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Di seguito analizzeremo la teoria dell’emergenza di Paul Humphreys, uno degli autori più
importanti e discussi degli ultimi tempi in merito a questa tematica, a partire dal testo Emergence
del 2016.
Uno dei tratti salienti dell’analisi di Humphreys consiste nell’idea che non ci sia un’ unica
definizione di emergenza corretta, da porre in contrapposizione con quelle avanzate da altri studiosi:
le differenti “versioni” dell’emergenza non si escludono reciprocamente, né si ritrova una teoria
singola in grado di rendere conto di tutte le occorrenze che gli studiosi di vari settori individuano
come casi esemplari di emergenza secondo le diverse definizioni che essi ne danno, e con le
caratteristiche che vi associano.
Dunque non è il caso di contrapporre emergenza “debole” a emergenza forte, o emergenza
ontologica a emergenza epistemologica: le varianti si applicano a contesti differenti, e ciascuna
“dice” cose differenti sul rapporto tra un presunto livello “di base” e dei fenomeni che, in modalità e
secondo sensi diversi, sono “qualcosa di più” rispetto ad esso.
L’intenzione di Humphreys è, quindi, quella di offrire una tassonomia delle differenti forme di
emergenza, che a un tempo provi a portarle a rigore con il ricorso a definizioni precise, ad un’analisi
critica e a possibili esempi significativi. L’autore individuerà tre principali “famiglie” in cui
rientrano le varie accezioni di emergenza: l’emergenza ontologica, inferenziale, concettuale. Di
ciascuna si può, poi, dare una versione sincronica o diacronica; nel senso che l’emergere rispetto
alla base può essere concepito come frutto di un processo temporale e di interazioni successive tra
le entità del livello (o meglio, come vedremo, del dominio) fondamentale, o come instantaneo
rispetto al darsi dei fenomeni considerati “di base”, con una forma quindi di circolarità causale o
retro-causazione che va dal fenomeno emergente alle entità fondamentali, e viceversa. Benché
dunque Humphreys affermi di essere maggiormente interessato all’emergenza ontologica (2016,
xvi) e specialmente alla sua forma diacronica (xix, ) ritenuta meno problematica di quella
sincronica, nei suoi testi non vi sarà una scelta tra le differenti “famiglie” di teorie sull’emergenza; a
ciascuna verrà dato ampio spazio, e ciascuna verrà ritenuta, almeno in certi casi, plausibile.
Tutte queste forme di emergenza sono, peraltro, accomunate da un riferimento comune. I vari tipi
corrispondono, infatti, ad altrettanti modi in cui uno schema spesso utilizzato nel rappresentare la
realtà mostra la corda, è insufficiente o fallisce: quell’insieme di concetti che Humphreys unifica
sotto il nome di “Generative Atomism”:
«In the ontological form, the position is that non-atomic entities are ultimately
composed of atomic entities, with structure provided by relations appropriate to
the type of entity involved. In the methodological version, not only must we show that
the composite entities can be decomposed into sets of lower level entities, but we must
also show, starting with those lower level entities, that the higher level entity can be
generated by those entities […] in […] complex cases, the methods of generative
atomism cannot be carried out in pratice, and a less ambitious program than the
combinatorialist’s is substituted. In this alternative approach, the lower levels, and
perhaps the lowest level itself, are said to determine everything else in the following
sense: once the elements and structure of the lowest level are present, the objects, the
structure, and the laws of the remaining levels are fixed by the individuals and the
proprieties of the lower levels. The fundamental laws of the universe govern the
spatiotemporal arrangements at the lowest levels, and everything else that goes on
is determined by those arrangements.» (2016, 2-3, grassetto mio).
Questo schema ontologico e metodologico è di applicazione più generale rispetto alla fisica, o alle
scienze naturali. Il Generative Atomism si applica a qualsiasi disciplina, ciascuna delle quali avrà
livello supposto come “fondamentale” e altri domini di leggi ed entità presumibilmente determinate
da tale livello base. Per esempio, in certe versioni delle scienze sociali con un’ontologia basata sugli
individui, sono proprio i singoli esseri umani con la loro psicologia e costituire il livello “base”: le
caratteristiche dei corpi sociali e le loro dinamiche sarebbero derivabili e determinate dalle proprietà
degli individui e dalle leggi della psicologia. Il concetto fondamentale del Generative atomism,
applicabile ai vari contesti di studio, detto altrimenti consiste nell’idea che i fatti circa le entità
complesse siano determinati da, e impliciti in, i fatti che caratterizzano le entità atomiche: «facts
about composite entities are implicitly included in facts about the atoms, togheter with facts about
the rules of composition» (2016 p.4), laddove per “atomi” non si deve intendere specificamente le
particelle ultime della materia (p.24), ma qualunque cosa venga data come l’entità fondamentale,
non ulteriormente divisibile e con delle caratteristiche essenziali non alterabili rispetto al campo
d’indagine in esame (p.21).
