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INTRODUZIONE
I SERVIZI SOCIOEDUCATIVI sono servizi alla persona che consistono negli interventi, nelle attività,
nelle strutture e nelle funzioni che implementano risposte ai bisogni dei cittadini.
In particolare l’attenzione si rivolge ai servizi socioeducativi dedicati a bambini, adolescenti e famiglie
che nella propria vita sperimentano più di altri la difficoltà, la marginalità, la fragilità e la vulnerabilità.
Marginalità: esclusione di chi sperimenta difficoltà.
Fragilità: attraversa tutti i luoghi e i tempi di vivere, tutte le dimensioni costitutive (corporeità, affettività) e
istitutive (identità, esperienza) dell’essere umano.
Vulnerabilità: richiama la possibilità di subire danni e ferite, di essere ferito facilmente poiché
fragile o esposto a rischi rilevanti.
I servizi socioeducativi dedicati a bambini, adolescenti e famiglie vulnerabili, devono accompagnare a
“integrare l’esperienza intensa della crisi nella trama complessa della identità individuale e sociale”.
E’ stata di fondamentale importanza la lettura dell’articolo “Discerning European Perspectives on
Evidence-Based Interventions for Vulnerable children and their Families”, di Hans Grietens; in cui
vengono identificati tre “pietre miliari” nel settore del Child and Family Welfare (CFW), tra cui, in primis,
l’implementazione della CRC = “convezione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza” può essere
legittimamente considerata come il fondamento di una pedagogia dei diritti dei bambini, come proposta
teorica per una loro comprensione e come progetto educativo. Da essa nasce l’RBA ovvero, l’approccio
basato sui diritti.
Da qui scaturisce l’idea di costruire un discorso che restituisse uno sguardo d’insieme delle evoluzioni
che gli interventi a favore di bambini, adolescenti e famiglie vulnerabili stanno vivendo in Italia, in Europa
e nel mondo.
Primo capitolo: si tratta dell’importanza che riverte la propensione a guadagnare una prospettiva
globale nel comprendere e evoluzioni del CFW.
Secondo capitolo: riconoscimento della necessità di adottare una prospettiva pedagogica sociale
nei servizi rivolti a bambini, adolescenti e famiglie in difficoltà, capace di valorizzare la persona nella
sua globalità.
Terzo capitolo: si basa sull’approccio basato sui diritti, che nasce dalla CRC.
Quarto capitolo: descrive la tendenza emergente a considerare la famiglia nella sua interezza,
senza opporre diritti dei bambini e diritti dei genitori.
Quinto capitolo: vengono accostati quegli approcci antideterministici che ricercano e valorizzano
la capacità di resistenza, i fattori di resilienza.
Sesto capitolo: relazione diretta con la CRC e con il suo articolo 12, che prevede il diritto
all’ascolto
e alla partecipazione.
Settimo capitolo: affronta la questione della ineludibilità dell’adozione di un approccio
interculturale all’interno di contesti educativi che si caratterizzano per la pluralità crescente delle
appartenenze etniche e culturali.
Ottavo capitolo: si enfatizza l’importanza della promozione e del monitoraggio della qualità dei
servizi e dell’orientamento che tende a valorizzare interventi a partire dalla riflessività sulle pratiche e
della valutazione dei siti dei percorsi.
La CRC riconosce al bambino “che è stato collocato dalla autorità competente al fine di ricevere cure,
una protezione oppure una terapia fisica o mentale”.
Capitolo 1, PARTIRE DA UNA PROSPETTIVA GLOBALE
Il lavoro sociale si confronta con la sfida di ridefinire il suo ruolo in relazione ai processi globali, alla
globalizzazione di questa consapevolezza e alla globalizzazione della consapevolezza di problemi sociali.
Globalizzazione della consapevolezza: apre alla promozione di una solidarietà globale, della democrazia e
di una maggiore possibilità di prevenire i conflitti.
La globalizzazione avvia un processo di rielaborazione e risignificazione, nel senso che il continuo traffico
di beni, simboli, idee e valori, che caratterizza il mondo contemporaneo non si risolve in una pura e
semplice serie di prestiti e acquisiti, ma comporta invece una loro continua riformulazione.
In tale processo, una cultura trasforma i propri valori e significati in rapporto a ciò che
proviene dall’esterno, dover per “esterno” non si intende un’altra cultura, ma un insieme di fenomeni che
interessano tutte le culture.
GRAY: evidenzia che nei territori a livello planetario emergono modalità differenti di definire la relazione tra
la costruzione dei significati locali del lavoro sociale e l’influenza su di essi dei significati globali.
Egli definisce due modalità di relazione:
INDIGENIZZAZIONE: nuove forme di lavoro sociale, che comportano l’emersione di voci e percorsi plurali.
UNIVERSALISMO: costituisce un orientamento globale a pervenire a forme di comune
identità nel lavoro sociale.
Gray, infine, si interroga sull’esistenza di “universali” nel lavoro sociale.
Con il termine “universali”, si intendono aspetti teorici o pratici che possono costruire elementi
comunamente riconosciuti come fondativi del lavoro sociale in differenti contesti.
Si sviluppa la prospettiva che i sistemi più ampi (in qualche modo “globali”) sembrano voler vincolare e
determinare i sistemi di dimensioni minori (locali).
Il sistema centrale pone i vincoli a cui deve attenersi il livello periferico.
I valori e i significati locali subiscono un impulso trasformativo dagli stimoli provenienti dall’esterno, ma non
vengono determinati in modo lineare da essi. Piuttosto si tratta di un processo che propone inevitabili
stimoli alla riflessione identitaria e al cambiamento.
Anche il significato di social work nello scenario contemporaneo emerge nella dialettica tra locale e globale.
SOCIAL WORK: è un compito a cui si sono dedicati studiosi di diversa estrazione, impegnati sia nella
formazione sia nella costruzione di politiche sociali.Si rileva una tendenza a riconoscere l’esistenza di forme
di pratica che presentano elementi comuni in relazione alle conoscenze, alle abilità e ai valori che
caratterizzano l’intervento professionale necessario pe fronteggiare le sfide del mondo contemporaneo.
La dimensione globale del social work può essere rappresentata come una “metacultura”, in cui le diverse
identità professionali locali possono esprimersi.
A livello culturale globale, mentre diminuisce l’omogeneità interna di ogni cultura nazionale, aumenta il
grado di comunanza con quelle degli altri paesi.
Si può ipotizzare che le differenze esistenti nell’ambito delle interpretazioni relative al lavoro socio-
educativo e al lavoro sociale siano connesse all’insieme delle influenze che la cultura nazionale esercita sui
complessi processi attraverso cui i professionisti che operano nel campo cercano di comprendere e
interpretare il loro ruolo e le loro funzioni professionali.
In sostanza, all’interno di un contesto più generale costituito dalla cultura nazionale, interagiscono le culture
professionali degli operatori sociali – o meglio, del singolo operatore, influenzate da esperienze personali e
visioni del mondo – e le culture delle organizzazioni di appartenenza e del servizio sociale o educativo in
cui il singolo professionista lavora.
Le due culture in questione si costituiscono nel tempo attraverso il concorso di diversi fattori:
Interpretazioni e convinzioni personali.
Precedenti esperienze.
Disponibilità locale di risorse.
Coinvolgimento del territorio.
Si ritiene che esista una diretta e reciproca connessione e influenza tra processi globali e cultura nazionale,
cultura dell’organizzazione e cultura dell’operatore: ciò significa che la cultura nazionale non possiede il
ruolo di mediatore con la dimensione globale e che le persone e le organizzazioni sociali, possono servirsi
di canali comunicativi immediati con questa dimensione.
La cultura nazionale e le culture regionali continuano a esercitare un ruolo determinante nella definizione
delle principali finalità e pratiche politiche sociali, tra cui le funzioni degli operatori e dei servizi.
Oggi sono ancora i sistemi nazionali e culturali a contribuire alla formazione dell’identità e del senso di
appartenenza anche perché le persone, continuano a vivere nella propria cultura e nella propria lingua.
Il lavoro socioeducativo con bambini, adolescenti e famiglie vulnerabili in un mondo che cambia
necessario prendere inconsiderazione il ruolo assunto nel corso degli ultimi cinquant’anni da istituzioni e
organizzazioni internazionali – quali le Nazioni Unite, l’UNICEF, l’UNESCO, l’unione Europea, la Banca
Mondiale – nell’influenzare la definizione delle politiche sociale per l’infanzia e l’adolescenza.
Basta pensare all’importanza crescente della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza delle
Nazioni Unite, adottata dall’assemblea generale delle nazioni unite il 20 Novembre 1989 ed è entrata in
vigore il 2 Settembre del 1990.
AXFORD: riconosce che l’influenza di istituzioni e organizzazioni internazionali non è necessariamente
positiva; basta pensare alle conseguenze provocate sull’infanzia dalle misure correlate ai piani di
aggiustamento strutturale, imposte dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale, nei
processi di rinegoziazione del debito.
BERKER: individua tre ordini di fattori che devono essere considerati per comprendere la relazione tra
protezione del minore e dinamiche tra locale e globale:
Fattori di regolazione che travalicano i contesti locali.
La natura planetaria della comunicazione.
I movimenti globali di persone che comportano anche movimenti di bambini e ragazzi
con la conseguente costituzione di contesti multiculturali e l’attivazione di dinamiche interculturali.
MIDGLEY: riteneva ulteriori aspetti caratteristici emergenti dalla relazione tra sistemi di welfare e dinamismo
tra globale e locale:
I problemi sociali (es. migrazioni, traffico di essere umani) assumono dimensioni nuove che richiedono
soluzioni globali.
