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PSICOLOGIA DEI LEGAMI FAMILIARI

I. IL QUADRO STORICO E TEORICO


LA FAMIGLIA TRA IDENTITA’ E MUTAMENTO

Due sono le domande fondamentali che hanno segnato il percorso storico-teorico sulla famiglia, quella sull’identità
(cos’è la famiglia e come definirla) e quella sul mutamento familiare (come si evolve la famiglia).

Possiamo individuare nelle teorizzazioni sui piccoli gruppi e nella teoria dei sistemi gli approcci che più hanno
contribuito a rispondere alla domanda sull’identità della famiglia. Mentre nella Family stress and coping tory e nella
family development teory quelli che si sono occupati dei mutamenti familiari.

A partire dagli anni ’80, l’interesse degli studiosi si sposta e concentra il tema sul funzionamento della famiglia
attraverso mini-teorie.

COME DEFINIRE LA FAMIGLIA: LA DOMANDA SULL’ IDENTITA’ FAMILIARE

La famiglia come piccolo gruppo: aspetti di somiglianza e di differenza

Gli studiosi sono stati colpiti dall’unità familiare. Burgess ad esempio definiva la famiglia come “unità di persone
interagenti”. Kurt Lewin in quel periodo riesce a concepire il gruppo come fatto psicosociale. Egli definisce il gruppo
come:
 Il gruppo è qualcosa di più, o meglio qualcosa di diverso dalla somma dei suoi membri,
 Ha struttura e fini peculiari e relazioni particolari con gli altri gruppi,
 Può definirsi come totalità dinamica.

Emergono così due aspetti innovativi: l’idea che il gruppo sia un’eccedenza e il secondo è l’idea di interdipendenza dei
membri. La definizione di famiglia come piccolo gruppo si è quindi definita negli anni ’50.

L’oggetto famiglia arriva dunque ad assolvere pienamente le caratteristiche richieste dai gruppi sociali. Alcune
caratteristiche sono di natura psicologica come:

 presenza di interazioni frequenti orientate al perseguimento di uno scopo comune ai componenti


dell’insieme in esame,
 presenza di consapevolezza.

Altri riflettono in maniera più evidente sui processi di natura sociale:

 presenza di una struttura organizzativa orizzontale


 presenza di una struttura gerarchica verticale
 presenza di una struttura normativa

Il “vantaggio” del gruppo/famiglia è dovuto al fatto che esso viene considerato un sistema sociale in miniatura. Il
gruppo sociale negli ultimi anni è stato concepito come un contenitore, e il focus si è spostato dalle qualità psichiche
del campo, le forme di relazione all’individuazione dei flussi di interazione. Emerge così la necessità di trovare
differenze tra la famiglia e i piccoli gruppi.

I piccoli gruppi appaiono caratterizzati da setting artificiali, alto livello di manipolazione da parte del ricercatore e
controllo massimo delle variabili, mentre la famiglia rappresenta il setting naturale e minimi livelli di manipolazione e
controllo. La famiglia è quindi una forma sociale primaria perché sta all’origine della stessa civilizzazione in quanto
luogo che garantisce il processo generativo dal punto di vista biologico, psicologico, sociale e culturale. Essa è anche
una forma sociale primaria. Differenti sono gli scopi dei due tipi di gruppi, in quanto la famiglia ha come scopo lo
sviluppo dei suoi membri e della famiglia come un tutto, mentre i piccoli gruppi sono finalizzati da produttività e
efficienza. E’ differente così anche la gestione del potere, nei gruppi c’è la necessità di un leader mentre nella famiglia
il potere è suddiviso in base ai ruoli da essi ricoperti e dalla posizione intergenerazionale occupata. I gruppi famiglia
possiedono la dimensione storico-temporale, che non è per niente significativa nei gruppi ad hoc.

In sintesi, l’identità della famiglia viene identificata: nel suo essere gruppo naturale/primario, dotato di totalità
dinamica, interdipendenze e nell’avere sue specificità per quanto riguarda la struttura, i fini e la dimensione
temporale.
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La famiglia come sistema: il caleidoscopico contributo della terapia familiare

Nel 1950 nasce la terapia familiare, un movimento policentrico che presenta molti e diversi punti d’origine. Un primo
filone è dato dalla psicoanalisi. Facciamo riferimento a Sullivan e Fromm-Reichmann, che nel 1948 sviluppa il concetto
di “madre schizofrenogena” per censurare la schizofrenia del figlio. Si tratta di un primo tentativo di indagare questa
forma della sofferenza psicotica, spostando l’attenzione dall’inconscio individuale alle relazioni significative per la vita
della persona. Si vuole quindi ricercare strumenti più efficienti di quelli che aveva precedentemente trovato Freud. Ad
esempio, Nathan Ackerman, pioniere della terapia familiare a New York. In italia abbiamo Mara Palazzoli, a dare un
contributo allo sviluppo della clinica della famiglia, lavorando su pazienti anoressico-bulimiche. Troveremo quindi un
cambiamento clinico. Esso si occuperà del disagio clinico non più legato al singolo individuo bensì nel suo contesto
relazionale.

Emerge così il concetto di sistema partendo da due linee teoriche: la cibernetica (branca della matematica che si
occupa dei processi di scambio dell’informazione) e la teoria generale dei sistemi.

Esso (il sistema) possiede la non sommatività, dal momento che esso possiede una totalità con le sue proprietà che
emergono dalla complessità delle interconnessioni delle sue parti. Gli scambi delle parti del sistema non avvengono in
modo casuale, essendo organizzate secondo regole (pattern).

Meccanismi di autoregolazione, che consente di evitare cambiamenti destabilizzanti. Il mantenimento della stabilità di
un sistema è fondato sulla natura circolare dove ogni azione sia anche effetto o reazione, in un constante
influenzamento reciproco. Nei primi anni, il lavoro di ricerca del gruppo si concentra sugli scambi comunicativi, con
particolare attenzione al membro schizofrenico. Grazie a questa si sposta il focus sull’attenzione dalla psiche
individuale a ciò che accade fra i soggetti.

Concezioni sistematiche della famiglia:

 Sottolineano che la famiglia è più la somma delle parti,


 Enfatizzano le interazioni dinamiche reciproche tra le parti (individui, sottosistemi come diversi ambiti
relazionali, tra le diverse parti) e le dimensioni contestuali, sociali e culturali della famiglia. Scambi con altri
sistemi presenti nel contesto sociale di appartenenza.

La famiglia è quindi un sistema aperto che funziona in relazione al suo contesto socioculturale e si evolve durante il
suo ciclo di vita.

Apporto sistemico dalla definizione di famiglia:

 Natura relazionale, nessi logici e vitali con i propri membri e con altri sistemi
 Qualificazione astratta della famiglia

La famiglia come organizzazione

Concezione della famiglia come organizzazione, sottolineando l’aspetto organizzativo della famiglia, il suo essere una
totalità organizzata. La famiglia organizza relazioni di parentela. Bisogna quindi allargare il campo, l’organizzazione
tiene conto della dinamicità dei ruoli.

COME CAMBIA LA FAMIGLIA: LA DOMANDA SUI MUTAMENTI FAMILIARI

Le teorizzazioni che hanno posto attenzione al tema del cambiamento familiare sono identificabili nella teoria dello
stress and coping e nella teoria dello sviluppo familiare. La prima teoria si concentra sugli eventi imprevedibili che la
famiglia può incontrare mentre la seconda si occupa soprattutto del ciclo di vita familiare e degli eventi prevedibili.

I cambiamenti familiari secondo la Family Stress and Coping Theory (FSCT)

Essa concentra la sua attenzione sugli effetti causati da sconvolgimenti interni alla famiglia o esterni ad essa.

Al suo interno possiamo parlare del modello ABCX di Hill del 1949 che spiega gli effetti delle separazioni familiari a
causa della guerra. Secondo tale modello la crisi (X) è il risultato dell’interazione tra un evento stressante (A), la
maggiore o minore capacità della famiglia nel trovare risorse (B) e la definizione che la famiglia da all’evento e della
sua gravità (C o percezione dell’evento). Il processo riadattavo della famiglia dopo l’impatto con l’evento stressante
comprende tre fasi: un periodo di disorganizzazione, un periodo attivo di ricerca e l’arrivo a un nuovo livello di
organizzazione.

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Dopo il modello di Hill ci sono stati molti altri contributi come quello di:

 Antonovsky (1979), il quale contribuisce a un rafforzamento della teoria dello stress definendo il paradigma
adottato come “saluto genico” in opposizione al paradigma “patogenico”. Egli sottolinea il fatto che gli esiti di una
crisi della famiglia non siano necessariamente negativi ma come l’esperienza allo stress possa contribuire al
rafforzamento degli individui e delle famiglie. Essi concentrano l’attenzione sui sintomi del benessere e si
interrogano su cosa consente alla famiglia di stare bene anche in situazioni di stress.
 McCubbin e Patterson (1983), mettono a punto il FAAR (family adjustement and adaptation reponse model), un
modello di spiegazione del funzionamento familiare secondo il quale la famiglia va intesa come un sistema che
viene continuamente sottoposto a sfide che si presentano sottoforma di eventi stressanti o di tensioni. Secondo
gli autori la famiglia nel suo ciclo di vita è caratterizzata da fasi di funzionamento (momento stabile e prevedibile)
e di adattamento. La fase di funzionamento è un periodo della vita familiare relativamente stabile e prevedibile,
durante il quale la famiglia riesce a far fronte alle richieste provenienti dal proprio interno o dal mondo sociale.
Essa può usare a questo livello strategie di evitamento, eliminazione o assimilazione. La prima comporta la
negazione o la sottostima delle richieste. L’eliminazione è il tentativo di sbarazzarsi delle richieste o di minimizzare
il loro significato in modo tale che la famiglia non debba cambiare. L’assimilazione è la modalità più evoluta di
affrontare le richieste, la famiglia accetta di modificarsi per accogliere le domande, ma i cambiamenti cambiano
solo i pattern di interazione. La crisi vera e propria emerge quando la famiglia è sottoposta a sfide. Il processo di
cambiamento richieste dagli eventi stressanti include diversi componenti: una nuova consapevolezza, una
definizione condivisa degli elementi stressanti, la ricerca o il rafforzamento e l’attivazione di specifiche strategie.
Le strategie mirano a ridurre il numero o l’intensità delle richieste, acquisire direttamente risorse non ancora
disponibili, mantenere e riutilizzare in maniera nuova le risorse già disponibili… L’analisi delle strategie di coping
presenta un versante di tipo cognitivo-emotivo ed un versante più pragmatico-comportamentale. Abbiamo dei
fattori fondamentali per la teoria dello stress e coping che sempre più si concentra sui concetti di coping. I fattori
sono: la coesione, l’adattabilità e la capacità di comunicazione, la forza della coppia coniugale, la capacità di
definire con chiarezza i confini familiari e l’abilità del problem solving. Secondo Antonovsky una buona capacità di
coping dipende dal senso di coerenza. Le ricerche da lui condotte riportano a dire che le abilità di coping sono
rafforzate quando i membri della famiglia condividono valori, scopi e impegni. Un altro fattore importante per il
coping è il supporto della rete sociale. Il sostegno sociale è l’insieme delle informazioni, scambiate a livello
interpersonale, che fornisce sostegno emotivo, stima e aiuto e si fonda sull’appartenenza di una rete. Gli enti che
offrono sostegno alle famiglie li ritroviamo nelle reti “informali” e “formali”. I “modulatori dello stress” è il nome
associato a questi enti che diminuiscono gli effetti negativi di una situazione stressante. A partire dagli anni ’90
nello studio della teoria dello stress and coping si è sviluppato il costrutto di “coping diadico” che parte dall’idea
che il processo di coping debba essere considerato anche espressione di una reciproca influenza che i soggetti
impegnati in una relazione esercitano sul benessere. Ciò che differenzia le prospettive da quest’ultimo è il
significato di esso. In alcuni contribuiti il coping diadico è concepito come interazione tra le strategie di coping dei
partner oppure come strategie che ogni partner mette in atto per preservare il benessere dell’altro/relazione. Il
modello dello sviluppo contestuale individua invece la tendenza del coping diadico a modificarsi nel tempo.

I cambiamenti familiari secondo la Family Developmental Theory (FDT)

Essa ha origine alla fine degli anni ’40 e basa il suo concetto di cambiamento familiare sull’idea che le famiglie
cambiano forma e funzioni nel corso del loro ciclo di vita in una sequenza ordinata di stadi di sviluppo. Essa riporta un
ritorno alla normalità.

Questo approccio ha una connotazione interdisciplinare: punto di confronto tra economisti, psicologi, demografici e
sociologi. Grazie a Duvall e Hill che nel 1948 vengono chiamati a presiedere il Commise on the Dynamics of Family
Interaction alla National Conference on Family life, si dà il via allo sviluppo e la circolazione di nuove idee sulla
struttura e sul funzionamento della famiglia, come organizzazione di persone in continua crescita. La famiglia deve
riorganizzare le caratteristiche dei ruoli di ciascun membro, per fare fronte ai cambiamenti attraverso l’assunzione di
precisi compiti di sviluppo. Duvall propone la suddivisione in 8 stadi del ciclo di vita familiare (inizio, allevamento,
figlio di età prescolare, figlio in età scolare, adolescenti, come trampolino di lancio, mezza età, anziana). Per fare
questo usò tre criteri: cambiamenti della dimensione della famiglia, cambiamento di età del figlio maggiore,
cambiamento dello status lavorativo.

Rodgers nel 1964, amplia lo schema individuando 24 stadi per dare conto con precisione della crescita di più figli.

Hill descrive la generazione di mezzo come ponte tra gli anziani e i giovani: in ogni fase del ciclo si ha a che fare con
almeno 3 generazioni. Hill vuole distinguere le caratteristiche di esse. C’è una rigidità di questo approccio normativo di
concepire il cambiamento (inteso come un percorso obbligatorio, poco spazio lasciato alla considerazione delle
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difficoltà dalla transazione di uno stadio all’altro) che porta a spostarsi verso un approccio sociologico e psicologico.
L’attenuamento dei limiti e ampliazione di prospettiva secondo Hill è favorita da:

 teoria dei sistemi: l’interconnessione dei componenti della famiglia varia di intensità e conosce periodi di forza e
di debolezza. in una seconda area di confronto si riconosce la natura sociale della famiglia che si evolve anche in
funzione delle aspettative della società. L’ambiente sociale diventa importante per comprendere il
funzionamento della famiglia e come affronta gli eventi del ciclo di vita.
 Dialogo con l’intervento sociale e clinico, arricchisce l’originario schema dell’approccio dello sviluppo aprendolo a
una prospettiva temporale multigenerazionale (per comprendere la famiglia nel presente è necessario percorrere
le generazioni passate: gli eventi nodali vengono colti nelle connessioni intergenerazionali.
 Confronto della teoria dello stress e coping, l’attenzione si sposta da elementi descrittivo - strutturali a quelli di
processo “familiare, sottolineando gli aspetti di discontinuità. Attenzione ai fattori che facilitano o meno il
passaggio da uno stadio all’altro del ciclo di vita e meccanismo di coping. Boss collocandosi in questa teoria dice
che la fonte di stress più disorganizzante in una famiglia è la capacità o meno di gestire le ambiguità nelle fasi di
transizione del compito evolutivo e di affrontare lo stress. È fondamentale capire la durata e il grado di questa
ambiguità. Questa visione è dinamica e rispetta la complessità dell’organizzazione familiare.

Famiglia come sistema emozionale plurigenerazionale e il movimento della famiglia attraverso il proprio ciclo di vita
non è lineare. Questa prospettiva rappresenta l’interazione esistente tra i livelli sistemici (individuale, familiare e
culturale) lungo una dimensione temporale verticale, quindi il tempo storico, e una orizzontale, tempo che si spande
nel presente. La famiglia inoltre è in uno spazio intermedio tra soggetto e cultura, sottolineandone la sua funzione
regolatrice di scambi e rapporti.

La proposta di McGoldrick, Heiman e Carter dimostra una flessibilità che supera i limiti segnalati dagli altri contributi
dell’approccio dello sviluppo.

In una recente revisione della FDT, Martin (2018) osserva che l’approccio dello sviluppo mantiene una sua validità che
consente di tenere in considerazione tutti i livelli della ricerca sulla famiglia da quello individuale fino a quello sociale
considerando la famiglia come istituzione. Martin sottolinea come l’approccio allo sviluppo abbia costituito la base
teorica di una varietà di temi di ricerca in ambito familiare.

Possiamo dire che grazie alle due teorie emerge una concezione della famiglia che possiamo sintetizzare come:

 la famiglia è un microsistema sociale e intergenerazionale in evoluzione con caratteristiche proprie non


ricavabili dalla somma dei suoi componenti,
 essa è ritenuta capace di reagire agli stress prevedibili e non che incontra nel suo percorso,
 l’entrata e l’uscita e lo sviluppo dei membri della famiglia costituiscono eventi critici prevedibili,
 la crescita della famiglia è legata al suo effettivo superamento di tali eventi critici.

La famiglia è infatti definita come “microsistema plurigenerazionale in evoluzione”

IDENTITÀ E MUTAMENTI FAMILIARI: DALL’ELABORAZIONE DI MODELLI INTEGRATI AL PLURALISMO DEGLI ANNI 90


FINO AL DECOSTRUZIONISMO DEGLI ANNI 2000

I modelli di funzionamento della famiglia degli anni ‘80

L’era dei modelli è connessa all’interesse, da parte di clinici e ricercatori, per la famiglia normale, invece che per la
famiglia sintomatica. I modelli tengono conto delle caratteristiche che definiscono l’identità della famiglia, sia quelle
che ne consentono l’interpretazione del mutamento.
Klein e White (1996) definiscono questi modelli come “rappresentazioni di come un determinato fenomeno funziona”
e ruotano attorno ad alcune variabili che a seconda della loro combinazione danno luogo a tipologie familiari.

Olson, invece, identifica due variabili principali: coesione, flessibilità e una variabile facilitante, la comunicazione.
In particolare, la coesione definita come “il legame/impegno emozionale reciproco tra i membri di una famiglia”, ha a
che fare con gli aspetti di unità e legame tra le persone che rendono la famiglia un insieme che è qualcosa di più della
semplice sommatoria di individui. Il concetto di flessibilità si riferisce invece alla “quantità di cambiamento nella
leadership, nei ruoli e nelle regole relazionali”. Con lui possiamo parlare di modello circonflesso.

Beavers, invece, identifica due variabili: stile familiare con una tendenza centripeta (legare i membri in essa) o
centrifuga (espellere i membri da essa) e la competenza (tipo di struttura, qualità degli scambi, capacità di

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adattabilità alle esigenze). Combinate si ottengono tipologie di famiglia ottimali, adeguate o disfunzionali. Il modello
di riferimento è quello della competenza familiare.

Reiss, si concentra sullo stile interattivo familiare. Le unità familiari sviluppano un modo condiviso di
percepire il mondo interno ed esterno alla famiglia: Paradigma familiare. Esso ha tre variabili:
configurazione, coordinazione e chiusura. La combinazione di queste variabili dà origine a diverse tipologie
familiari: sensibili all’ambiente, alla distanza interpersonale e al consenso.