Immutabilità e indivisibilità degli atomi vengono poi ulteriormente chiarite da Humphreys stesso: la
prima consiste nel fatto che le entità atomiche devono mantenere inalterate le loro “proprietà
essenziali” in contesti e relazioni differenti, laddove una proprietà essenziale è una proprietà tale
che la sua assenza determina un differente tipo di individuo (2016 p. 133) La definizione esplicita di
“immutabilità”, di una proprietà e di un individuo è la seguente:
c) Facts about what transitory properties the fundamental entities can have, such as the
direction of spin, position, momentum and so on […]
d) Facts about the laws that govern the distribution and dynamics of the fundamental entities
and their properties.» (2016, 11-12)
Sulla base di questi fatti e seguendo gli assunti dell’impostazione sua propria, ne consegue che
stando ad una teoria ispirata al Generative Atomism i fatti complessi devono poter essere ricostruiti,
almeno in linea di principio, a partire dai fatti sulle entità semplici e le loro relazioni; e viceversa,
ogni fatto su un’entità o proprietà complessa deve poter essere analizzato in modo univoco nei suoi
costituenti atomici:
«[…] Generative atomism in this basic form has both a synthetic and an analytic
component. The synthetic component says (1) that there is a collection of elementary
entities from which all other legitimate objects in the domain are constructed, (2) there
is a fixed set of rules that govern the construction process, and (3) as a consequence of
(1) and (2), all entities are either atoms or composed of atoms. The analytic component
asserts that any non-atomic object can be uniquely decomposed into its atomic
components using an explicitly formulated set of decomposition rules. It is possible for
the analytic aspect of generative atomism to be satisfied by a system while violating the
synthetic aspect.» (2016, 23)
Il quadro teorico così delineato è, evidentemente, un quadro deterministico e riduzionista: proprietà
e comportamenti delle entità nonfondamentali devono essere determinate da e riducibili a le
caratteristiche delle entità fondamentali. Ciò ha delle conseguenze:
«Generative atomism leads to the in-principle predictability, the explainability, and the
lack of novel features of the whole system with respect to the properties of its parts. It
also leads to the reducibility of the whole system to its parts and hence to a lack of
autonomy of the compound systems. It is in these senses that generative atomism is
antithetical to emergence, and the failure or inapplicability of generative atomism is a
necessary condition for synchronic ontological emergence.» (2016, 13)
Qualora le entità fondamentali vengano ritenute essere quelle proprie del livello di base della fisica,
avremo la variante del Generative Atomistic Physicalism o “GAP” (pp.16-17), la forma più comune
nell’ambito delle questioni affrontate tradizionalmente dall’emergentismo.
Un esempio di “GAP” è il “fundamentals physicalism”, che manifesta in modo esplicito le
caratteristiche riduzioniste di cui sopra:
«This position is committed to the existence of the entities and properties of
fundamentals physics, and everything else that exists is determined by those entities and
properties in virtue of some determination relation D. Suppose now that the realm of
fundamentals physics is causally closed […] and take some event E that occurs after the
origin of the universe. If E belongs to the fundamentals domain, then all the events that
causally determine it occur in the domain of fundamentals physics. So any events
outside that domain will be causally redundant with respect to the occurrence of E. If E
lies in the fundamentals domain, it is, according to fundamentals physicalism,
determined by entities and properties within the fundamentals domain, perhaps in virtue
of some non-causal determination relation such as supervenience. Because E’s
occurrence is determined by fundamentals entities, any events outside the fundamentals
domain will again be redundant with respect to E’s occurrence. These two cases exhaust
the possibilities, and so all events outside the fundamentals domain are redundant with
respect to bringing about E.» (2016, 70)
L’accettazione di una visione ontologica simile comporta, come si vede, le problematiche ormai
familiari nei campi della filosofia della mente e della biologia: se tutti gli eventi sono determinati
dai fatti fondamentali/atomici, e se il regno dei fatti fisici fondamentali è causalmente chiuso, allora
ogni evento cronologicamente successivo allo stabilirsi del dominio dei fatti fisici fondamentali o vi
rientra, oppure ne è interamente determinato. Tutti i fatti dell’universo sono fisici o sono
causalmente inerti: si presenta così, per chi vuole tener ferma una ontologia di fisicalismo
fondamentales, la necessità di ridurre il mentale e il biologico al fisico, o di considerarli dei meri
epifenomeni qualora tale riduzione sia impossibile.
