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PEDAGOGIA SOCIO-CULTURALE (capitoli 2-4-5)

CAPITOLO 2: LE CULTURE DELL’EDUCAZIONE

La società della singolarità


L’ educazione nasce in forma culturale, si sviluppa e si riproduce in una società, produce a sua volta nuovi modelli
culturali che vengono trasmessi e modificati nel tempo. Non avrebbe senso parlare di cultura ma solo di culture al
plurale, che si sviluppano all’interno di determinati ambienti sociali.
Nella classica prospettiva di studi di tipo ecologico di Bronferbrenner viene data importanza non solo alle
caratteristiche oggettive dell’ambiente ma anche alla loro percezione da parte della persona, tanto che lo psicologo
americano definisce lo sviluppo come modificazione del modo in cui l’individuo percepisce e affronta il suo ambiente.
Ambiente definito ecologico con strutture concentriche: microsistema (primo livello: situazione ambientale in cui le
persone interagiscono faccia a faccia), mesosistema (pone in interrelazione varie situazioni ambientali), esosistema
(persona non partecipa direttamente ma che influisce sulla vita individuo) e macrosistema (sistema generalizzato, i cui
livelli sono uniti in una dimensione comune di tipo culturale).
La persona e la cultura sono interazione tra loro. Secondo la prospettiva socioculturale, la cultura non è qualcosa che
influenza gli individui. Gli individui contribuiscono a organizzare i processi culturali e i processi culturali concorrono a
formare le persone. Individuo e cultura si strutturano reciprocamente. Alcune caratteristiche a livello del
macrosistema, nell’odierna cultura globale e pervasiva:
primo aspetto → una comune weltanschauung globale, centralità data al singolo individuo, alla sua autonomia e
realizzazione. In passato prevaleva la dimensione collettiva in cui le persone vivevano strettamente connesse, quasi
indipendenti dalla famiglia. Oggi siamo totalmente immersi nella prospettiva dell’individuo quasi da considerarla
l’unica naturale e possibile. Il nostro tempo è caratterizzato dalla ricerca della razionalità, bilanciata da un prepotente
affermazione dell’individuo singolare. Azione umana è orientata verso la scienza e tecnica, che tendono a
standardizzare i processi; il protagonismo del soggetto e dell’identità impone la dimensione del piacere,
autorealizzazione. Siamo alla ricerca di certezze e di razionalità strumentale, ispirata a criteri di obiettività: da qui idea
di progetto e valutazione attraverso cui cerchiamo di controllare una realtà che ci sfugge. d’altra parte, l’emotivismo 1
pone in primo piano le emozioni, sentimenti. La libertà di scelta, autonomia, affiliazione del singolo individuo
costituisce un tesoro che caratterizza la nostra epoca, ma esso provoca anche effetti ambivalenti. Da un lato, problema
della modernità, individualismo (centralità individuo con i suoi bisogni e caratteristiche) si può parlare di singolarità
(sforzo e tensione perché tutto sia su misura per individuo).
La scoperta dell’individuo è stata spesso descritta in trmini di autoconsapevolezza e ad essa si lega la concezione di
nazione intesa come comunità di cittadini che si costruisce tra individui autonomi e indipendenti, emancipati dal
potere, liberi da appartenenze di nascita e di casta, capaci di aderire alle nuove entità.
Secondo Walzer l’individuo ha 4 tipi di mobilità:
 geografica (possibilità di muoversi è maggiore che nel passato),
 sociale (mobilità dovuta alle dinamiche interne),
 familiare (causa di instabilità coniugale),
 politica (facilità di cambiamento di affiliazione)
Il liberismo sarebbe l’approvazione e la giustificazione di questo movimento. La libertà di essere se stessi si
accompagna al desiderio di autenticità. L’uomo attuale è più libero e sciolto dai legami sociali. Le identità degli
individui si presentano meno definite, in mutamento a differenza dei ruoli rigidi del passato. Tale fluidità non è però
ininfluente sulle scelte di vita auto-centrata del narcisismo contemporaneo. Il senso di comunità minacciato da un’idea
di libertà come valore assoluto che prescinde dai doveri della fraternità: d’altra parte le teorie neo-comunitarie
rischiano di dar vita a identità assassine quando prospettano un ritorno romantico a identità chiuse. Desiderio di
integrazione che non significa cercare unità perduta, ma rigenerare nuove costruzioni dal basso attraverso il dialogo e
negoziazione.
Secondo Bauman la nostalgia romantica della comunità chiederebbe di lasciare il territorio freddo e astratto dei valori
morali universali per il rifugio intimo e accogliente della comunità natia. La singolarità ha riflessi sull’educazione del
bambino divenuto un figlio del desiderio. Le trasformazioni della civiltà occidentale sono accompagnate da un calo
demografico. Diminuzioni delle nascite e invecchiamento della popolazione portano a un’idea di bambino su cui si
concentrano ansie dei genitori.
La popolazione vede oggi anche un allungamento durata della vita, questo rende contraddittorio il compito educativo;
il bambino deve realizzare sé stesso in una individualizzazione radicale e prepararsi ad autodeterminarsi in una società
il cui dovere consiste nel creare le condizioni di una tale potenzialità soggettiva.
Il mercato di consumi come dimensione pervasiva della vita, si pensa a un mondo dove nulla è destinato a durare.
Ruolo invasivo e prepotente del mercato impone nuove regole e obbedienza a vere leggi dettate dai produttori. La
cultura e il sapere considerati scarto. Autodeterminazione e realizzazione di sé mettono in crisi idea tradizionale di
educazione. In passato, una formazione funzionale preparava a nuove generazioni ai ruoli familiari, sociali,
professionali. Oggi si parla di morte della pedagogia nella misura in cui la crisi investe il mondo dell’educazione
dall’interno e dall’esterno, con la negazione di un vero riconoscimento sociale del suo ruolo. Bambino è fragile perché
esposto alla difficoltà di un compito vasto, quello di divenire sé stesso. La ricerca di autorealizzazione della persona
che vuole esistere di per sé, facilitata da processi demografici, economici, sociali e antropologici, è un punto di non
ritorno con cui si deve confrontare educazione contemporanea. La sfida dell’autenticità che gli educatori potranno
riannodare la fiducia nelle relazioni e nuovi legami sociali, con bambini e giovani. Di fronte alla società senza padri e
maestri, ove primeggia la soggettività a danno dell’autorità parentale, sociopolitica e scolastica non si può proporre
come alternativa sola la restaurazione dell’autoritarismo. Resta aperto un conflitto strutturale della relazione
educativa cui le giovani generazioni oppongono un rifiuto verso educatori e degli insegnanti. Neutralità pedagogica
crea incertezza e solitudine. Arendt sottolinea che se il bambino si emancipa dall’autorità degli adulti non si trova
libero ma soggetto a un’autorità ben più tirannica: quella della maggioranza dei coetanei. Non stupisce che genitori,
insegnanti e educatori vivano una diffusa crisi della loro identità, alla ricerca di una risposta che non potrà però
eludere una profonda revisione dei significati etici del loro ruolo e soprattutto una domanda di responsabilità su
quanta passione abbiano messo o meno nell’educare.

Pedagogia nera e pedagogia bianca


Al pluralismo si risponde con una pedagogia sociale e culturale di tipo interpretativo, che si basi su dialogo,
comprensione dei significati, trasmissione di senso, senza rinunciare ad iscrivere la relazione educativa, alla ricerca di
un universalismo che connetta individui troppo soli. Ci sono i maestri? Illusorio credere di poter ritrovare una
relazione di fiducia e rispetto verso la cultura trasmessa dai maestri attraverso ritorno dell’autoritarismo perduto.
La Pedagogia nera, di Rutschky ha raccolto le fonti storiche dell’educazione tedesca individuando i modi in cui si è 2
realizzato un potere assoluto dei genitori e degli adulti sui bambini. L’educazione si traduce in forma di violenza,
sottile e aperta, che si esprime in punizioni fisiche o ricatti psicologica. I bambini devono essere piegati e sottomessi
per il loro bene, non vanno coccolati, vengono minacciati e addestrati ad obbedire passivamente. Gli adulti esercitano
un controllo totale. Il tema centrale della pedagogia nera: non è la paura da parte dei bambini verso gli educatori, ma
la costrizione psicologica a voler ottenere la loro benevolenza. Le punizioni fisiche non sono mezzi per piegare i
bambini al volere degli adulti. Sono efficaci il biamismo morale, il ricatto psicologico, isolamento utilizzati a freddo
come mezzi di correzione.
L’interpretazione di questo imponente corpus di pedagogia “dell’animalità alla civiltà” si rifà all’idea dell’educazione
come mera riproduzione, funzionale alla formazione di individui docili nella società industriale. Questo tipo di
educazione asservisce le coscienze e la formazione dei volenterosi carnefici di Hitler cioè la popolazione europea che
ha sposato con entusiasmo alla guerra e collaborato con l’olocausto ebraico. L‘obbedienza agli ordini e burocrazia
senza volto sono meccanismi che richiedevano annullamento della coscienza individuale e il rispetto assoluto della
disciplina e autorità. Il pessimismo radicale di Rutschky mette in luce la dimensione violenta dell’educazione, ma
elimina aspettativa di progresso attraverso educazione, in quanto contesta alla radice la possibilità di educare.
L’ipotesi che l’educazione sia un tentativo di controllare l’angoscia che nasce nel rapporto con le nuove generazioni e
di far fronte in maniera illusoria al disagio della civiltà eliminando i fantasmi imbarazzanti delle pulsioni che neanche
gli adulti riescono veramente a controllare, rischia di annullare ogni speranza. Foucault riprenderà questi temi
descrivendo l’azione di controllo sociale attraverso i dispositivi delle istituzioni totali. I metodi della pedagogia nera
sono indicati come violenti e anche sanzionati sul piano giuridico. Non si possono considerare scomparsi, dato che ci
sono meccanismi di violenza psicologica e della scarsa conoscenza di sé da parte di chi educa. Se la pedagogia nera
viene generalmente aborrita non si è ancora veramente affermata una pedagogia bianca fatta di accompagnamento e
amore rispettoso. Al controllo è subentrata l’astensione.
L’idea di libertà educativa ha sicuramente sciolto le nuove generazioni dai vincoli soffocanti e feroci del
condizionamento adulto ma ha anche creato una nuova solitudine.
La rinuncia a educare e l’astensione pedagogica lasciano le nuove generazioni dipendenti dalle influenze dei cattivi
maestri.
Molti insegnanti criticano la scuola del sessantotto come origine di questa crisi di sfiducia. La postura del dialogo,
ascolto e rispetto dei giovani non è la causa del problema, ne è una risposta. Nessuno vuole ritornare ad una scuola
centrata sull’insegnante e non sull’alunno, ignara dei diversi stili di apprendimento, basata sulla trasmissione
mnemonica anziché sull’apprendimento attivo, che reprima la creatività dello studente.
Anziché fermarsi alla nostalgia dell’educazione perduta occorre riferirsi alla dialettica presente, nella storia, tra la
comunicazione di un patrimonio e eredità culturale da parte degli adulti e il libero sviluppo della persona. Nella
conquista moderna della libera espressione e del rispetto delle caratteristiche individuali si trova una tensione
costitutiva, una forza morale che esprime un’esigenza di autenticità e realizzazione personale. L’autenticità, ricerca di
sé sono condizioni per interiorizzazione dei valori, dei comportamenti, delle tradizioni che crea responsabilità e mette
in ascolto del maestro interiore. Costruire il se è un compito che tutti devono realizzare: avviene nell’appartenenza alla
collettività. La sfida della pedagogia socioculturale risiede nel valorizzare l’autocostruzione del se, dentro a una
comunità. La comunità è lo spazio vitale di cui tutti abbiamo bisogno per vivere un’amicizia reale con gli altri esseri
umani. La relazione intersoggettiva tra le persone (educazione) ha un potere trasformativo del reale e della società.
Ogni generazione eredita un mondo su cui può e deve progettare e sognare, per trasformarlo. La proposta educativa
di Morin invita ad accostare il pensiero della complessità sapendo riconoscere gli errori, in una continua ricerca di
comprensione. Noi conosciamo il mondo attraverso gli altri e la reciprocità con gli altri. Educazione del passato
costituiva dipendenza. Ma se si vuole rendere le persone capaci di libertà e autonomia bisogna renderli consapevoli
dell’interdipendenza di tutte le generazioni e di tutti gli esseri umani tra loro.