Dal pluralismo degli anni ’90 al decostruzionismo degli anni 2000, alla ricerca di nuovi orientamenti

Alla fine degli anni ’80 il tentativo di individuare dei modelli e di formalizzare attraverso tipologie le caratteristiche del
funzionamento familiare sembra iniziare a declinare. Per Klein e White (1996), gli anni ’90, influenzati dalla posizione
post positivistica, sono così caratterizzati dalla sfiducia nel riuscire a reperire modelli e regolarità. Si percepisce una
trasformazione dei fondamenti teorici in miniteorie. Una considerazione ricorrente tra gli studiosi della famiglia
diventa perciò relativa alla cosiddetta “ateoreticità” delle ricerche sui temi familiari. Diverse sono le interpretazioni
del pluralismo in questo decennio, che può essere dovuto dalla crescita degli studiosi della famiglia oppure per la
nascita di innumerevoli teorie. Un’altra possibile ragione, come osserva Emery (1988) può essere indicata dal fatto che
i fenomeni familiari sono spesso frutto di processi multifattoriali e che nessuna teoria psicologica o sociale può dar
conto adeguatamente ed esaustivamente dei loro molteplici ed interagenti aspetti.
Il pluralismo degli anni ’90, che ha come posizione sottostante il costruttivismo, farà poi i conti con il diffondersi del
decostruzionismo, che ha le sue radici culturali nel radicalismo nichilista e nel pensiero debole della società liquida. Si
fanno così strada posizioni teoriche che mettono radicalmente in discussione gli stessi elementi strutturali della
famiglia, come nelle cosiddette teorie del gender.

II. MODELLO RELAZIONALE SIMBOLICO TRA IDENTITA’ E CAMBIAMENTO FAMILIARE

Il modello relazionale simbolico è messo a punto da Scabini e Cigoli. Bisogna provare a rispondere alle domande “cos’è
la famiglia?” e “come interpretare il suo cambiamento”.

IDENTITA’ DELLA FAMIGLIA: PAROLE CHIAVE

La famiglia: corpo sociale che genera

La famiglia è resa diversa dai gruppi per via della generatività, il fatto generativo. La famiglia quindi genera, è quel
corpo sociale che genera. La struttura organizzativa della famiglia prende cioè la forma del corpo. Cigoli (1992) ha
usato la metafora del corpo. La parola corpo è polisemica, ha molti significati ed è usata per indicare un’entità fatta di
materia o di persone che hanno una forma o una struttura, ma è usata anche in senso più attivo come quando si dice
che qualcosa “prende corpo”, ci riferiamo quindi sia alla condizione strutturale della famiglia come gruppo/sistema sia
ad un processo di appartenenza. Ciò che distingue però il corpo, è il suo compito, cioè generare. Generare è più
chiaro se confrontato con il termine riproduzione. La seconda è legata al mondo animale e indica una riproduzione in
serie. La riproduzione umana è sorretta dal mandato “biblico” di far proseguire la specie umana. Il piccolo dell’uomo
che nasce non serve solo a far continuare la specie umana, ma la rinnova. Il piccolo dell’uomo è un generato, legato
per sempre ai suoi generati che lo riconoscono e che egli riconosce. Dare il nome sigilla il riconoscimento. La
generazione umana spinge non solo in avanti ma anche indietro, rimanda ad una genealogia. Il tema dell’origine e del
riferimento ad una “catena generazionale” come ricordava Freud è fondamentale. Generare significa quindi dare la
vita ad un essere umano, frutto del legame tra generati che a loro volta sono generati e che rimandano alla duplice
genealogia paterna e materna. La famiglia è quindi quel corpo sociale che genera un nuovo essere umano, una nuova
persona legando tra loro, collegando, generazioni e stirpi. La differenza di genere è alla base della relazione della
coppia. Il termine gender si riferisce all’identità socioculturale del sesso maschile e femminile. La differenza di
generazione è invece alla base della relazione parentale-filiale e implica la conseguente responsabilità di quella che
precede su quella che segue. La relazione generazionale-filiale viene intesa in senso lungo, si tratta di un albero
genealogico.

Caratteristiche dei legami familiari

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 Sono legami primari: i membri della famiglia sono infatti legati tra di loro in quante persone, cioè nella totalità e
unicità del loro essere, al di là del ruolo che ricoprono e dell’efficienza delle loro prestazioni come sperimentano
le famiglie che hanno al loro interno “membri deboli”
 Sono vincolati: i gradi di libertà di scelta dei legami familiari hanno limiti strutturali e culturali.
 Sono gerarchicamente strutturati
 Sono definiti sia da aspetti “affettivi” che “etici”
 Sono finalizzati al generare

DALLA GENERATIVITA’ AL MODELLO RELAZIONALE-SIMBOLICO

La generatività è il compito della famiglia e come essa si distingua per la caratteristica simbolica specie-specifica che
avvolge il fatto creativo. Essa però può fare riferimento anche all’adozione. Con Erikson (1982), possiamo definirla
come in senso espansivo come prendersi cura di ciò che insieme è stato generato, ma anche ciò che è all’ordine della
creatività. Contributi successivi di Mc Adams e de St. Aubin (1998) hanno esteso la generatività alla cura/investimento
da parte delle generazioni adulte verso quelle successive. Possiamo quindi parlare di generatività sociale.

Il modello relazionale-simbolico: il relazionale

L’interazione è ciò che è osservabile nel qui e ora, gli scambi, le comunicazioni che si effettuano in famiglia. È il livello
di osservazione da cui il ricercatore, lo studioso o chi opera con e per le famiglie, deve partire per avviare un processo
di conoscenza della famiglia. La relazione famigliare rimanda a un legame che precede l’interazione in atto e ne
costituisce il contesto significativo. La relazione lega i membri della famiglia fra di loro, è la loro storia famigliare e la
storia della loro cultura di appartenenza. La qualità dei legami e il tipo di scambi tra le generazioni sono gli elementi
peculiari del livello relazionale. Possiamo quindi raffigurare i due livelli di analisi, interattivo e relazionale. Il campo
relazionale della famiglia è più ampio e popolato di quello che possiamo osservare ed i compiti cui devono rispondere i
membri della famiglia sono ben più delle prescrizioni di ruolo. La relazione senza interazione si vanisca in una
espressività inefficace.

Ambiti della relazione

 Il legame coniugale è l’asse portante della famiglia e della trasmissione intergenerazionale (tutta la storia della
famiglia passa di lì), è considerato un legame paritetico.
 Il legame tra fratelli non è paritetico, perché a seconda del sesso e dell’ordine di genitura possono esserci
discriminazioni. La relazione fraterna è accomunamento, solidarietà e insieme di rivalità. Ogni genitore attribuisce
un valore diverso ai propri figlio e stabilisce con ognuno un legame specifico. L’attribuzione di privilegi e di ruoli
rigidi tra figlio fa nascere sentimenti di rivalità: i figli non valorizzati si muovono in un mondo in cui il valore
personale non ha significato.
 Il legame intergenerazionale: legame gerarchico e si distinguono due tipi di scambio, tra genitori e figli e tra le
famiglie d’origine e la nuova famiglia. questa relazione collega i genitori agli antenati.
 Il legame tra famiglia e comunità: come la famiglia interagisce con il mondo esterno. Tutti questi legami sono
profondamente connessi fra di loro. La coppia è il luogo in cui può essere trattata e vagliata la duplice eredità
delle famiglie di origine: è quindi un dispositivo di mediazione intergenerazionale e sociale. Le relazioni tra generi
e generazioni possono essere o generativi, quindi di equità tra le generazioni o degenerativi, quindi di diseccita tra
le generazioni.
I vari tipi di relazione producono benessere se sono all’opera processi generativi.

Il modello relazionale-simbolico: il simbolo

Intendiamo per simbolico il senso profondo che attraversa e nutre le relazioni familiari. Abbiamo chiamato il
“famigliare” la matrice simbolica del legame fra generi, generazioni e stirpi che attraversano le forme storiche di
famiglia. Essa è specie-specifica, cioè tipica della specie Homo sapiens e si manifesta attraverso il linguaggio e gli
artefatti culturali. La sostanza simbolica è composta da fattori affettivi ed etici. Esse costituiscono il nutrimento sia
della relazione di coppia sia della relazione genitori-figli e tra le stirpi. Etico va distinto da morale e affetto va distinto
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da emozione. Affetto è cura amorosa e fatta di dedizione verso l’altro, mentre etico ci riferiamo al volere e dovere
rispettare il valore del legame. I legami familiari sono costituiti da impegni di lealtà e non ci si può sottrarre alle
responsabilità che i membri della famiglia hanno gli uni verso gli altri. Gli aspetti affettivi sono legati alla
fiducia/speranza, mentre quelli etici alla giustizia/lealtà. La condizione che consente alla famiglia di costituire una vera
risorsa per il benessere è dunque quella d’incrementare la sua linfa relazionale-simbolica, il famigliare.

Lo scambio simbolico

Osserviamo le relazioni familiari da un punto di vista più dinamico. Possiamo individuare tre tradizioni al proposito:
una sociologica e psicosociale, una psicodinamica transgenerazionale e infine una di tipo antropologico-etnologico.

La prima, la corrente storica della teoria dello scambio vede lo scambio interpersonale in termini utilitaristici. Secondo
questa concezione nella famiglia i membri si muovono sostanzialmente alla ricerca di ricompense e le relazioni
familiari sono basate su un contratto in vista di una gratificazione reciproca di tipo affettivo o economico. La coesione
familiare e la stabilità coniugale sono assicurate da un calcolo di costi e benefici.
Il meccanismo dello scambio in senso utilitaristico sta alla base della formazione della coppia e del suo sviluppo. La
norma dello scambio si basa sulla reciprocità a breve termine, il rapporto fra i costi e i benefici deve infatti tornare
entro un certo tempo a favore dei secondi. Ci sono stati diversi studi fino ad arrivare al modello dell’investimento
messo in atto da Rusbult (1980) che sviluppa la teoria dell’interdipendenza nel campo delle relazioni intime.

La seconda tradizione, psicodinamica-transgenerazionale, è quella inaugurata da Boszormenyi-Nagy, lo scambio è su


base etica più che utilitaristica. Come sottolinea Sampson anche quando lo scambio è asimmetrico, come accade nella
relazione genitori/figli, esso è giustificato da un principio di giustizia. Tale principio si basa sui bisogni di sviluppo del
bambino (ha bisogno di cure). Lo scambio è quindi motivato dalla necessità di compiere il proprio dovere e da
altruismo. Lo scambio può essere anche detto come uno scambio nel tempo.

La terza tradizione si rifà alla prospettiva di stampo antropologico-sociologico e alla psicologia storico-culturale, essa
si concentra sulla formazione del legame sociale e la sua fisiologia. L’approccio incorpora l’aspetto etico che è l’altra
faccia del dono. Dono come espressione dell’atto fiduciario, origine di un nuovo legame vi è un nuovo dono di
apertura segno di fiducia che ricambiata con un altro dono da luogo a una relazione sociale. Godbout ribalta la
posizione che vede l’obbligo e il debito come primari e pone con forza il dono come costitutivo del legame familiare.
Possiamo parlare della dinamica dello scambio fra generazioni che accompagnano una nuova nascita. La nascita è
frutto di un dono, il dono della vita, ma il figlio si trova legato da un grande debito di riconoscenza per quello che da
essi ha ricevuto. Genitori e figli sono accumunati sia da dono che dal debito. Da un punto di vista psichico è quindi
cruciale il processo di identificazione. Lo scambio simbolico tipico delle relazioni familiari consiste dunque nel dare
all’altro ciò di cui ha bisogno o si presuppone abbia bisogno.

IL CAMBIAMENTO FAMILIARE: PAROLE CHIAVE

Transizioni familiari

Sono i passaggi cruciali della storia familiare innescati da eventi prevedibili ed imprevedibili, segnati dall’acquisizione o
dalla perdita di membri, o da nuovi rapporti con il mondo sociale: mobilitano l’intera organizzazione familiare,
mobilitando l’intera organizzazione familiare, mettendone in discussione gli equilibri e facendo emergere il tipo di
relazioni. Le transizioni presentano, nella nostra società, caratteristiche peculiari. Nella società premoderna i passaggi
erano inseriti nella struttura sociale, nella quale erano inseriti i tempi e i modi di passaggio (es. matrimoni); Oggi, i
percorsi sono principalmente determinati in maniera autonoma dai soggetti, che decidono quando e come realizzare
la transizione. Sempre più spesso, oggi, i processi di transizione stanno perdendo coralità e ritualità. C’è anche un
timing: li cambiamenti danno luogo ad un periodo di disorganizzazione e ad esso segue un periodo di ricerca di una
soluzione: in quest’ultima fase emergono le debolezze ed i punti di forza delle famiglie e da questa fase si esce con
soluzioni, che non sempre sono positive. Là difficoltà del transito è che si esce da una condizione sicura e nota per
qualcosa di nuovo, incerto e rischioso. La transizione riguarda quindi qualcosa che va lasciato e implica il
raggiungimento di un obbiettivo-scopo, che si declina in precisi compiti di sviluppo

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Eventi critici

La transizione è innescata da un evento critico. Nel duplice senso etimologico di separazione-scelta. Critico è
quell’evento che provoca un potenziale cambiamento nel sistema familiare: la famiglia deve attingere alle sue risorse
interne o esterne per costruire il proprio funzionamento. L’evento critico implica sempre una perdita. Ci possono
essere:
•Eventi normativi: sono attesi e prevedibili e caratterizzano i principali avvenimenti che caratterizzano ogni fase del
ciclo di vita della famiglia (es. nascita di un figlio)
•Eventi non normativi: non sono prevedibili o anticipati dalla famiglia (separazioni familiari, disastri naturali e
incidenti, malattie gravi e le invalidità. Sono state fatte altre due distinzioni per quanto riguarda gli eventi critici. Essi
possono essere:
•Eventi scelti: Un evento normativo e scelto può essere il matrimonio e non normativo la separazione.
•Eventi non scelti: Un evento normativo non scelto è la morte e non normativo un incidente improvviso.
C’è un interesse attuale sulle “microtransizioni”: esse sono piccoli cambiamenti che le famiglie compiono
costantemente. È un’evoluzione graduale con forti margini di libertà e di soggettività. Studiare queste transizioni,
risponde all’esigenza di concettualizzare mutamenti tipici delle condizioni socioculturali odierne.

Risorse e coping

Le famiglie raramente di confrontano con un solo evento critico: devono gestirne molti contemporaneamente: detto
ciò è probabile che le famiglie non abbiano risorse sufficienti per affrontare in modo efficace anche le altre richieste.
Far fronte ad un evento implica il saper riconoscere le risorse disponibili nei singoli individui e utilizzarle per gli scopi
desiderati. La risorsa è una abilità organizzativa della famiglia.

Compiti di sviluppo intergenerazionali

La transizione tende ad un obbiettivo, i singoli membri familiari sono chiamati a far fronte all’evento critico attivando
le risorse di cui dispone.
Il punto di vista familiare-intergenerazionale rende dunque complessa la nozione di compito di sviluppo, perché pone
in stretta relazione non solo le problematiche dei singoli membri ma anche delle varie generazioni. Per questo si parla
di compiti di sviluppo non solo relazionali ma soprattutto intergenerazionali.

III. LA FAMIGLIA E LE SUE TRASFORMAZIONI

Varie sono le forme familiari che si sono sviluppate nel tempo. La famiglia è un oggetto in perennemente
trasformazione. Paola di Nicola, in un suo contributo del 1993 con un’immagine semplificata ma efficace identificava
in tre parole il processo di trasformazione della famiglia in Europa: aggregato domestico, abitazione e casa.
Nella famiglia premoderna siamo in presenza di una forte permeabilità della famiglia stessa alle influenze esterne
rappresentate dalla parentela o dalla comunità di appartenenza. La famiglia include tutti coloro che vivono sotto lo
stesso tetto. La moderna privacy è sconosciuta e la coppia coniugale e i figli sono meno confusi nelle relazioni con gli
altri. In seguito, la coppia si emancipa gradualmente dalla rete parentale assistendo così ad un progressivo
rafforzamento della relazione coniugale. L’unità abitativa, costituita dal capo famiglia, dal coniuge e dai figli, indica il
distacco dalla parentela e l’individualizzazione della famiglia nucleare. L’enfasi sull’autonomia e sui diritti dell’individuo
e l’affermarsi di un’etica di autorealizzazione che rende il soggetto il metro di tutto, fanno si che la famiglia non
coincida più con la sua definizione normativa.
Ci troviamo quindi davanti a due opposte tendenze: da una parte la privatizzazione della famiglia porta ad
un’accentuazione dei suoi confini interni ed all’esaltazione della sua funzione comunicativa anche se problematica e
dall’altra il rapporto fra famiglia e società. La società ha un’influenza sulla famiglia.

LA CRESCENTE FRAGILITA’ DELL’UNIONE CONIUGALE E LE NUOVE CARATTERISTICHE DELLA COPPIA

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La relazione di coppia è oggi soggetta a rilevanti trasformazioni. La più recente e radicale di esse tocca la stessa
struttura della coppia in quanto basata sulla differenza di genere e cioè composta da un uomo e una donna. In molti
paese dell’area occidentale c’è il riconoscimento alle coppie dello stesso sesso. In Italia tale riconoscimento è
avvenuto con la legge sulle unioni civili del maggio 2016. Sono così nate le teorie del gender che hanno portato alla
derubricazione dell’omosessualità dal DSM. Questa trasformazione strutturale della coppia e della famiglia è anche
peraltro l’esito estremo della caratteristica socioculturale delle relazioni familiari che vede un forte sbilanciamento
dello humus simbolico sul versante affettivo-emotivo a scapito di quello etico-normativo. Queste forme familiari
vengono chiamate “costellazioni affettive”. La concezione della relazione di coppia è infatti rappresentata come luogo
dell’amore emozionale dove prevale la tirannia dell’intimità, che teorizza una fusionalità senza incrinature tra i due
partener, che produca emozioni uniche a scapito della componente etica e il legame. La relazione di coppia pare
riflettere al suo interno in maniera acuta la difficoltà che la nostra cultura individualistica nutre nei confronti delle
relazioni. Il problema è l’aspetto di vincolo che le relazioni portano con sé. Diventa tempo delle passioni “intense ma
leggere”.
Parliamo quindi di una crescente fragilità della coppia testimoniata da una drastica caduta dei matrimoni sia civili che
religiosi, un aumento delle unioni libere ed un aumento delle separazioni.
Per quanto riguarda l’Italia, bisogna ricordare che negli anni ’70 c’è stato uno spartiacque nei confronti della famiglia.
E’ infatti del 1970 l’introduzione del divorzio, del 1978 la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza e del
1975 il nuovo diritto della famiglia basato sul principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi. Alla scelta del
matrimonio si è progressivamente affiancato il fenomeno della convivenza, diffusa soprattutto dei giovani con un buon
livello di istruzione. Nell’arco degli ultimi dieci anni il quoziente di nuzialità è passato da quasi 5 a poco più di 3. Il
matrimonio oltre ad essere in calo viene sempre più rimandato. Nel passato il matrimonio era frutto di un’alleanza di
famiglie che intervenivano nella scelta del coniuge successivamente è diventato uno strumento di affermazione
sociale e di miglioramento del proprio status. Nel passato per le donne il matrimonio era visto come condizione di
sicurezza e di raggiungimento di uno status positivo e riconosciuto. Questa motivazione oggi è decisamente passata
sullo sfondo ed è preminente la ricerca nel rapporto di coppia la propria felicità personale. Il matrimonio da fatto
sociale totale diventa un’impresa personale. Oggi già alla formazione della coppia si fa una domanda sul possibile
prolungamento nel tempo del legame. Troviamo quindi di fronte ai partner varie strade:
 un rinnovato legame tra le stesse persone che sappia coniugare l’aspirazione all’intimità con l’impegno
progettuale,
 uno stare insieme rassegnato e precario che protegge dalla solitudine,
 un distacco/separazione che taglia con il passato
Per quanto riguarda i figli dei separati essi risultano in affido condiviso, ma i minorenni vivono con la madre nella casa
coniugale e perdono i rapporti con la realtà paterna. Esistono però anche nuclei ricostruiti.