Quando invece nel caso dell’inefficacia o inapplicabilità di una impostazione di ricerca basata sul
Generative Atomism si sceglie di passare ad un quadro teorico diverso, abbiamo buone ragioni, dice
Humphreys, per considerare la possibilità di accettare un qualche tipo di visione emergentista –
perlomeno nei casi in cui le entità studiate sono, per altri versi, ben comprese. Il Generative
Atomism può rivelarsi inapplicabile per varie ragioni, a ciascuna delle quali può corrispondere un
tipo specifico di emergenza:
«Generative atomism can thus fail in the following ways. There can be nonfundamental
entities that are not constructed from the atoms of the chosen domain. There can be
nonfundamental entities that are not analyzable into atoms of the chosen domain. There
can be no atoms in the chosen domain. And it can be impossible to formulate generating
rules to construct all nonfundamental entities from the atoms of the chosen domain.
Each of these types of failure except the third can result in the occurrence of a
distinctive type of emergent entity.» (2016, 13).
Il tratto comune delle teorie dell’emergenza viene, fin qui, individuato dunque nell’essere
contrapposta all’inapplicabilità del Generative Atomism. Quando esso non serve a predire il
comportamento o le caratteristiche di un’entità fondamentale partendo dalle entità di base, quando
ci sono entità non composte da “atomi” o non in esse analizzabili, avremo delle forme di
emergenza. Ma altre caratteristiche fondamentali e comuni alla maggior parte delle analisi
dell’emergenza vanno aggiunte, affinché il concetto sia meglio delineato e casi “triviali” o
fuorvianti siano esclusi dal novero dei fenomeni emergenti.
Innanzitutto l’emergenza è un fenomeno relazionale: un’entità è emergente quando essa “risulta da”
qualcos’altro. La presenza di due domini contrapposti già porta al fallimento del generative
atomism (per esempio il dualismo delle sostanze); ma affinché uno dei due domini si possa
considerare emergente, deve esserci un qualche tipo di rapporto di “precedenza” di un dominio
rispetto all’altro di cui, appunto, si potrà dire che “emerge da”l dominio considerato di base (2016,
28). L’entità/proprietà/processo emergente è poi frequentemente considerato “nuovo” (novel) e in
qualche modo “autonomo” rispetto alle entità di base. Il concetto di “novità” viene meglio precisato
dandone una definizione esplicita: «An entity E is novel with respect to a domain D just in case E is
not included in the closure of D under the closure criteria C that are appropriate for D.» (2016, 29).
Esempi forniti da Humphreys di “criteri di chiusura”, che rendono perfettamente perspicuo il
concetto, sono: (i) l’impossibilità di dedurre l’esistenza dell’entità in esame dall’apparato teorico
delle entità di base, o (ii) di spiegare le proprietà dell’entità “nuova” facendovi ricorso; (iii) la
mancanza di un criterio di dipendenza tra la base e l’entità in esame, (iv) una violazione del
principio di chiusura causale del mondo fisico, che porta ad un esempio di “novità causale”.
Tale principio viene definito in tal modo: «Two events are causally connected just in case one is a
cause of the other. Then, a domain D is causally closed just in case anything causally connected to
an element of D is itself an element of D.» (2016, 31).
Chiaramente, Humphreys esclude che siano casi di “novità” quelli in cui si ha la prima occorrenza
cronologica di uno specifico valore di una proprietà, già esistente quanto a “tipo”.
Peraltro, nota sempre l’autore, la novità non include l’autonomia, e ci sono casi in cui la dipendenza
causale si accompagna ad un’autonomia concettuale (es. i casi di realizzabilità multipla in concetti
come la “computabilità”). Da un lato quindi bisogna distinguere i sensi di “autonomia” volta per
volta; dall’altro, essa non è un requisito necessario dell’emergenza, dato che questa si ha anche in
casi in cui il fenomeno emergente è causalmente dipendente da un fenomeno di base – almeno nelle
varianti inferenziali o concettuali dell’emergenza.