Culture educative nel tempo e nello spazio


Per contrastare il rischio della morte della pedagogia non si può che immergersi nella relazione con una persona al
singolare, e metterci insieme alla ricerca dell’universale che abbiamo in comune e che condividiamo come persone
umane. Dal punto di vista pedagogico significa comprendere come le culture educative si modificano nelle due
dimensioni: tempo e spazio. Siamo immersi non solo nell’ambiente di vita più prossimo ma anche in una macro-
cultura che comprende il senso dinamico d’identità di ogni popolo e società, la sua storia, passato, connessa con il
World Wide Web (www). Un esempio di analisi del senso di identità personale e collettivo è offerto da Erikson, che ha
studiato nel dopo guerra le minime particolarità dell’educazione infantile hanno un’influenza duratura e determinante 3
sulla concezione del mondo di un popolo, nel suo senso del giusto e sul suo senso di identità. I Conflitti, il senso
dell’onore incidono sulla coscienza di una collettività. E i bambini imparano presto che il colore della pelle o la
condizione economica dei genitori influiranno sul riconoscimento della sua dignità da parte degli altri. Identità
personale si sviluppa solo quando si integra il ciclo di vita individuale in un tutto più ampio. A distanza di decenni da
questi studi resta confermato che la dimensione dello spazio e del tempo restano fondamentali per la pedagogia. Per
capire in prospettiva socioculturale il comportamento delle persone:
• Individualismo: valore preminente è dato dall’autonomia di scelta del singolo. Culture individualistiche
prevale l’autosufficienza se non la solitudine
• Collettivismo: maggiore dipendenza da un gruppo e dalla solidarietà.
Tobin riflette sulle differenze tra educazione dell’infanzia in tre culture diverse: Cina, Giappone e Stati Uniti. I
ricercatori hanno partecipato alle attività didattiche e gioco svolte in giorni normali di due scuole dell’infanzia per ogni
paese, raccogliendo dati attraverso video e analisi a commento delle attività. Gli studiosi volevano rintracciare le
pedagogie implicite cioè le conoscenze tacite, le pratiche date per scontate dagli educatori nel trattare con i bambini
dipendenti dai tratti culturali del loro ambiente. Tobin descrive i cambiamenti intercorsi nei curricoli prescolastici per
infanzia nei tre paesi, intrecciandoli con fattori, come il nesso tra socialismo e libero mercato in Cina, tra
conservazione e apertura in Giappone, tra diritti del bambino e burocratizzazione dei servizi negli Stati Uniti.
Cina→ approcci centrati sul bambino e meno collettivisti alla maniera occidentale ma senza dimenticare la forza di
resilienza dei valori confuciani. Pedagogia di carattere familiare ad una professionale.
Giappone→ conservazione dei valori tipici della cultura e attenzione alla vita sociale, in gruppo: centralità emozioni,
importanza educazione tra pari e controllo del gruppo.
Usa→ continuità con i valori tipici americani di libertà di scelta, espressione di sé, diritti individuali e ricerca della
felicità.

Cura dell’infanzia nei contesti culturali


Per sviluppare la riflessione sulla dimensione socioculturale della pedagogia socioculturale siamo chiamati a dare più
attenzione alle influenze dell’ambiente sull’educazione a tutte le età. La cultura, secondo Moro, offre al bambino un
codice di lettura per far fronte agli imprevisti ai rischi e alla paura del mondo intorno. I diversi tipi di maternage
influenzano lo sviluppo e comportamenti dei bambini.
L’attaccamento dei bambini ai caregivers considerato un universale dello sviluppo infantile:
• LeVine→ interpretazione culturale dello sviluppo sociale precoce
• Bowlby→ attaccamento dal punto di vista psicologico distinguendo tra attaccamento sicuro e insicuro
(definito ansioso-resistente quando il bambino, incerto della presenza della madre, resiste alla separazione;
ansioso-evitante quando il bambino si aspetta in anticipo di essere respinto, consiste nella scelta di fare da
soli).
• Rogoff→ comportamenti considerati universali, assumano in realtà differenti caratteristiche culturali.
Differenti modelli di risposta del bambino al distacco della madre nei vari contesti, il diverso incoraggiamento
all’autonomia o socialità a cui vengono abituati i bambini nei primi anni di vita, i ruoli della famiglia.
• Aries→ idea infanzia nata a partire dal XVI secolo quando i bambini cominciarono ad essere
considerati altro dalla società degli adulti. Prima tutto era in comune. Nella società a basso sviluppo
economico i bambini partecipano in tutto alla vita degli adulti.
I sistemi di parenting sono universali e presenti in tutte le culture, ma possono variare a seconda dei contesti culturali.
Nella cura dei più piccoli, due modelli base:
1. interdipendenza: mantenimento autonomia e integrazione dei bambini nel mondo degli adulti. Alto contatto
cioè vicinanza fisica espressa, da parte della madre, nel modo di portare il bambino, di fasciarlo, di accudirlo.
Allattamento prolungato. Sistemi di cura nelle culture asiatiche, africane, ambienti rurali e non urbanizzati,
nei ceti sociali meno ricchi. I bambini piccoli vengono trattati come persone autonome che scambiano
significati con la madre posta di fronte.
2. indipendenza: precoce autonomia e allo sviluppo identità individuale del bambino. Basso contatto in cui il
bambino viene tenuto passeggino anziché fasciato sul corpo della madre. Contatto fisico è minore, intensi i
faccia a faccia, il contatto oculare e la comunicazione vocale rispetto a quello fisico
ravvicinato e prolungato. Sistema di cura nelle culture europee o americane. Bambini sono orientati con la
madre verso altre persone.
LeVine: le cure verso i bambini riflettono indirettamente non solo le abitudini ma anche le ideologie culturali dei
gruppi. Mostra come i comportamenti ritenuti normali in un gruppo possono essere classificati come problematici in
altri. Mette in discussione la norma di un comportamento di cura, sottolineando che anche atteggiamenti materni che
secondo la teoria dell’attaccamento sarebbero classificati come patologici sarebbero in realtà compatibili con la salute 4
mentale del bambino.
Parenting: forme diversi nei vari ambienti, a seconda delle influenze culturali e della personalità dei genitori o di chi
accudisce i bambini. La costatazione della pluralità dei modi in cui un gruppo può comportarsi con i più piccoli e quindi
della relatività delle culture umane nel tempo e spazio non può portare a giustificare un estremo relativismo
educativo. Necessità per i bambini di un bilanciamento tra autonomia e dipendenza, tra sicurezza e calore nella
relazione ma anche la possibilità di esplorazione del mondo, tra attenzione dei caregiver e bisogno di crescere nel
gruppo di pari. Approccio antropologico che spiega educazione in base ai mondi culturali va associato ad un approccio
psico-pedagogico teso a realizzare un sano comportamento. Il problema per lo sviluppo dei più piccoli non risiede
nella varietà di scelte e atteggiamenti dei genitori ma in due limiti educativi alla qualità del rapporto:
• mancanza di fiducia: comportamenti dei genitori vengono percepiti dai bambini come distanti e
incomprensibili perché non condivisi emotivamente con i genitori o caregiver. Mancanza di dialogo e ascolto
tutti i comportamenti posso essere inadeguati
• mancanza di coerenza: tra i singoli gesti, tra sistema di valori e comportamenti, tra dire e fare.
Incoerenza disorienta i bambini e crea incertezza e disagio.