LE NUOVE CARATTERISTICHE DELLA GENITORIALITA’

La transizione alla genitorialità si presenta attualmente connotata da alcune caratteristiche sia di tipo demografico sia
di tipo socioculturale. Va considerato un cambiamento nella modalità procreativa che si va sempre più imponendo e
cioè il ricorso alle tecnologie riproduttive che consentono il riconoscimento dei figli da parte di coppie dello stesso
sesso o coppie infertili. Il fenomeno della denatalità ha il suo avvio negli anni ’70 che porta a due figli per coppia, soglia
che garantisce il ricambio generazionale. Da allora le statistiche ci mettono davanti a tassi di natalità che oscillano tra
1,3 e 1,4 figli per donna e testimoniano la presenza del figlio unico. Ci troviamo quindi in una generazione meno
consistente della precedente. La popolazione immigrata tende a conformarsi ai modelli riproduttivi del paese in cui
vive. Questo è dovuto anche allo spostamento in avanti delle tappe del ciclo di vita individuale. Infine, un altro
fenomeno è legato alla riduzione dei matrimoni è rappresentato dal numero di nascite da genitori non coniugati.
Gli italiani attribuiscono un grande valore al figlio sia come fonte di realizzazione personale sia come elemento che
favorisce la riuscita della relazione di coppia. La stabilità della coppia non può dipendere dai figli perché così il
bambino rischia di perdere la sua infanzia… L’attuale rappresentazione dell’infanzia vede il bambino come sovrano o
idolo della famiglia affettiva, possiamo quindi parlare di puerocentrismo narcisistico. Esso corrisponde al rischio che il
bambino oggetto di preoccupazione degli adulti diventa prodotto e prolungamento dell’adulto stesso.
Le dimensioni del fenomeno adozione in Italia sono davvero consistenti. Questo fenomeno ha molteplici cause:
innanzitutto molti paesi di provenienza dei minori hanno cominciato ad attuare politiche sociali di prevenzione
dell’abbandono. A questo fatto si aggiungono il fatto burocratico, il costo e la difficoltà che l’adozione comporta.

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Accanto all’adozione abbiamo il fenomeno dell’affido familiare, questo fenomeno è meno utilizzato.

LA LENTA TRANSIZIONE ALLA VITA ADULTA DEI GIOVANI

In Italia è nato il fenomeno di famiglia lunga, dove i giovani-adulti prolungano la permanenza nelle mura domestiche e
così due generazioni adulte si ritrovano a convivere per anni in famiglia. La transizione alla vita adulta ha assunto
nuove connotazioni rispetto al passato quando essa era più breve, la cosiddetta “fase di lancio dei figli” ed era
marcata da eventi che succedevano in sequenza (fine dell’iter formativo, lavoro, matrimonio). Oggi la transizione
diventa un passaggio lungo e graduale. Questo però porta alla creazione di nuove forme di vulnerabilità. Il giovane
gode di ampi spazi di libertà ma ha uno status sociale debole perché ha un limitato esercizio di responsabilità come in
ambito lavorativo. I giovani si accontentano di lavori che sono minori delle loro capacità. Anche la creazione della
famiglia è segnata da incertezza e rallentamento per quanto riguarda il tempo della sua realizzazione. La decisione di
sposarsi e di avere figli è sempre più posticipata. Ciò che orienta le scelte di vita pare essere un valore di
autorealizzazione. La condizione del giovane-adulto però è anche caratterizzata dalle modalità diversificate delle radici
culturali proprie. Nei paesi del sud Europa i legami familiari sono forti e duraturi, l’aiuto reciproco molto diffuso
mentre debole sono il sostegno che deriva dallo stato. Nel nord Europa invece, abbiamo legami più deboli, i giovani
possono contare su un welfare pubblico che fornisce loro strumenti per costruire la propria indipendenza.
L’allungamento della vita ha comunque creato una nuova fase della vita, quella del giovane-adulto. In Italia il
fenomeno del rinvio dell’uscita dalla famiglia d’origine prende avvio a partire dagli anni ’80 e aumenta
progressivamente. La crisi economica ha aggravato la situazione facendo nascere anche il fenomeno dei NEET, cioè
giovani passivi che stanno in famiglia senza essere ne nel circuito degli studi ne nel circuito del lavoro, ne in quello
della formazione.

L’ALLUNGAMENTO DELLA VITA: LA PLURALITA’ DEI PERCORSI DI INVECCHIAMENTO

Il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione è da anni al centro dell’attenzione. Il fenomeno si è sviluppato con
grande intensità in Italia. Questo diventa però problematico a livello sociale e familiare, se è associato al calo della
fecondità. L’immigrazione non costituisce la soluzione al problema perché come abbiamo già visto anche il tasso di
natalità degli immigrati è sceso sotto il livello. La solitudine anagrafica, e il distacco abitativo dei figli modificano la
struttura familiare che contraddistingue la vita degli anziani, ma non significano abbandono ed isolamento. Molte
indagini hanno fatto notare che il legame con il nucleo familiare originario rimane di solito molto saldo. La
rappresentazione sociale è quindi legata all’idea di un generale processo di decadimento, derivante da una progressiva
perdita delle funzionalità psicofisiche, sociali e produttive. Viene introdotta una nuova fase del ciclo di vita, cioè la
quarta età, essa rappresenta gli anziani dopo i 75 anni.
Il mutamento dell’equilibrio demografico tra le generazioni determina una trasformazione qualitativa del processo di
invecchiamento sia per le dinamiche interne alla famiglia sia per le relazioni tra la struttura familiare e la struttura
sociale. Possiamo quindi trarre due questioni essenziali:
 necessità di porre mano ad una revisione complessiva delle forme e dei meccanismi di ridistribuzione della
ricchezza sociale,
 crescente fabbisogno di cura e assistenza sanitaria.

L’AUMENTO E LA DIVERSIFICAZIONE DEI FLUSSI MIGRATORI

l nostro paese si caratterizza per l’incremento consistente, degli ultimi decenni, di popolazione straniera. L’ambito
scientifico nazionale e internazionale rivela un’attenzione crescente all’esperienza delle famiglie immigrate ed etniche.
Una prospettiva evolutivo-familiare è attenta alle dimensioni processuali e relazionali del processo migratorio. La
migrazione è considerata una transizione familiare che ha origine in una storia che coinvolge più generazioni. C’è
anche una prospettiva relativa alle dimensioni etniche e culturali. C’è crescente consapevolezza del fatto che il
confronto con altre culture può investire la concezione di famiglia e di società e le attribuzioni relative alle relazioni
familiari. Alcuni valori possono essere: la centralità del membro più anziano, la superiorità del maschio, il tema della
lealtà e della forza delle reti parentali…

IV. LA TRANSIZIONE AL PATTO DI COPPIA

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OBBIETTIVO DELLA TRANSIZIONE: DARE VITA E RILANCIARE NEL TEMPO IL LEGAME COSTRUENDO UN’IDENTITA’ DI
COPPIA

Il patto di coppia si fonda sulla fiducia reciproca dei partner e ha nel matrimonio il suo atto esplicito e il suo rito di
transizione. Il matrimonio è oggi spesso preceduto dalla convivenza che sempre più di frequente rimane tale. Il patto
di coppia si costituisce anche nella convivenza ma se ciò non accade si sfocia tutto nella separazione. Quando parliamo
di “patto” ci riferiamo ad un elemento costitutivo di ogni struttura sociale, dove in esso abbiamo due valenze una di
natura “affettiva” e una “etico-normativa”. La prima si riferisce alla passione, agli aspetti erotici, all’attrattiva e
all’affettuosa cura reciproca. È una dimensione gratificante, coinvolge la sfera emotiva e sessuale e spesso è la scintilla
che fa nascere il legame. L’amore passionale senza un progetto di vita di coppia rischia di risolversi in un’esperienza
emotiva di breve respiro e in un sentimento di poco spessore. Ecco perché è necessaria anche la natura etico-
normativa che fa riferimento all’impegno a rispettare il patto e a rispondere agli obblighi che esso comporta. Hanno a
che fare con questo l’impegno e la responsabilità che i membri della coppia si assumono durante la relazione.
Impegnarsi significa anche dichiararsi. Il solo impegno senza il calore affettivo è vuoto e triste.
Alcuni autori (Pincus e Dare 1978) hanno parlato a proposito di patto segreto (polo affettivo) e patto dichiarato (polo
etico). Il patto segreto è un incastro di bisogni, desideri e paure che forma la coppia e che costituisce in un certo senso
il suo “inedito”. Il patto etico invece è dichiarare davanti ad altri che siamo una coppia e che ci impegneremo a
mantenere nel tempo la nostra coppia.0. Il patto segreto dichiara che la dichiarazione esplicita d’impegno (patto
dichiarato) è sorretta e accompagnata da un altro tipo di pattuizione che in gran parte sfugge alla consapevolezza ed al
controllo dei contraenti. Nel caso della relazione di coppia il fenomeno è più accentuato, il nocciolo dell’attrazione
pare risiedere in una mescolanza di bisogni e di aspettative che i partner pensano di soddisfare nel rapporto di coppia.
Le aspettative ed i bisogni hanno a che fare con i modelli degli identificatori pregressi, con il bagaglio familiare che
ciascuno porta con sé. L’identità di coppia è costruita sia dagli aspetti effettivi che quelli etici. Si parla di coppia
quando due individui possono parlare di “noi” Costruire l’identità di coppia implica il considerare la relazione stessa
come un’entità che è sovraordinata rispetto alla realtà psichica individuale. Una salda identità di coppia facilita un
orientamento “pro relationship”. Il conseguimento del bilanciamento etico-affettivo del patto si costruisce nel corso
degli anni. Cruciale agli inizi è l’“innamoramento” che tende a definire l’altro in base ad un processo di presunzione di
somiglianza. Il patto matrimoniale richiede il superamento di ciò.

COMPITI DI SVILUPPO DELLA COPPIA

Nella coppia abbiamo un compito ricorrente cioè nel rilancio del legame nelle transizioni della vita che la inducono ad
assumersi sempre nuovi compiti per la realizzazione degli obbiettivi. Froma Walsh (2015) afferma che piuttosto che di
nuovi partner le persone hanno bisogno di cambiare il contratto relazionale a seconda delle diverse fasi del ciclo. In
particolare, nella giovinezza c’è bisogno di un amore romantico e appassionato; per allevare i figli di un rapporto con
responsabilità condivise; più tardi nella vita di un rapporto caratterizzato da forti capacità affettive e di accudimento
reciproco. Il patto fa riferimento a una tensione che compone e regola. Il potenziale conflittuale è oggi accentuato dal
nuovo assetto della coppia. I coniugi sono riconosciuti in posizione paritetica. Ma non è il conflitto il problema ma la
sua gestione. Il processo conflittuale assume connotazioni differenti a seconda che sia inserito in una relazione
cooperativa (permette la risoluzione del problema) o competitiva (esalta l’opposizione tra le parti). Gottman, ha
identificato quattro modalità comunicative utilizzate durante il conflitto. Questi comportamenti sono chiamati
“quattro cavalieri dell’Apocalisse” sono: la critica, il disprezzo, la difesa e il ritiro. Se i primi due sono usati come armi
attive contro il partner gli ultimi due sono usati per difendersi. Oggi gli studiosi si stanno occupando di studiare i
diversi pattern conflittuali, ossia ai possibili “abbinamenti di stili” che possono verificarsi nella coppia e che possono
creare modalità pericolose.
Parliamo del pattern demand-whitdraw, in cui il partner è esigente e l’altro tende a ritirarsi dalla relazione e del
modello di reciprocità negativa. Un esito distruttivo è caratterizzato proprio dall’accentuazione progressiva e
dall’espansione del conflitto (escalation) che comporta nella coppia un incremento delle tensioni, dei risentimenti,
delle recriminazioni reciproche. Al contrario il conflitto risolto con esito positivo è caratterizzato da de-escalation,
ossia un processo di progressiva attenuazione e riduzione dei suoi aspetti negativi.
Uno dei comportamenti definiti pro-relationship che consente di rompere il circolo vizioso della reciprocità negativa e
del demand-whitdraw è stato individuato nell’accomodamento ossia nella tendenza di reagire in modo costruttivo.

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L’accomodamento non è spontaneo, ma è sforzo di volontà da parte di chi lo utilizza. L’assunzione di ottiche a lungo
termine permettono di trasformare le proprie motivazioni e di mostrare atteggiamenti di accomodamento.
Un altro comportamento pro-relationship che consente il rilancio del legame nel tempo è il perdono.

Compiti di sviluppo in quanto coniugi

I compiti etico-affettivi che si propongono ai nuovi coniugi sono: prendersi cura dell’altro riconoscendo la sua
specificità e la sua differenza di genere/storia, riconoscere il valore dell’altro e aprirsi a un progetto generativo.
Nella cultura occidentale la relazione coniugale è tra soggetti adulti e su base paritetica. Lo scambio si configura nel
dare cura/attenzione e riceverne. Mantenere la comunione senza annullare la differenza, non è facile. Ci sono due
pericoli: vedere solo la differenza o vedere solo la somiglianza. Parliamo quindi di “struttura drammatica” della coppia
che porta a integrare le differenze in unità. La differenza di genere, di storia e di tratti personali che costituiscono
l’altro nella sua unicità è nel legame coniugale, colmata da un movimento attivo di reciproca presa in carico, di cura.
Anche la parola “reciprocità” ha bisogno di chiarimento, essa include la pariteticità e la supera con un processo che
Wynne chiama mutualità. Essa fa riferimento a un comune riconoscimento che travalica la comunanza di ruolo che
ciascun membro della famiglia ricopre. I diritti e i doveri inerenti al ruolo coniugale vanno continuamente avvalorati
dai partner stessi. Il processo generativo, è l’ultimo aspetto importante, nel senso di uscire da sé e prendersi cura delle
nuove generazioni. L’impegno progettuale consente alla coppia di costruirsi e definirsi con più forza perché la collega a
un terzo, che non è per forza un figlio ma può essere rappresentato da progetti che la coppia genera.

Compiti di sviluppo in quanto figli

Il loro compito consiste nel creare un tipo di legame con le famiglie di origine. Il matrimonio, infatti, comporta non
solo l’unione di due persone ma anche l’incontro di storie familiari con le loro specifiche e diverse modalità di
atteggiarsi nei confronti della vita e della società. La trasmissione tra le generazioni non riguarda solo i geni ma anche
un patrimonio di beni culturali, di status, di valori, di credenze, tradizioni, modalità relazionali, miti, tabù, aspettative…
Tale patrimonio si verifica in alcune pratiche e routine familiari “visibili” e in alcune credenze ma incide anche sulla
storia, le aspettative di ruolo… Il cognome può essere considerato l’emblema di questo patrimonio tramesso e
consente anche l’appartenenza. L’accoglimento o il rifiuto del partner dalla famiglia incidono sui processi di lealtà
rendendo difficile, o meno, l’acquisizione dell’identità di coppia.

Compiti della prima generazione

Anche la prima generazione può oscillare tra una eccessiva distanza che si traduce in disinteresse, ed interferenze
troppo pesanti nella vita della giovane famiglia, la giovane famiglia può rivendicare una totale autonomia o può
coinvolgere in modo massiccio.
In particolare, è tipico il persistere di una rappresentazione pressoché immutata dei propri figli ormai adulti,
considerati sempre e solo come figli e pertanto dipendenti e bisognosi. L’ “inerzia delle immagini mentali” è un
processo secondo cui al fine di economizzare le risorse si tende a adattare tutte le informazioni nuove in modelli
conosciuti e occorre accumulare un consistente numero di informazioni contrastanti con i modelli preesistenti perché
vengono effettivamente messi in discussione e modificati.

V. IL LEGAME GENITORIALE E LE SUE TRANSIZIONI

OBBIETTIVO DELLA TRANSIZIONE: ESERCITARE LA CURA RESPONSABILE

La nascita di un figlio è l’evento critico più saliente della famiglia e dà luogo a quella che è stata chiamata transizione
chiave per eccellenza. Questo evento è segnato da un’inedita centralità del bambino-figlio di cui oggi viene esaltato il
potere di conferire alla coppia una stabilità che il legame coniugale non garantisce più. L’accadimento-nascita fa
sprigionare nuove posizioni relazionali e nuovi ruoli. Quella che si crea è una generazione ponte come diceva Hill, essa
è l’eredità della generazione precedente e deve trasferirla, trasformandola, in quella successiva. La nascita di un figlio
se da un lato unisce la coppia dall’altro la eccede in modo irriducibile. L’obbiettivo di questa transizione come viene

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detto da Erikson consiste nello sviluppo, da parte della coppia, della capacità di prendersi cura in modo responsabile di
ciò che è stato generato.
L’obbiettivo primario della transizione è l’assunzione da parte della coppia di una responsabilità genitoriale condivisa.
La creazione del patto genitoriale non è automatica, ma necessita di tempo e di energie sia sul piano affettivo sia
sull’impegno alla cura.
In questa direzione è nato il coparenting, espressione che trova origine nel divorzio, si riferisce alla collaborazione, al
supporto e all’impegno congiunto dei due genitori nella nascita dei figli. Numerosi studi hanno parlato del coparenting
nelle diverse fasi del ciclo di vita.
Possiamo individuare un itinerario che la neo-coppia è chiamata a percorrere nel realizzare la cura responsabile. La
prima traiettoria consiste nel passare da una centratura sugli aspetti affettivi nel rapporto con il figlio ad una
regolazione equilibrata delle modalità di relazione sul versante affettivo/etico/normativo. La seconda traiettoria
consiste a sua volta nel passaggio da una visione autocentrata del figlio ad una più etero centrata. Nelle fasi successive
alla nascita, la cura genitoriale consiste nell’assicurare una continua protezione al neonato e di fornire una base sicura
che gli consenta di regolare in modo sempre più adeguato le sue funzioni psicofisiche. Un attaccamento sicuro
rappresenta una base affidabile e una grande risorsa per lo sviluppo del soggetto umano. Man mano che il figlio cresce
bisogna offrirgli un contesto che gli dia sicurezza e allo stesso tempo di orientarlo nella sua crescita. È compito del
genitore dare al figlio uno stile educativo autorevole. Potremmo dire che la cornice del patto genitoriale assicura ai
figli una protezione dal pericolo e sulla spinta affettuosa.