Un’altra caratteristica spesso attribuita ai fenomeni emergenti è quella dell’ olismo.
Una proprietà si dice olistica se essa può essere posseduta da un sistema nel suo intero, ma – in virtù
di una necessità nomologica ma non metafisica – non dalle sue parti. Esempio di proprietà olistiche
sono la solidità, l’instabilità, eccetera. Ma, nota Humphreys, sistemi privi delle altre caratteristiche
attribuite all’emergenza possiedono proprietà di questo tipo e viceversa si danno casi di entità o
proprietà emergenti al di fuori di un contesto olistico; dunque essa non è necessariamente un
requisito dell’emergenza.
Nelle discussioni intorno a fenomeni emergenti si fa, di solito, riferimento a differenti “livelli”
ontologici. Tali livelli costituiscono una gerarchia (il livello della “chimica” è superiore a quello
della fisica, quello della biologia è superiore a quello della chimica, ecc) e sono solitamente
costruiti secondo un concetto “composizionale” o mereologico: le entità della chimica
“comprendono” alcune entità della fisica di base e ne utilizzano proprietà e leggi, così come un
sistema biologico contiene come sue parti costituenti entità della chimica, e il suo funzionamento
passa attraverso le proprietà e leggi delle entità chimiche da cui esso è costituito.
Humphreys preferisce tuttavia parlare piuttosto di “domini”. Innanzitutto perché non c’è una
definizione unica ed esplicita del criterio da utilizzare nel distinguere i livelli: il criterio di
composizionalità puro e semplice è inadatto e insufficiente, perché impreciso; infatti da un lato casi
presunti di puro rapporto mereologico rivelano ad una più attenta analisi una difficoltà maggiore
nella possibilità di separare le parti all’interno del tutto (come nel caso degli atomi in una
molecola); dall’altro lato, applicando un criterio mereologico puro e semplice avremmo un
moltiplicarsi indesiderato dei casi in cui dobbiamo parlare di passaggio ad un livello superiore:
«[…] the compositional inclusion of A in B cannot be a sufficient condition for A to
occupy a lower level than B because it would produce far more levels than are usually
considered to be present in nature. The addition of one stone to a heap would put the
new heap at a higher level than the old. As a sufficient condition, it also leads to
arbitrariness. Take a composite object made up of two stones. This object will be at a
higher level than either of its constituents.» (2016, 123)
Il criterio più promettente per distinguere livelli differenti è, invece, quello che unisce ad un criterio
di composizionalità (un oggetto B ha come costituenti degli oggetti A) il requisito che l’oggetto B
risponda a leggi differenti rispetto a quelle che determinano il comportamento dei suoi costituenti:
«As a candidate definition, we have that entities of type B occupy a higher level than
entities of type A if and only if the entities of type B have type A entities as constituents,
there is at least one law or theory L that applies to type B entities that does not apply to
type A entities, and L cannot be reduced to the laws applying to type A entities.» (2016,
124).
Ma dato che spesso non disponiamo di un criterio di composizionalità – sicuramente non nel caso,
per esempio, degli stati psicologici rispetto a quelli neurologici – e dato che spesso una definizione
mereologica attribuisce implicitamente priorità ai livelli più bassi rispetto a quelli superiori, passare
ad un discorso che faccia piuttosto riferimento a “domini” è per Humphreys più opportuno per
evitare di incorrere in tali inconvenienti. Distinguere due domini infatti non porta con sé una
gerarchia precisa tra essi, né fa riferimento ad un criterio mereologico: « The domains approach has
the important advantage that it allows us to initially remain neutral about how the entities of two
domains are related» (2016, 125).
Per ciò che riguarda la priorità di un dominio sull’altro, essa può essere stabilita sulla base di un
criterio di riducibilità esplicativa: «Finally, we have as a proposed sufficient condition that, if the
existence or properties of an entity A can be explained in terms of another entity or collection of
entities B, but not viceversa, then B has ontological priority over A.» (p.125). Non si tratta di un
criterio necessario per individuare la priorità ontologica in tutti i casi (casi di sopravvenienza non
ammettono una spiegazione nei termini delle proprietà di base, che vengono comunque ritenute
possedere una priorità ontologica), ma laddove trovi applicabilità costituisce senz’altro un criterio
sufficiente.