La vita tra i pari


L’adolescenza è un’età turbolenta e indecifrabile. Oggi i ragazzi usciti dall’infanzia e non ancora giovani-adulti
vengono descritti in modi anche molto diversi, se non opposti, come “sdraiati” apaticamente sul divano oppure come
millennials (nati a partire dal 2000) realisti e attivi, anche se alle prese con la precarietà della vita e di lavoro. Fanno
parte di un’unica classe di età, ma sono anche uno stadio creato sociologicamente sia dal punto di vista delle
trasformazioni fisiche sia da quello della conflittualità con gli adulti. I cambiamenti riguardano anche dalle classi sociali
cui appartengono. Cultura adolescente è identica in tutte le parti del mondo e attraverso le classi e culture. Ogni
ragazzo è diverso, parla di adolescenza liquida, precoce. Il tema del passaggio da infanzia a età adulta ha sempre
attratto gli antropologici a partire dai celebri studi di Mead, allo scopo di comprendere se davvero gli adolescenti
vivono in tutte le culture le stesse difficoltà che riscontriamo nel mondo occidentale. La ricerca in campo
socioculturale ha molto da dire su questo delicato passaggio e oltre tutto le neuro scienze, la psicologia cognitiva e la
psicoanalisi devono entrare in dialogo con la pedagogia per favorire nuove sintesi educative.
Gli sconvolgimenti in atto nel corpo dei ragazzi avvengono sia a livello ormonale sia neuronale. Devono far fronte a
processo di rimodellamento del cervello, con modifiche nei livelli della dopamina (neurotrasmettitore). L’adolescenza,
dal punto di vista neurobiologico, è momento di potatura delle connessioni sinaptiche, successiva ad una grande
crescita in cui si ingarbugliano tutti i fili intellettuali, emotivi e sessuali.
Nel volume “Neuroscienze e mente adolescente” (Monniello e Quadrana) presentano una rassegna di studi da cui
emerge che in un breve arco di tempo, avviene un incremento rapido delle attività dei lobi frontali e successivo
decremento. Emerge nei ragazzi tra gli 11-12 anni e i 20, un’immagine di cervello assorbito nel comprendere e gestire
gli sconvolgimenti emozionali dentro di sé, distratto rispetto mondo intorno. In questa età la zona della corteccia
prefrontale che regola il controllo degli impulsi e delle emozioni ma ha anche la funzione di assemblaggio non è
ancora arrivata allo sviluppo. Il cervello adolescente guarda i contenuti emozionali che si sono creati e continuano a
crearsi al suo interno. La corteccia prefrontale matura lentamente rispetto le altre parti del cervello. Adolescenza si
prolunga ben oltre i 15-16 anni tradizionali; si aggiunga che le scadenze della vita sociale sono ritardate per la
dipendenza economica della famiglia.
Secondo Turkle (psicologa e antropologa del cyberspazio) gli adolescenti spinti dagli stili di vita disinibiti che in passato
a una precoce maturità sessuale, ma non sono pronti a complessità delle relazioni. Due aspetti che caratterizzano gli
adolescenti nei rapporti con altri:
• adolescenza come periodo di prova: i gruppi di giovani vivevano riti di transizione al termine dei quali
venivano ammessi tra gli adulti. Gli adolescenti attraversano periodo di prova sia fisiche sia riti di carattere
religioso. Oggi i giovani viene ritardata assunzione di responsabilità. Giochi e comportamenti a rischio
possono essere considerati azioni autodistruttive e sostituto delle cerimonie di iniziazione, in cui provare a sé
stesso e al mondo di essere coraggiosi, o anche di esistere. Ragazzi si proiettano nel futuro ma hanno bisogno
di essere sostenuti nel desiderio di fare un salto verso la maturità dell’amore e dell’impegno. Si tratta di
costruire un progetto. Il desiderio dei giovani è il riconoscimento degli altri, contare per qualcuno. Per le
generazioni precedenti questo avveniva inserendo il progetto individuale in quello collettivo del gruppo di
appartenenza. Ora si ricerca il valore di ciò che si è, che si deve mettere in scena agli occhi di altri. Web
assume la caratteristica dello spazio in cui si incrociano infiniti sguardi, in cui teatralizzare ciò che si è, porlo
all’attenzione di altri senza che vi siano delle autorità riconosciute se non quelle scelte dall’adolescente stessi, 5
quindi spesso il mondo dei pari. Questo universo luogo ideale per mettere in scena la propria identità. Altro
ruolo del Web: moratoria psicosociale alla ricerca di se stessi cioè un periodo di pazienza da parte degli adulti.
Moratoria psicosociale (=periodo di attesa concesso a chi non è pronto a far fronte a un obbligo imposto a
qualcuno che deve prendere tempo. Indugio a prendere impegni da adulto); assume anche valore di evasione
sul web. Web come fattore di cambiamento della vita e della psicologia umana
• Gruppo dei pari: cultura dei pari è utilizzata da Corsaro per indicare il modo in cui i bambini interagendo
creano ruotine, valori, interessi. Il modo in cui i bambini negoziano la proprietà degli oggetti a scuola, si
appropriano della cultura simbolica della letteratura e media, risolvono conflitti. La normale attività infantile
può essere in realtà la risposta a un bisogno primario. Sono attività collettive.
Dimensione privilegiata dei ragazzi, nel gruppo si respira una comunità, un sentire fatto di emozioni, un
contatto pieno di significati. Gruppi di adolescenti vivono accentuazione del presente, del qui e ora e
dell’attimo, in un continuo rimando tra realtà fisica e quella virtuale del web e social media. Non sempre i
gruppi hanno una vera unità. Esiste una domanda di amicizia e dipendenza dei
coetanei, una distribuzione di ruoli, una cultura condivisa che cementa appartenenza al gruppo e crea
identità. Atto violento è funzionale al riconoscimento pubblico di un gruppo povero di relazioni.
Per comprendere la vita degli adolescenti occorre utilizzare nuovi codici interpretativi, che solo i membri conoscono e
possono apprezzare, usati per allontanare l’estraneo. Sono codici, linguaggi e regole vissute e emozioni che hanno
decifrato. Winnicott ha descritto l’adolescente come essere isolato che difende sua identità e chiede di non essere
scoperto. Il gruppo degli adolescenti millennials non riesce ad organizzarsi per esprimere bisogni o confrontarsi con il
mondo degli adulti.

Intercultura e differenze visibili


Le differenze culturali, come si è detto, attraversano le società al loro interno. Fare intercultura significa riconoscere le
dimensioni culturale di ogni tipo di educazione. Un approccio interculturale attento alle somiglianze, differenze,
conflitti dovrebbe guidare tutte le relazioni educative. Il passaggio alla dimensione interculturale non è però ancora
scontato, spesso siamo fermi alla constatazione del multiculturale. Educare a entrare in relazione significa aiutare a
decifrare i codici e i valori culturali di appartenenza, cioè il complesso di costumi, abitudini, tradizioni, simboli
trasmesse di generazioni in generazioni più o meno intenzionali. Formare alle relazioni interculturali però non si limita
ad un lavoro di scavo ma promuove uno sviluppo aperto alla personalità, nella prospettiva della reciproca
trasformazione (le differenze culturali non possono essere ne rifiutate ne accettate in modo fatalistico) dei soggetti in
dialogo.
Educazione interculturale (diversa da multiculturale= la sovrapposizione casuale delle differenze. Interculturale=
intenzione e preoccupazione di regolare e orientare le relazioni tra soggetti e persone portatori di sistemi diversi di
pensiero e vita) va considerata nella dimensione di una progettualità che intende costruire le ragioni del dialogo e
della convivenza. Lo sguardo interculturale permette di operare in senso educativo per la coesione sociale. La
relazione interculturale è legata alle determinazioni demografiche e socioeconomiche. Le politiche discriminatorie
fanno leva sulla paura del diverso.
Le variabili biografiche sono determinate nella relazione interculturale anche se vengono dimenticate, a favore di una
visione indifferenziato. La sopravvalutazione dell’etnicità conduce ad attribuire alla provenienza caratteristiche e
comportamenti che sono attribuibili alla storia personale. L’etnicità tende a costituire il fattore visibile che sovrasta gli
altri elementi e influenza le immagini e percezioni reciproche. Conta il quadro economico in cui avviene il contatto
interculturale. Costruzione di strategie identitarie che permettano loro di creare una costruttiva immagine e
rappresentazione di sé, valorizzata dagli altri. Alcuni reagiscono con desiderio di integrarsi, realizzati con mimetismi
(atteggiamenti di adeguamento alla cultura circostante). Aspetto dei processi interculturali è dei figli migranti nati o
cresciuti all’estero: seconde generazioni, nuovi italiani, figli di migranti, italiani a metà. Un aspetto particolare da cui
leggere i processi interculturali è quello dei figli dei migranti nati o cresciuti all’estero: seconde generazioni, nuovi
italiani, figli di migranti, italiani a metà e altri. Da decenni ormai in tutti i paesi di immigrazione si sono studiate e
osservate le così dette seconde o terze generazioni cioè i figli di immigrati latino-americani, asiatici, africani trasferiti in
Europa, Usa, Canada. Temi come la doppia appartenenza, il conflitto tra lingua materna e lingua della scuola,
diventano centrali per capire cosa succede in un ambiente sociale, dove vecchi e nuovi arrivati si mescolano. Per le
seconde generazioni si rilevano due discrepanze:
• contrasto tra le caratteristiche somatiche e la lingua e i modi di vivere. Si parla di minoranze visibili, in cui ci
sono europei integrati.
• Distanza tra abitudini, lingue, modi di vivere dei figli migranti nati o cresciuti in Italia, che corrispondono a 6
quelli dei coetanei autoctoni, e loro effettiva cittadinanza sul piano giuridico. Chi nasce in Italia da genitori
stranieri può richiedere cittadinanza solo al compimento dei 18 anni. Mantiene quella dei genitori fino alla
maggiore età. Le seconde generazioni si scoprono estranee nel paese che considerano il proprio,
sperimentano una distanza dall’esperienza quotidiana.
Si tratta di vera dispersione di risorse e capitale sociale e culturale, dovuta a paura e strumentalizzazioni politiche.
Bambini, adolescenti e giovani figli di migranti possiedono potenziali competenze interculturali utili per la società
globale in cui viviamo, denotata da complessità e necessità di utilizzare diversi codici di comunicazione e
comprensione. La concessione cittadinanza sarebbe il riconoscimento di un’appartenenza di fatto, aperta e
interculturale, di giovani che hanno un ruolo nello sviluppo del Paese.

