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BAMBINI, ADOLESCENTI E FAMIGLIE VULNERABILI

INTRODUZIONE

I SERVIZI SOCIOEDUCATIVI sono servizi alla persona che consistono negli interventi, nelle attività,
nelle strutture e nelle funzioni che implementano risposte ai bisogni dei cittadini.
In particolare l’attenzione si rivolge ai servizi socioeducativi dedicati a bambini, adolescenti e famiglie
che nella propria vita sperimentano più di altri la difficoltà, la marginalità, la fragilità e la vulnerabilità.
Marginalità: esclusione di chi sperimenta difficoltà.
Fragilità: attraversa tutti i luoghi e i tempi di vivere, tutte le dimensioni costitutive (corporeità, affettività) e
istitutive (identità, esperienza) dell’essere umano.
Vulnerabilità: richiama la possibilità di subire danni e ferite, di essere ferito facilmente poiché
fragile o esposto a rischi rilevanti.
I servizi socioeducativi dedicati a bambini, adolescenti e famiglie vulnerabili, devono accompagnare a
“integrare l’esperienza intensa della crisi nella trama complessa della identità individuale e sociale”.
E’ stata di fondamentale importanza la lettura dell’articolo “Discerning European Perspectives on
Evidence-Based Interventions for Vulnerable children and their Families”, di Hans Grietens; in cui
vengono identificati tre “pietre miliari” nel settore del Child and Family Welfare (CFW), tra cui, in primis,
l’implementazione della CRC = “convezione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza” può essere
legittimamente considerata come il fondamento di una pedagogia dei diritti dei bambini, come proposta
teorica per una loro comprensione e come progetto educativo. Da essa nasce l’RBA ovvero, l’approccio
basato sui diritti.
Da qui scaturisce l’idea di costruire un discorso che restituisse uno sguardo d’insieme delle evoluzioni
che gli interventi a favore di bambini, adolescenti e famiglie vulnerabili stanno vivendo in Italia, in Europa
e nel mondo.
 Primo capitolo: si tratta dell’importanza che riverte la propensione a guadagnare una prospettiva
globale nel comprendere e evoluzioni del CFW.
 Secondo capitolo: riconoscimento della necessità di adottare una prospettiva pedagogica sociale
nei servizi rivolti a bambini, adolescenti e famiglie in difficoltà, capace di valorizzare la persona nella
sua globalità.
 Terzo capitolo: si basa sull’approccio basato sui diritti, che nasce dalla CRC.
 Quarto capitolo: descrive la tendenza emergente a considerare la famiglia nella sua interezza,
senza opporre diritti dei bambini e diritti dei genitori.
 Quinto capitolo: vengono accostati quegli approcci antideterministici che ricercano e valorizzano
la capacità di resistenza, i fattori di resilienza.
 Sesto capitolo: relazione diretta con la CRC e con il suo articolo 12, che prevede il diritto
all’ascolto
e alla partecipazione.
 Settimo capitolo: affronta la questione della ineludibilità dell’adozione di un approccio
interculturale all’interno di contesti educativi che si caratterizzano per la pluralità crescente delle
appartenenze etniche e culturali.
 Ottavo capitolo: si enfatizza l’importanza della promozione e del monitoraggio della qualità dei
servizi e dell’orientamento che tende a valorizzare interventi a partire dalla riflessività sulle pratiche e
della valutazione dei siti dei percorsi.

La CRC riconosce al bambino “che è stato collocato dalla autorità competente al fine di ricevere cure,
una protezione oppure una terapia fisica o mentale”.
Capitolo 1, PARTIRE DA UNA PROSPETTIVA GLOBALE

L’insieme complesso e instabile dei fenomeni ci restituisce l’immagine di un mondo “inafferrabile”, in


perpetuo cambiamento e in rapidissimo movimento: si tratta di una realtà nuova e in costante divenire.
Idea di GLOBALITÀ: ci confrontiamo con un “mondo in frammenti” e si aggiunge “il carattere indeterminato,
ingovernabile e autopropulsivo” della scena globale, soprattutto della dimensione economico-finanziaria.
GLOBALIZZAZONE DEL RISCHIO: tutti gli abitanti della Terra sono ormai accomunati dal pericolo di
soccombere a minacce di scala planetaria, che possono assumere la forma del disastro nucleare, della
guerra globale, del terrorismo. L’assunzione di una prospettiva globale consiste di cogliere dinamiche e
processi che hanno a che fare con gli scambi internazionali in materia di ricerca, politiche e pratiche.

Il lavoro sociale si confronta con la sfida di ridefinire il suo ruolo in relazione ai processi globali, alla
globalizzazione di questa consapevolezza e alla globalizzazione della consapevolezza di problemi sociali.
Globalizzazione della consapevolezza: apre alla promozione di una solidarietà globale, della democrazia e
di una maggiore possibilità di prevenire i conflitti.

La ragione etica del welfare in discussione


il welfare, il lavoro sociale e gli interventi socioeducativi negli ultimi decenni si sono confrontati in modo
crescente con i processi globali.
BAUMAN: invita a prendere atto che è la ragione etica del welfare state a essere oggi messa in discussione.
Mentre, TRAVILLION, ritiene che la globalizzazione non stia soltanto riducendo le risorse a sostegno del
welfare, ma che stia anche creando nuovi modelli di azione sociale di valutazione.

Social work tra locale e globale


La globalizzazione non è un processo unidimensionale, che attiene solo all’economia o alla politica, ma
coinvolge molteplici dimensioni dell’esistenza umana. E’sul piano culturale che hanno luogo processi
significati che coinvolgono l’esperienza di tutti gli uomini e le donne del mondo, a partire dell’incontro tra
identità culturali differenti, di confronto con paesaggi umani diversi.

La globalizzazione avvia un processo di rielaborazione e risignificazione, nel senso che il continuo traffico
di beni, simboli, idee e valori, che caratterizza il mondo contemporaneo non si risolve in una pura e
semplice serie di prestiti e acquisiti, ma comporta invece una loro continua riformulazione.
In tale processo, una cultura trasforma i propri valori e significati in rapporto a ciò che
proviene dall’esterno, dover per “esterno” non si intende un’altra cultura, ma un insieme di fenomeni che
interessano tutte le culture.
GRAY: evidenzia che nei territori a livello planetario emergono modalità differenti di definire la relazione tra
la costruzione dei significati locali del lavoro sociale e l’influenza su di essi dei significati globali.
Egli definisce due modalità di relazione:
INDIGENIZZAZIONE: nuove forme di lavoro sociale, che comportano l’emersione di voci e percorsi plurali.
UNIVERSALISMO: costituisce un orientamento globale a pervenire a forme di comune
identità nel lavoro sociale.
Gray, infine, si interroga sull’esistenza di “universali” nel lavoro sociale.
Con il termine “universali”, si intendono aspetti teorici o pratici che possono costruire elementi
comunamente riconosciuti come fondativi del lavoro sociale in differenti contesti.
Si sviluppa la prospettiva che i sistemi più ampi (in qualche modo “globali”) sembrano voler vincolare e
determinare i sistemi di dimensioni minori (locali).
Il sistema centrale pone i vincoli a cui deve attenersi il livello periferico.
I valori e i significati locali subiscono un impulso trasformativo dagli stimoli provenienti dall’esterno, ma non
vengono determinati in modo lineare da essi. Piuttosto si tratta di un processo che propone inevitabili
stimoli alla riflessione identitaria e al cambiamento.
Anche il significato di social work nello scenario contemporaneo emerge nella dialettica tra locale e globale.
SOCIAL WORK: è un compito a cui si sono dedicati studiosi di diversa estrazione, impegnati sia nella
formazione sia nella costruzione di politiche sociali.Si rileva una tendenza a riconoscere l’esistenza di forme
di pratica che presentano elementi comuni in relazione alle conoscenze, alle abilità e ai valori che
caratterizzano l’intervento professionale necessario pe fronteggiare le sfide del mondo contemporaneo.
La dimensione globale del social work può essere rappresentata come una “metacultura”, in cui le diverse
identità professionali locali possono esprimersi.
A livello culturale globale, mentre diminuisce l’omogeneità interna di ogni cultura nazionale, aumenta il
grado di comunanza con quelle degli altri paesi.
Si può ipotizzare che le differenze esistenti nell’ambito delle interpretazioni relative al lavoro socio-
educativo e al lavoro sociale siano connesse all’insieme delle influenze che la cultura nazionale esercita sui
complessi processi attraverso cui i professionisti che operano nel campo cercano di comprendere e
interpretare il loro ruolo e le loro funzioni professionali.
In sostanza, all’interno di un contesto più generale costituito dalla cultura nazionale, interagiscono le culture
professionali degli operatori sociali – o meglio, del singolo operatore, influenzate da esperienze personali e
visioni del mondo – e le culture delle organizzazioni di appartenenza e del servizio sociale o educativo in
cui il singolo professionista lavora.
Le due culture in questione si costituiscono nel tempo attraverso il concorso di diversi fattori:
 Interpretazioni e convinzioni personali.
 Precedenti esperienze.
 Disponibilità locale di risorse.
 Coinvolgimento del territorio.
Si ritiene che esista una diretta e reciproca connessione e influenza tra processi globali e cultura nazionale,
cultura dell’organizzazione e cultura dell’operatore: ciò significa che la cultura nazionale non possiede il
ruolo di mediatore con la dimensione globale e che le persone e le organizzazioni sociali, possono servirsi
di canali comunicativi immediati con questa dimensione.
La cultura nazionale e le culture regionali continuano a esercitare un ruolo determinante nella definizione
delle principali finalità e pratiche politiche sociali, tra cui le funzioni degli operatori e dei servizi.
Oggi sono ancora i sistemi nazionali e culturali a contribuire alla formazione dell’identità e del senso di
appartenenza anche perché le persone, continuano a vivere nella propria cultura e nella propria lingua.
Il lavoro socioeducativo con bambini, adolescenti e famiglie vulnerabili in un mondo che cambia
necessario prendere inconsiderazione il ruolo assunto nel corso degli ultimi cinquant’anni da istituzioni e
organizzazioni internazionali – quali le Nazioni Unite, l’UNICEF, l’UNESCO, l’unione Europea, la Banca
Mondiale – nell’influenzare la definizione delle politiche sociale per l’infanzia e l’adolescenza.
Basta pensare all’importanza crescente della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza delle
Nazioni Unite, adottata dall’assemblea generale delle nazioni unite il 20 Novembre 1989 ed è entrata in
vigore il 2 Settembre del 1990.
AXFORD: riconosce che l’influenza di istituzioni e organizzazioni internazionali non è necessariamente
positiva; basta pensare alle conseguenze provocate sull’infanzia dalle misure correlate ai piani di
aggiustamento strutturale, imposte dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale, nei
processi di rinegoziazione del debito.
BERKER: individua tre ordini di fattori che devono essere considerati per comprendere la relazione tra
protezione del minore e dinamiche tra locale e globale:
Fattori di regolazione che travalicano i contesti locali.
La natura planetaria della comunicazione.
I movimenti globali di persone che comportano anche movimenti di bambini e ragazzi
con la conseguente costituzione di contesti multiculturali e l’attivazione di dinamiche interculturali.
MIDGLEY: riteneva ulteriori aspetti caratteristici emergenti dalla relazione tra sistemi di welfare e dinamismo
tra globale e locale:
I problemi sociali (es. migrazioni, traffico di essere umani) assumono dimensioni nuove che richiedono
soluzioni globali.
I servizi devono necessariamente assumere un approccio interculturale per poter rispondere a bisogni
complessi.
La crescente connessione tra politiche, interventi e sperimentazioni tra diversi Paesi produce circolazione
di conoscenza.
La produzione in letteratura moltiplicai le opportunità di apprendimento

L’influenza transazionale delle ONG cresce costantemente.


Un elemento globalmente ricorrente è rappresentato dalla forte contrazione delle risorse dedicato dagli
Stati al sostegno delle politiche a favore di bambini, adolescenti e famiglie vulnerabili.
Oggi l’aggravarsi della crisi economica ha diffusamente imposto politiche economiche che mettono a
repentaglio la sostenibilità di queste politiche.
Per uscire dalla evidente crisi degli attuali sistemi di protezione sociale occorre investire sulla riduzione
delle aree di povertà e sulla capacità di rompere il triste destino che sospinge i bambini poveri di oggi a
essere genitori poveri di domani.
Le raccomandazioni dell’OCSE presenti nel documento “Doing Better for Children” (OECD), sottolinea
l’esistenza di investire risorse dedicate all’infanzia e in particolare all’infanzia vulnerabile, aumentando la
spesa, soprattutto relativamente alla prima fase della vita dei bambini, e migliorano le politiche sociali.
Sostenere le opportunità di tutti è anche un possibile vantaggio per la società.
Prendersi cura dei bambini oggi può avere significative ricadute nel futuro sul piano economico e sociale.
Orientamento emergenti a livello europeo nel Child and Family Welfare
importante notare come, rispetto a quello che nella comunità scientifica viene definito Child and Family
Welfare, cioè all’insieme degli interventi a favore dei bambini, adolescenti e famiglie vulnerabili, si stiano
consolidando importanti convergenze a livello europeo e internazionale.
HANS GRIETENS: si interroga in merito all’esistenza di prospettive europee condivise in materia di
interventi a favore di bambini, adolescenti e famiglie vulnerabili.
Definizione di “PROSPETTIVE EUROPEE”: l’Europa non è semplicemente una collezione di
stati indipendenti, ma può essere rappresentata come un mosaico di nazioni, ragioni, culture e minoranze
etniche; e allo stesso tempo l’Europa è una storia non conclusa, bensì in evoluzione.
Nel campo scientifico degli interventi a favore di minori e famiglie, si riscontra una grande complessità e
una significativa pluralità di linguaggi, punti di vista, approcci disciplinari e professionali, sistemi di welfare e
politiche sociali.
La questione riguarda la possibilità di individuare un linguaggio comune o una “essenza” tipicamente
europea all’interno dell’eterogeneità, MA è evidente l’assenza di un linguaggio condiviso.
Ogni Paese europeo, ha sistemi di welfare a favore di bambini e famiglie vulnerabili segnati da fortissime
differenze. Non c’è un sistema uguale all’altro e ciascuno è profondamente connesso alle trazioni nazionali.
Il DEPARTEMENT OF FAMILY AND CHILDREN’ SERIVCES della Western Australia avviò una fase di
profonda ristrutturazione nel proprio sistema di protezione dei bambini e si supporto alle famiglie.
Il termine che sintetizza questo nuovo corso nell’organizzazione del CFW è “new directions” = tra le nuove
direzioni indicate dal dipartimento australiano emergono:
 Il riconoscimento dell’importanza delle responsabilità dei professionisti e dei processi di presa in
carico.
 La rilevanza attribuita alle valutazioni dei professionisti e alla supervisione.
 L'’enfasi su un approccio che pone il proprio focus sulla famiglia.
 Una maggiore attenzione alla valutazione dei fattori di rischio presenti nell’ambiente di vita del
bambino.
Nell’articolo “Discerning European Perspectives on Evidence-Based Interventions for Vulnerable children
and their Families”, Grietens indica tre “pietre miliari” nel settore del Child and Family Welfare:
 Implementazione della Convenzione sui Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.
 Promozione del paradigma della qualità negli interventi socioeducativi.
 Introduzione del paradigma delle pratiche evidence-based.

Il focus on family, ovvero l’attenzione dei professionisti che si sposta del bambino come individuo isolato
alla famiglia come sistema di legami, avvalora l’approccio tendente a considerare la famiglia nella sua
interezza, prendendo il massimo coinvolgimento dei genitori stessi nei progetti di intervento.
Inoltre il mondo dei servizi socioeducativi rivolti a bambini e famiglie vulnerabili sta acquisendo
consapevolezza in merito al fatto che non è possibile trascurare le questioni culturali, etniche e linguistiche.
Si mira a promuovere la qualità degli interventi, attraverso processi di monitoraggio, controllo, valutazione e
ricerca.

Capitolo 2, DENTRO UNA PROSPETTIVA DI PEDAGOGICA SOCIALE

Una definizione di campo: il Child and Family Welfare


CHILD AND FAMILY WELFARE: Appartiene alla comunità scientifica europea.
CHILD WELFARE: prevale in ambito nordamericano.
Nella lettura scientifica di lingua anglosassone, con il termine “CHILD” si indicano tutti i soggetti di età
compresa tra 0 e 18 anni.
Tale uso viene rese in italiano con il doppio riferimento a infanzia e adolescenza.
Questo stesso campo, nel contesto italiano viene spesso definito, “Area d’intervento Minori e Famiglia”,
all’interno della quale si evidenzia la Tutela Minori.
Secondo autori del fondamentale The Child Welfare Challenge: Policy, Practice and Research, il sistema
dei servizi rivolti a bambini, adolescenti e famiglie vulnerabili sta acquisendo maggiore chiarezza nella
definizione di campo e maggior consenso in merito alla sua missione fondamentale.
possibile individuare una finalità primaria: Rappresentata dal proteggere da ogni forma di danno i bambini.
E due finalità secondarie:
 Preservare le unità familiari esistenti
 Promuovere lo sviluppo di bambini affinché da adulti possano vivere autonomamente e integrarsi nella
comunità.
A fronte di tali indicazioni finalistiche, gli esiti attesi si possono condensare attorno a quattro nuclei:
SICUREZZA: Salvaguardia dei bambini da abusi, trascuratezza e maltrattamento.
STABILITÀ: Il bisogno e il desiderio del bambino e del ragazzo di godere di legami familiari
stabili e duraturi deve essere tenuto nella massima considerazione.
BENESSERE DEL BAMBINO E DELL’ADOLESCENTE: Diversi fattori concorrono alla costruzione del
benessere del bambino e dell’adolescente: la soddisfazione dei bisogni primari, l’opportunità di crescere e
svilupparsi in un ambiente che gli offre accudimento adeguato, supporto, stimoli, istruzioni, salute fisica e
mentale.
BENESSERE DELLA FAMIGLIA: L’approccio del sistema di tutela del minore sta passando
da una concezione unidimensionale a una concezione multidimensionale dell’intervento protezione dei
legami e al ben-trattamento della famiglia nella sua interezza.
BENESSERE: indica una forma positiva e gratificante di modalità esistenziale, caratterizzata da una
ricerca di equilibrio e di armonia interiori.
Gli elementi che definiscono il concetto di benessere sono: la consapevolezza di sé, la capacità di pensiero
proattive, l’intelligenza emotiva, le capacità relazionali, le capacità comunicative.
Gli interventi socioeducativi a favore di bambini, adolescenti e famiglie vulnerabili, in sintesi, hanno la
finalità di favorire il loro sviluppo equilibrato nel proprio ambiente familiare e sociale, di promuovere forme di
sostegno nelle situazioni di difficoltà e di coinvolgimento dei familiari stessi nel percorso di aiuto.
È possibile identificare cinque principi che definiscono una filosofia d’intervento nell’ambito del CFW:
 Supporto alle famiglie da parte della comunità: disponibilità sia di servizi di sostegno formali sia
di interventi di appoggio informali.
 Disponibilità di servizi centrati sulla famiglia: capaci di orientare alla risoluzione dei problemi
coinvolgendo la famiglia intera nella definizione dei bisogni di ciascun membro e valorizzando il
ruolo dei genitori e dei figli e le loro risorse all’interno di un clima di ascolto, accoglienza e
collaborazione.
 Competenze interculturali: riconoscere e valorizzare le differenze, riducendo i pregiudizi.
 Accoutability e tempestività di intervento nel sistema: valutazione e risposta al proprio operato
secondo precisi standard e criteri.
 Coordinamento delle risorse disponibili: comporre i diversi sguardi professionali degli attori
coinvolti per ottimizzare l’efficacia degli interventi.
Desai identifica alcuni approcci fondamentali nel tutelare i diritti dei bambini e nel farsi carico dei loro
problemi:
 PREVENZIONE: è orientata alla pianificazione e attuazione di interventi che anticipano il
manifestarsi di problemi e violazioni.
 CENTRATURA SULLA PERSONA: l’intervento deve collocare al centro la persona, cui si deve
rispetto e si riconoscano dignità, capacità di scelta, potenzialità, all’interno di un clima relazionale.
 VALORIZZAZIONE DEI PUNTI DI FORZA: attuazione di interventi basati su una logica di azione
che sappia individuare e valorizzare i punti di forza.
 PARTECIPAZIONE.