I servizi devono necessariamente assumere un approccio interculturale per poter rispondere a bisogni
complessi.
La crescente connessione tra politiche, interventi e sperimentazioni tra diversi Paesi produce circolazione
di conoscenza.
La produzione in letteratura moltiplicai le opportunità di apprendimento
Il focus on family, ovvero l’attenzione dei professionisti che si sposta del bambino come individuo isolato
alla famiglia come sistema di legami, avvalora l’approccio tendente a considerare la famiglia nella sua
interezza, prendendo il massimo coinvolgimento dei genitori stessi nei progetti di intervento.
Inoltre il mondo dei servizi socioeducativi rivolti a bambini e famiglie vulnerabili sta acquisendo
consapevolezza in merito al fatto che non è possibile trascurare le questioni culturali, etniche e linguistiche.
Si mira a promuovere la qualità degli interventi, attraverso processi di monitoraggio, controllo, valutazione e
ricerca.
Lo strano caso della scomparsa della pedagogia sociale dallo scenario europeo e della sua recente
ricomparsa
<<Il lavoro sociale “ha usurpato” il ruolo sociale della pedagogia sociale e ha ignorato o ha fallito nel
riconoscerne adeguatamente il contributo>> Questa provocatoria affermazione sottolinea la scarsa
rappresentazione della pedagogia sociale nel contesto della ricerca nazionale, in netto contrasto con
l’evidenza che sostanzialmente in tutti i paesi dell’Europa continentale una tradizione pedagogia ed
educativa in ambito sociale fortissima, in special modo nel settore dell’intervento a favore di bambini,
adolescenti e famiglie vulnerabili.
La sottovalutazione della rilevanza della pedagogia sociale è “un esempio dei limiti del linguaggio” nei
contesti di scambio e confronto di idee.
Come emerge dalla attenta ricostruzione di Kornbeck, a seguito della pubblicazione sulla rivista “Social
Work in Europe”, si è aperto nel Regno Unito un acceso dibattito sulle professioni sociali e soprattutto sulla
necessità di introdurre professionalità formate sulla base di una prospettiva pedagogica sociale.
In seguito, l’approccio pedagogico viene affermandosi e accreditandosi nel Regno Unito e viene
concettualizzando come incontro tra cura e education.
Emergono le componenti comuni che danno coerenza all’identità della pedagogia sociale presente
nell’Europa Continentale:
Il focus dell’attenzione è centrato sul bambino e sull’adolescente nelle loro integralità di persona e sul
supporto complessivo al loro sviluppo.
L’educatore vede se stesso come persona, in relazione con il bambino o il ragazzo.,Bambini ed équipe
educativa sono visti come abitanti il medesimo spazio vitale. Tutti i professionisti sono costantemente
incoraggiati a riflettere sulle loro pratiche e ad applicare sia conoscenze teoriche sia conoscenze di sé alle
quotidiane sfide e domande con cui si confrontano.
La professione educativa è anche pratica, per cui la formazione prepara a condividere molti aspetti della vita
quotidiana e delle attività della vita dei bambini.
La dimensione gruppale della vita dei bambini è vista come un’importante risorsa. L’approccio pedagogico
costruisce una comprensione dei diritti dei bambini che non è limitata a questioni procedurali di esigenze
legislative.
C’è un’enfasi sul lavoro di gruppo e sulla valorizzazione del contributo degli altri nell’educare i bambini: altri
professionisti, membri della comunità e genitori.
Centralità della relazione, dell’ascolto e della comunicazione. Gli educatori possono lavorare con bambini e
giovani di ogni età. Gli educatori hanno una propria identità professionale definita e distinta da quella di
assistenti sociali, insegnanti, operatori sanitari, psicologi.
Il CFW è spazio di inevitabile condivisione pragmatica tra lavoro sociale e pedagogia nelle sue diverse
declinazioni disciplinari.
L’epistemologia pedagogica è basata sull’apertura al “dialogo con gli altri ambienti disciplinari ed altri campi
del sapere, pur mantenendo salda la propria specificità”.
In ogni atto educativo è inclusa una serie di fattori, motivi e conseguenze che la
necessità di comprenderlo e spiegarlo richiede l’utilizzo di una molteplicità di punti di vista e di strumenti di
ricerca.
La pedagogia è ambito disciplinare che pur rapportandosi ad altre discipline, ne elabora in proprio contenuti
e metodi, li veglia criticamente e mette in luce le pedagogie implicite, cioè ritraccia elementi pedagogici
laddove non si sospettava potessero essere attraverso una mobilità che consenta di attingere a livelli e
dimensioni diverse della realtà.
Sul piano epistemologico, quindi, la pedagogica propone un discorso multidisciplinare, che mira ad
analizzare la realtà educativa da un punto di vista filosofico, politico e scientifico e ad elaborare modelli di
intervento concreti che guidano l’azione educativa.
La pedagogia sceglie un approccio alla lettura della realtà decisamente differente da quello di altre
discipline = lo sguardo pedagogico si connota in termini progettuali, nella comunanza delle istanze
prognostiche e diagnostiche. Esso deve anche saper mobilitare i desideri, liberando i sogni e le
prospettive utopiche, che troppo spesso rischiano di venire marginalizzate da un approccio realista.uno
sguardo che sa valorizzare il reale e che sa contemporaneamente rinnovare questo reale, progettando il
cambiamento.
Il modo di guardare la realtà della pedagogia pone la persona come proprio centro focale, o meglio la sua
crescita personale collocata nella realtà storica circostante.
L’educazione invita a cogliere nel reale il personale e stimolerà quindi ad evidenziare i movimenti e le
istanze di personalizzazione preseti nel vissuto soggettivo e invita a cogliere il potenziale, nel presente la
prospettiva di futuro e la linea di tendenza, perché essenzialmente rivolta a qualcosa in crescita.
LA PEDAGOGIA SI CONNOTA COME SAPERE DELL’EDUCAZIONE = in quanto “pratico- poietica” si
configura come “un sapere pratico che vuole che avvenga qualche cosa”.
La tensione trasformativa della realtà è un carattere irrinunciabile della pedagogia. Il pensiero pedagogico
come processo di apertura verso il futuro ha origine laddove l’essere umano incontra condizioni esistenziali
segnate dall’incertezza, dal dubbio e dalla problematicità. E proprio a partire dalle condizioni date, il
pensiero pedagogico sprigiona progettualità che indicano varchi di possibilità, capaci di superare ciò che
viene sperimentano come limite.
FAMIGLIA
Tra gli oggetti della pedagogia sociale trova senza dubbio posto anche la FAMIGLIA = diviene un elemento
vitale ed insostituibile di coesione e di solidarietà intergenerazionale.
In uno scenario complessivo di grandi mutazioni e cambiamenti sociali, anche la famiglia si trasforma:
Diventa una dimensione plurale.
Trasmissione intergenerazionale tra nuovi orientamenti e stili di vita possibili.
Riproduzione di modelli familiari appresi.
Confronto crescente nelle società multiculturali con modelli familiari.
Nel contesto specifico dei servizi rivolti a bambini, adolescenti e famiglie vulnerabili, la pedagogia della
famiglia evidenzia che:
La logica di intervento di sostegno socioeducativo con la famiglia tutta, piuttosto che con il solo
bambino/ragazzo si è guadagnata
via via un certo spazio, grazie soprattutto alla legge (149/2001) che ha affermato il principio: “ogni bambino
ha il diritto di crescere nella propria famiglia”.
In conseguenza di questa legge, dai primi anni 2000, l’approccio nei confronti della tutela dei minori si sta
lentamente modificando in un approccio centrato sulla protezione e il ben-trattamento della famiglia nel
suo insieme, più che sul solo bambino.
Il concetto di LIFELONG LEARNNING può essere visto come punto di convergenza di un intreccio di
differenti approcci che hanno contribuito a centrare l’attenzione sul soggetto che apprende e sulle sue
necessità, piuttosto che sugli aspetti istituzionali del percorso formativo.
JERVIS, ritiene che il lifelong learnning posa essere definito come:
la combinazione di processi lungo tutto l’arco di una vita per mezzo della quale la persona nella sua
interezza – corpo e mente – sperimenta situazioni sociali, il cui contenuto percepito è quindi trasformato
cognitivamente, emozionalmente o praticamente e integrato nella biografia personale dell’individuo.
“la genitorialità, intesa come funzione dell’individuo adulto può essere appresa e sostenuta”.
Anche nell’ambito dei servizi socioeducativi rivolti a bambini e adolescenti debba emergere un’attenzione
specifica agli adulti che si occupano della loro cura in ambito familiare.
L’intervento a favore di famiglie vulnerabili va assolutamente ripensato alla luce dei riferimenti
dell’educazione degli adulti e della concezione di adultità che si è andata affermando in questi ultimi
vent’anni.
Le coordinate progettuali per ripensare l’esperienza dell’apprendimento adulto possono essere individuate:
Nella centralità del soggetto: il focus è sul soggetto, sulle sue esigenze di sviluppo.
Nella biograficità: intesa come capacità di costruire autonomamente un progetto di vita e
perseguirlo in modo creativo e flessibile.
Nella riflessività: ogni forma di apprendimento viene a dipendere da un esame riflessivo di ciò che
abbiamo imparato e di come lo abbiamo imparato. Trasformarsi significa esercitare l’apprendimento
su di sé.
Nella contestualizzazione e individualizzazione dell’intervento: l’evoluzione degli approcci nel
CFW sta generando una personalizzazione crescente degli interventi “nuove modalità d’agire
professionale il cui registro è diverso dal modo abituale di intervenire con i genitori di bambini
vulnerabili.
