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INTRODUZIONE UNIVERSALISMO INCIPIENTE “L’universalismo incipiente” tratta il rapporto tra società e cultura.

Mette in evidenza che la


cultura non è nel mondo delle idee, ma le idee sono frutto di attori e di costruzioni sociali. La cultura, quindi, deriva dalla società, plasma gli
individui e le loro identità. Influenza le relazioni. Analizza come nella società complessa attuale esiste comunque una divisione in classi sociali,
son uno stesso lavoro. Esistono classi intermedie come la piccola borghesia autonoma. Alcune classi traggono vantaggi, e altre, svantaggi
dalle altre classi. Analizza come classi sociali differenti abbiano concezioni, modi di vedere il mondo impliciti, inconsapevoli differenti. Ogni
classe sociale ha una subcultura. Si studia la parte di cultura per capire il modo in cui si interagisce con l’altro. Questo atteggiamento è legato
a diverse credenze, valori. Studia la società europea. La domanda di ricerca è: Qual è il ruolo che il sistema scolastico-educativo complessivo-
moderno rispetto ad una società più ampia? Il sistema può influenzare il modo in cui gli uomini concepiscono il mondo. In Italia, Europa,
America, il sistema promette un trattamento universalistico. Tratta tutti ugualmente, è meritocratico. Gli uomini nascono uguali, tutti
facciamo parte del genere umano. Le particolarità individuali si superano con l’universalità. Persone meno abbienti devono avere stesse
opportunità degli altri. In realtà, si osserva che ci sono forti differenze educative legate alla propria classe sociale. Ad esempio, in Italia, gli
studenti figli di operai hanno una probabilità tre volte inferiore di andare all’università rispetto agli studenti digli di borghesi. La differenza di
classe si riproduce nelle differenze scolastiche. A volte, anche a parità di voto, una parte di studenti non trova lavoro. Si organizza, così, un
sistema capitalistico. Ma, la scuola può anche produrre una mobilità professionale-educativa in una persona meno abbiente. Gli studenti di
diversa estrazione sociale incontrano più difficoltà a scuola. Vivendo in un contesto democratico, la disuguaglianza si riduce, e ci sono diverse
possibilità di riscatto. Ma esistono anche altri tipi di svantaggi; ad esempio il costo elevato dell’istruzione. Molti sistemi (soprattutto licei)
vengono tendenzialmente frequentati da persone di classe medio-alta. Il figlio dell’operaio deve pensare alle spese: i costi diretti (università,
libri, trasporto, affitto) e i costi indiretti (se si studia non si lavora, si rinuncia al reddito per la formazione). Benefici: lavoro qualificato? Lo
studente di classe medio-alta non si pone questi problemi. Da un lato, classi sociali diverse tendono a modi di pensare diversi. Dall’altro lato,
le classi sociali fruiscono in modo diverso del sistema educativo. Tenuto conto del condizionamento sociale del pensiero (classe sociale) e
tenendo conto del diverso modo in cui gli attori fruiscono del sistema educativo, può il raggiungimento dell’istruzione universitaria
contribuire ad arrivare ad una visione del mondo universalista? Esiste una visione universalista della società attuale? Non si tratta
dell’universalismo del 900 (eurocentrismo: tutti uguali). Oggi si riconoscono le diversità culturali; le persone hanno religioni, cucine, stili di
vita diversi. La diversità culturale, una ricchezza, indica il fatto che l’uomo è un animale culturale, un essere creativo, che può scegliere un
diverso stile. Alla base, c’è un trattamento equalitario. Le barriere sociali devono essere abbattute. È un universalismo della differenza. Si va
al di là delle particolarità. L’universalismo ha a che vedere con il cosmopolitismo (Hannerz - 96): l’atteggiamento di riconoscimento delle
culture, ma non si esclude un ritorno alla propria cultura. L’universalismo, invece, ha una dimensione più politica, è il riconoscimento del
pluralismo culturale, è un processo di inclusione. Tutti gli uomini sono liberi e uguali (Ferrajoli 2019).
(LIBRO) La coscienza individuale è il risultato di un processo sociale e al tempo stesso culturale di cui l’uomo non può fare a meno per definire
sè stesso e contemporaneamente divenire membro della società. Il conflitto tra gruppi si gioca sul versante del prestigio sociale a cui si
associa il potere simbolico. La classe al potere sa governare la società, avendo reso la sua visione del mondo una potente ideologia,
corrispondente in parte significativa al senso comune condiviso da molti. Un supporto utile ad acquisire il potere simbolico consiste nel
possesso di elevare credenziali educative. La distribuzione dei titoli di studio dipende da cause materiali e si lega contemporaneamente ai
motivi che orientano le famiglie nell’investire in educazione anche per riprodurre un dato stile di vita. L’istruzione rappresenta una rilevante
risorsa di senso per i gruppi che più investono nella formazione scolastica. Indirettamente, l’istruzione può essere fonte di senso e di identità,
anche nei gruppi più ostili alla distribuzione delle risorse sociali sulla base delle credenziali educative formali. Esiste un conflitto sul ruolo che
l’istruzione debba rivestire nella società: le differenti posizioni in merito investono il tema dell’istruzione come fattore di inclusione o di
distinzione sociale. Accedendo ai livelli di istruzione superiore, gli studenti rafforzano quella mentalità acquisitiva che la famiglia trasmette
loro nel motivarli a costruire una carriera scolastica di successo. L’interpretazione degli attori dipende dal codice linguistico espressivo
collegato alla loro particolare condizione sociale. La promessa universalista della scuola ha motivato una parte dei membri delle classi
subalterne a intraprendere gli studi superiori. Il libro cerca di delineare il ruolo sociale del sistema educativo moderno analizzando il rapporto
tra visioni del mondo e classi sociali. Il sistema educativo si caratterizza per un’organizzazione gerarchica della conoscenza: esistono differenti
ordini e gradi di istruzione a cui corrispondono contesti formativi diversi. L’organizzazione del sapere nei moderni sistemi educativi segue
una logica per la quale la conoscenza teoretica più astratta, appresa all’università, è capace di alimentare una mentalità critica verso rapporti
di potere. Bernstein evidenzia come l’uso del linguaggio comporti la formazione di regole generali di organizzazione dell’esperienza. I membri
delle classi medio-alte impiegano prevalentemente un codice elaborato, incentrato sulla valorizzazione dell’identità individuale, alimentando
la capacità di generalizzazione e il pensiero astratto. Il codice elaborato consente alle persone di governare le singole situazioni della loro vita
quotidiana. I membri delle classi subalterne impiegano esclusivamente il codice ristretto che riflette le loro difficoltà di travalicare le situazioni
in cui si trovano. Il codice ristretto è rivolto alla soluzione dei problemi pratici specifici del contesto in cui il soggetto si muove. Il codice
elaborato tende all’esplicitazione di ciò che il senso comune fa dipendere dal contesto avvolgendolo di ambiguità. Consente di sviluppare il
sospetto nei confronti di definizioni della realtà univoche e in quanto tali cristallizzate in azioni ripetitive e consuetudinarie. Gli esseri umani
costruiscono la loro identità in concreti contesti storico sociali, entro i quali esprimono il loro senso sul mondo che li circonda. Gli esseri
umani sono animali culturali che ricorrono a varie forme di mediazione simbolica attraverso le quali codificano e decodificano la realtà in
significati. La società è costruita, riprodotta e innovata attraverso l’azione trasformatrice degli uomini.
AUTORI CITATI Marx (1818-1883): la cultura ha radici sociali. Distinzione tra struttura e sovrastruttura. L’approccio neomarxiano parte anche
da Weber (1864-1920): le idee influenzano l’organizzazione sociale, producono conseguenze sociali. La visione del mondo è condizionata
dalla società, ma non in modo deterministico, infatti interviene anche la cultura. Gramsci (1891-1937): cultura > sociale; l’ideologia è una
visione organica del mondo. Mannheim (1893-1947): riprende Marx e lo storicismo tedesco: classi sociali diverse, generazioni diverse hanno
visioni diverse. L’ideologia può diventare un’utopia, imposta da una classe sociale cje sta crescendo e va contro la classe dominante,
prendendo il potere. Freire (1921-1997): filosofo, l’educazione è un’azione ideologica, che legittima le differenze sociali, ma può anche
liberare l’uomo; l’educazione può essere critica, può imporre la classe dominante e allo stesso tempo, emancipare e dare forma
all’universalismo. Ricoeur (1913-2015): l’uomo è un essere sociale. Il testo può essere autonomo, può veicolare dei significati. Possiamo
concepire dei processi culturali e sociali come dei testi, fondati da qualcuno, ma anche autonomi. Tutto parte dalla capacità dell’uomo di
creare simboli, significati come il linguaggio. Bernstein (1924-2002): sociolinguista britannico, vicino a Bourdieu e Mannhein, classi sociali
diverse hanno codici diversi, usi concreti della lingua, modi di esprimersi, insiemi di regole generali lessicali che inquadrano il mondo in un
certo modo. E il codice plasma il modo in cui esprimiamo la nostra visione del mondo. Bourdieu (1930-2016): la cultura è qualcosa di concreto,
pratico, è un insieme di azioni, ha a che fare con il modo in cui manipoliamo il mondo.

CAPITOLO 1 - STRUTTURA SOCIALE E CULTURA: Rapporto tra società e cultura. La cultura può essere vista in due modi: come sistema e come
processo. Un sistema di significati che influenzano i nostri comportamenti. È anche un processo di negoziazione, è il frutto di continue
interpretazioni. Esistono una definizione umanistica e una scientifica. La cultura ha a che fare con la produzione di senso. La cultura ha due
componenti: nasce in una società; alla base c’è la relazione tra persone che comunicano, cercano di definire la realtà. La cultura nasce
all’interno di uno specifico contesto socioculturale. Gli uomini vogliono esprimere i propri problemi, all’inizio parlano a gesti: nasce una prima
forma di cultura: nasce un linguaggio. Le persone imparano delle azioni concrete, nasce il concetto di abito, si costruiscono delle mappe
mentali. La cultura che si crea è implicita. Prendono forma credenze, valori, norme, simboli. La cultura diventa più esplicita. La società si
esprime e si autorappresenta. Nascono sistemi culturali più complessi (es. religione). Nasce la narrazione, il secondo volto della cultura, che
può stravolgere la stessa cultura. Primo volto: interazione pratica, implicita, mappe mentali, ha a che fare con la dimensione preassertiva.
Secondo volto: cultura più esplicita, testuale, fatta di sistemi complessi. Teoria di Bernstein (1973): codice come uso sociale della lingua: gli
individui fanno parte di classi sociali. Studia che nelle famiglie della working class, le condizioni sono precarie, svantaggiate. Questa situazione
prevede un certo tipo di linguaggio, pratico, più condensato, più ristretto, limitato alla soluzione di problemi, flessibile, fluido, immediato,
meno elaborato. Sintassi e lessico sono più ristretti. Le classi lavoratrici creano una solidarietà al loro interno: il dovere verso la collettività
prevale sull’individualità e sull’affermazione del diritto. In una famiglia borghese, il linguaggio è più ricco, complesso, perché si dà più, spazio
all’autorealizzazione, i genitori hanno più risorse. Il linguaggio spinge alla riflessione, non è immediato, quindi spinge a pensare al proprio
benessere. Il modo di usare il linguaggio elaborato sviluppa l’autonomia dell’individuo. Le interazioni sociali formano e usano il linguaggio.
Questo modo d’uso dipende dalla condizione materiale e sviluppa un codice di base, una cultura pratica. Le mappe producono, poi, credenze,
norme, simboli, e una cultura testuale, tutti elementi che formano una subcultura. Tutto ciò è possibile perché l’uomo è un animale simbolico.
