendale. I modelli invece che si avvicinano al paradigma
terapeutico fanno proprie le tecniche e concetti affini alla pratica psicoterapeutica. L’impegno in questo caso
si concentra sul come trattare le emozioni, i vissuti e le componenti della storia che hanno caratterizzato la
coppia.

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Occorre però non confondere questo tipo di mediazione con la terapia familiare in senso stretto. Infatti le
differenze sono molte, ad esempio, la mediazione familiare si concentra sul futuro piuttosto che sulla ricerca
delle cause passate.
Il modello terapeutico viene approfondito maggiormente poiché ha come riferimento il modello sistemico-
relazionale. Vi è il modello elaborato da Irving e Benjamin Che si focalizza sulla soluzione degli aspetti
emotivi connessi alla vicenda separati Iva, mirando al cambiamento in termini di relazioni e di
comunicazione, in modo da favorire il contenimento delle emozioni che potrebbero portare a un fallimento
del percorso mediativo. Tale modello si propone di valutare l’intenzione della coppia a intraprendere il
percorso di mediazione, di modificare le disfunzioni relazionali che non permettono l’avvio della
negoziazione, di sostenere un clima cooperativo.
La fase di valutazione allo scopo di verificare la disponibilità della coppia alla mediazione. La fase di pre-
mediazione è uno stadio che precede la negoziazione e che viene utilizzata ogni qualvolta la mediazione
entra in una situazione di stallo.

Il modello simbolico trigenerazionale

Alcuni autori hanno elaborato un processo di mediazione familiare fondato sull’orientamento sistemico
relazionale. E si inseriscono la mediazione in una prospettiva Three-generazionale, includendo
nell’osservazione della coppia le loro storie personali e le storie delle famiglie d’origine, oltre l’analisi dei
significati simbolici condivisi. Inoltre vi è il coinvolgimento anche dei figli in alcune sedute.
Lo scopo del modello è anzitutto quello di cogliere il collegamento tra la dimensione tre-generazionale della
famiglia e la frattura del legame.
L’idea sottesa al modello simbolico relazionale è che quanto più la coppia di genitori in via di separazione a
occasione di riflettere indirettamente su tematiche che favoriscono una riappropriazione degli elementi della
storia personale, maggiore è la possibilità di raggiungere accordi per i figli e di creare le premesse per un
nuovo assetto relazionale.
A differenza di altri tipi di mediazione, in questo modo ci si occupa del passato per ricercare un accordo in
merito a cose, denaro e figli, senza che i genitori rivendichino l’uno i torti dell’altro.
Un altro aspetto che distingue questo metodo da altri è quello relativo alla presenza dei figli nella
mediazione.
nonostante molti mediatori non incontrano mai bambini, in questi casi la presenza dei figli mediazione è resa
possibile dai racconti dei genitori. Il mediatore permette ai genitori di parlare a lungo dei figli, chiede loro di
vedere delle foto. Il lavoro viene così svolto sulla rappresentazione affettiva che i genitori hanno dei propri
figli. Tutto ciò nei altri modelli.
Per il modello simbolico tri generazionale invece, è utile coinvolgere i figli nella mediazione perché
emergano i loro reali bisogni, i loro desideri, le loro preoccupazioni e paure. Il presupposto implicito di chi
invece può lasciare fuori bambini dalla mediazione e che questi vengano preservati dalla conflittualità dei
genitori.
I terapeuti familiari sanno benissimo come i figli in realtà siano molto attivi all’interno del conflitto
coniugale e come a volte tentino di controllare i genitori con comportamenti sintomatici.
Convocare i bambini alle sedute di mediazione familiare non deve significare chiedere i bambini con chi
vogliono stare oppure un giudizio, quanto piuttosto consentire i genitori di apprendere qualcosa di più sulla
situazione psicologica dei figli.

Capitolo 11: La famiglia con un solo genitore

Una delle conseguenze della separazione-divorzio

Un tipo di riorganizzazione della struttura familiare è quello della famiglia mono genitoriale.le famiglie con
un solo genitore sono sempre esistite anche in Italia, basti pensare al caso di genitori vedovi che vivono con i
propri figli, a quelle delle cosiddette ragazze madri, a quelle delle mogli degli emigrati.oggi invece tale
forma di famiglia è il risultato anzitutto delle separazioni e dei divorzi.
Osservando i vari dati è facile concludere come siano più spesso le donne a rimanere da sole con i propri
figli perché nelle separazioni giudiziali precedenti al 2006, i giudici tendevano a privilegiare fortemente

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l’affido materno. Gli uomini invece, più delle loro ex mogli, vanno a vivere da soli, oppure costruiscono una
nuova famiglia.

La condizione delle madri sole in Italia

Nel nostro paese le famiglie con un solo genitore e figli sono dunque in crescita. In Italia, le famiglie con
madri sole sono rappresentate da separati o divorziati nel 39%, da vedove nel 52% e da nubili nel 7%.
Le madri sole vivono una condizione più difficile delle altre donne, principalmente da un punto di vista
economico. Per far fronte a questo svantaggio tali donne più delle altre sono alla ricerca di un’autonomia
economica attraverso il lavoro ed il supporto della propria famiglia di origine.
Le madri sole sono costrette a lavorare di più, non solo perché l’intero peso della famiglia grava sulle loro
spalle, ma in alcuni casi, anche per l’inconsistenza del sostegno economico che ricevono dall’ex coniuge In
seguito alla separazione.
Una risorsa particolarmente importante per le madri sole è rappresentata dalla rete informale, ovvero dalla
famiglia, dai parenti dagli amici e da altre persone. Diversa invece la situazione relativa alla rete formale.i
servizi sociali pubblici sono carenti per le madri sole.

Compiti di sviluppo della famiglia con madre sola

Anche la famiglia mono-genitoriale è chiamata a superare alcuni specifici compiti.all’inizio essa deve
affrontare un inevitabile periodo di assestamento e nei primi due anni di vita, i principali ostacoli della
famiglia condotta da una madre sola sono catalogabili all’interno di due gruppi di fattori: il primo include i
problemi di accettazione della famiglia a livello sociale, il secondo riguarda le caratteristiche e le difficoltà
personali dei membri della famiglia stessa.
A proposito del primo, la famiglia con un solo genitore deve far fronte ai pregiudizi sociali; essa è
generalmente è vista come inadeguata rispetto ai bisogni delle persone e i bambini che vengono da questo
tipo di famiglia sono spesso giudicati come indisciplinati o con difficoltà di adattamento. Inoltre la madre
può essere valutata come donna poco seria e questi altri pregiudizi possono portare ad un processo di
marginalizzazione degli individui appartenenti alla famiglia monoparentale.
Inoltre la madre sola tende ad essere evitata dalle coppie sposate in quanto a vista, dalla donna coniugata,
come una possibile rivale e dall’uomo sposato come apportatrice di idee lesive dell’unità familiare.
Divorziare significa anche andare incontro a varie difficoltà di natura economica. Le situazioni più precarie
sono quelle in cui il padre non contribuisce. Tutto ciò obbliga la madre a tornare a lavorare e quindi a dover
conciliare questo impegno con quello di accudimento dei figli.
L’intervento della famiglia d’origine, in alcuni casi è indispensabile.
Due altre dimensioni particolarmente rilevanti da questo punto di vista sono anche l’età della donna e quella
dei figli.
In caso di mancanza di aiuti, una madre da sola deve trovarsi una babysitter, nel caso i figli sono troppo
piccoli e di conseguenza svolgere lavori e secondi lavori per rispondere ai bisogni finanziari.
L’aspetto economico chiaramente incide anche sui figli visto che viene ad abbassarsi il tenore di vita della
famiglia.
La crisi della famiglia sostenuta dalla madre sola può trovare un elemento di un ulteriore complessità nella
soluzione abitativa quando a volte è costretto a trasferirsi in un’altra casa, magari cambiando quartiere o
città.
E necessario quindi che la nuova famiglia sia capace di costruire rapporti emotivi e interpersonali
soddisfacenti che possono rappresentare un efficace sostegno psicologico per la madre e per il figlio.il
rischio delle famiglie monoparentali è infatti quello di ripiegarsi su se stesse e isolarsi, allontanandosi sempre
di più dal contesto sociale.i pregiudizi che la madre percepisce attorno a sé possono portarla a chiudersi nei
suoi impegni, a non ritagliarsi del tempo per stabilire nuove relazioni personali e amicizie.
L’assolutizzazione del proprio ruolo materno porta la madre a non lasciare spazio alla sua dimensione di
donna.
La madre fa fatica ad accordare la propria funzione di capo famiglia con le responsabilità educative, in
particolare in riferimento all’esercizio dell’autorità e disciplina nei confronti dei figli. Ulteriore difficoltà e
ridefinire la propria relazione con i figli.infatti, deve essere in grado di garantire loro sia le qualità educative
attinenti alla figura materna, che quelle specifiche della figura paterna, cioè sia quelle affettive che quelle
normative.
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La donna sola si sente più insicura, perché non ha un partner con il quale confrontarsi sulle sue scelte
educative. Questo di conseguenza può portare la madre ad alternare in modo incoerente e disorientante per il
figlio uno stile educativo autoritario ad uno permissivo.allo stesso tempo, pure il figlio è chiamato a
modificare il proprio rapporto con la madre.