Nell’individuazione di saperi in azioni e competenze locali: è necessario
comprendere le specificità contestuali di un sistema familiare per provare a cogliere le competenze
di tipo locale che il genitore ha sviluppato nella sua pratica.
La pedagogia ha posto i diritti umani al centro dell’educazione, dando spazio alla “difesa della persona nella
sua particolarità irrepetibile” alla “ricerca di giustizia”, al “superamento dei nazionalismi a favore della difesa
dell’uomo, della donna”.
Secondo, ARCAIS il discorso pedagogico è “rivolto a fondare l’educazione, a legittimare obiettivi,
procedimenti, modalità secondo criteri di ragionevolezza, ad indagare sulla problematica della formazione
dell’uomo in una prospettiva a tutto campo, dove i fini vengono proporzionati alle effettive disponibilità della
esistenza concreta”.
Perché basarsi sui diritti?
il diritto e i diritti rappresentano il complesso di norme e di regole che una comunità si dà per sancire
vincoli, limiti, valori, opportunità che consentono e orientano la convivenza civile e la coesione sociale.
Appare evidente la rilevanza del rapporto tra diritto, diritti ed educazione, poiché i “diritti scelti e perseguiti
dalla politica incidono sugli orientamenti educativi della comunità sociale di riferimento”.
DIRITTO: esigenza trascendente che l’umanità esprime di poter regolare tanto i rapporti tra gli individui
quanto quelli tra le varie comunità nonché quelli tra i singoli individui e le comunità di appartenenze.
Ènella storia non solo perché appartiene all’uomo nella sua universalità e nella concretezza delle sue
vicende, ma soprattutto perché è l’uomo stesso che l’ha costituita e continua a costituirla nel momento in
cui si sforza intersoggettivamente di dare senso al suo esistere.
DIRITTI: insieme delle norme specifiche che condizionate sul piano temporale, spaziale e culturale,
rappresentano la concretizzazione storica di quell’esigenza trascendente.
Affermare in ambito EDUCATIVO l’esigenza di riferirsi al diritto e ai diritti corrisponde a riconoscere la
necessità che si facciano i conti con limiti precisi e riconosciuti da assegnare alla propria azione, a evitare
che essa perda di vista le ragioni profonde del proprio esistere.
La scelta di tematizzare e agire un’educazione si basa sui diritti non è semplicemente un’opzione
pedagogica, ma è soprattutto una scelta di natura politica.
Emerge l’urgenza di sostenere negli educatori la capacità di collocarsi all’interno dell’orizzonte sociopolitico
in cui vivono e operano.
L’educazione, che non è e non può essere mai neutrale rispetto alle visioni della società è investita di “un
compito politico, per la convivenza umana ed è essenzialmente un compito di responsabilità”.
La responsabilità non va intesa soltanto verso l’altro come individuo, ma deve integrarsi
in un orizzonte intersoggettivo.
L’AZIONE EDUCATIVA, non è un intervento sull’altro, ma insieme all’altro sulla realtà.
Dalla tutela giuridica dei minori ai diritti ai bambini e degli adolescenti a livello internazionale
La costruzione dell’idea dell’infanzia è parte del processo che, a partire dal XV-XVI secolo conduce a
maturazione il sentimento moderno della famiglia e del suo connotarsi “come ambito privato, distinta
rispetto al più generale contesto della comunità locale”. In precedenza, il bambino era considerato un
essere incompiuto, imperfetto; non poteva essere titolare di diritti autonomi.
Con l’evoluzione della sensibilità sociale al tema dell’infanzia, cresce il sentimento della preoccupazione
per la cura e l’educazione dell’infanzia, vengono introdotte norme giuridiche, come doveri importi agli adulti
nei confronti dell’infanzia.
Il movimento di tutela dei minori nacque negli Stati Uniti come ramificazione del movimento di protezione
degli animali.
“Society for the Prevention of Cruelty to Children”, aveva lo scopo di sottrarre bambini alla crudeltà, alla
trascuratezza e all’abbandono, favorendo legislazioni protettive nei loro confronti.
Nel 1899 a Chicago venne istituito il primo Tribunale dei minorenni, competente a giudicare tutti i minori di
dieci anni.
Nel XX secolo il diritto internazionale ha riservato una crescente attenzione alla tutela dei diritti dei bambini
e degli adolescenti. Un primo passo è rappresentato dalla Convenzione per regolare la tutela dei minori
sottoscritta a L’Aja il 12 Giugno 1902, che
sancì il principio in base al quale la legislazione di riferimento per la tutela di un minore è quello del paese di
cittadinanza.
Nel 1919 ebbe inizio il movimento di tutela dei diritti dell’infanzia in rapporto al mondo del lavoro, con
l’adozione della Convenzione sull’età minima da parte della Conferenza Internazionale del Lavoro, che
fissava a 14 anni l’età minima per entrare a lavorare nel settore industriale.
Nel 1921 enne sottoscritta la vincolante Convenzione internazionale sulla soppressione della tratta delle
donne e dei bambini.
Il primo riferimento ai “diritti dei bambini” si riscontra nella “dichiarazione dei Diritti dei bambini”,
approvata nel 1924 dalla Quinta Assemblea Generale delle nazioni, assumendo integralmente la proposta
introdotta nel 192 da JEBB, fondatrice di Save the Children.
L’impianto della Dichiarazione, è di tipo assistenzialista, con una centratura sulla necessità materiali e
affettive dei bambini.
La dichiarazione è composta dai seguenti punti:
Al fanciullo si devono dare i mezzi necessari al suo normale sviluppo, sia materiale che
spirituale.
Il fanciullo che ha fame deve essere nutrito; il fanciullo malato deve essere curato; il fanciullo il
cui sviluppo è arretrato deve essere aiutato.
Il fanciullo deve essere il primo a ricevere assistenza in tempo di miseria.
Il fanciullo deve essere messo in condizioni di guadagnarsi da vivere e deve essere protetto contro
ogni forma di sfruttamento.
Il fanciullo deve essere allevato nella consapevolezza che i suoi talenti vanno messi al servizio degli
altri uomini.
La dichiarazione riconosce non solo dei doveri ma anche dei diritti soggettivi, tra cui il diritto all’integrità
fisica e il diritto a un processo formativo adeguato alla piena integrazione nella comunità.
Nel 1948, la Società delle nazioni adottò una seconda Dichiarazione dei Diritti del Bambino in sette punti.
Vennero sostanzialmente confermati i punti 1, 2, 3 e 5 della Dichiarazione del 1924, parzialmente
modificato il punto 4, che viene così a prevedere che ogni bambino possa godere di tutti i benefici previsti
dai sistemi di welfare e di sicurezza sociale e di una formazione adeguata, e introdotti due nuovi punti:
5. Il fanciullo deve essere protetto ben al di là di ogni
considerazione relativa a razza, nazionalità.
6. è necessario prendersi cura del fanciullo con il dovuto rispetto
per la famiglia come entità.
La dichiarazione del 1948 afferma che “uomini e donne di tutte le nazioni, dichiarano e accettano come
proprio dovere di rispettare questi obblighi sotto tutti i punti di vista”.
Le Nazioni Unite adottarono e proclamarono la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
Successivamente cominciò ad acquisire crescente consenso il progetto di una Carta sui diritti dei
bambini a integrazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
L’assemblea generale delle Nazioni Unite approvò all’unanimità la Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo
il 20 Novembre 1959. la dichiarazione rappresenta un passaggio storico fondamentale sia per il fatto di
essere stata approvata all’unanimità sia perché
introduce il concetto che anche il minore è un soggetto di diritti.
Korczak, prospettò l’idea di una “Magna Charta Libertatis dei diritti dei bambini”.
La Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite istituì un working group per la stesura di una
Convenzione sui Diritti dei Bambini. Il working group operò dal 1980 al 1988, procedendo sulla base del
consenso fino a giungere alla stesura definitiva della Convenzione Si tratta di un testo giuridico ricco e
complesso, “che raccoglie all’interno dei suoi 54 articoli la globalità dei bisogni, dei desideri, delle attese
che sono parte integrante della condizione dell’infanzia e dell’adolescenza.
La CRC si configura come “il testo più diffuso e utilizzato a livello globale nel definire la retorica dei diritti
umani alle generazioni più piccole: riconoscimento dei bambini come soggetti sociali.
Il comitato ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza ha individuato quattro principi generali:
Principio di non discriminazione, che stabilisce che tutti i diritti sanciti dalla CRC si applicano a tutti i
bambini e ragazzi senza alcuna distinzione.
Principio del migliore interesse del minore, che stabilisce che il superiore interesse del minore deve
avere una considerazione preminente.
Diritto alla vita, alla sopravvivenza, allo sviluppo, in cui si va oltre il basilare diritto alla vita
garantendo anche la sopravvivenza e lo sviluppo.
Principio di partecipazione e rispetto per l’opinione del minore, che sancisce il diritto di bambine,
bambini, ragazze e ragazzi, di essere ascoltati e di vedere la loro opinione presa in debita
considerazione.
L’articolo 3 della CRC prevede che: in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni
pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi,
l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente.
Per semplificare la comprensione della Convenzione è possibile fare riferimento alla cosiddetta tripartizione
delle “3P”:
PROVISION: racchiude l’insieme dei diritti riconducibili all’accesso e alla disponibilità di
quei servizi e beni materiali che consentono di soddisfare i bisogni vitali (nutrimento, salute,
educazione, sicurezza).
PROTECTION: diritti di protezione del maltrattamento e negligenza e da ogni forma di
sfruttamento.