Molteplicità di destinatari e di professionisti


I destinatari sono bambini, bambine e adolescenti che vivono condizioni sociali e familiari che possono
mettere a rischio il loro benessere e un loro adeguato sviluppo fisico, psichico e sociale.
In altri casi può trattarsi di bambini e ragazzi che sono coinvolti in processi migratori con rischio di
sfruttamento o di coinvolgimento in attività illecite.
Infine, è possibile rilevare la presenza di comportamenti trasgressivi e devianti attuati dagli stessi bambini e
adolescenti.
E per altro verso, si ha a che fare con genitori, o comunque adulti che si dovrebbero prendere cura, ma che
si dimostrano su più livelli “incompetenti” e che fanno quotidianamente i conti con povertà, problemi,
dipendenze, malattie, marginalità.
L’ABUSO E LA VIOLENZA sperimentati da un bambino o da un adolescente possono essere “ attivi”, in
presenza di manifestazioni violente quali pressione fisica, violenze sessuali, o “passivi”, laddove si riscontra
la rinuncia del genitore ad assumere il proprio ruolo biologico.
Nei servizi è radicata l’abitudine ad attribuire alle famiglie con cui hanno a che fare l’etichetta di “ FAMIGLIA
MULTIPROBLEMATICA”
La famiglia viene vista e viene pensata a partire non più dal o dai problemi che porta, quanto piuttosto
dall’esperienza fuori dall’ordinario che vive dell’intrattenere relazioni con un rilevante numero di
professionisti della cura.
L’incontro con bambini, adolescenti e famiglie avviene sotto il segno della pluralità: di narrazioni, culture,
sofferenze, possibilità, sguardi e prospettive.
Il lavoro socioeducativo nella pratica è un campo di azione che si caratterizza per la multiprofessionalità ed
è un oggetto di analisi multidisciplinare: infatti vede diverse e molteplici professionalità a vario titolo
coinvolte negli interventi, ciascuna dotata di uno sguardo professionale.
Ènecessario concepire in termini unitari l’ambito di intervento, pur riconoscendo le differenze funzionali
presenti ai diversi livelli e la diversità dei linguaggi e delle attenzioni.

Lo strano caso della scomparsa della pedagogia sociale dallo scenario europeo e della sua recente
ricomparsa
<<Il lavoro sociale “ha usurpato” il ruolo sociale della pedagogia sociale e ha ignorato o ha fallito nel
riconoscerne adeguatamente il contributo>> Questa provocatoria affermazione sottolinea la scarsa
rappresentazione della pedagogia sociale nel contesto della ricerca nazionale, in netto contrasto con
l’evidenza che sostanzialmente in tutti i paesi dell’Europa continentale una tradizione pedagogia ed
educativa in ambito sociale fortissima, in special modo nel settore dell’intervento a favore di bambini,
adolescenti e famiglie vulnerabili.
La sottovalutazione della rilevanza della pedagogia sociale è “un esempio dei limiti del linguaggio” nei
contesti di scambio e confronto di idee.

Come emerge dalla attenta ricostruzione di Kornbeck, a seguito della pubblicazione sulla rivista “Social
Work in Europe”, si è aperto nel Regno Unito un acceso dibattito sulle professioni sociali e soprattutto sulla
necessità di introdurre professionalità formate sulla base di una prospettiva pedagogica sociale.

In seguito, l’approccio pedagogico viene affermandosi e accreditandosi nel Regno Unito e viene
concettualizzando come incontro tra cura e education.
Emergono le componenti comuni che danno coerenza all’identità della pedagogia sociale presente
nell’Europa Continentale:
Il focus dell’attenzione è centrato sul bambino e sull’adolescente nelle loro integralità di persona e sul
supporto complessivo al loro sviluppo.
L’educatore vede se stesso come persona, in relazione con il bambino o il ragazzo.,Bambini ed équipe
educativa sono visti come abitanti il medesimo spazio vitale. Tutti i professionisti sono costantemente
incoraggiati a riflettere sulle loro pratiche e ad applicare sia conoscenze teoriche sia conoscenze di sé alle
quotidiane sfide e domande con cui si confrontano.
La professione educativa è anche pratica, per cui la formazione prepara a condividere molti aspetti della vita
quotidiana e delle attività della vita dei bambini.
La dimensione gruppale della vita dei bambini è vista come un’importante risorsa. L’approccio pedagogico
costruisce una comprensione dei diritti dei bambini che non è limitata a questioni procedurali di esigenze
legislative.
C’è un’enfasi sul lavoro di gruppo e sulla valorizzazione del contributo degli altri nell’educare i bambini: altri
professionisti, membri della comunità e genitori.
Centralità della relazione, dell’ascolto e della comunicazione. Gli educatori possono lavorare con bambini e
giovani di ogni età. Gli educatori hanno una propria identità professionale definita e distinta da quella di
assistenti sociali, insegnanti, operatori sanitari, psicologi.

Lavoro sociale o lavoro educativo?


La definizione di social work elaborata da due importanti organizzazioni internazionali, l’international
Federation of Social Workers (IFSW) e l’international Association os Schools of Work (IASSW)
recita:
la professione di lavoro sociale promuove il cambiamento sociale, la risoluzione dei problemi nelle relazioni
umane e
l’empowerment e la liberazione delle persone affinché raggiungano il proprio benessere.
I principi dei diritti umani e di giustizia sociale sono fondamentali per il lavoro sociale.
Secondo Folgheraiter, il lavoro sociale è “quell’apparto concettuale che permette alla varietà di esperti di
aiuto che realizzano in pratica il lavoro sociale di agire sulla base di un senso loro proprio”.
Lorenz ritiene non usare alcuna definizione di social work, poiché “tutte le definizioni sono limitate tanto da
essere vaghe”.
Canevini evidenziava che “Il lavoro sociale, nelle sue forme ed espressioni varie, così come il servizio
sociale, nei suoi enunciati e nella sua pratica, sono una delle moderne forme dell’educazione” Procedendo
nella direzione contenuta in questa affermazione che si argomenteranno le ragioni per cui si ritiene che sia
opportuno adottare la denominazione di “Lavoro socioeducativo”.
Importanza politica e normativa tra le figure operanti nel sociale, in particolare tra le professioni
dell’assistente sociale e dell’educatore professionale.
Queste figure continuano a essere apparentate perché:
 Hanno comuni oggetti di analisi e di osservazione.
 Si muovono negli stessi luoghi.
 Trattano gli stessi casi.
 Formulano insieme progetti di cambiamento e trasformazione dei servizi.
 Valutano insieme quello che sono riusciti a fare

Queste due professioni condividono il medesimo campo d’azione, pur essendo caratterizzate da differenti e
definiti ambiti d’azione, funzioni, compiti e ruoli.
In particolare, la differenza tra “servizio sociale” ed “educazione sociale” è riscontrabile nella distinzione di
livello di intervento e di oggetto di lavoro:
L’assistente sociale si muove in virtù di una logica di assistenza, che privilegia gli aspetti organizzativi, di
controllo e di problem solving.
L’educatore professionale, si muove in virtù di una logica integrata tra riparazione e prevenzione.
Triani, richiama tre espressioni e tre indizi che evidenziano la “compenetrazione tra cultura del sociale e
compito dell’educazione”:
 La definizione del lavoro dell’educatore come lavoro centrato sulla relazione di aiuto.
 L’utilizzo descrittivo del termine cura, nel senso di “prendersi cura” delle persone e delle comunità.
 La scelta di definire l’educatore come tutore dei diritti sociali.
Le conseguenze del riconoscimento del carattere sociale dell’educatore sono sintetizzabili con le due
affermazioni:
Le prassi e le culture della professione di educatore assumo l’insieme delle aree e dei livelli di intervento
del lavoro sociale.
La prospettiva generale con cui il “sociale” pensa e realizza il suo intervento, viene
recepita come prospettiva del lavoro educativo, o meglio, è costitutivamente parte dell’educando.
L’educatore rischia di essere privato dei saperi relativi agli scenari sociopolitici.
L’assistente sociale rischia di perdere di vista gli aspetti pedagogici, antropologici, umani del proprio lavoro
Tutte le professionalità a vario titolo coinvolte operativamente nei servizi alle persone sono caratterizzate da
una più o meno marcata funzione educativa, che in senso lato non è certo una competenza esclusiva degli
educatori e dei pedagogisti, comprendendo tra essi anche gli insegnanti.
Tutti i professionisti che lavorano con adulti o minori in un contesto di cambiamento fanno educazione,
anche quando non sanno di farla.

Il CFW è spazio di inevitabile condivisione pragmatica tra lavoro sociale e pedagogia nelle sue diverse
declinazioni disciplinari.

Un punto di vista pedagogico


La pedagogia è un sapere che prende forma nell’intersezione delle tre coordinate fondamentali costituite
dai bisogni sociali – che si definiscono in modo situazionale e in base alla visione del mondo
dell’osservatore, rigore scientifico e normatività – che in sostanza corrisponde alle prospettive di
trasformazione e agli ideali di cambiamento.

L’epistemologia pedagogica è basata sull’apertura al “dialogo con gli altri ambienti disciplinari ed altri campi
del sapere, pur mantenendo salda la propria specificità”.
In ogni atto educativo è inclusa una serie di fattori, motivi e conseguenze che la
necessità di comprenderlo e spiegarlo richiede l’utilizzo di una molteplicità di punti di vista e di strumenti di
ricerca.

La pedagogia è ambito disciplinare che pur rapportandosi ad altre discipline, ne elabora in proprio contenuti
e metodi, li veglia criticamente e mette in luce le pedagogie implicite, cioè ritraccia elementi pedagogici
laddove non si sospettava potessero essere attraverso una mobilità che consenta di attingere a livelli e
dimensioni diverse della realtà.
Sul piano epistemologico, quindi, la pedagogica propone un discorso multidisciplinare, che mira ad
analizzare la realtà educativa da un punto di vista filosofico, politico e scientifico e ad elaborare modelli di
intervento concreti che guidano l’azione educativa.
La pedagogia sceglie un approccio alla lettura della realtà decisamente differente da quello di altre
discipline = lo sguardo pedagogico si connota in termini progettuali, nella comunanza delle istanze
prognostiche e diagnostiche. Esso deve anche saper mobilitare i desideri, liberando i sogni e le
prospettive utopiche, che troppo spesso rischiano di venire marginalizzate da un approccio realista.uno
sguardo che sa valorizzare il reale e che sa contemporaneamente rinnovare questo reale, progettando il
cambiamento.
Il modo di guardare la realtà della pedagogia pone la persona come proprio centro focale, o meglio la sua
crescita personale collocata nella realtà storica circostante.
L’educazione invita a cogliere nel reale il personale e stimolerà quindi ad evidenziare i movimenti e le
istanze di personalizzazione preseti nel vissuto soggettivo e invita a cogliere il potenziale, nel presente la
prospettiva di futuro e la linea di tendenza, perché essenzialmente rivolta a qualcosa in crescita.
LA PEDAGOGIA SI CONNOTA COME SAPERE DELL’EDUCAZIONE = in quanto “pratico- poietica” si
configura come “un sapere pratico che vuole che avvenga qualche cosa”.
La tensione trasformativa della realtà è un carattere irrinunciabile della pedagogia. Il pensiero pedagogico
come processo di apertura verso il futuro ha origine laddove l’essere umano incontra condizioni esistenziali
segnate dall’incertezza, dal dubbio e dalla problematicità. E proprio a partire dalle condizioni date, il
pensiero pedagogico sprigiona progettualità che indicano varchi di possibilità, capaci di superare ciò che
viene sperimentano come limite.

L’identità epistemologica della pedagogia sociale


Lo sviluppo di una dimensione sociale della riflessione pedagogica nel nostro Paese è stata influenzata dal
pensiero di John Dewey e ha potuto contare sui contributi di Agazzi, Santomauro, Bertin, Laporta,
Visalberghi.
Tra i motivi che hanno contrassegnato il ritardo dell’affermazione della pedagogica sociale nel contesto
pedagogico italiano certamente “ha pensato a lungo una pregiudiziale che tende a ricondurla a una
sostanziale riformulazione della pedagogica sociale”.
La pedagogia sociale, invece è una branca autonoma del sapere pedagogico.
Il sapere pedagogico è un sapere plurale, che si compone di diverse branche autonome,
all’interno delle quali è necessario indentificare con precisione quali siano gli elementi comuni
caratterizzanti e individuare le specificità.
Viene posto al centro della riflessione il rapporto tra educazione e società, nella duplice accettazione che:
Indaga e sostiene la società come “soggetto educante” attivo.
Studia e progetta la promozione della persona nella dimensione sociale.
Obiettivi della pedagogia sociale: Educare le persone alla socialità, responsabilità, solidarietà, all’interno di
contesti sociali organizzativi, istituzionali, quali le famiglie, le scuole, i servizi alla persona, le associazioni e
nel promuovere il benessere.
Infine, la logica della pedagogia sociale si caratterizza per la circolarità tra PRASSI E TEORESI = si tratta di
una circolarità che alimenta un processo generativo di arricchimento reciproco tra pratica educativa e la
teorizzazione pedagogica, dando vita ad un “rapporto a spirale”.

FAMIGLIA
Tra gli oggetti della pedagogia sociale trova senza dubbio posto anche la FAMIGLIA = diviene un elemento
vitale ed insostituibile di coesione e di solidarietà intergenerazionale.
In uno scenario complessivo di grandi mutazioni e cambiamenti sociali, anche la famiglia si trasforma:
 Diventa una dimensione plurale.
 Trasmissione intergenerazionale tra nuovi orientamenti e stili di vita possibili.
 Riproduzione di modelli familiari appresi.
 Confronto crescente nelle società multiculturali con modelli familiari.
Nel contesto specifico dei servizi rivolti a bambini, adolescenti e famiglie vulnerabili, la pedagogia della
famiglia evidenzia che:
La logica di intervento di sostegno socioeducativo con la famiglia tutta, piuttosto che con il solo
bambino/ragazzo si è guadagnata
via via un certo spazio, grazie soprattutto alla legge (149/2001) che ha affermato il principio: “ogni bambino
ha il diritto di crescere nella propria famiglia”.
In conseguenza di questa legge, dai primi anni 2000, l’approccio nei confronti della tutela dei minori si sta
lentamente modificando in un approccio centrato sulla protezione e il ben-trattamento della famiglia nel
suo insieme, più che sul solo bambino.

EDUCAZIONE DEGLI ADULTI


A partire dall’ultimo decennio del secolo scorso l’educazione degli adulti ha iniziato a essere sempre più
interpretata non solo come chiave per lo sviluppo e l’aumento della competitività, ma anche come strategia
per mettere a regime i pericoli presenti in questa società della conoscenza, trasformandoli in rischi gestibili
e fornendo strumenti efficaci di lotta all’esclusione sociale e di integrazione.
Alcune significative trasformazioni in corso nel campo dell’educazione degli adulti sono descritte
efficacemente con una serie di coppie dialettiche da JERVIS: dalla centratura sull’insegante/educatore, alla
centratura sul soggetto che apprende, dai programmi standardizzati ai programmi modulari o personalizzati.

Il concetto di LIFELONG LEARNNING può essere visto come punto di convergenza di un intreccio di
differenti approcci che hanno contribuito a centrare l’attenzione sul soggetto che apprende e sulle sue
necessità, piuttosto che sugli aspetti istituzionali del percorso formativo.
JERVIS, ritiene che il lifelong learnning posa essere definito come:
la combinazione di processi lungo tutto l’arco di una vita per mezzo della quale la persona nella sua
interezza – corpo e mente – sperimenta situazioni sociali, il cui contenuto percepito è quindi trasformato
cognitivamente, emozionalmente o praticamente e integrato nella biografia personale dell’individuo.
“la genitorialità, intesa come funzione dell’individuo adulto può essere appresa e sostenuta”.
Anche nell’ambito dei servizi socioeducativi rivolti a bambini e adolescenti debba emergere un’attenzione
specifica agli adulti che si occupano della loro cura in ambito familiare.
L’intervento a favore di famiglie vulnerabili va assolutamente ripensato alla luce dei riferimenti
dell’educazione degli adulti e della concezione di adultità che si è andata affermando in questi ultimi
vent’anni.

Le coordinate progettuali per ripensare l’esperienza dell’apprendimento adulto possono essere individuate:
 Nella centralità del soggetto: il focus è sul soggetto, sulle sue esigenze di sviluppo.
 Nella biograficità: intesa come capacità di costruire autonomamente un progetto di vita e
perseguirlo in modo creativo e flessibile.
 Nella riflessività: ogni forma di apprendimento viene a dipendere da un esame riflessivo di ciò che
abbiamo imparato e di come lo abbiamo imparato. Trasformarsi significa esercitare l’apprendimento
su di sé.
 Nella contestualizzazione e individualizzazione dell’intervento: l’evoluzione degli approcci nel
CFW sta generando una personalizzazione crescente degli interventi “nuove modalità d’agire
professionale il cui registro è diverso dal modo abituale di intervenire con i genitori di bambini
vulnerabili.
 Nell’individuazione di saperi in azioni e competenze locali: è necessario
comprendere le specificità contestuali di un sistema familiare per provare a cogliere le competenze
di tipo locale che il genitore ha sviluppato nella sua pratica.

Capitolo 3, UN APPROCCIO EDUCATIVO BASATO SUI DIRITTI

La pedagogia ha posto i diritti umani al centro dell’educazione, dando spazio alla “difesa della persona nella
sua particolarità irrepetibile” alla “ricerca di giustizia”, al “superamento dei nazionalismi a favore della difesa
dell’uomo, della donna”.
Secondo, ARCAIS il discorso pedagogico è “rivolto a fondare l’educazione, a legittimare obiettivi,
procedimenti, modalità secondo criteri di ragionevolezza, ad indagare sulla problematica della formazione
dell’uomo in una prospettiva a tutto campo, dove i fini vengono proporzionati alle effettive disponibilità della
esistenza concreta”.
Perché basarsi sui diritti?
il diritto e i diritti rappresentano il complesso di norme e di regole che una comunità si dà per sancire
vincoli, limiti, valori, opportunità che consentono e orientano la convivenza civile e la coesione sociale.
Appare evidente la rilevanza del rapporto tra diritto, diritti ed educazione, poiché i “diritti scelti e perseguiti
dalla politica incidono sugli orientamenti educativi della comunità sociale di riferimento”.
DIRITTO: esigenza trascendente che l’umanità esprime di poter regolare tanto i rapporti tra gli individui
quanto quelli tra le varie comunità nonché quelli tra i singoli individui e le comunità di appartenenze.
Ènella storia non solo perché appartiene all’uomo nella sua universalità e nella concretezza delle sue
vicende, ma soprattutto perché è l’uomo stesso che l’ha costituita e continua a costituirla nel momento in
cui si sforza intersoggettivamente di dare senso al suo esistere.
DIRITTI: insieme delle norme specifiche che condizionate sul piano temporale, spaziale e culturale,
rappresentano la concretizzazione storica di quell’esigenza trascendente.
Affermare in ambito EDUCATIVO l’esigenza di riferirsi al diritto e ai diritti corrisponde a riconoscere la
necessità che si facciano i conti con limiti precisi e riconosciuti da assegnare alla propria azione, a evitare
che essa perda di vista le ragioni profonde del proprio esistere.
La scelta di tematizzare e agire un’educazione si basa sui diritti non è semplicemente un’opzione
pedagogica, ma è soprattutto una scelta di natura politica.
Emerge l’urgenza di sostenere negli educatori la capacità di collocarsi all’interno dell’orizzonte sociopolitico
in cui vivono e operano.
L’educazione, che non è e non può essere mai neutrale rispetto alle visioni della società è investita di “un
compito politico, per la convivenza umana ed è essenzialmente un compito di responsabilità”.
La responsabilità non va intesa soltanto verso l’altro come individuo, ma deve integrarsi
in un orizzonte intersoggettivo.
L’AZIONE EDUCATIVA, non è un intervento sull’altro, ma insieme all’altro sulla realtà.

Dalla tutela giuridica dei minori ai diritti ai bambini e degli adolescenti a livello internazionale
La costruzione dell’idea dell’infanzia è parte del processo che, a partire dal XV-XVI secolo conduce a
maturazione il sentimento moderno della famiglia e del suo connotarsi “come ambito privato, distinta
rispetto al più generale contesto della comunità locale”. In precedenza, il bambino era considerato un
essere incompiuto, imperfetto; non poteva essere titolare di diritti autonomi.
Con l’evoluzione della sensibilità sociale al tema dell’infanzia, cresce il sentimento della preoccupazione
per la cura e l’educazione dell’infanzia, vengono introdotte norme giuridiche, come doveri importi agli adulti
nei confronti dell’infanzia.
Il movimento di tutela dei minori nacque negli Stati Uniti come ramificazione del movimento di protezione
degli animali.
“Society for the Prevention of Cruelty to Children”, aveva lo scopo di sottrarre bambini alla crudeltà, alla
trascuratezza e all’abbandono, favorendo legislazioni protettive nei loro confronti.
Nel 1899 a Chicago venne istituito il primo Tribunale dei minorenni, competente a giudicare tutti i minori di
dieci anni.
Nel XX secolo il diritto internazionale ha riservato una crescente attenzione alla tutela dei diritti dei bambini
e degli adolescenti. Un primo passo è rappresentato dalla Convenzione per regolare la tutela dei minori
sottoscritta a L’Aja il 12 Giugno 1902, che
sancì il principio in base al quale la legislazione di riferimento per la tutela di un minore è quello del paese di
cittadinanza.
Nel 1919 ebbe inizio il movimento di tutela dei diritti dell’infanzia in rapporto al mondo del lavoro, con
l’adozione della Convenzione sull’età minima da parte della Conferenza Internazionale del Lavoro, che
fissava a 14 anni l’età minima per entrare a lavorare nel settore industriale.
Nel 1921 enne sottoscritta la vincolante Convenzione internazionale sulla soppressione della tratta delle
donne e dei bambini.
Il primo riferimento ai “diritti dei bambini” si riscontra nella “dichiarazione dei Diritti dei bambini”,
approvata nel 1924 dalla Quinta Assemblea Generale delle nazioni, assumendo integralmente la proposta
introdotta nel 192 da JEBB, fondatrice di Save the Children.
L’impianto della Dichiarazione, è di tipo assistenzialista, con una centratura sulla necessità materiali e
affettive dei bambini.
La dichiarazione è composta dai seguenti punti:
 Al fanciullo si devono dare i mezzi necessari al suo normale sviluppo, sia materiale che
spirituale.
 Il fanciullo che ha fame deve essere nutrito; il fanciullo malato deve essere curato; il fanciullo il
cui sviluppo è arretrato deve essere aiutato.
 Il fanciullo deve essere il primo a ricevere assistenza in tempo di miseria.
 Il fanciullo deve essere messo in condizioni di guadagnarsi da vivere e deve essere protetto contro
ogni forma di sfruttamento.
 Il fanciullo deve essere allevato nella consapevolezza che i suoi talenti vanno messi al servizio degli
altri uomini.