Compiti di sviluppo della famiglia con padre solo

Anche le famiglie monoparentali condotto da un uomo tendono ad aumentare.tale famiglia risulta costituita
da un vedovo o da un uomo diviso dalla propria moglie. Negli ultimi anni è cresciuto il numero degli uomini
che fa richiesta di avere affidati i propri figli. Un numero sempre crescente di adolescenti poi chiede di
andare a vivere col padre.
È interessante notare come un uomo da solo si dimostra in grado di adottare comportamenti tradizionalmente
considerati come materni e di sviluppare un legame affettivo molto profondo con i figli. I compiti principali
che i padri soli devono affrontare sono legati all’organizzazione della vita familiare, alla propria vita emotiva
e all’educazione dei figli.
L’uomo deve abituarsi a conciliare lo spazio che occupa il proprio lavoro con i problemi domestici e la
funzione genitoriale.a suo vantaggio, le cose prendono generalmente un buon avvio, anche perché l’uomo si
dimostra meno schiavo della donna delle buone abitudini e più incline a responsabilizzare i figli nella
condizione pratica della vita familiare.
Sotto l’aspetto emotivo anche l’uomo deve affrontare la solitudine, la sofferenza legata alla perdita, il senso
di fallimento o di colpa nei confronti dei figli. È proprio un dovere di occuparsi dei figli che lo aiuta a
superare i propri sentimenti depressivi.
Come per la donna sola, anche il padre sperimenta la difficoltà a livello educativo di dover ricoprire
contemporaneamente due ruoli: quello paterno e quello materno.facilmente il padre in tale situazione tende
ad essere più indulgente e a stabilire con i figli una relazione più paritaria, sia per la difficile esperienza di
separazione dalla madre che i figli si trovano ad affrontare, sia per la paura di essere considerato troppo
autoritario. Anche qui vi è la difficoltà di coerenza educativa.

Il rischio della genitorializzazione


Dopo la separazione, il genitore affidatario può sviluppare un coinvolgimento eccessivo o una forma di
dipendenza nei confronti dei figli che può portare ad una inversione di ruoli.qui i bambini sono portati ad
assumere troppe responsabilità o a farsi carico dei problemi emozionali dei propri genitori si parla per questo
di parentificazione o genitorializzazione.
I bambini forniscono sicurezza e controllo i genitori; quando rispondono i loro bisogni di intimità e di affetto
e quando governano la casa e si occupano dei fratelli più piccoli. Il genitore la separazione è fonte di stress e
vista la situazione di disagio, alcune volte i figli sono incoraggiati e si sentono in dovere di offrire sicurezza e
stabilità al proprio genitore. Ciò però può portare problemi al figlio e lo porta ad avere atteggiamenti assai
ricorrenti ed esasperati.
Bambini che soddisfano i bisogni di intimità e di affetto dei genitori, qui i bambini sono visti dal genitore
come amici del tutto speciali.
Bambini che si prendono cura dei fratelli e della casa, qui i figli più grandi possono facilmente assumersi la
responsabilità di crescere i fratelli più piccoli e di governare la casa. Di fronte a questo tipo di
parentificazione I figli più piccoli divengono spesso depressi e remissivi mentre gli adolescenti reagiscono
con rabbia, cominciano a disubbidire e a opporsi al genitore.
Le conseguenze di queste tre tipologie diventano evidenti nel passaggio dei figli dall’età adolescenziale
all’età adulta. Quando i figli sono piccoli non presentano particolari problemi e sono definiti come perfetti,
stimati e amati dai propri genitori per il grado di responsabilità che hanno.
Col passare del tempo però divengono sempre più evidenti gli effetti negativi della genitorializzazione, Dato
che il figlio non ha la possibilità di esprimere e vedere soddisfatti dal genitore i propri bisogni. Viene così a
svilupparsi un risentimento nei confronti dei propri genitori in quanto si sono sentiti usati.
I figli genitorializzati Sono adulti che in modo ossessivo tendono a prendersi cura degli altri, sono timorosi di
costituire un peso e si vergognano di esprimere i propri bisogni. Sono persone che tendendo ad identificarsi
troppo con le problematiche altrui, non sono capaci di porre adeguati confini tra sé stessi e gli altri.
Da piccoli si sono abituati a tenere tutto sotto controllo e mantengono questo bisogno anche da adulti;
dimostrano problemi nella vita affettiva, perché la costruzione di un rapporto intimo richiede un certo grado
di perdita del controllo. La difficoltà che hanno a costruire relazioni affettive è dovuta anche al fatto che da
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una parte hanno imparato solo a dare e non ricevere, dall’altra nel momento in cui si trovano in un rapporto
sempre più intimo, può nascere in loro la paura di riprodurre la situazione dell’infanzia. Di conseguenza
tendono a costruire relazioni superficiali con soggetti deboli e problematici che loro sentono di poter
soccorrere.
Il paradosso di questi figli genitorializzati Sta nel fatto che da bambino si è sempre comportato da adulto e
ora, chi lo è, ha difficoltà a divenire adulto.

Capitolo 12: La famiglia ricomposta

Un’altra delle conseguenze del divorzio è la famiglia ricomposta.


Nell’ultimo trentennio, il fenomeno delle famiglie ricomposte in seguito alle nuove unioni dopo una
separazione un divorzio è cresciuto nella maggior parte dei paesi occidentali. Si tratta di un fenomeno
complesso che manca anche di una definizione unica.oltre che di famiglie ricomposte si parla anche di
famiglie ricostruite, di famiglie aperte, di nuove famiglie estese, di nuove costellazioni familiari,…
Tra le diverse denominazioni date alle famiglie in cui almeno uno dei due coniugi proviene da una
precedente esperienza familiare in cui possono essere presenti i figli delle precedenti unioni e nuovi figli.
E a partire dagli anni 70, in particolare negli USA, che vengono fatti i primi studi sociologici a riguardo. Si
parla di famiglia ricostituita pensando la nuova famiglia come ad una modalità per ricostituire quanto il
divorzio ha spezzato.
Per diversi anni la citazione di questo modello a contribuito a negare la formazione di un nuovo sistema
familiare, la cui struttura non può essere più equiparata a quella della famiglia nucleare, essendo molto più
complessa. Negli anni 80, anche in ambito sistemico relazionale si inizia ad occuparsi di questo tipo di
famiglia. La loro presenza inevitabilmente definisce la nuova coppia, soprattutto in relazione alla funzione
genitoriale di ciascuno dei due partner rispetto ai figli.
E sono negli anni più recenti che il modello della sostituzione di una famiglia all’altra è incompatibile con il
criterio di continuità della relazione tra genitori e figli.per questo gli studiosi iniziano ora a parlare di
famiglia ricomposta. I nuovi membri che entrano nella famiglia non si sostituiscono ai precedenti, ma vi si
aggiungono, dando forma ad un sistema più complesso di relazioni familiari.
Si assiste quindi alla compresenza di due famiglie: quella vecchia e quella nuova, entro le quali i bambini si
muovono. Questa nuova impostazione permette così di mettere in luce una molteplicità di relazioni come
quelle tra il bambino e il genitore non affidatario, i nuovi partner, gli ex coniugi,…

Il fenomeno della famiglia ricomposta in Italia

La quota dei separati e divorziati che in Italia formano coppie ricomposte è nettamente superiore a quella dei
vedovi e che questa tende ad aumentare nel tempo. Le percentuali aumentano ancor di più quando si
analizzano i dati relativi alle famiglie ricomposte in unione libera. In questo caso, le coppie in cui almeno
uno dei partner proviene da un precedente fallimento matrimoniale è dell’85% E quelle con almeno un
vedovo si riducono al 23%.
Quando i figli sono di una precedente unione questi all’82% appartengono alla donna e solo il 19% all’uomo.
Il fatto che i figli, in caso di divorzio, siano generalmente affidati alle madri costituisce in molti casi un
ostacolo per la donna costituire un nuovo matrimonio o una nuova convivenza. Nel caso delle nuove unioni
gli uomini, più frequentemente di quanto riescono a fare le donne, trovano una partner che non sia stata già
sposata.