PARTICIPATION: diritto del bambino e del ragazzo a essere ascoltato e a partecipare attivamente
nei processi decisionali inerenti questioni che lo riguardano.
La convenzione, riconosce al bambino e all’adolescente la titolarità dei diritti civili, compresi quelli di
partecipazione ovvero di espressione delle proprie opinioni e di essere ascoltato in ogni procedura
giudiziaria o amministrativa che lo riguardi, e la titolarità dei diritti sociali, tra cui l’educazione,
l’informazione, la salute e l’accesso alle cure, il gioco, la sicurezza sociale.
La Convenzione riserva anche un’attenzione da parte degli Stati a diffondere e far conoscere i principi e le
disposizioni della Conversione stessa con mezzi attivi adeguati sia ai bambini sia agli adulti.
molto importante che la CRC preveda un preciso processo di monitoraggio relativo alla sua attuazione cui
gli Stati si devono attenere rigorosamente.
Il nucleo portante di questo processo di monitoraggio e valutazione è rappresentato dal Comitato ONU ,
che si riunisce a Ginevra per valutare il Rapporto governativo e il Rapporto supplementare, redatto ed
inviato dalle coalizioni di ONG sullo stato di attuazione della CRC.
Il comitato ONU invia ai governi una lista di argomenti in forma di domande per avere
chiarimenti in merito alle tematiche ritenute critiche. A questo punto, ogni governo deve rispondere alle
domande inviate dal comitato ONU per iscritto.
Il processo di valutazione si conclude con la pubblicazione da parte del comitato ONU di
un documento con cui rende noto il proprio parere sullo stato di attuazione della CRC nel Paese in
questione, evidenziando i progressi compiuti e i punti critici.
È possibile anche individuare quattro importanti dimensioni di influenze emerse dal processo di attuazione
della CRC:
La CRC ha costituito la cornice formale in cui legittimare, definire e qualificare i diritti dei bambini.
La CRC ha contribuito a consolidare l’emersione a livello internazionale di specifiche sfere
pubbliche sull’infanzia.
La CRC ha sostenuto la nascita e il consolidamento nella società civile di movimenti e associazioni
per la promozione dei diritti sia a livello internazionale sia a livello nazionale e locale. Processi di
traduzione delle norme della CRC a livello delle legislazioni e delle politiche
nazionali.
Le normative europee
Per quanto attiene la realtà europea esistono due ulteriori fonti normative che rappresentano punti di
riferimento essenziali in tema di diritti dei bambini e degli adolescenti:
CONVENZIONE DEL CONSIGLIO D’EUROPA SULL’ESERCIZIO DEI DIRITTI DEL FANCIULLO: si
riferisce come Convenzione di Strasburgo, ratificata dall’Italia con legge 77 del 2003, mira la protezione
degli interessi dei bambini e degli adolescenti, attraverso la promozione dei loro diritti, quali la custodia, la
residenza, l’adozione, la tutela.
In particolare, prevede una serie di misure che permettono ai minori di far valere i propri diritti e riconoscere
sia diritti di difesa azionabili dal minore coinvolto in un procedimento giudiziario, sia agli Stati formatori volti
a incentivare forme alternative ai procedimenti in sede giudiziaria.
L’articolo 13 della Convenzione prevede che “al fine di prevenire o di risolvere i conflitti, e di evitare
procedimenti che coinvolgano minori dinanzi ad un’autorità giudiziaria, le parti incoraggiano il ricorso alla
mediazione e a qualunque altro metodo di soluzione dei conflitti atto a concludere un accordo.
In Italia, a partire dagli anni Novanta è stato possibile promuovere lo “svecchiamento” della legislazione in
materia minorile e avviare “il passaggio da una concezione delle relazioni fra lo Stato e i minori all’insegna
dell’assistenzialismo paternalistico verso una concezione radicata sul principio dei diritti della persona
anche per il fanciullo.
La convenzione di Strasburgo valorizza la crescente autonomia dei soggetti in via di sviluppo, attraverso il
riconoscimento dei diritti processuali e l’esercizio della capacità di discernimento da parte del bambino.
CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA: viene proclamata a Nizza il 7 Dicembre
2000 e successivamente a Strasburgo in una versione adattata il 17 Dicembre 2007, con l’entrata in vigore il
1° Dicembre 2009 del Trattato di Lisbona ha acquisito il medesimo valore giuridico dei Trattati istitutivi
dell’Unione in tutti gli ordinamenti giuridici dei Paesi membri.
In particolare, l’articolo 24 della Carta proclama i diritti del bambino che sono, diritti fondamentali di tutti i
bambini europei:
I bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere
liberamente la propria opinione.
L’interesse del bambino deve essere considerato preminente.
Ogni bambino ha il diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i genitori, salvo
ciò sia contrario al suo interesse.
Inoltre, vengono riconosciuti il diritto all’istruzione e all’accesso gratuito alla scuola dell’obbligo,
all’uguaglianza come a tutti i cittadini e a non essere discriminati in base all’età; a non essere impiegati nel
lavoro minorile.
L’orizzonte europeo dei diritti dei bambini e degli adolescenti è confermato dal fatto che tutti gli Stati
membri del Consiglio d’Europa hanno ratificato la CRC.
L’approccio basato sui diritti nel lavoro socioeducativo con bambini, adolescenti e famiglie
vulnerabili
La CRC rappresenta uno degli elementi fondamentali che caratterizzano il Child and family
Welfare europeo.
La convenzione è diventata uno strumento di protezione dei bambini, di tutela dei loro diritti e di supporto nel
rafforzarli.
Un approccio basato sui diritti dei bambini, e sulla CRC in particolare, sta interessando diverse professioni
e diversi ambiti di intervento [ad esempio, si parla di approccio basato sui diritti di pediatria, con particolare
riferimento a questioni quali la violenza suoi minori, lo sfruttamento lavorativo].
La CRC può essere considerata anche come una cornice sociopolitica che evidenzia gli obblighi che il
pubblico, lo Stato e i servizi sociali in particolare, ha nei confronti dei bambini e dei loro genitori.
È importante considerare i diritti dei bambini come un “punto di partenza per il dialogo”.
Da un punto di vista sociopolitico non è importante soltanto definire quali sono i diritti dei bambini, ma
anche in che modo vengono realizzati i diritti dei bambini e dei genitori e il ruolo dello stato in questo
processo.
Si tratta di sviluppare una concezione della professionalità definita “sociopolitica” che non si limita alla
competenza tecnica, ma richiede anche la consapevolezza di essere “situati” all’interno di un contesto
influenzato dalle politiche sociali e da dinamiche territoriali.
La convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle Libertà Fondamentali riconosce il
diritto al rispetto della vita privata e familiare.Diritti e rovesci in cerca di conciliazione
Nella Convenzione sui Diritti del bambino e dell’Adolescente è sancito che la famiglia, definita unità
fondamentale della società e ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri, deve
ricevere la protezione e l’assistenza di cui necessita per poter svolgere integralmente il suo ruolo all’interno
nella collettività.
La CRC stabilisce:
Il diritto del bambino a essere allevato dei suoi genitori.
Il diritto del bambino a preservare le sue relazioni familiari.
Che il bambino non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che le autorità
competenti non decidano che questa separazione è necessaria nel migliore interesse del bambino.
Che il bambino deve essere tutelato contro ogni forma di violenza, di abbandono, di
maltrattamento o di sfruttamento.
La CRC sancisce:
Con i genitori hanno la responsabilità, il diritto e il dovere di dare al bambino e all’adolescente,
l’orientamento e i consigli adeguati all’esercizio dei diritti che gli sono riconosciuti dalla
Convenzione.
I genitori hanno una responsabilità comune per quanto riguarda l’educazione del bambino e il
provvedere al suo sviluppo.
Spetta ai genitori o ad altre persone che hanno l’affidamento del bambino la
responsabilità fondamentale di assicurare le condizioni di vita necessarie allo sviluppo del
bambino.
Si è quindi cominciato a considerare il bambino come soggetto in relazione con i suoi genitori e con i suoi
mondi vitali.
Tra gli operatori del settore è diffusa la convinzione che sia proprietario progettare e attuare interventi nel
contesto familiare e nell’ambiente della vita del minore. Non è pensabile isolare la condizione del minore
del suo sistema originario di vita.
ALLEN e PETR hanno identificato cinque principi fondamentali delle pratiche centrate sulla famiglia:
Prendersi cura della famiglia come unità di attenzione.
Stabilire una buona collaborazione tra famiglia e professionisti.
Rispettare le scelte della famiglia.
Valorizzare e costruire a partire dai punti di forza della famiglia.
Sviluppare servizi individualizzati (=flessibili e attenti alle specificità di ogni famiglia).
Il ruolo attivo che viene agito da tutti i componenti di una famiglia nelle interazioni con L’INTERVENTO
PROFESSIONALE di aiuto e di cura e che porta a una risignificazione dell’intervento stesso.
Il RUOLO DELL’OPERATORE contribuisce a modificare con la sua semplice apparizione sulla scena e a
cui offre l’opportunità di presentarsi rendendo visibile un’anima della famiglia. La possibilità di costruire
partnership con i genitori richiede l’assunzione di un approccio negoziale. Risulta fondamentale costruire
comunicazioni il più possibili chiare e realistiche in merito
a motivazioni e obiettivi dell’intervento.
La scelta di chiarezza consente:
di diminuire l’ansia del genitore di fronte all’incertezza e di aiutarlo nel fare i conti con la realtà dei
fatti.
Può proteggere almeno parzialmente il bambino dal sentirsi responsabile dell’intervento di tutela
nei riguardi della sua famiglia.