Educare nella rete


Internet è ormai il principale spazio e strumento di comunicazione. Chiedersi impatto di internet sull’educazione e sul
modo di comunicare tra le persone. Quando cerchiamo su Google per orientarci siamo di fronte a una rivoluzione
copernicana del sapere per cui il valore di un’idea, di un’informazione, di un dato è legato non alle sue caratteristiche
intrinseche ma alla sua storia. Il sapere che conta e che ha più visibilità è quello meglio collegato con altre
informazioni o che è accessibile al maggior numero di persone. Il primo tema con cui confrontarci è la mancanza di
punti di riferimento, di mappe mentali, se non quelle informative che permettono orientarsi nel mare del web. Una
conoscenza pressoché illimitata si dispiega davanti alle nuove generazioni che accedono alla rete. La comunicazione e
apprendimento digitali risultano un sapere esteso, senza scarto o discontinuità tra la dimensione del reale e virtuale.
La bussola in questo illimitato campo del sapere è gestita dal social media. Si può comprendere che dietro ai giganti
del web si celi un potere immenso che sovrasta le nostre vite. Questo cambiamento ha colpito anche la politica.
Inseguendo illusorie forme di democrazia diretta molte persone sono spinte a credere che per partecipare bastasse un
like. Un altro aspetto che ha cambiato le nostre vite. Le nuove generazioni sono immerse in un unico campo digitale,
all’interno del quale aumentano in modo esponenziale le modalità interattive. Crescono dentro un universo composto
da connessione in rete, collegati tra loro in una cultura convergente (passa senza soluzione di continuità dal fumetto al
gioco, dalla serie tv al social network). Nella rete dominano la visione e uso delle immagini. l’apprendimento digitale:
adeguare le modalità di insegnamento alle nuove conoscenze e ai processi tecnologici che indirettamente plasmano la
mente. Non conosciamo le conseguenze a livello cognitivo indotte dal mondo digitale in cui i bambini e giovani
navigano in modo naturale. Ogni forma di comunicazione mediale (networking, multitasking, simulazione) presenta
vantaggi e svantaggi, coltiva una o altra forma di pensiero e dell’intelligenza, non devono essere esclusive ma
associarsi alle altre. Le relazioni tra esseri umani diminuiscono e il rischio è che la relazione diventi il livello minimo di
interagire con qualcosa e non con la totalità di una persona. È il preoccupante isolamento del se allacciato. Difronte a
questi rischi, la sfida della pedagogia culturale è quella di potenziare le risorse di partecipazione personale e di dialogo
e incontro con l’altro, in un mondo che non vede più il reale separato dal virtuale. Jenkins, distingue tra interattività
(scambi di tipo meccanico) e cultura partecipativa. Il narcisismo digitale è la forma di collegamento tra cultura
individualistica trasmessa dagli adulti e modalità di interazione digitale in cui i giovani l’hanno tradotta. Aspetto
importante è educazione etica dei giovani; diventano virali insulti e diffamazioni, che adolescenti usano con leggerezza
per escludere qualcuno, prenderlo in giro o colpirlo con violenza (cyberbullismo). Gli schermi sono sempre più
seduttivi; in particolare riguarda i videogiochi che alimentano meccanismi del piacere cui il nostro cervello è sensibile.
Ce chi pensa che videogiochi hanno effetti negativi sul piano della violenza indotta e chi sostiene che non ci sono
evidenze di una casualità diretta tra videogiochi e immagini e contenuti violenti e comportamenti delle persone che li
usano. La media education riguarda non solo i contenuti di apprendimento, acquisizione di contenuti, le capacità di
ricerca individuali ma le competenze sociali e civiche da usare nella comunità, per diventare cittadini capaci di ascolto
dell’altro, rispetto, empatia e solidarietà. Educazione alla cittadinanza sul web deve dare gli strumenti per leggere la
complessità, la pazienza di individuale le forze e le controspinte che agiscono nel mondo, superando senso di
impotenza e tentazione al disimpegno.
Mentalità del complotto, è la tendenza delle nuove generazioni ad attribuire la responsabilità a causa elementari
onnipotenti anziché spiegare i fenomeni, specie politici, con i dati di realtà anziché con sospetto anti-élite.

CAPITOLO 4: I CONTESTI TRA SCUOLA E TERRITORIO

La scuola e le sue culture


I processi educativi si svolgono in un contesto culturale. L’ambiente non è uno sfondo statico ma è parte integrante 7
del sistema di vita. Per la pedagogia socioculturale l’interdipendenza tra dimensione della personalità individuale e gli
aspetti socioculturali ricorda quanto sia stretto intreccio esistente tra soggetto e contesto di vita. Nel disordine della
società complessa la persona, le relazioni, le culture del suo mondo vitale sono intrecciati. Una pedagogia che conduca
alla comprensione delle prassi educative della comunità, scuola, famiglia affronta il tema di questi e altri spazi
educativi, intesi sotto il nostro profilo come contesti culturali, oltre che dal punto di vista organizzativo e normativo
come servizi o da quello psico-sociale come sistemi. Scuola, famiglia, media sono letti da educatori sensibili come
sistemi di relazioni che assumono senso alla luce della mutua reciprocità degli influssi culturali. Nelle società attuali
istruzione scolastica si conferma fondamentale per la promozione della persona, benessere umano, sviluppo
economico. Senza la trasmissione del sapere attraverso le generazioni non vi è progresso. Tutti gli studi ritengono
l’istruzione una risorsa preziosa. La forma standardizzata della scuola occidentale appare obsoleta; tutti impianti della
scuola come l’abbiamo conosciuta finora siano ancora validi. La scuola di oggi si interroga sulla capacità di condurre
tutti all’apprendimento senza escludere nessuno. Obiettivo legato alla cultura ma come senso dell’apprendimento. La
scuola deve chiedersi come crei una cultura comune di cittadinanza e convivenza sociale.
1. scuola e cultura infantile: Tra le tante culture che esistono nel mondo esiste anche la cultura infantile. Una cultura
per sua natura provvisoria perché riguarda il nostro incontrare e pensare il mondo nei primi anni, ma anche in qualche
modo sopravvive in parti profonde di noi tutta la vita. È una cultura preziosa. Questo è ciò che scrive Franco Lorenzoni
nel diario di classe “i bambini pensano grande”, un esempio di scuola che educa i bambini alla cultura come “critica e
capacità di discussione di ciò che accade”. Una scuola che dà loro la libertà di pensare e il tempo di approfondire. La
scuola permette di trasmettere questo universo ampio di informazioni e
interpretazioni come qualcosa di già dato e che invece andrebbe riscoperto con spirito di curiosità e interesse da parte
delle nuove generazioni. I buoni maestri hanno in comune il rispetto per i loro alunni e studenti, cercano di capire la
mente infantile. Le teorie psicologiche a partire da quelle di Piaget hanno spesso considerato lo sviluppo in astratto
mentre si può capire la mente dei bambini solo a partire dal contesto concreto e dal loro pensiero proiettato verso la
realtà esterna ricca di simboli. In particolare, bisogna sempre ricordare che i bambini partecipano a due culture, la
loro e quella degli adulti.
2. scuola come successo: che non ci siano alunni esclusi. Ancora oggi partono avvantaggiati i figli delle famiglie in cui
più alto è il livello culturale e che hanno i genitori laureati. Sono ancora decisivi fattori come il titolo di studio dei
genitori, la loro occupazione e l’insieme dei beni culturali posseduti in famiglia.
La lotta per equità deve aggredire l’immobilismo sociale per cui come ha detto Fubini, in Italia resti quello che nasci.
Abbiamo il record negativo in Europa di persone la cui posizione dipende dallo status trasmesso dalla famiglia. La
scuola permette di superare le disuguaglianze di partenza. Lo svantaggio socioculturale incide sulla carriera scolastica
e la scuola non ha la forza o volontà di colmare questo fossato che separa i gruppi sociali e di produrre uguaglianza. Il
gap non diminuisce e la mobilità sociale garantita da istruzione non funziona. Lo svantaggio sembra ereditato in modo
automatico di padre in figlio. Il fenomeno più grave è la dispersione scolastica intesa come insieme di fenomeni
relativi all’evasione scolastica, ripetenze ed abbandoni. I rapporti OCSE riportano la situazione italiana i cui indicatori
se pur in miglioramento restano distanti dalle media europea. In particolare, restano le percentuali di abbandono
precoce rispetto agli obbiettivi e soprattutto l’alto tasso di NEET.
Come profilo la maggior parte sono maschi con un background familiare fragile e percorsi scolastici demotivati. Ai dati
sugli abbandoni vengono affiancati quelli sull’achievement gap (divario che separa i risultati scolastici e le attese
relative alle competenze richieste). L’istituzione scolastica stessa, anziché costruire equal opportunities, rafforza le
ingiustizie sociali riproducendo svantaggio. Insuccesso scolastico è il cuore del problema della cittadinanza. Bisogna
contrastare il fallimento formativo. Nelle scuole italiane presenza di studenti di cittadinanza non italiana: distinzione
tra neoarrivati dall’estero e chi è nato in Italia è arrivato più tardi dal Paese d’origine. Ormai la metà degli studenti
delle scuole italiane sono considerati “di seconda generazione” perché nati o cresciuti qui.
Secondo Ghionda, le ragioni del successo dei ragazzi immigrati non vanno cercate nelle caratteristiche del gruppo
specifico degli immigrati. La riuscita sembra condizionata secondo i Paesi in cui si svolgono i loro studi. La studiosa
propone quindi di affrontare il problema dell’integrazione attraverso queste misure:
- Facilitare l’acquisizione della cittadinanza,
- qualificare la competenza nella L2 come fattore di integrazione,
- sviluppare gli approcci interculturali che prevedono il rispetto delle culture e l’apprezzamento delle
differenze, smentendo lo stereotipo che il conflitto culturale favorirebbe l’insuccesso,
- approfondite le competenze degli insegnanti combattendo pregiudizi
- migliorare la comunicazione e la cooperazione fra scuola e famiglia. 8
La commissione europea raccomanda esplicitamente un approccio più attento all’integrazione che all’adozione di
misure speciali.
C’è bisogno di un approccio interculturale a livello delle discipline e delle relazioni che rispetti ma non amplifichi la
diversità, è indispensabile per gestire la complessità delle culture e delle lingue presenti nella classe scolastica.
L’approccio interculturale riguarda la complementarietà tra integrazione e intercultura. Si tratta di realizzare
interventi specifici sugli alunni immigrati sia interculturali cioè educazione alle differenze destinata a tutta la classe. La
dimensione interculturale non è un compito speciale per la scuola ma come paradigma per accogliere tutte le
differenze. Origine etnica rappresenta un criterio di separazione alunni di origine immigrata nelle classi e nella scuola.
La segregazione può condurre a effetti negativi a molti livelli: creare spazi separati tra alunni di cittadinanza non
italiana rende difficile integrazione, impedisce immersione linguistica quotidiana in un ambiente non formale con
coetanei esperti.
3. educazione alla cittadinanza: attraverso la scuola influenza le relazioni sociali, adesione alle norme, partecipazione.
La scuola svolge funzione di socializzazione; vengono definite le norme cui gli alunni devono conformarsi. A scuola si
apprende ad obbedire all’autorità e a conformarsi alle richieste degli insegnanti.