Vincoli e risorse della famiglia ricomposta

Vi è uno stato di disagio che i membri delle famiglie ricomposte provano nel definire i reciproci ruoli e
funzioni. In questo senso, la lingua inglese ha risolto il problema aggiungendo il prefisso step ad ogni tipo di
parentela acquisita a seguito della formazione della famiglia ricomposta, per esempio step-Sister cioè
sorellastra e così via.
Nella lingua italiana invece si dovrebbero utilizzare i vecchi termini relativi alla situazione di vedovanza
come patrigno, fratellastro, sorellastra, ma di fatto per l’accezione negativa che questi comportano si parla
per esempio di padre acquistato,…

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In effetti, i confini delle famiglie ricomposte sono meno marcati rispetto a quelli delle famiglie tradizionali.
Vari sono i tipi di confine che devono essere chiaramente definiti: quelli esterni, quelli intergenerazionali e
quelli tra i vari nuclei familiari implicati nella costituzione di questa famiglia allargata.
Infatti, i confini esterni aiutano la famiglia a mantenere la propria identità, sicurezza e integrità. Quelli
intergenerazionali permettono la distinzione tra sottosistema genitoriale e sottosistema figli prevenendo
situazioni patologiche, come incesto, rapporti sessuali tra genitore acquisito e figlio acquisito.
Un altro confine da definire e poi quello tra i nuclei familiari che si sono formati in seguito al divorzio.
Questo dovrebbe essere abbastanza flessibile in modo da facilitare sia l’ingresso dei figli di primo letto in
visita sia l’uscita dei figli residenti per frequentare il genitore non affidatario.
Le famiglie ricomposte hanno in media identità più incerte, ambigue e confuse. Il sociologo Donati scrive
che anche per le famiglie ricomposte è possibile raggiungere un’identità stabile e sicura, di fatto, tutto ciò
riesce solo ad una minoranza di Esse ed è particolarmente difficile per chi nella sua storia individuale giunge
al terzo o quarto matrimonio.
Il divorzio mette in crisi l’identità e il senso di appartenenza delle persone, soprattutto quella dei figli, dove
questo stato di confusione aumenta quando i genitori si risposano. Nella famiglia ricomposta non esistono,
infatti, quegli argini che fanno della casa dei genitori una fonte di protezione sicura. È facile per esempio
comprendere la difficoltà di un bambino, soprattutto molto piccolo, quando deve riferirsi a due padri di cui
uno è quello naturale e l’altro è quello acquistato.
La difficoltà della famiglia ricomposta di definire i propri confini è strettamente correlata alla mancanza di
norme sociali di riferimento riguardanti le relazioni tra i suoi membri.

Una ricchezza affettiva e relazionale

È interessante notare come alcuni degli aspetti appena visti che appaiono come limiti, possono costituire
anche degli elementi di risorsa per la famiglia ricomposta e hanno un effetto benefico sulla salute
psicosociale dei suoi membri.
L’esposizione poi a modelli di ruolo molteplici, la presenza di nuovi fratelli, quella di un genitore sociale di
più adulti, può rappresentare una vera e propria risorsa.
Le varie differenze all’interno del nuovo nucleo familiare, possono portare a conflitti e scontri, ma possono
anche promuovere un’integrazione impositivo, insegnare la tolleranza reciproca e determinare la gestione dei
conflitti in senso costruttivo.
Guardando questa situazione dal punto di vista della teoria dell’attaccamento è interessante notare come
nella famiglia ricomposta ci siano altri adulti significativi in grado di legare delle relazioni affettive che
possono essere considerate fattori di protezione piuttosto che di rischio. I bambini che vivono in famiglie
ricomposte hanno la possibilità di confrontarsi con modelli culturali differenti, sperimentano le diverse
caratteriali e di abitudini.
Le ricerche che hanno individuato i fattori che determinano la funzionalità o disfunzionalità delle famiglie
ricomposte sono giunti alla conclusione che in quelle funzionali esiste un buon adattamento coniugale, c’è un
legame positivo tra il proprio genitore biologico e il bambino e non c’è nessuna tendenza ad escludere alcun
membro familiare e le decisioni vengono concordate insieme.

Il processo di ricomposizione familiare

La ricomposizione della nuova famiglia richiede un’evoluzione sia dei rapporti verticali che di quelli
orizzontali. È quindi opportuno osservare la famiglia ricomposta all’interno di una prospettiva dinamica di
successive fasi che richiedono adeguati tempi di elaborazione. Sono stati individuati cinque significativi
passaggi che caratterizzano il ciclo vitale di questo tipo di famiglia: lo stadio della fantasia o delle illusioni,
lo stadio della confusione, lo stadio della crisi, lo stadio della stabilità e lo stadio dell’impegno.
Il primo stadio è caratterizzato dalla presenza di numerose illusioni. I nuovi membri all’inizio nutrono
parecchi sogni rispetto alla nuova realtà familiare. La prima significativa illusione consiste nel poter
ricostruire una famiglia tradizionale, ma tale tentativo non può che fallire, visto che la nuova famiglia si
costruisce su una perdita e attorno individui che hanno tutti differenti storie familiari. La seconda illusione è
che il divorzio possa cancellare la famiglia precedente. La terza illusione è che il nuovo partner possa da un
momento all’altro divenire genitore dei figli acquisiti sostituendosi all’assenza o incapacità del genitore
biologico.

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L’ingresso al secondo stadio, quello della confusione, sia proprio quando si prende atto che la famiglia
perfetta non esiste.tutti in questo momento sono per qualche motivo scontenti e a disagio.ci si rende conto
che le cose non vanno bene così come sono, che occorre riorganizzare le relazioni familiari.

Il terzo stadio è quello della crisi. A questo punto solitamente all’interno della famiglia vengono a crearsi dei
gruppi che si contrappongono tra di loro. La situazione si fa ancora più esasperata quando tra i figli ci sono
adolescenti.

Il quarto stadio è quello della stabilità. A questo punto i membri della famiglia iniziano ad acquisire il senso
del noi e ognuno impara ad accettare l’altro e la conflittualità è vissuta come un’opportunità per conoscere
meglio se stessi e il funzionamento della famiglia.

L’ultimo stadio è quello dell’impegno, dove ogni membro si assume delle responsabilità per il bene di
tutti.nei litigi non si pretende di avere ragione a tutti costi. Il passato è accolto con i suoi fallimenti.

Il ciclo di vita della famiglia ricomposta

Il problema peculiare della famiglia ricomposta è quello di dover divenire gruppo senza che tutti i
componenti del sistema familiare abbiano avuto una storia in comune e condivisa. In altre parole uno dei
compiti principali che i vari membri devono affrontare è quello di costruire un senso di appartenenza nei
confronti della nuova famiglia. Si tratta di un compito non facile perché chiede ad ogni persona di trovare
una sua collocazione specifica all’interno della famiglia.
Secondo alcuni autori l’integrazione della famiglia ricomposta richiede un minimo di due o tre anni prima
che la nuova struttura consente ai membri di progredire emotivamente lungo il ciclo di vita. Infatti, l’assenza
di legami di sangue rende ancor più arduo il sentirsi parte del nuovo nucleo familiare.
Viene sottolineata l’importanza di realizzare una realtà condivisibile nella quale integrare i diversi elementi
tra il vecchio e il nuovo sistema e di stabilire un equilibrio dinamico che permetta comunque uno sviluppo
positivo. È necessario quindi che la famiglia non sia rigida, ma al contrario flessibile e pronta a negoziare per
costruire nuovi legami.
Sono state individuate diverse strategie cognitive impiegate dal membri della famiglia ricomposta rispetto
alla possibilità di costruire nuove relazioni al suo interno. I conservatori includono nella propria famiglia soli
membra del nucleo originario naturale. Gli alternativi sostituiscono il genitore naturale non convivente con il
patrigno o la matrigna con cui abitano, includendo anche i fratellastri. Gli esclusivi limitano il numero dei
membri della propria famiglia ai soli genitori e fratelli di sangue conviventi, escludendo patrigni, matrigna e
consanguinei. gli inclusive, infine, tendono ad ampliare la famiglia considerando propri familiari i due
genitori naturali, i fratelli, i patrigni,…

Costruire l’identità della nuova coppia

L’impegno principale rispetto alla relazione di coppia è quello di costruire un’identità di coppia solida e
matura.è stato messo in evidenza come nelle famiglie ricomposte con successo la coppia sia molto unita.
Costruire un’identità di coppia risulta un compito non facile soprattutto se ci sono dei figli. La famiglia
ricomposta è il risultato di una fusione di due culture familiari.ma mentre le coppie che si sposano per la
prima volta hanno la possibilità di contrattare le proprie differenze prima dell’arrivo dei figli, i coniugi della
famiglia ricomposta non hanno la stessa possibilità.
Infatti, se ci sono bambini, la nuova coppia che si sta formando è costretta a funzionare fin da subito, come
famiglia che svolge il suo compito di cura dei figli, saltando un’importante fase del ciclo vitale della
famiglia, quella della coppia senza figli.
La possibilità di costruire la nuova identità di coppia dipende anche dalla capacità dei due coniugi di
elaborare la perdita legata al primo matrimonio.a tale proposito si individuano tre dimensioni che rendono
più difficile la costruzione della nuova coppia: l’idealizzazione, i ricordi e la comunicazione.
Il fallimento della prima relazione coniugale può portare i nuovi coniugi ad una esagerata idealizzazione e ad
uno speciale investimento emotivo nei confronti della nuova storia. Per questo i nuovi coniugi tenderanno a
sviluppare delle aspettative irreali rispetto alla coppia che si sta formando, nel tentativo di riparare il
fallimento.