Opportunità di attivare trasformazioni a partire dalle concrete difficoltà che sperimentano.
L’aiuto e il sostegno alle famiglie vulnerabili dovrebbe individuare all’interno e introno al sistema
familiare le risorse e i punti di forza.
Al centro della progettazione, della messa in atto dell’intervento, della rielaborazione dei
propri agiti professionali è la persona cui ci si rivolge è un lavoro che implica una partecipazione attiva e
consapevole dei membri della famiglia.
L’orientamento a tenere la famiglia al centro dell’intervento vive nella ricerca di un soddisfacente equilibrio
tra protezione del bambino e salvaguardia della famiglia, tra la promozione di azioni “nel miglior interesse
del bambino” e il riconoscimento dei diritti genitoriali.
Trovare un equilibrio tra diritti dei bambini e diritti dei genitori non è una questione
semplice: fatica vissuta dagli operatori sociali che si trovano combattuti tra la consapevolezza
dell’importanza della famiglia e dei genitori per un bambino.
sono le capacità e la sensibilità del professionista preparato ed esperto che devono guidare
l’interpretazione e la comprensione di ogni singola situazione.
La definizione dell’intervento giusto per una certa famiglia (=PROGNOSI) emerge dalla relazione tra
operatore e genitore vulnerabile.
La valutazione assunta in questa prospettiva appare in linea con una progettazione sociale che formi gli
operatori a una relazione con gli utenti che abbia maggiore flessibilità.
Il COMPITO DELL’EDUCATORE nel trovare la propria posizione si concretizza in una duplice attenzione:
marcare la differenza e far sentire la vicinanza.
Il compito dell’educatore si concretizza in una duplice attenzione:
Marcare la differenza: se vuole mantenere la sua identità, per l’educatore, segnare il confine è una
necessità, perché senza distinzione non c’è identità.
Fare sentire la vicinanza: la possibilità di produrre trasformazioni nei contesti familiari passa
attraverso la costruzione di relazioni di vicinanza e di fiducia.
Nascono nuove visioni della professionalità che propongono di gestore la relazione in riferimento a una
gamma di opzioni individuabili su un continuum vicinanza-coinvolgimento/distanza-separazione tra cui
l’operatore può scegliere sulla base del proprio expertise e delle proprie competenze.
Concezione della professionalità che fa perno sulla capacità di riflettere nel corso dell’azione, di confrontarsi
con situazioni impreviste, inedite, sorprendenti, incerte, aprendo un’indagine che costruisce le condizioni
per “passare da una situazione problematica all’elaborazione di possibili corsi d’azione attraverso una
costante transizione tra il fare e il pensare”.
Diversi autori identificano i fattori di successo di un buon rientro in famiglia di un bambino allontanato: un
buon attaccamento tra bambino e genitori naturali; la motivazione dei genitori al cambiamento e a chiedere
aiuto; la durata dall’allontanamento inferiore a un anno.
L’attenzione progettuale e relazionale di sostegno nei confronti dei genitori di un bambino allontanato ha
necessariamente caratteri multidimensionali che investono: spazi di interventi sociale, psicoterapia
individuale o familiare, spazi neutri e di incontri protetti.
La ricostruzione dei genitori passa per quattro aree di cambiamento e di apprendimento:
Supportare il proprio figlio.
Chiedere e pretendere aiuto.
Lottare per una vita normale nella quotidianità.
Mantenere la stima di sé.
L’allontanamento di un bambino può essere vissuto come una rottura su due livelli:
Rottura della cura genitoriale nei confronti del bambino e, quindi della relazione quotidiana tra
genitori e bambino.
Rottura della relazione tra genitori e servizi diurni, territoriali e domiciliari.
La rottura può essere letta anche come “sfondamento verso” o come punto di svolta.
Il processo entra in una nuova fase, che comporta, da una parte, una minaccia al proprio essere
genitori e, dall’altra segna l’inizio di una lotta per ottenere aiuto dei servizi e ricostruire una
relazione supportiva con il proprio figlio.
La logica del coinvolgimento parte dei genitori e da quella loro cultura per confrontare e discutere
atteggiamenti, comportamenti, idee e valori. in tal modo si passa da un modello di genitori considerati come
dei ricettori passivi a un modello di genitori produttori del proprio sviluppo e di sostegno ai loro pari e alla
comunità.
Alcuni modelli emersi negli ultimi decenni, incentrati sul coinvolgimento dei genitori:
FAMILY GROUP CONFERENCES: si configurano come modello di intervento per lavorare
con le famiglie. Le FGC favoriscono la diretta partecipazione delle famiglie al processo di decisione in
merito alle concrete soluzioni che possano garantire la protezione e la cura del minore.
Le famiglie hanno il diritto di partecipare alle decisioni che le riguardano dove sono in pericolo le libertà dei
singoli e della famiglia e la loro libertà di scelta, è allora che lo stato deve fare il massimo sforzo per
assicurare una forma autentica di partecipazione e di coinvolgimento.
Il modello FGC nasce in Nuova Zelanda alla fine degli anni Ottanta, come risposta positiva alla
rivendicazione dei gruppi familiari Maori, che richiedevano una maggiore sensibilità interculturale al sistema
di tutela minorile neozelandese e un maggiore coinvolgimento dei genitori.
Oggi il loro utilizzo si sta estendendo anche nel nostro paese.
Le riunioni di famiglia assumono la forma di un incontro tra i componenti della famiglia e altri soggetti per
essa significativi.
L’obiettivo di una riunione di famiglia è definire un progetto d’intervento per la tutela del minore in
situazione di pregiudizio.
L’incontro è preparato e gestito da un facilitatore, cioè una figura professionale esterna al procedimento
tutelare e penale.
Sia il bambino o il ragazzo, sia la famiglia possono essere affiancati da un operatore di advocacy, che ha il
ruolo di dare voce ai loro pensieri e opinioni in merito alle decisioni che verranno assunte.
Si è riscontrato che le FGC agevolano il raggiungimento di alcuni importanti risultati:
Promuovo l’assunzione di responsabilità da parte della famiglia.
Rendono partecipe il bambino nel processo decisionale
Migliorano la collaborazione tra i servizi e la famiglia.
Fanno registrare risultati efficaci.
RECONNECTING FAMILIES: Sulla spinta di una revisione critica degli allontanamenti si
sviluppano anche pratiche di coinvolgimento delle famiglie di origine nei percorsi di figli allontanati.
Successivamente negli anni Novanta si incomincia a parlare di family reunification, come un processo
dinamico per rispondere alla globalità dei bisogni dei bambini e dei ragazzi e delle loro famiglie,
mantenendo e promuovendo il raggiungimento tra bambini e famiglie nel sistema di parentela.
Si può definire un processo programmato che mira a realizzare il miglior livello possibile di
ricongiungimento con la propria famiglia d’origine di bambini accolti fuori famiglia in affido o in accoglienza
residenziale, attraverso l’azione coordinata di differenti servizi di sostegno rivolte a ciascuno dei soggetti
coinvolti.
I principi fondamentali su cui si basa la riunificazione familiare sono:
L’idea che la famiglia naturale è il miglio posto in cui un bambino possa crescere.
Il riconoscimento che la maggior parte delle famiglie hanno le potenzialità per prendersi
cura dei propri figli.
La consapevolezza dell’impatto della separazione e della perdita sui bambini e suoi
genitori.
Il coinvolgimento di altri membri della famiglia allargata o di persone che per il bambino fanno parte
del suo sistema familiare.
Si tratta di sostenere un processo che, permetta di ra fforzare o conservare i legami familiari, per quanto si
debba specificare che non tutti i genitori riescono a riappropriarsi pienamente del loro ruolo, ma che questo
non deve precludere la possibilità di mantenere i rapporti con il bambino e soprattutto il senso di
appartenenza del bambino al suo nucleo.
gli incontri genitori-figli costituiscono il cuore della riunificazione familiare.
PARTENARIAT: mira alla mobilitazione delle competenze genitoriali attraverso lo sviluppo di una
comunicazione bidirezionale fondata sulla fiducia reciproca e sulla cooperazione.
Educare lo sguardo alla ricerca delle capacità di resistenza, dei fattori di resilienza, dei punti di forza,
della bellezza:
Lo sguardo pedagogico è aperto alle possibilità che si danno nel presente e nel futuro, elicita il desiderio e
sostiene le potenzialità, si fonda su una visione storica e aperta alla speranza, ricerca potenzialità su cui
costruire progetti di trasformazione —> le ricerche e analisi che identificano i fattori di rischio e le cause di
patologia sono insoddisfacenti a fondare gli interventi socioeducativi.
Antonovsky si è focalizzato sulla genesi della salute, gli esiti identificano due concetti fondamentali:
Il concetto di Risorse Generali di Resistenza: proprietà delle persone, di gruppi o dell’ambiente, che
consentono di fronteggiare positivamente agenti o situazioni stressanti.
Il concetto di Senso di Coerenza si basa su:
Possibilità di comprensione: il soggetto conosce e comprende il mondo in cui vive, gli avvenimenti e
le persone chen incontra
Possibilità di gestione: il soggetto ha fiducia nelle sue capacità di far fronte alle difficoltà
Possibilità di attribuire significato: la capacità di dare un significato agli eventi critici
Ability to cope: fiducia in se stessi in termini di comprensione, gestione e attribuzione di senso —>
elemento di genesi della salute, è una abilità o competenza dinamica e situazionale.
Importante per la riflessione sulla resilienza (Milani e Ius) l’orientamento salutogenico —> prospettiva
trasformativa che orienta l’attenzione verso processi che favoriscono le possibilità di evoluzione positiva.