Il codice prende forma dall’uso concreto e sociale del linguaggio, funge da principio regolativo che organizza l’esperienza e la esprime. Riflette
la condizione sociale e quindi i rapporti di potere tra classi. Classi sociali differenti esprimono codici differenti. In particolare, Bernstein
distingue la classe degli operai (falegnameria, acciaieria, bar, commessi) che svolgono un lavoro esecutivo, rappresentano la base
dell’economia, ma sono svantaggiati economicamente, dalle altre classi. La working class esprime un codice ristretto, diverso da quello
elaborato della classe medio-alto. Il linguaggio ristretto è legato alla vita ordinaria dell’operaio. La classe lavoratrice deve gestire l’ansia,
collegata alla condizione svantaggiosa in cui vive. La scuola esprime la cultura borghese, premia chi utilizza il codice elaborato, tipico della
classe medio-alta, è stata istituita dai ceti borghesi. C’è una classe che domina su un’altra e si impone su di essa. Storicamente la scuola è
nata così, con il tempo si è democratizzata come anche le altre istituzioni culturali. Il codice prende forma dalla famiglia, dall’organizzazione
sociale familiare, attraverso la socializzazione. Centrale è il linguaggio materno, da cui il bambino apprende. Per Bernstein, chi nasce in una
famiglia di operai, nasce in un contesto con una struttura posizionale. C’è una rigida divisione dei ruoli, delle posizioni, tra padre e madre, tra
genitori e figlio. Il codice ristretto nasce da questa forma di organizzazione. Il codice elaborato, invece, si basa su un lessico più complesso
che sviluppa la capacità di generalizzazione. È legato al contesto in cui viene utilizzato. Le classi medio-alte sanno utilizzare entrambi i tipi di
linguaggio, e all’occorrenza utilizzano l’uno o l’altro. Chi viene dal ceto popolare, invece, utilizza esclusivamente un linguaggio ristretto, per
questo trova difficoltà a scuola, dove deve apprendere il linguaggio elaborato. Chi nasce in mezzo ai libri, ha una predisposizione all’istruzione
scolastica. Chi nasce in un contesto di praticità impiega più tempo perché parte da zero. Il linguaggio più forbito, con concetti più astratti si
basa sull’io, pone al centro la persona, la sua capacità di autocontrollo, di regolarsi. Una mamma borghese che vede il bambino giocare con
una bambola, e lo ritiene non appropriato, lo fa ragionare e lo invita a fare un’altra cosa più appropriata, stimolando il suo piacere, il suo
interesse, c’è l’idea della persona che sceglie in autonomia. Mentre, una mamma operaia è più veloce, c’è il senso del dovere,
dell’imperatività, non viene posto al centro il diritto dell’uomo. Ma questo codice promuove anche la solidarietà all’interno della comunità,
il noi sull’io, il mutuo soccorso. Questo linguaggio si basa più sul noi, e può ostacolare l’autonomia del soggetto. La disciplina tipica borghese,
presente nei sistemi scolastici, ricorda anche l’etica protestante in Weber. Si tratta proprio dell’idea di autocontrollo. Codice elaborato e
ristretto sono diversi perché rispecchiano classi sociali diverse. Il linguaggio ristretto si esprime in forma implicita, si dà per scontato una serie
di elementi, è un discorso particolaristico, comprensibile solo da persone che vivono il contesto, i soggetti esterni non possono capire, il
codice prevede significati fortemente dipendenti dal contesto. Il codice del linguaggio elaborato è universalistico, perché i significati sono
espliciti, accessibili, chiari a tutti. Il discorso contestuale tipico del codice ristretto è particolaristico. Il linguaggio del codice elaborato è
universalistico. Per Bernstein, il sistema educativo moderno nel tempo si è stratificato, è stato un insieme di tanti sistemi educativi (scuola
primaria, scuola secondaria, università). C’è una sorta di organizzazione gerarchica. Nei livelli inferiori di istruzione, la conoscenza veicolata
è più vicina al senso comune, che non si distanzia troppo dal linguaggio ordinario. Il bambino impara a fare i conti, a leggere, apprende
conoscenze che hanno a che fare con il senso comune, con le cose scontate, con la quotidianità. Gradatamente, il bambino cresce, i concetti
sono più astratti, la matematica è più complessa, si aggiungono nuove materie, la conoscenza diventa più teoretica, ha a che fare con la
teoria, il linguaggio è più generale, si allontana dal senso comune, diventa più riflessivo, si basa sul dubbio. Al liceo, la conoscenza è ancora
più teoretica. Abbiamo bisogno di imparare un linguaggio più elaborato, più astratto, riceviamo nozioni di algebra, storia, filosofia, scienze
sociali. All’università, l’ambiente di apprendimento è fortemente incentrato sulla conoscenza teoretica, si usa un linguaggio specifico,
astratto. La mente deve aprirsi, dev’essere capace di analisi. Il sapere si allontana sempre di più dal linguaggio ordinario e dal senso comune.
Si sviluppa un sapere critico. Il codice elaborato assume le forme più piene. Si può dire che più è lunga la carriera scolastica, più si accede a
livelli superiori di istruzione, più aumenta la probabilità di interiorizzare dei saperi teoretici. Non è un processo meccanico, ma chi ha una
preparazione più solida, svilupperà un linguaggio elaborato, così complesso da ragionare meglio in chiave astratta, senza essere legati ad un
contesto specifico, al senso comune, ma si giunge ad un pensiero generale. L’orientamento diventa universale. La mentalità sviluppa la
capacità di andare oltre i contesti.
(LIBRO) Secondo Manheim, la collocazione sociale costituisce il punto di osservazione del quale ogni individuo interpreta la realtà. Il legame
tra posizione sociale e visione del mondo non è rigido, né deterministico, ma chiama in causa lo stile di pensiero sottostante all’azione sociale
di un gruppo, sia questo una classe, un ceto, un’unità generazionale e un’altra forma di aggregazione sociale. Il punto di vista sul mondo di
una persona si sviluppa in ragione della sua esperienza, ma il nesso tra posizione sociale e idee rimanda uno stile di pensiero che si forma
linguisticamente, perché l’esistenza umana non può che esprimersi simbolicamente. Bisogna elaborare una sociologia marxiana capace di
cogliere l’uomo nella sua globalità, come homo sapiens. Per Marx, la società influisce sul pensiero e sul comportamento degli uomini, pur
venendo continuamente prodotta da loro. La relazione si fonda sulla ricerca di un’intesa, di una negoziazione dei significati espressi da diversi
punti di vista. Questi significati sono in parte differenti a seconda della posizione occupata dai suoi protagonisti. La società è un groviglio di
relazioni fondate necessariamente da soggetti in differenti posizione gli uni dagli altri. Con l’espressione doppia ermeneutica, Giddens
sottolinea il fatto che le scienze sociali si fondano non su cose, ma sull’interpretazione degli uomini. La presenza di questo doppio livello
interpretativo distingue il lavoro degli scienziati sociali da quello degli scienziati naturali, dato che la realtà analizzata dei secondi è costituita
da oggetti inanimati il cui livello interpretativo non raggiunge quello tipico umano. Il punto di osservazione dei ricercatori sociali influisce
sulla rilevazione degli oggetti studiati. Se i pregiudizi sono un presupposto della conoscenza, è ipotizzabile una loro rielaborazione da parte
dello studioso, solo una volta che egli abbia preso coscienza di questi e si sia interrogato sui legami esistenti tra il suo punto di vista, iniziale
e sviluppato nel corso della ricerca, e il proprio oggetto di studio. Il sociologo dev’essere consapevole del condizionamento sociale non solo
dell’interpretazione degli attori che studia, ma anche delle proprie riflessioni. Se la struttura è l’insieme di relazioni emergenti dalle azioni
che si sedimentano in un dato ambito spazio-temporale, allora il significato da attribuire a una certa relazione va rintracciata esaminando
l’insieme di relazioni. Questo insieme non è conoscibile in maniera completa e univoca, piuttosto il sociologo adotta categorie più generali,
astratte, teoriche. Questo consente di decodificare fenomeni. Mannheim parla di costellazione di fattori attraverso la quale indagare le parti
di una più ampia totalità sociale. Costruire una totalità sociale permette di raggiungere una conoscenza razionale della società, cioè una
conoscenza sottoponibile al giudizio critico attraverso il ricorso a procedure trasparenti, replicabili, pubbliche. La ricerca proposta segue due
approcci: uno positivista e uno sistemico-funzionalista. Il primo si basa sostanzialmente solo sul momento analitico, sulla segmentazione del
mondo sociale: si punta a trovare le cause di determinati fenomeni sociali. Il secondo approccio interpreta i fenomeni indagati come processi
generati all’interno di sistemi chiusi, modificabili. Qui l’approccio è dialettico e relazionale, dato che si recupera la concezione marxiana dei
rapporti sociali, rinnovandola con una particolare attenzione ai processi culturali. La cultura è concepibile allo stesso tempo come un sistema
e come un processo. Da un lato appare come un sistema più o meno coerente di significati aggettivati che si materializzano in prodotti e
pratiche consuetudinarie come attività routinarie; dall’altro, sembra configurarsi come un processo di negoziazione e decodifica di significati.
Se concepita dinamicamente come continua negoziazione, la cultura sarebbe un processo intersoggettivo in cui progressivamente i singoli
individui acquisiscono un’identità definita. In generale, si può ritenere che, la cultura funzioni attraverso il lavoro interpretativo consapevole
di attori in comunicazione. La cultura è un insieme di significati socialmente costruiti il cui funzionamento dipende da un processo di codifica
e decodifica in cui la riflessività del soggetto è centrale. La concezione ordinaria riflette l’idea di cultura che hanno le persone dotte, colte.
Tale concezione umanista pone l’attenzione su chi coltiva una personalità disciplinata dall’educazione formale e attraverso questa prova ad
allontanarsi dal mondo animale attraverso l’elevazione dello spirito. La cultura è qui intesa come qualcosa di profondamente soggettivo.
Tylor definisce la cultura un insieme complesso di credenze, conoscenze e abitudini apprese dall’uomo in quanto membro di una collettività.
L’apprezzamento sociale per le forme culturali cambia nel tempo e nello spazio. La cultura è anche al suo interno socialmente stratificata. Il
merito degli studi sociologici e cogliere quindi il legame tra gerarchie culturali e gerarchie sociali. Identificare grandi opere vuol dire anche
saperle poterle decodificare. L’identificazione dell’imposizione di un insieme di saperi può col tempo suggerire una lettura di relativismo
culturale estremo. In campo antropologico, la svolta linguistica si è avuta definitivamente con Geertz. La cultura è una rete di significati
trasmessi da una generazione all’altra mediante simboli che sono il modo impiegato degli uomini per esprimersi. Montesperelli identifica nel
simbolico un’ampia categoria nella quale ricadono tre fenomeni: la cultura come insieme delle forme oggettive ed espressione umana, il
processo di costituzione di tale espressività, l’interazione tra i due elementi. Il simbolico si estrinseca nel momento in cui gli uomini,
comunicando tra loro, instaurano una qualche forma di interazione. Nel sostenere che gli uomini si esprimono, conoscono e costruiscono il
mondo che si trovano ad abitare, gli studiosi stabiliscono l’esistenza di un rapporto stretto tra l’attività di manipolazione e l’uso del linguaggio.