Violenza e bullismo
Uno degli aspetti più preoccupanti della crisi della scuola contemporanea è la violenza che in vari casi si respira. Negli
stati uniti cresce l’allarme dell’uso delle armi a scuola, e sono stati gli studenti stessi a ribellarsi contro i produttori e le
lobby delle armi che ne facilitano l’uso. Bisogna distinguere le forme delle culture anti scolastiche. In molti casi si è di
fronte a forme di maleducazione degli alunni, comportamenti aggressivi, non rispetto delle regole. Si assiste a una de-
ritualizzazione e alla scomparsa di gesti formali di rispetto verso insegnante visto come parte di habitus di
comportamento necessario per la vita sociale. La cultura della violenza è in realtà assorbita da un mondo conflittuale
che li mette alla prova della competizione, impone modelli irraggiungibili. Ce disagio vita sociale che si riflette in
classe. La scuola perpetua una violenza simbolica sui bambini che da un lato trasmette modelli di autorità per
insegnare controllo e disciplina dall’altro rischia di vedere al centro di questi modelli il principio di potere e non quello
di responsabilità. Il sistema educativo e formativo dovrebbe formare alla cultura della non violenza. Due esempi per
capire come esterno della scuola può rischiare di contagiare le nuove generazioni: da un lato le politiche dell’identità,
che creano un falso noi contro gli altri dall’altro le ideologie della sicurezza. Violenza come forma di autodifesa e di
anticipazione nel ristabilimento dell’ordine. Ideologia della sicurezza senza l’altro si eserciti in modo estremo occorre
la disumanizzazione. Per evitare una pedagogia nera nella scuola occorre cogliere un progetto di scuola del dialogo e
della cittadinanza.
Il conflitto iscritto del desiderio umano di prevalere o possedere ma non per questo si traduce in violenza. Ha come
obiettivo rinforzare la propria posizione all’interno di una relazione ma non di liquidare la relazione stessa.
La Violenza chiude invece la discussione, la ricerca di soluzioni, di dibattito. La violenza dei pari→ bullismo che vede
come luogo privilegiato la scuola.
Il Bullismo riguarda violenze fisiche o psicologiche compiute da un singolo o gruppo ripetutamente verso una vittima
designata. Le forme di prevaricazione possono essere dirette (compiute sulla vittima) o indirette (attraverso la
diffamazione, esclusione). Si manifesta fin dai primi anni della scuola primaria con picco alle superiori. Diventano bulli i
ragazzi con problemi di socializzazione, i figli di famiglie con scarsa coesione, monogenitoriali; bullo è maschio con
forza fisica superiore ai coetanei. Profili dei bulli e delle vittime possono essere: leader, coloro che aiutino, gli
spettatori passivi, ma anche chi interviene attivamente per difendere il compagno. Le vittime presi di mira per
timidezza o aspetto fisico entrano nel circolo vizioso della paura e vittimizzazione. Considerano una strategia perdente
affidarsi ad adulti distratti, incapaci di cogliere i segnali del bullismo.
Immoralità del bullismo, messa in atto di meccanismi di disimpegno morale che permettono la disattivazione della
riprovazione da parte della propria coscienza quando si fa qualcosa che è percepito come male. Come intervenire?
Azioni compiute solo dall’esterno e sanzionatorie sono inefficaci mentre sono validi progetti e interventi. Educatori
non devono chiudere gli occhi davanti alle prepotenze, senza sottovalutarli. Ogni alunno respira il curricolo morale
nascosto della scuola cioè i codici impliciti sapendo se in quell’ambiente passeranno impuniti i comportamenti
scorretti. Incompetenza relazionale dei bulli che non sanno gestire i conflitti. Occorre coinvolgimento di tutti gli alunni
che integra bullo e vittima in una relazione ampia. Compito educatori sostare nel conflitto, usando il gruppo come
risposta. Se alcune forme di violenza dei bulli nascono da una mancanza di controllo degli impulsi emozionali e delle
reazioni immediate, sono perciò i progetti che potenziano il controllo di sé o aumentano le competenze sociali e di
comunicazione a funzionare meglio. Notare che bullismo si manifesta davanti ad un pubblico. Il ruolo chiave degli
spettatori è quello che possono trasformarsi in comunità in cui ricreare relazioni di amicizia e aiuto, disapprovando il 9
bullismo e sostenendo la vittima. In questo senso si colloca la mediazione tra pari. Mediazione come forma alternativa
alle misure disciplinari utilizzate nella scuola.
Una particolare forma di bullismo è il cyberbullismo (bullismo attuato via web, insieme alle forme di cyberstalking e
sexting). Anche se avviene con mezzi tecnologici, la scuola si deve occupare di questo problema. Distinzione tra
cyberbullying (avviene tra minorenni) e cyberharassment (avviene tra adulti o tra adulto e minorenne; si parla di
molestie compiute con mezzi informatici tra pari di minori età). Cyberbullismo non è la semplice persecuzione in rete
dei comportamenti persecutori attuati di persona. Internet rappresenta un luogo di incontro/scontro in cui le
questioni di merito possono passare in secondo piano rispetto ai meccanismi invasivi che può creare; si consideri il
fenomeno di flaming (fiammata, esplosione di commenti negativi intorno a un evento). Il desiderio di essere popolari
tra adolescenti facilita il cyberbullismo. Va individuato il devil effect, cioè la tendenza delle persone ad attribuire
all’impressione e agli stereotipi negativi un peso sproporzionato rispetto alle informazioni positive. La possibilità
dell’anonimato porta a un distanziamento tra vittima e aggressore.
Legge 71/2017→ permette agli ultraquattordicenni di chiedere di oscurare o rimuovere i dati personali; legge istituisce
un tavolo tecnico che redige un piano di azione integrato per contrasto e prevenzione del cyberbullismo e prevede un
codice di regolamentazione per la prevenzione del fenomeno. Il ministero istruzione deve adottare linee di
orientamento, formare sull’argomento il personale scolastico e promuovere la peer education (prevenzione e
contrasto dal cyberbullismo ad opera di studenti stessi). Le scuole possono avvalersi di norme dello statuto degli
studenti e studentesse del 2007, che prevedono sanzioni per questo tipo di comportamenti in un contesto segnato da
finalità educative e ispirate al principio di gradualità (principio di riparazione del danno); sono tenuti a inserimento di
piani antibullismo, educazione alla cittadinanza digitale come formazione di nuovi cittadini online consapevoli dei loro
doveri e capaci di empatia verso gli altri.

Povertà educativa tra scuola e territorio


La scuola e famiglia non sono unici luoghi educativi per bambini, adolescenti e giovani. In una società aperta e
complessa come la nostra, le connessioni tra il territorio, la strada, il mondo dei media e le istituzioni divengono ancor
più importanti. L’area del rapporto tra scuola ed extra scuola è una zona di confine per educazione, sia sotto aspetto
delle esperienze parallele sia come coordinamento integrato tra interno ed esterno. Pedagogia extra scuola intesa
come iniziative educative intenzionali soprattutto del terzo settore e associazionismo. Oggi assistiamo a una crisi
dell’ambito formale e dilatazione di quello informale; l’ambito non formale ha caratteristiche di elasticità, flessibilità,
adattamento, personalizzazione educativa. Rimane la necessità di un dialogo tra questi diversi ambiti. Si fa riferimento
qui all’idea guida pedagogica del sistema formativo integrato, considerato come patto educativo tra genitori,
insegnanti, educatori, cittadini di una comunità territoriale. I progetti dell’extra scuola possiedono un patrimonio di
esperienze ed energie, che possono mobilitare energie locali e sfruttare opportunità formative anche nascoste.
L’importanza da attribuire all’extra scuola scaturisce dall’ipotesi di continuità o di integrazione tra i diversi ambienti di
vita, senza separazioni.

La povertà educative e le azioni del suo contenimento


Povertà educativa, il cui indice è stato calcolato dall’Istat in collaborazione con l’organizzazione Save The Children. In
esso sono considerati diversi indicatori, tra cui livello di competenza, abbandono scolastico, le qualifiche formative
acquisite e le competenze civiche. Soggetti più a rischio sono figli di genitori con livelli ridotti di scolarità e in condizioni
di disagio sociale. L’idea di povertà educativa si presenta come un concetto utile dal punto di vista della pedagogia
delle pari opportunità in condizioni di disuguaglianza e per sviluppare modelli di intervento dentro e fuori la scuola.
Le iniziative extrascolastiche di recupero, animazione, socializzazione di bambini e adolescenti gestite da associazioni,
cooperative, oratori... rappresentano un universo molto vasto, sia in forma professionale che di volontariato. Sotto il
profilo del metodo pedagogico in questo ambito si sviluppano due modelli centrati su educatore (relazione a uno a
uno) e modelli centrati sull’ambiente (attività come strumento dell’azione educativa, centralità del progetto). La
maggior parte dei centri più solidi e strutturati che svolgono queste attività nascono all’interno del terzo settore.
Nella storia dei gruppi di doposcuola esistono due tipi: uno privilegia i ragazzi in difficoltà sul piano scolastico e sociale,
l’altro tende ad inserirsi nel tessuto territoriale complessivo svolgendo un lavoro aperto a tutti. In entrambi i casi si
tratta di lavoro di prevenzione. La tradizione pedagogica cristiana (da Don Bosco a don Milani) unisce ad una visione
religiosa del mondo e dell’uomo un forte progetto educativo. Le esperienze extrascolastiche attuali attingono in
maggioranza ad un’ispirazione cristiana, in una visione unitaria che crea e sviluppa progetti di solidarietà specie dove
c’è esclusione e disagio.
10
I rischi delle periferie umane e sociali
Particolarmente interessanti sono le esperienze caratterizzate dal coinvolgimento dei bambini e dei ragazzi delle
periferie sociali e umane e a rischio di esclusione. Lo scopo non è solo imparare a convivere senza pregiudizi o
discriminazione ma anche trasformare il mondo, creare solidarietà, promuovere comportamenti non violenti nella
prospettiva di una scuola della pace.
Le azioni della scuola si basano su tre livelli: azioni di prevenzione, azioni dirette e misure di recupero. Le prime
anticipano insorgenza di segni di abbandono precoce dei percorsi scolastici o formativi. Le misure di intervento sono
indirizzate a insegnanti, studenti, genitori. Ultimo livello definito di compensazione fa riferimento ai percorsi di
formativi di seconda occasione, rivolti ai ragazzi che hanno perso connessione con scuola e formazione professionale,
ma possono essere recuperati a seguito di ripensamento. I centri che svolgono attività di recupero scolastico sono allo
stesso tempo una realtà educativa originale rispetto alla scuola e hanno il compito di educare e non solo istruire.
Modelli meno scuola centrico è possibile ed è uno degli obiettivi di queste realtà, diverse dalla scuola dal punto di
vista degli strumenti e tempi e luoghi di azione. Extra scuola sembra oscillare tra modello-scuola che ricalca forme
scolastiche e un modello alternativo, in cui le figure operatore si distinguono dagli insegnanti, lavoro scolastico
centrato sulla rimozione. Collaborazione tra educatori e insegnanti come partners. Gli educatori partner rimangono in
posizione subalterna ma incontro tra insegnanti ed educatori può essere fecondo. I primi presentano una
professionalità consolidata e dalla lunga tradizione mentre educatori competenze psicopedagogiche mirate ad attività
di animazione e volontariato. Lo scambio culturale costituisce una vera formazione sul campo degli insegnanti e
educatori possono realizzare nella reciprocità. La scuola rischia di non saper valorizzare le risorse rappresentate da
educatori esterni. Le esperienze originali sono quelle che riescono a gestire i compiti educativi attraverso una
interpretazione nuova dell’educatore e interventi centrati sulla rimotivazione. Sono queste esperienze che danno
origine alla dimensione culturale dell’apprendimento. I benefici degli insegnanti, sono che apprendono dagli educatori
a conoscere le caratteristiche del ragazzo, fuori dalla scuola, a vedere i ragazzi non solo come alunni ma come ragazzi.