Un’altra considerazione preliminare necessaria prima di affrontare nello specifico le tre “famiglie”
di casi di emergenza (ontologica, inferenziale, concettuale) riguarda il modo di risolvere le difficoltà
della “downward causation” – cioé la causalità “discendente” che le proprietà emergenti applicano,
all’interno di un sistema, nei confronti del livello di base dei costituenti – evidenziate nella
letteratura in merito. Quella più significativa consiste nel paradosso dell’auto-causazione: se la
“downward causation” dal tutto alle parti viene interpretata come sincronica rispetto al costituirsi
del “tutto” in esame, allora ci troveremo di fronte ad un circolo vizioso, in cui la causa (il sistema)
include l’effetto (il livello di base) come una delle sue parti, anzi proprio come il suo costituente:
«[...]if a given system can causally affect its own components, via holistic properties
that have downward effects, a causal loop will be generated that violates the irreflexive
property of causation because the cause includes the effect as one of its parts» (2016,
127).
Questo problema può essere risolto intendendo la causalità discendente in senso diacronico:
dapprima il sistema si costituisce in virtù di interazioni tra le parti all’interno del livello base; e le
proprietà olistiche di livello o dominio superiore potranno poi esercitare un’influenza autonoma
sulle parti del sistema o anche su domini differenti. La “downward causation” diacronica viene così
definita dall’autore:
«Let S be a system having components. Then an occurrence D(S,t) of a property D
causes an occurrence E(y,t’) of a property E via whole/part causation just in case D(S,t)
causes E(y,t’) y is a proper part of S, t’ is later than t, and D is not a property of any
proper part of S» (2016, 128).
Chiariti i concetti di base, andiamo ad analizzare le tre grandi famiglie in cui Humphreys divide i
casi di emergenza: ontologica, inferenziale, concettuale.
L’emergenza ontologica può riguardare proprietà, leggi, o entità (2016, 41). Il caso dell’emergere di
entità verrà preso come quello di riferimento per via della sua esemplarità. Humphreys si concentra
in particolare su due forme di emergenza ontologica, la “transformational emergence” e la “fusion
emergence”, laddove quest’ultima è in realtà un caso peculiare della prima. Entrambi i casi possono
manifestarsi anche in assenza di downward causation: in tal modo Humphreys ottiene l’obiettivo di
mostrare come sia possibile concepire forme di emergenza ontologica anche qualora la causalità
discendente non fosse emendabile dalle critiche di cui sopra, o se non ne constatassimo
empiricamente esempi in natura.
La “transformational emergence” avviene quando un individuo di un dominio D cambia alcune
delle sue proprietà essenziali e si trasforma in un individuo di un dominio differente, D*: ciò viene
manifestato dall’apparire di leggi e comportamenti nuovi.
«Transformational emergence occurs when an individual a that is considered to be a
fundamental element of a domain D transforms into a different kind of individual a*,
often but not always as a result of interactions with other elements of D, and thereby
becomes a member of a different domain D* […] They possess at least one novel
property and are subject to different laws that apply to members of D* but not to
members of D. The fact that a fundamental entity can be transformed makes
transformational emergence essentially different from generative atomism, in which the
fundamental entities are immutable.» (2016, 60)
È evidente che la relazione interna nel senso di Lewis corrisponde alla lettura debole della
definizione di Moore, ma non a quella forte. Il discorso è interessante per l’emergentismo per
almeno due ragioni: innanzitutto, le proprietà emergenti sono spesso classificate come “relazionali”,
sia nel senso in cui sarebbero frutto delle relazioni tra le parti, sia nel senso che esse vengono
frequentemente considerate come “olistiche”, proprietà di alto livello che determinano il
comportamento di un sistema complesso e dunque spiegano perché le sue parti si comportino in un
determinato modo. Quest’ultimo caso in particolare è molto vicino all’interpretazione “forte” delle
relazioni interne di Moore. La seconda ragione è che proprio questa definizione può essere
utilizzata nel caso della trasformational emergence di Humphreys, laddove le entità fondamentali
cambiano le loro proprietà essenziali in virtù delle interazioni reciproche.