Berger e Luckmann mostrano come la cultura emerga da un processo simbolico che dal principio si connota per la sua dimensione pratico
esperienziale. Ma la cultura ha anche una natura pratica, per questo viene definita una cassetta degli attrezzi, un repertorio che orienta gli
esseri umani fornendo loro modelli di organizzazione dell’azione sociale. La cultura può assumere forme più astratte ed esplicite delle stesse
mappe cognitive, senza essere meno orientativa per l’azione sociale. La cultura assume una forma più assertoria, concettuale, connessa
all’organizzazione esperienziale dovuta alla formazione del linguaggio. Gli script cognitivi rappresentano la forma della cultura corrispondente
alla progressiva formazione dei concetti, mentre prodotti come le credenze e valori riguardano la forma culturale che si esprime secondo la
dimensione assertoria del discorso. Il radicamento sociale della cultura va ricondotto alla dimensione simbolica dell’esistenza umana, come
testimoniato dal paradosso del linguaggio: le forme linguistiche sono il punto di accesso alla realtà. La forma simbolica per eccellenza è
costituita dal linguaggio, che plasma le interazioni sociali. Il linguaggio porta gli individui a interiorizzare le relazioni sociali nel momento in
cui questi le esprimono; tale espressività prende forma attraverso un insieme di attività sociali. Bernstein sostiene che il linguaggio organizza
l’esperienza in funzione del tipo di interazione sociale e dei problemi pratici connessi a quest’ultima. Definisce il codice come l’attività di
pianificazione verbale che traduce linguisticamente significati della struttura sociale. Bernstein elabora un vero e proprio modello teorico
analitico per spiegare il rapporto tra modi di pensare e condizioni sociali, ponendo attenzione alle differenze linguistiche. Il sociologo
identifica due livelli analitici uno riferito alla formazione dei codici linguistici, ossia di determinati usi sociali della lingua, l’altro, parallelo,
inerente al processo di elaborazione verbale che porta alla costruzione di significati. Lo studioso trascura il fatto che linguaggio dà forma alle
interazioni sociali in seno alle quali emerge, esprimendole: ogni relazione con l’altro è simbolicamente costruita, e linguaggio consente che
da questa relazione l’individuo costituisca anche la propria soggettività. La struttura sociale incide sulla formazione dei significati, perché la
lingua è uno strumento il cui esito dipende dall’uso che ne fanno gli attori concreti. Ogni tipo di linguaggio è riducibile anche alla capacità
linguistica di trasformare l’esperienza sociale in ruoli, in modelli sociali: la cultura ha una radice linguistica, rinviante alle esperienze degli
attori in interazione sociale. Bernstein fa corrispondere gli stessi valori sociali alle pratiche di codifica. L’analisi risulta incompleta, per la
riduzione del linguaggio a solo mezzo di comunicazione. Il codice può essere fatto corrispondere alla matrice linguistica di fondo che genera
cultura pratica, sulla quale si innesta l’altro livello culturale, quello narrativo testuale. Il paradosso del linguaggio si può esplicitare nel
processo sociale che vede le relazioni di una data struttura sociale influire sui modi di fare e pensare interiorizzati dagli esseri umani per
mezzo del linguaggio. È l’attività di mediazione e traduzione operata dal linguaggio a far emergere la cultura, che retroagisce sulla struttura
sociale quando assume la forma testuale. Il modello del prof stabilisce un nesso meno rigido di quello ipotizzato da Bernstein tra struttura
sociale, linguaggio, cultura, con ogni sfera che risulta emergente dall’altra grazie alla comunicazione intersoggettiva e simbolicamente
mediata. L’interazione per essere comunicata necessita dell’espressione di un linguaggio, grazie al quale si forma un dato modo di parlare
che orienta cognitivamente gli attori nella realtà. L’interazione sociale faccia a faccia costituisce la base per la formazione del linguaggio. La
cultura potrebbe essere definita sinteticamente come ciò che viene prodotto dagli esseri umani nel corso dell’interazione sociale grazie al
rapporto simbolicamente mediato che essi hanno con la realtà. Quindi, il codice corrisponde all’uso della lingua in un determinato contesto
spazio-temporale, caratterizzato da specifiche interazioni sociali tra gli individui. Il modello proposto considera il codice come ciò che
organizza l’esperienza in mappe cognitive. Il codice di Bernstein si avvicina al concetto di habitus formulato da Bourdieu, che organizza
sistematicamente gli schemi percettivi e valutativi dell’agente, profondamente interiorizzati dall’infanzia. L’habitus è la struttura sociale
incorporata, ma anche l’insieme delle disposizioni sociali strutturanti l’azione di ogni individuo. Analogamente, Bernstein individua nel codice
il generatore di atti linguistici che orienta l’individuo. Bourdieu attribuisce scarso peso al linguaggio come forma di mediazione simbolica. Il
dialogo di Bernstein e Bourdieu consente di identificare nella cultura pratica un insieme di mappe cognitive condivise, da intendere come il
prodotto di un particolare uso sociale della lingua da parte di un gruppo. Marx attribuisce alla dimensione culturale dell’intelletto, una forza
regolativa decisiva, che permette di innovare l’ordine sociale. Per Bernstein, i soggetti collocati in posizione sociale svantaggiata hanno un
rapporto più immediato con la realtà; ad esempio, sono costretti a dedicare più tempo ad attività ripetitive attraverso le quali trovano
sostentamento. Di conseguenza, il loro linguaggio si caratterizza per un tipo di elaborazione sintattico verbale relativamente ristretta, più
adattabile alla situazione che riduce la riflessività teoretica. Il codice ristretto emerge dall’operatività richiesta dal far fronte alle emergenze
quotidiane. Il codice elaborato è connotato da una maggiore ricchezza lessicale sintattica. Non è superiore a quello ristretto, anzi sotto alcuni
aspetti esso si mostra più rigido dell’altro: il suo orientamento generalizzante è inadeguato a risolvere i problemi connessi alla vita ordinaria.
La distinzione tra codici riflette classificazioni arbitrali, socialmente determinate, e la collocazione sociale indica concretamente la possibilità
di sviluppare forme culturali complesse e varie. La formazione dei concetti si fonda sulla loro utilità. Bernstein concede poco spazio alla forza
interpretativa degli attori sociali e al ruolo rivestito dalla mediazione simbolica. La sua analisi impiega l’idea di Simmel sull’appartenenza degli
individui moderni a più gruppi, fenomeno che porta a identificare la peculiarità interpretativa di ogni soggetto con la sua esposizione a una
particolare combinazione delle molteplici fonti di socializzazione. La cultura pratica fornisce il materiale per la costruzione delle istituzioni
sociali. È la valenza narrativa della seconda forma culturale a rendere possibile agli attori di innovare le idee esistenti e modificare il più
profondo piano preassertorio, a cui corrispondono habitus e codice. Il processo creativo si sviluppa anche sulla base di processi culturali
connessi all’istituzionalizzazione. A questo livello, la cultura diviene oggetto della riflessività umana, ponendosi come un testo che stimola la
capacità interpretativa. Mannheim considera non statico il rapporto tra gruppi sociali e categorie di pensiero, perché tende a cogliere la
dinamicità di questa relazione. Le categorie di pensiero sono concepite come passibili di modifica in virtù di due processi paralleli, uno sociale
e l’altro ideale. A seconda del particolare tipo di attività collettiva a cui prendono parte, gli uomini tendono a vedere il mondo che li circonda
in modo diverso. Mannheim nota come una stessa parola cambi di significato se la pronuncia un conservatore, un liberale o un uomo
religioso. La formazione dei concetti si fonda quindi su un meccanismo selettivo che accoglie e assimila quanto rientra nell’interesse specifico
dell’osservatore. Il pensiero verbale si forma in virtù dell’interazione sociale tra gruppi differentemente organizzati. La cultura è socialmente
radicata. I significati possono essere rielaborati in funzione dei cambiamenti nelle relazioni tra gruppi sociali. Le diverse visioni del mondo
sono concezioni che persistono e si stratificano nel tempo, andando oltre la vita sociale delle concrete collettività. Un gruppo sociale può
scomparire, trasformarsi radicalmente da assumere un profilo distante. Mannheim pone l’attenzione anche sulla creazione di nuovi significati
emergenti dal conflitto tra le idee. Il mutamento sociale è il risultato di un conflitto in cui piano ideale e materiale sono tenuti assieme. Lo
scontro tra classi sociali spinge le parti in causa a uno smascheramento dell’avversario. Le differenti prospettive sul mondo mostrano
un’attenzione alla loro generalizzazione. Questa generalizzazione può costituire la fonte di trasformazione identitaria del gruppo che la
promuove. Per Mannheim, la competizione tra classi sociali si fonda sullo scontro tra volizioni del mondo. Questo concetto permette di
rinvenire nei differenti stili di pensieri alla matrice di concezioni che plasma gli interessi sociali. Lo stile di pensiero è il modo in cui un gruppo
si orienta nei confronti della realtà, codificandolo in una visione del mondo esplicita. Gli stili di pensiero rappresentano le diverse parti in
causa nella competizione sociale, differenti atteggiamenti che i gruppi sociali nutrono nei confronti della realtà. Codice linguistico, habitus e
stili di pensiero riguardano tre aspetti di uno stesso processo che vede un gruppo sviluppare concreti modi di comunicare. Un gruppo per
affermarsi nella lotta sociale deve incorporare le concezioni concorrenti in modo da formulare un’interpretazione più chiara. Questo processo
è sia culturale sia sociale. La competizione sociale non è dunque solo materiale, dato che si configura come lotta per la più generale
interpretazione dell’essere.

CAPITOLO 2 - IDEOLOGIE EDUCAZIONE: ruolo dell’ideologia in questo meccanismo. Abbiamo visto che classi sociali hanno linguaggi diversi,
visioni del mondo differenti, il codice elaborato è prediletto dalla scuola, che salendo di grado si può arrivare ad una concezione più
universalistica, e che i percorsi scolastici derivano anche dalla condizione economica. Quindi, i ceti più bassi probabilmente continueranno
ad utilizzare il linguaggio ristretto, perché per i figli è più difficile seguire un lungo percorso scolastico. Classi sociali diverse hanno un potere
per cui sfruttano le altre classi. Per Mannheim, il conflitto sociale non è solo materiale, economico, politico, basato su una base materiale
(maggiore salario, condizioni di vita migliori, lavoro più comodo), ma dietro il conflitto sociale, implicito o esplicito, esiste anche una
dimensione culturale. Il conflitto si alimenta anche di un conflitto che riguarda le interpretazioni del mondo. Se la condizione economica,
materiale, incide sul modo di pensare, insieme al sistema educativo, ma il linguaggio può differenziarsi, nasce uno scontro ideologico tra la
classe dominante che impone la sua ideologia e altre classi sociali, che possono accettare quell’idea o esprimere visioni del mondo non del
tutto in linea con essa (in modo esplicito o implicito). La società si forma attraverso l’azione collettiva, le interazioni che gli uomini hanno tra
di loro, la trasformazione collettiva della natura (Marx). Nel corso del tempo, dalle società semplici c’è stata una differenziazione secondo il
lavoro in classi sociali, fino ad arrivare alle società complesse. Inizialmente, in una società semplice, primitiva, formata da 20/30 persone, in
cui tutti fanno le stesse cose, le stesse esperienze, hanno lo stesso modo di pensare, la solidarietà è meccanica. Con il tempo, l’uomo si è
adattato, ha inventato delle innovazioni, c’è stato un surplus (produzione di beni materiali che vanno oltre il fabbisogno umano). Ad esempio,
con l’agricoltura si coltivano campi più grandi, aumenta la ricchezza, la divisione del lavoro (coltivazione del grano, allevamento, sorveglianza,
riti religiosi, amministrazione), nascono gruppi sociali differenti. La solidarietà meccanica si indebolisce gradualmente, e si arriva ad una
società più complessa. Il linguaggio si forma su frasi, concetti, ci dà una definizione della realtà, veicola in maniera implicita un certo modo
di vedere il mondo, di interpretare la realtà. Gruppi sociali, classi sociali diverse fanno un’esperienza del mondo da un punto di vista preciso,
specifico, diverso da quello degli altri, linguaggi diversi, codici differenti sono impliciti e guidano il nostro atteggiamento nei confronti del
mondo. Esistono visioni del mondo concorrenti: può nascere un conflitto sull’interpretazione da dare alla realtà tra gruppi sociali differenti.