La dichiarazione riconosce non solo dei doveri ma anche dei diritti soggettivi, tra cui il diritto all’integrità
fisica e il diritto a un processo formativo adeguato alla piena integrazione nella comunità.

Nel 1948, la Società delle nazioni adottò una seconda Dichiarazione dei Diritti del Bambino in sette punti.
Vennero sostanzialmente confermati i punti 1, 2, 3 e 5 della Dichiarazione del 1924, parzialmente
modificato il punto 4, che viene così a prevedere che ogni bambino possa godere di tutti i benefici previsti
dai sistemi di welfare e di sicurezza sociale e di una formazione adeguata, e introdotti due nuovi punti:
5. Il fanciullo deve essere protetto ben al di là di ogni
considerazione relativa a razza, nazionalità.
6. è necessario prendersi cura del fanciullo con il dovuto rispetto
per la famiglia come entità.

La dichiarazione del 1948 afferma che “uomini e donne di tutte le nazioni, dichiarano e accettano come
proprio dovere di rispettare questi obblighi sotto tutti i punti di vista”.
Le Nazioni Unite adottarono e proclamarono la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
Successivamente cominciò ad acquisire crescente consenso il progetto di una Carta sui diritti dei
bambini a integrazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
L’assemblea generale delle Nazioni Unite approvò all’unanimità la Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo
il 20 Novembre 1959. la dichiarazione rappresenta un passaggio storico fondamentale sia per il fatto di
essere stata approvata all’unanimità sia perché
introduce il concetto che anche il minore è un soggetto di diritti.

La Convenzione sui Diritti dell’infanzia e dell’Adolescenza


La convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza è stata approvata dall’Assemblea Generale
delle Nazioni Unite il 20 Novembre 1989 a New York ed è entrata in vigore il 20 Settembre 1990.
La CRC è stata ratificata da 192 Paesi, cioè da tutti i paesi del mondo ad eccezione di Stati Uniti e Somalia.

Korczak, prospettò l’idea di una “Magna Charta Libertatis dei diritti dei bambini”.
La Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite istituì un working group per la stesura di una
Convenzione sui Diritti dei Bambini. Il working group operò dal 1980 al 1988, procedendo sulla base del
consenso fino a giungere alla stesura definitiva della Convenzione Si tratta di un testo giuridico ricco e
complesso, “che raccoglie all’interno dei suoi 54 articoli la globalità dei bisogni, dei desideri, delle attese
che sono parte integrante della condizione dell’infanzia e dell’adolescenza.
La CRC si configura come “il testo più diffuso e utilizzato a livello globale nel definire la retorica dei diritti
umani alle generazioni più piccole: riconoscimento dei bambini come soggetti sociali.

Il comitato ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza ha individuato quattro principi generali:
 Principio di non discriminazione, che stabilisce che tutti i diritti sanciti dalla CRC si applicano a tutti i
bambini e ragazzi senza alcuna distinzione.
 Principio del migliore interesse del minore, che stabilisce che il superiore interesse del minore deve
avere una considerazione preminente.
 Diritto alla vita, alla sopravvivenza, allo sviluppo, in cui si va oltre il basilare diritto alla vita
garantendo anche la sopravvivenza e lo sviluppo.
 Principio di partecipazione e rispetto per l’opinione del minore, che sancisce il diritto di bambine,
bambini, ragazze e ragazzi, di essere ascoltati e di vedere la loro opinione presa in debita
considerazione.
L’articolo 3 della CRC prevede che: in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni
pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi,
l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente.
Per semplificare la comprensione della Convenzione è possibile fare riferimento alla cosiddetta tripartizione
delle “3P”:
 PROVISION: racchiude l’insieme dei diritti riconducibili all’accesso e alla disponibilità di
 quei servizi e beni materiali che consentono di soddisfare i bisogni vitali (nutrimento, salute,
educazione, sicurezza).
 PROTECTION: diritti di protezione del maltrattamento e negligenza e da ogni forma di
sfruttamento.
 PARTICIPATION: diritto del bambino e del ragazzo a essere ascoltato e a partecipare attivamente
nei processi decisionali inerenti questioni che lo riguardano.
La convenzione, riconosce al bambino e all’adolescente la titolarità dei diritti civili, compresi quelli di
partecipazione ovvero di espressione delle proprie opinioni e di essere ascoltato in ogni procedura
giudiziaria o amministrativa che lo riguardi, e la titolarità dei diritti sociali, tra cui l’educazione,
l’informazione, la salute e l’accesso alle cure, il gioco, la sicurezza sociale.
La Convenzione riserva anche un’attenzione da parte degli Stati a diffondere e far conoscere i principi e le
disposizioni della Conversione stessa con mezzi attivi adeguati sia ai bambini sia agli adulti.
molto importante che la CRC preveda un preciso processo di monitoraggio relativo alla sua attuazione cui
gli Stati si devono attenere rigorosamente.
Il nucleo portante di questo processo di monitoraggio e valutazione è rappresentato dal Comitato ONU ,
che si riunisce a Ginevra per valutare il Rapporto governativo e il Rapporto supplementare, redatto ed
inviato dalle coalizioni di ONG sullo stato di attuazione della CRC.
Il comitato ONU invia ai governi una lista di argomenti in forma di domande per avere
chiarimenti in merito alle tematiche ritenute critiche. A questo punto, ogni governo deve rispondere alle
domande inviate dal comitato ONU per iscritto.
Il processo di valutazione si conclude con la pubblicazione da parte del comitato ONU di
un documento con cui rende noto il proprio parere sullo stato di attuazione della CRC nel Paese in
questione, evidenziando i progressi compiuti e i punti critici.
È possibile anche individuare quattro importanti dimensioni di influenze emerse dal processo di attuazione
della CRC:
 La CRC ha costituito la cornice formale in cui legittimare, definire e qualificare i diritti dei bambini.
 La CRC ha contribuito a consolidare l’emersione a livello internazionale di specifiche sfere
pubbliche sull’infanzia.
 La CRC ha sostenuto la nascita e il consolidamento nella società civile di movimenti e associazioni
per la promozione dei diritti sia a livello internazionale sia a livello nazionale e locale. Processi di
traduzione delle norme della CRC a livello delle legislazioni e delle politiche
nazionali.

Le normative europee
Per quanto attiene la realtà europea esistono due ulteriori fonti normative che rappresentano punti di
riferimento essenziali in tema di diritti dei bambini e degli adolescenti:
CONVENZIONE DEL CONSIGLIO D’EUROPA SULL’ESERCIZIO DEI DIRITTI DEL FANCIULLO: si
riferisce come Convenzione di Strasburgo, ratificata dall’Italia con legge 77 del 2003, mira la protezione
degli interessi dei bambini e degli adolescenti, attraverso la promozione dei loro diritti, quali la custodia, la
residenza, l’adozione, la tutela.
In particolare, prevede una serie di misure che permettono ai minori di far valere i propri diritti e riconoscere
sia diritti di difesa azionabili dal minore coinvolto in un procedimento giudiziario, sia agli Stati formatori volti
a incentivare forme alternative ai procedimenti in sede giudiziaria.
L’articolo 13 della Convenzione prevede che “al fine di prevenire o di risolvere i conflitti, e di evitare
procedimenti che coinvolgano minori dinanzi ad un’autorità giudiziaria, le parti incoraggiano il ricorso alla
mediazione e a qualunque altro metodo di soluzione dei conflitti atto a concludere un accordo.
In Italia, a partire dagli anni Novanta è stato possibile promuovere lo “svecchiamento” della legislazione in
materia minorile e avviare “il passaggio da una concezione delle relazioni fra lo Stato e i minori all’insegna
dell’assistenzialismo paternalistico verso una concezione radicata sul principio dei diritti della persona
anche per il fanciullo.
La convenzione di Strasburgo valorizza la crescente autonomia dei soggetti in via di sviluppo, attraverso il
riconoscimento dei diritti processuali e l’esercizio della capacità di discernimento da parte del bambino.

CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA: viene proclamata a Nizza il 7 Dicembre
2000 e successivamente a Strasburgo in una versione adattata il 17 Dicembre 2007, con l’entrata in vigore il
1° Dicembre 2009 del Trattato di Lisbona ha acquisito il medesimo valore giuridico dei Trattati istitutivi
dell’Unione in tutti gli ordinamenti giuridici dei Paesi membri.
In particolare, l’articolo 24 della Carta proclama i diritti del bambino che sono, diritti fondamentali di tutti i
bambini europei:
I bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere
liberamente la propria opinione.
L’interesse del bambino deve essere considerato preminente.
Ogni bambino ha il diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i genitori, salvo
ciò sia contrario al suo interesse.
Inoltre, vengono riconosciuti il diritto all’istruzione e all’accesso gratuito alla scuola dell’obbligo,
all’uguaglianza come a tutti i cittadini e a non essere discriminati in base all’età; a non essere impiegati nel
lavoro minorile.
L’orizzonte europeo dei diritti dei bambini e degli adolescenti è confermato dal fatto che tutti gli Stati
membri del Consiglio d’Europa hanno ratificato la CRC.

Verso una pedagogia dei diritti dei bambini e degli adolescenti


La convenzione dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza , nell’evolvere il concetto di bisogno ci consegna
una concezione dell’infanzia e dell’adolescenza basata sulla loro titolarità di diritti a tutto campo: diritti civili,
politici, economici, sociali e culturali.
L’attribuzione a bambini e adolescenti della titolarità di diritti umani definisce come obbligo individuale e
collettivo la tutela e promozione di tali diritti e richiama la responsabilità degli adulti nei confronti
dell’infanzia.
Inoltre, la CRC si qualifica anche per il suo carattere pedagogico-educativo, con il quale suggerisce alle
istituzioni, alle comunità e alle famiglie un percorso educativo che indica riferimenti universali pur nel
rispetto delle diverse specificità storiche, culturali e socioeconomiche.
La CRC si concentra anche sul tema della partecipazione di bambini e adolescenti e ne vuole costituire un
requisito pedagogico irrinunciabile nei processi educativi compito fondamentale dell’educatore è agire per
promuovere empowerment e per sviluppare competenze di partecipazione sociale e di cittadinanza attiva.

I diritti come fondamento di un approccio pedagogico


In ambito pedagogico si è cominciato a parlare di “HUMAN RIGHTS-BASED APPROACH” nell’ambito
della pianificazione educativa, dell’educazione alla cittadinanza globale e della cooperazione internazionale
in tema di istruzione e di sviluppo.
Il concetto su cui si fonda il rights-based approach è individuabile nel fatto che le
politiche e le istituzioni dovrebbero avvalersi espressamente delle norme e dei valori enunciati nel diritto
internazionale relativo ai diritti dell’uomo.
Il diritto internazionale relativo ai diritti umani fornisce un quadro normativo cogente per la formazione di
politiche nazionali e internazionali.
Il riconoscimento dei diritti dei cittadini e una corretta interpretazione della funzione delle autorità pubbliche
si costituiscono come “un freno alle possibili decisioni arbitrarie dello Stato e agli usi non corretti delle
risorse economiche pubbliche. È necessario, allora, cambiare la logica dei processi di elaborazione delle
politiche.
Il punto di partenza non deve più essere l’esistenza di persone che esprimono bisogni da soddisfare, ma
possessori di diritti che hanno titolo per richiedere particolari forme di prestazioni e di comportamenti. Le
azioni assunte in questo campo sono viste come metodo scelto per rendere efficaci ed esigibile gli obblighi
giuridici.
La tabella consente di raffrontare le principali caratteristiche di tre differenti approcci allo sviluppo:
 Approccio caritatevole e benefico.
 Approccio incentrato sui bisogni.
 Approccio basato sui diritti.

APPROCCIO APPROCCIO APPROCCIO


CARITATEVOLE INCENTRATO BASATO SUI
E
BENEFIC SUI DIRIT
O BISOGNI TI
Focus su input e Focus su processi e
Focus Focus sugli input outcome outcome

Enfasi Aumento della Realizzazione dei


su beneficenza Risposta ai bisogni diritti
Rappresentazione degli Individui e gruppi sono
individui Vittime Oggetti dell’intervento soggetti i un
processo di
empowerment

La responsabilità morale I bisogni come validi I diritti individuali e di


Riconoscere dei ricchi elementi di gruppo come
verso i rivendicazi elementi di rivendicazione
poveri one e questi
diritti implicano
responsabilità da
parte delle autorità
pubbliche.

Pone l’attenzione La manifestazione dei Le cause immediate dei Le cause strutturali e


su problemi problemi immediate dei
Il contesto sociale con una problemi e le loro
minima manifestazioni.
Il contesto sociale,
rilevanza alle politiche economico,
culturale, civile e
politico.

Riguardo alla beneficenza Sostiene la motivazione Sia una motivazione


ritiene Sia fondamentale per insufficiente per
ch rispondere ai rispondere ai
e bisogni bisogni.

Riguardo Non è necessario per Riconosce che i diritti


all’empowerment Non è rilevante rispondere ai possono essere
realizzati solo
bisogni attraverso
l’empowermen
t

Un’iniziativa basata sui diritti si muove su due direttrici fondamentali:


Rafforzamento e il monitoraggio dell’accountability, intesa come responsabilità di cui si deve rendere
conto, da parte dei duty-bearers = soggetti che hanno il dovere di far rispettare e promuovere i diritti.
Supporto ai titolari di diritti nell’acquisire la capacità di esigere i propri diritti.
In generale, le legislazioni internazionali inerenti i diritti umani riconosce tre gruppi di attori:
TITOLARI DI DIRITTI: tutti gli esseri umani appartengono alla categoria dei titolari di
diritti (rights-holders), semplicemente perché in quanto essere umani hanno pari e inalienabili diritti umani.
SOGGETTI CHE HANNO IL DOVERE DI FAR RISPETTARE E PROMUOVERE QUEI
DIRITTI: lo stato è il principale duty-bearer all’interno dei propri confini nazionali e deve garantire a tutti i
propri cittadini il rispetto, la protezione e la realizzazione dei diritti umani.
ALTRI ATTORI: hanno obblighi morali in base alla CRC e possono essere definiti moral duty-bearers.
La differenza tra rights-based approach e righs-based perspective È
necessario definire la differenza tra:
L’adozione di un approccio basato sui diritti si parla di approccio, quando l’obiettivo
dichiarato del programma di intervento diviene un sotto-obiettivo della massima realizzazione dei diritti
umani delle persone coinvolte.

LJUGMAN, evidenzia tre caratteristiche fondamentali che identificano l’approccio:


Fondamento legale: l’approccio si basa sulla tutela della legislazione internazionale nei confronti dei diritti
delle persone e delle libertà fondamentali.
Cornice normativa: ha come coordinate i seguenti principi universalismo, uguaglianza e non
discriminazione, indivisibilità, partecipazione, ruolo della legge e accountability.
Obiettivi di processo: i dirtti devono essere praticati ed esperti dai titolari di diritti, non basta che siano
garantiti e promossi dai duty-bearers.
Una prospettiva basata sui diritti fa riferimento a una gamma di tentativi di applicazione di concetti e
logiche di azione.

L’approccio basato sui diritti nel lavoro socioeducativo con bambini, adolescenti e famiglie
vulnerabili
La CRC rappresenta uno degli elementi fondamentali che caratterizzano il Child and family
Welfare europeo.
La convenzione è diventata uno strumento di protezione dei bambini, di tutela dei loro diritti e di supporto nel
rafforzarli.
Un approccio basato sui diritti dei bambini, e sulla CRC in particolare, sta interessando diverse professioni
e diversi ambiti di intervento [ad esempio, si parla di approccio basato sui diritti di pediatria, con particolare
riferimento a questioni quali la violenza suoi minori, lo sfruttamento lavorativo].
La CRC può essere considerata anche come una cornice sociopolitica che evidenzia gli obblighi che il
pubblico, lo Stato e i servizi sociali in particolare, ha nei confronti dei bambini e dei loro genitori.
È importante considerare i diritti dei bambini come un “punto di partenza per il dialogo”.
Da un punto di vista sociopolitico non è importante soltanto definire quali sono i diritti dei bambini, ma
anche in che modo vengono realizzati i diritti dei bambini e dei genitori e il ruolo dello stato in questo
processo.
Si tratta di sviluppare una concezione della professionalità definita “sociopolitica” che non si limita alla
competenza tecnica, ma richiede anche la consapevolezza di essere “situati” all’interno di un contesto
influenzato dalle politiche sociali e da dinamiche territoriali.

Capitolo 4, SUPERARE LA CONTRAPPOSIZIONE TRA DIRITTI DEI BAMBINI E INTEGRITÀ DELLA


FAMIGLIA?

La convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle Libertà Fondamentali riconosce il
diritto al rispetto della vita privata e familiare.Diritti e rovesci in cerca di conciliazione
Nella Convenzione sui Diritti del bambino e dell’Adolescente è sancito che la famiglia, definita unità
fondamentale della società e ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri, deve
ricevere la protezione e l’assistenza di cui necessita per poter svolgere integralmente il suo ruolo all’interno
nella collettività.
La CRC stabilisce:
 Il diritto del bambino a essere allevato dei suoi genitori.
 Il diritto del bambino a preservare le sue relazioni familiari.
 Che il bambino non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che le autorità
competenti non decidano che questa separazione è necessaria nel migliore interesse del bambino.
 Che il bambino deve essere tutelato contro ogni forma di violenza, di abbandono, di
maltrattamento o di sfruttamento.
La CRC sancisce:
 Con i genitori hanno la responsabilità, il diritto e il dovere di dare al bambino e all’adolescente,
l’orientamento e i consigli adeguati all’esercizio dei diritti che gli sono riconosciuti dalla
Convenzione.
 I genitori hanno una responsabilità comune per quanto riguarda l’educazione del bambino e il
provvedere al suo sviluppo.
 Spetta ai genitori o ad altre persone che hanno l’affidamento del bambino la
 responsabilità fondamentale di assicurare le condizioni di vita necessarie allo sviluppo del
bambino.
Si è quindi cominciato a considerare il bambino come soggetto in relazione con i suoi genitori e con i suoi
mondi vitali.
Tra gli operatori del settore è diffusa la convinzione che sia proprietario progettare e attuare interventi nel
contesto familiare e nell’ambiente della vita del minore. Non è pensabile isolare la condizione del minore
del suo sistema originario di vita.

Dall’istituzionalizzazione alla family preservation


Come nasce l’idea del superamento dell’antitesi tra tutela del minore e protezione delle
relazioni familiari? Dalla metà dell’Ottocento la risposta più ovvia a difficoltà familiari è
stata il ricovero in istituti di assistenza.
prima di queste forme di accoglienza istituzionali esistevano soltanto “la carità della gente, le famiglie
allargate e le congregazioni religiose.
In Italia, nella seconda metà dell’Ottocento, la povertà diffusa divenne un fenomeno sociale rilevante.
Sorsero le prime società di mutuo soccorso.
Nel 1890 venne promulgata la legge che istituì le strutture di pubblica assistenza e beneficenza (IPAB).
Nel periodo fascista la risposta pubblica ai problemi sociali ricevette un ulteriore impulso attraverso forme di
tutela corporativistiche e centralizzate.
In particolare, si segnalano la fondazione nel 1925 dell’Organizzazione Nazionale Maternità e
Infanzia.
Negli anni 1954/55/58 ebbero luogo le Conferenze nazionali sui problemi dell’assistenza pubblica
all’infanzia e all’adolescenza, che misero a tema l’organizzazione assistenziale della gioventù, l’assistenza
dei minori in istituto e le linee d’azione e i modelli che avrebbero dovuto informare l’organizzazione degli
istituti.
L’analisi della condizione di bambini e adolescenti negli istituti, emersa nelle Conferenze,
incrocia e si connette alla diffusione in Italia degli studi di Spitz e Bowlby, che mettono in evidenza i
gravi effetti negativi dell’istituzionalizzazione sullo sviluppo psicosociale dei minori:
Assenza di relazioni significative con adulti capaci di prendersi cura e proteggere i bambini e alla
separazione precoce e prolungata della madre nei primi anni di vita.
La risonanza delle ricerche di Spitz e Bowlby ispirarono la nascita negli USA dei primi tentativi di creare
contesti di accoglienza “caratterizzati da un’organizzazione delle regole e delle routine quotidiane centrate
sui bisogni dei minori”.
Si iniziò a mettere in discussione la logica dell’affidamento prolungato dei minori in difficoltà a istituti
funzionanti a tempo pieno, creando in alternativa servizi per le famiglie in difficoltà, portano aiuto a
esse sia sul piano economico, sia sul paino educativo.
Negli anni Settanta si registra l’attivazione dei gruppi appartamento a Ferrara, Bologna e Ravenna e il
successivo avvio dei servizi territoriali finalizzati a prevenire le cause di allentamento del minore alla
famiglia nel comune di Torino.
Queste esperienze possono essere accomunate sotto la definizione di “gruppi-appartamento” mirano a
rispondere in modo innovativo a condizioni di bisogno ben precise e certamente si configurano come
soluzioni migliori degli istituti.
La legge del 1984 sancisce la necessità di superare l’istituzionalizzazione per promuovere
alternative quali l’adozione e l’affidamento, proclamando il diritto di ogni minore a vivere in una
famiglia.
La forte diminuzione degli istituti o la loro completa chiusura rappresenta un carattere ricorrente degli ultimi
trent’anni nel CFW dei paesi dell’Europa Occidentale.
Negli ultimi quindici anni si assiste a un aumento significativo dei bambini e dei ragazzi allontanati dalla
famiglia e collocati in comunità residenziali o accolti in affido familiare.
Il fenomeno può essere spiegato attraverso il concorso di una serie di fattori integrante:
 Maggiore frequenza di segnalazioni di maltrattamento e in un utilizzo dall’allontanamento come
soluzione temporanea per accompagnare il bambino e la sua famiglia fuori dalle difficoltà. Il
potenziamento dei servizi locali all’infanzia, ha potuto rilevare e far emergere situazioni di grave
difficoltà familiare.
 La debolezza dello sviluppo delle politiche e degli strumenti di prevenzione, rendere inadeguata
l’attività di prevenzione dall’allontanamento e l’azione di sostegno e trasformazione delle
competenze genitoriali.