I contesti del rischio


Da sempre il desiderio di affrontare il rischio caratterizza l’età dell’adolescenza. I più giovani affrontano
comportamenti pericolosi molto più frequentemente degli adulti e anche dei bambini, pur essendo più grandi. Il
rischio di morte degli adolescenti nel mondo per incidenti, ferite, omicidi è almeno quattro volte quello che corre un
adulto. Nel cervello dell’adolescente ci sono cambiamenti biologici e neurologici non solo per modifiche ormonali ma
a causa dello sfoltimento della sinapsi; esistono componenti psicologiche e socioculturali che spingono in questa
direzione. I giochi di morte o rischio sono considerati una ricerca di identità e di conseguenza prevenirli significa
promuovere quelle abilità e quella definizione di sé che provano a raggiungere pericolosamente. Dal punto di vista
educativo possiamo vedere nei giochi cose con cui i giovani vogliono provare per se stessi per essere coraggiosi e forti.
Possiamo parlare di:
• Guida pericolosa→ adolescente vuole dimostrare qualcosa. Per i maschi si tratta che oltre a sperimentare
sensazioni forti, di un modello culturale attraverso cui costruirsi un’identità fatta di coraggio e abilità nel
mondo dei motori.
• Gioco d’azzardo→ è la cultura sociale stessa che istiga all’azzardo dato che entrate vanno nelle casse dello
stato ed è difficile vincere battaglia del divieto della pubblicità. Movimenti come Slot Mob denuncia il profitto
che lucra sulla fragilità di persone che affidano la loro sorte all’azzardo e ne divengono dipendenti. Nella
famiglia può causare dipendenza la gaming addiction, dipendenza da videogiochi. Gaming disorder, cioè l’uso
compulsivo dei videogiochi e assuefazione che compromette la vita sociale delle persone.
• Dipendenza da alcool→ è parte della cultura perche associato alla convivialità ed euforia; fenomeno di tipo
iniziatico e di conseguenza tollerato e lecito, pubblicizzato dai mass media. Binge drinking, assunzione di
alcool in un tempo breve per ubriacarsi, è un fenomeno preoccupante, associato alla socialità degli aperitivi.
Abuso di alcool: motivazione di divertimento, disinibizione, facilità a socializzare.
• Uso di droghe del sabato sera e interventi di prevenzione→ assunzione di nuove droghe o droghe sintetiche,
non si conoscono ancora gli effetti. Si tratta insieme alla cannabis delle cosiddette droghe del sabato sera
assunte nel contesto di gruppo, utilizzato per fine di essere liberi. Essi producono effetti di sofferenza psichica,
perdita di concentrazione e memoria, crisi di panico. Uno degli effetti preoccupanti è l’abbassamento della
soglia della percezione del rischio. Le letture del fenomeno chiamano in causa le predisposizioni individuali, le
problematiche familiari, la depressione o le frustrazioni subite dai giovani. La prevenzione è trascurata. In
campo medico prevenzione primaria o secondaria in base al momento in cui individuo entra in contatto con
rischio; gli studi psicologici hanno suddiviso azione preventiva in base ai destinatari: universale se rivolta a 11
tutti, selettiva rispetto a gruppi considerati a rischio. Per quanto riguarda addiction giovanile si è presa
coscienza dell’effetto boomerang di interventi formativi. Interventi basati su informazione oggettiva. Life
skills: competenze per il benessere dei bambini e adolescenti, consistenti nella comunicazione efficace,
gestione emozioni e stress. Conta il contesto in cui si assumono le sostanze, immagine delle persone e il
significato che attribuiscono loro. Ambiente abituale di assunzione è il gruppo e assunzione avviene con
processo di ritualità. Scuola ha mandato di dare risposte intelligenti, accogliere e formare partendo dalle
relazioni e dalla classe. La società e scuola possono essere forme di disagio e non solo di risposta. Programmi
di prevenzione inseriti nella classe. Le dimensioni di socialità, fiducia, comunicazione sono da costruire con
lenta crescita della personalità e non attraverso sostanza chimica. La prevenzione si deve basare su aspetti
cognitivi ed esperienziali. Azioni di riduzione del danno cioè dirette a limitare i danni della tossicodipendenza
ed a prevenire patologie come Aids.
• Violenza nel contesto di vita→ quartieri e territori occupati da violenza da parte di criminalità organizzata o
da forme di complicità con illegalità di vario tipo. La criminalità organizzata al sud e al nord dei giovani va
considerata emergenza sociale ed una priorità degli organi dello stato. Queste forme di crimine (mafia,
camorra) non nascono come corpi estranei all’interno della società di appartenenza ma sono intrecciati con
modi di vita, costumi, tradizioni culturali che vanno contrastate sullo stesso terreno. Vari livelli di intervento:
la prevenzione e trattamento della criminalità vera e propria dei minorenni e alternativa di tipo culturale alla
mentalità di sfiducia, sopraffazione, potere e violenza che le mafie portano con se. Le mafie non sono soltanto
una mentalità: restano associazioni a fini di lucro fondate sulla violenza e attività illecite come estorsione ed
traffico stupefacenti. Hanno ferree leggi interne, sociali e morali come rispetto famiglia e rifiuto istituzioni. Si
sostituisce allo stato nel garantire ordine e gestire la giustizia. La gestione dello spazio costituisce la sua forza.
Fattori che alimentano fenomeno: disoccupazione, povertà, ignoranza, circolo vizioso dello svantaggio
scolastico e sociale costituiscono i fattori socio-economici. Linguaggio basato sull’illusione e segreti, legato al
contesto di gesti e simboli in cui viene espresso. Una formazione alla legalità può essere insegnata ma deve
assumere nuovi significati, basarsi su testimonianze e partecipazione per combattere il sentire mafioso.
• Gang metropolitane→ trovano senso nella solidarietà interna contrapposta ai gruppi rivali che da sicurezza e
senso appartenenza, esercitando una funzione protettiva tra pari e difesa dall’ostilità dell’ambiente e di altri
coetanei nemici. Le bande sono composte da maschi, in quanto imposizione virile tende a espellere le
ragazze. Gang ha una struttura formale gerarchizzata, un codice normativo
esplicito ed un rischio di ricorso alla violenza. Funzione identitaria e di rassicurazione.

CAPITOLO 5: I CONTESTI, FAMIGLIA E COMUNITA’


Genitori e figli: famiglie in cambiamento
Le trasformazioni subite dalla famiglia negli ultimi decenni sono davvero profonde. Le famiglie sono cambiate da tanti
punti di vista: crisi demografica e contrazione del numero dei figli, modifiche dei ruoli parentali, emancipazione delle
donne, cambiamenti nel ruolo del padre, nuove forme di convivenza civile uomo/donna o donna/donna.
In passato tutte le famiglie erano allargate dato che comprendevano al loro interno anche i nonni oltre alla coppia e
figli. Oggi in Italia le famiglie hanno in media poco più di un figlio. Si è assistito al ritorno degli anziani nelle case per la
necessità di contribuire con la pensione al bilancio familiare. Oggi le famiglie sono allargate in un altro senso perché
aperte a nuovi partner delle coppie separate o divorziate con figli.
L’aumento del numero di donne che lavorano e una maggiore consapevolezza delle parità di diritti hanno modificato
positivamente i ruoli familiari, con i padri che svolgono compiti fino a ieri considerati femminili. La cultura della
singolarità ha prodotto enormi cambiamenti: figli nascono da un modello di famiglia che non vede più il nuovo nato
come natura da civilizzare bensì come creatura per far emergere interiore processo di crescita e realizzazione
personale; spesso bambino-re domina in casa.
In generale esiste una certa convergenza sul modello “occidentale” in cui la madre lavora fuori casa, crescono le
famiglie monogenitoriali, e gli stili educativi si adattano a pratiche narrative intenzionali. Un punto di vista attraverso
cui osservare i cambiamenti familiari è costituito dalla partecipazione alla vita degli adulti. Nei contesti individualizzati
in cui i genitori lavorano, i bambini passano loro tempo a scuola o strutture specializzate.
Rogoff ha proposto il concetto di partecipazione guidata alle attività culturali che avviene attraverso un reciproco
scambio di significati tra caregiver e bambino, con routine sociali, giochi e pratiche culturali ereditati dalla tradizione.
Nelle società comunitarie i bambini imparano dalla vita reale come apprendisti, risolvendo problemi con adulti in 12
modo naturale. I processi di apprendimento guidato esige una gestione e costruzione dell’ambiente del bambino.
Genitori e caregiver (colui che si prende cura di cui componenti della famiglia che hanno bisogno di aiuto o anche solo
di protezione) strutturano la situazione di apprendimento. Si possono notare le difficoltà nelle società complesse dove
si accumula un sapere ampio perché possa essere trasmesso solo permettendo ai bambini di imitare e partecipare alle
attività degli adulti. La famiglia ha subito cambiamenti anche sotto il profilo della capacità genitoriale. La famiglia i cui
diritti in quanto “società naturale fondata sul matrimonio” sono riconosciuti nell’articolo 29 della costituzione.
Presenta una dimensione privata ma anche oggetto pubblico. Tale collocazione tra il pubblico e il privato che tocca in
particolare il problema dei minori, rende in un certo senso debole l’intervento giuridico in quanto la funzione di
protezione dei minori da parte dei genitori viene influenzata dal clima sociale. Uno dei problemi che investe i figli è la
negligenza della famiglia, che può nascere da fratture tra genitori, carenze educative, crisi di relazione, disturbi
psichici. I bisogni dei figli non sono curati; intervengono i servizi quando i problemi sono gravi. Da tale trascuratezza
protratta nascono la segnalazione che portano all’assunzione della tutela dei minori da parte di istituzioni
(trascuratezza trascurata).
L’assistenza domiciliare alle famiglie in difficoltà, che permette agli enti locali, attraverso il privato sociale, di
sostenere i nuclei, aiutare le madri nell’educazione dei figli. Si tratta di progetti validi perché individualizzati con forti
potenzialità di prevenzione che si giocano nella quotidianità. Il punto di vista educativo-sistemico che abbraccia la
famiglia nel suo insieme è fondamentale nei contesti di trascurezza e negligenza, attraverso il coinvolgimento integrati
di tutti: servizi, scuola, vicinato…
L’educatore si trova tra due mondi in trasformazione:
1. la famiglia, soggetta a mutamenti
2. istituzioni in cambiamento per quanto riguarda atteggiamento nei confronti del nucleo familiare.
I motivi del mantenimento legame familiare sintetizzati nel tentativo di salvare i genitori disturbati attraverso il
bambino-terapeuta.
Figlio come speranza di modificare i comportamenti dei genitori. La permanenza in una famiglia diseducativa sia la
conseguenza di una indifferenza o mancato intervento da parte dei servizi o delle autorità giudizarie. La priorità va
data alla protezione del bambino, anche a costo di una separazione.
Tale presa a carico deve avvenire mediante un coordinamento dei servizi e delle risorse disponibili attraverso
un’attenta valutazione del rischio affrontato dai bambini. Silvio Premoli identifica i 5 principi che devono guidare la
filosofia del CFW (child family welfare) che coinvolge insieme minori e famiglia:
- supporto alla famiglia da parte della comunità
- disponibilità di servizi centrati sulla famiglia
- competenze interculturali
- accountability e tempestività di intervento del sistema
- coordinamento delle risorse disponibili
In questa prospettiva cambia il ruolo degli educatori che divengono partners dei genitori e ne condividono il potere,
individuano i punti di forza delle risorse familiari e considerando la persona non solo oggetto di disagio ma soggetto e
risorsa da valorizzare.
La diffusione delle tecniche di procreazione assistita ha reso complicato il quadro delle politiche familiari e delle
strategie educative per sostenere la famiglia con figli. Oggi abbiamo la distinzione tra filiazione: biologica, gestatrice,
sociale, giuridica e affettiva, a seconda che la nascita avvenga in modo naturale o no. La filiazione sociale e quella
giuridica possono non corrispondere a quella biologica, come nel caso dell’adozione. La distinzione tra maternità
biologica e gestatrice si pone in modo evidente per il fenomeno della maternità surrogata, cioè possibilità di portare a
termine la gravidanza a posto di altra madre. La legge 40/2004 proibisce l’utero in affitto ovvero la tecnica di
procreazione assistita per cui una donna si obbliga mediante un contratto, a mettere a disposizione proprio utero al
fine di condurre una gravidanza per conto di una coppia ed a consegnare il nato. Questo tipo di pratica non è
criticabile sul piano formale perché cambia modello di famiglia tradizionale, ma perché consiste in una violazione dei
diritti sia dei bambini sia delle donne. Nel caso della maternità surrogata il bambino viene selezionato in base al
desiderio di una coppia, ordinato, sottoposto a contratto commerciale e fatto abbandonare dalla madre biologica.
Anziché ricorrere all’adozione dei bambini con loro storia si cerca un neonato senza imperfezioni, nella finzione di
appartenenza naturale giustificata con amore che gli verrà dato dopo nascita.