LA COPPIA GENITORIALE E I SUOI COMPITI DI SVILUPPO

In quanto coniugi  Integrare la dimensione genitoriale con la relazione coniugale e negoziare i rispettivi ruoli
 Riconoscere e sostenere il ruolo genitoriale del coniuge
In quanto genitori  Dare spazio al nuovo nato
 Esercitare la “cura responsabile”
 Condividere la cura sul piano organizzativo
 Costruire e definire lo stile di parenting
 Quando il figlio è adolescente consentire la reciproca separazione attraverso una protezione
flessibile
 Orientare e supportare l’autonomia del figlio
In quanto figli  Iscrivere il neonato nella storia familiare
 Attuare un riconoscimento reciproco coi propri genitori in base alla comune esperienza della
genitorialità
 Continuare la storia familiare in modo innovativo
 Accogliere e trasformare i rituali familiari
In quanto membri  Gestire la combinazione tra spazi per la famiglia e spazi per il sociale
di una comunità  Quando il figlio è adolescente, assumere una funzione di mediazione con il sociale, tramite
sociale strategie individualizzate
 Imparare a gestire nuove tecnologie di comunicazione
 Riconoscere il valore della generatività come scelta di appartenenza sociale

Compiti di sviluppo in quanto coniugi

L’arrivo di un figlio attiva risorse personali e relazionali, consolidare l’identità della coppia ma può anche ostacolare il
cammino e portare alla frattura il patto coniugale.
La transizione da relazione coniugale a genitorialità può portare i coniugi a crisi del rapporto di coppia, spesso
interpretate come crisi evolutive, ma può anche portare a gratificazioni ed a conseguenze positive nella coppia. Se
l’organizzazione e le suddivisioni di ruoli è buona, dopo la nascita di un figlio, anche il rapporto di coppia è giudicato
più soddisfacente. Il passo difficile è passare da una identità di coppia (coniugale) ad una identità diversa (genitoriale).
Con la nascita del figlio il legame coniugale acquista infatti nuove valenze, diminuiscono gli aspetti tipici di
companionship mentre emerge la partnership. Questo passaggio è definito da Cowan (1992) “passaggio dall’alcova al
nido”. L’equilibrio tra dimensione coniugale e genitoriale è molto delicato. Nella fase successiva alla nascita, ad
esempio, la dimensione genitoriale risulta predominante, dato il bisogno di continua protezione e accudimento del
piccolo. Il rischio che i coniugi posso incorrere è quello di diminuire gli spazi dedicati a loro come coppia. Tale

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mancanza oltre a creare un indebolimento del patto coniugale, porta con sé rischi anche nel rapporto con i figli come
ad esempio: un iperinvestimento sulla loro riuscita sociale, una diffusione dei confini generazionali (invischiamento) o
un controllo non rispettoso dell’individualità (intrusità) oppure il sorgere di alleanze genitore-figlio.
Un compito richiesto a ciascun coniuge è quello di affrontare adeguatamente il “salto di posizione”. Essere genitori
significa essere in una posizione relazionale gerarchicamente superiore ai figli, da cui nasce il parenting condiviso.
Quest’ultimo è frutto del dialogo e della negoziazione. Il contesto culturale in cui la coppia vive non facilità
l’assunzione dell’identità genitoriale. Possiamo quindi parlare di “cura della differenza dell’altro”, dove la differenza di
ogni coniuge di riconoscere e rispettare l’altro si accentua con le nuove connotazioni di ruolo “madre” e “padre”.

Compiti di sviluppo in quanto genitori

L’attesa e i primi passi: cura affettuosa e patti chiari

La transizione alla genitorialità è il momento del concepimento. La gravidanza è un privilegio femminile e la donna fa
un’esperienza unica. Il tempo dell’attesa segue due percorsi distinti. Finzi (2017) dice che la paternità inizia con una
comunicazione, la maternità con un sogno. L’itinerario materno è quello più delicato e cruciale. La madre deve passare
dal sogno di un bambino perfetto al bambino reale. La nascita per la madre rappresenta un distacco doloroso, per il
padre rappresenta il primo contatto ed avvicinamento con il figlio.
Il primo ed essenziale compito dei nuovi genitori riguarda perciò la condivisione e la negoziazione all’interno della
coppia delle modalità con cui accogliere e dare spazio al nuovo arrivato all’interno della famiglia. L’iscrizione legale alla
nascita è l’atto con cui si sanziona dal punto di vista sociale la nascita del bambino come cittadino, mentre per la
coppia è il riconoscimento del bambino nella loro vita.
La cura genitoriale si esprime in due livelli:
 Garantendo affetto, fiducia, contenimento, accettazione (figura materna), così da permettere al bambino di
assimilare vitalità, calore, fiducia, stima di sé, capacitò di rapporto.
 Fornendo una direzione alla crescita, una guida che implica il sapere e il volere dare regole (figura paterna)
La “cura responsabile” è garantire la compresenza di aspetti affettivi di “cura” e aspetti etico-normativi di
“responsabilità” assicurando in tal modo aspetti riducibili al dono materno e paterno. Lo sbilanciamento sul polo
affettivo porta all’iperprotettività (perdita della norma) è una presenza disimpegnata dell’adulto. Ma possiamo parlare
anche di potere senza affetto (caso di maltrattamenti e di incuria). Anche se sta nascendo un maggiore interesse dei
padri, possiamo dire che questa fase del ciclo di vita è maggiormente gestita dalle madri.

L’adolescenza: guidare con fiducia. Un’impresa evolutiva congiunta di figli e genitori

La costruzione dell’identità da parte dei figli adolescenti è stato soggetto di numerosi contributi di tipo psicologico.
La crescente acquisizione di autonomia da parte dell’adolescente ha come storia una cornice che alterna una presa di
distanza e una richiesta di vicinanza. Appare quindi l’esigenza dell’autonomia e del distacco. Il compito evolutivo
dell’adolescente è segnato dal lavoro emancipatorio che esisterà nell’acquisizione della piena responsabilità con le sue
componenti affettive, ideative e sociali.
Il bambino/figlio è ormai perduto, bisogna “dare vita, curare e lasciare andare”. Con l’adolescenza del figlio lo sviluppo
della famiglia diventa un’impresa evolutiva congiunta di due generazioni. Quando i figli sono adolescenti, la cura
responsabile si traduce in un atteggiamento di “protezione flessibile” che tiene conto sia degli aspetti di dipendenza
ancora presenti nella condizione adolescenziale, sia degli aspetti di autonomia e della loro difficile e mutevole
composizione. Il controllo senza accettazione da origine allo stile educativo autoritario, che può provocare nel figlio
egocentrismo, bassa autostima ed un atteggiamento negativo verso il mondo. L’accettazione senza controllo è tipica
dello stile permissivo che può essere esercitato da genitori indulgenti o da genitori privi di reale interesse nei confronti
del figlio (dannoso). Anche in adolescenza è quindi fondamentale che i genitori sappiano garantire al figlio entrambi gli
aspetti di cura. L’adolescente ha bisogno di adulti “senza riserva” che sappiano assumersi le loro responsabilità
educative e indicare il percorso di crescita.

Compiti di sviluppo in quanto figli

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Il figlio si colloca all’interno della storia familiare. I neogenitori fanno ciò attribuendo al nuovo nato un nome e un
cognome e di consentirgli con il tempo l’accesso alle proprie radici familiari. A livello intergenerazionale l’arrivo dei
figli-nipoti esprime una tappa essenziale del processo di riconoscimento reciproco delle generazioni sulla base del
comune stato di genitore. Williamson (1991) ricorda che la comune esperienza di avere figli consente a figli adulti e
genitori di esprimere nuovi aspetti di legame.
Nel percorso dell’assunzione della genitorialità risulta particolarmente critico il processo di distinzione-differenziazione
della coppia della famiglia d’origine. Si possono distinguere due processi:
 Interiorizzazione delle funzioni genitoriali che ciascun coniuge compie a partire dalle relazioni vissute nella
famiglia di origine.
 Incontro-incastro che si realizza tra i coniugi e che da luogo all’esercizio concreto delle funzioni genitoriali come
prodotto del nuovo dispositivo di coppia.
Anche in questa fase ci sono varie forme di legame favorevole e non favorevole. Possiamo dire che è in atto un
processo generativo quando la coppia riconosce la rete parentale una fonte benefica dalla quale partire per
distinguersi. In questo caso il rapporto tra connessione e separazione è cruciale: una differenziazione riuscita alimenta
il legame tra le generazioni e garantisce una continuità innovativa. L’esito sfavorevole è invece l’inibizione della
generatività.
Il rituale stabilizza la famiglia secondo due livelli temporali:
 hic et nunc, dove i riti costituiscono il punto di appoggio, per ogni nucleo si può trovare in essi l’equilibrio tra
nuovo e consueto, spontaneo e programmato
 dimensione più estesa della temporalità, dove il rito lega il presente al passato.

Compiti di sviluppo come membri di una comunità sociale

Nella transizione rappresentata dalla nascita del figlio, nuovi compiti sociali si presentano ai nuovi genitori. La nascita
comporta un periodo di restrizione dei contatti con le reti sociali. Con la crescita dei figli il sociale entra sempre più
prepotentemente nella vita della famiglia, e per questo i genitori devono assumere compiti specifici, che devono
stabilire lo spazio per la famiglia e per il sociale, ridefinendo i ruoli nella coppia. Le madri che interrompono l’attività
lavorativa durante gli anni di allevamento dei figli, non riescono successivamente a reinserirsi nel mercato del lavoro. Il
peso della composizione tra famiglia e lavoro grava sulla coppia e sul rapporto con le famiglie di origine. In ogni caso
oggi si riscontra maggiore collaborazione tra marito e moglie in merito all’accudimento dei figli, anche se le madri si
fanno carico delle maggiorate delle incombenze legate alla gestione del figlio e della vita familiare, mentre i padri
vivono più al margine di questa relazione. L’aiuto della famiglia d’origine è molto importante e permette ai genitori di
conciliare interessi professionali ed impegni familiari (il rischio è quello di rimanere nell’orbita genitoriale della
famiglia d’origine). I neogenitori devono riconosce il valore dei generativi come scelta che è profondamente
intrecciata al senso di appartenenza sociale. Man mano che il figlio cresce i compiti della coppia si complessificano sul
versante sociale: la famiglia è mediatrice verso il sociale.

PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA E OMOGENITORIALITA’: SFIDE E QUESTIONI APERTE

La procreazione medicalmente assistita: un nuovo scenario procreativo

Per secoli la nascita dei figli avveniva in modo naturale. L’odierna possibilità di scegliere i figli, ma anche di
programmarli rimane un fatto nuovo. Nascono quindi nuove tecniche di fecondazione assistita. Questo fatto ha un
versante positivo perché permette di avere figli alle coppie sterili, ma ha anche risvolti negativi quando il figlio è
ricercato a tutti i costi. Simona Argentieri (2014) osserva che spesso il desiderio si trasforma in ossessione. Le
tecnologie riproduttive spingono a dare forma alla hybris, cioè l’andare al di là del limite. Il desiderio procreativo ha
origine nell’inconscio per sua natura insofferente del limite e perché realizzi a pieno il suo compito di umanizzazione
deve associarsi alla responsabilità condivisa.
Dagli anni ’70 in poi, il fenomeno si è diffuso esponenzialmente per l’incremento dell’infertilità, per il diritto alla
genitorialità reclamato dalle coppie omosessuali e per l’emergere di un proprio business economico. Numerosi sono
gli individui di cui disponiamo: tecniche di fecondazione omologa (unione artificiale di seme e ovulo della coppia),
tecniche di fecondazione (utilizzo di un gamete esterno dalla coppia), utero in affitto (madre surregata, che si presta

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per portare a termine una gravidanza su commissione). Il ricorso della PMA pone diverse questioni di tipo giuridico,
etico e psicologico.
Sfide e questioni dello scenario odierno:
 Invasività delle tecniche di PMA che influiscono sull’intimità relazionale e sessuale dei partner.
 Diseguaglianza procreativa perché facendo ricorso a un donatore esterno dalla coppia, solo uno dei genitori può
trasmettere il proprio patrimonio genetico e l’altro assume la posizione di genitore “sociale”.
Un’indagine condotta sui giovani italiani ha sondato il vissuto personale dei giovani chiedendo loro di immaginare di
diventare genitori con i diversi tipi di fecondazione e di indicare come si sentivano in queste situazioni. I dati hanno
dimostrato che il ricorso alle tecniche di fecondazione assistita è associato ad un povero senso identitario e sono più le
femmine ad esprimere maggiore difficoltà.
I figli di PMA avranno diverse sfide davanti a sé come:
 scelta della coppia di rilevare o meno al figlio la verità sulla storia del suo concepimento,
 rischi di salute dei bambini nati da PMA.

L’omogenitorialità e i suoi interrogativi

L’espressione omogenitorialità risulta generica, in quanto comprende situazioni assai diverse fra loro (coppie lesbiche
o gay, coppie che hanno avuto un figlio da una precedente relazione o coppie che pianificano la PMA). Da un punto di
vista psicologico è differente per un figlio sapere chi è suo padre, o sua madre e farei i conti con la trasformazione
identitaria e sessuale di uno dei suoi genitori. Ad oggi la maggioranza della letteratura psicosociale disponibile riguarda
le madri lesbiche. Questo perché il fenomeno si configura nella realtà come più diffuso tra le donne lesbiche perché il
desiderio di genitorietà è più diffuso. Focalizziamo l’attenzione sulle conseguenze sui figli. Per la maggior parte dei casi
i figli avuti da relazioni eterosessuali vivono attualmente con il genitore che ha cambiato orientamento sessuale e il
suo partner. Sono stati svolti diversi studi, ad esempio con le coppie eterosessuali vengono spesso utilizzati strumenti
di self-report somministrati ai genitori che forniscono solo le loro percezioni individuali sul benessere dei figli. Gli
strumenti utilizzati sono volti a rilevare comportamenti e competenze ma raramente vengono utilizzati strumenti per
indagare su identità più profonda. La ricerca qualitativa viene usata quando si vuole avvicinarsi maggiormente ai
vissuti e alle esperienze delle persone coinvolte e offre un quadro più articolato. Sono emerse tre problematiche:
 orientamento sessuale dei figli. Le ricerche hanno dimostrato che i genitori omosessuali tendono ad avere
atteggiamenti più liberali rispetto ai comportamenti sessuali dei figli e ad essere in generale più aperti verso la
diversità di genere. Spesso però i genitori indirizzano i figli verso l’eterosessualità, per facilitare la vita conoscendo
loro stessi le difficoltà.
 Stigma sperimentato nelle relazioni con i pari. Soprattutto nel contesto scolastico frequenti sono gli episodi di
derisione specificatamente legati al fatto di avere genitori omosessuali.
 Figli nati da donazione. I figli hanno domande sulla loro storia e sui propri genitori naturali. La famiglia di nascita
occupa gran spazio nella mente del ragazzo.

VI. IL DISTACCO DEI FIGLI: UNA LUNGA TRANSIZIONE FAMILIARE

OBBIETTIVO DELLA TRANSIZIONE: TRAGHETTARE LE GIOVANI GENERAZIONI ALLA CONDIZIONE ADULTA

L’uscita dall’adolescenza non coincide più con l’entrata nell’età adulta, ma piuttosto sfocia nella giovinezza o meglio
nella fase detta del “giovane-adulto”. La transizione alla vita adulta si delinea perciò come doppia transizione, dalla
fase adolescenziale a quella del giovane-adulto. La prima assume così i tratti di una fase preparatoria per la transizione
vera e propria. Si tratta di un processo che avviene all’insegna della gradualità e che vede il giovane passare da una
posizione di marginalità parziale nella fase del giovane adulto ad una posizione sociale pienamente riconosciuta nella
fase adulta. Nel prolungamento della giovinezza e nel ritardo di assunzione del ruolo adulto acquista maggiore
salienza la famiglia d’origine.
L’uscita psichica dalla casa parentale implica la strutturazione e realizzazione di un progetto di vita. Tale progetto
riguarda sia una realizzazione lavorativa sia l’impegno in una relazione affettiva stabile tesa alla costruzione di una
nuova famiglia.
GENERAZIONE DI MEZZO E TRASFORMAZIONE GENERATIVA

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I genitori di giovani adulti convergono sia il passaggio dei figli all’età adulta, sia la propria transizione alla fascia di
mezza età. Essi rappresentano la generazione che detiene maggior potere e responsabilità. Hanno il compito di
trasformazione generativa sociale, contrastare la scissione tra famiglia e società, e allo stesso tempo esercitano le
funzioni di nonni. Questa generazione viene chiamata sandwich generation. I genitori di mezza età costituiscono la
generazione cerniera, il fulcro delle relazioni intergenerazionali e rappresentano anche la generazione che detiene il
maggior potere e responsabilità. In questa parte assistiamo a una strettissima connessione tra compiti familiari e
sociali, e ciò implica una vera e propria trasformazione generativa.

In quanto coniugi  Reinvestire nel rapporto di coppia dando nuova linfa al patto, sia nelle sue
componenti affettive che etiche
In quanto genitori  Traghettare il figlio alla condizione adulta dandogli fiducia, legittimandolo e
supportandolo a distanza
 Affrontare il dolore del distacco e la condizione di nido vuoto.
In quanto figli  Prendersi cura della generazione precedente affrontando il suo declino.
 Riconoscere il suo ruolo di testimone
In quanto membri di  Passare dalla generatività parentale a quella sociale
una comunità sociale  Contrastare lo stallo generazionale

Compiti di sviluppo come coniugi


C’è un reinvestimento nella relazione di coppia (ritorno alle origini), potendo dedicare più tempo e spazio. Per la
donna essere supportata dal marito, dopo il distacco dai figli, è fondamentale, poiché spesso essa ha sacrificato sé
stessa, il lavoro e i suoi interessi per il loro accudimento.

Compiti di sviluppo in quanto genitori: una sfida intergenerazionale

I compiti dei genitori sono di traghettare e autorizzare i figli verso l’assunzione della piena responsabilità adulta. Nel
contesto attuale questo compito risulta difficile a ragione della sempre maggiore vicinanza emozionale delle
generazioni che tende a indebolire la prova della transizione e il suo essere un vero “salto di posizione” sia per i figli
che per gli adulti.
Mc Adams e Logan (2004) sintetizzano la dinamica della generatività: dare vita, curare e lasciare andare. Oggi siamo in
difficoltà su tutti e tre gli aspetti, ma teniamo ad ampliare la cura. Nella famiglia lunga il movimento di progressiva
spinta emancipativa tipico dell’atteggiamento di cura responsabile tende ad affievolirsi poiché genitori e figli,
soddisfacendo in essa esigenze speculari, producono una pericolosa stabilità che impedisce il distacco. Per quanto
riguarda il giovane, tale forma familiare sembra potergli garantire una giusta dose di autonomia a partire dalla quale
egli può fare una sorta di esperienza controllata del mondo adulto. Il giovane adulto non ha solo vantaggi però ma
anche rischi, nasce il problema della solitudine dei genitori di cui i giovani si liberano.