La società non è ancora paritaria, ci sono caste superiori, si creano rapporti di potere tra gruppi. Il gruppo che detiene il potere non può
basarsi solo sul linguaggio, ma deve convincere tutti gli altri che quella definizione della società sia giusta, lo fa ricorrendo ad un’ideologia
che legittima e giustifica il mondo. La classe cerca di diffonderla. Se le persone non sono convinte, si ribellano, creando disordine. Se il
linguaggio è già una prima forma di giustificazione, l’ideologia lo è ancora di più. La classe dominante rielabora la propria concezione del
mondo implicita, e la impone a tutti gli altri, mediante l’ideologia. In questo modo, influenza il senso comune condivido da tutti: significati di
base, risentono dell’ideologia che legittima l’ordine sociale. La nostra società differenziata in classi, è caratterizzata dal senso comune
(conoscenze di base comuni implicite). Nelle società così complesse, il senso comune è un nucleo abbastanza ridotto, dopodichè c’è un
pluralismo, ci sono classi sociali diverse che condividono alcune norme, credenze, c’è una cultura che in parte viene condivisa, ma ci sono
anche interpretazioni specifiche, con una loro subcultura, concezioni del mondo diverse e implicite. Nella nostra epoca, Italia del XXI sec.,
alcuni tratti di fondo possono essere riconoscibili, comportamenti dell’italiano, c’è un’ideologia implicita, una sorta di paradigma che riflette
una certa società, in una certa epoca. Per esempio, siamo una società di mercato, basata sulla domanda e offerta, sul consumo, questi
elementi fanno parte della nostra normalità. La società è capitalistica, è un paradigma condiviso, anche se ci sono più punti di vista. L’ideologia
paradigma è complessiva, generica, non è stata costruita in maniera paritaria da tutti i gruppi sociali. In una società diseguale, la classe
dominante influisce di più perché ha più risorse, più possibilità. Quindi, l’ideologia paradigma riflette il linguaggio simmetrico dei rapporti di
potere tra le classi, in maniera implicita. A seconda dell’epoca, l’ideologia paradigma può prendere sembianze diverse. Il cambiamento reale
c’è se le persone della classe dominante modificano l’ideologia. Nell’ideologia paradigma è tutto implicito, quindi si possono creare delle
ansie perché la classe dominante ha bisogno di un plus valore politico, per imporre la propria visione, quindi può avere l’esigenza di
esplicitarla, veicolarla attraverso i mass media, la scuola, le aziende. L’ideologia diventa sistema. Essa si basa sul ricorrere su saperi più
elaborati, teoretici. Si definisce il capitalismo, il liberismo, i suoi vantaggi. La forma è intenzionale, organizzata in modo completo, chiaro, e
cerca di influenzare il senso comune, evitando interpretazioni differenti dall’ideologia dominante. Per creare maggiore consenso, per evitare
il conflitto si ricorre all’ideologia sistema. Per questo, molti se ne fanno portavoci. Nel rapporto di costruzione sociale del mondo, si
individuano 4 processi: Mistificazione culturale: classi sociali diverse con concezioni diverse, ma dati i rapporti di potere, le classi più potenti
danno una definizione più vicina ai loro interessi, si crea un’ideologia paradigma condivisa da tutti, accettata da molti in modo inconsapevole,
è un inganno. Sistematizzazione teoretica: si ricorre a saperi teoretici, all’educazione per elaborare la propria concezione del mondo e
trasformarla in ideologia sistema. Azione egemonica: la classe dominante cerca di diffondere l’ideologia, cercando di farla accettare, e di
farla diventare senso comune. Ma dato che abbiamo a che fare con visioni diverse, quell’ideologia sarà decodificata, interpretata in modo
parzialmente diverso, quindi si manterrà il conflitto sociale, il pluralismo che non assorbe totalmente l’ideologia dominante. La Ricezione-
Fruizione dell’ideologia sviluppa concetti e subculture differenti. L’operazione può anche essere elaborata da una classe in ascesa, che tenta
di dare un’ideologia sistema alternativa a quella dominante, per contrastarla. Con il quarto processo, abbiamo a che fare con un’ideologia
sistema dominante e con la ricezione di classi sociali con i loro codici, le loro visioni. L’ideologia dominante di oggi è il neoliberismo, che pone
al centro l’idea che il profitto sia il bene supremo, che esistono gli individui, liberi, il mercato è centrale, insieme ai diritti del consumatore
rispetto ai diritti del lavoratore. In una società basata sui consumi, c’è una competizione così atroce che fa sì che le imprese debbano
contenere i costi del lavoro, quindi le classi sono più svantaggiate, aumentano le disuguaglianze economiche. Il neoliberismo esalta la libertà
di scelta del consumatore per giustificare l’idea del profitto, anche a costo di danneggiare gli interessi del lavoratore. Individualismo,
egocentrismo, competizione, successo, piacere immediato sono centrali. L’ideologia viene interpretata però in modi diversi. Il ruolo del
sistema educativo è quello di esaltare implicitamente la concorrenza, la competenza per ottenere successo, buona posizione, titoli di studio,
alimentare l’ideologia individualista indirettamente, si accumula la conoscenza per avere potere. L’obiettivo non è imparare, è superare
l’esame, prendere la laurea. Dall’altra parte, il sistema educativo vuole spingere anche alla riflessione, al miglioramento, attraverso
l’informazione, lo studio. Il sistema educativo moderno nasce in Europa nel contrasto tra la Chiesa romana, con il potere di definire la realtà,
veicolare le ideologie, e l’Impero, che voleva potere politico, economico e culturale. In questo contrasto, nascono le università. La prima
occidentale è quella del 1900 di Bologna, nata dagli intellettuali dell’epoca. Con il tempo, l’imperatore volle un’università propria. La prima
statale è del 1200 di Federico II. Il papa Bonifacio XVIII dà vita alla Sapienza. In seguito, sorgono altre istituzioni educative, istruzione dai
parroci, più semplici. Con il tempo si è sentita l’esigenza di formare i cittadini, accondiscendenti con le forme di governo, nasce l’istruzione
primaria. Gradatamente lo sviluppo del capitalismo richiede l’insegnamento della lettura e della scrittura per gli operai. Già nel Medioevo, la
borghesia richiedeva un’istruzione superiore per i propri figli, per avere occupazioni migliori. Nascono le scuole superiori. Il sistema educativo
moderno ha integrato diversi tipi di scuole, si è democratizzato, distribuendo l’istruzione non solo alla borghesia. Con il tempo, la scuola
diventa un testo, una narrazione, rielaborata in più modi. Le persone vedono la scuola come un ambiente di crescita, di miglioramento, di
emancipazione, di mobilità individuale. L’istituzione scolastica si divide in livelli, inferiori e superiori. In questa costruzione, si forma anche
un ceto nuovo, il ceto medio, composto di insegnanti, ricercatori, artisti, che sviluppano un’identità che pone al centro l’idea di una scuola
democratica, universalistica, capace di dare una formazione critica ai cittadini. Ancor’oggi la scuola è attraversata dai conflitti culturali.
Il libro parla dell’emergente visione universalista che è diffusa in particolari gruppi sociali piuttosto che in altri che si basa sul riconoscere
tutti gli individui come appartenenti al medesimo genere umano. L’Universalismo si basa su una buona dose di egualitarismo, perché parte
dal presupposto che vadano rimosse le barriere sociali che producono diseguaglianze economiche e culturali perché il sistema capitalistico
al contrario le produce, e allo stesso tempo però considera la diversità culturale come una ricchezza, come un modo per esprimere la propria
creatività. L’atteggiamento universalista è opposto a quello particolarista, perché il particolarista parte dal rimarcare le differenze culturali e
sociali, dal prendere come punto di riferimento la propria cultura di appartenenza, ritenendola indiscutibile, come una gabbia nel quale stare,
creando una barriera, il particolarista riconosce il diverso, ma come altro, come un estraneo, con cui è impossibile comunicare. Il particolarista
crede che il suo modo di essere sia una certezza, tende ad una visione individuale, guarda il mondo secondo anche le influenze della propria
classe sociale. Si parla di particolarista quando una persona di classe media valuta il mondo in base ai suoi parametri, ma non sa riconoscere
l’altro, le diversità di vedute, questa persona può dire di aver studiato e ritenere una persona che non ha studiato un ignorante, perché ha
avuto l’opportunità ma non l’ha sfruttata, senza tener conto delle difficoltà che quella persona ha attraversato, per cui ha dovuto lavorare e
non ha potuto studiare. Si parte da un punto di vista particolarista, specifico, ridotto al proprio ambiente, senza andare oltre. L’universalista
ragiona per massimi sistemi, per categorie astratte, tende a generalizzare, vede tutti come persone con diritti universali, l’universalista è
intollerante verso le diseguaglianze materiali, Ferrajoli direbbe che è colui che crede nell’uguaglianza tra gli uomini, ma allo stesso tempo
riconosce la diversità come una ricchezza, ricercando una comunicazione con l’altro, partendo dagli aspetti comuni. Il particolarista ha idee
contestuali, legate al proprio gruppo sociale. L’ideologia viene interpretata diversamente dalle classi sociali, tramite una ricezione culturale.
Si fruisce di un processo culturale, considerando prima di tutto il principio di autonomia del testo, come il processo culturale tende a
condizionare l’interpretazione. La cultura è un insieme di significati sociali condivisi, si modifica nel tempo, perché è un processo fatto di
negoziazioni e mediazioni tra interpreti diversi, quindi si rielabora perché i soggetti reinterpretano continuamente. La cultura può essere
assimilata a un testo, un libro, che ognuno di noi legge. Una volta che la cultura sorge a partire da un contesto sociale (società>cultura), ma
poi assume una propria autonomia, influenza le nostre identità, suggerisce delle interpretazioni, dà alcune chiavi di lettura del mondo.
L’ideologia è proprio la visione del mondo che serve a legittimare un potere, veicolata dalle classi dominanti. Per questo, anche l’ideologia si
pone come un testo. Allo stesso tempo, però, ascoltando quell’ideologia, tramite i vari media, l’ideologia cerca di diffondersi, considerando
normali certe visioni del mondo. Per Gramsci, l’ideologia funziona quando diventa senso comune, ma la decodifica, la fruizione, la sua
interpretazione dipende dal soggetto che fa uso di una propria subcultura tipica del suo ceto. Noi leggiamo il mondo da un certo punto di
vista, basta pensare a come sono diverse le esperienze, e di conseguenza le visioni, di un bambino figlio di un operaio, e di un bambino figlio
di classe media. Quando arrivano messaggi ideologici, i due bambini li interpreteranno in base al proprio codice, esiste quindi una dialettica
tra un gruppo sociale e il suo modo di pensare, e quello che l’ideologia dominante suggerisce come testo, c’è un andirivieni, un gioco
dialettico. Nel secondo capitolo si tratta dell’educazione, l’educazione è un’azione sviluppata in un sistema educativo-scolastico, stratificato
per livelli. Per Freire, l’educazione è un’azione ideologica, perché viene veicolata dal sistema scolastico, che tende a diffondere la cultura
ufficiale, alta, che riflette quella delle classi agiate, dominanti, dei manager, dei capitalisti. L’educazione viene praticare come il voler
diffondere un insieme di nozioni, conoscenze astratte, per questo si parla di un’educazione bancaria, in cui gli studenti rappresentino dei vasi
vuoti da riempire. E si parla di azione ideologica perché riproduce le gerarchie sociali, le differenze tra chi comanda e chi esegue, a scuola
succede la stessa cosa tra professori che sanno, e studenti che imparano, quando questo avviene in maniera troppo nozionistica, l’educazione
sta veicolando un’ideologia dominante. È un’educazione bancaria perché gli studenti accumulano nozioni, come si accumula denaro. Ma così
non si sviluppa una riflessione, un sapere critico del soggetto, Freire parlava già di populismo, in realtà c’è già qualcuno in alto che dice al
popolo cosa pensare. Per Freire, però quando l’educazione non è una pratica bancaria, diventa una risorsa emancipativa, che libera il soggetto
dalle catene dell’ignoranza, dallo sfruttamento economico e dal dominio politico, quando c’è uno scambio tra docente e discente, quando si
riflette insieme. Il libro cerca di capire se effettivamente il costruire dei percorsi educativi porta a interiorizzare dei pensieri teorici, in maniera
tale da riflettere e sviluppare un proprio pensiero anticonvenzionale, capace di andare oltre il senso comune di una società. Può l’educazione
veicolare una visione universalistica, innovatrice? Sì, ma a determinate condizioni.