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Superata la fase di idealizzazione inevitabilmente i due coniugi faranno confronti con la prima esperienza
matrimoniale. Il problema sta nel fatto che molto spesso ricordi che i due hanno delle precedenti relazioni
non coincidono e ciò rende più difficile la negoziazione di nuovi modelli e di nuove aspettative circa il
funzionamento della nuova coppia.
La precedente esperienza condiziona i partner anche sul loro modo di comunicare.

Costruire e ridefinire le relazioni genitori-figli

La formazione della nuova famiglia chiede ai genitori biologici di mantenere e ridefinire i precedenti legami
con i propri figli.questo compito chiede al genitore di trovare le modalità più congrue per assolvere al
proprio ruolo genitoriale, considerando sia la nuova situazione, sia la complessità relazionale che esso
comporta per il figlio avuto con la precedente unione.
Allo stesso modo i figli devono mantenere ridefinire il proprio legame con il genitore con il quale non
convivono. Anche i genitori acquisiti e figli acquisiti dovranno impegnarsi reciprocamente a costruire una
relazione tra di loro.

Costruire e ridefinire le relazioni tra fratelli

Anche i figli devono ridefinire la loro relazione rispetto ai fratelli acquisiti. Tra i fratelli acquisiti possono
stabilirsi importanti relazioni di complicità e sostegno, specie dei più grandi nei confronti dei più piccoli, ma
possono svilupparsi anche sentimenti di invidia o di rabbia, dovuti alla modalità con la quale genitori si
rapportano con loro, privilegiando per esempio i figli biologici a scapito di quelli acquisiti.
In generale, la relazione tra fratelli acquisiti non è così intima come quella che c’è tra fratelli naturali, anche
se la relazione è caratterizzata da sentimenti positivi. È stato anche constatato che maggiore è la complessità
della famiglia ricomposta più aumentano i problemi, anche quelli tra i fratelli. In ambito clinico sono state
rilevate alcune potenziali difficoltà nelle relazioni tra fratelli acquisiti: rivalità, competizione per attirare
l’attenzione dei genitori, l’attrazione sessuale e la non condivisione di interessi e valori.
La ricomposizione familiare può determinare per i figli un significativo cambiamento di status.così un figlio
che nella prima famiglia ha il privilegio di essere primogenito, nel nuovo nucleo familiare può diventare il
secondo in ordine di età e può perdere il suo posto privilegiato.il cambiamento di status diventa più facile da
accettare solo in quei casi in cui colui che era il primogenito nella famiglia originaria continua esserlo anche
in quella ricostruita. Possiamo quindi concludere che, per i figli non solo è difficile accettare e accogliere
l’arrivo in casa di un nuovo adulto, ma anche affrontare la riorganizzazione della nuova famiglia.

Costruire e ridefinire le relazioni con le famiglie d’origine

Nei confronti delle famiglie d’origine e delle rispettive parentele, l’impegno è quello di mantenere tutti
rapporti con la sua famiglia estesa. (Vedi figura Pag 282).
Per i figli è importante sia conservare il proprio legame con la parentela del genitore non affidatario, sia
costruire relazioni con la famiglia acquisita, quella relativa al nuovo genitore. Risulta quindi evidente che
non è né semplice e ne automatico costruire questo nuovo tipo di famiglia.

Il terzo genitore

La relazione tra figli e il nuovo genitore sia dei punti di debolezza che punti di forza.
Oltre alla trasmissione dell’eredità genetica via la trasmissione di un tipo di eredità psicologica che si
realizza nella quotidianità, vivendo insieme al proprio figlio, condividendo esperienze significative,
volendosi bene,… Certo, la mancanza di un legame biologico e di diritto rende difficile e più lunga la
formazione di questo rapporto, ma non è impossibile. Il genitore sociale non può esercitare nessuna autorità
legale e non può assumere nessuna responsabilità educativa sui figli acquisiti, ma di fatto svolge
un’importante funzione.
In questo nuovo tipo di struttura familiare le diverse funzioni genitoriali sono esercitate di fatto da più
persone; i diversi ruoli, quello biologico, legale e psicologico, sono rivestiti da tre diverse persone che sono:
il genitore non affidatario, quello affidatario e il terzo genitore. Il terzo genitore di solito è l’uomo che vive
con i figli del primo marito di sua moglie o più raramente la donna che vive con i figli della prima moglie di
suo marito.
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Il suo ruolo non è facile proprio perché non ha ancora una sua definizione a livello socio culturale. E li devi
inventare il suo ruolo di genitore vicario, deve trovare il suo posto, senza occupare in modo ingombrante
quello del genitore biologico. Diverso è invece il caso del nuovo genitore che viene a sostituire un genitore
defunto. In questa situazione egli si ritrova ricoprire un posto lasciato vuoto, ma senza togliere niente a
nessuno. Quando invece la famiglia ricomposta subentra dopo un divorzio, il nuovo genitore non dovrà
ricoprire alcun posto vacante, ma dovrà ritagliarsi un proprio spazio.
Con il termine “doppia genitorialità” si fa riferimento a una convivenza del genitore biologico non
convivente con il genitore sociale convivente.

La nuova relazione dal punto di vista dei figli

La situazione non è neanche facile per il figlio, il quale si trova a doversi adattare psicologicamente
all’ingresso nella sua vita di questa nuova persona. La circostanza si presenta ancor più delicata quando il
genitore sociale e donna. È più facile che si stabilisca una sorta di concorrenza tra le due madri, quella
biologica e quella acquistata, rispetto a quanto può accadere tra due padri. La figura della madre acquisita
inoltre è anche vittima di stereotipi culturali tramandati attraverso favole e leggende popolari che la
descrivono come una donna fredda.
È stato evidenziato dalle ricerche come le madri acquisite incontrino più difficoltà con i figli del partner
rispetto ai padri acquisiti.
Voler bene alla donna che ha preso il posto della propria madre accanto al padre è vissuto dei figli come
tradimento. Per questo non poche volte i figli ignorano la sua presenza, la escludono.
La relazione tra i figli e il terzo genitore è influenzata anche dall’età dei figli. Quando sono piccoli ormai
giovani è più facile l’inserimento del nuovo genitore. Alcuni autori pensano che i bambini al di sotto dei sei
anni hanno maggiori capacità di accettare il nuovo genitore, tanto da considerarlo come un secondo padre o
una seconda madre. Solo all’inizio si dimostrano un po’ gelosi nei confronti dei genitori conviventi. Dai sei
anni agli 11 anni i figli, avendo maggiore consapevolezza, si sentono rassicurati dalla presenza di
quest’ultimo, a condizione che il nuovo genitore non pretenda di assumere su di sé tutto il controllo o
viceversa non sia totalmente indifferente.
Per i figli tra i 18 e i vent’anni la presenza del genitore sociale può essere rassicurante, invece quando i figli
sono adolescenti, la costruzione della relazione con il genitore sociale diviene assai più complessa.
Il modo in cui i figli chiamano il genitore acquisito è significativo per capire il tipo di rapporto che si hanno
con lui.