Lavorare alla ricerca della salute significa pensare e offrire storie = proporre e occasionare nuove
punteggiature e versioni della realtà che vanno ad arricchire, integrare, rimodellare le versioni iniziali,
statiche, chiuse su se stesse.
Contributo più significativo di Froma Walsh: capacità di riprendersi e di uscire più forti e pieni di nuove
risorse dalle avversità, processo attivo di resistenza, di autoriparazione e di crescita in risposta alle crisi e
alle difficoltà della vita. La resilienza fa si che le persone risanino le loro ferite dolorose, assumano il
controllo della propria esistenza e riprendano a vivere e ad amare pienamente.
—> si coglie il valore antideterministico che riconosce alle persone un potenziale positivo di evoluzione e
recupero, in modo da riprendere nelle proprie mani la costruzione del proprio futuro.
I tutori di resilienza:
La teoria dell’attaccamento ha rappresentato un punto di riferimento per lo sviluppo del concetto di
resilienza. Negli ultimi si registra un ampliamento dell’attenzione della ricerca sull’attaccamento, o meglio
parliamo di attaccamenti multipli: sistema di relazioni tra il bambino e gli adulti significativi nel suo ambiente
e storia. Il bambino ha altre opportunità di attaccamento di cruciale importanza con altre figure adulte —>
tutor di resilienza= adulti, educatori, insegnanti, genitori affidatari che divengono “sofiattori d’anima”
riuscendo a ripristinare delle condizioni che consento a questi bambini di vivere una vita buona.
Caratteristica principale dei turo di resilienza: aver elaborato e saper utilizzare una grammatica
della relazione ovvero —> Accogliere, dedicare tempo, riconoscere e conoscere
Offrire una presenza stabile e duratura nel tempo
Valorizzare, stimolare le capacità e le curiosità
Permettere le domande
Ascoltare con empatia, dialogare, permettere il racconto
Rendere possibile ri-costruire la storia
Costruisce e propone un ansi
Raccontare storie
Sostenere il tutoraggio fra bambini
Agire nei contesti informali e formali di vita dl bambini
Affiancare
Coinvolgere il più possibile gli altri
Lavoro sui giovani fuori famiglia che intraprendono la strada dell’autonomia, vi sono una serie di fattori
protettivi:
Stabilità e sicurezza percepite: possibilità di mettere radici —> Sicurezza come stabilità garantita nella
quotidianità e di vivere relazioni durevoli e significative con almeno una delle figure genitoriali o con
qualche altro parente
Continuità e supporto sociale nella fase successiva alla conclusione del percorso di accompagnamento in
affido o in
comunità.
Sperimentazione di un attaccamento sicuro ad un caregiver della realtà di
accoglienza Formazione di un’identità definita —> produce autostima
Capacità di convivere con la propria storia personale: dare un significato al proprio
passato Acquisizione di efficacia personale
Ricerca e sostegno dei talenti
Supporto nelle scelte
Costruzione di una rete sociale di sostegno
La resilienza nei percorsi di autonomia affonda le radici nei buoni accompagnamenti sviluppati nelle realtà
di accoglienza precedenti (a misura di ragazzo). Obiettivo: rendere più resilienti bambini e ragazzi
adottando un approccio basato sulla promozione delle capacità dei minori stessi di riconoscere i propri punti
di forza e le proprie qualità positive e di migliorarli il più possibile.
Modello proposto da Sarig, che lavorò in alcune comunità di sfollati in Israele, è costituito da alcune
componenti:
Senso di appartenenza all’organizzazione
Possibilità di esercitare il controllo sulle situazioni, attraverso l’esistenza di organizzazioni formali
e informali Guardare alla criticità come possibile sfida
Guadagnare una prospettiva ottimistica
Sviluppare abilità e tecniche
Coltivare valori e credenze
Valorizzare il sostegno sociale
Lo spostamento del focus dai problemi delle persone alle loro risorse:
Sguardo positivo, gli utenti sono visti come portatori di talenti unici, di risorse, di competenze, di esperienze
di vita e di bisogni insoddisfatti.
L’incapacità delle persone ad affrontare i problemi è la prospettiva che spesso gli operatori sociali hanno sui
propri utenti.
Tuttora nella letteratura internazionale riferita alle pratiche di lavoro socioeducativo vi è una indifferenza per
la valorizzazione dei punti di forza.
Saleeby sottolinea la disfunzionalità di una condotta professionale che, proponendo uno sguardo orientato
alla ricerca di ciò che non funziona, sottolinea le inadeguatezze dell’utente e i dubbi relativi alle capacità di
affrontare con successo eventi critici —> gli atteggiamenti difensivi degli utenti sono reazioni autoprotettive
al minaccioso approccio dell’operatore.
I quattro assunti di base dell’approccio fondato sui punti di forza:
Ogni persona possiede punti di forza che può utilizzare per migliorare la propria situazione. Gli
operatori devono rispettare questi punti e le direzioni in cui gli utenti vogliono spenderli
La motivazione degli utenti è sostenuta da una significativa enfasi sulla valorizzazione
dei loro punti di forza
Scoprire i punti di forza richiede un processo esplorativo basato sulla cooperazione tra
operatore e utente
Porre l’attenzione sui punti di forza concento all’operatore di non cadere nella tentazione di
colpevolizzare gli utenti. Caratteristiche dello strenght-based approach: orientamento all’obiettivo,
valutazione dei punti di forza, considerare le risorse dell’ambiente, utilizzo di specifici strumenti per
identificare i punti di forza, promozione di scelte significative.
Lavorare nella convinzione che nei bambini e nelle famiglie la bellezza esiste sempre:
1)Gli operatori sociali hanno il compito di cogliere la bellezza e la forza dei bambini che accompagnano e di
provare a mostrarla anche a loro, perchè possano prenderne coscienza e da essa trarre forza, fiducia e
autostima. La bellezza può essere considerata a pieno titolo come criterio esplicativo della vita e la
progettazione dell’intervento deve tenere in considerazione la dimensione estetica.
Si tratta di forgiare dentro di sé una “postura mentale, una scelta dello sguardo, una sorta di epistemologia
o meglio di estetica del lavoro di cura con le famiglie e con le oro storie”. È l’azione di ricerca in sé ad
essere estetica, bellezza come accadimento auto-riflessivo, che è in relazione a noi e ci parla anche di noi.
Problema rilevante del pensiero occidentale: scissione mente e corpo.
inglese. Questo permette di renderli partecipi delle scelte progettuali e di intervento che li riguardano, sia
per rispettarne i diritti, sia per guadagnare efficacia.
Favorire la visibilità sociale dell’agency dei bambini nelle esperienze di vita e nei processi di socializzazione
La sociologia dell’infanzia ha consentito l’emersione della visibilità sociale dell’agency dei bambini nelle
esperienze della vita quotidiana e nei processi di socializzazione, soprattutto nella situazioni caratterizzate
da normalità.
Il concetto di agency dei bambini rappresenta il riconoscimento del ruolo intenzionale e attivo che essi
svolgono nella costruzione dei contesti sociali della loro quotidianità. La loro agentività è la capacità di agire
in modo intenzionale, ciò significa anche riconoscere che essi sanno elaborare un pensiero e una visione
del mondo, sanno esprimere preferenze e sanno anche scegliere.
Emergono importate spunti per sviluppare sul piano operativo una pedagogia dell’ascolto e dell’attenzione
alla prospettiva dei bambini e per rinforzare ulteriormente quegli approcci del lavoro sociale ed educativo
che optano per il coinvolgimento e la partecipazione.
Il nesso tra la partecipazione come potenziamento della protezione e i movimenti per i diritti degli
utenti
Due processi che hanno investito il sistema dei servizi di welfare nei paesi anglosassoni nella sua
generalità e che stanno espandendo la propria influenza in tutti i paesi occidentali:
“Nuovo consumerismo”, anni 80, sostenuto dalle politiche dei governi conservatori
anglosassoni Movimenti per i diritti umani, anni 60/70
Rimane valida l’acquisizione da parte degli utenti dei servizi sociali e socioeducativi di alcuni diritti propri del
consumatore, quali l’accesso alle informazioni raccolte nelle proprie schede personali, la possibilità di
sporgere reclami sulla qualità di servizio, la partecipazione nei processi decisionali che li riguardano,
l’essere coinvolti nei processi di assesment.
2)Movimento per i diritti dei bambini, nato negli anni Sessanta negli USA e in Gran Bretagna come
movimento di emancipazione di un gruppo sociale oppresso; è attivato per consentire una
rappresentazione del bambino come soggetto titolare di diritti civili e per realizzare la possibilità di
esercitarli autonomamente.
Necessità di una ricerca di equilibrio tra una posizione che enfatizza l’eccesso di diritti che sovrastima le
capacità di autodeterminazione dei bambini e una posizione che esaspera il bisogno di protezione. —> si
consolida l’idea di bambino come soggetto vulnerabile ma competente.
La realtà odierna delle migrazioni è differente da quella esistita fino a qualche decennio fa. L’esperienza
della migrazione viene vissuta come investimento temporaneo, orientato ad accumulare risorse e inviare
rimesse ai familiari rimasti nel paese d’origine —
> esperienza dello straniero. Lo stato nazionale esige lealtà dai suoi cittadini ma dall’altra lo straniero non
si sente obbligato in questo senso.
Multiculturalismo sul piano della convivenza sociale: rivendicare un riconoscimento politico ufficiale della
pluralità culturale e un trattamento pubblico equo di tutte le collettività culturali —> costruire pazzi pubblici
reali e concreti dove l’incontro, lo scambio, il confronto e l’integrazione si possano manifestare come
elementi dinamici di convivenza civile e di sviluppo territoriale.