Passiamo adesso all’ inferential emergence. Essa è presente in tutti quei casi in cui uno stato o una
proprietà di un sistema non possono essere derivati dalle conoscenze presenti in un corpo di teorie
scelto come riferimento – dato che l’emergenza è sempre relativa a qualcosa, chiaramente tale stato
o proprietà di sistema sarà inferenzialmente emergente rispetto a quel corpo di teorie di riferimento,
che solitamente è quello ritenuto fornire la descrizione più accurata del dominio delle entità
fondamentali che compongono il sistema, o del livello “di base”.
Questa forma di emergenza è in prima istanza relativa alla nostra conoscenza dei fenomeni e non ha
necessariamente una portata ontologica; tale portata, tuttavia, non è in linea di principio esclusa: i
casi più certi di emergenza inferenziale sono quelli in cui riusciamo a comprendere da quali
caratteristiche ontologicamente presenti nel sistema dipendono gli stati o le proprietà “emergenti”
rispetto alla teoria di base; tali caratteristiche possono essere ontologicamente emergenti o meno (si
ricordi, infatti, che emergenza ontologica, inferenziale e concettuale non sono mutualmente
esclusive rispetto ad una stessa entità o sistema).
La definizione formale di inferential emergence data da Humphreys è:
«A state, law or entity Z is inferentially emergence with respect to a theory, a model, or
a simulation T having domain S if and only if (a) the status of Z makes it a prima facie
candidate for inclusion in S, (b) T has the means for representing Z, (c) T includes rules
or law statements that are considered fundamental to the domain S, and (d) it is
impossible on the basis of T, togheter with specific conditions C representing
fundamental facts about the domain S, to effectively derive or compute the
representation of Z, where C entails neither the presence nor the absence of Z» (2016,
145).
In che rapporto si trova questo criterio con la definizione più generale di inferential emergence? Pur
non essendo esplicitato, la mia ipotesi è che esso presupponga le condizioni precedentemente
esposte di carattere più generale, senza sostituirle: se le condizioni generali per parlare di emergenza
inferenziale sono rispettate e ci troviamo di fronte al caso di una struttura frutto di auto-
organizzazione, allora nello specifico possiamo parlare di pattern emergence. Tant’è che la
necessità di escludere la formazione casuale della struttura (nonrandomness) deriva dal fatto che
essa non potrebbe definirsi in effetti nuova, violando una delle caratteristiche fondamentali
necessarie per poter parlare di emergenza non solo inferenziale, ma in tutti i casi.
Humphreys fornisce più avanti alcune chiarificazioni sulle varietà di sistemi che più spesso
vengono ritenute presentare strutture emergenti: partendo dal presupposto che, in generale, «a
system is a collection of objects among which relations hold» (2016, 264), l’autore definisce i
sistemi dinamici come quelli i cui stati cambiano in accordo con una regola esplicitamente
specificabile (2016, 265), e quelli complessi sulla base del seguente elenco di caratteristiche:
« (1) Complex systems are open systems with a flow of energy, information, or some
other quantity.
(2) They contain many interacting components, the number of which is smaller than
required for statistical mechanics and larger than can be dealt with by traditional
analytical mathematics.
(3) The interactions between the components leads to coordinated global behavior that
is exhibited in global patterns or properties of other kinds.
1. The autonomy of the system, consisting in the absence of external or central internal
control.
4. The system cannot be fully understood by analysis into its components» (2016, 262).
L’enfasi sulla stabilità della struttura è connessa al fatto che tale stabilità sarebbe ciò che rende il
sistema autonomo: considerazione comune in tutti gli autori che affrontano l’argomento (cfr.
Thompson, Deacon, Moreno et al.). Essa può avvenire o in virtù del riprodursi dei medesimi
microprocessi attraverso il mantenimento dei medesimi componenti (recirculating autonomy)
oppure attraverso la sostituzione dei costituenti con altri di un medesimo tipo o di tipi equivalenti
(replacement autonomy / equivalent class autonomy) (2016, 155) – casi in cui gioca un ruolo il
concetto di instanziabilità multipla e non solo quello di realizzabilità multipla (2016, 162-65).