Dalla generatività parentale alla generatività sociale

Fino a qualche decennio fa la maggiore brevità della vita, il numero consistente di figli, con la temporanea dilatazione
del tempo di allevamento e il susseguirsi constante delle generazioni rendevano l’attesa di diventare nonni meno
drammatica. Riprendendo le osservazioni di Snarey (1993) possiamo dire che i genitori sono chiamati ad una
transizione specifica cioè passare dalla generatività parentale alla generatività sociale.

Compiti di sviluppo in quanto figli

Membri della coppia di mezza età, in quanto figli, devono affrontare la perdita o la malattia dei propri genitori. Si
assumono la responsabilità della cura sia su piano affettivo che etico (come riconoscenza nei loro confronti).

VII. TRANSIZIONI PECULIARI: SEPARAZIONE, RICOMPOSIZIONE FAMILIARE, ADOZIONE, AFFIDO E


IMMIGRAZIONE
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Tali transizioni sono “non normative” e “non prevedibili” entro il percorso tradizionale della famiglia. Inoltre, tutte le
transizioni hanno problematiche analoghe, come il riconoscimento della storia parentale, del rispetto della differenza
e della legittimazione delle origini. In queste transizioni il sociale irrompe sulla scena familiare: il rapporto con un terzo
esterno. Gli eventi che innescano tali transizioni sono complessi e di natura diversa: risorse famigliari che spingono a
comportamenti pro-sociali e ad esercitare una sorta di generatività sociale come nel caso dell’affido, in altre
circostanze scaturiscono dalla rivelazione di una mancanza.

LE FAMIGLIE SEPARATE/DIVORZIATE

La relazione di coppia è concepita come realtà del tutto privata e tende a prescindere dai vincoli sociali e
dall’intervento delle famiglie d’origine. La separazione e il divorzio diventano così un’occasione dolorosa e drammatica
ma anche speciale per vedere le dinamiche del patto coniugale. La frequenza statistica non autorizza a “normalizzare”
ciò che è di fatto fonte di fatica e di rischio per la persona e per la relazione tra le generazioni. Il divorzio è tanto una
situazione di stress che richiede un coping adeguato quanto una situazione traumatica sia per i figli che per i genitori.
Ogni transizione porta con sé disorganizzazione e sofferenza, coinvolgendo tutta la rete di relazioni in cui un individuo
è inserito. Separazione e divorzio sono la conseguenza di una frattura che si inserisce entro un contesto di perdita che
non di rado degenera in discordia e che mette profondamente alla prova la famiglia. Soprattutto per i figli la
transizione appare dolorosa. Possiamo notare che se l’evento della rottura si ricollega ad altri eventi critici le
conseguenze sulle nuove generazioni sono ulteriormente problematiche. La transizione alla separazione va intesa
come passaggio critico delle relazioni familiari, che implica il raggiungimento di un obbiettivo e ha insiti diversi compiti
di sviluppo per tutte le generazioni coinvolte. I legami durante le transizioni non si rompono ma si trasformano.

Obbiettivo della transizione alla separazione: portare in salvo il legame

L’obbiettivo fondamentale di questo passaggio è affrontare la fine del patto sapendo portare in salvo il legame. La
messa in salvo del legame non è un processo di conservazione, ma è un vero e proprio lavoro psichico di ricostruzione
e revisione delle vicende del rapporto di coppia. Questo implica un difficile percorso, la coppia si trova ad affrontare la
decisione di infrangere il patto è messa di fronte alla necessità di risalire alle origini del medesimo e alle modalità
attraverso le quali esso è stato stipulato. Il livello di lavoro psichico che conduce a questo ritorno all’origine e che
riguarda sia il rapporto della persona nella propria famiglia di origine che la costituzione del patto di coppia, varia a
seconda della disponibilità psichica personale e dalle occasioni del contesto sociale. Dopo il divorzio il corpo familiare
sarà impegnato a perseguire l’obiettivo di questa transizione ad ostacoli tramite la cura delle relazioni interrotte dalla
frattura coniugale.

Compiti di sviluppo nella separazione

In quanto ex coniugi  Trattare la fine del patto elaborandola


 Impegnarsi nella gestione del conflitto coniugale
In quanto genitori  Mettere in atto una forma di collaborazione con l’ex coniuge per garantire
l’esercizio della funzione genitoriale
 Esercitare la cura responsabile
 Consentire ai figli di continuare ad essere figli
 Garantire al figlio l’accesso all’altro genitore e alla sua stirpe
In quanto figli  Realizzare un interscambio supportivo con le famiglie d’origine
 Evitare di appiattirsi in una relazione esclusivamente filiale
 Consentire ai propri figli la possibilità di non rompere il rapporto con entrambe le
famiglie d’origine
In quanto membri di  Mantenere uno scambio attivo con la rete amicale
una comunità sociale  Ricorrere a servizi competenti
 Superare la concezione della separazione come scelta privata

Compiti di sviluppo in quanto ex-coniugi

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Ad essi verrà richiesta una ristrutturazione della loro relazione coniugale. Essi saranno chiamati sia a trattare la fine
del legame elaborandola sia a impegnarsi in una gestione cooperativa del conflitto coniugale, contrastando
l’escalation e ridefinendo i confini coniugali e familiari.
Considerare il divorzio una transizione come un fine-passaggio. Non è possibile uscire dal legame annullandolo ma è
possibile separarsene nel senso di riconoscerlo per quello che è stato. Realizzare il cosiddetto divorzio psichico implica
principalmente l’elaborazione e la comprensione dei moventi e dei problemi alla base del fallimento del legame a
livello dei singoli individui, il trarre la fine è un compito congiunto. Per affrontare adeguatamente il divorzio i partner
devono riconoscere qualcosa che li accomuni.

Compiti di sviluppo in quanto genitori

Quando il dispositivo della coppia non funziona, emergono varie difficoltà nel processo di trasmissione
intergenerazionale. Nei casi di separazione in cui gli ex coniugi sono anche genitori, il compito richiesto a loro diventa
più complesso. I genitori separati sono dunque fondamentalmente chiamati a:
 Mettere in atto una forma di collaborazione con l’ex coniuge per garantire l’esercizio della funzione genitoriale,
 Esercitare la cura responsabile legittimando l’altro genitore,
 Consentire ai fili l’accesso alla storia di entrambe le famiglie d’origine,
 Consentire ai figli di continuare ad essere figli.
Veniamo al primo compito. Pure nella profonda connessione che esiste tra l’essere coniugi e l’essere genitori vi è
differenza tra i due tipi di scambio: lo scambio coniugale è su base e responsabilità paritetica e lo scambio
generazionale è su base e responsabilità gerarchica. Quando viene meno il primo tipo di scambio è quindi ancora
possibile mantenere vivo il secondo. Il figlio infatti non solo lega i due coniugi ma collega il coniuge alla sua storia
generazionale e alla storia generazionale del partner. L’impegno per i genitori separati è di mantenere la genitorialità.
Il divorzio non è solo una modificazione dei ruoli si tratta di modificare una relazione. Potremmo dire che il paradosso
del divorzio è l’uscita da un patto di coppia per riaffermare il valore del patto generazionale. Ai genitori divorziati viene
richiesta anche una cura responsabile garantendo affetto e norme ai propri figli. Viene richiesto anche di legittimare
l’altro come genitore perché i figli hanno bisogno di entrambi i genitori. Gli ex coniugi devono consentire ai figli
l’accesso alla storia generazionale, sia dall’asse materno sia da quello paterno. Goldstein, Freud e Solnit (1973)
avevano teorizzato la necessità di identificare nella coppia separata il “genitore psicologico” al quale affidare il figlio e
demandar interamente la funzione educativa. Oggi (a partire dagli anni ’80) si è giunti progressivamente a garantire
l’accesso del figlio anche al genitore non convivente. Si tratta di una nuova interpretazione del concetto di
“continuità”.
L’affido congiunto presente in alcuni paesi e da qualche anno introdotto anche in Italia e attualmente oggetto di
nuovo dibattito da voce a questa esigenza anche se non automaticamente da seguito a relazioni cooperative tra ex
coniugi. Il genitore convivente e/o affidatario avrà un luogo cruciale nel favorire nel figlio la relazione con l’altro
genitore e la sua storia. Mantenere entrambe le relazioni non promuove solo il benessere nel figlio ma anche la
qualità delle relazioni all’interno della famiglia. Il legame con il padre è spesso messo a rischio. Per i figli maschi la
mancanza del padre sembrerebbe essere assenza del genitore che stabilisce le regole e che trasmette gli insegnamenti
utili per la vita. La mancanza del padre nella vita della femmina, invece, indica l’assenza di un partner accanto alla
madre, è solitudine della madre. Un altro compito dei genitori separati è legato a consentire ai figli di continuare ad
essere figli. È importante che i coniugi mantengano relazioni con i propri figli.
La separazione crea anche degli effetti a lungo termine ai figli: molti problemi che sembrano contenuti o del tutto
assenti in età scolare possono “esplodere” in adolescenza o in età giovane-adulta. Questo ha condotto a parlare di
slepeer effect, cioè effetto ritardato del divorzio quasi a sottolineare il carattere latente e l’improvviso riemergere dei
problemi dell’età infantile e preadolescenza. Ciò che differenzia i giovani delle famiglie separate da quelli delle famiglie
unite è la loro difficoltà a stabilire relazioni affettive significative e durature nelle quali poter dare esperienza del dare
e ricevere amore. Inoltre, i figli di separati avranno anche difficoltà dal punto di vista della professionalità economica e
nel raggiungimento di uno status economico stabile. L’esperienza della separazione rilascia nei figli il sentimento di
timore nel ripetere il loro fallimento. Per i children of divorce è dunque a rischio la speranza nel legame e la fiducia nel
percepirsi capaci di creare legami duraturi.

Compiti di sviluppo in quanto figli

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Il lavoro di difficile ridefinizione dei legami anche con la famiglia dell’ex coniuge. Soprattutto quando la separazione
avviene dopo più anni di matrimonio, le relazioni con la parentela vanno gestite per il significato che esse hanno avuto
e hanno per sé e per i figli. Il mantenimento o la frattura delle relazioni tra generazioni sembrano dipendere non tanto
dal divorzio in sé, ma dalle modalità secondo le quali esso è avvenuto e dalla solidità e affidabilità delle relazioni
precedentemente strutturate. In non pochi casi, gli ex suoceri rimandano in contatto con nuore/generi soprattutto
qualora sia stato il proprio figlio a chiedere la separazione. I compiti di sviluppo che i separati in quanto figli sono
chiamati a soddisfare per realizzare l’obiettivo della transizione possono essere identificati nei seguenti:
 Realizzare un interscambio supportivo con le famiglie d’origine,
 Consentire ai propri figli la possibilità di continuazione del rapporto con entrambe le famiglie d’origine,
 Non appiattirsi in una relazione esclusivamente filiale.

Compiti di sviluppo in quanto membri di una comunità sociale

I separati possono promuovere relazioni sociali dei figli ma anche ricercare nel sociale risorse che supportino questa
complessa transizione. Essi sono pertanto chiamati a:
 Mantenere uno scambio attivo con la rete di amiche,
 Ricorrere a servizi competenti per affrontare la crisi,
 Superare la concezione della separazione come “scelta privata”

LE FAMIGLIE RICOMPOSTE

La riorganizzazione familiare è uno degli aspetti che porta alla nascita di un nucleo ricomposto, il cui coniuge separato
con i figli vive stabilmente con un nuovo compagno o compagna (step-parent). Questo implica che il figlio si trova a
vivere sotto lo stesso tetto con un adulto con il quale non ha alcun vincolo di sangue e condividere spazi e oggetti con
fratelli acquisiti, con i quali non vi è alcun legame biologico.

La famiglia ricomposta e la sua specificità

Le famiglie ricomposte nascono da una perdita ma mentre nel passato si trattava della morte del genitore cui seguiva
una nuova unione, nella condizione odierna la perdita è costituita dalla rottura dell’unità matrimoniale. È quindi la
relazione genitore/figlio acquisito lo specifico e il punto critico della famiglia ricomposta. La letteratura sul tema
racconta di un’anomia legislativa e sociale nella quale ciascun genitore acquisito è chiamato a far da sé trovando un
proprio ruolo e una propria collocazione nella relazione con il figlio e con gli adulti con funzioni genitoriali. Allo stesso
modo la ricerca sottolinea la relazione a doppio filo che lega il rapporto genitore acquisito/figlio e quello di coppia,
facendo sovente dipendere il destino e la durata di quest’ultimo dalla fortuna del primo. Al centro però abbiamo il
tema dell’educazione e della crescita dei figli. La coppia deve garantire dei “confini” che la nuova coppia deve prima
costruire e poi garantire nel tempo. I confini della famiglia delineano lo spazio familiare, sancendo chi è dentro e può
considerarsi all’interno della famiglia e chi è fuori pur essendo presenza significativa. Nei nuclei ricomposti la
dimensione spaziale riguarda e attraversa molteplici aspetti della vita della famiglia. Abbiamo la questione logistico-
abitativa che necessita nei figli di cambiare abitazione e con essa abitudini e contesto comunitario di appartenenza. In
secondo luogo, la dimensione spaziale attiene al ruolo del genitore acquisito sia rispetto ai figli che all’altro compagno
che rispetto alla sua famiglia. In terzo luogo, l’amministrazione dello spazio familiare interessa ed influenza le diverse
modalità di gestione della relazione tra gli adulti coinvolti e di organizzazione dell’affidamento dei figli. La dimensione
spaziale si connette con quella temporale. Possiamo parlare di due triangoli cruciali:
il primo ha come vertici se, il figlio e l’ex genitore
il secondo ha come vertici se, il figlio e il nuovo genitore
I figli però si ritrovano catapultati in una nuova realtà familiare. Infine, tutti si trovano in difficoltà a vivere e reggere
con successo differenti ruoli e mantenere posizioni molteplici, e questo può portare a fondere i due triangoli.

Compiti di sviluppo della famiglia ricomposta

Sapersi riconoscere ancora famiglia rispettando e legittimando legami e genealogie pregresse. In poche parole, è
importante che la famiglia ricomposta si senta famiglia raggiungendo coesione e unità facendo propri i compiti etico

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affettivi propri del famigliare. È importante per i figli non solo mantenere i rapporti con le proprie origini ma anche
sperimentare fiducia verso una nuova figura adulta in famiglia. I genitori acquisiti che faticano a mantenere questa
posizione di confine e di ponte sia entro la famiglia che tra le famiglie rischiano la caduta in due posizioni antitetiche e
pericolose: l’indifferenza nei confronti dei figli dell’altro o l’inglobamento. Possiamo fare riferimento a due tipi di
ricerche. La prima qualitativa (greco e roncari 2006), multi-metodologica che prevedeva l’impegno di un’intervista e
dello strumento grafico “la doppia luna”. Tra i molti spunti di riflessione che la ricerca propone, vale la pena
soffermarsi sulla differenza di percezione circa l’immagine della famiglia tra figli minori e membri della nuova coppia
genitoriale. In particolare, due terzi dei figli intervistati dichiarava di accettare nella vita quotidiana il padre acquisito e
di vedere in lui un importante punto di riferimento. Ma nelle rappresentazioni grafiche i ragazzi si rappresentavano
come isolati. Sorge quindi la necessità di trovare il posto giusto.
La seconda ricerca condotta da Monica Accordini (2007) addotta un punto di vista relazionale analizzando le
rappresentazioni grafiche di un campione di figli e dei loro genitori acquisiti. DI particolare interesse è delineare alcune
specificità della famiglia ricomposta. I risultati mostrano padri acquisiti che fanno collassare la propria
rappresentazione del famigliare. La figura materna è però messa maggiormente in crisi. Le figlie femmine hanno un
rapporto migliore con il genitore acquisito mentre i figli maschi sono in grado di raffigurarsi come crocevia e punto di
incontro. Un ultimo studio ci ha portato a prendere avvio dalla definizione del “contesto microsistemico plurinucleare
di appartenenza” (1 fase) per approdare alla gestione dei rischi relazionali e delle problematiche attuali o potenziali
che affliggono il nucleo ricomposto (4 fase), passando attraverso la ricostruzione della modalità di gestione della
separazione (2 fase) e dalla storia del legame (3 fase) e trova il proprio cardine nella creazione del disegno
genografico, vale a dire nella raffigurazione del sistema familiare ricomposto.

LE FAMIGLIE ADOTTIVE

L’adozione è una modalità peculiare di “fare famiglia” che mette particolarmente in evidenza il versante simbolico dei
legami familiari e travalicando i legami di sangue, pone l’accento sulla profonda connessione tra famigliare e sociale.
L’adozione risulta positiva per quei bambini senza casa. Potremmo dire che l’adozione si posiziona nel punto di
intersezione tra generatività parentale (la cura verso i propri figli) e la generatività sociale.
Essa racchiude un valore profetico, capace di illuminare la comune natura più profonda dell’essere genitori e
dell’essere figli.

Obiettivo della transizione: costruire il patto adottivo

Esso deve prevedere un progetto/impegno generativo volto a inserire il figlio nella genealogia familiare ed esso
coinvolge sia i genitori che i figli. L’adozione origina da una doppia mancanza: per il figlio la mancanza di una famiglia e
per la coppia la mancanza di un figlio o il completamento della famiglia. Il patto per poter essere costruttivo deve
assumere le reciproche mancanze e trasformarle in un progetto/impegno generativo che coinvolga sia i genitori che i
figli. L’etimologia adottare indica la dimensione della scelta. La scelta di adottare è l’inizio del patto adottivo.

Compiti di sviluppo delle famiglie adottive

In quanto coniugi  Prendersi cura della relazione coniugale


 Fare i conti con la mancanza di figli e rilanciare, trasformandolo, il progetto generativo di coppia
 Legittimarsi reciprocamente come genitori nella scelta adottiva
In quanto  Costruire legame con il figlio in assenza della continuità biologica ed esercitare una “cura responsabile”
genitori  Riconoscere e valorizzare la differenza del figlio
 Facilitare e sostenere la ricostruzione della storia da parte del figlio
In quanto figli  Gestire l’entrata del figlio nella famiglia estesa
 Favorire la creazione del legame con i nonni addottivi
 Inserire il figlio a pieno titolo nella storia familiare
In quanto  Sviluppare una rete di solidarietà e di supporto
membri di una  Curare i rapporti con le realtà sociali con cui il figlio entra a contatto
comunità sociale  Cooperare col sociale specie in situazioni di adozione di bambini di altra etnia

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Compiti di sviluppo in quanto coniugi

Ai genitori adottivi è richiesto di prendersi cura della propria dimensione coniugale, affrontando la ferita della
mancanza della gravidanza e della nascita e affronta la sfida della scelta di diventare genitori adottivi. Parliamo di
“entitlement” per indicare l’esercizio della titolarità nel ruolo di genitore e l’assunzione piena della responsabilità nel
percorso della crescita di quel figlio.