(LIBRO) La concorrenza tra i diversi modi di concepire il mondo non è statica per due motivi: alcune idee possono essere prodotte da un
gruppo sociale e poi essere adattate da un altro gruppo concorrente; oppure le idee fungono da testi che aprono strada a visioni inedite. È
possibile identificare nel codice linguistico la matrice di ogni processo culturale, in quanto esso supporta la costruzione e organizzazione dei
significati. La comunicazione ha successo quando c’è un’intesa sui significati che deriva anche dalla condivisione dei modi mediante i quali
questi ultimi sono veicolati. Codifica e decodifica dei messaggi devono essere praticate all’interno del perimetro del codice. L’interiorizzazione
delle pratiche sociali e mappe cognitive implicite comporta la creazione di forme culturali più esplicite come prodotti più complessi. La
decodifica dei discorsi connessi a questi prodotti culturali fornisce a sua volta modi di agire che entrano a far parte della tradizione di una
società. Le idee sono prodotte da concreti attori sociali attraverso lo scambio comunicativo simbolicamente mediato. I significati condivisi si
sedimentano in mappe cognitive che contribuiscono alla formazione delle istituzioni. Il ricorso alla legittimazione per giustificare un dato
ordine sociale deriva dal fatto che gli attori sono portati esplicitare i significati aggettivati e renderli oggetto di negoziazione. La legittimazione
riduce la negoziazione entro confini funzionali al mantenimento di un dato ordine istituzionale. Quattro aspetti tipici della comunicazione
umana che alimentano la negoziazione sono: l’autopoiesi dei significati: la soluzione dei problemi concreti richiede la produzione linguistica
di un primo set di significati, che diventano oggetto della riflessività degli attori portando la creazione di ulteriori significati; l’irriducibilità
della realtà al linguaggio, come testimonia la difficoltà che ognuno di noi prova quando non riesce a trovare le parole giuste per esprimere
determinate emozioni; la flessibilità e la ricchezza del linguaggio; la possibilità che gli attori non si intendano perché condividono codici
differenti. Berger e Luckmann sottolineano come l’uomo, dovendo imparare a vivere, si serve della cultura, uno strumento compensativo
rispetto al deficit genetico per rendere l’uomo artefice del proprio destino. La natura creativa porta l’uomo a un atteggiamento
potenzialmente critico nei confronti del mondo, da cui trae alimento il dubbio verso qualsiasi interpretazione della realtà. L’origine del dubbio
va rintracciata nel fatto che la cultura si estrinseca nel corso dell’azione collettiva di trasformazione della natura. La continua negoziazione
dei significati spesso deriva dal fatto che l’addomesticamento della natura produce il conflitto dovuto alla differenziazione in gruppi tra loro
legati da determinati rapporti di potere. Gli studiosi individuano diversi gradi della legittimazione, dalla creazione di vocaboli alle prime
spiegazioni rudimentali sulla realtà, all’elaborazione di teorie, fino alla loro organizzazione in universi simbolici. Parlano anche della
socializzazione nei primi anni di vita come della più grande truffa subita dall’essere umano: i modi di fare, di agire, di sentire appresi dei
bambini si presentano ai loro occhi come oggetti indipendenti dall’azione umana. La legittimazione intesa come oggettivazione di secondo
grado, è caratterizzata da una dimensione ideologico-paradigmatica, che pervade ogni fase del processo. L’ideologia paradigma rappresenta
una sezione della più generale cultura ed è formata da concetti di una data epoca e società ancora non del tutto esplicitati, caratterizzati da
un livello di astrazione non troppo elevato. L’ideologia paradigma riflette rapporti di potere tra i gruppi e le classi che concorrono alla
costruzione sociale della realtà in un determinato ambito spazio-temporale. 4 processi culturali che intervengono nella legittimazione
dell’ordine sociale sono: mistificazione culturale, sistematizzazione teorica, azione egemonica e ricezione/fruizione. La legittimazione sociale,
assume inizialmente la forma della massificazione. La mistificazione è data dalla costruzione di categorie cognitive che riflettono i rapporti di
potere ma non li esplicitano sufficientemente. Questa costruzione corrisponde all’ideologia paradigma. La mancata o parziale esplicitazione
dei significati produce ansia nella classe dominante che si serve allora dell’azione ideologica, ricorrendo alla sistematizzazione della propria
visione implicita attraverso l’intervento diretto nella produzione di sapere teoretici. Il terzo livello di elaborazione di teorie costituisce il ponte
per il passaggio dalla dimensione più implicita dell’ideologia paradigma alla formazione dell’ideologia come sistema. L’ideologia paradigma
sorge dalla legittimazione sociale con la formazione di diversi gruppi, mentre l’ideologia sistematica completa la legittimazione sociale, dato
che tende all’esplicitazione e formalizzazione. L’ideologia sistema corrisponde alla particolare selezione che un gruppo compie nei confronti
della cultura più generale rielaborando i significati connessi alle macro categorie cognitive del paradigma ideologico di fondo. Il terzo processo
consiste nella sua promozione da parte di gruppi organizzati della classe dominante. L’azione egemonica consiste nel tradurre nuovamente
il sapere teoretico in sapere ordinario, per rendere il modo di pensare della società particolarmente favorevole alla classe dominante. Il senso
comune che ne deriva è un insieme eterogeneo di significati stratificati nel tempo dalle classi dominanti che si sono succedute. Questa
eterogeneità può rappresentare un ulteriore sprone per la sistematizzazione ideologica e la sua promozione in chiave egemonica. La
costruzione sistematica di un’ideologia non impedisce la formazione di ideologie alternative. L’elaborazione di una contro ideologia deriva
dallo sforzo interpretativo lasciato dal linguaggio dal suo impiego nel corso del processo di legittimazione sociale. La decodifica dei messaggi
avviene sulla base del punto di osservazione dei destinatari: ogni gruppo ha una propria visione interpretazione della realtà sociale. Per
questo si parla di subcultura, una sezione costituita dalla visione implicita del mondo. Nell’analisi della legittimazione sociale va considerato
anche un quarto processo, la ricezione/fruizione dell’ideologia dominante da parte di diversi gruppi sociali. Esso implica l’interiorizzazione
dei rapporti sociali, comportando un misconoscimento: le classi più svantaggiate risultano subalterne perché giungono a pensare il mondo
secondo categorie sfavorevoli senza esserne consapevoli. La ricezione si traduce solo in parte in misconoscimento, dato che gli stessi gruppi
subalterni recepiscono i messaggi ideologici da una posizione sociale differente rispetto a quella del gruppo dominante. La distinzione dei
codici in elaborato e ristretto implica una differenza di fondo nella ricezione e produzione dei messaggi. Quando il conflitto è intenso, è più
probabile che si assista alla formulazione di una chiara ideologia sistema, volta a mettere in discussione l’ordine vigente o a bloccare le
critiche nei suoi confronti. Il conflitto si manifesta anche nella contrapposizione tra visioni del mondo, con ogni gruppo che prova a far vivere
gli altri nel proprio mondo socioculturale. La ricezione/fruizione culturale risente della condizione sociale dell’interprete ma è condizionata
anche dalle stesse forme simboliche. Anche l’educazione, essendo una componente centrale della socializzazione primaria e secondaria, è
una connotazione ideologica. L’educazione scolastica corrisponde spesso a un’azione ideologica: i saperi trasmessi a scuola tendono a
giustificare l’ordine sociale complessivo, perché riproducono i rapporti di potere attraverso pratiche pedagogiche standardizzate che fanno
apparire erroneamente la conoscenza scolastica come svincolata dalla realtà ordinaria. Freire definisce queste pratiche un costrutto di
educazione bancaria. Il curriculum della scuola moderna richiede al discente di accumulare blocchi di nozioni artificialmente separate le une
dalle altre. Questo modo di organizzare il sapere scolastico trova la sua ragione nell’intenzione di riprodurre la relazione di dipendenza tra
chi sa chi non sa. Il sapere formalizzato può anche promuovere la riflessività degli attori, quando stimola competenze analitiche e razionali,
o un dubbio sistematico. Oggi, l’università funge da luogo di elaborazione del sapere teoretico avanzato. La scuola si caratterizza per
l’organizzazione gerarchica dei saperi, a cui si associano differenti comunità professionali. Il tipo di sapere appreso influisce sulle pratiche
lavorative quotidiane dei diversi operatori. Chi riesce a costruire lunghe carriere scolastiche partecipa agli ambienti educativi superiori in cui
i saperi formali e i loro produttori intellettuali vengono formati. Il sistema educativo non dovrebbe fungere solo da apparato ideologico dello
Stato ma potrebbe anche contribuire al progressivo ricorso all’astrazione, a cui si lega il dubbio sistematico e la capacità di mettere in
discussione i rapporti di potere. In questo secondo caso l’educazione si configura come azione contro ideologica, potenzialmente capace di
veicolare una visione alternativa a quella diffusa dall’ideologia dominante. Il sistema educativo, oggi, rappresenta la fucina in cui il codice
impiegato dalle classi medio alte per legittimare l’ordine sociale viene plasmato, trasmesso e modificato. L’analisi dell’educazione come
azione ideologica consente di cogliere una dialettica, aprendo la strada alla comprensione del rapporto che esiste tra classi sociali, ideologia
ed educazione. L’ideologia presuppone sempre la decodifica degli attori, che possono anche negarla. Freire nota la difficoltà degli oppressi
di giungere alla coscientizzazione, la consapevolezza del loro sfruttamento. Questa dipende dalla capacità di prendere le distanze
dall’oggettivazione culturale, scoprendo la natura storico sociale: è la capacità attribuita al codice elaborato. Secondo Freire, l’ideologia dà
per scontata l’origine sociale della dipendenza dai dominanti. L’ideologia favorisce l’atteggiamento naturale degli individui verso il mondo
sociale oggettivato. Freire a più riprese usa l’espressione classe possidente non solo perché questa possiede ingenti quantità di beni, ma
anche per via dello spasmodico desiderio di accumulazione che la contraddistingue: l’oggettivazione è la riduzione degli oppressi a cose.
Attraverso l’azione ideologica, i criteri di classificazione dei dominanti si affermano. Freire rintraccia la base del dissenso nel fatto che gli
oppressi sono animali anfibi: convivono in loro timore e apprezzamento per gli oppressori, il primo derivante dalla loro oggettiva condizione
di sfruttamento, il secondo dovuto all’interiorizzazione dell’ideologia dominante. L’azione ideologica non può negare totalmente la concreta
attività di trasformazione del mondo nella quale gli uomini sono impegnati. I subalterni riconoscono pienamente il dominio quando iniziano
a dubitare su ciò che si dà per scontato. Freire definisce nel dettaglio questo percorso, da lui chiamato sintesi culturale: essa presuppone
l’intervento attivo di agenti del cambiamento, dotati delle competenze adatte per far esercitare il dubbio sistematico e condurre gli oppressi
ad un’analisi critica. In altre parole, gli agenti del cambiamento non impongono una visione del mondo, ma partecipano alla trasformazione
sociale. La conoscenza del potere presuppone il potere della conoscenza. Per Bernstein, il potere della conoscenza consiste nella possibilità
della teoria di favorire analiticità e razionalità al punto da alimentare uno stile cognitivo posto convenzionale, capace di cogliere l’arbitrarietà
del potere. Chi compie percorsi formativi lunghi ha maggiore probabilità di sviluppare un sapere critico capace di orientarlo all’altro e di
maturare una concezione del mondo universalistica. Questo esito è solo potenziale, perché l’effetto del sapere in quanto oggettivazione
culturale dipende dalle concrete relazioni sociali. Coloro che appartengono alla frazione più scolarizzata della classe media sono soggetti
relativamente avvantaggiati. Dall’altra parte, la stessa socializzazione scolastica potrebbe esaltare la competizione sociale anziché svalutarla.