Strategie di inserimento del terzo genitore

Non è per niente facile per i figli costruire mantenere una relazione significativa con tre genitori a volte
anche quattro. Sono troppi tutti questi genitori per poterli gestire correttamente e in modo emozionalmente
efficace.
Per il genitore sociale la miglior strategia per essere accettato dei figli acquisiti è quella di non tendere
immediatamente al loro controllo, di stabilire con loro un rapporto aperto e di impegnarsi nel sostenere il
partner nel suo ruolo genitoriale. La relazione tra il genitore sociale e i figli acquisiti e buona quando c’è un
accordo nella nuova coppia, quando c’è poca rivalità tra genitore naturale e acquisito.
All’inizio del rapporto deve esserci una reciproca scelta. L’amico o lo sposo del proprio genitore, non
diventa genitore acquisito per il solo fatto di vivere sotto lo stesso tetto dei figli, ma perché egli sceglie i figli
dell’altro e a sua volta è scelto da loro.
È importante sottolineare che questo processo di scelta coinvolge l’intera costellazione familiare, la quale
deve favorire l’integrazione del nuovo genitore e la sua parentela.
L’inesistenza di un legame di sangue e di legge fa sì che questo tipo di rapporto sia vincolato a una costante e
libera scelta. La nuova relazione che si stabilisce tra i figli e il genitore acquisito può rappresentare
un’autentica risorsa per i requisiti di confidenza e complicità che può avere. Tutto ciò è comunque possibile
solo se le due parti si riconoscono reciprocamente.
Sono due gli errori principali che un patrigno può fare nel costruire la propria relazione con il figlio del
partner. Il primo è quello di pretendere di svolgere, fin dall’inizio, il ruolo paterno. Il secondo errore è quello
di comportarsi in modo distaccato come se fosse un ospite. Con i figli maschi tutto ciò è più semplice perché
il padre acquisito può costruire con loro una relazione coinvolgendoli in interessi comuni. Con le femmine,

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finché sono piccole, può dimostrarsi affettuoso, ma quando queste diventano grandi tutto ciò assumerebbe
una certa ambiguità.
Un ulteriore fattore che può rendere più difficile l’inserimento del nuovo genitore e la gelosia del genitore
separato. Il partner non affidatario può sentirsi sminuito nel confronto col terzo genitore.

Possibili ruoli del terzo genitore

Il terzo genitore può assumere diversi ruoli quali: l’amico, il confidente, l’altro genitore, il mentor è e il
modello. Il genitore acquisito può rivestire nei confronti dei figli acquisiti il ruolo di un amico. Si tratta di
una condizione ideale in quanto non viene a interferire con l’effettivo genitore biologico.
Un secondo ruolo che questo genitore può rivestire è quello del confidente che è disposto ad ascoltare i figli.
Questo ruolo è importante soprattutto con gli adolescenti.
Il ruolo dell’altro genitore viene riconosciuto al terzo genitore quando i figli sono piccoli e quando il genitore
biologico è praticamente assente e si incontra poche volte con loro. Il nuovo partner non deve sostituirsi al
genitore biologico, ma affiancarsi adesso.
Il quarto ruolo che può assumere il nuovo partner è quello di mentor è, di colui che insegna, scambia
opinioni, pareri e informazioni, in modo da preparare i figli acquisiti alla vita.
Infine c’è un caso in cui il nuovo partner gioca il ruolo di modello rispetto ai figli acquisiti. Il genitore
modello insegna i figli con il proprio esempio, piuttosto che con i propri consigli.

Il terzo genitore dovrebbe possedere alcuni tratti positivi quali: essere empatico, non stare sulla difensiva,
evitare di giudicare, dimostrarsi bendisposto, essere aperto al cambiamento, avere un’identità salda e non
assumersi responsabilità che non gli competono.

Riorganizzazione del ruolo genitoriale rispetto alla separazione

Vi sono cinque modalità di riorganizzare il proprio ruolo genitoriale e coniugale dopo la separazione,
collegandole alla ricomposizione di una nuova famiglia: la diade dissoluta, gli amici perfetti, i colleghi
collaboranti, i colleghi arrabbiati e i nemici furenti.

La diade dissoluta: di questa categoria fanno parte quelle coppie in cui uno dei coniugi, di solito il padre
sparisce, quasi o del tutto, dopo la separazione.
È il caso del genitore non affidatario che non riesce a mantenere il proprio rapporto con i figli e si allontana
costruendo un’altra relazione con un’altra donna. Il nuovo padre in questo caso viene a prendere il posto di
quello biologico, rappresentando un’importante risorsa per i figli.
Gli amici perfetti: questa modalità relazionale è propria di quelle coppie che hanno rielaborato solo
parzialmente la loro separazione e per questo mantengono ancora rituali familiari comuni, oltre a condividere
momenti di passione e complicità. Per questo tra i due ex coniugi permane un legame di amicizia e una
buona condivisione del ruolo genitoriale. L’entrata del terzo mette in crisi lo pseudo accordo e obbliga la
coppia a confrontarsi con la perdita legata alla separazione. Allo stesso tempo il nuovo partner può sentirsi
minacciato dal perdurare della relazione tra il proprio coniuge e il suo ex coniuge.
I colleghi collaboranti: rientrano in questa categoria le coppie che hanno realizzato una buona rielaborazione
della propria separazione. Per questo i due partner si dimostrano in grado di realizzare tra di loro una
relazione collaborativa finalizzata a garantire l’educazione dei figli. I figli mantengono un buon rapporto con
entrambi genitori biologici oltre a quello acquisito.
I colleghi arrabbiati: in questo caso gli ex coniugi permangono nel conflitto anche dopo la loro separazione e
per educazione dei propri figli non riescono a mettersi d’accordo. I figli in questo caso vivono con disagio,
senso di colpa e mancanza di libertà il rapporto con i propri genitori. La formazione di una nuova famiglia
non risolve certo la situazione e la presenza di nuovi partner rende più aspra la contesa.
I nemici furenti: A questa categoria appartengono i casi di conflitto estremo, le situazioni in cui i due coniugi
non sono in grado di trovare alcun accordo su come superare la propria separazione e su come educare i
propri figli. Tra i due c’è una rabbia così forte da vedere l’altro come un nemico da estromettere dalla vita
dei figli. È facile allora che i figli vengano strumentalizzati nella guerra tra i due e siano portati a vivere con
sensi di colpa la rinuncia del rapporto con il genitore non affidatario. In questi casi è inevitabile che anche i
nuovi partner si inseriscano a capofitto nello scontro tra gli ex coniugi.

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Capitolo 13: La famiglia adottiva

L’evoluzione dell’adozione in Italia

L’interpretazione del concetto di adozione è mutata considerevolmente nel tempo. In Grecia e nell’impero
romano svolgeva principalmente una funzione patrimoniale assicurando il diritto di eredità ai figli nati fuori
dal matrimonio e risolvendo il problema della successione nelle famiglie senza discendenza. Da questi
esempi vediamo che il senso dell’adozione era diverso rispetto al significato che gli diamo noi oggi.
In particolare, nella Francia di Napoleone, quest’ultimo aveva proibito l’adozione motivando il suo divieto
con il fatto che inserendo nella famiglia un figlio illegittimo, si impoveriva la quota ereditaria dei figli
naturali. L’adozione era consentita eccezionalmente a chi non poteva avere figli propri e aveva più di
cinquant’anni. L’adottando doveva avere almeno 18 anni e si trattava di un accordo tra adulti che aveva
come finalità il tentativo estremo di non lasciar estinguere un casato e dall’altra, il raggiungimento di una
condizione sociale ed economica più soddisfacente.
Il modello di adozione del codice civile di Napoleone fu introdotto in Italia e rimase in vigore sino al 1939.
L’adozione ora riguarda i minori e l’accordo è stabilito ancora tra adulti. L’adozione è intesa come l’accordo
tra due adulti, il genitore naturale del minore e quello adottante, Mirata a soddisfare le esigenze degli stessi
piuttosto che del minore. L’adottante, infine, poteva chiedere la revoca dell’adozione qualora l’adottato
creasse problemi. Con gli anni 70 ci si sposta sempre più verso un’idea di adozione che mette al centro i
bisogni del minore: lo scopo primario è quello di dare una famiglia un bambino che ne è privo e di dare un
figlio a chi non ne ha.
Nel 1967 viene fatta una legge sull’adozione speciale; si tratta di una vera e propria rivoluzione culturale.
L’adottante è una coppia giovane, meglio se con figli, scelta dal giudice e in collegamento con i servizi
sociali. Il rapporto con la vecchia famiglia viene definitivamente reciso con l’ingresso del minore nella
famiglia nuova. A quest’ultimo non è permesso di revocare l’adozione visto che l’adottato diviene figlio
legittimo.
Dietro al significato di adozione vi è ora 1:00 famiglia che offre la sua disponibilità ad accogliere come figlio
un bambino abbandonato. Il soggetto principale è ora il minore e non più la famiglia.
Nel 1983 la legge numero 184 disciplina l’adozione internazionale e negli anni 90 il numero di queste
adozioni supera quello delle adozioni nazionali.
Nel 1998 il parlamento italiano ratifica l’accordo che a livello europeo era stato stabilito in materia di
adozione internazionale tra i paesi d’origine e i paesi dei bambini adottati all’estero.
L’ultima legge, la legge numero 149 del 2001 stabilisce il diritto del minore adottato di essere informato dei
genitori adottivi sulla sua condizione.