Compiti di sviluppo in quanto genitori

I bambini adottati sono a rischio. Infatti, rispetto ai loro coetanei manifestano più frequentemente problemi
comportamentali, maggiori difficoltà scolastiche e una elevata probabilità di avere interiorizzato un pattern di
attaccamento insicuro. L’adattamento del bambino dipende dalla qualità della relazione con il padre. Mentre nelle
famiglie naturali è la madre con il suo vantaggio biologico a legittimare il padre, nelle famiglie adottive è il padre che
legittima la madre e con essa la coppia.
Come genitori essi sono chiamati a esercitare la cura responsabile nei confronti del figlio, di spronarlo verso la crescita
e l’autonomia, e di orientarlo verso una meta.
Questo compito risulta più difficile davanti a figli “problematici”. Il compito più sfidante come genitori è quello di
creare un legame genitoriale con il figlio in assenza di un legame biologico. Un compito aggiunto alle famiglie adottive
è quello di “sintonizzarsi” reciprocamente nella storia adottiva. La famiglia originaria avrà sempre una parte nella
memoria del bambino.

Compiti di sviluppo in quanto figli

Come figli, i genitori adottivi sono chiamati a gestire questa new entry anche nella famiglia estesa, poiché l’ingresso
del minore in famiglia segna inevitabilmente tutte le relazioni a livello intergenerazionale.
A chi addotta è richiesto di gestire anche con i propri genitori la nuova relazione, visto che essi diventano “nonni
adottivi”. Il figlio con l’adozione viene inserito a tutti gli effetti nella genealogia e nella storia della propria famiglia.

Compiti di sviluppo in quanto membri di una comunità sociale

Ad essi è richiesta una particolare capacità di sviluppare una rete di solidarietà tra famiglie e di collaborare con gli
operatori dei servizi e tra famiglie e sistema giuridico-istituzionale. Importante è anche la cura dei rapporti con il
nuovo mondo sociale con il quale il figlio entrerà in contatto. Particolarmente delicata è l’adozione di un figlio di una
diversa etnia.

LE FAMIGLIE AFFIDATARIE

Possiamo parlare di affido etero familiare, che si propone come una forma di supporto temporaneo ai minori e alle
famiglie in difficoltà. Un aspetto cruciale dell’affido è costituito dai passaggi delle due famiglie, particolarmente faticosi
da gestire sia da parte degli adulti che dei minori. La separazione che il minore sperimenta all’ingresso e all’uscita
dell’affido, ma anche ogni volta che rientra nella famiglia d’origine per le visite previste, sono tra i momenti più difficili
da affrontare perché collegati al sentimento di perdita, tradimento, abbandono e del vuoto. Anche la conclusione
dell’affido porta con sé una separazione sia se si tratti di un ritorno o a un nuovo affido. La questione della temporalità
dell’affido è un aspetto importante.
Ecco cosa esce dalle ricerche condotte:
 ciò che garantisce il buon andamento dell’affido si gioca innanzitutto sulla buona qualità delle relazioni familiari e
sulla capacità di apertura alla famiglia naturale del minore da parte degli affidatari, in particolare alla madre.
 Non bisogna inglobare l’affidato entro i propri confini. Bisogna ricordare ai genitori che i figli sono “figli al confine”
e come tali portano con loro una storia e dei legami che possono essere in alcun modo rescissi o negati.
 Compresenza sul piano della realtà delle due famiglie. Il figlio affidatario mantiene un legame tenace con le
origini.
 Utilità ed efficacia dell’affido.

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PROTEGGERE L’ESSERE FIGLI: UN COMPITO COMUNE TRA ADOZIONE E AFFIDO

Gli aspetti della genitorialità sono tutti attraversati dalla dimensione simbolica e possono essere distinti nei seguenti
registri: biologico-genetico, accuditivo-educativo, storico-intergenerazionale e culturale-sociale. Si è infatti generati da
una coppia genitoriale, in quanto accuditi, nutriti e fatti crescere attraverso la cura responsabile, resi membri di una
stirpe e inseriti in una storia intergenerazionale e si è figli in quanto riconosciuti nella propria appartenenza civile,
sociale, etnica e culturale. La compresenza di queste quattro dimensioni è ciò che consente a ciascun figlio di crescere
quanto tale. Quando uno di questi registri viene meno, la persona rischia di non poter realizzare a pieno la sua
identità. Si potrebbe affermare che “non si esiste se non come figli”. Per questo il contesto sociale si fa carico e cerca
di supplire alle eventuali carenze relative a tale aspetto, riconoscendo implicitamente il valore della categoria
antropologica di figlio come generato da un padre e una madre entro una storia intergenerazionale. I genitori
nell’affido assumono la funzione accuditiva-educativa.

LE FAMIGLIE IMMIGRATE

Obiettivo della transizione: portare in salvo il patrimonio delle origini integrandole con il nuovo contesto

La migrazione è una transizione di vita e familiare che si snoda in un arco di tempo lungo, implica una serie di perdite
significative e ha affetti significativi sia a livello di coppa che a livello intergenerazionale.
La sfida cui la famiglia è chiamata a rispondere si tratta di un continuo e mai concluso compito di cura dei legami che il
migrante è chiamato a realizzare sia sul versante familiare che su quello del rapporto con la società ospite.
Il compito del famigliare riconducibile al far vivere e rivivere generativamente il legame tra generi e generazioni, con le
loro irriducibili differenze. L’obiettivo di questa transizione è perciò di portare in salvo le origini con il loro patrimonio
familiare e culturale aprendo al nuovo contesto di vita.

Compiti di sviluppo della famiglia immigrata

Le differenze tra i vari tipi di famiglie migranti fanno sì che gli obiettivi e i compiti di cura che via via indicheremo siano
giocoforza sottoposti, più che per altri tipi di transizione al confronto sempre drammatico con la specifica situazione.
Come dire che la nostra prospettiva simbolico/relazionale è sottoposta ad un arduo compito di applicazione alla
singola storia familiare e alla singola avventura migratoria. La transizione migratoria ha nella coppia migrante il suo
snodo critico. Essa ha infatti una funzione di mediazione generazionale essendo la generazione ponte di collegamento
con la storia delle origini e le nuove generazioni che lei provengono.

In quanto  Aiutare il coniuge ad accettare e comprendere il senso del viaggio migratorio


coniugi  Costruire un’identità di coppia che sappia coniugare realisticamente i modelli del passato con le
nuove caratteristiche di ruolo richieste al contesto sociale di accoglienza
In quanto  Rendere il progetto migratorio accessibile al figlio
genitori  Gestire la trasmissione delle eredità garantendo la continuità con le origini e dando fiducia alla
costruzione di nuove sintesi da parte del figlio
 Selezionare le priorità valoriali mantenendo spazi esplorativi nei confronti di ciò che il sociale offre
 Accettare la parte straniera del figlio
In quanto figli  Gestire in maniera flessibile il mandato familiare reinterpretandolo alla luce delle richieste del
contesto sociale di accoglienza
 Riconoscere il valore della cultura di origine e il mondo nel quale si è sviluppata nonostante le
carenze e i problemi che hanno spinto alla scelta migratoria
 Mantenere vivi gli scambi con la famiglia d’origine
Compito  Far diventare familiare l’estraneo
sociale

Compiti di sviluppo in quanto coniugi

L’aumento dei matrimoni tra persone straniere nei paesi di accoglienza nonché il verificarsi di matrimoni misti,
l’interesse per la relazione coniugale è aumentato. La migrazione rappresenta un evento particolarmente critico per la

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coppia sia come rischio ma anche come opportunità. I compiti che essa deve affrontare sono molteplici. Ne
sottolineiamo fondamentalmente due. Un primo aspetto riguarda la possibilità o meno di condividere il progetto
migratorio. Un secondo aspetto che si presenta in modo assai diversificato a seconda della cultura di provenienza dei
coniugi è dato dal confronto tra il ruolo femminile e maschile diffuso nel paese di accoglienza rispetto a quello
sperimentato nelle culture di origine. I membri della coppia sono chiamati ad un lavoro di costruzione e di
ricostruzione di identità di coppia assai faticoso.

Compiti di sviluppo in quanto genitori

Il rapporto tra le prime generazioni di migranti e quelle successive è di gran lunga il tema più indagato dalla ricerca
psicosociale. Esso però si restringe tra il rapporto genitori e figli, trascurando la generazione dei nonni e la trama della
parentela allargata che ha molta rilevanza nell’educazione delle giovani generazioni. Di certo i genitori emigrati, nella
crescita dei loro figli trovano di fronte ad un compito particolarmente complesso: trasmettere loro il patrimonio
materiale e simbolico, sospesi come sono tra due culture che essi stessi fanno fatica ad integrare sia a livello della
visione della vita che dei comportamenti conseguenti. La crescita della seconda generazione nel nuovo contesto
assume quasi sempre traiettorie inaspettate. Per i genitori bisogna accettare che i figli siano in parte diversi da come si
immaginavano essi, significa immaginare il lutto per la perdita parziale delle loro origini. Con l’arrivo dei figli, quindi, la
famiglia migrante è chiamata a garantire continuità e al tempo stesso possibilità di differenziazione dalle generazioni
precedenti. I giovani devono quindi accettare di fare parte a due mondi. La storia delle generazioni deve potersi
articolare in una dinamica familiare di mantenimento e di mutamento in coerenza con il progetto migratorio
dell’intera famiglia che potrebbe anche prevedere un ritorno nel paese d’origine della prima generazione, quando i
figli diventano giovani-adulti. Il tema della separazione/distacco segna in modo molto forte la famiglia migrante.

Compiti di sviluppo in quanto figli

I temi che la coppia migrante è chiamata a trattare a questo proposito riguardano prevalentemente la lealtà e
riconoscenza nei confronti di chi è rimasto in patria e del mondo da cui si proviene. Le origini possono essere vissute
nei termini di un mondo ideale rigido che consente rielaborazione, che si blocca e mantiene immobili. La mente e il
cuore sono rivolti all’indietro per cui non vi è possibilità di rivisitazione continuazione della propria storia personale e
familiare alla luce dell’oggi. All’opposto le origini possono essere viste come prive di valore, frutto di un mondo che
porta con sé solo sofferenza, mancanza di prospettive, povertà materiali e simboliche. Oppure le origini possono
anche rappresentare un indicatore di rotta.

La comunità sociale e il suo compito: far diventare familiare l’estraneo

L’esito positivo del processo migratorio è a carico del migrante e della sua famiglia, ma anche a carico di chi accoglie,
che è chiamato a conoscere, rispettare, discernere quel che altre culture ci dicono dei rapporti tra generi e generazioni
familiari sapendone vedere sia i limiti che risorse. Far diventare familiare l’estraneo, questo il compito che il grande
Levi Strauss diceva all’origine del legame coniugale/familiare. La migrazione, ci fa vedere come questo stesso
imperativo sia centrale anche perché il legame sociale superi la prova e si rigeneri. Possiamo quindi parlare di
intervento clinico ma anche opportunità e necessità di un intervento psicosociale.

VIII. AFFRONTARE LE ULTIME TRANSIZIONI

OBIETTIVO GENERALE: CONSENTIRE IL PASSAGGIO DELLE EREDITA’ MATERIALI E MORALI

L’elemento che contraddistingue e differenzia l’ultima età della vita è proprio il fatto di essere l’ultima. È questo
elemento infatti che contrassegna e unifica la condizione anziana e induce a considerare questa transizione evolutiva
in termini del tutto particolari. Si tratta infatti di una transizione sui generis che è caratterizzata dal fatto di non avere

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un transito compiuto, poiché con la morte non c’è un passaggio a una successiva condizione di vita. La morte come
evento critico è il marcatore forte della transizione: essa dà direzione e significato anche a tutti gli altri eventi, in
particolare pensionamento e malattia, che diventano in qualche modo dei precursori di essa. L’anziano che esce di
scena lascia un vuoto reale, ma contemporaneamente fa emergere il piano delle connessioni simboliche familiari e
sociali e obbliga i familiari stessi a confrontarsi con l’inevitabilità del distacco e a procedere a un impegnativo lavoro di
passaggio di consegne e di distribuzione delle parti ed eredità familiari. Oggi la morte è messa ai margini della vita
sociale: sempre più spesso si muore in ospedale, lontano dal conforto dei propri familiari, i funerali sono in genere
asettici, privi di ritualità significativa. La privatizzazione del morire ha tolto a questo evento gli aspetti di
accomunamento che aiutano non poco ad affrontarlo. La morte è l’interruzione di un rapporto, ma chi se ne va rimane
simbolicamente attivo attraverso i suoi lasciti materiali e morali. Qual è l’obiettivo da raggiungere in questa transizione
familiare? Consentire il passaggio di eredità morali e materiali. Si tratta di un passaggio di consegne che impegna a
diverso titolo entrambe le generazioni e che suggella un processo che inizia ben prima che l’evento critico morte
sopraggiunga. La generazione anziana è chiamata a fare spazio in modo attivo ai figli adulti, riconoscendoli e
legittimandoli come capifila generazionali. Si tratta di una sorta di investitura della generazione adulta da parte della
generazione anziana. La generazione adulta è chiamata ad accettare tale posizione di capofila generazionale
assumendosi la responsabilità dell’esercizio della cura, nei confronti oltre che delle generazioni successive, anche della
generazione precedente. Il passaggio di consegne tra la prima e la seconda generazione prende la forma della
trasmissione, accoglimento ed elaborazione della memoria familiare che è una forma del tutto particolare di cura che
necessita di un significativo lavoro mentale. Essa consiste nella capacità di sentire ed esperire ciò che connette le
diverse generazioni, nel riconoscere e coltivare la comune appartenenza e nell’impegno di riproporla con apporti
personali. La trasmissione può essere difficoltosa quando la prima generazione, nel corso della sua vita, è stata
deficitaria nell’esercitare le sue responsabilità a livello coniugale e genitoriale, oppure quando essa è stata colpita da
perdite e lutti che non ha potuto o saputo affrontare. Anche lutti non affrontati psichicamente dalle generazioni
precedenti possono far sentire i loro effetti molti anni dopo, di fronte a un passaggio critico o a un nuovo lutto. La
trasmissione intergenerazionale è mediata da alcune variabili: il genere, l’ordine di genitura e la gerarchia
generazionale. Il fatto stesso di essere il primogenito maschio o l’ultimogenito femmina all’interno della parentela,
indirizza e predetermina alcuni aspetti identificatori piuttosto che altri e legittima attese specifiche in ordine
all’assunzione dei diversi ruoli. È noto come al primogenito maschio venga facilmente attribuito il compito di
continuatore della tradizione familiare e all’ultima femmina quella di garante della cura dei genitori anziani.

Cura della riconoscenza e trasmissione intergenerazionale

Nelle famiglie, quando la prima generazione si avvicina al traguardo della morte, si sviluppa una matrice di sentimenti
del tutto peculiari. Il tutto è sotteso da una qualità affettiva e cognitiva che accompagna questa transizione: la
riconoscenza. Il passaggio/transito della morte costringe la generazione che se ne avvicina a ricapitolare la vita
trascorsa, a ri-conoscere ciò che si è ricevuto e dato, le gioie e i dolori, i successi, i fallimenti. In genere le persone che
hanno goduto di relazioni familiari sane concludono il bilancio in positivo. Tale esito è il frutto di un lavoro psichico di
contrasto degli aspetti depressivi e rancorosi legati alle vicende infelici che costellano la vita di tutti. Erikson ha
descritto il conflitto specifico di questa fase della vita tra tendenza a tenere le cose insieme e cedimento alla
disperazione e al disprezzo e ha sottolineato l’importanza di conservare una funzione generativa anche nella fase
finale dell’esistenza. La riconoscenza però non è uno stato automatico ma frutto di un percorso. Oggi la presenza di
malattie croniche mette a dura prova questo sentimento sia per l’anziano, sia per chi se ne prende cura. La
riconoscenza va curata, coltivata e sviluppata incessantemente, contrastando la polarità opposta, che è rappresentata
dal disconoscimento, ovvero dal rifiuto della storia dei legami. Le generazioni successive possono infatti non ricevere
alcuna investitura, ma al contrario essere disconosciute: ne è segno tipico l’esclusione totale o parziale dall’eredità dei
beni materiali, il rifiuto di ricevere cure e aiuti da un certo figlio e così via. Oppure le generazioni eredi possono essere
in difficoltà nel riconoscere ciò che hanno ricevuto nel corso della vita familiare: esempio ne è il rifiuto o la grave
difficoltà del figlio a riconoscere e a tener conto del patrimonio ricevuto quando il decadimento del genitore lo rende
irriconoscibile. La riconoscenza di esprime nei comportamenti di aiuto e nelle prestazioni di caregiving. Alle sue origini
essa riguarda il dono-debito della vita stessa, poiché il genitore anziano, che ha dato la vita al figlio e ne ha seguito la
crescita, ha stabilito attraverso ciò una posizione di credito nei suoi confronti. La cura della riconoscenza è prima di
tutto finalizzata al mantenimento e allo sviluppo dei legami e si inserisce nel più ampio movimento di “dare-ricevere-

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ricambiare” proprio della circolazione del dono che costituisce una forma del tutto diversa da una semplice relazione
di scambio utilitaristico.

PASSAGGI CHIAVE DALLA TRANSIZIONE ALL’ETA’ ANZIANA E LORO COMPITI DI SVILUPPO

Il passaggio di consegne tra le generazioni ha alcuni precursori, rappresentati in particolare dall’evento critico del
pensionamento e della malattia.

In quanto coniugi  Rinegoziare i nuovi spazi di coppia e legittimarsi dopo il pensionamento nei nuovi
ruoli
 Prendersi cura del partner malato e supportarsi reciprocamente
In quanto genitori e  Sostenere i figli nell’esercizio della genitorialità
nonni  Accettare la cura da parte dei figli
 Riconoscere nei nipoti una nuova generazione familiare e trasmettere loro un’eredità
positiva
In quanto membri di  Re investire sulle reti amicali e informali
una comunità sociale  Mantenere relazioni sociali attive
 Instaurare una relazione collaborativa con i servizi di cura

Diventare nonni

La presenza dei nipoti assume aspetti simbolici complessi poiché è sia segno di arricchimento di vita sia segno della
vita che passa. La nascita dei nipoti è per i nonni una tappa significativa, il segno di ciò che è iniziato quando hanno
dato vita alla loro famiglia può proseguire nel tempo. Essere nonni è un importante tassello nello sviluppo della
propria identità. Queste forme di investimento nelle relazioni intrafamiliari o sociali rappresentano modalità
attraverso cui l’anziano può mantenere un buon livello di attività. In una ricerca recente dal nome “io non mi ritiro”
(Scabini e rossi 2016) sono stati evidenziati tre profili differenti di invecchiamento in base a come i partecipanti
agivano nella loro vita quotidiana le loro risorse e i loro vincoli, i loro scipi, le competenze, le norme e i valori di
riferimento. I profili emersi vedevano accanto ad un gruppo di anziani in precoce ritiro due altri gruppi di anziani attivi.
In quelli attivi abbiamo una generazione pivot, caratterizzata da alti livelli di benessere individuale e relazionale e da
alti livelli di risorse sociali ed economiche e un gruppo denominato da “tante risorse- tanto impegno” caratterizzato da
alti livelli di risorse sociali ed economiche che orientano la propria attività prevalentemente verso la partecipazione
sociale. Il rapporto tra nonni e giovani risulta gratificante.