Freire identifica nella scuola uno dei principali luoghi del conflitto sociale, dato che l’educazione può assumere lo status di azione ideologica
volta al dominio oppure divenire l’arma della critica sociale. La capacità emancipativa attribuita alla scuola potrebbe essere concepita come
una delle conseguenze in attese dell’evoluzione del conflitto tra Chiesa e impero nel Basso Medioevo. Fu questo conflitto a dare impulso alla
nascita del sistema educativo moderno. I principali fini erano: promuovere la cultura alta all’interno delle corti, trasmettere il sapere dei
bottegai nei circuiti cittadini emergenti, formare corpi specializzati di professionisti delle burocrazie amministrative intorno agli Stati nazione,
garantire un livello minimo di istruzione di base alla popolazione. In passato esistevano istituzioni educative diverse tra loro che lavoravano
e trasmettevano saperi differenti. All’alfabetizzazione di base, si sostituì un sistema educativo più indirizzato alla trasmissione di un punto di
vista sul mondo di natura secolare. Il sistema educativo moderno è il risultato dell’integrazione di istituzioni promosse da differenti attori,
accomunati da una traiettoria sociale ascendente nella fase di passaggio dal feudalesimo al capitalismo, ma legati a concezioni differenti su
cosa dovesse essere l’istruzione. Con il capitalismo, il sistema educativo ha assunto la forma di istituzione centrale dello Stato moderno. I
molteplici attori coinvolti oggi nella costruzione del sistema educativo possono essere divisi in tre categorie: gli eredi storici diversi fondatori
del sistema, mossi dall’interesse a selezionare e legittimare l’ordine sociale che ha preso forma con la modernità, frazioni della classe
superiore; la seconda categoria sociale costituita dalla classe media più istruita, i lavoratori cognitivi, e le classi lavoratrici popolari che
credono nella scolarizzazione di massa. Le classi superiori tendono a contenere il potenziale critico presente nei più istruiti, soprattutto se
questi non occupano una posizione sociale molto elevata. La classe media intellettuale è quella più interessata all’estensione del raggio
d’azione del sistema educativo. Si potrebbe sostenere che il favore per l’universalismo scolastico rifletta una visione del mondo opposta alla
concezione della classe superiore. L’universalismo promosso dalla scuola ha diffuso la mentalità acquisitiva anche tra le classi subalterne,
facendo aumentare il grado di legittimazione per il capitalismo. La presenza di gruppi sociali interessati alla misura della loro posizione di
privilegio e di altri gruppi desiderosi di una migliore condizione ha allargato il conflitto tra le classi all’ambito educativo. Lo sforzo di monarchi
illuminati, e intellettuali progressisti nel corso della costituzione dello Stato moderno ha creato le precondizioni per fare della scuola un’arena
centrale del conflitto sociale attuale. La mobilità sociale ha portato col tempo alla nascita di soggettività incompatibili col capitalismo per via
di un tipo di formazione di pratiche non funzionali alla mercificazione. Le soggettività più critiche di classe media assumono un ruolo di attori
interessati a contrastare la riproduzione delle disuguaglianze tra classi sociali da parte della scuola. L’’universalismo dichiarato dalla scuola
non è stato solo fonte di inganno, ma ha anche motivato i soggetti più istruiti a credere nella capacità emancipativa della scuola e dunque ad
agire in questa direzione. L’universalismo professato dalla scuola riesce contemporaneamente a giustificare le diseguaglianze tra le classi
sociali attraverso l’educazione, sia a richiedere emancipazione da parte delle classi subalterne.

CAPITOLO 3 Il sistema educativo moderno è il frutto di più di 1000 anni di storia. In Europa, già nel Medioevo il sistema si sviluppava verso
la modernità. L’ideologia dominante era data dal cristianesimo tradizionale, la Chiesa aveva il controllo, ma si poneva uno scontro tra Chiesa
e Impero riguardo al monopolio simbolico su chi fosse il portatore della realtà, questo scontro porterà alla nascita delle università, luoghi di
formazione dei ceti più colti, dei funzionari dell’Impero prima e degli Stati moderni dopo, i luoghi della rielaborazione. In seguito, si
svilupperanno altri livelli, come le scuole elementari, all’inizio gestite dalla Chiesa in una società prevalentemente analfabeta, perché
l’economia feudale non aveva bisogno di lavoratori qualificati. Con lo sviluppo del capitalismo, la scuola primaria si fonda sul bisogno di
alfabetizzare la popolazione, c’è bisogno di operai in fabbrica, con una base di linguaggio, scrittura, lettura, calcolo. La scuola elementare
nasce anche per formare cittadini capaci di rispondere alle esigenze del sistema fiscale moderno, fatto di tasse, regole, leggi. Si sviluppano
poi la scuola media, le superiori come formazione tecnica intermedia. Il sistema moderno, quindi, è frutto del mix tra i diversi livelli scolastici.
Inizialmente, era funzionale a riprodurre le differenze in classi. Ma, la scuola nel veicolare l’idea di educazione come forma di emancipazione,
è diventata un oggetto di consumo, le istituzioni si sono scontrate sul giusto modo di fare scuola. Questo scontro nato nel 900 e presente
anche oggi nel sistema educativo moderno, dà al sistema questa funzione emancipatoria, e una finalità critica. Le classi sociali lottano per
avere titoli più alti, perché hanno punti di vista diversi riguardo all’educazione. Da un lato, si veicola l’ideologia dominante, si dividono gli
studenti tra classi di figli di operai e classi di figli di classe medio-alta. Dall’altro lato, si crea una promozione di ogni singolo individuo,
veicolando una formazione critica, frequentando le università. Individui con livelli di educazione diversa hanno visioni del mondo diverse, i
più istruiti hanno tendenzialmente una visione universalistica; i meno istruiti più particolaristica. Nel sistema capitalistico attuale, l’ideologia
dominante è quella neoliberista, che esalta il capitalismo come proprietà privata dei mezzi di produzione, l’individualismo, la competizione
estrema, il profitto elevato. Il neoliberismo esalta l’idea dell’individuo libero di scegliere, capace di affermarsi nella sua vita con le sue sole
forze, l’idea del privato superiore o migliore del pubblico, basta pensare all’esaltazione della scuola o della sanità privata, piuttosto che quella
pubblica. L’ideologia neoliberista è diventata senso comune, l’ideologia dominante. L’individuo come consumatore viene prima dell’individuo
come lavoratore. Il professore riprende un’indagine europea, condotta ogni due anni dal 2002 in circa 25 Paesi, vengono intervistate circa
50000 persone dai 15 anni in su, e seleziona 4 ondate (2004-2008-2012-2016), 18 Paesi europei, persone con livelli d’istruzione, professioni,
classi sociali differenti. Il professore cerca di costruire le loro visioni del mondo, ponendo domande riguardo l’atteggiamento nei confronti
dello straniero (arricchimento culturale degli stranieri) e domande riguardo l’uguaglianza (ridistribuzione del denaro). Tenendo conto delle
risposte, si possono raggruppare gli intervistati in 4 gruppi, che si distinguono per il modo in cui interpretano il neoliberismo. Il neoliberismo
si basa sull’autorealizzazione personale, sull’individualismo, sul primato del privato sul pubblico, questa è l’ideologia dominante degli ultimi
40 anni. Il gruppo dei “Neoliberisti” è quello più vicino a questa interpretazione, sono coloro che dicono di essere favorevoli all’immigrazione
come diritto personale di ogni individuo, ma non credono che ci debba essere un intervento pubblico a favore dell’uguaglianza, sono
individualisti, credono nel mercato, nel capitalismo, agli interessi materiali. Questa visione si associa statisticamente alle persone della classe
superiore, dirigenti, imprenditori, manager, professionisti, diplomati, e anche le classi medie tradizionali. La visione “Neocomunitarista” è
favorevole all’uguaglianza, e all’intervento dello Stato per ridistribuire il denaro, ma solo per chi appartiene alla propria comunità, ristretta,
serve quindi un’uguaglianza tra simili. La visione “Particolarista” per tanti anni ha seguito il primo gruppo, è conservatrice, ragiona come
consumatore individuale, ma la crisi degli ultimi 10 anni lo ha messo in difficoltà, non si sente più protetto, per questo si chiude in sè stesso,
non vuole l’uguaglianza, ma chiede aiuto e protezione dallo Stato, intesa non in senso collettivo. È chiuso allo straniero, la comunità è intesa
come insieme di individui separati, che serve a creare una barriera con l’altro, con il diverso. È una visione caratteristica delle classi
svantaggiate, operai, lavoratori autonomi, in piccola parte gli impiegati. L’operaio con la crisi perde identità, non si sente appartenente ad
una classe sfruttata, ma non crede nel mercato, nella globalizzazione, vuole lavorare non per emanciparsi ma per consumare, è radicale, non
vuole conoscere le ragioni dell’altro. Fa parte delle classi che in realtà dovrebbero pretendere un’uguaglianza. L’ultima visione è quella
dell’”Universalista”, che è aperto agli immigrati, crede nella diversità culturale, nell’accoglienza, comprende e riconosce i rapporti di potere
tra Stati, sa che l’Italia sfrutta altri territori, per questo accetta gli immigrati che scappano da quei posti, perché sa che anche lui sarebbe
scappato dalle guerre, dalla miseria, riconosce l’immigrato in quanto individuo appartenente al suo stesso genere e chiede l’intervento dello
Stato, chiede nell’uguaglianza sociale, sotto tutti gli aspetti. Da una parte, sono coloro che svolgono un lavoro intellettuale, come gli
insegnanti, ma soprattutto sono coloro che hanno una formazione universitaria. Da ogni studio, emerge che la formazione universitaria tende
ad agevolare l’universalismo, anche a parità di classe sociale, età, genere, area geografica. Da una parte emerge una nuova classe media,
pubblicitari, sociologi, psicologi, economisti, portati ad avere una minore distanza dalle classi operatrici e a richiedere una distribuzione giusta
del denaro, un sistema economico inclusivo. Questa apertura è tipica anche di chi interiorizza il sapere teorico, sviluppando una capacità di
generalizzazione. L’”Universalista” non può accettare un’economia che non riconosce l’uguaglianza. L’analisi statistica mostra anche che non
si tratta di un processo automatico, infatti la scuola veicola anche un’ideologia dominante, per cui si suddivide la popolazione in persone più
o meno istruite, veicola l’idea di competizione, l’idea di individualismo acquisitivo, in questo modo anche la scuola potrebbe spingere verso
una visione neoliberista.
(LIBRO) Per condizione sociale si fa riferimento ad un insieme di esperienze condivise da una persona in virtù della sua appartenenza ad una
collettività più ampia. Il genere ha costituito il più importante principio ordinatore delle società tradizionali a basso livello di differenziazione.
Nelle società moderne è divenuto sempre più rilevante il criterio relativo all’età o alla corte generazionale e alle aree geografiche. Lo status
professionale e il titolo di studio sono due proprietà considerate anche nella veste di componenti di un fattore di stratificazione più generale.