Dall’abbandono all’accoglienza del figlio non proprio

Lo scopo dell’adozione è dunque quello di dare una famiglia ai minori in stato di abbandono, privi di
assistenza da parte dei propri genitori. Parallelamente all’adozione anche la pratica dell’abbandono ha
un’origine molto lontana nel tempo, come modalità per sbarazzarsi di figli illegittimi.
Nel 1975 una riforma del diritto di famiglia, viene sancito il diritto della donna all’anonimato del parto. Si
poteva quindi partorire in maniera anonima e lasciare il proprio figlio per l’adozione. I minori potevano
essere affidati dalla famiglia a un istituto anche qualche anno dopo la nascita.
Oggi la situazione dell’abbandono è notevolmente cambiata nelle sue forme. Gli abbandoni odierni
avvengono dopo qualche anno dalla nascita, di solito a causa della mancanza di adeguate cure o delle
violenze e del maltrattamento subito dal bambino all’interno della famiglia. Tutto ciò rende più complesso il
percorso adottivo. In questi casi, si deve permettere al minore di rielaborare superare le esperienze negative
vissute nella propria famiglia. Inevitabilmente diventa sempre più delicato scegliere dei genitori adottivi in
grado di far fronte a queste nuove necessità.

L’adozione come cura del trauma

È importante conoscere i motivi dell’abbandono, perché il compito dell’adozione e anche quello di


consentirgli, attraverso un lungo e continuo percorso di elaborazione, di sentirsi integrato e di recuperare la
continuità con il proprio sé. Si tratta quindi di permettere al minore di continuare a costruire se stesso senza
rinnegare le proprie origini.
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Il compito dei genitori adottivi e non solo quello di fornire al bambino le buone cure genitoriali che non ho
avuto, ma anche di permettergli di sentirsi integrato almeno nella mente dei suoi nuovi genitori. È necessario
intendere come protagonisti dell’adozione non solo il bambino e i genitori adottivi, ma anche i genitori
biologici che, inevitabilmente continuano ad avere un’importanza fondamentale per tutta la vita
dell’adottato.
L’idea sottesa tutto ciò si fonda sulla necessità di recuperare la storia del bambino come fattore di
stabilizzazione nel suo sviluppo Psico-affettivo.
In questa prospettiva d’adozione come cura del trauma e sostegno nella costruzione dell’identità, e che i
genitori adottivi siano in grado di comprendere il dolore del bambino e di rispecchiare correttamente la sua
esperienza. Occorre che i genitori adottivi si facciano carico di riordinare il mondo interiore del bambino,
aiutandolo a rimettere insieme i pezzi della sua vita, a ricostruire le vicende relazionali vissute, a dare posto
alle emozioni provate, a spiegare le ragioni dei comportamenti dei genitori biologici.
(Vedi scheda 13 —> pag. 298).

L’adozione come supporto nella definizione di sè

Se il bambino adottato è un individuo in un grave momento di crisi per la perdita di punti di riferimento, va
aiutato a superare queste sue difficoltà, va accettato insieme alla sua storia e va aiutato a ritrovare fiducia in
sé. L’adozione deve permettere al minore di recuperare proseguire il cammino verso la sua individuazione.
Infatti il bambino adottato si sente incapace, dipendente e bisognoso di appoggio. Per favorire il suo distacco
occorre quindi aiutarlo a credere in se stesso, nelle proprie capacità.
Non va dimenticata la difficoltà dei figli adottivi ad autodefinirsi, sia per la loro tendenza a svalutarsi e a
demandare ad altri ogni giudizio, sia per il carattere di assoluta novità che ha per lui il nucleo familiare in cui
è accolto.
Un altro fattore consiste nella permanenza nel bambino e nei genitori adottivi della paura di reciproco
abbandono.
Il progressivo distacco che la costruzione dell’identità richiede potrebbe essere mal interpretato sia dal
minore sia dei genitori adottivi. Tutte e due le parti sentono il bisogno di percepire un reciproco
avvicinamento o attaccamento, il figlio per superare le esperienze traumatiche passate e i genitori adottivi
perché la loro paura principale è che il figlio non si affezioni.
In sintesi la possibilità del bambino di costruire un concetto di se è positivo e la propria identità sono
strettamente collegate al tipo di relazione che potrà avere con i suoi genitori adottivi. Egli potrà procedere in
modo costruttivo verso la definizione di sé solo se avvertirà i suoi nuovi genitori disponibili ad avvicinarsi o
allontanarsi in base alle sue esigenze.
Nell’adozione internazionale occorre che la famiglia adottiva accolga non solo la storia passata del bambino,
ma anche la sua cultura e la sua etnia resa evidente dei suoi tratti somatici.
(Vedi scheda 14 —> pag. 300).

Il ciclo di vita della famiglia adottiva

L’adozione a fonda le sue radici in una doppia mancanza: da una parte della coppia la mancanza della
realizzazione del bisogno di maternità-paternità e di una discendenza, da parte del bambino la mancanza di
una famiglia. Il percorso di adozione nasce dall’incontro di queste due carenze.
Un altro elemento che caratterizza l’adozione e la pluri appartenenza familiare. L’adozione non segna
l’ingresso di un bambino in una famiglia, bensì il cambio perché si passa da un nucleo familiare ad un altro.
Anche se sul piano giuridico il rapporto tra la famiglia naturale e il bambino viene reciso, ciò non può
accadere per i ricordi, i vissuti e le varie esperienze relazionali che continuano ad essere presenti a livello
emotivo e simbolico.
Il ciclo vitale della famiglia adottiva si suddivide in tre fasi: fase generativa, fase sociale in fase relativa la
formazione della famiglia adottiva.

La fase generativa

La coppia adottiva all’inizio della sua storia e come tutte le altre, impegnata a costruire la propria identità. Il
normale percorso viene però interrotto quando si giunge alla consapevolezza della propria sterilità. La

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sterilità impone la separazione da un progetto desiderato che era stato interiorizzato come essenziale e
naturale per lo sviluppo familiare.
Il primo compito della coppia è quello di elaborare la sterilità. Per la donna apre una crisi che comprende
vari livelli: quello personale, quello di coppia e quello intergenerazionale.
A livello personale la sterilità biologica rappresenta una grave ferita dell’identità psicologica, sociale e
corporea. Si tratta di un evento traumatico chi è vissuto in maniera diversa dalla donna e dall’uomo.
Prendere coscienza della propria sterilità modifica inevitabilmente gli assetti relazionali della coppia. E
infatti, può essere vissuta dai partner come un tradimento rispetto al patto coniugale. La comunicazione da
parte dei partner della propria infertilità ha delle conseguenze anche a livello intergenerazionale. A questo
proposito, quando la sterilità è accolta e accettata, le famiglie d’origine possono rappresentare una fonte di
sostegno per la coppia.
Il secondo compito della coppia è quello di separarsi dal progetto biologico e riprogettare, negoziare e
condividere un altro progetto generativo di coppia. La Generattività resta un interesse della coppia adottiva
che per questo è chiamato ad approfondire il suo significato simbolico.
L’adozione infatti, di per sé non rappresenta mai la soluzione al problema della sterilità della coppia. È la sua
elaborazione a permettere il passaggio dal desiderare un figlio proprio al desiderio di adottare un figlio di
altri.
L’ultimo compito di sviluppo della coppia nella fase generativa è quello di condividere l’evento sterilità e
rendere partecipi i genitori della scelta adottiva. Il sostegno delle famiglie d’origine è fondamentale.