L’attualità degli allontanamenti presenta ulteriori sfaccettature:


 Un elevato ricorso al collocamento in comunità dei bambini con meno cinque anni per i quali la
normativa prescrive l’affidamento familiare.
 La forte presenza di adolescenti prossimi alla maggiore età e quindi in uscita del sistema di
protezione, che preoccupa la grave inadeguatezza delle politiche dei servizi rivolti ai ragazzi e alle
ragazze che devono costruire un percorso verso l’autonomia.
 L’eccessiva durata della permanenza in affido e in comunità: 37% ei bambini e dei ragazzi,
infatti, è fuori dalla propria famiglia d‘origine da più di 4 anni.
Da questa analisi della situazione attuale degli allentamenti, Belotti trae alcune considerazioni fondamentali:
 Va potenziata l’azione preventiva e promozionale coordinata dai servizi territoriali finalizzata
al ricongiungimento familiare attraverso il sostegno delle competenze genitoriali.
 necessario che le culture e le pratiche dei servizi si concentrino con lo stesso impegno a evitare
gli allontanamenti.
 L’obiettivo della riduzione degli allontanamenti non può essere raggiunta semplicemente con il
drastico taglio delle risorse disponibili per i servizi di welfare.

Il movimento per la de-istituzionalizzazione ha consentito l’affermazione del diritto fondamentale dei


bambini a mantenere i loro legami familiari.
PAOLA MILANI: sottolinea che sembra prioritario centrare l’intervento sulla “protezione della famiglia” nel
suo insieme, evitando di allontanare da esse il bambino e cercando il modo per aiutare i genitori a
prendersi adeguatamente cura dei propri figli.
Centrare il focus dell’intervento sulla famiglia consente di riconoscere che il sistema familiare è influenzato
dell’interdipendenza dei suoi membri e che attraverso il rafforzamento e il sostegno dell’intera famiglia e
non solo del bambino, aumentano le possibilità di apportare significativi cambiamenti per tutti i membri che
compongono il nucleo familiare.
In Italia tale processo si è completato con l’’emanazione della legge del 2001 che ha previsto la
chiusura di tutti gli istituti e ha enunciato come valore fondamentale il diritto del bambino a crescere
nella propria famiglia.
Occorre pensare, progettare un modello nuovo di servizi sociali, orientato a prevenire le situazioni di
disagio sociale e di emarginazione dei bambini e delle loro famiglie.
Alla ricerca di un equilibrio tra integrità della famiglia e diritti dei bambini
McCrosky e Meezan indicano quale obiettivo principale del CFW assicurare il benessere a lungo termine
dei bambini, possibilmente all’interno delle famiglie d’origine.
Gli stessi autori evidenziano tre principi che sostengono l’integrità della famiglia:
 Le famiglie sono il posto migliore in cui un bambino può crescere.
 Le famiglie hanno diritto di fruire risorse e opportunità.
 Le famiglie hanno diritto alla riservatezza.
Inoltre, evidenziano tre principi che focalizzano i diritti dei bambini:
 I genitori hanno diritto nei confronti dei propri figli nella misura in cui li proteggono e ne
promuovono il benessere.
 I figli hanno diritto a godere di protezione, benessere e cure.
 Dove i figli non sono garantiti dai genitori è la comunità locale che deve farsene carico.

ALLEN e PETR hanno identificato cinque principi fondamentali delle pratiche centrate sulla famiglia:
 Prendersi cura della famiglia come unità di attenzione.
 Stabilire una buona collaborazione tra famiglia e professionisti.
 Rispettare le scelte della famiglia.
 Valorizzare e costruire a partire dai punti di forza della famiglia.
 Sviluppare servizi individualizzati (=flessibili e attenti alle specificità di ogni famiglia).

Il ruolo attivo che viene agito da tutti i componenti di una famiglia nelle interazioni con L’INTERVENTO
PROFESSIONALE di aiuto e di cura e che porta a una risignificazione dell’intervento stesso.
Il RUOLO DELL’OPERATORE contribuisce a modificare con la sua semplice apparizione sulla scena e a
cui offre l’opportunità di presentarsi rendendo visibile un’anima della famiglia. La possibilità di costruire
partnership con i genitori richiede l’assunzione di un approccio negoziale. Risulta fondamentale costruire
comunicazioni il più possibili chiare e realistiche in merito
a motivazioni e obiettivi dell’intervento.
La scelta di chiarezza consente:
 di diminuire l’ansia del genitore di fronte all’incertezza e di aiutarlo nel fare i conti con la realtà dei
fatti.
 Può proteggere almeno parzialmente il bambino dal sentirsi responsabile dell’intervento di tutela
nei riguardi della sua famiglia.
 Opportunità di attivare trasformazioni a partire dalle concrete difficoltà che sperimentano.
 L’aiuto e il sostegno alle famiglie vulnerabili dovrebbe individuare all’interno e introno al sistema
familiare le risorse e i punti di forza.
Al centro della progettazione, della messa in atto dell’intervento, della rielaborazione dei
propri agiti professionali è la persona cui ci si rivolge è un lavoro che implica una partecipazione attiva e
consapevole dei membri della famiglia.
L’orientamento a tenere la famiglia al centro dell’intervento vive nella ricerca di un soddisfacente equilibrio
tra protezione del bambino e salvaguardia della famiglia, tra la promozione di azioni “nel miglior interesse
del bambino” e il riconoscimento dei diritti genitoriali.
Trovare un equilibrio tra diritti dei bambini e diritti dei genitori non è una questione
semplice: fatica vissuta dagli operatori sociali che si trovano combattuti tra la consapevolezza
dell’importanza della famiglia e dei genitori per un bambino.
sono le capacità e la sensibilità del professionista preparato ed esperto che devono guidare
l’interpretazione e la comprensione di ogni singola situazione.

Valutare la genitorialità vulnerabile


La dimensione della valutazione, rivolta ai soggetti presi in carico nell’ambito degli interventi di Tutela
minori, si traduce in diversificate attività messe in atto dai diversi operatori:
 L’assistente sociale effettua un assessment sociale, cioè una valutazione della situazione del
bambino e della sua famiglia al momento dell’avvio del processo.
 Lo psicologo effettua valutazioni psicodiagnostiche
 L’educatore effettua valutazioni sulle competenze genitoriali.
Il mestiere di madre e padre può essere appreso solo facendo il genitore concretamente e si tratta di una
competenza pratica, contestuale, situata nel sistema di relazioni familiari, sociali, culturali.
Secondo MILANI, il concetto di “capacità genitoriale” è un costrutto semantico che si riferisce alle capacità
pratiche che i genitori posseggono per guidare, proteggere, educare e assicurare una crescita armoniosa ai
loro bambini.

La definizione dell’intervento giusto per una certa famiglia (=PROGNOSI) emerge dalla relazione tra
operatore e genitore vulnerabile.
La valutazione assunta in questa prospettiva appare in linea con una progettazione sociale che formi gli
operatori a una relazione con gli utenti che abbia maggiore flessibilità.

Sostenere la genitorialità vulnerabile


Negli ultimi decenni vi è una diffusione di servizi educativi diurni, domiciliari, territoriali di prevenzione e
promozione, che mirano a riqualificare le capacità genitoriali, a recuperare la qualità dei legami e a evitare
le separazioni.
La possibilità di fruire di un sostegno alle proprie competenze genitoriali rappresenta
un’opportunità per il genitore, una risorsa per uscire dalla propria visione soggettiva e autoreferenziale
attraverso il confronto con una nuova visione della realtà proporre dei punti di vista differenti, che possano
stimolare riflessività.

Ripensare la distanza professionale per costruire partenrship


La regolazione della distanza relazionale nelle professioni sociali rappresenta un tema costante al centro
degli operatori sociali e di chi si occupa della loro formazione e supervisione.
Gli interventi che hanno come scenario il domicilio dell’utenza, richiedono all’operatore di
definire il proprio posizionamento, di elaborale un sistema di significati che consenta di avere riferimetni
adeguati per muoversi in modo efficace e che permetta al bambino o al ragazzo, ai suoi genitori e a
eventuali altri familiari coinvolti di sentirsi liberi di esprimersi e di ricevere un aiuto utile a migliorare la
propria situazione.

Il COMPITO DELL’EDUCATORE nel trovare la propria posizione si concretizza in una duplice attenzione:
marcare la differenza e far sentire la vicinanza.
Il compito dell’educatore si concretizza in una duplice attenzione:
 Marcare la differenza: se vuole mantenere la sua identità, per l’educatore, segnare il confine è una
necessità, perché senza distinzione non c’è identità.
 Fare sentire la vicinanza: la possibilità di produrre trasformazioni nei contesti familiari passa
attraverso la costruzione di relazioni di vicinanza e di fiducia.

Nascono nuove visioni della professionalità che propongono di gestore la relazione in riferimento a una
gamma di opzioni individuabili su un continuum vicinanza-coinvolgimento/distanza-separazione tra cui
l’operatore può scegliere sulla base del proprio expertise e delle proprie competenze.

Concezione della professionalità che fa perno sulla capacità di riflettere nel corso dell’azione, di confrontarsi
con situazioni impreviste, inedite, sorprendenti, incerte, aprendo un’indagine che costruisce le condizioni
per “passare da una situazione problematica all’elaborazione di possibili corsi d’azione attraverso una
costante transizione tra il fare e il pensare”.

Cominciare della fiducia e della chiarezza


Diverse ricerche attestano che la presenza di una relazione di fiducia tra gli operatori e le famiglie sembra
essere un mediatore importante per il cambiamento e un fattore determinante per il successo degli
interventi; inoltre appare fondamentale anche riuscire a favorire la partecipazione il coinvolgimento dei
genitori nella definizione e attuazione del piano di intervento.

Sostegno come affiancamento nel concreto delle scelte educative


L’oggetto primario degli interventi formativi da sviluppare con i genitori vulnerabili è costituito dalle funzioni
e competenze educative. Poiché la competenza si manifesta sempre in situazione, il genitore ha necessità
di sperimentare situazioni quotidiane in cui poter affiancare ed essere affiancato da un operatore.
Competenze essenziali nell’accompagnamento trasformativo del genitore che l’educatore deve possedere:
 RICONOSCIMENTO: il genitore va riconosciuto nel suo ruolo.
 COMPRENSIONE DEL PUNTO DI VISTA DEL PROPRIO FIGLIO: il genitore deve cogliere il punto
di vista e i bisogni del figlio.
 INDICAZIONI CONCRETE: capacità dell’educatore di offrire indicazioni contestualizzate, utili ed
efficaci nella gestione di problematiche connesse all’educazione dei figli.
 FARSI DA PARTE: farsi da parte gradatamente per lasciare la scena al genitore ad
accompagnandolo ad acquisire padronanza nella gestione di alcuni compiti educativi.

Sostenere la genitorialità nei casi di allontanamento


È opportuno prevedere forme di sostegno nei casi di allontanamento e di successiva riunificazione.
nel momento in cui si prevede la separazione del bambino o dell’adolescente dal proprio nucleo è
necessario prevedere forme di sostegno alla famiglia d’origine e alle reti di prossimità che stanno intorno a
essa per rinforzala e creare condizioni adeguate all’eventuale rientro del proprio figlio.
Se viene riscontrata maltrattamento che inducono ad allontanare un bambino o un adolescente dalla
propria famiglia, allora ci si trova di fronte anche a una “genitorialità infranta” di cui occorre prendersi cura
nell’interesse stesso del minore allontanato.

Diversi autori identificano i fattori di successo di un buon rientro in famiglia di un bambino allontanato: un
buon attaccamento tra bambino e genitori naturali; la motivazione dei genitori al cambiamento e a chiedere
aiuto; la durata dall’allontanamento inferiore a un anno.
L’attenzione progettuale e relazionale di sostegno nei confronti dei genitori di un bambino allontanato ha
necessariamente caratteri multidimensionali che investono: spazi di interventi sociale, psicoterapia
individuale o familiare, spazi neutri e di incontri protetti.
La ricostruzione dei genitori passa per quattro aree di cambiamento e di apprendimento:
 Supportare il proprio figlio.
 Chiedere e pretendere aiuto.
 Lottare per una vita normale nella quotidianità.
 Mantenere la stima di sé.
 L’allontanamento di un bambino può essere vissuto come una rottura su due livelli:
 Rottura della cura genitoriale nei confronti del bambino e, quindi della relazione quotidiana tra
genitori e bambino.
 Rottura della relazione tra genitori e servizi diurni, territoriali e domiciliari.
 La rottura può essere letta anche come “sfondamento verso” o come punto di svolta.
 Il processo entra in una nuova fase, che comporta, da una parte, una minaccia al proprio essere
genitori e, dall’altra segna l’inizio di una lotta per ottenere aiuto dei servizi e ricostruire una
relazione supportiva con il proprio figlio.

Il coinvolgimento della famiglia: modelli operativi

La logica del coinvolgimento parte dei genitori e da quella loro cultura per confrontare e discutere
atteggiamenti, comportamenti, idee e valori. in tal modo si passa da un modello di genitori considerati come
dei ricettori passivi a un modello di genitori produttori del proprio sviluppo e di sostegno ai loro pari e alla
comunità.
Alcuni modelli emersi negli ultimi decenni, incentrati sul coinvolgimento dei genitori:
FAMILY GROUP CONFERENCES: si configurano come modello di intervento per lavorare
con le famiglie. Le FGC favoriscono la diretta partecipazione delle famiglie al processo di decisione in
merito alle concrete soluzioni che possano garantire la protezione e la cura del minore.

Le famiglie hanno il diritto di partecipare alle decisioni che le riguardano dove sono in pericolo le libertà dei
singoli e della famiglia e la loro libertà di scelta, è allora che lo stato deve fare il massimo sforzo per
assicurare una forma autentica di partecipazione e di coinvolgimento.

Il modello FGC nasce in Nuova Zelanda alla fine degli anni Ottanta, come risposta positiva alla
rivendicazione dei gruppi familiari Maori, che richiedevano una maggiore sensibilità interculturale al sistema
di tutela minorile neozelandese e un maggiore coinvolgimento dei genitori.
Oggi il loro utilizzo si sta estendendo anche nel nostro paese.

Le riunioni di famiglia assumono la forma di un incontro tra i componenti della famiglia e altri soggetti per
essa significativi.
L’obiettivo di una riunione di famiglia è definire un progetto d’intervento per la tutela del minore in
situazione di pregiudizio.
L’incontro è preparato e gestito da un facilitatore, cioè una figura professionale esterna al procedimento
tutelare e penale.
Sia il bambino o il ragazzo, sia la famiglia possono essere affiancati da un operatore di advocacy, che ha il
ruolo di dare voce ai loro pensieri e opinioni in merito alle decisioni che verranno assunte.
Si è riscontrato che le FGC agevolano il raggiungimento di alcuni importanti risultati:
 Promuovo l’assunzione di responsabilità da parte della famiglia.
 Rendono partecipe il bambino nel processo decisionale
 Migliorano la collaborazione tra i servizi e la famiglia.
 Fanno registrare risultati efficaci.
RECONNECTING FAMILIES: Sulla spinta di una revisione critica degli allontanamenti si
sviluppano anche pratiche di coinvolgimento delle famiglie di origine nei percorsi di figli allontanati.
Successivamente negli anni Novanta si incomincia a parlare di family reunification, come un processo
dinamico per rispondere alla globalità dei bisogni dei bambini e dei ragazzi e delle loro famiglie,
mantenendo e promuovendo il raggiungimento tra bambini e famiglie nel sistema di parentela.
Si può definire un processo programmato che mira a realizzare il miglior livello possibile di
ricongiungimento con la propria famiglia d’origine di bambini accolti fuori famiglia in affido o in accoglienza
residenziale, attraverso l’azione coordinata di differenti servizi di sostegno rivolte a ciascuno dei soggetti
coinvolti.
I principi fondamentali su cui si basa la riunificazione familiare sono:
 L’idea che la famiglia naturale è il miglio posto in cui un bambino possa crescere.
 Il riconoscimento che la maggior parte delle famiglie hanno le potenzialità per prendersi
 cura dei propri figli.
 La consapevolezza dell’impatto della separazione e della perdita sui bambini e suoi
 genitori.
 Il coinvolgimento di altri membri della famiglia allargata o di persone che per il bambino fanno parte
del suo sistema familiare.

Si tratta di sostenere un processo che, permetta di ra fforzare o conservare i legami familiari, per quanto si
debba specificare che non tutti i genitori riescono a riappropriarsi pienamente del loro ruolo, ma che questo
non deve precludere la possibilità di mantenere i rapporti con il bambino e soprattutto il senso di
appartenenza del bambino al suo nucleo.
gli incontri genitori-figli costituiscono il cuore della riunificazione familiare.

PARTENARIAT: mira alla mobilitazione delle competenze genitoriali attraverso lo sviluppo di una
comunicazione bidirezionale fondata sulla fiducia reciproca e sulla cooperazione.

I due concetti basilari del partenariato sono:


 Concetto di appropriazione: corrisponde de al rafforzamento del sentirsi capaci di
agire.
 Concetto di autodeterminazione: consiste nel rendersi capaci di assumere responsabilità.

FIGURA DEL PROFESSIONISTA:


Nel contesto del partenariato e della cooperazione il professionista deve sviluppare un
altro rapporto, attivando delle strategie che favoriscano l’acquisizione di saperi e del saper fare da parte
degli altri partener.
Il professionista è chiamato a innescare e gestire il dispositivo del partenariato, cui si
richiede un approccio relazionale “morbido” e capace di ascoltare e di creare contesti accoglienti e sicuri di
condivisione.
Il professionista deve saper proporre il sapere specialistico utilizzando un linguaggio semplice e un registro
che possa essere compreso dai genitori.
CLINICA DELLA CONCERTAZIONE: È un dispositivo terapeutico collettivo che mira a
incoraggiare relazioni umane più affidabili a differenti livelli: familiari, interprofessionali e pubbliche.
E’ proprio lo sconcerto registrato nell’osservazione in prima persona di pratiche frammentate che si
focalizzano su un
individuo e le sue debolezze, che induce in LEMAIRE (fondatore) la riflessione sulla necessità di favorire il
confronto tra operatori e servizi, ma soprattutto è rilevante l’idea che esiste una risorsa residuale
estremamente potente nella famiglia che definisce “forza convocatrice”, cioè la capacità do riunire attorno
a sé una pletora di esperti.
Di qui nasce un dispositivo che sceglie come proprio setting un luogo pubblico aperto e che convoca a
partecipare la famiglia, professionisti, rappresentanti istituzionali, cinque sia interessato a intervenire da
“intruso”.
Un incontro di clinica di concertazione si svolge percorrendo quattro tappe:
 Identificazione di rotture, resistenz e rifiuti che la famiglia costruisce come risposta all’offerta delle
istituzioni.
 L’emersione di uno spazio di perplessità, generato dalla complessità connessa alla presenza intorno
alla famiglia di un numero spropositato di professionisti e servizi.
 Il passaggio dalla complessità alla complicazione.
 L’esplicitazione dei rifiuti e delle resistenze consente di diventare pubbliche dichiarazioni su cui è
possibile aprire un confronto anche conflittuale, che di per sé può connotarsi come cura.
Gli elementi più significativi che ricorrono nei modelli operativi fanno riferimento all’EMPOWERMENT
APPROACH, e più nello specifico a un approccio di EMPOWERMENT INDIVIDUALE E FAMILIARE.
La logica dell’empowerment ruota intorno all’idea di favorire l’emancipazione dei soggetti e il
raggiungimento non solo del controllo sulle loro vite, ma anche delle loro capacità di influenza economica e
politica.
I punti principali attorno a cui lavora l’empowerment sono:
 Rileggere le motivazioni degli eventi in modo da restituire all’individuo l’idea di poter incidere sulla
situazione e di poterne definire lo sviluppo.
 Far percepire di avere possibilità di influenza e di intervento.
 Sviluppare un pensiero positivo e la fiducia in se stesi.
 Riconoscere le proprie abilità
 Costruire nuove pensabilità di sé.
 Trasformare i desideri in concrete possibilità di scelta.