Parlare di stratificazione in gruppi consente di riflettere sulla complessa interazione tra la dimensione di classe e quella cetuale. I ceti sono
gruppi di status, insiemi di individui che condividono lo stesso grado di prestigio e onore sociale. I significati che plasmano i ceti possono far
riferimento a valori e credenze connesse a una fede religiosa o una visione politica, oppure a modi di fare, pensare, parlare tipici di una
cultura locale o ancora alla distinzione derivante dal livello di istruzione formale posseduto. Larga parte di impiegati e tecnici sono
appartenenti alla classe media dipendente, ma sono anche rappresentati come ceto medio per via del particolare peso da loro attribuito al
possesso di un livello di istruzione superiore che li distingue dalla classe operaia. I lavori intellettuali sembrano contraddistinguersi oggi dai
gruppi appartenenti alle classi medie tradizionali non solo per pratiche culturali e tipi di reti sociali, ma anche per il tipo di rapporto che hanno
con la più ampia struttura produttiva. Il confine tra le classi medie e quelle lavoratrici operaie non è riducibile alle differenze di reddito, ma
investe le più complessive condizioni di vita. Gallino e Borgna evidenziano la discrepanza tra l’immaginario diffuso dall’ideologia dominante
e la crescita reale delle disuguaglianze economiche. Il sistema economico vigente è il capitalismo, basato sull’impiego di forza lavoro da parte
di chi possiede o gestisce i capitali. L’individualismo neoliberale ha distrutto la solidarietà interna alle singole classi sociali. Esistono rapporti
di potere strutturali tra coloro che gestiscono l’accumulazione del capitale economico, i soggetti componenti la forza lavoro subordinato e
tutte le altre classi collocate in posizione media. Le classi sociali sono state considerate come collettività non più chiuse, ma semi aperte, data
la possibilità dell’individuo di modificare una condizione di vita. Bisogna considerare la relazione di reciproca influenza tra ciò che
un’oggettivazione culturale suggerisce in quanto testo e quelle che sono le categorie analitiche dell’interprete. Se per classe sociale si intende
una collettività di individui accomunati da simili condizioni di vita, allora i criteri impiegabili si riducono a un numero finito. La trasformazione
della natura è un’attività collettiva attraverso la quale la società viene costruita. La progressiva affermazione dell’economia di mercato ha
rotto i confini tra i ceti, rendendoli meno chiusi del passato, facendo emergere le classi sociali. Classi e ceti convivono e si mescolano. I gruppi
di status formano il sistema istituzionale. La distribuzione asimmetrica del prestigio influisce sulla ripartizione del lavoro necessario alla
riproduzione della società. Aldilà del rapporto di influenza reciproca tra tipo di occupazione e grado di prestigio, esiste un conflitto tra i gruppi
occupazionali nella veste di ceti e la loro riconfigurazione del sistema capitalistico come classi sociali. Le classi sociali sono attori collettivi che
concorrono alla formazione di quell’insieme di istituzioni corrispondenti al sistema economico vigente. L’Italia è stata particolarmente
investita dalla terziarizzazione economica, che avuto un impatto profondo sulla struttura socio-occupazionale. I vantaggi sociali aumentano
in misura proporzionale all’autonomia degli occupati e soprattutto alla loro capacità di sfuggire una valutazione standardizzata e rigida della
prestazione da parte dell’organizzazioni. Lo schema di classe proposto deriva originariamente da una tassonomia fondata sull’impiego di
successione di due criteri di classificazione. Il primo è rappresentato dal tipo di rapporto politico economico complessivo con il sistema
capitalistico in virtù della posizione occupazionale. È possibile distinguere quattro diversi rapporti politico economici: la gestione, diretta o
indiretta, di capitali economici a cui si associa la capacità di influire sull’assetto istituzionale e di controllare specifiche organizzazioni gruppi
occupazionali; la vendita di forza lavoro subordinato; la vendita di forza lavoro alle organizzazioni pubbliche e private congiunta al possesso
di riconosciute credenziali educative; lo svolgimento di un’attività in un’azienda di cui si è titolari. Il secondo criterio di classificazione consiste
nella ripartizione dei gruppi occupazionali a seconda del loro grado di distanza dalla produzione materiale. La terziarizzazione ha portato alla
nascita di una nuova classe operaia i cui membri sono contraddistinti da un lavoro in cui la manualità non scompare, ma risulta secondaria
rispetto all’impiego di competenze relazionali necessarie alla produzione di servizi. Si possono classificare come appartenenti alla classe
operaia tradizionale tutti lavoratori dipendenti addetti all’estrazione di risorse, impegnati nella trasformazione dei beni materiali. I lavoratori
subordinati contraddistinti da un’attività in cui la manualità è meno rilevante possono essere definiti i membri della nuova classe operaia nei
servizi. Queste figure vendono la loro forza lavoro senza poter fare leva su credenziali educative formali capaci di far evitare loro la
subordinazione piena le organizzazioni. Gli operai nei servizi sono costretti a vendere la loro personalità, oltre alla forza lavoro, dato il
coinvolgimento emotivo richiesto nella loro attività. È possibile segnare un confine, tra la piccola borghesia tecnico impiegatizia e la classe
media intellettuale. La prima classe è formata da tecnici impiegati, accomunati da un lavoro tendenzialmente meccanico e ripetitivo. Il lavoro
è meno creativo e autonomo perché le organizzazioni richiedono l’impiego di un sapere teoretico limitato. La classe media intellettuale è
formata da addetti a un lavoro di natura più intellettuale, ai quali la direzione organizzativa affida la completa responsabilità. Il lavoro consiste
nell’impiego della conoscenza acquisita all’università dopo un lungo percorso formativo. Il sapere è continuamente aggiornato. Oggi, sta
emergendo una nuova classe media formata da intellettuali messi al lavoro, ossia lavoratori cognitivi, differenti sia dei tecnici e
degli impiegati. Il controllo sul lavoro è relativamente alto, ma non sufficiente a contrastare l’influenza di dirigenti e imprenditori. È possibile
individuare tre strati di lavoratori della conoscenza: uno formato dei soggetti caratterizzati da un rapporto di lavoro dipendente, ma non
subordinato, più vantaggioso di quello tipico di operai tecnici impiegati. Un secondo strato più svantaggiato è costituito da soci, collaboratori.
Il terzo è formato da figure ibride. Autorealizzazione e alienazione convivono nei lavoratori intellettuali più di quanto avvenga negli operai
nei servizi. Lo stile di pensiero trae origine dalla volizione di mondo, ovvero l’atteggiamento di fondo di un gruppo verso la realtà circostante
tutti gli altri individui componenti la società. È l’atto cognitivo consistente nel taglio concettuale che si compie nei confronti dell’esperienza.
Lo stile di pensiero è definibile come la mentalità connessa al codice linguistico espressivo che un gruppo si dà per esprimere sè stesso e la
realtà circostante. Per visione del mondo si intende la concezione della realtà, poco sistematica e implicita, che un gruppo sociale esprime
sulla base del suo stile di pensiero. L’accettazione e interiorizzazione delle idee provenienti da altri attori può trasformare la concezione del
mondo di un gruppo e col tempo incidere sul suo stesso stile di pensiero. La modificazione delle idee è strettamente connessa alle dinamiche
che animano il conflitto sociale tra i gruppi. Si può indagare l’opposizione tra universalismo e particolarismo alla luce di un’altra opposizione,
quella tra individualismo e collettivismo. La stratificazione sociale si connota per una diseguale distribuzione anche delle risorse cognitive, e
dal diverso grado di impiego del codice elaborato e di quello ristretto. Lo studio delle visioni del mondo analizza due specifici ambiti:
l’immigrazione e l’eguaglianza sociale. L’affermazione della regolazione politica economica neoliberista ha promosso l’individualismo,
alimentato anche dallo spostamento delle costruzioni identitarie del mondo del lavoro a quello del consumo. Il nuovo scenario ha messo in
crisi il valore dell’uguaglianza, rendendo poco desiderabile l’effettiva redistribuzione delle risorse economiche e sociali. Le classi subalterne
si sentono minacciate economicamente e culturalmente dagli stranieri; ampie fasce delle classi medie tendono ad attribuire loro il
declassamento sociale. L’utilizzo di un’analisi multivariata dei dati a permesso di passare dalla rilevazione degli atteggiamenti allo studio dei
valori. L’ACP ha portato a due risultati interessanti. Il primo è consistito nella costruzione di un indice sintetico solo per le sue variabili relative
agli atteggiamenti verso il tema dell’immigrazione. Il favore o sfavore non è correlato alle opinioni collegate all’uguaglianza sociale. Il secondo
risultato consiste nell’impossibilità di costruire un indice sintetico delle tre variabili relative ai diversi aspetti dell’eguaglianza selezionati.
La credenza nell’uguaglianza sociale può paradossalmente favorire due atteggiamenti opposti: può ritenere non razionale prestare ascolto a
chi non riconosce l’eguaglianza di tutti gli uomini; oppure può decidere di assumere un atteggiamento di piena apertura all’altro al punto ad
ascoltare le ragioni persino di chi è favorevole alla costruzione di una società diseguale. L’intento principale è stato distinguere il gruppo di
intervistati pienamente universalisti dagli altri. Al primo gruppo appartengono coloro che sono tendenzialmente aperti all’immigrazione e
allo stesso tempo favorevoli sia all’uguaglianza. Gli universalisti si caratterizzano per l’orientamento più squisitamente egualitario, che
presuppone di fatto anche il riconoscimento della diversità. È possibile collegare la formazione della visione universalistica allo sviluppo di
una specifica versione del codice elaborato. Neoliberisti e particolaristi esprimono una concezione tendenzialmente poco favorevole
all’eguaglianza sociale, ma i primi sono ostili agli stranieri rivelando una cultura collettivista che non riconosce la peculiarità dell’individuo
rispetto alle appartenenze etniche. I neoliberisti esprimono una cultura più individualista. Universalisti e neocomunitaristi sembrano
esprimere un mondo valoriale favorevole all’eguaglianza sociale, mostrando differenze significative sull’altro aspetto analizzato: gli
universalisti sono gli unici a mostrare una visione capace di declinare l’eguaglianza sociale come principio universale che supera le
appartenenze etniche, statuali, religiose. I neocomunitaristi applicano il principio dell’eguaglianza solo nei confronti di chi appartiene alla
propria comunità nazionale. I neoliberisti sono i più individualisti, seguiti dagli universalisti che declinano questo orientamento in una forma
più debole. I neocomunitaristi sono i più collettivisti, seguiti dai particolaristi. I neoliberisti rappresentano il gruppo più ampio, coinvolgendo
circa un terzo degli intervistati. I neoliberisti dichiarano non solo l’avversione all’azione redistributiva dello Stato, ma esprimono anche scarso
orientamento alla parità di trattamento delle persone. L’affermazione del neoliberismo e la sua conseguente crisi hanno comportato la
ridefinizione del liberalismo. I neoliberisti risultano condividere del liberalismo solo la repulsione per l’intervento statale nel campo
economico, mentre sono in aperta opposizione sugli altri due aspetti dell’uguaglianza sociale: le pari opportunità e l’ascolto delle ragioni
altrui. Il liberalismo dichiarava come valore assoluto la libertà individuale, considerando gli individui capaci di un’azione razionale anche per
via del coordinamento emergente dei meccanismi di mercato. Lo scontro ideologico tra liberali e socialisti era fondato sulla contrapposizione
tra la dimensione individuale e quella collettiva della vita sociale. In questo scenario, la classificazione in quattro profili mostra come sta
emergendo una nuova concezione del mondo, derivante dalla convergenza tra il liberalismo classico e il socialismo. È una visione definibile
come universalista per la propensione a coniugare il riconoscimento delle diversità socio-culturali interne agli Stati con la promozione
dell’uguaglianza sociale. L’universalismo si fonda sulla convinzione che non vi sia contraddizione tra promozione dell’uguaglianza sociale e
riconoscimento della più ampia diversità socioculturale. Riprendendo Bernstein, agli universalisti e ai neoliberisti si attribuisce un codice
linguistico elaborato, mentre il codice di particolaristi e neocomunitaristi sembrerebbe più ristretto. Il codice elaborato si fonda sulla
costruzione di una soggettività forte, autonoma e al tempo stesso portata ad aprirsi al mondo. Si può asserire che la cultura individualista,
affermatasi con la modernità, si associa lo sviluppo del ragionamento astratto, logico e metodico, ma la crescente importanza attribuita
all’individuo come soggetto indipendente sembra aver ostacolato la capacità di ricostruire contesti d’azione ampi tanto da rendere possibile
una piena consapevolezza dell’interdipendenza tra gli uomini.