La fase sociale

Da questo momento nuovi soggetti entrano nella vita coniugale i nuovi compiti si presentano la coppia
adottiva che vanno dall’indagine psicosociale all’assenso per l’abbinamento. L’adozione comporta un alto
livello di esposizione sociale, a differenza invece della gestazione di un figlio biologico in cui la coppia vive
nella propria intimità. Chi desidera adottare un figlio è chiamato a rendere pubblico il proprio desiderio, a
confrontarsi con le leggi che regolano l’adozione, a partecipare all’indagine psicosociale che porta
all’abbinamento della coppia col bambino da adottare.
Il primo compito di sviluppo della coppia in tale fase è quello di elaborare la scelta adottiva alla luce delle
caratteristiche dell’istituto giuridico dell’adozione e delle sue implicazioni sociali.
Il secondo compito di sviluppo della coppia nella fase sociale riguarda la scelta dell’adozione nazionale o
internazionale. È importante che i genitori abbiano delle idee sufficientemente chiare rispetto alla diversità.
La scelta dell’adozione internazionale apre la famiglia all’esperienza multiculturale e richiede ai genitori
competenze di integrazione.
Il terzo compito di sviluppo della coppia in questa fase sta nel collaborar e con i soggetti Istituzionali che si
occupano dell’indagine psicosociale, in modo da sviluppare un rapporto di fiducia utile anche nel periodo
dell’affidamento preadottivo. Questo tratto di strada che deve compiere la coppia è assai faticoso, poiché
richiede la produzione di documenti, la compilazione di questionari e lo svolgimento di colloqui.
Il quarto compito di sviluppo della coppia in questa fase sta nella elaborare l’immagine di un bambino e
avvicinarsi alle caratteristiche del minore in stato di abbandono, in modo da presentare una disponibilità
coerente con la storia e le potenzialità genitoriali della coppia. L’immagine del bambino che si va delineando
corrisponde quindi più alle aspettative che alla realtà del futuro genitore adottivo.
Il quinto compito di sviluppo della coppia è quello di accettare l’attesa come momento di preparazione
all’incontro adottivo. Finito il percorso, la coppia non deve fare altro che attendere di sapere quale bambino
sarà stato considerato per loro. La legge infatti afferma che si scelgono tra le coppie, quella che ha presentato
domanda maggiormente correlata e simile alle esigenze del minore.
L’ultimo compito di sviluppo di questa fase è quello di valutare l’abbinamento e creare uno spazio emotivo
per accogliere quel particolare bambino. Una volta ottenuto l’abbinamento bambino-famiglia adottiva, i
servizi sociali cureranno i primi contatti tra le due parti.
Secondo la legge il minore va sentito quando a tra i 12 e i 14 anni deve prestare il suo consenso all’adozione
se ha più di 14 anni. Quindi un bambino sotto i 10 anni può essere dichiarato adottabile e può essere adottato
senza procedure particolari per ascoltare il suo parere in merito.

La fase di formazione della famiglia adottiva

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L’arrivo del bambino e la sua accoglienza nella nuova casa, sia per la coppia una nuova fase del proprio ciclo
vitale. I compiti di sviluppo di questa fase hanno a che vedere con l’inserimento del bambino nella famiglia.
Questo è il momento della nascita adottiva che ha degli effetti sull’intero sistema familiare.
La genitorialità adottiva si distingue da quella biologica per la doppia appartenenza dei genitori e del figlio.
In queste famiglie adottive la differenza riguarda anche l’asse genitori e figli.
Le diversità principali da confrontare integrare nella famiglia adottiva sono: la differenza di origine, di
comportamento, somatica, etnica e culturale. A ciascuna di essa corrisponde un preciso compito genitoriale.

A proposito della differenza di origine compito dei genitori è quello di riconoscere e accettare la precedente
appartenenza del bambino adottato.
Per la differenza di comportamento e di personalità compito della famiglia e di riconoscere e favorire
l’espressione delle caratteristiche e delle specificità del bambino.
Per la differenza somatica, presente soprattutto nelle adozioni internazionali, il compito della famiglia è
quello di accogliere e valorizzare questa diversità.
Per la differenza etnica, compito della famiglia è quello di permettere al bambino di mantenere la propria
identità etnica e di poter contemporaneamente sviluppare quella dei genitori adottivi.
Per la differenza culturale, che è l’insieme dei comportamenti, delle tradizioni e degli usi e costumi, il
compito della famiglia è quello di permettere al bambino il mantenimento degli usi e costumi della propria
cultura e integrarli con quelli della famiglia adottiva.

Riconoscere la storia di ciascuno e integrare passato e presente del bambino con quello dei genitori
costituisce l’esperienza fondamentale della genitoriali ta e della filiazione adottiva. Tale processo avviene
con la realizzazione di un patto adottivo, ossia l’incastro singolare specifico dei bisogni, delle aspettative, dei
valori, della storia di cui sono portatori i genitori e il bambino.
La reciprocità si manifesta nello scambio dei doni. Bambino adottato porta con sé tre doti: il suo corpo, il suo
nome e la sua storia.
Un esempio al negativo invece è quello in cui tutto ciò viene negato sia da parte dei genitori sia da parte del
figlio.
Vi sono una serie di compiti evolutivi corrispondenti al patto adottivo per genitori, figli e nonni.
Il primo compito dei genitori è quello di costruire la genitorialità adottiva. Quest’ultima richiede un processo
di auto legittimazione.
Tale auto legittimazione interna avviene nella co-costruzione quotidiana della verità narra abile o storia
comune delle origini alla quale partecipano genitori e bambino.
Il secondo compito dei genitori è quello di legare tra di loro le generazioni inserendo nella famiglia
un’origine diversa.
Il terzo compito dei genitori è quello di sostenere il figlio nel suo inserimento sociale. I genitori sono
chiamati a supportare il figlio perché possa inserirsi in modo adeguato nel contesto socio culturale di
appartenenza.
Soprattutto nei primi mesi di adozione l’inserimento del bambino nell’ambito scolastico ed extra scolastico è
un evento molto importante e stressante per la vita familiare e soprattutto per il bambino che si deve adattare.

Il primo compito che riguarda il figlio adottivo e la costruzione della filiazione adottiva. In modo speculare
ai genitori adottivi anche il bambino è chiamato a sentirsi figlio dei nuovi genitori.
Il secondo compito sta nel riconoscersi parte della storia familiare nella consapevolezza delle diverse origini.
Il figlio deve sentirsi parte della comune storia familiare pur essendo cosciente che le sue origini sono altre.

Anche i nonni sono coinvolti nella transizione adottiva visto che l’ingresso di una nuova generazione fa
salire di un gradino quelle precedenti nella scala generazionale. Il primo loro compito è anzitutto quello di
sostenere i propri figli nella transizione adottiva. Il secondo compito di sviluppo che tocca i nonni è quello di
accogliere il nipote come continuatore della storia familiare. L’accoglienza del bambino adottato si deve
estendere dei genitori a tutta la parentela.

Fallimenti adottivi

L’adozione internazionale è sottoposta allo stesso rischio di fallimento di quella nazionale. Vi sono alcuni
indicatori di rischio rispetto al fallimento adottivo. Il primo fattore segnalato riguarda le coppie con disturbi e
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funzionamento Psico somatico. In alcuni casi l’impossibilità di procreare è vissuto in modo frustrante e
doloroso, così da sviluppare nell’individuo sintomi somatici.
Altra difficoltà è stata riscontrata in quei casi in cui alle spalle della scelta adottiva c’è una malattia organica
e una disabilità. Aumentano i casi di domanda di adozione da parte di coppie in cui uno dei due partner è
affetto da una malattia cronica progressiva.
Altro indicatore di rischio riportato è quello relativo all’adozione dopo la morte di un figlio. In questo caso
va evitato che i genitori vedano nel figlio adottivo il sostituto di quello scomparso è una modalità per
risanare le ferite causate dalla perdita.
Un’altra categoria di genitori da esaminare con particolare cura sono quelli che si rifiutano di procreare
portando motivazioni filantropiche. Spesso, infatti dietro le proprie motivazioni nascondono forti ansietà
riguardanti la gravidanza o il parto, timori di trasmettere malattie genetiche o profonde problematiche
riguardanti la sessualità di coppia.
Una certa attenzione occorre porla anche nei casi di adozione da parte di famiglie con figli. La presenza di
figli biologici è anzitutto una risorsa per il processo adottivo. Diviene un rischio invece, quando è fatta con
superficialità sottovalutando il carico emotivo che i figli dovranno sopportare.

Capitolo 14: La famiglia affidataria

Accanto all’adozione, se pur con caratteristiche diverse, si pone l’istituto dell’affido familiare. Tra i diritti di
ogni bambino c’è quello di poter crescere in una famiglia, all’interno di un sistema di relazioni e di affetti
che gli permetta di far fronte ai compiti di sviluppo della sua età.
L’affido familiare risulta un intervento temporaneo e di sostegno a un minore quando la sua famiglia naturale
non è in grado di garantirgli l’assistenza morale e materiale necessarie. Le caratteristiche principali
dell’affido sono la temporaneità dell’intervento, il mantenimento dei rapporti con la famiglia d’origine e
l’attivazione di azioni volte al recupero della stessa.
Così all’intervento sul minore si accompagna una specifica attenzione alla sua famiglia perché recuperi al
suo interno positive condizioni di convivenza e di relazione. L’affidamento punta sul passaggio di risorse da
una famiglia all’altra e rappresenta uno spazio di solidarietà tra due famiglie.
Il compito della famiglia affidataria e allora quello di mantenersi aperta e libera da pregiudizi nei confronti
della famiglia d’origine, mentre il compito della famiglia d’origine è quello di collaborar e ad un programma
di recupero per riuscire ad essere in grado di ri-accogliere il minore.
La durata dell’affidamento è temporanea: da alcuni mesi fino a un massimo di due anni, come disposto dalla
legge. L’affidamento può essere diurno o part-time, quando è limitato ad alcune ore durante la giornata,
oppure residenziale, quando il minore va a vivere presso la famiglia affidataria.
Fra i motivi che hanno portato ad avviare il percorso di affidamento familiare quello che predomina in
assoluto e relativo a condotte di abbandono o di grave trascuratezza da parte della famiglia d’origine. A
seguire poi ci sono altri problemi come tossico dipendenza, gravi problemi economici,…