L’empowerment familiare può essere definito un processo di rafforzamento, do potenziamento, volto a


restituire al soggetto un potere che non crede di avere.
Si tratta di aiutare le persone a utilizzare le proprie forze, abilità e competenze per fronteggiare eventi critici.
Dal punto di vista di PAOLA MILANI, l’operatore dovrebbe essere: un catalizzatore di risorse che lavora per
identificare, creare, utilizzare le competenze delle famiglie in modo da facilitare il loro impegno nei processi
di crescita.
La presenza di un operatore incaricato prevede una struttura asimmetrica, cioè una differenza di ruolo
formale, ma cerca di costruire relazioni orizzontali, paritarie in cui la negoziazione gioca una funzione
rilevante.

Capitolo cinque, OLTRE IL DETERMINISMO: EDUCARSI A RICERCARE PUNTI DI FORZA E


BELLEZZA
Gli stati parti riconoscono il diritto del minore di godere del miglior stato di salute possibile (articolo 24).
Il lavoro socioeducativo si concentra sullo sviluppo di approcci orientati alla ricerca del positivo, dei punti di
forza e delle risorse, delle capacità di resilienza della salute, della bellezza delle persone che si trovano a
essere intercettate da un servizio del CFW.

Educare lo sguardo alla ricerca delle capacità di resistenza, dei fattori di resilienza, dei punti di forza,
della bellezza:
Lo sguardo pedagogico è aperto alle possibilità che si danno nel presente e nel futuro, elicita il desiderio e
sostiene le potenzialità, si fonda su una visione storica e aperta alla speranza, ricerca potenzialità su cui
costruire progetti di trasformazione —> le ricerche e analisi che identificano i fattori di rischio e le cause di
patologia sono insoddisfacenti a fondare gli interventi socioeducativi.

L’interesse per l’origini della salute.


L’approccio salutogenesi permette una radicale trasformazione di prospettiva, indica l’interesse per gli
elementi che originano e su cui si fonda la salute; questo approccio emerge in contrapposizione con il
modello patogeni dominante.
L’approccio salutogenico propone una rappresentazione dinamica dell’essere umano che, nel corso della
vita, si sposta su un continuum salute-malattia, potendo contare su una variabile dotazione di risorse per
riavvicinarsi al polo della salute, esso sembra avviato a guadagnare progressivamente maggiori consensi.

Antonovsky si è focalizzato sulla genesi della salute, gli esiti identificano due concetti fondamentali:
Il concetto di Risorse Generali di Resistenza: proprietà delle persone, di gruppi o dell’ambiente, che
consentono di fronteggiare positivamente agenti o situazioni stressanti.
Il concetto di Senso di Coerenza si basa su:
 Possibilità di comprensione: il soggetto conosce e comprende il mondo in cui vive, gli avvenimenti e
le persone chen incontra
 Possibilità di gestione: il soggetto ha fiducia nelle sue capacità di far fronte alle difficoltà
 Possibilità di attribuire significato: la capacità di dare un significato agli eventi critici
Ability to cope: fiducia in se stessi in termini di comprensione, gestione e attribuzione di senso —>
elemento di genesi della salute, è una abilità o competenza dinamica e situazionale.
Importante per la riflessione sulla resilienza (Milani e Ius) l’orientamento salutogenico —> prospettiva
trasformativa che orienta l’attenzione verso processi che favoriscono le possibilità di evoluzione positiva.
Lavorare alla ricerca della salute significa pensare e offrire storie = proporre e occasionare nuove
punteggiature e versioni della realtà che vanno ad arricchire, integrare, rimodellare le versioni iniziali,
statiche, chiuse su se stesse.

In bilico tra cammini poco battuti e sentieri consolidati:


Per certi versi questi approcci svelano possibilità inedite e accompagnano profonde trasformazioni nelle
professioni socioeducative. Per altri versi, non rappresentano novità discorsive assolute, ma hanno fornito
cornici teoriche di riferimento a sostegno di interventi già consolidati nelle pratiche.
—> sostegno al cambiamento, invito a promuoverlo concretamente, rendono motivata e praticabile una
concezione ottimista delle possibilità di cambiamento e ricostruzione identitaria della persona umana.

La resilienza come approccio antideterministico


Resilienza —> dal verbo latino “salio”= saltare, battere, ribattere. Concetto introdotto nell’ambito della fisica
nel XVII secolo. È la capacità di un individuo di sapersi adattare in maniera positiva alle avversità,
nonostante le condizioni sfavorevoli, è il processo con cui alcuni individui in situazioni di difficoltà resistono
a un evento negativo e mantengono il proprio senso di padronanza, attivando strategie di coping.

Alla ricerca di una definizione:


Elena Malaguti: resilienza come scommessa sulla vita.
Daniel: resilienza come normale sviluppo in condizioni difficili; oppure in termini di tratto personale oppure
come processo dinamico che consente di adattarsi positivamente in risposta a un evento avverso.
—> definizione che integra i tre aspetti: resilienza come processo, capacità o esito di un adattamento
riuscito, malgrado circostanze critiche o minacciose.

Contributo più significativo di Froma Walsh: capacità di riprendersi e di uscire più forti e pieni di nuove
risorse dalle avversità, processo attivo di resistenza, di autoriparazione e di crescita in risposta alle crisi e
alle difficoltà della vita. La resilienza fa si che le persone risanino le loro ferite dolorose, assumano il
controllo della propria esistenza e riprendano a vivere e ad amare pienamente.
—> si coglie il valore antideterministico che riconosce alle persone un potenziale positivo di evoluzione e
recupero, in modo da riprendere nelle proprie mani la costruzione del proprio futuro.

Rischio: far coincidere resilienza e invulnerabilità (vulnerabilità=debolezza) e di pensare alla resilienza


come una caratteristica innata. Invece la vulnerabilità è la condizione che accomuna tutti gli esseri umani e
l’invulnerabilità è illusoria.
Si diviene resilienti GRAZIE a quella ferita/disgrazie —> le avversità forgiano la resilienza che va posta in
una cornice ecologica e multifattoriale. Capacità di una persona di svilupparsi bene, continuare a
progettarsi e proiettarsi nell’avvenire.

I fattori che proteggono i bambini:


I primi studi cercano di comprendere quali processi si attivano nei bambini per far fronte e reagire
positivamente agli eventi stressanti.
Studio longitudinale di Emma Warner sul processo evolutivo di un gruppo di 698 bambini con evidenti
fattori di rischio (isola di Kauai) —> 1/3 di essi era riuscito a crescere in modo adeguato.
Caratteristiche ricorrenti nei bambini che hanno evidenziato percorsi resilienti: ottimismo, autostima,
autonomia, capacità di impegnarsi, convinzione di poter incidere sull’andamento degli eventi, visione dei
cambiamenti come opportunità, capacità di stabilire rapporti positivi con gli altri e di prendersi cura dei più
deboli.
La resilienza è frutto di un incessante interazione tra componenti biologiche e culturali. Rutter evidenzia
come la resilienza sia un concetto relativo, connesso a fattori relazionali, contestuali e situazionali.
Germezy ha proposto una classificazione tripartita dei fattori protettivi, suddividendoli in individuali, familiari e
ambientali.

Un modello ecologico dello sviluppo:


La teoria dei sistemi consente di ampliare lo sguardo, collocano la storia della persona in una cornice
complessa che dia conto delle connessioni e delle interazioni con i contesti familiari e sociali di
appartenenza sia in termini spaziali ecologici sia in termini temporali ed evolutivi.
La prospettiva ecologica offre una rappresentazione multidimensionale dell’ambiente vitale della persona.

Concezione dell’ambiente di Bronfenbrenner —> ambiente ecologico= sistema di strutture concentriche.


La teoria ecologica dello sviluppo introduce la dimensione dello spazio temporale relativamente sia alla
persona sia all’ambiente, sia alle loro relazioni. Il tempo appare come una proprietà dell’ambiente
circostante.
La stessa resilienza è anche influenzata dallo scorrere del tempo. Le persone si evolvono e le loro
traiettoria biografiche sono caratterizzate da flessibilità e complessità, dai processi soggettivi in crescita, dai
cambiamenti, dalle trasformazioni storiche, culturali e sociali che interessano l’epoca in cui vivono.
“Socio-educati” mette in rilievo la fase dello sviluppo che il bambino sta vivendo.
Il modello di Bronfenbrenner consente di comprendere la complessità della vita del bambino. L’interazione
dinamica tra soggetto e contesto è rappresentata dal processo, il tempo definisce le dimensioni
cronologiche allo sviluppo del soggetto e della storia familiare e sociale.
Si tratta di considerare il bambino in una prospettiva olistica e sistemica. Il modello di Bronferbrenner
rappresenta l’opportunità di valutare quali possono essere gli ambiti in cui può aver senso mettere in atto gli
interventi socioeducativi di accompagnamento e sostegno.

I tutori di resilienza:
La teoria dell’attaccamento ha rappresentato un punto di riferimento per lo sviluppo del concetto di
resilienza. Negli ultimi si registra un ampliamento dell’attenzione della ricerca sull’attaccamento, o meglio
parliamo di attaccamenti multipli: sistema di relazioni tra il bambino e gli adulti significativi nel suo ambiente
e storia. Il bambino ha altre opportunità di attaccamento di cruciale importanza con altre figure adulte —>
tutor di resilienza= adulti, educatori, insegnanti, genitori affidatari che divengono “sofiattori d’anima”
riuscendo a ripristinare delle condizioni che consento a questi bambini di vivere una vita buona.
Caratteristica principale dei turo di resilienza: aver elaborato e saper utilizzare una grammatica
della relazione ovvero —> Accogliere, dedicare tempo, riconoscere e conoscere
Offrire una presenza stabile e duratura nel tempo
Valorizzare, stimolare le capacità e le curiosità
Permettere le domande
Ascoltare con empatia, dialogare, permettere il racconto
Rendere possibile ri-costruire la storia
Costruisce e propone un ansi
Raccontare storie
Sostenere il tutoraggio fra bambini
Agire nei contesti informali e formali di vita dl bambini
Affiancare
Coinvolgere il più possibile gli altri

Costruire resilienza nel contesto dei servizi socioeducativi:


Sono emersi programmi di accompagnamento socioeducativo basati sull’individuazione e il rafforzamento
dei punti di forza a livello individuale, familiare e comunitario.
Scopo: costruire un approccio centrato sulla resilienza che mira a rinforzare i fattori protettivi su cui si
fondano tali processi, modo da dotare bambini, adolescenti, genitori di risorse da giocare nelle situazioni
che li rendono più vulnerabili.
La resilienza appartiene alla maggioranza delle persone, originata da processi ordinari, capaci di generare
esiti inattesi e fuori dal comune —> resilienza come magia ordinaria= miracolo della quotidianità, come
bellezza della capacità umana.
L’attenzione viene centrata su una descrizione specifica e approssimativa della situazione. È utili effettuare
un’analisi correlata dei fattori di rischio e dei fattori protettivi che identificano nella situazione di vita di un
bambino. Un fattore protettivo è un elemento situazionale che riduce o elimina l’influenza di uno specifico
rischio che incombe su un bambino ed è comprensibile in presenza di quel rischio; è necessario
coinvolgere attivamente in questo processo il bambino e la sua famiglia, al fine di considerare il rischio in
termini oggettivi e soggettivi.

Lavoro sui giovani fuori famiglia che intraprendono la strada dell’autonomia, vi sono una serie di fattori
protettivi:
Stabilità e sicurezza percepite: possibilità di mettere radici —> Sicurezza come stabilità garantita nella
quotidianità e di vivere relazioni durevoli e significative con almeno una delle figure genitoriali o con
qualche altro parente
Continuità e supporto sociale nella fase successiva alla conclusione del percorso di accompagnamento in
affido o in
comunità.
Sperimentazione di un attaccamento sicuro ad un caregiver della realtà di
accoglienza Formazione di un’identità definita —> produce autostima
Capacità di convivere con la propria storia personale: dare un significato al proprio
passato Acquisizione di efficacia personale
Ricerca e sostegno dei talenti
Supporto nelle scelte
Costruzione di una rete sociale di sostegno
La resilienza nei percorsi di autonomia affonda le radici nei buoni accompagnamenti sviluppati nelle realtà
di accoglienza precedenti (a misura di ragazzo). Obiettivo: rendere più resilienti bambini e ragazzi
adottando un approccio basato sulla promozione delle capacità dei minori stessi di riconoscere i propri punti
di forza e le proprie qualità positive e di migliorarli il più possibile.

La resilienza organizzativa nei servizi socioeducativi:


Resilienza organizzativa= capacità di una collettività di resistere a eventi critici he sfidano il proprio
ambiente fisico e tessuto sociale, oppure un processo che mette in relazione una rete di capacità adattive
con l’adattamento in seguito a un evento collettivo perturbante. Principali caratteristiche delle
organizzazioni resilienti:
Tendenza alla resistenza: capacità di assorbire l’impatto
Tendenza al recupero: velocità e abilità di recuperare
Tendenza alla creatività: potenzialità dei sistemi sociali di migliorare il proprio funzionamento psicologico
Robustezza: proprietà dell’elemento di resistere allo stress
Ridondanza: capacità di un elemento di essere sostituito con un altro
Rapidità: velocità nell’accedere e utilizzare le risorse.

Modello proposto da Sarig, che lavorò in alcune comunità di sfollati in Israele, è costituito da alcune
componenti:
Senso di appartenenza all’organizzazione
Possibilità di esercitare il controllo sulle situazioni, attraverso l’esistenza di organizzazioni formali
e informali Guardare alla criticità come possibile sfida
Guadagnare una prospettiva ottimistica
Sviluppare abilità e tecniche
Coltivare valori e credenze
Valorizzare il sostegno sociale

L’approccio basato sui punti di forza


È emerso negli anni 70 e sviluppa forti connessioni con i principi e le logiche di azione dell’empowerment e
della resilienza.

Lo spostamento del focus dai problemi delle persone alle loro risorse:
Sguardo positivo, gli utenti sono visti come portatori di talenti unici, di risorse, di competenze, di esperienze
di vita e di bisogni insoddisfatti.
L’incapacità delle persone ad affrontare i problemi è la prospettiva che spesso gli operatori sociali hanno sui
propri utenti.
Tuttora nella letteratura internazionale riferita alle pratiche di lavoro socioeducativo vi è una indifferenza per
la valorizzazione dei punti di forza.
Saleeby sottolinea la disfunzionalità di una condotta professionale che, proponendo uno sguardo orientato
alla ricerca di ciò che non funziona, sottolinea le inadeguatezze dell’utente e i dubbi relativi alle capacità di
affrontare con successo eventi critici —> gli atteggiamenti difensivi degli utenti sono reazioni autoprotettive
al minaccioso approccio dell’operatore.
I quattro assunti di base dell’approccio fondato sui punti di forza:
 Ogni persona possiede punti di forza che può utilizzare per migliorare la propria situazione. Gli
operatori devono rispettare questi punti e le direzioni in cui gli utenti vogliono spenderli
 La motivazione degli utenti è sostenuta da una significativa enfasi sulla valorizzazione
dei loro punti di forza
 Scoprire i punti di forza richiede un processo esplorativo basato sulla cooperazione tra
operatore e utente
 Porre l’attenzione sui punti di forza concento all’operatore di non cadere nella tentazione di
colpevolizzare gli utenti. Caratteristiche dello strenght-based approach: orientamento all’obiettivo,
valutazione dei punti di forza, considerare le risorse dell’ambiente, utilizzo di specifici strumenti per
identificare i punti di forza, promozione di scelte significative.

Che cosa si intende per punto di forza?:


Non è possibile definire a priori cosa sia un punto di forza, è un concetto situazionale e culturalmente
sensibile che prende forme diverse in base al contesto, si tratta di qualunque elemento che nella situazione
personale consente di sopravvivere. In letteratura vengono identificate diverse categorie di punti di forza:
 Le capacità di valutare una situazione critica
 I meccanismi di difesa e di coping
 I fattori di carattere e di personalità
 Le capacità relazionali
 I fattori esterni
Valutazione dei punti di forza= misurazione di quelle capacità emotive e comportamentali, quelle
competenze e caratteristiche che creano un senso di realizzazione personale: contribuiscono a soddisfare
le relazione con i familiari, i pari e gli adulti; migliorano le proprie capacità e promuovono lo sviluppo
personale e sociale. Mira a produrre una visione dell’altro olistica, multidimensionale ed ecologica.

La pratica di un colloquio orientato alla ricerca di soluzioni:


È un processo co-costruttivo che consente di identificare obiettivi piccoli, specifici, ben definiti, cioè di
portata limitata, effettivamente raggiungibili: la loro realizzazione diviene un elemento che dimostra la
possibilità di farcela. “Miracle question”: domanda classica per innescare il processo di individuazione
della soluzioni —> viene chiesto all’utente di immaginare un miracolo che ha risolto il problema che sente
più critico nella propria vita e di spiegare com’è potuto accadere. Un altro interrogativo propone all’utente
di individuare eccezioni= situazioni in cui il problema dovrebbe manifestarsi ma non accade —> è
possibile rendere evidente che il problema non ha natura fissa, immodificabile.

L’approccio basato sulla ricerca e la valorizzazione della bellezza


Bateson propende una visione che sappia integrare orientamento pragmatico ed estetico, parti irrinunciabili
dell’umano. L’indicazione batesoniana ha sempre proposto una visione centrata sulla ricerca della bellezza
e sulla comprensione dell’ecologia dei problemi, invitando a cercare ogni segno di luce negli altri e aiutarli e
rinforzarli.

L’intreccio tra educazione, etica ed estetica:


Paulo Frire individua una relazione stretta tra educazione, etica ed estetica, ritenendo che l’obiettivo
pedagogico passi per un impegno volto a rendere visibile la bellezza che è nelle persone e ad avvicinare le
persone alla fruizione della bellezza nelle diverse e varie forme che essa assume nel mondo. Istanza etica
ed estetica vanno di pari passo.
La qualità della vita e la giustizia sociale possono costituire obiettivi del lavoro socioeducativo nella misura
in cui questo ricerchi attivamente e congiuntamente il bello (estetica), il buono (etica) e il vero (scienza).
Due direttrici estetiche del lavoro socioeducativo:
Capacità del professionista di ricercare nei soggetti che accompagna le bellezze specifiche, le bellezze
delle persone che li circondano e del contesto in cui vivono
Utilizzo dell’educazione a bello, come strumento per ampliare il campo di esperienza dell’altro e per
trasformare la visione del meno

Lavorare nella convinzione che nei bambini e nelle famiglie la bellezza esiste sempre:
1)Gli operatori sociali hanno il compito di cogliere la bellezza e la forza dei bambini che accompagnano e di
provare a mostrarla anche a loro, perchè possano prenderne coscienza e da essa trarre forza, fiducia e
autostima. La bellezza può essere considerata a pieno titolo come criterio esplicativo della vita e la
progettazione dell’intervento deve tenere in considerazione la dimensione estetica.
Si tratta di forgiare dentro di sé una “postura mentale, una scelta dello sguardo, una sorta di epistemologia
o meglio di estetica del lavoro di cura con le famiglie e con le oro storie”. È l’azione di ricerca in sé ad
essere estetica, bellezza come accadimento auto-riflessivo, che è in relazione a noi e ci parla anche di noi.
Problema rilevante del pensiero occidentale: scissione mente e corpo.

Progettare esperienze volutamente centrate sul “bello”:


2)Proposta pedagogica di Piero Bertolini che ha sviluppato pensando ai ragazzi difficili, volta alla
costruzione dell’ottimismo esistenziale, della gioia di vivere e del gusto per la vita attraverso l’educazione al
bello. Si tratta di progettare e attuare esperienze centrate sul bello in modo che il soggetto possa sviluppare
un vero e proprio senso estetico. Sul piano strumentale si stratta di pratiche di restituzione, finalizzate a
colmare ogni carenza affettiva, materiale, formativa; da una relazione costante con adulti rassicuranti e
dalla valorizzazione dei successi personali e gratificazioni finalizzate a sostenere gli interessi personali.
Diviene possibile aprire un canale comunicativo tra ragazzi accumunati da una sorta di sordità al bello.
—> ampliare l’orizzonte qualitativo degli incontri con il mondo —> si tratta di aperture che rendono possibili i
cambiamenti.
Educazione che valorizza curiosità, apertura, capacità di sognare.