CAPITOLO 4 - LA CONCORRENZA DELLE IDEE TRAZIONE EGEMONICA RICEZIONE CULTURALE Particolarismo e neocomunitarismo
rappresentano forme di autodifesa rispetto alle difficoltà materiali piuttosto che il frutto della subalternità ideologica. L’universalismo
richiede un tipo di riflessività che può permettersi solo chi non ha la necessità di convogliare gran parte delle energie mentali alla soluzione
dei problemi concreti della vita quotidiana, condizione che spinge più svantaggiati a cercare il supporto di coloro che incontrano le loro stesse
difficoltà piuttosto che a riconoscere la diversità. Se si considera il rapporto dialettico esistente tra la fruizione culturale dell’ideologia
dominante e la capacità di questa stessa ideologia di orientare il soggetto, si potrebbe ipotizzare che l’interiorizzazione dell’individualismo
acquisitivo, veicolato dal neoliberismo, abbia contribuito a spezzare via l’identità di classe degli operai. L’assenza di una solida identità
collettiva rende i soggetti più penalizzati atomi con deboli legami sociali, frustrati dall’ansia di status generata da un contesto che esalta
l’individualismo. Il disallineamento tra i vincoli sociali dovuti alla crisi economica attuale comporta oggi per le classi subalterne una sorta di
devianza ideale. La scarsa apertura universalistica trarrebbe origine dall’invasione culturale dell’ideologia dominante nei confronti dei
subalterni: il particolarismo deriva dal pensiero conservatore. L’individualismo senza orientamento all’autonomia implica la ritraduzione del
neoliberismo in particolarismo o neocomunitarismo. È necessario considerare da un lato il legame tra il codice linguistico espressivo e la
concreta condizione sociale degli attori, e dall’altro il ruolo che l’ideologia dominante esercita sul loro modo di pensare. Il livello di istruzione
rappresenta un valido indicatore della lunghezza del percorso scolastico degli individui e dunque del tipo di ambiente di apprendimento di
cui essi fanno esperienza: per come è impostato il curriculum scolastico, più si sale di grado d’istruzione, maggiore è l’organizzazione dei
saperi. L’università dovrebbe alimentare quelle competenze analitiche tipiche del razionalismo teorico fondato sull’impiego di concetti più
precisi. I saperi scolastici sono organizzati secondo un codice elaborato. Le conoscenze del sistema educativo veicolano credenze, norme,
valori che possono contribuire a visioni del mondo che non sono solo diretta espressione degli interessi dominanti. I lavoratori cognitivi sono
in possesso dell’istruzione universitaria, a cui si aggiunge spesso un titolo di studio post lauream. Il legame tra universalismo e classe media
intellettuale potrebbe essere spiegato proprio dalla profonda interiorizzazione del sapere teoretico universitario. In questo caso si interpreta
il nesso tra universalismo e istruzione universitaria come risultato dell’acquisizione di una forma mentis che deriva dallo sviluppo del codice
elaborato interpersonale. L’identità dei più istruiti risente anche delle dinamiche competitive connesse alla costruzione di lunghe carriere
scolastiche lavorative: chi consegue la laurea è tendenzialmente più ambizioso e competitivo di chi abbandona gli studi prima; ha quindi
interiorizzato maggiormente l’atteggiamento acquisitivo, evidentemente per via della specifica socializzazione primaria trasmessa dalla
famiglia. La propensione all’universalismo dei lavori cognitivi potrebbe essere spiegata col fatto che costoro non solo seguono percorsi
educativi più lunghi, ma riescono anche ad applicare concretamente nella loro attività il sapere appreso. I lavoratori cognitivi non sono
semplicemente più istruiti, ma impiegano attivamente e più di frequente le categorie concettuali proprie dei saperi teorici universitari nella
loro professione. L’esperienza lavorativa è dunque centrale perché richiama costantemente un percorso formativo particolarmente lungo e
coinvolgente, al punto da plasmare l’identità dei soggetti. L’intellettualizzazione del mondo è la dimensione del processo di razionalizzazione
indagato da Weber che consiste nella progressiva affermazione di concezioni del mondo che pongono al centro la ragione come criterio di
valutazione interpretazione della realtà. L’intellettualizzazione consiste nell’organizzazione dell’esperienza attraverso il ricorso a categorie
più astratte, influisce sull’identità sociale in una direzione opposta a quella seguita dall’organizzazione metodica della condotta. In Europa
resta egemonica a livello soggettivo l’ideologia neoliberista, incentrata su competizione, successo professionale, esaltazione dell’economia
di mercato, ma si registra livello oggettivo la crisi della regolazione che si ispira a questa stessa ideologia. Gli universalisti si oppongono al
particolarismo, ma non riescono a superare pienamente l’individualismo neoliberista. Mentre i neocomunitaristi si mostrano alternativi e
neoliberisti, senza rinunciare a una buona dose di particolarismo. I particolaristi assolutizzano i significati della propria cultura, ponendo
confini netti tra ciò che è loro familiare e ciò che non lo è. Prodotti culturali come l’ideologia e le credenze codificate in visioni del mondo
fungono da testi che aprono un modo di pensare specifico perché possono conferire un certo tipo di mappe cognitive, di categorie di pensiero
piuttosto che altri. Se si ragiona sull’intero arco temporale analizzato, l’organizzazione dell’esperienza delle classi medio alte si basa
tendenzialmente sul ricorso a categorie astratte, universalizzate, implicanti in genere l’apertura al mondo. L’universalizzazione rappresenta
una tensione verso la scoperta di nessi inesplorati tra i fenomeni osservati. All’opposto, la chiusura deriva dalla solidarizzazione dei significati
della propria cultura a discapito di quelli prodotti in altri.
CAPITOLO 5 - SAPERE UNIVERSITARIO E UNIVERSALISMO L’universalismo rappresenta un nuovo modo di rielaborare la solidarietà collettiva,
collocandola su un piano più generale, corrispondente all’attribuzione di tutti gli esseri umani a un’unica comunità, concettualmente
differente da tutte le altre per l’assenza di confini esterni. Il cambiamento socioculturale degli ultimi decenni ha portato alla riconfigurazione
dell’universalismo, che esalta le diversità sociali e culturali, concependole come manifestazioni particolari del genere umano e ritenendole
modificabili sulla base del dialogo e del confronto. L’identità universalistica si fonda sul riconoscimento di qualcosa da cui differenziarsi:
l’identificazione presuppone sempre l’individualizzazione. La classe più associata all’universalismo risulta essere quella formata dei lavoratori
cognitivi, che costituiscono gli individui più istruiti e maggiormente impegnati nell’impiego dei saperi teoretici. Si può ipotizzare che
l’universalismo sia il prodotto dello stile cognitivo veicolato dal codice linguistico espressivo elaborato, specialmente ai più alti livelli di
istruzione. La lotta simbolica per l’acquisizione dei titoli di studio più elevati riguarda il conflitto sull’interpretazione della realtà. La
motivazione a intraprendere lunghi percorsi scolastici dipende dalla combinazione di più fattori, tra i quali la volontà di ottenere uno status
sociale medio alto e una collocazione economica vantaggiosa, ma è importante anche il valore attribuito all’istruzione rispetto alla formazione
della propria identità. Alcune famiglie concepiscono il titolo di studio come una risorsa utile prevalentemente ad acquisire vantaggi materiali
o risorse immateriali come il prestigio; altri invece danno un peso decisamente più alto anche al tipo di formazione. Il livello di istruzione dei
genitori incide sulla prestazione scolastica dei figli nel percorso formativo. Gli studenti delle classi medio alte ritrovano in aula modi di fare e
pensare in linea con quanto si pratica a casa; mentre ciò non vale per i figli delle classi medio-basse, di estrazione operaia o popolare. Le
diseguaglianze scolastiche si associano alle differenze culturali più generali delle classi sociali, nonché al loro differente modo di definire quali
conoscenze sono rilevanti e quali no. Le classi medio-alte puntano in genere a una rappresentazione della realtà che esalta e giustifica il loro
dominio. La consapevolezza dell’esistenza di una lotta simbolica tra le classi sociali fa emergere come l’istruzione non rappresenti solo un
fattore di riproduzione del sistema di stratificazione sociale, o all’opposto un mezzo di mobilità individuale chiedendo di migliorare la propria
condizione. L’istruzione va concepita anche come una risorsa identitaria, attraverso la quale la competizione per i titoli di studio si connette
al conflitto sull’interpretazione della realtà. L’ipotesi principale è che il possesso della laurea aumenta la probabilità di maturare una
concezione universalistica. Un primo modello di regressione pone come variabile dipendente quella relativa alla distribuzione degli
intervistati nelle quattro visioni identificate e come variabili indipendenti il livello distruzione la variabile e la condizione di classe. L’analisi ha
permesso di stabilire se sia il possesso della laurea oppure se sia il costante impiego di saperi teoretici a contare di più. La terza ipotesi
prevede che le persone che hanno conseguito la laurea, pur provenendo da famiglie prive di questo titolo di studio, sono le più portate
all’universalismo. L’ipotesi può prestare il fianco a tre critiche. L’identità universalistica potrebbe derivare da tre aspetti esterni
all’interiorizzazione del sapere teoretico tipico dell’universalità: il riconoscimento a posteriori della condizione svantaggiata di partenza;
l’apertura verso il riconoscimento della diversità; la fiducia instillata dall’effettivo mantenimento della promessa universalistica del sistema
educativo moderno. Tra i pochi laureati appartenenti alla classe operaia nei servizi, quasi la metà esprime una visione universalistica. Il
possesso della laurea sembra contribuire alla formazione dell’universalismo, fino al punto da portare persino una percentuale rilevante di
operai a maturare una concezione di questo tipo. Si può sostenere che il livello di istruzione incida sulla tendenziale relazione tra posizione
sociale del soggetto e sua visione del mondo. Il titolo di studio ha un’influenza maggiore della classe sociale, confermando il suo ruolo
plasmatore rispetto alla mera associazione tra condizione materiale e modo di pensare. Allo stesso tempo, molte associazioni tra classe
sociale e visione del mondo si mostrano significative, anche una volta tenuto conto dell’importante ruolo rivestito dal livello di istruzione.
L’universalismo cresce tra le persone che più impiegano il sapere teoretico universitario nel lavoro quotidiano. Anche nel nostro paese, il
possesso della laurea risulta influenzare positivamente la visione universalistica. Il livello di istruzione risulta un fattore che influisce
significativamente sulla visione del mondo implicitamente presente nei soggetti. È il tipo di formazione collegata a livello di istruzione a
costituire un fattore esplicativo del tipo di interpretazione della realtà attribuibile a un individuo. La socializzazione scolastica non consiste
in un travaso di informazioni da un mittente a un destinatario, ma in un processo interattivo in cui è centrale l’apprendimento del
socializzando che interiorizza la conoscenza rielaborandola sulla base di una specifica attività di decodifica. L’apertura all’altro è minima tra
le persone meno istruite, soprattutto se provengono da ambienti familiari culturalmente deprivati. La riforma globale del sistema d’istruzione
superiore va analizzata come una componente centrale della dimensione culturale del conflitto sociale nel contesto attuale: rappresenta una
potente arma ideologica, creata dalla classe superiore, usata contro quella che si è mostrata essere la fucina dell’universalismo. La riforma
sta comportando la profonda trasformazione dei curricula universitari, con il sapere teoretico che viene ridefinito in una direzione che porta
a prediligere a questo la conoscenza strumentale ed economicamente appropriata. L’attuale torsione conservatrice, caratterizzante il clima
politico culturale su scala mondiale, prosegue l’attacco al sistema educativo moderno ribadendo come essa sia la manifestazione più acuta
del malessere prodotto dal neoliberismo: le rivendicazioni particolaristiche anche nella loro versione neocomunitarista servono a colmare il
vuoto derivante dal ritardo culturale dei suoi interpreti, socializzati alle categorie di pensiero neoliberista, nonostante gli effetti negativi
dell’omonimo sistema di regolazione politica economica prodotto sulla loro condizione materiale.

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