Pensionamento

Il ritiro dall’attività lavorativa rappresenta sia per l’uomo che per la donna un momento delicato: è il segno del
graduale abbandono della centralità sociale che contraddistingue la posizione adulta. Esso cambia non solo la
situazione esteriore dell’individuo, ma anche la sua situazione psicologica: rappresenta l’allontanamento dal mondo
produttivo e con questo la perdita di una riconosciuta e valorizzata collocazione sociale che provoca quasi
inevitabilmente una sensazione di inutilità e di vuoto. In tal senso, questo evento può essere vissuto come un
precursore del ritiro definitivo dalla vita. Il ritiro dall’attività professionale spesso facilita un rinnovato investimento di
ordine relazionale. Molte ricerche hanno dimostrato l’importanza di intensificare o di recuperare alcuni legami spesso
rimasti sullo sfondo della scena familiare durante gli anni occupati dall’allevamento e dall’educazione dei figli.
Particolarmente significative sembrano essere le relazioni tra fratelli che in questa fase della vita vivono una sorta di
riedizione. Inoltre, acquisiscono una valenza specifica le relazioni amicali che sembrano avere un’influenza
particolarmente positiva sul morale degli anziani, dal momento che sono basate sulla mutua scelta, sulla condivisione
di valori e stili di vita, più che su aspetti di obbligo. Il pensionamento di uno o di entrambi i coniugi provoca all’inizio un
disequilibrio nella coppia, abituata a ritmi e a una divisione dei compiti consolidati e collaudati da anni. Il massiccio
aumento del tempo da trascorrere insieme obbliga i coniugi a ricercare un nuovo adattamento e a ridefinire i reciproci
compiti e spazi individuali.

Malattia

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La malattia di un familiare anziano costituisce probabilmente uno dei passaggi più critici nel percorso evolutivo di una
famiglia non solo per l’impegno di lavoro e il riadattamento dei tempi e dei ritmi di vita che essa sollecita, ma anche
per i significati che presenta all’interno della famiglia. Essa annuncia che si sta attuando un passaggio tra le
generazioni, che una generazione sta per scomparire e un’altra è chiamata in prima linea a sostituirla nella storia della
famiglia. Con la comparsa di patologie inguaribili e croniche l’anziano acquisisce in modo definitivo la consapevolezza
del suo invecchiamento. L’anziano ammalato evidenzia due tipi di bisogni crescenti:
 Uno è la necessità della dipendenza fisica che consiste sostanzialmente nel bisogno di ricevere aiuto nelle
situazioni concrete della vita.
 L’altro è il bisogno di conservare un’identità adulta e quindi di godere di rapporti di scambio reciproco,
liberamente scelti e non imposti dalla necessità: in una parola, il bisogno di autonomia che è tipico dell’adulto
e che non viene meno neppure in questa fase estrema della vita.
Quando la malattia colpisce un anziano, che ha ancora il suo coniuge, essa ha connotati meno drammatici. La lunga
consuetudine di vita e la disponibilità del partner, rendono più facile sia l’accettare la dipendenza che il fruire della
cura, anche se il coniuge è sottoposto a notevole stress e fatica psicofisica. I genitori anziani devono elaborare l’idea di
poter dipendere dai propri figli e questi, a loro volta, devono pensare a farsi carico di genitori sempre meno autonomi.
Accettare l’aiuto e offrire sostegno sono i compiti di sviluppo speculari che toccano le due generazioni dei genitori e
dei figli. Gestire bene il sentimento di obbligo filiale è impresa di non poco conto. Assumere una posizione di non
evasione della responsabilità della cura e allo stesso tempo di percezione realistica delle proprie risorse è un equilibrio
difficile. Esso d’altra parte dipende dal livello di aspettative del genitore anziano ammalato, che se troppo elevate
incidono negativamente sul suo morale e sul tipo di prestazioni del figlio. Tali aspettative sono anche culturalmente
segnate. Nel sud Italia per esempio gli anziani si aspettano di essere curati dai figli, in misura maggiore rispetto al nord.
L’evento critico può agire da detonatore pericoloso di nodi problematici da tempo latenti e che, attraverso la malattia
dell’anziano, possono emergere o ripresentarsi. L’area pericolosa sollecitata dalla malattia dell’anziano può anche
riguardare il futuro, la malattia funziona così da anticipatore di ostacoli futuri che i familiari temono. La malattia
dell’anziano può anche risultare occasione di crescita, poiché può offrire agli anziani l’opportunità di risolvere antichi
conflitti e di portare a compimento il processo di trasmissione intergenerazionale.

Collaborare con i servizi: una nuova esigenza

La malattia dell’anziano obbliga la famiglia a confrontarsi con il tema della cura e a ricercare al suo esterno risorse di
cura. La trasformazione strutturale della famiglia e in particolare la riduzione del numero dei suoi componenti riduce
le risorse della famiglia destinabili alla cura degli anziani. Il problema diventa drammatico quando le persone anziane
bisognose di cura siano più di una e pesino su un unico figlio o un’unica coppia. Da questo punto di vista il rapporto coi
servizi è cruciale. Il rapporto tra la famiglia e i servizi di cura però non è né semplice, né lineare. La possibilità per la
famiglia di accedere alle possibilità di aiuto offerte dal sistema dei servizi sociosanitari sembra essere determinata sia
da variabili interne alla famiglia, sia alle caratteristiche organizzative e alla qualità della prestazione offerta dai servizi
stessi: è proprio la relazione che si instaura tra l’organizzazione familiare e del servizio che può influenzare
positivamente o negativamente il compito adattivo della famiglia di fronte alla malattia dell’anziano. In alcuni casi le
famiglie e i servizi si incontrano attorno alla malattia dell’anziano secondo una logica di esclusione reciproca che può
esitare o nella conflittualità o nella rigida scomposizione delle competenze e delle prestazioni. In altri casi, invece, la
famiglia e i servizi si incontrano attorno alla malattia dell’anziano secondo una logica di scambio e di cooperazione, che
è caratterizzata dalla capacità e dall’abilità dei servizi di consentire ai familiari di stabilire un giusto equilibrio tra
vicinanza e lontananza rispetto all’anziano ammalato. Compito della famiglia è quello di instaurare un rapporto
collaborativo coi servizi, e parallelamente compito dei servizi è quello di muoversi in un’ottica familiare sapendo
leggere la cura dell’anziano entro i suoi rapporti vitali che vanno inclusi entro il processo di cura.

AFFRONTARE LA MORTE: CONDIVISIONE DEL DOLORE E CURA DEL RICORDO

La morte rappresenta la transizione normativa più difficile da affrontare e mette alla prova le relazioni familiari. Per
l’anziano il compito specifico è accettare la perdita del coniuge e prepararsi alla propria scomparsa. Per i figli si tratta
di far fronte alla morte non considerandola un’interruzione totale, ma un’eredità da accogliere. La perdita del coniuge,
nella nostra società, è un’esperienza che riguarda soprattutto le donne, poiché esse vivono mediamente più degli

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uomini. L’ultima fase della vita ha perciò un diverso percorso per uomini e donne: gli uomini affrontano in genere
prima delle loro compagne la morte, ma possono godere della loro cura e compagnia, le donne affrontano questo
evento più tardi, hanno cioè il vantaggio di vivere di più, ma spesso affrontano in solitudine l’ultimo tratto della vita.
Walsh e McGoldrick sottolineano l’importanza per i familiari della condivisione del dolore. Un primo compito è quello
di condividere la sofferenza e accettare che ciascun familiare la esprima secondo proprie modalità, facendo i conti con
l’ambivalenza dei sentimenti che sempre accompagna i legami più significativi della vita. Dopo la fase di
disorganizzazione che segue alla scomparsa dell’anziano, le famiglie si trovano di fronte al compito di riorganizzarsi e
di adeguare i propri obiettivi alla nuova configurazione relazionale. Perché si attui uno sviluppo familiare occorre che
intervenga un processo specifico, con valenza prevalentemente etica, che si è chiamato “cura del ricordo”. La cura del
ricordo comprende il processo di elaborazione del lutto, ma se ne distingue perché connette tale processo alle
vicissitudini dei legami familiari. Anche i ricordi possono essere oggetto di cura, di eccesso di cura o di trascuratezza. Si
può trascurare un ricordo dimenticando la persona scomparsa, si può investirlo di un eccesso di cura lasciandosene
dominare, o si può farne oggetto di un’appropriata cura: in questo caso la sofferenza per la mancanza si trasforma in
un dialogo interiore con chi se ne è andato. La cura del ricordo non è mai un fatto totalmente privato nelle famiglie.
Rievocare insieme fatti ed episodi è in genere un buon modo per connettere passato e presente e per avvicinare in
modo vivo chi è ormai lontano. Anche in questo caso la qualità della relazione tra coniugi e tra genitori e figli è un
fattore importante nell’orientare l’accettazione e la successiva elaborazione del distacco. Se essi hanno saputo
stabilire e consolidare il loro legame nel periodo di invecchiamento del genitore o del coniuge, l’accettazione del
distacco può risultare favorita e più serena per l’anziano. Al contrario, il perdurare di difficoltà relazionali nelle fasi
precedenti la morte si pone spesso come un forte ostacolo per l’accettazione, da parte di entrambe le generazioni, di
quest’ultima transizione. Va sottolineato che la morte dell’anziano non riguarda solo la generazione successiva, ma
anche la terza o la quarta generazione, quella dei nipoti e dei pronipoti. In molte occasioni, essa rappresenta per i
bambini il primo contatto con questa realtà e con le reazioni degli adulti ad essa. Chi appartiene alle generazioni più
giovani ha così l’opportunità di percepire che una perdita importante è una dura prova, ma che i legami persistono
oltre la morte. Mantenere vivo il dialogo tra vivi e morti, tra generazioni uscite di scena e quella ancora sulla scena, è il
cuore del famigliare.

IX. LA RICERCA SULLA FAMIGLIA: PROBLEMI E PROSPETTIVE

Nell’impostazione di un progetto di ricerca scientifica si possono distinguere tre livelli: logico, metodologico ed
empirico. Il livello logico riguarda le teorie e le ipotesi intorno a un certo oggetto di indagine, quello metodologico
rappresenta la via da percorrere e si riferisce sia alla scelta del tipo di informazione da raccogliere, sia al modo di
trattarla. Il metodo riveste dunque una funzione di mediazione tra la teoria sulla quale si basano le ipotesi e il livello
empirico che è quello rappresentato dalla scelta delle tecniche e degli strumenti da usare per raccogliere le
informazioni ed elaborare i dati. Questi tre livelli sono intrecciati tra loro, il passaggio da uno all’altro avviene in modo
circolare: se è vero che dalla teoria si formulano ipotesi da verificare attraverso metodi e tecniche, è anche vero che
dal livello empirico possono scaturire previsioni circa la teoria. All’interno di questo cerchio il lavoro di ricerca non ha
un iter lineare, ma piuttosto a spirale: dopo ogni operazione condotta, il ricercatore ottiene dei feedback relativi anche
alle operazioni precedenti, che gli consentono di valutare la bontà del lavoro svolto fino a quel punto.

Aspetti peculiari di metodologia della ricerca sulla famiglia

L’applicazione della metodologia della ricerca scientifica alle discipline psicosociali pone non pochi problemi. Quando
l’oggetto di analisi della psicologia sociale è la famiglia, si aggiungono, oltre ai tradizionali problemi, anche difficoltà
specifiche. Il primo tratto di specificità è costituito dal fatto che l’unità di analisi non è costituita da un unico individuo,
ma da un gruppo e che nella ricerca si abbia l’esigenza di ottenere informazioni sia a livello di gruppo familiare, sia in
relazione ai sottosistemi che lo compongono. Un secondo tratto di specificità è legato alla natura relazionale e storica
dell’oggetto famiglia stesso: il gruppo familiare possiede regole, ruoli e storia che rendono del tutto particolari le
relazioni tra i suoi componenti e che esigono di essere in qualche modo considerate nel percorso metodologico. Un
terzo tratto di specificità è la non-indipendenza dei dati familiari. La non-indipendenza dei dati si fonda sul
presupposto che le persone che appartengono allo stesso gruppo sono tra loro più simili e hanno percezioni più simili
rispetto alle persone che appartengono a gruppi diversi. Kenny e Judd evidenziano tre differenti fattori che danno
origine alla non-indipendenza dei dati nei gruppi: la composizione del gruppo (indica che le persone non sono

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assegnate in modo casuale al gruppo), il destino comune (determinato dalla condivisione dell’ambiente di vita e
dall’avere aspettative comuni per il futuro) e la reciproca influenza (le relazioni tra le persone appartenenti a uno
stesso gruppo sono caratterizzate da una reciproca influenza). Inoltre, se si analizzano le relazioni familiari, bisogna
considerare che i diversi membri della famiglia rispondono agli stimoli della ricerca facendo riferimento a
oggetti/relazioni, eventi condivisi. La ricerca sulla famiglia è complicata a causa della natura complessa delle relazioni
all’interno di essa. Per tale motivo si trovano molteplici approcci. Solitamente il ricercatore innanzitutto sceglie una
propria teoria di riferimento sul funzionamento familiare e individua i costrutti teorici sui quali intende condurre lo
studio. Conseguentemente si trova a dover scegliere il metodo e gli strumenti che consentono di analizzare i costrutti
sui quali vuole focalizzare l’attenzione. Passerà poi alla fase di reperimento del campione che dovrà comprendere
almeno due o più membri della famiglia. Le ultime fasi consistono nell’analisi dei dati e nell’interpretazione dei risultati
emersi, a partire dalla teoria di riferimento assunta. I risultati ottenuti contribuiscono poi a confermare o meno la
teoria di partenza e ad aprire nuove piste di indagine. Olson e Larsen pongono l’accento sulla consequenzialità e
coerenza tra le fasi: la validità della ricerca risiede proprio nella coerenza tra le diverse fasi e tra le scelte effettuate dal
ricercatore. Questo aspetto assume nello studio sulla famiglia i connotati di una vera e propria sfida. Ancora oggi si
osserva come la maggior parte delle ricerche risenta della difficoltà a passare dalla considerazione dei singoli membri
della famiglia, al gruppo familiare inteso nella sua unità. Il vero problema consiste nel trovare il modo di integrare le
prospettive dei vari membri della famiglia in punteggi di coppia o di famiglia senza però perdere informazioni relative
al singolo individuo.

I livelli di analisi della realtà familiare

Secondo la nota classificazione di Doise gli oggetti della psicologia sociale si collocano lungo il continuum individuale-
interpersonale-sociale-collettivo. Tale distinzione consente di focalizzare l’attenzione su livelli di analisi diversi,
ciascuno dei quali agisce come filtro, catturando un aspetto della realtà. Per cogliere la realtà nella sua interezza è
necessario utilizzare analisi complementari a livelli diversi. Al livello intrapersonale attengono tutti quegli studi sulla
famiglia che indagano i costrutti cognitivo-affettivi che intervengono come mediatori o fattori esplicativi del benessere
familiare, nonché i più comuni outcomes dei modelli di funzionamento delineati nelle ricerche sulla famiglia. Al livello
interpersonale sono da ricondurre le ricerche in cui si esaminano i fattori interattivo-relazionali che caratterizzano
determinate tipologie familiari. I livelli di analisi superiori (sociale/culturale) sono in gioco ogniqualvolta la ricerca si
basa non solo sulla rilevazione delle percezioni e dei comportamenti di singoli membri familiari, ma sul gruppo
familiare nel suo insieme, sulla famiglia come organizzazione gerarchica in cui i membri rivestono una posizione
sociale ben definita e ogniqualvolta si presta attenzione alle dimensioni simboliche del legame familiare, allargando
l’orizzonte anche verso la dimensione intergenerazionale delle relazioni.

LE OPZIONI METODOLOGICHE DELLA RICERCA SULLA FAMIGLIA

L’approccio: qualitativo o quantitativo?

Nella scelta metodologica innanzitutto è opportuno operare una grande distinzione tra ricerca quantitativa (basata
sulla numerosità dei dati raccolti e con obiettivi di estensibilità e generalizzazione dei risultati) e ricerca qualitativa
(basata sull’utilizzo di tecniche e strumenti applicati a un numero relativamente basso di dati e con l’intento di
approfondire i nodi cruciali di un problema, più che cogliere la significatività statistica di un dato). Per studiare un
oggetto complesso come la famiglia, la soluzione più efficace sembrerebbe essere la combinazione dei due approcci
qualitativo e quantitativo. In un approccio integrato si conduce la ricerca qualitativa in una fase esplorativa del
problema, mentre nella fase di verifica si procede con la quantitativa, che ha l’obiettivo di dimensionare e controllare
le ipotesi. Se è vero che può essere produttivo utilizzare in maniera combinata i diversi approcci, è altrettanto vero che
in questi ultimi anni appare acquisita, a proposito della combinazione tra metodi qualitativi e quantitativi,
l’eliminazione di due equivoci di fondo: da un lato l’ottimismo di poter arrivare a cogliere l’oggettività del fenomeno
indagato, dall’altro l’aspettativa di arrivare a sostenere i risultati di un metodo con un altro metodo ritenuto più forte.
Una possibile soluzione è quella di utilizzare una formula diversa rispetto all’approccio integrato, attuando una
combinazione dei metodi qualitativo e quantitativo come operazione preliminare allo sviluppo autonomo delle parti
quantitativa e qualitativa di una ricerca. Raccogliendo dati prodotti da un campione di soggetti ai quali siano stati
somministrati sia strumenti della ricerca quantitativa, sia strumenti della ricerca qualitativa, è possibile confrontare i

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risultati ottenuti relativamente agli stessi costrutti. Tale operazione preliminare multi-metodologica renderà lo
sviluppo autonomo della ricerca qualitativa e quantitativa più consapevole e meno ideologico rispetto alla natura dei
risultati e consentirà di raccogliere informazioni più rispettose della natura sfaccettata e complessa dell’oggetto in
esame.

Gli strumenti: self-report o osservativi?