Un’educazione che guarda alla speranza


Aspetto trasversale condiviso: ri-fondare ragioni di una prospettiva di speranza possibile anche per quei
bambini, ragazzi e famiglie che sono stati colpiti da eventi traumatici. La speranza fa parte della natura
umana —> necessità di impegnarsi e lottare.
Erikson: speranza come forza intrinseca, qualità attiva, virtù più importante, base ontogenetica della fede
ed è nutrita dalla fede degli adulti. La sopravvivenza della speranza è condizione necessaria per impegnarsi
nel cammino della vita. È necessario una prospettiva capace di ricercare varchi di potenzialità nel presente;
dare significato agli eventi; mobilitare risorse positive; coltivare la fiducia e assumere sguardi di speranza.
Cosi può divenire possibile l’investimento, il tenore educativo e la qualità del prendersi cura. Lizzola:
possibilità di superare la crisi dipende da una transizione verso la speranza, che chiede d’essere capaci di
affrontare i nostri sentimenti, di fidarci di noi e degli altri, di assumere il senso di impotenza per superarlo e
trasformarlo i energia dinamica.

Capitolo sesto: partecipazione e prospettiva dei bambini


Negli ultimi anni sta crescendo l’importanza del coinvolgimento e la partecipazione dei bambini e dei
ragazzi nei processi decisionali che li riguardano e la possibilità che la loro prospettiva possa essere
espressa e ascoltata è un’evidenza, fortemente connessa a due punti di riferimento decisivi: la convenzione
sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e la sociologia dell’infanzia

inglese. Questo permette di renderli partecipi delle scelte progettuali e di intervento che li riguardano, sia
per rispettarne i diritti, sia per guadagnare efficacia.

1. Cittadinanza e partecipazione dei bambini


La cittadinanza democratica centrata sul primato dell’individuo quale soggetto portatore di diritti
rappresenta l’orizzonte fondamentale entro cui collocare la questione della partecipazione dei bambini,
delle bambine e delle adolescenti.

Che tipo di cittadino può essere un bambino?:


Nesso tra infanzia e cittadinanza. Ci si interroga sui caratteri di un concetto di cittadinanza a misura di
bambino —> l’essere cittadino di un bambino si differenzia da quello di un adulto.
Se la cittadinanza viene intesa come insieme di diritti, questa condizione paretica non esiste (i bambini non
votano ..)
Se viene intesa come insieme di responsabilità risulta in contrasto con un’assunzione piena di obblighi nei
confronti della compagine sociale
Se viene intesa come forma di una identità annessa al patrimonio socioculturale, tale discorso diviene
inaccessibile per i
bambini
Anche la cittadinanza come partecipazione non fa riferimento a una piena cittadinanza, poiché le possibilità
di partecipazione dei bambini sono limitate e spesso definite all’interno di contesti organizzati ad hoc.

Verso una rappresentazione negoziale e interdipendente della cittadinanza:


Appare necessario concettualizzare una cittadinanza a misura di bambino che è frutto di una continua
dinamica interdipendente tra adulti e bambini.

Il quadro concettuale introdotto da Gagnon e Pagè, consente di rappresentare in modo dinamico e


multidimensionale i quattro macro-concetti che identificano la cittadinanza.
Asse verticale (asse dell’identità): 2 poli opposti “identità nazionale” e “appartenenze sociali”. Questo asse
definisce l’identità nazionale.
Asse orizzontale (asse dell’uguaglianza): 2 poli opposti “regime effettivo dei diritti” e “partecipazione politica
e civile”.

La partecipazione come diritto:


Il tema della partecipazione dei bambini si gioca sull’asse dell’uguaglianza. L’articolo 12 della Convenzione
costituisce il fondamento della prospettiva partecipativa promossa dalla CRC stessa. Anche in altri articoli
della CRC si fa riferimento alla partecipazione in modo esplicito o implicito.
Diritto alla partecipazione: uno dei cardini su cui si regge la CRC, assume il significato della visibilità e del
riconoscimento del valore delle esperienze, dell’ascolto e della “presa sul serio” delle opinioni e degli
interessi dei bambini. —> questo si connetta in modo stretto al rights-based approach.
La CRC si propone di sottrarre i bambini all’invisibilità in tutti i processi che li riguardano, essa mira a
innescare una trasformazione culturale. Anche la partecipazione delle famiglie e delle comunità vengono
intesi e previsti dalla CRC come ambiti di primaria importanza nella tutela dei diritti del bambino.

Educare attraverso la cittadinanza e per la cittadinanza:


Anche la dimensione identitaria del quadro concettuale generale manifesta la sua rilevanza. La
partecipazione (politica e civile) rappresenta la concretizzazione della responsabilità di impegnarsi nel dare
il proprio contributo alla compagine sociale di cui si fa parte. Partecipare richiede competenze e capacità,
che devono essere formate —> secondo Santerini è necessario elaborare una educazione attraverso la
cittadinanza e per la cittadinanza = promuovere l’apprendimento e le abilità necessarie per partecipare alla
vita della scuola e della comunità locale per assumersi costruttivamente le responsabilità.

Quale partecipazione civica nel sociale?:


Bambini e ragazzi vengono investiti da un atteggiamento di disinteresse e di sfiducia nei confronti della vita
politica, poiché essi osservano gli adulti —> generazione postpartitica ma non impolitica.
Questa è una ragione rilevante per investire in programmi e azioni di educazione alla cittadinanza,
finalizzati a rilanciare la partecipazione sociale. Nella “Carta europea della partecipazione dei giovani alla
vita comunale e regionale” del 1990 si raccomanda agli enti locali di promuovere politiche giovanili che
privilegiano come destinatari i giovani in dimensione associativa.

Il modo nuovo di pensare il bambino della sociologia dell’infanzia


L’adozione della CRC ha influenzato anche la metodologia della ricerca nel campo degli studi sull’infanzia e
dei servizi e essa dedicati. Passaggio da una ricerca “sui” bambini a una ricerca CON i bambini, che
prelude a PER.

La storia ventennale della sociologia dell’infanzia:


La sociologia dell’infanzia è ancora considerata come una nuova tendenza di ricerca, è nata in Gran
Bretagna e nei paesi del nord Europa, si tratta di una modalità di ripensare l’infanzia che sovverte il
paradigma della ricerca sui bambini, essa sceglie l’etnografia come proprio metodo privilegiato di ricerca.
Un apporto decisivo allo sviluppo della sociologia è stato il progetto di ricerca comparativa diretto da
Qvortrup “Childhood as a social phenomenon”. Emerge una rappresentazione del bambino come cittadino
titolare di diritti, attore sociale con una propria visione del mondo e soggetto dotato di una capacità di agire.
La sociologia dell’infanzia segna il passaggio da un prospettiva centrata sul bambino alla prospettiva dei
bambini= visione del mondo dei bambini come gruppo sociale, capace di modificare il proprio ambiente di
vita.

Comprendere il mondo a partire dal punto di vista dei bambini:


Anche il ricercatore deve verificare le proprie interpretazioni nel dialogo con i bambini. La prospettiva di
ricerca parte dalla prospettiva dei bambini stessi. Per poter comprendere il mondo dei bambini è necessario
porsi in ascolto ed entrare in dialogo dentro una relazione, assumere i loro pensieri come guida per le
azioni culturali da intraprendere a loro favore. Progetto RAMPS, l’acronimo è composto dalle iniziali dei
principi base dell’approccio:
Recognising children’s many languages: riconoscere i diversi linguaggi dei bambini
Allocating communication spaces: istituire uno spazio (fisico e temporale) dove possano avvenire gli scambi
comunicativi
Making time: fare ricerca con i bambini richiede tempo
Provinding choice: è necessario offrire ai bambini opportunità di partecipazione molteplici e diversificate
Subscribing to a reflective practice: assumere l’impegno di una pratica riflessiva

Favorire la visibilità sociale dell’agency dei bambini nelle esperienze di vita e nei processi di socializzazione
La sociologia dell’infanzia ha consentito l’emersione della visibilità sociale dell’agency dei bambini nelle
esperienze della vita quotidiana e nei processi di socializzazione, soprattutto nella situazioni caratterizzate
da normalità.
Il concetto di agency dei bambini rappresenta il riconoscimento del ruolo intenzionale e attivo che essi
svolgono nella costruzione dei contesti sociali della loro quotidianità. La loro agentività è la capacità di agire
in modo intenzionale, ciò significa anche riconoscere che essi sanno elaborare un pensiero e una visione
del mondo, sanno esprimere preferenze e sanno anche scegliere.
Emergono importate spunti per sviluppare sul piano operativo una pedagogia dell’ascolto e dell’attenzione
alla prospettiva dei bambini e per rinforzare ulteriormente quegli approcci del lavoro sociale ed educativo
che optano per il coinvolgimento e la partecipazione.

Quale partecipazione per i bambini e i ragazzi?


Le spinte a favore del coinvolgimento e della partecipazione dei bambini hanno iniziato a manifestarsi nel
corso degli anni settanta e da li hanno cominciato ad affermarsi.
Le ragioni per mettere al centro del dibattito scientifico la promozione della partecipazione tra i giovani:
Crescente attenzione in ambito scientifico in merito al coinvolgimento di bambini e adolescenti nei processi
che li riguardano.
Trasformare il bambino in cittadino consapevole.
La promozione della partecipazione è al centro del dibattito per tre ragioni:
urgente forme cittadini consapevoli e partecipi per il futuro della società
necessario adempiere alla CRC e alle raccomandazioni e convenzioni europee
improrogabile la trasformazione della realtà attuale per renderla più adeguata alle esigenze di bambini,
adolescenti e
famiglie
Difendere i diritti dei bambini, adempiere a responsabilità legali legali, migliorare i servizi, migliorare i
processi decisionali, valorizzare i processi democratici, promuovere la protezione dei bambini, accrescere
le competenze dei bambini, rafforzare e aumentare l’autostima, ricadute positivi dei processi partecipativi
efficaci.
Valorizzare la personalità di ciascun bambino
Collocare al centro del processo di crescita il bambino come soggetto protagonista
Rendere bambini e adolescenti consapevoli dei propri diritti e delle responsabilità che questi comportano
Riconoscere e rispettare il diverso punto di vista del bambino da quello dei suoi interlocutori, favorendo la
socializzazione e la capacità di modifiche le proprie idee
Prendere decisioni condivise
Stimolare il coinvolgimento personale e attivo del bambino
Appare urgente innovare le pratiche di gestione degli interventi socioeducativi.

Partecipare è molto più che il semplice prendere parte:


Si può parlare di partecipazione quando si realizza un processo di condivisione di decisioni che riguardano
la propria vita e la vita della comunità in cui si vive oppure possibilità di rendere concreti i diritti di parola, di
essere informati, di cittadinanza attraverso il protagonismo diretto e l’assunzione di responsabilità.
La partecipazione dei bambini può concentrarsi su decisioni e azioni che riguardano: la sfera privata o
pubblica; loro stessi come individui o come collettività; un singolo evento; attività sostenute da una funzione
di advocacy, oppure attività di decisione condivisa; differenti forme partecipative quali il coinvolgimento in
discussioni pubbliche di adulti, consulte giovani o consigli direttivi.
Un’educazione alla cittadinanza ispirata alla stretta correlazione tra contesti educativi e democrazia:
È utile riferirsi a una idea di educazione alla cittadinanza ispirata alla stretta correlazione tra contesti
educativi e democrazia. Si tratta di costruire condizioni che consentano di sperimentare contesti di
partecipazione democratica, di confronto con il mondo degli adulti, di concreta assunzione di
responsabilità.
Momenti formativi importanti per imparare regole e logiche del vivere sociale nella quotidianità dei servizi:
strutturazione di buon clima di convivenza nel servizio; l’essere coinvolti in discussioni di argomento etico e
politico con gli operatori; la sperimentazione guidata di attività di partecipazione e di assunzione e tesone di
decisioni.
Il modello di partecipazione attiva e responsabilizzante chiede ai bambini e ragazzi di osservare, valutare e
criticare la situazione esistente, elaborare alternative realizzabili, proporre e progettare il cambiamento,
agire direttamente sui cambiamenti possibili. Alcuni autori segnalano che è ancora ricorrente l’esperienza di
disempowerment di bambini e ragazzi da attribuire all’ambiguità connessa alla compresenza di due opposte
e contraddittore rappresentazioni dei bambini nelle istituzioni:
Il bambino come essere umano (child being)
Come essere umano in divenire (child becoming) —> implica la considerazione che il bambino non possa
avere competenze adulte

Gli otto gradini della partecipazione dei bambini:


Rappresentazione della scala della partecipazione dei giovani, introdotta da Hart, che propone otto gradini:
Partecipazione come manipolazione: utilizzare i bambini per supportare i punti di vista degli adulti
Partecipazione come decorazione: utilizzare i bambini per sostenere una causa
Partecipazione simbolica: fare affermazioni o gesti puramente simbolici —> si delinea una
rappresentazione in cui i bambini sembrano avere voce, ma nei fatti poca influenza
Partecipazione come eteroassegnazione informata di ruolo: i bambini assumono un ruolo sensato
Partecipazione come consultazione informata: i ragazzi assumono una funzione consultiva
Partecipazione come iniziativa degli adulti, dove le decisioni sono condivise con i bambini
Partecipazione come iniziativa dei ragazzi: attività promosse e dirette dai ragazzi
Partecipazione come iniziativa dei ragazzi, dove le decisioni sono condivise con
gli adulti

Sviluppare e gestire la partecipazione:


Modalità di partecipazione enucleate d Maurizio:
Partecipazione come rivendicazione: per reclamare il rispetto di un proprio diritto o per impedire che esso
venga minacciato o negato
Partecipazione come consultazione: al fine di esprimere un parere consultivo
Partecipazione come gestione diretta: sperimentazione concreta e pratica della responsabilità
Partecipazione come corresponsabilità: costituzione di contesti misti in cui bambini e ragazzi collaborano
Partecipazione come critica e controllo: funzione di monitoraggio e valutazione sulle qualità di iniziative
Partecipazione come espressione di un orientamento politico
L’adulto deve costruire e garantire contesti in cui i ragazzi siano partecipi fin dalla fase preparatoria,
consapevoli delle finalità di ciò che si sta facendo e in possesso di informazioni adeguate a esprimere
opinioni in merito, è opportuno svolgere periodicamente una valutazione del percorso per mantenere alta la
motivazione. Bisogna inoltre tenere conto delle diversità dei ragazzi in riferimento a genere, maturità,
competenza e bisogna offrire opportunità di esprimersi attraverso linguaggi e codici plurali. L’operatore
adulto deve progressivamente promuovere autonomia ai ragazzi.

Il nesso tra la partecipazione come potenziamento della protezione e i movimenti per i diritti degli
utenti
Due processi che hanno investito il sistema dei servizi di welfare nei paesi anglosassoni nella sua
generalità e che stanno espandendo la propria influenza in tutti i paesi occidentali:
“Nuovo consumerismo”, anni 80, sostenuto dalle politiche dei governi conservatori
anglosassoni Movimenti per i diritti umani, anni 60/70

La trasformazione da utente a consumatore


1)Diffusione di movimenti di consumatori che mirano a sostenere l’idea di accesso ai servizi sociali basato
su diritti e un radicale cambiamento di ruolo degli utenti dei servizi stessi —> idea anni 80/90 sulla spinta
delle politiche neoliberiste del governo britannico che hanno sancito l’introduzione della nozione di scelta e
l’apertura al marcato dei servizi socioeducativi a soggetti privati. L’utente di servizio viene rappresentato
come cliente e consumatore, che, a fronte della necessità di ricevere una prestazione, deve poter sceglie
tra diversi soggetti che erogano il servizio.
Da un lato questo cambiamento introduce un freno al potere degli operatori sociali, dall’altro questa
prospettiva non sembra estendibile in modo acritico a ogni situazione di utenza dei servizi sociali.

Rimane valida l’acquisizione da parte degli utenti dei servizi sociali e socioeducativi di alcuni diritti propri del
consumatore, quali l’accesso alle informazioni raccolte nelle proprie schede personali, la possibilità di
sporgere reclami sulla qualità di servizio, la partecipazione nei processi decisionali che li riguardano,
l’essere coinvolti nei processi di assesment.

2)Movimento per i diritti dei bambini, nato negli anni Sessanta negli USA e in Gran Bretagna come
movimento di emancipazione di un gruppo sociale oppresso; è attivato per consentire una
rappresentazione del bambino come soggetto titolare di diritti civili e per realizzare la possibilità di
esercitarli autonomamente.
Necessità di una ricerca di equilibrio tra una posizione che enfatizza l’eccesso di diritti che sovrastima le
capacità di autodeterminazione dei bambini e una posizione che esaspera il bisogno di protezione. —> si
consolida l’idea di bambino come soggetto vulnerabile ma competente.

L’intervista con i bambini come strumento di indagine:


Talvolta accade che gli interventi socioeducativi producano effetti opposti rispetto agli obiettivi, arrecando
un grave danno a bambini e ragazzi che hanno già sperimentato elezioni negative con gli adulti e che non
riusciranno più a recuperare un rapporto di fiducia con il mondo adulto e un positivo senso di appartenenza.
L’investimento educativo orientato a dotare di competenze partecipative, comunicative ed espressive
bambini e adolescenti permette di aumentare la loro consapevolezza e di renderli capaci di reclamare i
propri diritti —> esempio più lampante in negativo è il caso di Vicrotia Adjo Climbiè, bimba di 8 anni, uccisa
dopo mesi di abusi, torture e percosse di ogni sorta, dalla prozia presso cui era stata inviata dai genitori per
avere una vita migliore. Per indagare della sua morte è stata aperta un’inchiesta ufficiale i cui esiti sono
stati fondamentali per introdurre importanti cambiamenti in materia di protezione dei bambini —> Children
Act del 2004 promulgato dal parlamento britannico. Avrebbe potuto difendersi da sola solo gli operatori
l’avessero posta in condizioni per ascoltare il suo punto di vista.

L’attivazione partecipativa degli utenti in Gran Bretagna:


Mike Stein ricostruire la storia del movimento per i diritti dei ragazzi fuori famiglia mettendola in
connessione con la qualità della cura che molti dei ragazzi hanno sperimentato che si è rivelata meno di
quello che doveva essere.
La storia dell’accoglienza residenziale è costellata di abusi e maltrattamenti messi in atto dagli operatori o
dai pari —> paradosso:
questi ragazzi sono stati salvati da genitori abusanti o trascuranti perchè qualcuno si prendesse cura di loro.

Una tendenza associazionistica che sta arrivando anche in italia:


Recentemente si sta registrando una inedita tendenza associazionistica nell’ambito degli utenti di servizi
residenziali, nell’aprile 2010 è nata tra Bologna e Ferrare l’associazione “Agevolando”, che vuole costituire
per quei ragazzi che hanno terminato il percorso in comunità residenziale e/o in affidamento familiare e si
affacciano alla vita autonoma con pochi o nessun sostegno, un’opportunità di supporto. Mira a creare una
rete di attori sociali, soggetti ed enti, interessati questo tema. L’approccio di agevolando si fonda sull’idea di
accompagnamento paritario nell’ottica di non lasciare nessuno da solo ad affrontare un passaggio tanto
delicato.
Gli interventi a favore di questi ragazzi nel nostro paese risultano particolarmente in crisi e pertanto
un’iniziativa come questa appare decisamente adeguata a questo momento storico.
—> vi è la nascita di nuove realtà associative che stanno attivando analoghe iniziative nei propri territori di
riferimento.

Capitolo settimo: l’irrinunciabile approccio interculturale


Le dimensioni culturali e gli scambi interculturali appaiono una cifra ineludibile nel mondo attuale e
costituiscono uno degli aspetti emergenti nella realtà.

1.Un mondo plurale e multiculturale


L’epoca in cui viviamo ha tra i propri caratteri distintivi il multiculturalismo, originato dalle migrazioni e dai
movimenti diasporici globali. Il pluralismo culturale è uno dei fenomeni connessi ai processi di
globalizzazione, che viene normalmente vissuto nella quotidianità esistenziale delle persone.
Appare quotidiano anche il confronto con gli effetti della planetarizzazione della diversità culturale
all’interno di contati educativi e sociali sempre più multiculturali e interculturali.

La realtà odierna delle migrazioni è differente da quella esistita fino a qualche decennio fa. L’esperienza
della migrazione viene vissuta come investimento temporaneo, orientato ad accumulare risorse e inviare
rimesse ai familiari rimasti nel paese d’origine —
> esperienza dello straniero. Lo stato nazionale esige lealtà dai suoi cittadini ma dall’altra lo straniero non
si sente obbligato in questo senso.
Multiculturalismo sul piano della convivenza sociale: rivendicare un riconoscimento politico ufficiale della
pluralità culturale e un trattamento pubblico equo di tutte le collettività culturali —> costruire pazzi pubblici
reali e concreti dove l’incontro, lo scambio, il confronto e l’integrazione si possano manifestare come
elementi dinamici di convivenza civile e di sviluppo territoriale.
L’integrazione o l’esclusione degli immigrati è direttamente correlata alle politiche pubbliche di accoglienza,
inserimento e cittadinanza (dimensione locale fondamentale).
L’alterità è il necessario completamento dell’identità. Ogni comunità implica clausura, un raccogliersi
assieme che è anche un escludere.
Concezione di confine da intendersi come spazio di incontro, in cui possano essere rappresentate le
diversità.
Sguardo storico: realtà caratterizzata dalla vitalità ed estrema infinita diversità delle creazioni umane.
Rapporto tra individualità e cultura: gli individui entrano in contatto tra loro, la cultura è un’astrazione. Gli
individui non esistono mai e in nessun luogo in modo totalmente autonomo. Non bisogna dimenticare il
contesto sociale e storico che influisce sulle personalità individuali.