L’integrazione o l’esclusione degli immigrati è direttamente correlata alle politiche pubbliche di accoglienza,
inserimento e cittadinanza (dimensione locale fondamentale).
L’alterità è il necessario completamento dell’identità. Ogni comunità implica clausura, un raccogliersi
assieme che è anche un escludere.
Concezione di confine da intendersi come spazio di incontro, in cui possano essere rappresentate le
diversità.
Sguardo storico: realtà caratterizzata dalla vitalità ed estrema infinita diversità delle creazioni umane.
Rapporto tra individualità e cultura: gli individui entrano in contatto tra loro, la cultura è un’astrazione. Gli
individui non esistono mai e in nessun luogo in modo totalmente autonomo. Non bisogna dimenticare il
contesto sociale e storico che influisce sulle personalità individuali.
Il compito della pedagogia interculturale è quello di interpellare la diversità, superando il dilemma tra
universalismo e relativismo verso una nuova sintesi, si tratta di un approccio ermeneutico che permette una
comprensione in profondità dei significati attribuiti alla cultura, in una dimensione dinamico-dinamico-
escatologica tesa a realizzare l’incontro. Il compito vive il paradosso di tendere, da una parte, alla
conservazione dei significati culturali della persona e, dall’altra, al suo cambiamento.
L’obiettivo consiste nel riconoscere la dimensione culturale di ogni educazione introducendo il rapporto con
l’Altro nell’apprendimento —> sceglie la prospettiva personalista, tesa a valorizzare le persone nella loro
singolarità e globalità (specificità identitarie, cultura di appartenenza, cambiamenti e trasformazioni).
L’incontro avviene tra persone e deve preventivare un atteggiamento di dialogo e di apertura.
Propositi: impedire una fissazione rigida delle identità contrapposte, restituire densità e complessità
all’interpretazione degli eventi, collaborare alla costruzione della convivenza a livello globale e all’interno
della società.
Famiglie migranti: la migrazione è un atto che richiede coraggio, è un esilio, un evento complesso,
ambiguo, profondamente umano, che coinvolge la persona nella sua interezza e tutta la sua famiglia. La
famiglia migrante è chiamata a confrontarsi con sfide molto impegnative. L’idea stessa di genitorialità e le
sue pratiche subiscono un forte travaglio e producono vulnerabilità: la scelta di generare un figlio nel Paese
d’immigrazione, il confronto tra le rappresentazioni di una buona genitorialità del Paese d’origine e del
Paese d’elezione rende i genitori insicuri e li fa sentire giudicati, l’andare incontro a una gravidanza senza il
sostegno della propria madre, il doppio compito della mamma che deve trasmettere un patrimonio di
conoscenza che padroneggia in parte e presentare al bambino un mondo esterno che lei stessa non
conosce e di cui ha timore.
Non è corretto chiudere l’alto nella sua cultura d’origine ma occorre tenere in considerazione la
multidimensionalità dell’esistenza degli esseri umani (anche fattori economici, sociali, politici, religiosi,
relazionali).
Difficoltà e punti di forza della doppia appartenenza dei figli di famiglie immigrate:
I momenti in cui questa vulnerabilità diviene maggiormente esplosiva sono il periodo neonatale, l’ingresso
nel mondo della scuola e l’adolescenza. Concetto di iperselezione a cui sono sottoposti i figli degli
immigrati= serie di ostacoli aggiuntivi che essi devono affrontare sulla strada dell’integrazione sociale.
Le deformazioni dell’altro:
Etnocentrismo= tendenza naturale a interpretare le differenze culturali a partire dai propri modelli culturali e
dai propri valori di riferimento, identificando i propri riferimenti quali misura di tutte le altre culture. L e forme
di etnocentrismo introducono gerarchie di valore delle culture che vengono osservate, considerando la
propria migliore dell’altra. Questioni rilevanti che si propongono delle pratiche professionali:
La concezione e il ruolo della donna (parità e uguaglianza- inferiorità e sottomissione)
Il rapporto con il sacro (laicità- religioso e magico nel quotidiano)
La concezione del tempo (progresso - tradizione)
I modelli di educazione dei bambini (concezione liberale moderna- concezione tradizionale rigorista)
I diritti dei bambini
Appare necessario assumere un approccio centrato sulla ricerca di un equilibrio dialogico. Un eccesso di
relativismo culturale configgerebbe con l’obiettivo di protezione del minore e scegliere di muoversi in una
direzione univoca, improntata all’universalismo, genererebbe situazioni di conflitto, mancanza di
riconoscimento e non proporrebbe esiti positivi.
Esotismo= minimizzazione delle differenze e riconoscimento forzato; l’altro viene valorizzato in modo
acritico, idealizzato, mitizzato, a partire da una insoddisfazione connessa alla cultura di appartenenza, si
tratta di una costruzione soggettiva autoreferenziale dell’altro che rimane inaccessibili perchè l’osservatore
non è realmente interessato a entrare in contatto. È una forma distorta di accesso alla realtà dell’altro, si
fonda su un’ideologia ugualitaria e universalistica; pur basandosi su un’idea positiva della diversità,
nasconde un rifiuto della differenza.
Le due strategie, pur muovendo da un desiderio di rispetto di apertura all’altro e di rifiuto dei pregiudizi,
divengono ostacoli a un suo riconoscimento.
Minimizzare le differenze comporta il rischio di diventare indifferenti, di non vedere le differenze
effettivamente esistenti e di non riconoscere l’altro nella sua identità
La valorizzazione della cultura dell’altro gruppo nasce da un atteggiamento che vuole contrapporsi a
modalità di rifiuto della diversità, il capovolgimento: fa perno sulla costruzione di un’immagine positiva
dell’altra cultura, fondata sulla svalorizzazione della propria
—> Esito: impossibilità di trovare uno spazio di incontro e confronto autentico.
Riconoscimento forzato: tentativo di attribuire all’altro caratteri della sua cultura di appartenenza che egli
non ritiene di possedere o che rifiuta —> incapacità di riconoscere la natura soggettiva dell’appartenenza
culturale e la molteplicità di appartenenze di ciascuno.
6. Le competenze interculturali
Un approccio interculturale può essere pensato e agito anche attraverso il possesso di competenze
interculturali. L’approccio culturale è di tipo comprensivo, basato su aspetti dinamici e soggettivi della
cultura e sullo sfondo della cittadinanza intesa come paradigma di piena appartenenza a un contesto
social, nell’obbiettivo di costruire la coesione sociale. Sviluppare negli operatori una vera a propria
competenza: capacità di leggere, analizzare e interpretare situazioni interculturali particolari e di affrontare
e risolvere conflitti.
Competenza interculturale:
Capacità di interpretare gli atti di comunicazione intenzionale e non intenzionale e i costumi di una persona.
L’accento è posto sull’empatia e la comunicazione.
Obiettivo: prendere coscienza che, a partire dalla propria cultura, le persone fanno delle supposizioni a
proposito dei comportamenti e delle credenze delle persone di altre culture.
Capacità che permette di saper analizzare e comprendere le situazioni di contatto tra persone e gruppi
portatori di culture differenti di saper gestire queste situazioni.
Insieme dinamico di conoscenze e abilità, indicando una padronanza assunta in determinai ambiti
professionali —> qualità del fare= sapere interiorizzato connesso a capacità di analizzare e interpretare
situazioni particolari. Milena Santerini identifica tre livelli di competenza centrati sul:
Sapere e saper pensare
Saper essere
Saper fare: le competenze esistono in azione
Le competenze culturali nel lavoro di ricerca sono tre:
Riconoscere e valorizzare le differenze: capacità di aprirsi alla
diversità Ridurre i pregiudizi
Costruire orizzonti condivisi: capacitò di promuovere il dialogo, gestire i conflitti
Un parallelo con “La via italiana per la scuola interculturale e per l’integrazione degli alunni stranieri”:
Anche i servizi sociali e socioeducaivi devono adottare una prospettiva interculturale che informi gli
interventi nella loro complessità.
Documento del Ministro dell’Istruzione: “è necessario assumere la diversità come paradigma dell’identità
stessa della scuola, occasione privilegiata di apertura a tutte le differente"—> i servizi del CFW devono
muoversi nella stessa direzione, favorendo l’integrazione e promuovendo l’interazione interculturale e il
riconoscimento delle specificità personali.
Le linee di azione che caratterizzano il modello di integrazione interculturale della scuola sono riconducibili a
tre macroaree:
integrazione, interazione interculturale e attori/risorse che possono rappresentare un riferimento analogico
per il CFW.
Le azioni per l’integrazione sono strategie che mirano a garantire la parità dei diritti dei bambini e ragazzi:
Forte collaborazione con la scuola
Valorizzazione delle identità personali
Pratiche di accoglienza
Le azioni per l’interazione interculturale sono inerenti alla progettazione e gestione sociale e
pedagogica Relazione con le famiglie straniere e orientamento
Relazioni a scuola e nel tempo extrascolastico
Interventi sulle discriminazioni e sui pregiudizi
Valorizzazione delle competenze interculturali dei bambini e dei ragazzi di seconda generazione
Le azioni che hanno a che fare con gli aspetti organizzativi del CFW raccolgono temi e questioni di differente
livello:
Le reti tra servizi del CFW, autorità giudiziaria, istituzioni scolastiche, società civile e
territorio Il ruolo dei dirigenti e coordinatori. Il ruolo del personale operativo.
L’assunzione di una prospettiva interculturale nei servizi socioeducativi può trarre giovamento anche dalle
suggestioni che derivano dal concetto di cultural safety —> = è un outcome, un esito, che registra il rispetto
e l’attenzione a valori, stili di vita, modelli familiari e prospettive differenti dell’utenza.