Altrove nel testo infatti Humphreys distingue tra la realizzabilità multipla, che riguarda le proprietà
(proprietà di second’ordine che possono essere realizzate da differenti proprietà di prim’ordine) e l’
instanziabilità multipla, che invece concerne i casi in cui una proprietà di prim’ordine può essere
instanziata da individui diversi. L’autore introduce, per ciò che concerne la realizzabilità multipla, i
concetti di realizzabilità eterogenea (nel caso in cui una proprietà di second’ordine può essere
realizzata da un’ampia gamma di proprietà di prim’ordine) e realizzabilità omogenea (nel caso in
cui la varietà delle proprietà di prim’ordine che realizzano una di secondo possa essere ricondotta
ad un unico tipo). (2016, 227-28)
Tornando ai fenomeni di pattern emergence essi illustrano, secondo Humphreys, in modo
particolarmente perspicuo l’importanza della dimensione diacronica/relazionale nella definizione di
cosa è emergente e cosa non lo è: possiamo infatti immaginare, ad esempio, che una struttura
sviluppatasi in seguito a ripetute interazioni all’interno di un sistema venga duplicata in un sol
colpo: nel primo caso essa sarebbe emergente, nel secondo no. Perché mancherebbe la relazionalità
tipica dell’emergenza: la copia (per esempio una struttura geometrica prodotta da uno “stampo”: cfr
2016, 160) non avrebbe una sua “base d’emergenza”, delle dinamiche fondamentali rispetto cui essa
possa essere considerata non-deducibile. Ritengo che ciò sia discutibile: anche in quest’ultimo caso,
infatti, si può comunque parlare di emergenza limitatamente alla teoria che consideri solo le
interazioni tra le particelle della porzione di materia su cui viene impresso lo stampo: la presenza
della forma geometrica non è deducibile a partire da questa teoria di base (mentre essa lo sarebbe,
risultando non più emergente, rispetto ad una teoria che prenda in esame anche l’agente e lo
strumento che ha impresso la struttura geometrica).
Passando infine alla conceptual emergence, si tratta di tutti quei casi in cui è necessario ricorrere ad
un nuovo vocabolario, a nuovi concetti o a nuove formulazioni di leggi per comprendere il
comportamento di fenomeni che non possono venire descritti adeguatamente tramite il solo
apparato della teoria fondamentale di riferimento.
Ciò non implica che i fenomeni siano di per sé irriducibili, né che la nostra formulazione di leggi
nuove descrivano un’influenza nomologica reale addizionale a quella delle forze fondamentali della
natura, né che vi sia un’effettiva novità ontologica in gioco: «...there are no new nomological
influences at work in these higher levels, but there are conceptual and theoretical innovations that
must be introduced in order for us to understand and render tractable the complexity of phenomena
occurring above the fundamental level […] The new representational apparatus makes predictions
and theoretical integration easier, but ontologically, there is nothing new at the emergent level.»
(2016, 182-83).
La necessità del ricorso all’emergenza concettuale non porta al superamento di un’ontologia basata
sull’atomismo generativo; essa basta però a mettere in crisi le aspirazioni costruzioniste di un certo
fisicalismo ingenuo – quelle per cui, cioé, sarebbe possibile non solo ridurre il complesso agli
elementi semplici (cosa non incompatibile con certe forme di emergenza concettuale, ripetiamo) ma
anche di ricostruire il complesso a partire dal semplice – un progetto secondo Humphreys di fatto
irrealizzabile.
Anche l’emergenza concettuale – quando non dipenda dai limiti scientifici, cognitivi o dalle nostre
scelte pragmatiche – può essere, tuttavia, fondata su un’effettiva novità ontologica: «The inability to
derive some claims about phenomena in domain B from a theory about domain A is evidence that
something in domain B which is essentially new with respect to A is being described, and that A is
deductively incomplete with respect to the B phenomenon» (2016, 188).
Il testo si chiude con due capitoli dedicati all’analisi di altri concetti connessi alla questione
dell’emergentismo – il primo per l’ambito filosofico, il secondo quello scientifico. Nel primo
vengono discusse le definizioni più comuni di fisicalismo, sopravvenienza, fondamentalità e
realizzabilità multipla, nonché un cenno ai concetti di “aggregatività” di Wimsatt e di
“nonstrutturalità” delle proprietà emergenti in O’Connor e Wong; esso non apporta, comunque,
innovazioni significative, fatto salvo per ciò che riguarda le critiche alla portata del concetto di
sopravvenienza e di realizzabilità multipla, che ho già riportato sopra.
Nel capitolo dedicato alle questioni di carattere scientifico, infine, Humphreys (oltre alle definizioni
di sistemi dinamici e complessi, già riportate sopra) analizza lo status dei fenomeni di
ferromagnetismo come possibile ulteriore esempio di emergenza.