Il termine integrazione è divenuto un termine abusato: da
percorso che valorizza le differenze, evidenziando anche ciò che accomuna, si è tradotto sempre più in un percorso che condanna l’altro a diventare più simile a noi senza intaccare le nostre abitudini e i nostri privilegi. L’inclusività e la ricerca di un mondo più giusto e democratico richiedono, invece, la diffusione di una sana educazione interculturale, di una cultura dell’incontro e del dialogo planetaria. Occorrono approcci politici, istituzionali, culturali, pedagogici, nuovi e progressivamente più aperti alla cura educativa di bisogni differenti e alle “integrazioni”, al plurale, di tutte le diversità. Filosofia dell’inclusività significa pervasività di una corrente di pensiero in grado di garantire a ciascun cittadino di essere protagonista della propria crescita e della propria esistenza in qualunque luogo del mondo nella consapevolezza che esistono potenzialità conoscitive, operative e relazionali spesso bloccate dagli schemi e dalle richieste della cultura corrente e del costruire sociale. (Viscardi, 2017) Favorire lo sviluppo di queste potenzialità è un impegno peculiare della scuola, considerando che la funzione di questa è appunto quella di portare a maturazione, sotto il profilo culturale, sociale, civile, le possibilità di sviluppo di ogni bambino e di ogni giovane. (Carlini, 2015) L’inclusività e la filosofia che l’anima, si propongono come nuovo paradigma che rende comunicative le culture, mette in crisi i pregiudizi, si nutre di sano pluralismo e anti-dogmatismo, favorisce l’incontro etico, fisico e mentale con l’altro e consente la condivisione dei bisogni come elemento di appartenenza alla “comunità umana”. Ricordando il personalismo del filosofo Jacques Maritain, l’educazione va intesa come quel risveglio umano che si attua attraverso la conquista della libertà: in breve come processo di umanizzazione dell’uomo. L’uomo è nella sua interezza individuo e al tempo stesso persona: è una “persona” per la spirituale sussistenza della sua anima ed è un “individuo” in ragione di quel principio di diversificazione non specifica che è la materia e che rende i membri di una stessa specie differenti gli uni dagli altri. […] Io posso svilupparmi nel senso della personalità, cioè nel senso della padronanza e dell’indipendenza proprie allo spirito per il quale sussisto; oppure posso svilupparmi nel senso dell’individualità, cioè nel senso dell’abbandono alle tendenze che sono presenti in me in virtù della materia e dell’eredità. (J. Maritain) Maritain, non solo sul piano epistemologico, ha evidenziato il carattere complesso della pedagogia e sul piano antropologico ha mostrato il carattere complesso dell’educazione che riguarda la persona nei suoi molteplici aspetti, ma ha anche messo in luce il nesso inscindibile tra educazione e democrazia, configurando l’educazione democratica come educazione dell’uomo e del cittadino. Il progetto di educazione liberale di Maritain è per tutti gli uomini e per tutto l’uomo, dura tutta la vita ed è pregno di eticità, segue una logica di allargamento e alleggerimento culturale, segue un principio pluralista volano delle comunità educative. Un ideale cui le scuole debbono tendere: una scuola inclusiva è una scuola in movimento in cui è in atto un processo per la crescita della partecipazione. Cambiare, tuttavia, significa anche avere la capacità di mettere in discussione le pratiche consuete per scoprire nuovi approcci da sperimentare. Edgar Morin,nel suo “Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione” - a proposito di cambiamento e di partecipazione, quali condizioni per la realizzazione di una scuola inclusiva -, ricorda le parole pronunciate al Convegno dell’Unesco nel luglio 2001 : “Tutto ciò che non si rigenera degenera”. (Morin, 2015) Questo l’impegno per le nuove generazioni di docenti coinvolti in una riforma del sistema educativo che più che in una rivoluzione deve tradursi in una vera e propria metamorfosi. La questione educativa è sempre questione antropologica e tutti gli attori del sistema istruzione sono chiamati ad una missione storica ed etica epocale “insegnare a vivere- pensareagire nel ventunesimo secolo” in un ottica solidale e responsabile. Il nodo gordiano è riuscire ad “insegnare a vivere” nel nostro tempo che è quello di Internet, della globalizzazione, dell’economicismo, della liquidità, dello sfaldamento familiare, della rinegoziazione dei ruoli di genere. Un compito pressante e inderogabile che consentirà di trasformare la società e trasformarla in un mondo inclusivo. L’inserimento apre una dinamica che non si ferma e che avvia processi di integrazione che contempla un miglioramento delle dinamiche di adattamento fra il singolo soggetto e il contesto. Solo l’inclusione però libera dalla prigionia dei problemi di vittimizzazione, rischio che corre chi vive bisogni educativi speciali a cui si associa sempre il ruolo del persecutore che esclude. Va precisato che l’inclusione, ossia la ricerca di un mondo più equo e solidale, riguarda tutti e non solo categorie predefinite. Troviamo tracce di inclusione, di ricerca di passaggi dalla solitudine dell’unicità all’incontro della pluralità, in molti luoghi e in svariate situazioni di vita. L’integrazione permette di dire: “Ti integro in questa funzione” mentre inclusione è riconoscimento mai concluso, del funzionamento originale del soggetto. (Canevaro, 2013). Va sottolineato che l’inclusione non è un prodotto meccanico bensì è un processo evolutivo che non si autoproduce, anzi è il risultato di intenzionalità e scelte consapevoli volte a togliere, oltrepassare gli ostacoli. (Canevaro, 2013) L’inclusione dell’altro
La crisi delle antiche solidarietà è andato di pari passo con lo
sviluppo dell’individualismo. Quest’ultimo possiede una faccia illuminata e chiara, data dalle libertà, dalle autonomie, dalla responsabilità, ma anche una faccia oscura in quanto s’identifica con l’egoismo, l’atomizzazione, la solitudine, l’angoscia (Morin, 2015). L’individuo postmoderno – dotato di diritti, interessi e passioni che hanno assunto in epoca moderna un’inedita legittimità – è diventato il perno attorno a cui deve ruotare ogni prospettiva normativa, etica o politica, ma è anche il narciso che rischia la deriva degenerativa e/o patologica verso l’individualismo assolutista.