2. L’intercultura come dimensione relazionale necessaria


Tra gli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, prima negli Stati Uniti e poi nel Quebec e in Europa,
appare il termine “interculturale” che sottolinea l’interazione tra due portatori di cultura.

L’intercultura tra relativismo e universalismo:


Intercultura come sguardo nuovo che tratta la diversità, sfuggendo alla tentazione di eliminarla, trasformarla
o reificarla, difendendola e rispettandola. La dinamica tra identità e diversità implica una sintesi: unità
dell’identità e della differenza. La visione interculturale sceglie la tensione all’universalità, ricercando criteri
di giudizio di valutazione trans-culturali attraverso il dialogo tra diverse interpretazioni dei valori e
l’assunzione di una interpretazione condivisa dei diritti umani universali.
L’intercultura nasce all’interno del sapere pedagogico, con riferimento alle innovative situazioni educative e
didattiche che si creano nei Paesi occidentali all’interno della scuola. L’intercultura si fonda su un’accezione
del concetto di cultura dell’antropologia moderna —> rimanda ai sistemi di significati che uomini donne
producono nella storia, fatti di rappresentazioni, codici, norme, linguaggi, valori miti, credenze.

Interpellare la diversità per superare il dilemma tra universalismo e relativismo:


Le culture sono: plurali, sociali, non innate, trasmesse attraverso inculturzione ed educazione, dinamiche e
permeabili, storiche, reinterpretabili, influenzate da scambi e incontri.
Le esperienze di tutti i popoli e di tutte le società umane in ogni tempo sono state interconnesse in una rete
di influenze reciproche e le culture sono sempre state ibride —> il mondo dell’uomo si origina e si nutre di
incontri, di punti di vista diversi, di esperienze di scambio.

Il compito della pedagogia interculturale è quello di interpellare la diversità, superando il dilemma tra
universalismo e relativismo verso una nuova sintesi, si tratta di un approccio ermeneutico che permette una
comprensione in profondità dei significati attribuiti alla cultura, in una dimensione dinamico-dinamico-
escatologica tesa a realizzare l’incontro. Il compito vive il paradosso di tendere, da una parte, alla
conservazione dei significati culturali della persona e, dall’altra, al suo cambiamento.

L’obiettivo consiste nel riconoscere la dimensione culturale di ogni educazione introducendo il rapporto con
l’Altro nell’apprendimento —> sceglie la prospettiva personalista, tesa a valorizzare le persone nella loro
singolarità e globalità (specificità identitarie, cultura di appartenenza, cambiamenti e trasformazioni).
L’incontro avviene tra persone e deve preventivare un atteggiamento di dialogo e di apertura.

Propositi: impedire una fissazione rigida delle identità contrapposte, restituire densità e complessità
all’interpretazione degli eventi, collaborare alla costruzione della convivenza a livello globale e all’interno
della società.

Gli elementi che caratterizzano l’intercultura:


Tre elementi fondamentali:
Opzione dialettica: modalità specifica di confronto con le differenze, orientata al raggiungimento di un
equilibrio tra diversità, che possa garantire contemporaneamente il diritto alla differenza e la coesione
sociale. Le culture vengono assunte come sistemi da leggere nella loro complessità.
Sincronia: l’interesse dell’intercultura per le relazioni e gli incontri che avvengano tra perone diverse, qui ed
ora, faccia-a-faccia
Progettualità: specifica la dimensione intenzionale e progettuale, volta alla costruzione delle ragioni del
dialogo e della convivenza.
Valori e preoccupazioni di un’educazione interculturale (Ouellet): preservare la diversità culturale, adattare
le istituzioni alla diversità, ricercare un principio di appartenenza collettiva, realizzare condizioni sociali di
equità ed uguaglianza, sollecitare la partecipazione critica alla vita e alla deliberazione democratica,
preservare la diversità biologica.

Identità a “geometria variabile”:


Ogni soggetto è consapevole di possedere un’identità a geometria variabile= che muta sfumature e
caratteristiche i base al gruppo a cui fa riferimento in una data situazione relazionale. L’alterità e l’identità
rappresentano concetti relazionali, prospettici e relativi. L’alterità è ovunque, a livello individuale e sociale
—> la persona stessa è interculturale.
Consapevolezza della prospettiva: consapevolezza dell’esistenza di prospettive e punti di vista plurali, che
vanno rispettati, oltre a ciò andranno sviluppati strumenti di confronto, di dialogo e di accettazione della
differenza.

Verso una pedagogia globale radicata localmente:


L’attuale contesto di riferimento è costituito anche dalla dimensione globale. La strada da percorrere è
indirizzata verso la nascita di un’educazione interculturale aperta in prospettiva globale. Le persone vivono
radicate in una precisa località e contemporaneamente si confrontano con i molteplici pluriversi della
globalità.
—> Educazione in prospettiva globale radicata localmente, la quale prevede che si pongano al centro delle
prassi educative tre questioni:
Elaborare identità personali radicate nella memoria culturale, valorizzando le diverse eredità
culturali locali Costruire competenze dialogiche per rendere possibile il confronto tra punti di
vista differenti
Riconoscere che elementi dei sistemi di conoscenza globali sono venuti patrimonio di tutti i popoli e le
future e che è necessario insegnare a relazionarsi con le dinamiche socioculturali planetarie
Questo approccio valorizza istanze di livello differente, integrando “la centratura relazionale dell’intercultura”
e l’attenzione al “macro-livello globale”.

3.La famiglia come cultura


È possibile pensare la famiglia come una cultura che sviluppa al proprio interno un sistema di credenze,
schemi d’azione, routine, rituali e miti che la identificano come una società particolare e unica, distinguibile
da altre, tutto ciò va al di la della sua eticità e appartenenza. Una cultura familiare produce un proprio
sistema filosofico, una visione del mondo, un linguaggio, un sistema di valori e credenze e un sistema
concreto di pratiche e di tecniche —> patrimonio che si trasmette da generazione in generazione, ma
anche un insieme dinamico, che raccoglie influenze, cambia e si trasforma.
Le famiglie sono soggetti storici e tutte le famiglie nel corso della propria storia si confrontano con difficoltà,
problemi, crisi. Qualunque famiglia è da osservare e comprendere adottando uno sguardo etnografico e un
approccio interculturale —> occorre un punto di vista rigoroso, decentrato, aperto, storicamente e
culturalmente collocato, nella consapevolezza che non esiste un’unica idea di famiglia.

Famiglie migranti: la migrazione è un atto che richiede coraggio, è un esilio, un evento complesso,
ambiguo, profondamente umano, che coinvolge la persona nella sua interezza e tutta la sua famiglia. La
famiglia migrante è chiamata a confrontarsi con sfide molto impegnative. L’idea stessa di genitorialità e le
sue pratiche subiscono un forte travaglio e producono vulnerabilità: la scelta di generare un figlio nel Paese
d’immigrazione, il confronto tra le rappresentazioni di una buona genitorialità del Paese d’origine e del
Paese d’elezione rende i genitori insicuri e li fa sentire giudicati, l’andare incontro a una gravidanza senza il
sostegno della propria madre, il doppio compito della mamma che deve trasmettere un patrimonio di
conoscenza che padroneggia in parte e presentare al bambino un mondo esterno che lei stessa non
conosce e di cui ha timore.
Non è corretto chiudere l’alto nella sua cultura d’origine ma occorre tenere in considerazione la
multidimensionalità dell’esistenza degli esseri umani (anche fattori economici, sociali, politici, religiosi,
relazionali).

4. Bambini e ragazzi d’altrove, ma (spesso) qui da una vita


Rischi di vulnerabilità dei ragazzi di qui ma venuti altrove: la fragilità dei genitori, derivante dal trauma della
migrazione, priva i figli degli immigrati della funzione di mediazione con il mondo esterno di cui il bambino
ha bisogno, rischiano di restituirgliene un’immagine minacciosa.

Difficoltà e punti di forza della doppia appartenenza dei figli di famiglie immigrate:
I momenti in cui questa vulnerabilità diviene maggiormente esplosiva sono il periodo neonatale, l’ingresso
nel mondo della scuola e l’adolescenza. Concetto di iperselezione a cui sono sottoposti i figli degli
immigrati= serie di ostacoli aggiuntivi che essi devono affrontare sulla strada dell’integrazione sociale.

I ragazzi di seconda generazione: equilibristi culturali:


Granata concettualizza l’esperienza di doppia appartenenza dei figli di famiglie immigrate come palestra
privilegiata per lo sviluppo di competenze interculturali.
La competenza interculturale è capacità di gestire le differenze sia sul piano soggettivo sia sul piano
relazionale e sociale e può essere descritta come il modello dell’equilibrista interculturale —> due
dimensioni: la comprensione e la libertà e la dinamica che si instaura tra queste due dimensioni.
La dimensione della comprensione è animata dalla capacità di:
Traduzione: come saper trasferire da un universo linguistico a un altro significati
Confronto: come saper comparare il bagaglio culturale e valoriale ricevuto dalla famiglia d’origine con le
istanze della
società
Memoria: come saper interiorizzare valori e radici e coltivare il desiderio di trasmettere alle generazioni
future
Empatia: come saper essere in sintonia con i sentimenti provati da altri

La dimensione della libertà:


Divergenza: come saper guardare con occhio critico la propria esperienza e le visioni dei propri genitori,
comunità, società
Opinione: come sapersi fare un’idea su ciò che accade attorno a sé
Espressione: come saper narrare se stessi e le proprie appartenenze
Ironia: come saper proporre una visione altra degli eventi, capovolgendo con ironia gli stereotipi
Questo modello centra l’attenzione sulla valorizzazione delle origini e della doppia appartenenza,
evidenziando le competenze che i figli degli immigrati e i nuovi italiani di seconda generazione riescono a
sviluppare.

Gli ostacoli alla comprensione dell’altro


Nella relazione tra le perone di radici culturali diverse ci sono sempre due portatori di cultura: sé e l’altro. La
comprensione dell’altro passa sempre dalla scoperta della propria identità sociale, culturale e
professionale. Nelle interazioni tra persone e gruppi di culture diverse intervengono con frequenza ostacoli:
pregiudizi e stereotipi, etnocentrismo, modelli e tecniche professionali.

I pregiudizi e gli stereotipi:


Sono valutazioni a priori che rappresentano in modo generalizzato e semplicistico le immagini di un gruppo
sociale, di una minoranza, di un’etnia, che si attivano usualmente in modo non intenzionale ma possono
essere pericolose perchè possono diventare terreno di coltura per comportamenti discriminatori, di
xenofobia e razzismo.
La percezione della propria vulnerabilità è amplificata nell’altro proprio dal sentirsi oggetto di uno sguardo
carico di stereotipi e pregiudizi che impediscono la conoscenza della soggettività e l’incontro autentico. È
necessario costruire uno sguardo non pregiudicato che è il risultato di un lavoro, mai concluso, di messa in
parentesi delle interpretazioni e delle opinioni che circolano, che è una competenza professionale e
interculturale.

Le deformazioni dell’altro:
Etnocentrismo= tendenza naturale a interpretare le differenze culturali a partire dai propri modelli culturali e
dai propri valori di riferimento, identificando i propri riferimenti quali misura di tutte le altre culture. L e forme
di etnocentrismo introducono gerarchie di valore delle culture che vengono osservate, considerando la
propria migliore dell’altra. Questioni rilevanti che si propongono delle pratiche professionali:
La concezione e il ruolo della donna (parità e uguaglianza- inferiorità e sottomissione)
Il rapporto con il sacro (laicità- religioso e magico nel quotidiano)
La concezione del tempo (progresso - tradizione)
I modelli di educazione dei bambini (concezione liberale moderna- concezione tradizionale rigorista)
I diritti dei bambini
Appare necessario assumere un approccio centrato sulla ricerca di un equilibrio dialogico. Un eccesso di
relativismo culturale configgerebbe con l’obiettivo di protezione del minore e scegliere di muoversi in una
direzione univoca, improntata all’universalismo, genererebbe situazioni di conflitto, mancanza di
riconoscimento e non proporrebbe esiti positivi.

Esotismo= minimizzazione delle differenze e riconoscimento forzato; l’altro viene valorizzato in modo
acritico, idealizzato, mitizzato, a partire da una insoddisfazione connessa alla cultura di appartenenza, si
tratta di una costruzione soggettiva autoreferenziale dell’altro che rimane inaccessibili perchè l’osservatore
non è realmente interessato a entrare in contatto. È una forma distorta di accesso alla realtà dell’altro, si
fonda su un’ideologia ugualitaria e universalistica; pur basandosi su un’idea positiva della diversità,
nasconde un rifiuto della differenza.

Le due strategie, pur muovendo da un desiderio di rispetto di apertura all’altro e di rifiuto dei pregiudizi,
divengono ostacoli a un suo riconoscimento.
Minimizzare le differenze comporta il rischio di diventare indifferenti, di non vedere le differenze
effettivamente esistenti e di non riconoscere l’altro nella sua identità
La valorizzazione della cultura dell’altro gruppo nasce da un atteggiamento che vuole contrapporsi a
modalità di rifiuto della diversità, il capovolgimento: fa perno sulla costruzione di un’immagine positiva
dell’altra cultura, fondata sulla svalorizzazione della propria
—> Esito: impossibilità di trovare uno spazio di incontro e confronto autentico.
Riconoscimento forzato: tentativo di attribuire all’altro caratteri della sua cultura di appartenenza che egli
non ritiene di possedere o che rifiuta —> incapacità di riconoscere la natura soggettiva dell’appartenenza
culturale e la molteplicità di appartenenze di ciascuno.

Quali modelli e tecniche preofessionali?:


Anche i percorsi di formazione delle professioni sociali possono costituirsi come ostacoli alla comprensione
dell’altro, in ragione dell’origine delle scienze umane e sociali fondate su una concezione individualistica
della persona. L’individualismo delle società democratiche post-industriali è agli antipodi rispetto alla
concezione olistica, comunitaria della persona. Gli strumenti professionali, le forme mentis dei professionisti
delle relazioni d’aiuto occidentali sono inadeguati nel momento in cui sono messi alla prova da relazioni
interculturali che fanno riferimento a concezioni della soggettività, distanti dai presupposti filosofici delle
culture
occidentali.
Esempi:
Nozione di tempo: grande fiducia nella capacità di razionalizzazione e di previsione dell’umanità. L’accento
è posto sulla riduzione della complessità, sul controllo e il governo della realtà. La vocazione umana al
dominio cerca di colonizzare il futuro e diradare l’incertezza.
Concezione occidentale di persona: identifica i propri riferimenti nell’individuo, nella sua capacità di auto
affermazione e di autonomia a discapito del collettivo.

6. Le competenze interculturali
Un approccio interculturale può essere pensato e agito anche attraverso il possesso di competenze
interculturali. L’approccio culturale è di tipo comprensivo, basato su aspetti dinamici e soggettivi della
cultura e sullo sfondo della cittadinanza intesa come paradigma di piena appartenenza a un contesto
social, nell’obbiettivo di costruire la coesione sociale. Sviluppare negli operatori una vera a propria
competenza: capacità di leggere, analizzare e interpretare situazioni interculturali particolari e di affrontare
e risolvere conflitti.
Competenza interculturale:
Capacità di interpretare gli atti di comunicazione intenzionale e non intenzionale e i costumi di una persona.
L’accento è posto sull’empatia e la comunicazione.
Obiettivo: prendere coscienza che, a partire dalla propria cultura, le persone fanno delle supposizioni a
proposito dei comportamenti e delle credenze delle persone di altre culture.
Capacità che permette di saper analizzare e comprendere le situazioni di contatto tra persone e gruppi
portatori di culture differenti di saper gestire queste situazioni.
Insieme dinamico di conoscenze e abilità, indicando una padronanza assunta in determinai ambiti
professionali —> qualità del fare= sapere interiorizzato connesso a capacità di analizzare e interpretare
situazioni particolari. Milena Santerini identifica tre livelli di competenza centrati sul:
Sapere e saper pensare
Saper essere
Saper fare: le competenze esistono in azione
Le competenze culturali nel lavoro di ricerca sono tre:
Riconoscere e valorizzare le differenze: capacità di aprirsi alla
diversità Ridurre i pregiudizi
Costruire orizzonti condivisi: capacitò di promuovere il dialogo, gestire i conflitti

Le dimensioni interculturali nel lavoro socioeducativo con bambini, adolescenti e famiglie


vulnerabile
L’approccio interculturale emerge in ambito pedagogico, a partire dagli anni 60, nei paesi europei
interessati dai primi processi di immigrazione e trova applicazione soprattutto nei contesti scolastici.
Attualmente tutti gli ambiti di governo e i servizi del Child and Family Welfare necessitano di adottare un
orientamento interculturale con l’obiettivo di realizzare una società coesa. Esistono tre motivi per
riconoscere a pluralità culturale e linguistica nelle pratiche delle istituzioni educative:
Il cambiamento della popolazione infantile e giovanile diviene panorama generale che introduce in ogni
contesto vitale nuove visioni della quotidianità e del mondo e modifica i rapporti tra noto e ignoto
La mobilità della popolazioni è da assumersi come fenomeno strutturale in progressiva estensione.
La mobilità diviene esperienza esistenziale diffusa a cui preparare bambini e ragazzi
Ogni professionista è chiamato a confrontarsi con la diversità e il pluralismo culturale nell’esecuzione del
proprio mandato.

Estendere l’approccio interculturale a tutti i servizi socio educativi:


Il crescente pluralismo e l’eterogeneità culturale, linguistica, religiosa dell’utenza richiede che si creino le
condizioni per un cambiamento radicale del sistema dei servizi socieducativi, delle metodologie operative e
delle culturale organizzative, e per un ripensamento del welfare. Va prevista una riorganizzazione dei
servizi e una vasta attività formativa rivolta agli operatori, bisogna sapersi rapporto con modi di vivere
completamente differenti da quelli presenti —> indubbi vantaggi per la popolazione immigrata e autoctona.
In Italia il numero dei minori di 18 anni è costantemente in aumento, c’è una forte presenza di una
popolazione immigrata anche in età adolescenziale, la tendenza alla concentrazione in alcune aree
territoriali e l’aumento delle coppie miste. La presenza di minori stranieri corrisponde al 30% del totale degli
accolti nelle comunità residenziali
Progressiva crescita quantitativa e una trasformazione qualitativa della domanda di servizi pubblici
territoriali —> fenomeno collegato all’aumento della popolazione straniera.
I minori stranieri in carico ai servizi sociali del comune orobico senza decreto del Tribunale per i Minorenni
rappresentano il 70% del totale, laddove la popolazione immigrata corrisponde al 12,2% dei residenti.

Lo spaiamento degli operatori sociali davanti ai cambiamenti dell’utenza:


L’utenza straniera porta nuove domande, nuovi problematiche, nuove tipologie relazionali, nuovi modi di
intendere il rapporto con il servizio sociale. Si registra un aumento della complessità connesso a fattori
linguistico-culturali. Tutti i nuovi elementi innovativi ingenerano spaiamento e disorientamento negli
operatori sociali —> difficoltà di navigare tra violazione e promozione dei diritti umani.
—> La presenza di nuclei familiari immigrati necessita una riprogettazione dei servizi e di una preparazione
adeguata degli operatori che devono confrontarsi con una nuova utenza multiculturale.

Un parallelo con “La via italiana per la scuola interculturale e per l’integrazione degli alunni stranieri”:
Anche i servizi sociali e socioeducaivi devono adottare una prospettiva interculturale che informi gli
interventi nella loro complessità.
Documento del Ministro dell’Istruzione: “è necessario assumere la diversità come paradigma dell’identità
stessa della scuola, occasione privilegiata di apertura a tutte le differente"—> i servizi del CFW devono
muoversi nella stessa direzione, favorendo l’integrazione e promuovendo l’interazione interculturale e il
riconoscimento delle specificità personali.

Le linee di azione che caratterizzano il modello di integrazione interculturale della scuola sono riconducibili a
tre macroaree:
integrazione, interazione interculturale e attori/risorse che possono rappresentare un riferimento analogico
per il CFW.
Le azioni per l’integrazione sono strategie che mirano a garantire la parità dei diritti dei bambini e ragazzi:
Forte collaborazione con la scuola
Valorizzazione delle identità personali
Pratiche di accoglienza
Le azioni per l’interazione interculturale sono inerenti alla progettazione e gestione sociale e
pedagogica Relazione con le famiglie straniere e orientamento
Relazioni a scuola e nel tempo extrascolastico
Interventi sulle discriminazioni e sui pregiudizi
Valorizzazione delle competenze interculturali dei bambini e dei ragazzi di seconda generazione
Le azioni che hanno a che fare con gli aspetti organizzativi del CFW raccolgono temi e questioni di differente
livello:
Le reti tra servizi del CFW, autorità giudiziaria, istituzioni scolastiche, società civile e
territorio Il ruolo dei dirigenti e coordinatori. Il ruolo del personale operativo.