13
La famiglia accogliente
In questo quadro di nuove tecniche di procreazione, nuclei familiari ristretti e cultura della singolarità non sorprende
che anche l’accoglienza di bambini o ragazzi di altri genitori stia progressivamente diminuendo. Infatti, cala ogni anno
il numero delle adozioni nazionali e internazionali. Si tratta di un fenomeno mondiale. Per quanto riguarda le adozioni
di bimbi sul territorio nazionale si registra media costante: accanto alla positiva degli stati di abbandono del nostro
paese parallelamente riduzione del numero di coppie disponibili. Anche se l’adozione in passato aveva caratteristiche
diverse. Si trattava di perpetuare il nome e eredità di famiglia, trasmettendoli ad un figlio che doveva essere grato del
dono ricevuto. I diritti del bambino ad avere una famiglia sono stati affermati i diritti dei genitori ad avere un erede.
Dal punto di vista psicosociale era un fenomeno sconvolgente, un segreto da nascondere perché la cultura del tempo
viveva come una vergogna la sterilità e tutto ciò che violava la normalità della filiazione biologica. L’adozione oggi ha
conquistato uno statuto di legittimità nell’ambito della società. Dolto e altri psicoterapeuti hanno infatti sottolineato
non solo l’importanza della gestazione e del rapporto madre-bambino, ma anche la centralità dei legami di sicurezza
creati dai genitori adottivi. Si è trasformata da diritto della famiglia di avere un erede a diritto del bambino di trovare
ambiente di affetti in cui crescere.
La formazione può aiutare la famiglia a potenziare le loro risorse, per apprendere e ascoltare i figli senza cedere a una
narrazione. Molti bambini hanno avuto storie difficili, tutti esperienze di abbandono.
Un modello multidimensionale, lo stress e coping che considera fattori di sviluppo e ambiente sociale. L’assunto
centrale è che l’adozione è comunque legata ad eventi che possono provocare ansie, paure, confusione, tristezza. Un
aspetto particolare dell’adozione internazionale è quello della possibilità di dotare anche i genitori adottivi di
competenze interculturali. Il bambino adottato di un’altra cultura è persona in crescita, con alcuni tratti innati, varie
esperienze assorbite già nei primi mesi e anni, ma soprattutto aperto al cambiamento e alle influenze dall’esterno. Le
differenze culturali vengono sfumate in un contesto di vita trasversale con caratteristiche comuni da un capo all’altro
del mondo. La famiglia adottiva costruisce una base sicura attraverso routines e rituali, mette a punto nuovi legami,
ascolta le domande. Con la formazione e sostegno dei servizi è possibile rafforzare le risorse della famiglia. Forma di
accoglienza è affidamento familiare (legge 184/1983) che consente di non interrompere legami con la famiglia
d’origine nel caso pregiudicasse interesse del bambino. Relazione a tre. Affidamento è consensuale e temporaneo
gestito dai servizi sociali territoriali. L’affido professionale prevede che uno dei genitori diventi referente con
contratto di lavoro all’interno di un progetto ad hoc per bambino. Famiglie accoglienti ma bisognose di intervento.
Prevista la temporaneità e il forte coordinamento dei servizi sociali attraverso tutor.
L’affido omoculturale, inserimento di bambini di figli migranti in famiglie dello stesso paese. L’affido di minori stranieri
non accompagnati (legge 47/2017 prevede o inserimento in una comunità per minori o affidamento famiglia o
rimpatrio assistito) presenta in Italia un alto numero. Anna Granata ha descritto la complessità del loro percorso.
Negli ultimi anni si è cercato di gettare un ponte tra le diverse forme di tutela dei bambini fuori dalla famiglia d’origine.
Si discute di forme alternative all’adozione attuale che recide in modo irrevocabile i legami e crea una nuova status di
filiazione.
Si parla di adozione mite perché ha una interpretazione rigida come seconda nascita che può portare a scelte non
sempre nell’interesse del bambino. Ci si chiede se non vada coltivato il diritto del bambino a una bifamiliarità, ad avere
una famiglia senza cancellare la prima.
Un altro aspetto della famiglia accogliente è il tema della condizione anziana. Il sistema previdenziale ha richiesto lo
spostamento in avanti dell’età pensionabile. Gli anziani soli patiscono un peggioramento delle condizioni di vita e
aumento esclusione sociale. Si pone urgente il tema del contrasto della solitudine, della permanenza anziani nella
famiglia e del sostegno a caregiver che si prendono cura di parenti non autosufficienti. Le politiche per anziani
dovrebbero contrastare isolamento, potenziando la cultura della domiciliarità (assistenza domiciliare), forme di
residenzialità mite. La rete sociale può prevenire istituzionalizzazione costruendo collegamenti con servizi e
opportunità intorno all’anziano. Quando la soluzione è ricovero negli istituti, case di riposo o rsa è possibile ricostruire
familiarità sia favorendo creazione di comunità alloggio o case albergo.