L’affido come evento critico familiare

L’avvio del progetto di affido rappresenta un evento critico non solo per la famiglia affidataria, ma anche per
quella naturale. In tutti e due i casi, sia l’uscita che l’ingresso del minore, comporta una modifica del nucleo
familiare a tutti i livelli.
Il successo del progetto dipende da come ambedue i nuclei riescono a superare i rispettivi compiti legati
all’affido e da quanto riescono a mantenersi reciprocamente aperti l’uno all’altro.
Il primo tipo di cambiamento che coinvolge le due famiglie e di tipo strutturale. Avviene una mutazione
nella composizione dei due nuclei.
Quando poi nella famiglia sono presenti anche dei figli, e chiaro che pure loro vengono coinvolti
nell’accoglienza del nuovo venuto all’interno del sottosistema fratelli.
Anche la famiglia d’origine del bambino affidato è implicata in un importante transizione a livello strutturale
con l’uscita del figlio. Tutti i suoi membri sono chiamati a tollerare questa mancanza e ad elaborare il
distacco e i motivi che lo hanno causato.
A livello emotivo la famiglia affidataria non potrà che rimanere coinvolta dal vissuto e dalle esperienze
problematiche del minore in affido. Anche l’organizzazione dei nuclei familiari cambia. La famiglia
affidataria dovrà ritagliarsi dei tempi per la cura del minore e per venire incontro alle sue necessità. La
riorganizzazione familiare riguarda anche la ripartizione degli spazi fisici e mentali della famiglia.
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Compiti di sviluppo in preparazione all’affido

Non è facile per la famiglia naturale accettare l’affido come risorsa per sé e per il figlio. Essa avverte sempre
di subire un danno con l’allontanamento del minore.
Di fronte alle proprie difficoltà sono pochissime le famiglie che in modo esplicito chiedono di affidare il
proprio figlio a un’altra famiglia.

Nella famiglia affidataria tra i compiti di sviluppo che aprono il percorso di affido, cioè quello di condividere
la scelta di affido tra i partner, i figli e la famiglia allargata. Occorre anche che gli eventuali figli e le famiglie
d’origine possano sentirsi parte del progetto.
Nella maggior parte dei casi, sono le mogli a proporre tale esperienza. Per quanto riguarda la disponibilità
manifestata dagli altri membri della famiglia alla prospettiva di affidamento familiare è interessante notare
come nei ceti bassi ci sia una piena adesione da parte dei figli e ancora di più dei nonni. Viceversa invece nel
ceto medio dove emerge una posizione di maggiore distanza che nel ceto alto aumenta ancora di più.
Quando la famiglia chiede l’affidamento di un minore è importante che gli operatori dei servizi sociali
l’aiutino a verificare le proprie motivazioni. Tali motivazioni sono raggruppabili attorno a due grandi aree
tematiche: una che riguarda motivazioni di tipo espressivo, dove l’attenzione è rivolta alle proprie esigenze
di relazione e di identità. L’altra che comprende motivazioni di tipo altruistico e solidaristico.
Un momento particolarmente importante della fase che precede all’inserimento del minore nella famiglia
affidataria è quello dell’abbinamento. L’équipe dei servizi sociali negli incontri che svolge con le varie
famiglie che hanno chiesto l’affidamento cerca di raccogliere informazioni utili così per costruire degli
abbinamenti bambino-famiglia il più possibile idonei e corrispondenti alle esigenze del minore. In questo
caso il compito della famiglia affidataria è quello di collaborar e con i servizi in vista della decisione di
abbinamento (vedi scheda 15 pag. 321).

Compiti di sviluppo durante l’affido

Il primo passo della famiglia naturale è quello di accettare la separazione dal figlio ed elaborare il
conseguente lutto. Per la famiglia naturale non è facile accettare l’aiuto della famiglia adottiva, in quanto
tutto ciò equivale a riconoscere le inadeguatezze familiari e per i genitori il fallimento del proprio ruolo
educativo. Aldilà che l’affido sia consensuale o giudiziario, i sentimenti che accompagnano l’allontanamento
del minore sono vari e complessi.
La famiglia naturale per questo deve essere coinvolta nel progetto educativo del proprio figlio perché possa
sentirsene responsabile ed essere parte attiva nella sua definizione. La famiglia naturale è infatti chiamata a
mantenersi in relazione con il figlio, seppure nel rispetto delle regole stabilite dal progetto.
A proposito del mantenimento della relazione tra minore e la propria famiglia, va detto che i rientri a casa del
bambino non sono sempre semplici.
Il benessere e le cure ottenute provocano nel minore investimenti affettivi nei confronti dei genitori
affidatari, la loro idealizzazione e il confronto con i genitori naturali, suscita il desiderio di stare
maggiormente o anche definitivamente nella famiglia affidataria. I rientri a casa possono quindi diventare
conflittuali, non desiderati.
Ultimo compito della famiglia naturale in relazione a questa fase è quello di impegnarsi nella soluzione dei
problemi familiari che hanno determinato l’affido, anche accettando il sostegno dei servizi.

Il primo compito della famiglia affidataria rispetto a questa fase è quello di riorganizzare le relazioni
familiari in modo da accogliere il minore. E dalla condivisione dell’esperienza quotidiana che famiglia
affidataria e bambino impareranno a convivere. Per circa il 40% degli affidatari l’inizio del rapporto risulta
morbido perché avevano già una conoscenza diretta del minore. Un’altra buona parte degli affidatari invece
lamenta di non essere stata informata in modo esauriente sulle condizioni del minore.
Questa mancanza di conoscenze rende più delicata la fase dell’accoglienza, aumentando le paure derivanti da
margini di incertezza e imprevedibilità. Il minore invece sembra essere stato ben preparato all’ingresso nella
nuova famiglia e alle difficoltà che ciò comporta dei servizi sociali e dagli educatori.
A livello organizzativo un primo cambiamento riguarda la riorganizzazione dei tempi di lavoro. Per quanto
riguarda i cambiamenti nelle abitudini di vita è stato messo in evidenza il fatto che nei ceti bassi e in quelli
alti sia solamente uno dei coniugi ad IndyCar, mentre nei ceti medi, il problema riguarda entrambi i coniugi.
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Ciò porta a ipotizzare che le famiglie di ceto medio abbiano una visione più paritetica dei membri della
famiglia.
Nel comportamento dei figli rispetto al nuovo venuto prevale la dimensione dell’intesa e dell’amicizia, anche
se non manca una certa gelosia.
Altri due compiti che spettano alla famiglia affidataria sono quello di collaborar e con la famiglia naturale e
quello di permettere al minore di mantenersi in relazione con la propria famiglia.
Inoltre, mentre la famiglia affidataria permette al bambino di restare in contatto con la propria famiglia,
occorre che lo aiuti anche a mantenere uno sguardo realistico rispetto alla sua problematicità.
Gli affidatari devono rispettare il legame che c’è tra bambino e famiglia naturale, ma dall’altra parte Devono
ridimensionare le illusioni e le sue idealizzazione. Il minore ha bisogno di vedere che la sua famiglia di
origine non viene giudicata dagli affidatari.
Un ultimo compito di sviluppo della famiglia affidataria relativamente a questa fase è quello di mantenersi
aperta ai servizi in modo da usufruire del loro aiuto. L’affidamento familiare non richiede solamente delle
modifiche relazionali con la propria famiglia, ma anche con la comunità sociale. L’affido infatti rappresenta
l’atto con cui la famiglia diventa privato sociale, ovvero espressione di una comunità che si prende cura dei
suoi soggetti più deboli.

Compiti di sviluppo alla fine dell’affido

L’affidamento cessa quando la famiglia d’origine supera le sue difficoltà o quando la prosecuzione possa
recare danno al minore. Quindi la storia ottimale di un affido è quella che ha una durata limitata e si conclude
con il rientro del minore nella famiglia di origine risanata.
Alla fine del percorso di affido i compiti di sviluppo che spettano alla famiglia naturale sono relativi alla
riorganizzazione delle relazioni familiari. Invece, i compiti di sviluppo della famiglia affidataria sono quelli
di accettare la separazione dal minore ed elaborarne il conseguente lutto.
Il termine del percorso di affido si presenta come una fase molto delicata.

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