L’individualismo illimitato ed esasperato chiude il
soggetto nel circuito autoreferenziale dei propri desideri,escludendo ogni autentica alterità, lo rende edonista,indifferente al Bene comune, incapace di autentica progettualità umana. Nella modernità liquida (Bauman, 2011) si è fatta strada la convinzione che l’unica costante sia il cambiamento e l’unica certezza l’incertezza. Non bisogna tanto essere ma divenire, restare perennemente incompiuti e indefiniti. Le traiettorie dell’esistenza appaiono in singoli episodi in un mondo globalizzato caratterizzato nel contempo da una compressione dello spazio e del tempo e da una crescente segregazione, separazione, esclusione dell’Altro, con tendenze al neotribalismo e al fondamentalismo. L’inclusività, declinata nelle forme della cultura, della politica, delle pratiche, rappresenta la risposta più pertinente a tale condizione dell’uomo d’oggi perché garantisce la speranza di migliorare il mondo e renderlo più equo, plurale, interculturale, democratico. Tale concetto riesce a racchiudere in sé le multiformi trasformazioni che stanno investendo le nostre vite additando un’unica via da seguire: “coltivare l’umanità multiculturale e poliedrica”, riconoscendone valori e specificità. Jürgen Habermas è il filosofo che meglio ha indagato il tema dell’inclusione dell’Altro nelle attuali società pluralistiche in cui si inaspriscono i contrasti multiculturali. Società apparentemente pacificate ma che sono delle vere e proprie “società del rischio”. Tale argomento chiama in causa anche ragioni politiche internazionali e il filosofo pone il problema dell’impostazione dei diritti dell’uomo su un piano globale e intrastatale. Giustizia e solidarietà appartengono ad una medesima struttura di comunicazione. “La solidarietà fondata sull’appartenenza ci ricorda il legame sociale che unifica tutti: ognuno è responsabile dell’altro. Invece l’inesorabile egualitarismo della giustizia pretende sensibilità per le differenze che separano questo individuo dagli altri: ognuno chiede che la sua diversità sia rispettata dall’altro” (Habermas, 2013). “Inclusione non deve significare nè accaparramento assimilatorio”, volto a negare qualunque struttura relazionale di alterità e differenza, “né chiusura contro il diverso” precisa il filosofo che vuole contrastare qualunque forma di malinteso universalismo.
“Inclusione dell’altro significa piuttosto che i confini della
comunità sono aperti a tutti: anche – e soprattutto – a coloro che sono reciprocamente estranei e che estranei vogliono rimanere” (Habermas, 2013). Inclusione non significa produrre un livellamento di tutti in maniera irrispettosa, bensì difendere il contenuto ragionevole di una morale del pari rispetto per chiunque e di una responsabilità generale e solidale dell’uno verso l’altro. L’eguale rispetto per chiunque non concerne chi è simile a noi, bensì la persona dell’altro (degli altri) nella sua specifica diversità. (Viscardi, 2017) “La responsabilità solidale per un altro visto come uno di noi si riferisce in realtà al “noi” flessibile di una comunità che – riluttante verso ogni forma di sostanzialità – estende sempre più in là i suoi porosi confini. Questa comunità morale può fondarsi soltanto sull’idea negativa di eliminare discriminazione o sofferenza e di includere gli emarginati (ogni emarginato) nell’ambito del reciproco rispetto”. (Habermas, 2013) Nella società liquido-moderna vi è un numero sempre maggiore di persone sradicate – migranti, profughi, esuli, richiedenti asilo – in movimento e senza fissa dimora che dovranno rappresentare sempre più un valore aggiunto,e non un pericolo, per la cultura europea anche per il processo di meticciamento culturale che in maniera creativa e arricchente potranno innescare. La filosofia dell’inclusività richiede, in definitiva, una cultura politica innovativa in grado di affrontare le sfide complesse che il multiculturalismo e i movimenti migratori scatenano.