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L’emergenza in Paul Humphreys

Di seguito analizzeremo la teoria dell’emergenza di Paul Humphreys, uno degli autori più
importanti e discussi degli ultimi tempi in merito a questa tematica, a partire dal testo Emergence
del 2016.
Uno dei tratti salienti dell’analisi di Humphreys consiste nell’idea che non ci sia un’ unica
definizione di emergenza corretta, da porre in contrapposizione con quelle avanzate da altri studiosi:
le differenti “versioni” dell’emergenza non si escludono reciprocamente, né si ritrova una teoria
singola in grado di rendere conto di tutte le occorrenze che gli studiosi di vari settori individuano
come casi esemplari di emergenza secondo le diverse definizioni che essi ne danno, e con le
caratteristiche che vi associano.
Dunque non è il caso di contrapporre emergenza “debole” a emergenza forte, o emergenza
ontologica a emergenza epistemologica: le varianti si applicano a contesti differenti, e ciascuna
“dice” cose differenti sul rapporto tra un presunto livello “di base” e dei fenomeni che, in modalità e
secondo sensi diversi, sono “qualcosa di più” rispetto ad esso.
L’intenzione di Humphreys è, quindi, quella di offrire una tassonomia delle differenti forme di
emergenza, che a un tempo provi a portarle a rigore con il ricorso a definizioni precise, ad un’analisi
critica e a possibili esempi significativi. L’autore individuerà tre principali “famiglie” in cui
rientrano le varie accezioni di emergenza: l’emergenza ontologica, inferenziale, concettuale. Di
ciascuna si può, poi, dare una versione sincronica o diacronica; nel senso che l’emergere rispetto
alla base può essere concepito come frutto di un processo temporale e di interazioni successive tra
le entità del livello (o meglio, come vedremo, del dominio) fondamentale, o come instantaneo
rispetto al darsi dei fenomeni considerati “di base”, con una forma quindi di circolarità causale o
retro-causazione che va dal fenomeno emergente alle entità fondamentali, e viceversa. Benché
dunque Humphreys affermi di essere maggiormente interessato all’emergenza ontologica (2016,
xvi) e specialmente alla sua forma diacronica (xix, ) ritenuta meno problematica di quella
sincronica, nei suoi testi non vi sarà una scelta tra le differenti “famiglie” di teorie sull’emergenza; a
ciascuna verrà dato ampio spazio, e ciascuna verrà ritenuta, almeno in certi casi, plausibile.
Tutte queste forme di emergenza sono, peraltro, accomunate da un riferimento comune. I vari tipi
corrispondono, infatti, ad altrettanti modi in cui uno schema spesso utilizzato nel rappresentare la
realtà mostra la corda, è insufficiente o fallisce: quell’insieme di concetti che Humphreys unifica
sotto il nome di “Generative Atomism”:
«In the ontological form, the position is that non-atomic entities are ultimately
composed of atomic entities, with structure provided by relations appropriate to
the type of entity involved. In the methodological version, not only must we show that
the composite entities can be decomposed into sets of lower level entities, but we must
also show, starting with those lower level entities, that the higher level entity can be
generated by those entities […] in […] complex cases, the methods of generative
atomism cannot be carried out in pratice, and a less ambitious program than the
combinatorialist’s is substituted. In this alternative approach, the lower levels, and
perhaps the lowest level itself, are said to determine everything else in the following
sense: once the elements and structure of the lowest level are present, the objects, the
structure, and the laws of the remaining levels are fixed by the individuals and the
proprieties of the lower levels. The fundamental laws of the universe govern the
spatiotemporal arrangements at the lowest levels, and everything else that goes on
is determined by those arrangements.» (2016, 2-3, grassetto mio).

Questo schema ontologico e metodologico è di applicazione più generale rispetto alla fisica, o alle
scienze naturali. Il Generative Atomism si applica a qualsiasi disciplina, ciascuna delle quali avrà
livello supposto come “fondamentale” e altri domini di leggi ed entità presumibilmente determinate
da tale livello base. Per esempio, in certe versioni delle scienze sociali con un’ontologia basata sugli
individui, sono proprio i singoli esseri umani con la loro psicologia e costituire il livello “base”: le
caratteristiche dei corpi sociali e le loro dinamiche sarebbero derivabili e determinate dalle proprietà
degli individui e dalle leggi della psicologia. Il concetto fondamentale del Generative atomism,
applicabile ai vari contesti di studio, detto altrimenti consiste nell’idea che i fatti circa le entità
complesse siano determinati da, e impliciti in, i fatti che caratterizzano le entità atomiche: «facts
about composite entities are implicitly included in facts about the atoms, togheter with facts about
the rules of composition» (2016 p.4), laddove per “atomi” non si deve intendere specificamente le
particelle ultime della materia (p.24), ma qualunque cosa venga data come l’entità fondamentale,
non ulteriormente divisibile e con delle caratteristiche essenziali non alterabili rispetto al campo
d’indagine in esame (p.21).
Immutabilità e indivisibilità degli atomi vengono poi ulteriormente chiarite da Humphreys stesso: la
prima consiste nel fatto che le entità atomiche devono mantenere inalterate le loro “proprietà
essenziali” in contesti e relazioni differenti, laddove una proprietà essenziale è una proprietà tale
che la sua assenza determina un differente tipo di individuo (2016 p. 133) La definizione esplicita di
“immutabilità”, di una proprietà e di un individuo è la seguente:

«A property φ of an entity a is immutable with respect to contexts C and C* just in case


φ is invariant across a’ presence in C and a’s presence in C*. An individual a is
immutable with respect to contexts C and C* if and only if the essential properties of a
remain invariant across C and C*.» (ibidem).