La vita nelle comunità di tipo familiare


Quando famiglia o le persone più vicine non sono in grado di dare accoglienza adeguata ai suoi membri, lo Stato
provvede attraverso interventi di tipo residenziali. La cultura attuale dei servizi socioeducativi o terapeutici ha
maturato nel tempo una visione complessa del rapporto tra questi luoghi di accoglienza e l’ambiente familiare.
Si è passati da una visione del passato che permetteva istituzionalizzazione per approdare a oggi a una cultura che
tende a difendere la famiglia come ambito di vita adatto allo sviluppo e crescita.
Legge Basaglia del 1978 ha portato alla chiusura degli ospedali psichiatrici, ha umanizzato intervento a favore dei 14
malati di mente, eliminando strutture violente e coercitive; servizi domiciliari che si
prendono cura con la famiglia delle persone disturbate. Nel caso degli anziani una cultura che superi i grandi istituti
non si è ancora generalmente diffusa e si accetta che essi rimangano ricoverati in grandi strutture spesso
disumanizzati. Per quando riguarda i minori invece si è sviluppata una cultura favorevole a un approccio di sistema che
prevede uno stretto rapporto con la famiglia nella prospettiva Child and Family Welfare come dice Premoli, anche
quando l’allontanamento diventa indispensabile per salvaguardare i diritti. A partire dall’articolo 30 della costituzione
nei casi di incapacità si prevede che i genitori vengano tolti da tale incarico. Negli ultimi anni ci troviamo davanti ad un
maggiore allontanamento ma anche a un potenziamento del welfare grazie alla legge 285/1997.
L’allontanamento del minore deve oggi essere obbligatoriamente verso una comunità di tipo familiare. Infatti, la legge
149/2006 porta l’allontanamento del minore verso una comunità di tipo familiare. Chiusura degli istituti dove
venivano ricoverati i bambini.
Con la legge 184/1983 dice che la comunità fosse caratterizzata da organizzazione e rapporti interpersonali analoghi a
quelli della famiglia. La legge 149/2001 ha rafforzato questo principio definendo alcuni criteri di fondo per il
trattamento di bambini in difficoltà familiari. Dopo l’articolo 1 che prevede il diritto alla permanenza del minore nella
propria famiglia, l’articolo 2 in alternativa prevede l’inserimento in comunità di tipo familiare.
La comunità di tipo familiare, accolgono bambini/adolescenti temporaneamente privi di famiglia o provenienti da
famiglie in condizioni di disagio per i quali la permanenza nel nucleo familiare è impossibile, caratterizzata da rapporti
interpersonali analoghi a quelli della famiglia. I percorsi di ingresso hanno subito evoluzione: decenni fa le condizioni
socioeconomiche disagiate delle famiglie rappresentavano il motivo principale per cui i genitori inviavano i bambini al
collegio. La maggior parte dei minori nelle strutture residenziali sono di origine straniera.
Una struttura diversa riguarda le case per madri e bambino, esse sono madri single in situazioni di difficoltà che non
vengono separate dai figli. Si tratta spesso di accoglienza di donne maltrattate dai partner che devono allontanarsi dal
domicilio. Troviamo differenze tra le comunità:
• comunità familiari/case famiglia: adulti residenti.
• Comunità educative/socio-educative: educatori che non abitano in comunità ma sono presenti in modalità di
rotazione
• comunità socio-sanitarie: complementarietà delle funzioni socio-educative e terapeutiche assunte da
operatori professionali.
Le differenze consistono nel loro ruolo: educatori professionali o genitori sostitutivi.
Gli educatori a tempo pieno considerano indispensabile tale tipo di presenza di tipo genitoriale per provvedere a
minori dalle situazioni difficili; operatori con orario limitato vivono un rapporto intenso con i bambini e sono costretti
al distacco della rotazione e ritorno nella propria casa. I bambini hanno bisogno di stabilità di figure educative. Diritti
dei bambini nella comunità, il Consiglio d’Europa ha elaborato una strategia nel cui ambito sono definiti i seguenti
diritti di cui devono godere i bambini nelle strutture di accoglienza:
- diritto all’ammissione motivato da necessità assoluta e non da situazioni di rischio
- diritto di mantenere legami con la famiglia
- diritto al rispetto della specificità culturale e religiosa
- diritto a una reintegrazione riuscita il più presto possibile
Nonostante ricorrenti pregiudizi, le comunità nel loro complesso in grande maggioranza gestite in regime privato
sociale, dimostrano di essere coerenti con questi principi ed in particolare riguardo all’aspetto dell’origine per i diritti
del bambino. Alcune ricerche empiriche hanno dimostrato che il trattamento in comunità può portare a una
diminuzione delle tensioni emotive e dei comportamenti a rischio, oltre al miglioramento delle competenze
relazionali.
La problematica cruciale dei legami familiari evidenza dei compiti educativi posti alle strutture di accoglienza. Il
dilemma della separazione va affrontato affermando in primo luogo il diritto a favore della famiglia biologica ed in
secondo luogo il diritto ad un’altra famiglia se la prima è mancata o incapace. Dilemma risolto dalla scarsa disponibilità
di famiglie in grado di assolvere ad un compito delicato, senza pretendere il possesso del figlio affidato. La comunità
oltre a essere un male necessario, presenta aspetti positivi: esistono casi gravi e delicati, per cui non è facile trovare
idonea sistemazione familiare; le famiglie incapaci, madri sole, genitori con disturbi psichici possono essere sostenuti
da comunità con educatori che non si pongono come rivali o come famiglia alternativa. Le comunità inseriscono
minori con pregresse situazioni di abbandono materiale o psicologico, violenza, divisione. I problemi derivanti dalla
relazione con i genitori non vengono guariti con allontanamento, ma dilemma del conflitto della separazione/non
separazione resta iscritto dentro di loro. La comunità affronta una serie di tematiche tra cui la realizzazione di un
ambiente di vita nuovo. La vivibilità della comunità è legata non solo dalla distanza dal modello istituzionale ma alla
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sua configurazione originale. Si tratta di insieme di relazioni sociali, di natura continuativa, tra bambino e adulti. Nella
comunità va trovato un complesso equilibrio per bilanciare fattori di rischio attraverso la promozione di nuove
capacità progettuali da parte del minore.
Il tempo è aspetto importante perché molti minori arrivano dopo aver vissuto esperienze di frammentazione o
inversione dei ritmi della giornata. Il rapporto con educatori, capaci di ascolto e di interpretazione dei bisogni, di
filtrare attraverso i momenti della vita quotidiana messaggi affettivi e quelle spinte a chiedere di più a sé stessi che
costituiscono le tappe della crescita. Sembra quasi superfluo ribadire che il PEI va gestito in modo personalizzato,
attraverso relazioni autentiche con i minori. Il documento di proposta del 2015 Comunità residenziali per minorenni:
per la definizione dei criteri e degli standard già citato chiede un approccio relazionale che adotta una modalità
centrante sui bisogni dei minorenni accolti ed elimina tutto ciò che può configurarsi come soddisfacimento del bisogno
dell’organizzazione o della persona che accoglie.
In realtà, anche nelle comunità il rapporto diretto adulto/minore viene a volte eluso o reso insignificante.
La qualità delle relazioni e la capacità di comprendere in modo denso i problemi resta aspetto importante. Sviluppare
nella comunità non solo un progetto articolato ma realizzare una coesione tra gli operatori riguardo i modelli culturali,
ai valori. Si tratta di una carta fondamentale che deve tener conto: assunzione della storia del minore in tutti i suoi
aspetti, la gestione dei rapporti con la famiglia ed esterno, organizzazione degli aspetti della vita quotidiana, gli
obiettivi per il futuro.
La vita della comunità è legata ai mutamenti culturali, ai cambiamenti welfare. Le esperienze di comunità per MSNA
create in varie regioni italiane hanno affrontato un fenomeno nuovo e specifico nella consapevolezza che il non
accompagnato per la maggior parte di loro non si riferisce solo al viaggio o arrivo, ma intera situazione familiare
precedente caratterizzata da difficoltà di sopravvivenza e da disgregazione. Arrivo dei ragazzi è coinciso con crisi
dell’accoglienza in Italia e esigenze di sviluppare un significativo approccio interculturale.
Le comunità per MSNA costituiscono laboratori di integrazione e di lavoro educativo sul territorio. Sfide che si
pongono a chi opera negli ambienti residenziali è quella dell’autonomia dopo i 18 anni.
Il care leavers (coloro che lasciano la cura) sono quei ragazzi che dopo i 18 anni lasciano la struttura residenziale. Le
comunità accompagnano all’autonomia in questo passaggio difficile verso età adulta. Percorsi educativi da realizzare
nelle comunità, come ha detto Piero Bertolini a proposito dei ragazzi difficili:
- centralità del soggetto
- comprensione devianza come forma di agire comunicativo
- approccio personale
- visione dei problemi dall’interno
- promozione capacità progettualità
- recupero intenzionalità
- valorizzazione, flessibilità e gradazione delle richieste.

Giustizia minorile e luoghi di accoglienza


L’allontanamento minore può venire anche in ambito penale. Le comunità per minorenni inviati dal Tribunale per i
Minorenni in quanto sottoposti a un procedimento a causa di una violazione della legge sono regolate dal Codice di
Procedura Penale minorile che ha modificato la risposta sociale ai reati commessi dai minorenni. Prevede un percorso
pedagogico diretto alla responsabilizzazione, rivede il ruolo del giudice e persegue la possibilità di creare alternative al
carcere. Ce possibilità di sospendere il processo del minorenne che ha commesso reato e affidarlo in prova al servizio
sociale: in caso esito positivo è prevista estinzione della pena. La probation (messa alla prova) è un provvedimento di
verificata efficacia. Giudice, accertata la colpevolezza del minorenne e sentiti i servizi sociali, può disporre la
sospensione del processo per un periodo variabile allo scopo di verificare se si è trattato di un atto transitorio o
indicativo di scelte devianti che continuano. La messa alla prova ha lo scopo di coinvolgere il ragazzo nel progetto di
recupero (consiste nel reinserimento nel proprio contesto sociale e nel mantenimento di impegni). Nuova cultura
basata sul recupero anziché sulla repressione, tendente a una complessiva revisione delle pene. Oscillazione della
cultura sociale intorno alla delinquenza minorile si accompagna all’andamento dell’economia e delle diverse
percezioni del futuro. Forme di mediazione che riguardano la conciliazione e la riparazione del reato; mondo
anglosassone mediation, cioè la mancata promozione dell’azione penale e ricerca di un accordo tra imputato e parte
lesa nel corso di una udienza informale. In Italia il giudice può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze
del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa del reato. Risarcimento e la riparazione
verso offeso mettono in evidenza come vittima di un reato non sia la società o stato ma la persona, considerata nella
sua realtà, debolezza e danni che ha subito, restituendo il processo ai protagonisti: vittima e autore del reato. Per
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realizzare incontro è necessario la mediazione (intervento di un terzo esperto che promuove la conciliazione
attraverso incontro e dialogo). Le comunità che accolgono minori trasgressori assumono funzione educativa e
riparativa. Strutture previste sono di due tipi: centri di prima accoglienza (strutture chiuse destinate ad accogliere
minori nel breve lasso di tempo di 2/3 giorni tra fermo e udienza) e le comunità vere e proprie, diversi modelli:
• comportamentista→ puntano a trasmettere comportamenti adeguati socialmente, sostenuti da rinforzi
positivi (premi) o negativi (punizioni)
• centrato sull’autocoscienza e sull’autorealizzazione della persona
• finalizzato alla scoperta della propria identità profonda in collegamento con il contesto sociale di riferimento.
Le comunità si riconoscono come secondo modello cioè come luoghi di ascolto e sostegno alla personalità dei minori.
Tenere in considerazione la varietà degli elementi che caratterizzano queste realtà collettive. Accanto alla
comunicazione educativa, cioè la parola di cui ragazzi si riappropriano attraverso il rapporto con educatori e la
rappresentazione simbolica dei fantasmi della loro vita, si colloca aiuto dato a adolescenti difficili ad interpretare
senso delle loro azioni per riscoprire il gusto di vivere. Compito della comunità è complesso, necessita di un raccordo
tra bisogni dei ragazzi, gli obiettivi che si vogliono raggiungere e le misure vincolate dalla legge. La permanenza dei
ragazzi richiede un progetto flessibile e differenziato in quanto nella comunità convivono ragazzi con situazioni
diverse. L’aspetto chiave del progetto è la relazione con educatore in un contesto che costituisce insieme una risorsa
(comunità è casa, luogo per bambini più piccoli) e un vincolo (adolescente è sottoposto all’autorità giudiziaria cui
rendere conto). Gli educatori devono gestire la violenza dei ragazzi e adempiere a una funzione di contenimento.
Centrale la nozione di limite che educatore deve porre; apprendimento dall’esperienza, la sperimentazione, il costante
lavoro sul vissuto. La rivolta dei bambini non può essere spiegata come patologia o solo con le caratteristiche
individuali ma va indagata attraverso uno sguardo ampio che comprende influenza dell’ambiente, le condizioni
istituzionali, le ideologie e le problematiche personali. Con l’educabilità dei ragazzi si creano occasioni, sfide,
esperienze di efficacia. La situazione dei minori con cittadinanza non italiana in comunità pone un tipo di problemi, in
quanto la famiglia non ha le risorse o rimane nel paese di origine. Ciò crea difficoltà ad elaborare progetti alternativi e
di conseguenza un’effettiva disuguaglianza di fronte alla legge rispetto ai coetanei residenti nel nostro paese.
Gli Adolescenti nomadi sono inseriti nel circuito penale e per reati contro il patrimonio, aumentano i delitti contro la
persona. Vengono esclusi dalle formule protettive del nuovo Codice; inesistenza di giustizia che sia uguale per tutti e
condizionata dal contesto sociale in cui i minori vivono.

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