L’assunzione di una prospettiva interculturale nei servizi socioeducativi può trarre giovamento anche dalle
suggestioni che derivano dal concetto di cultural safety —> = è un outcome, un esito, che registra il rispetto
e l’attenzione a valori, stili di vita, modelli familiari e prospettive differenti dell’utenza.
Indicatori di cultural UNSAFETY: bassa fruizione dei servizi disponibili, la reticenza nelle interazioni con i
professionisti, le esplosioni di collera, la bassa autostima, le lamentele circa la mancanza di adeguatezza
culturale degli strumenti e degli interventi nel passaggio tra cultura dominante e culture minoritarie.
Concentrarsi sulla valutazione della cultural safety e sugli indicatori che ne evidenziano l’assenza o
l’inadeguatezza può restituire a un servizio socioeducativo elementi di riflessione e indicazioni per la
propria trasformazione.

Capitolo ottavo: Integrare qualità, valutazione e ricerca


La valutazione e il miglioramento della qualità degli interventi rappresentano sia uno dei capisaldi del
sistema dei servizi socioeducativi dedicati ai bambini, adolescenti e famiglie sia una questione
problematica. Le valutazioni sono connotate da una inevitabile soggettività, che può essere contenuta
dall’utilizzo di strumenti di tipo oggettivo.

Il complesso rapporto tra qualità, valutazione e ricerca:


La valutazione è un aspetto fondamentale per chiunque sia interessato a promuovere una riflessione
sull’azione sociale, poiché attiva una dinamica conoscitiva che consente di interrogare le modalità di
attuazione degli interventi, i loro esiti, le strategie e le metodologie utilizzate, le scelte assunte, gli assetti
strutturali e organizzativi, le politiche sociali che li sostengono; e per poter agire sulle variabili manipolabili
che consentono di adeguare l’intervento alle reali esigenze dei destinatari.

Una rappresentazione inadeguata della valutazione:


Secondo Lishman si continua a presentare la valutazione come qualcosa che viene applicato ex post alla
pratica, piuttosto che come sua diretta dimensione e di conseguenza rimane aperto un divario tra il piano
della pratica professionale-operativa e quello della valutazione-ricerca. Questo evidenzia due questioni
fondamentali. È diffusa la percezione che la valutazione sia un’attività da giustapporre alla conclusione di
un progetto, mentre viene spesso trascurata la continua funzione valutativa che l’operatore sociale mette
ingoio nella sua pratica professionale, in cui fa valutazioni in merito ai propri utenti —> si tratta di una
pratica su cui non c’è consapevolezza e una conoscenza tacita, implicita, nel senso che gli operatori non
riflettono sulle modalità e sui parametri che stanno alla base delle proprie valutazioni. Pare necessario
incidere in sede formativa sulle rappresentazioni della valutazione, per potere cosi mettere a disposizione
degli operatori competenze e strumenti valutativi adeguati.
È necessario esplorare la relazione tra la pratica e la sua qualità e valutazione-ricerca —> per poter
definire questa relazione, occorre comprendere quali siano le differenze tra valutazione e ricerca.

Quale differenza tra valutazione e ricerca?:


Il termine di valutazione propone tre ordini di significati:
Determinazione del valore di un bene calcolato in moneta
Determinazione del valore da assegnare a cose o a fatti ai fini di un giudizio, di una classica
Acquisizione di elementi che consentono di verificare l’efficacia di un intervento educativo e il profitto
dell’allievo
—> valutazione come misurazione= individuazione di un’espressione numerica per descrivere un
intervento, e di valutazione come giudizio di merito atto a stabilire il valore di un intervento. Viene riportata
la valenza formativa della valutazione e la sua connessione con la verifica dell’efficacia. La valutazione è
l’insieme delle attività che servono a formulare un giudizio argomentato e affidabili, è chiamata a occuparsi
di oggetti predefiniti a cui dare un valore.

Alla parola ricerca corrisponde il significato di attività che ha per fine un ritrovamento o un’acquisizione
scientifica. Il significato di ricerca conduce a un processo e un’attività caratterizzati da una tensione verso
l’obiettività e da un’intenzionalità orientata all’elaborazione di nuove conoscenze, si tratta dell’esplorazione
dell’ignoto.

Secondo alcuni autori:


La valutazione serve ai professionisti per monitorare l’efficacia di un servizio nell’aggiungere un determinato
obiettivo
La ricerca è un’attività conoscitiva finalizzata all’elaborazione di concetti inediti e allo sviluppo di cornici
teoriche innovative.

—> Appare evidente che ricerca e valutazione possiedono un proprio autonomo statuto ma, è ugualmente
evidente che i punti di convergenza siano notevoli e che entrambe mirano a produrre nuove conoscenze e
a esprimere giudizi fondati, seppure con finalità differenti.

Quale relazione tra valutazione/ricerca e pratica/qualità degli interventi?:


La relazione tra valutazione e ricerca e pratica e qualità degli interventi è complessa e ricca di stimoli. Le
conoscenze che emergono dai processi di valutazione e ricerca possono essere molto utili alla pratica,
offrono opportunità alla pratica di trasformarsi in direzione di una maggiore qualità. Malgrado ciò, alcuni
autori evidenziano un netto divario tra best practies e pratiche quotidiane.
—> la stessa valutazione e la stessa ricerca sono indissolubilmente parte di una pratica professionale di
qualità. La pratica della valutazione rappresenta una sfida per il lavoro sociale, affinché rinnovi le proprie
metodologie e categorie interpretative.

Problematicità del concetto di qualità: ne viene denunciato l’uso eccessivo. La parola qualità presenta una
varietà di significati:
Nozione bla quale sono ricondotti gli aspetti della realtà suscettibili di classificazione o di
un giudizio L’insieme delle caratteristiche estrinseche e intrinseche
Coefficiente di riferimento cui riportare il comportamento di un prodotto
La qualità prende forma nella dialettica con il concetto di quantità, va letta in termini complementari e
integrativi.
Formare gli operatori in direzione di una competenza ermeneutica e riflessiva diviene risorsa strategica per
realizzare la qualità dei servizi.

L’idea di qualità veicolata dalla certificazione ISO


La qualità è sempre stata uno degli obiettivi principali degli esseri umani, per quanto non sia sempre stata
definita con questo termine e abbia assunto, nelle diverse epoche storiche, parametri valutativi differenti.

Il cambiamento del concetto di qualità nel corso del tempo:


Fino all’epoca moderna la qualità ha rappresentato un concetto globale, che integrava la qualità
dell’ideazione e della realizzazione. Con la rivoluzione industriale e con l’avvento della produzione di
massa, il concetto di qualità, viene banalizzato, svilito, passando ad essere attributo e caratteristica
specifica di un prodotto industriale.
Nel corso degli anni 60/70 nasce e cresce una nuova consapevolezza in ambito aziendale: il controllo della
qualità si estende alla pianificazione e all’efficienza delle diverse funzioni aziendali.
Nelle ultime decadi la qualità ha conosciuto una fortuna crescente nel linguaggio politico ed economico,
giungendo ad interessare anche le politiche sociali e il mondo dei servizi socioeducativi.

Il controllo di qualità nel welfare mix:


Con l’avvento delle politiche neoliberiste viene ad instaurarsi nella maggior parte dei paesi europei un
modello di protezione sociale, che è stato definito welfare mix che mira a rendere effettivi i diritti riconosciuti
dalle carte costituzionali di ciascuno stato attraverso la combinazione di interventi pubblici diretti e di
interventi di soggetti privati, chiamati a erogare servizi, garantendo un miglior rapporto tra benefici e
prodotti.
— > Si crea un mercato dei servizi, caratterizzato dalla scissione tra acquirente e destinatario finale del
servizio. Le procedure di certificazione della qualità diventano lo strumento attraverso il quale l’ente
pubblico cerca di garantire che i livelli delle prestazione siano conformi a standard definiti. I riferimenti
essenziali diventano:
Serie di norme ISO 9000= norme non obbligatorie ma volontariamente adottate al proprio interno da
aziende e organizzazioni, riconosciute a livello internazionale dall’Organizzazione Internazionale per la
Standardizzazione, la quale ha come scopo la promozione nel mondo della standardizzazione delle attività
per facilitare lo scambio internazionale di beni e servizi
Modulo formale Total Quality Management (TQM)= approccio di gestione dell’azienda e delle sue risorse
umane, fondato sul principio di miglioramento continuo delle politiche aziendali.
—> nel 2000 avviene la fusione di ISO E TQM che inaugura un nuovo approccio alla qualità di tipo
produttivo e orientato alla ricerca dell’efficacia e del miglioramento continuo. I principi fondamentali della
qualità sono costituiti dall’approccio per processi, dalla soddisfazione del cliente, dal miglioramento
continuo e dal coinvolgimento e motivazione delle risorse umane nel migliorare le strategie aziendale.

Quali rischi nell’adottare nel welfare modelli di valutazione affermatisi in ambito industriale:
Nell’ambito dei servizi socioeducativi per bambini, adolescenti e famiglie vulnerabili hanno avuto una forte
influenza logiche e modelli di valutazione derivanti dalla cultura della qualità affermatasi in ambito
industriale. La qualità, in questo caso, corrisponde alla razionalizzazione dei processi, all’identificazione di
responsabilità definite e alla conformità a standard predefiniti. —> Rischio derivato da questa assunzione:
E’ frequente riscontrare una deriva burocratica da parte degli operatori sociali nell’adempiere alle richieste
dei sistemi di certificazione della qualità, questo comporta una scarsa ricaduta in positivo sul miglioramento
delle pratiche professionali e sull’innovazione
Gli strumenti valutativi messi in atto spesso non colgono i processi produttivi più significativi che
caratterizzavano ambiti professionali incentrati su aspetti relazionali complessi e su trasformazioni personali
delicate e non lineari.
Scarsa capacità degli organismi pubblici di sviluppare metodi di analisi dell’efficacia dell’intervento sociale
In contesti dove non esiste o è limitata la possibilità di scelta relativamente all’organizzazione che eroga un
servizio, l’assenza di un mercato regolato da opzioni degli utenti, rischia di privare di senso i processi di
certificazione di qualità.
Una visione della qualità di ispirazione aziendale e industriale non è adeguata alla valutazione delle
politiche sociali nel loro complesso.

Sanderson evidenzia la contrapposizione esistente tra due diverse rappresentazioni del concetto di qualità:
Una fa riferimento ai livelli di servizi attualmente raggiunti, al controllo cui vengono sottoposti e al
conseguente vantaggio di cui possono godere gli utenti
Dall’altra emerge una rappresentazione di qualità più ampia, che prende forma in relazione ai bisogni e alle
domande della popolazione e che chiede di essere misurata in relazione alla capacità delle politiche e dei
servizi di allocare risorse adeguate e di individuare soluzioni e risposte efficaci.

Ripensare la qualità per valorizzare lo specifico dei servizi socioeducativi


Si registrano alcuni tentativi di ridefinire i processi di certificazione della qualità, in modo da valorizzare
maggiormente gli aspetti specifici dei servizi alla persona e di definire standard qualitativi specifici —>
facciamo cosi riferimento al progetto “Quality4Children” e al Modello Attivo della Qualità Sociale.

Il progetto di ricerca “Quality4Children”:


Èfrutto della collaborazione di tre organizzazioni internazionali: SOS villaggi dei Bambini, International
Forster Care Organisation e Federation Internazionale del Communautes Educatives. Il progetto ha
sviluppato 18 standard di qualità per l’accoglienza dei bambini in affido familiare o in strutture educative,
facendo costante riferimento ai principi della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza. La
ricerca è basata sulla metodologia autobiografica dello storytelling.
Gli standard vengono corredati da linee guida essenziali per concretizzarli nella pratica e da indicatori di
mancanza di qualità che si possono rilevare nelle situazioni reali.

Il Modello Attivo della Qualità Sociale:


Questo modello mira ad avviare un percorso di costruzione e sviluppo di un metodo centrato sulla
specificità e le peculiarità proprie dei servizi alla persona, dei processi di aiuto e delle diverse forme di
preda in carico e di accoglienza. Tale modello nasce dal desiderio di riconoscere e valorizzare la specificità
della qualità relazionale.
Visione della qualità: centralità della dimensione globale della persona posta in relazione organica con la
proprio tre relazionale territoriale che ne costituisce il contesto di crescita, di sviluppo, di accrescimento.
Costruzione delle condizioni di normalità per le

persone a rischio di esclusione sociale, cambiamento del modo di interpretare la normalità, promozione del
cambiamento sociale.
Gli indici di qualità corrispondono alle categorie logiche cui si rifanno i modelli classici: struttura, processo
(=accoglienza), esito.

Questo modello costituisce un marchio che qualifica e certifica uno specifico stile di organizzazione e
gestione dei servizi alla persona.
Debolezze: non riesce di sostituirsi in modo pieno, ma alternativo ai modelli di certificazione di derivazione
industriale, dall’altra appare troppo debitore a questi stessi modelli in merito a impostazione, struttura e
contenuti.

La valutazione
La necessità della valutazione discende dal dovere di rendere conto agli utenti dei servizi di ciò che viene
fatto e di garantire efficienza gestionale, utilità e risparmi di spesa alla committenza. Scopo della
valutazione: riunione della complessità decisionale.

La sussistenza di diverse forme di valutazione:


Valutazione: giudizio fondato sulle pratiche e sugli interventi
Scriven ha introdotto una distinzione tra due tipologie di valutazione (esse sono sempre compresenti e si
integrano reciprocamente):
Formative evaluation: fornisce ai professionisti elementi utili a migliorare l’intervento
Summative evaluation: esigenze di rendere conto pubblicamente alla committenza e ai possibili utenti del
servizio
Confirmative evaluation: consente di valutare un programma quando è stato implementato ed è operativo
per un congruo periodo al fine di verificare la tenuta in termini di efficacia nel corso del tempo.
Valutazione interna ed esterna: si considera chi decide di attivare un processo valutativo e chi effettivamente
gestisce il
processo

Qual è l’oggetto della valutazione?


Su che cosa si valuta.
Altieri ritiene che la valutazione possa avere a oggetto:
 Le politiche
 Le strategie
 programmi
 Gli interventi
 servizi
All’interno di questi oggetti si possono indagare:
Gli elementi costitutivi, gli assunti di valore, gli obiettivi, la definizione del problema e dei
destinatari I processi come percorso complesso verso le trasformazioni
Gli esiti come trasformazione che produce effetti positivi sul benessere del bambino e della famiglia.
Rossi e Freeman propongono una valutazione comprendente che integra e combina l’analisi di processo e
l’analisi dei risultati, alla ricerca di connessioni che spieghino le motivazioni degli elementi che emergono
dall’attività valutativa.

Distinzioni su due livelli valutativi:


Evaluability assesment consiste nella valutazione della valutabilità del programma
Meta evaluation valutazione a posteriori della correttezza e adeguatezza dell’impianto valutativo
implementato

Investimenti strategici sulla formazione degli operatori:


La valutazione non consente soltanto di comprendere l’efficacia del lavoro socioeducativo, ma può
acquisire la funzione di strumento di intervento, che genera empowerment e trasformazione.

I paradigmi della ricerca e della valutazione


Nel mondo della ricerca delle scienze sociali è in atto una guerra dei paradigmi.

La crisi del paradigma positivistico:


Il paradigma positivistico ha dominato a lungo la scena, è basato su una visione meccanicistica
dell’universo che può essere spiegato attraverso concatenazione di nessi causali-lineari, si caratterizza per
il principio secondo il quale solo un approccio matematico e/o sperimentale garantisce il raggiungimento di
una conoscenza oggettiva del reale. Tale paradigma viene investito da una crisi profonda, in ragione della
propria inadeguatezza strutturale, a pervenire a una comprensione adeguata della complessità del mondo
umano.
I recenti sviluppi delle scienze naturali hanno creato le condizioni perchè si generasse una svolta
paradigmatica.

Tre nuovi posizioni paradigmatiche:


Da questa svolta sono emerse tre nuovi posizioni paradigmatiche:
Il post positivismo: esso ritiene che, per quanto una parte dei presupposti del positivismo debbano essere
messi in discussione, il suo impianto possa continuare a essere condiviso.
La teoria critica: comprende indirizzi di ricerca e di valutazione di derivazione marxista e femminista e
approcci partecipativi, accumunati da analisi realiste e da una prospettiva di trasformazione sociale
Il costruttivismo: supera la prospettiva realista e opra per attribuire una rilevanza centrale ai significati e alle
interpretazioni negoziati socialmente.
—> Appare evidente la necessità di una triangolazione dei metodi. I dati quantitativi raccolti possono
essere integrati da un’analisi complementare di tipo qualitativo che si focalizzi sull’interazione tra soggetto e
ambiente e sull’esperienza vissuta dal soggetto stesso.

Teorie e pratiche
Negli ultimi anni si stanno affermando orientamenti epistemologici che privilegiano la ricerca centrata sulla
pratica professionale minuta, che valorizza la pratica come ambito di costruzione della conoscenza,
ricostruendo una connessione tra teoria e azione. Si cerca di valorizzare la peculiarità della conoscenza
pratica. Si trova una crescente attenzione riservata alla Evidence-based practice e alla professionalità
riflessiva.

Evidence-based practice:
Mira a fare delle evidenze empiriche derivate dalla ricerca sperimentale il fondamento delle pratiche di
lavoro socioeducativo. Questo approccio si è originato in ambito medico e infermieristico. Solo agli inizi
degli anni 90 che in Europa viene introdotto l’uso del termine evidence-based pratice, con cui si intende
un’evidenza empirica, derivata dalla ricerca scientifica, che diviene il fondamento per una pratica che
meglio garantisce il benessere degli utenti e mira alla predittività.
È nota l’inadeguatezza di un tale paradigma scientifico che si rivela nel momento in cui viene applicato a
contesti dinamici e complessi, come quelli socioeducativi.

Critiche all’approccio: la definizione di esito positivo e la sua misurazione sono fortemente influenzate da
valori e visioni di chi imposta la ricerca. La propensione anglosassone a definire programmi caratterizzati
da protocolli fissi e rigidi non è adeguata a contesti locali differenziati e non è accettata nei paesi
dell’Europa continentale. Viene posta un’enfasi eccessiva sull’utilizzo di metodologie quantitative a
discapito di metodi qualitativi ed ermeneutici. Si dedica poca attenzione alle dinamiche relazionali.
—> Pare necessari riorientamento l’approccio basato sulle evidenze, indirizzarlo verso un orientamento
pluralista, capace di integrare contributi metodologici plurali ed ecologici. Si auspica che venga concesso
un maggiore spazio alla ricerca di impronta pedagogica, per la sua tradizione di attenzione al soggetto nella
sua globalità e alle dimensioni esistenziali, quotidiane, relazionali, contestuali e che vengano valorizzati i
metodi qualitativi.

La professionalità riflessiva:
La ricerca centrata sulla pratica ha lo scopo di creare una relazione riflessiva tra le pratiche professionali
situate, esperite in differenti contesti, e le teorie pedagogiche, sociali, psicologiche. Il cuore della ricerca
entrata sulla pratica è la co-costruzione della conoscenza e l’orientamento a produrre cambiamento.
La svolta riflessiva propone una epistemologia della pratica che permette di riconoscere i processi e i modi
attraverso i quali la pratica costruisce conoscenza.
—> Si affermano un orientamento situazionale e costruttivista della conoscenza e la condivisione verso un
concetto di pratica come contesto generatore di saperi situati, localmente costruiti. La produzione di
conoscenza è possibile attraverso l’attivazione di dispositivi riflessivi nella pratica= attività culturale creativa
dove non è riscontrabile separazione tra pensiero e azione.

La conoscenza che si produce nella pratica è una conoscenza locale; viene riconosciuto e valorizzato il
ruolo della riflessione nel corso dell’azione. Accanto alla riflessività, assume un’importanza crescente la
teoria trasformativa che ha il suo focus principale nella ricerca della giustificazione delle ragioni per cui si
verifica un apprendimento.

Esplicitiamo il processo di costruzione della conoscenza partecipata che porta ricadute sul contesto pratico,
che fa riferimento al processo della ricerca riflessiva —> punto di partenza del processo: formulazione di
problemi e delle questioni su cui indagare a partire dal contesto pratico. Successivamente deve essere
costruito uno spazio di confronto, esso consente di produrre una notevole quantità di materiali di ricerca che
devono essere analizzati dai ricercatori e dai partecipanti per individuare concetti, valori e modelli. Uno
snodo fondamentale è costituito dalla validazione della conoscenza emersa da parte del gruppo dei
partecipanti. I ricercatori elaborano un report di ricerca con la rielaborazione degli elementi di conoscenza e
apprendimento emersi nel corso del processo —> tale report viene proposto al gruppo. Il processo di
ricerca riflessiva comporta una serie di ricadute sull’azione nel contesto pratico.
L’utilità della valutazione e la sua capacità di produrre innovazione sono funzione della sua capacità di
trasformarsi in segnali di vicinanza e di sostegno per chi vive le situazioni reali.

La ricerca riflessiva rappresenta un’opportunità unica di riconoscere il valore del professionista e delle sue
competenze esperienziali. La ricerca riflessiva può realmente costituire il fondamento di una pratica
valutativa che sappia incidere in positivo sullo sviluppo della professionalità e sulla qualità degli interventi
socioeducativi e di cura.
Tale approccio dà forma a modelli situati di valutazione che offrono contributi preziosi alla dimensione
locale in cui sono stati prodotti, ma possono essere trasferiti e proposi alla riflessione in contesti analoghi.

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