Olson utilizza per lo più strumenti di tipo self-report (questionari, scale di valutazione), mentre Reiss privilegia i metodi
osservativi che applica a situazioni interattive. Le differenze sono soprattutto riscontrabili nella diversa relazione tra
soggetti e ricercatore. Nei metodi self-report, il ricercatore rivela inevitabilmente molto di ciò che vuole indagare, così
che il compito dei soggetti diventa quello di decidere cosa e quanto svelare al ricercatore. Inoltre, poiché le scale self-
report vengono solitamente somministrate ai singoli membri, ogni soggetto determina per sè stesso che cosa e quanto
svelare. Il metodo dell’osservazione diretta permette invece al ricercatore di rivelare in misura molto minore l’intento
della ricerca, poiché, in situazioni di questo tipo, viene mantenuta una maggiore distanza tra ricercatore e soggetti.
Inoltre, i soggetti devono rispondere come gruppo, consentendo al ricercatore di osservare e di misurare la relazione
tra i membri del gruppo, nonché tra gruppo e osservatore. Reiss e Cigoli sostengono che con gli strumenti osservativi il
ricercatore diviene, per la famiglia, rappresentante del mondo sociale e che la sua possibilità di rilevare alcune
informazioni gli deriva da questo ruolo. Se il vantaggio dei metodi osservativi è soprattutto quello di poter sondare la
relazione tra i membri della famiglia, oltre che tra questi e il ricercatore, i metodi self-report hanno comunque il
vantaggio di rifuggire da qualsiasi rischio di soggettivismo e consentono di ottenere punteggi puntuali e attendibili a
partire da ingenti quantità di dati. Anche rispetto agli strumenti si sta affermando un approccio multi-strumento che
prevede l’utilizzo complementare di più strumenti che consentono di indagare a più livelli i costrutti in esame.
L’approccio multi-metodologico, suggerito da Wilkinson, sottolinea l’opportunità di utilizzare strumenti diversi tra loro
consentendo la possibilità di potenziare i vantaggi e di neutralizzare o per lo meno di diminuire gli inconvenienti legati
a entrambi e insieme l’opportunità di tener conto di diverse unità di analisi. Tale approccio tenta di risolvere il
problema del rapporto tra produzione di dati a livello individuale e sovraindividuale impegnando il ricercatore a
lavorare sulle differenze e connessioni esistenti tra i vari livelli: il ricercatore è quindi impegnato a un meta-livello che
lo porta a esercitare un’attività sintetica di tipo interpretativo.

X. INTERVENIRE CON E PER LE FAMIGLIE: ENRICHMENT FAMILIARE, MEDIAZIONE FAMILIARE E GRUPPI DI


PAROLA

I presupposti teorici dell’intervento

In una ricerca sulla famiglia il metodo deve essere coerente con la teoria che fonda e definisce l’oggetto di ricerca, ci
deve essere dunque simmetria tra il livello teorico e i livelli metodologico ed empirico. Nel lavoro con le famiglie, una
parte molto visibile è rappresentata dagli interventi rivolti alle famiglie o per le famiglie. Anche tali forme di intervento
devono essere coerenti con il livello teorico. Il focus di attenzione degli interventi di cui tratteremo sarà la famiglia
normale o la famiglia che in quel momento non manifesta particolari disagi. La famiglia è stata definita come un
soggetto che organizza relazioni tra generi, generazioni e mondo sociale: intervenire per la famiglia significherà
pertanto potenziare questa sua caratteristica peculiare, far emergere questa sua specificità relazionale, incrementare
il famigliare favorendo le capacità relazionali e potenziando i legami generativi, contrastando i processi degenerativi.
Da questa prospettiva quindi i referenti degli interventi psicosociali saranno gruppi familiari nei quali essi vivono e che
costituiscono il contesto cruciale di riferimento per la risoluzione dei loro bisogni. E ciò non solo per le situazioni
altamente problematiche, ma per le normali difficoltà evolutive. Per molto tempo, la presa in carico del bisogno è
stata vista e progettata dai servizi come qualcosa che impegnava un singolo operatore e un singolo soggetto, o peggio,
la singola patologia di un singolo soggetto. Spesso il sistema dei servizi non ha preso in considerazione le relazioni
familiari che significano gli individui, né le reti sociali, che circondano le famiglie. La maggior parte delle proposte di
legge recentemente varate a sostegno della famiglia, dell’infanzia e dell’adolescenza, hanno finanziato progetti che
vanno nella direzione della prevenzione del disagio, attraverso il sostegno della relazione genitoriale, il potenziamento
delle relazioni entro e tra le famiglie, l’implementazione degli interventi di rete, all’interno di una prospettiva che
considera la famiglia come soggetto e non solo come destinatario passivo di servizi. Tali forme di intervento possono
spaziare dalla semplice conferenza, o intervento a tema, a incontri di formazione a pensare, per gruppi di coppie,

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genitori, famiglie, con momenti di elaborazione e appropriazione dei contenuti in gruppo e/o vere e proprie
esercitazioni guidate da conduttori, che consentono di riflettere e apprendere dall’esperienza, fino a specifici
programmi rivolti al miglioramento/potenziamento della relazione di coppia o della relazione genitoriale. Si tratta di
programmi strutturati che lavorano sulle due dimensioni principali della famiglia, quella coniugale e quella genitoriale,
e che sono accomunati dall’intento di riconoscere e potenziare le risorse presenti in essa, anche per contrastare
l’atteggiamento delegante verso i servizi, restituendo alla famiglia il potere e il dovere dell’esercizio delle funzioni che
la connaturano.

I PERCORSI DI ENRICHMENT FAMILIARE

I percorsi di enrichment familiare (PEF) sono una forma di intervento semi strutturato, che viene proposta a gruppi di
coppie e genitori, con l’obiettivo di arricchire e promuovere sia le competenze familiari sia una riflessione sull’identità
familiare, affinché le famiglie possano arricchire i loro legami e prevenire i possibili esiti distruttivi dei momenti di crisi.
Tali PEF sono pensati come spazi di riflessione che accompagnano e sostengono le famiglie nelle diverse fasi del ciclo
di vita. Il termine enrichment comprare nella letteratura che si occupa di interventi per la famiglia negli anni ’70. Esso
sta a indicare qualcosa che sviluppa e arricchisce un patrimonio di risorse che la famiglia possiede, almeno
potenzialmente.
I PEF sono stati pensati come luoghi della fiducia/speranza e dell’impegno, in cui il codice affettivo e quello etico si
intrecciano.

Finalità

I PEF sono ispirati da precisi obiettivi che orientano il lavoro formativo. La prima finalità è quella di promuover la
capacità riflessiva delle persone in quanto membri della famiglia, perché queste diventino maggiormente consapevoli
dei pilastri sui quali le loro relazioni sono costruite, vale a dire le dimensioni etico-affettive, intergenerazionali e sociali.
Una seconda finalità è quella di incrementare la capacità che le persone possiedono di utilizzare risorse e abilità per
affrontare più efficacemente la vita quotidiana, le transizioni familiari normative e gli eventi critici non normativi.
Una terza finalità dei PEF è quella di promuovere la dimensione sociale della famiglia perché essa non imploda in un
atteggiamento autoreferenziale. Il principale compito del PEF è di incrementare il famigliare.

Metodologia

Le peculiarità del PEF richiedono precise scelte metodologiche che lo differenziano. Il metodo dei PEF mira a far
emergere l’esperienza, i bisogni e le domande dei partecipanti attraverso dei momenti esercitativi, con l’obiettivo non
solo di fare esperienza ma di riflettere sull’esperienza e connetterla agli aspetti chiave che reggono la famiglia, in
modo da stimolare le capacità riflessive dei partecipanti in un processo di ri-significazione dell’esperienza personale e
familiare.
Lo strumento formativo utilizzato nei PEF è il piccolo gruppo: tale strumento consente di realizzare e riflettere su
un’esperienza relazionale, con le sue qualità etico-affettive, grazie alla quale i partecipanti possono sperimentare la
potenza della relazione anche nel gruppo. Il gruppo catalizza le risorse e facilita l’espressione e la riflessione su di se.
Grazie all’aspetto gruppale si crea tra i partecipanti un aspetto di comunanza e di condivisione di ansie, timori,
speranze che facilita l’apertura di sé e la rielaborazione individuale. Il gruppo ha molti aspetti di analogia con la
famiglia. Tale lavoro è accompagnato da esperti e professionisti.
I PEF sono inoltre accompagnati da un apparato di valutazione che riguarda sia la progettazione sia la realizzazione.
Dopo la progettazione iniziale, esso viene realizzato in 4-6 incontri della durata di due-tre ore.

Fasi

Ogni PEF è unico perché intende adattarsi il più possibile alle richieste della committenza e alle istanze dei
partecipanti.
Nel primo incontro si definisce il contratto di lavoro e si dedica tempo a costruire il gruppo. In questo momento viene
anche proposta una esercitazione, la “torta delle aspettative” che consente di raccogliere le aspettative, timori e
desideri dei partecipanti e una seconda esercitazione concentrata sul tema scelto per il PEF specifico.

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In ogni incontro è presente almeno un’esercitazione che ha la funzione di far fare un’esperienza ai partecipanti. Gli
incontri centrali sviluppano il tema scelto per il PEF. Ogni incontro prevede inizialmente un momento di connessione
con l’incontro precedente in modo che l’esperienza fatta possa non solo sintetizzare ma assumere significati nuovi.
L’attivazione finale invece consente di fare sintesi, di confrontare le diverse percezioni dei partecipanti sull’incontro e
di attribuire un ulteriore significato. Durante gli incontri centrali vengono utilizzati alcuni dispositivi formativi che
promuovono il confronto e la riflessione. Uno strumento è il brain storming in cui si chiede ai genitori-partecipanti di
associare ad alcune parole (madre e padre) tutte le immagini, i termini e i significati che vengono loro in mente e
scriverle su un cartellone. Emergono così le rappresentazioni che hanno i genitori sul proprio ruolo e del ruolo
dell’altro. Possiamo fare ricorso anche ai role-playing, la proiezione di filmati, l’ascolto di canzoni o la lettura di testi
che possano stimolare la riflessione sul tema che si richiede di trattare all’interno dei diversi moduli.
L’ultimo incontro presenta sempre una parte finale dedicata alla valutazione dell’intero PEF, spesso riprendendo
l’esercitazione sulle aspettative del primo incontro.
Alla fine del PEF i genitori evidenziano significativi segnali di cambiamento.

I GRUPPI DI PAROLA PER FIGLI DI GENITORI SEPARATI

I gruppi di parola (GdP) sono una proposta nata per rispondere all’esigenza di supportare i figli delle famiglie che
vivono il dramma della frattura coniugale. Questi interventi sono diffusi in Canada e negli Stati Uniti. In Italia sono stati
attivati a partire dal 2006 presso l’università cattolica di Milano. Essi hanno avuto come punto di riferimento iniziale il
modello d’intervento sviluppato in Canada e quello legato all’esperienza francese, ma poi si sono sviluppati facendo
riferimento al nostro modello relazionale simbolico.

Finalità

L’obiettivo di questa risorsa è espresso nella dominazione stessa, ovvero la possibilità di mettere parola sulla
separazione, autorizzando i figli a nominare sentimenti, pensieri, paure connesse alla nuova situazione familiare e al
desiderio di mantenere il legame con ciascun genitore dopo la frattura.
L’intervento non ha finalità terapeutica, lo scopo è di consentire ai figli di mettere in modo un circolo virtuoso nello
scambio relazionale con i genitori che consenta di avviare un processo di cambiamento atto a contrastare attivamente
i possibili esiti degenerativi del divorzio, permettendo di far emergere risorse di fiducia, speranza e di giustizia. Tale
forma di intervento si pone di portare in salvo i legami.

Metodologia

L’intervento prende corpo in un setting peculiare, che assume per i partecipanti una funzione di organizzatore e
rappresenta una cornice di riferimento caratterizzata dalla presenza di momenti rituali. Ciascun incontro viene
scandito da tre precisi tempi: l’accoglienza, la pausa merenda e la chiusura. Il momento dell’accoglienza apre
l’intervento, con i partecipanti seduti in cerchio insieme ai conduttori ed è volto a dare significato della loro presenza
all’interno dell’aula, a condividere le regole e ad esprimere il loro stato d’animo. Il conduttore garantisce la
riservatezza. La scelta del momento della merenda esprime la cura e aiuta i partecipanti a socializzare e a interagire fra
di loro.
La chiusura infine ritualizza il termine dell’incontro attraverso il racconto di una storia o la lettura da fare tutti insieme
che precede il momento dei saluti. All’interno di tale cornice che struttura l’intervento vengono proposti ai
partecipanti differenti stimoli e attività da svolgersi a livello individuale o gruppale.
I temi e le attività su cui lavorare vengono definiti di volta in volta. Vengono invece sempre affrontate le questioni
relative alla dimensione temporale della separazione per alleggerire i figli dal timore che il conflitto attuale duri per
sempre o che l’abbandono riguardi anche loro. Viene sempre tenuta in considerazione la figura dei nonni.
La metodologia di lavoro con i partecipanti si fonda sul valore della parola nel gruppo.
La gestione del gruppo spesso è affidata a due operatori ed è auspicabile che siano di sesso diverso, in quanto possano
rappresentare la coppia genitoriale.

Fasi

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L’attività dei gruppi di parola inizia con un intenso lavoro di promozione dell’intervento presso i professionisti dei
servizi socio psicoeducativi, gli avvocati, i giudici…
I genitori vengono invitati ad un incontro informativo di gruppo, finalizzato a riconoscere l’importanza di entrambi e
iniziare a costruire un’alleanza tra loro ma anche tra loro e il professionista. Al termine essi firmano la scheda
dell’iscrizione.
Il GdP è un intervento breve, caratterizzato da quattro incontri della durata di due ore ciascuno a cadenza settimanale,
è rivolto a un piccolo gruppo di partecipanti (massimo otto/dieci) di età compresa fra 6 e 12 anni oppure da
adolescenti tra i 13 e i 17 anni. L’eterogeneità dell’età consente ai partecipanti di confrontarsi con esperienze e di
crescita di vita differenti. L’intervento al suo termine prevede che i genitori vengano invitati durante la seconda ora
dell’ultimo incontro a condividere con i figli la chiusura del percorso. Questo permette ai genitori di porsi in sintonia
con i bisogni e le richiede che il gruppo dei figli esprime. In particolare, il lavoro del gruppo ha come esito finale la
redazione comune di un messaggio scritto una lettera che viene letta ai genitori nella quale vengono letti i desideri dei
figli. Successivamente vengono letti ai genitori anche i messaggi segreti, bigliettini anonimi…
A questo momento segue un momento di silenzio in cui i genitori presenti scrivono a loro volta un messaggio ai figli, in
cui affermano di solito di volere loro bene, li assicurano sul loro futuro dichiarando di essere consapevoli del disagio
provocato loro.

LA MEDIAZIONE FAMILIARE

Essa è una pratica di aiuto nata allo scopo di facilitare la riorganizzazione delle relazioni familiari a fronte di una
separazione e di un divorzio.

Finalità

Concepiamo la mediazione come una pratica clinico-sociale orientata non solo a offrire un aiuto per la soluzione dei
conflitti ma volta a trattare il rischio evolutivo presente nel delicato passaggio data dalla rottura del legame. Nel lavoro
mediativo si lavora sia sull’oggetto del contendere sia sulla relazione che lo incorpora. Tra i caratteri comuni agli
interventi di mediazione condivisi a livello internazionale ricordiamo:
 La focalizzazione sull’obbiettivo di ricercare una soluzione negoziata dal conflitto e quindi la necessità che ci sia un
compito decisionale possibile, ben identificato e chiaramente circoscritto,
 L’autonomia del contesto giudiziario
 La specificità del ruolo del mediatore
 Il carattere paritetico della relazione di lavoro tra il mediatore e le parti
 L’utilizzabilità della pratica mediativa non solo nelle situazioni di separazione e divorzio ma anche in riferimento
ad altri conflitti familiari
 Il carattere globale
 Il rilievo attribuito alle dimensioni relazionali
 L’inclusione all’interno del percorso di mediazione di una fame preliminare finalizzata alla costruzione della
mediabilità che implica la valutazione delle opportunità o meno di questo percorso.

Metodologia

La mediazione familiare sostiene i genitori nella ricerca di accordi relativi a tutte le questioni connesse alla
separazione. La fase centrale dell’itinerario è occupata dall’attività di negoziazione e viene condotta secondo la logica
e la tecnica della negoziazione ragionata. Ciascuno dei temi individuati viene cioè affrontato secondo una sequenza
quadripartita:
 definizione comune del problema,
 esplorazione e identificazione degli interessi e dei bisogni ad esso correlati,
 ricerca e sviluppo delle possibili opzioni
 valutazione critica delle opzioni e decisione.
Dal nostro punto di vista crediamo sia importante renderci disponibili ad accompagnare i genitori nella negoziazione
anche su questi aspetti per due ragioni: anzitutto perché è evidente che i temi sono interrelati e che la sostenibilità di
un’opzione rispetto al collocamento dei figli va valutata anche nelle sue implicazioni economiche e patrimoniali. È
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importante che anche i beni materiali assumono spesso importanti significativi simbolico-affettivi e che la difficoltà a
trovare accordi sul piano economico non è altro che l’espressione della difficoltà ad accettare il cambiamento
dell’assetto relazionale.
Il mediatore diventa quindi un terzo equidistante delle parti.

Fasi

Il percorso di mediazione si snoda attraverso fasi successive, ognuna contraddistinta da specifici obiettivi e da tecniche
e strumenti di lavoro differenti.
La fase inziale del percorso mediativo, che precede la negoziazione vera e propria, risponde alla necessità di costruire
un progetto di lavoro condiviso e valuta le condizioni di mediabilità. In questa fase i coniugi vengono aiutati dal
mediatore a riflettere sul senso della loro vicenda di coppia e a confrontarsi con la conseguenza della separazione.
Spesso qui ci si avvale del genogramma, uno strumento grafico simbolico che attiva il dialogo sia durante l’esecuzione
del disegno sia alla sua conclusione. Questo pone i coniugi in una ri-narrazione della vicenda familiare e di coppia che
non è puramente descrittiva. Alla fine di questa fase i genitori sottoscrivono il contratto di mediazione in cui vengono
definite le modalità di lavoro e anche i temi da affrontare su cui si vuole trovare un accordo. La fase della negoziazione
può considerarsi conclusa nel momento in cui è stata individuata un’opzione vale a dire un’ipotesi di accordo.
Si può così procedere nella fase conclusiva, dedicata alla redazione degli accordi, vale a dire del progetto d’intesa.

ATTUARE PROGRAMMI PREVENTIVI, PROGETTARE INTERVENTI DI RETE E ATTIVARE PROCESSI COOPERATIVI: NUOVE
FUNZIONI DELL’OPERATORE PSICOSOCIALE

Bisogna comprendere la dinamica del legame dentro la famiglia e tra la famiglia e il contesto sociale, visto nelle sue
specifiche differenziazioni fatte di reti informali, di sistema di servizi e di istituzioni.
Si tratta non solo di conoscere ma anche di apprendere come avvengono questi scambi. In particolare, per l’operatore
psicosociale si potranno aprire nuovi spazi di intervento.
Nei nuovi spazi vanno senz’altro annoverati sia gli interventi di enrichment che la mediazione familiare e la conduzione
del gruppo di parola, ma anche gli interventi di rete e gli interventi di comunità che richiedono specifiche capacità di
gestire processi relazionali. Un intervento di rete o di comunità che risponde ad un bisogno familiare deve essere
condotto da chi ha una conoscenza dello specifico funzionamento di quel gruppo sui generis che è la famiglia e del
ruolo primario che esso svolge nel contesto sociale. Deve inoltre mettere a tem le possibilità e difficoltà che
incontrano famiglie e servizi nell’attuare uno scambio collaborativo, acquisendo anche competenze nel campo
dell’organizzazione dei servizi e delle politiche sociali.
Inoltre, lo sviluppo di nuove forme di accomunamento tra le famiglie se, da una parte, offre risposte più o meno
adeguate ai bisogni familiari, dall’altra ripropone la collaborazione con la figura dell’esperto in termini diversi dai
tradizionali.

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