Indicatori di cultural UNSAFETY: bassa fruizione dei servizi disponibili, la reticenza nelle interazioni con i
professionisti, le esplosioni di collera, la bassa autostima, le lamentele circa la mancanza di adeguatezza
culturale degli strumenti e degli interventi nel passaggio tra cultura dominante e culture minoritarie.
Concentrarsi sulla valutazione della cultural safety e sugli indicatori che ne evidenziano l’assenza o
l’inadeguatezza può restituire a un servizio socioeducativo elementi di riflessione e indicazioni per la
propria trasformazione.
Alla parola ricerca corrisponde il significato di attività che ha per fine un ritrovamento o un’acquisizione
scientifica. Il significato di ricerca conduce a un processo e un’attività caratterizzati da una tensione verso
l’obiettività e da un’intenzionalità orientata all’elaborazione di nuove conoscenze, si tratta dell’esplorazione
dell’ignoto.
—> Appare evidente che ricerca e valutazione possiedono un proprio autonomo statuto ma, è ugualmente
evidente che i punti di convergenza siano notevoli e che entrambe mirano a produrre nuove conoscenze e
a esprimere giudizi fondati, seppure con finalità differenti.
Problematicità del concetto di qualità: ne viene denunciato l’uso eccessivo. La parola qualità presenta una
varietà di significati:
Nozione bla quale sono ricondotti gli aspetti della realtà suscettibili di classificazione o di
un giudizio L’insieme delle caratteristiche estrinseche e intrinseche
Coefficiente di riferimento cui riportare il comportamento di un prodotto
La qualità prende forma nella dialettica con il concetto di quantità, va letta in termini complementari e
integrativi.
Formare gli operatori in direzione di una competenza ermeneutica e riflessiva diviene risorsa strategica per
realizzare la qualità dei servizi.
Quali rischi nell’adottare nel welfare modelli di valutazione affermatisi in ambito industriale:
Nell’ambito dei servizi socioeducativi per bambini, adolescenti e famiglie vulnerabili hanno avuto una forte
influenza logiche e modelli di valutazione derivanti dalla cultura della qualità affermatasi in ambito
industriale. La qualità, in questo caso, corrisponde alla razionalizzazione dei processi, all’identificazione di
responsabilità definite e alla conformità a standard predefiniti. —> Rischio derivato da questa assunzione:
E’ frequente riscontrare una deriva burocratica da parte degli operatori sociali nell’adempiere alle richieste
dei sistemi di certificazione della qualità, questo comporta una scarsa ricaduta in positivo sul miglioramento
delle pratiche professionali e sull’innovazione
Gli strumenti valutativi messi in atto spesso non colgono i processi produttivi più significativi che
caratterizzavano ambiti professionali incentrati su aspetti relazionali complessi e su trasformazioni personali
delicate e non lineari.
Scarsa capacità degli organismi pubblici di sviluppare metodi di analisi dell’efficacia dell’intervento sociale
In contesti dove non esiste o è limitata la possibilità di scelta relativamente all’organizzazione che eroga un
servizio, l’assenza di un mercato regolato da opzioni degli utenti, rischia di privare di senso i processi di
certificazione di qualità.
Una visione della qualità di ispirazione aziendale e industriale non è adeguata alla valutazione delle
politiche sociali nel loro complesso.
Sanderson evidenzia la contrapposizione esistente tra due diverse rappresentazioni del concetto di qualità:
Una fa riferimento ai livelli di servizi attualmente raggiunti, al controllo cui vengono sottoposti e al
conseguente vantaggio di cui possono godere gli utenti
Dall’altra emerge una rappresentazione di qualità più ampia, che prende forma in relazione ai bisogni e alle
domande della popolazione e che chiede di essere misurata in relazione alla capacità delle politiche e dei
servizi di allocare risorse adeguate e di individuare soluzioni e risposte efficaci.
persone a rischio di esclusione sociale, cambiamento del modo di interpretare la normalità, promozione del
cambiamento sociale.
Gli indici di qualità corrispondono alle categorie logiche cui si rifanno i modelli classici: struttura, processo
(=accoglienza), esito.
Questo modello costituisce un marchio che qualifica e certifica uno specifico stile di organizzazione e
gestione dei servizi alla persona.
Debolezze: non riesce di sostituirsi in modo pieno, ma alternativo ai modelli di certificazione di derivazione
industriale, dall’altra appare troppo debitore a questi stessi modelli in merito a impostazione, struttura e
contenuti.
La valutazione
La necessità della valutazione discende dal dovere di rendere conto agli utenti dei servizi di ciò che viene
fatto e di garantire efficienza gestionale, utilità e risparmi di spesa alla committenza. Scopo della
valutazione: riunione della complessità decisionale.
Teorie e pratiche
Negli ultimi anni si stanno affermando orientamenti epistemologici che privilegiano la ricerca centrata sulla
pratica professionale minuta, che valorizza la pratica come ambito di costruzione della conoscenza,
ricostruendo una connessione tra teoria e azione. Si cerca di valorizzare la peculiarità della conoscenza
pratica. Si trova una crescente attenzione riservata alla Evidence-based practice e alla professionalità
riflessiva.
Evidence-based practice:
Mira a fare delle evidenze empiriche derivate dalla ricerca sperimentale il fondamento delle pratiche di
lavoro socioeducativo. Questo approccio si è originato in ambito medico e infermieristico. Solo agli inizi
degli anni 90 che in Europa viene introdotto l’uso del termine evidence-based pratice, con cui si intende
un’evidenza empirica, derivata dalla ricerca scientifica, che diviene il fondamento per una pratica che
meglio garantisce il benessere degli utenti e mira alla predittività.
È nota l’inadeguatezza di un tale paradigma scientifico che si rivela nel momento in cui viene applicato a
contesti dinamici e complessi, come quelli socioeducativi.
Critiche all’approccio: la definizione di esito positivo e la sua misurazione sono fortemente influenzate da
valori e visioni di chi imposta la ricerca. La propensione anglosassone a definire programmi caratterizzati
da protocolli fissi e rigidi non è adeguata a contesti locali differenziati e non è accettata nei paesi
dell’Europa continentale. Viene posta un’enfasi eccessiva sull’utilizzo di metodologie quantitative a
discapito di metodi qualitativi ed ermeneutici. Si dedica poca attenzione alle dinamiche relazionali.
—> Pare necessari riorientamento l’approccio basato sulle evidenze, indirizzarlo verso un orientamento
pluralista, capace di integrare contributi metodologici plurali ed ecologici. Si auspica che venga concesso
un maggiore spazio alla ricerca di impronta pedagogica, per la sua tradizione di attenzione al soggetto nella
sua globalità e alle dimensioni esistenziali, quotidiane, relazionali, contestuali e che vengano valorizzati i
metodi qualitativi.
La professionalità riflessiva:
La ricerca centrata sulla pratica ha lo scopo di creare una relazione riflessiva tra le pratiche professionali
situate, esperite in differenti contesti, e le teorie pedagogiche, sociali, psicologiche. Il cuore della ricerca
entrata sulla pratica è la co-costruzione della conoscenza e l’orientamento a produrre cambiamento.
La svolta riflessiva propone una epistemologia della pratica che permette di riconoscere i processi e i modi
attraverso i quali la pratica costruisce conoscenza.
—> Si affermano un orientamento situazionale e costruttivista della conoscenza e la condivisione verso un
concetto di pratica come contesto generatore di saperi situati, localmente costruiti. La produzione di
conoscenza è possibile attraverso l’attivazione di dispositivi riflessivi nella pratica= attività culturale creativa
dove non è riscontrabile separazione tra pensiero e azione.
La conoscenza che si produce nella pratica è una conoscenza locale; viene riconosciuto e valorizzato il
ruolo della riflessione nel corso dell’azione. Accanto alla riflessività, assume un’importanza crescente la
teoria trasformativa che ha il suo focus principale nella ricerca della giustificazione delle ragioni per cui si
verifica un apprendimento.
Esplicitiamo il processo di costruzione della conoscenza partecipata che porta ricadute sul contesto pratico,
che fa riferimento al processo della ricerca riflessiva —> punto di partenza del processo: formulazione di
problemi e delle questioni su cui indagare a partire dal contesto pratico. Successivamente deve essere
costruito uno spazio di confronto, esso consente di produrre una notevole quantità di materiali di ricerca che
devono essere analizzati dai ricercatori e dai partecipanti per individuare concetti, valori e modelli. Uno
snodo fondamentale è costituito dalla validazione della conoscenza emersa da parte del gruppo dei
partecipanti. I ricercatori elaborano un report di ricerca con la rielaborazione degli elementi di conoscenza e
apprendimento emersi nel corso del processo —> tale report viene proposto al gruppo. Il processo di
ricerca riflessiva comporta una serie di ricadute sull’azione nel contesto pratico.
L’utilità della valutazione e la sua capacità di produrre innovazione sono funzione della sua capacità di
trasformarsi in segnali di vicinanza e di sostegno per chi vive le situazioni reali.
La ricerca riflessiva rappresenta un’opportunità unica di riconoscere il valore del professionista e delle sue
competenze esperienziali. La ricerca riflessiva può realmente costituire il fondamento di una pratica
valutativa che sappia incidere in positivo sullo sviluppo della professionalità e sulla qualità degli interventi
socioeducativi e di cura.
Tale approccio dà forma a modelli situati di valutazione che offrono contributi preziosi alla dimensione
locale in cui sono stati prodotti, ma possono essere trasferiti e proposi alla riflessione in contesti analoghi.