L’immutabilità, secondo Humphreys, è tanto frequentemente “presupposta” nell’atomismo da essere


in pratica inclusa nella definizione di atomo; essa, in forma esplicita, è determinata soltanto dalla
condizione dell’indivisibilità:
«A is an atom of a domain with respect to some property C, and space S just in case A has no proper
part, with respect to S, that possesses C» (2016, 23).
Qualche chiarimento riguardo tale definizione è necessario. Innanzitutto essa è di carattere del tutto
astratto ed è applicabile, come si diceva, a vari contesti: il suo essere relativo ad uno spazio S (che
può essere fisico, semantico, ecc) e ad una proprietà C da individuare caso per caso, fa sì che
possano essere considerati atomi in un ambito di studio ciò che, in un altro ambito di studio, sono
invece entità complesse. Per esempio: una parola semplice è un atomo per ciò che riguarda l’ambito
semantico (se definiamo come proprietà C quella di possedere un significato specifico, è evidente
che essa non è attribuibile alle sue parti proprie), ma può essere “fisicamente divisa” in singoli
fonemi; se nelle scienze sociali gli atomi sono gli individui, rispetto alla proprietà di possedere una
psiche, è chiaro che tale proprietà non possa essere attribuita alle loro parti proprie, sebbene per la
biologia, la chimica e la fisica gli individui umani stessi non siano entità atomiche ma divisibili:
perché cambia la proprietà assunta come riferimento per il campo di studio.
Una ulteriore caratteristica degli atomi è la loro distinguibilità: sia a livello di tipi che di occorrenze,
ogni entità atomica deve essere discernibile dalle altre (2016 p.24).
L’indivisibilità e l’immutabilità sono le due caratteristiche che costituiscono anche la definizione di
“fondamentalità” in senso sincronico di un’entità: «A standard definition of fundamentality within
both philosophy and physics is that an entity is fundamental just in case it is not composite.
Although not always explicitly stated, it is also often implicitly assumed that the synchronically
fundamental entities are immutable.» (2016 p. 61). È evidente che, se diamo per scontata la
discernibilità, la definizione di fondamentalità sincronica (nel testo individuata dalla notazione
“fundamentals”) si equivale a quella di “atomo”. Da distinguere nettamente dall’accezione
diacronica della fondamentalità: in senso diacronico (“fundamentald”) si definisce fondamentale –
rispetto ad un sistema di riferimento – un’entità esistente all’origine temporale del sistema scelto:
«A is fundamentald with respect to a system S just in case A existed at the temporal origin of S.
Here, d denotes “diachronic”.» (2016, 66).
Chiariti questi concetti preliminari per ciò che riguarda gli atomi ed il concetto di entità
fondamentali di una teoria, aggiungiamo che una teoria che segua l’impostazione del Generative
Atomism deve avere conoscenza di alcune categorie di “fatti” base:
«
a) Facts about the fundamental kinds of entities […]

b) Facts about the permanent properties of these fundamental constituents […]

c) Facts about what transitory properties the fundamental entities can have, such as the
direction of spin, position, momentum and so on […]

d) Facts about the laws that govern the distribution and dynamics of the fundamental entities
and their properties.» (2016, 11-12)

Sulla base di questi fatti e seguendo gli assunti dell’impostazione sua propria, ne consegue che
stando ad una teoria ispirata al Generative Atomism i fatti complessi devono poter essere ricostruiti,
almeno in linea di principio, a partire dai fatti sulle entità semplici e le loro relazioni; e viceversa,
ogni fatto su un’entità o proprietà complessa deve poter essere analizzato in modo univoco nei suoi
costituenti atomici:
«[…] Generative atomism in this basic form has both a synthetic and an analytic
component. The synthetic component says (1) that there is a collection of elementary
entities from which all other legitimate objects in the domain are constructed, (2) there
is a fixed set of rules that govern the construction process, and (3) as a consequence of
(1) and (2), all entities are either atoms or composed of atoms. The analytic component
asserts that any non-atomic object can be uniquely decomposed into its atomic
components using an explicitly formulated set of decomposition rules. It is possible for
the analytic aspect of generative atomism to be satisfied by a system while violating the
synthetic aspect.» (2016, 23)
Il quadro teorico così delineato è, evidentemente, un quadro deterministico e riduzionista: proprietà
e comportamenti delle entità nonfondamentali devono essere determinate da e riducibili a le
caratteristiche delle entità fondamentali. Ciò ha delle conseguenze:
«Generative atomism leads to the in-principle predictability, the explainability, and the
lack of novel features of the whole system with respect to the properties of its parts. It
also leads to the reducibility of the whole system to its parts and hence to a lack of
autonomy of the compound systems. It is in these senses that generative atomism is
antithetical to emergence, and the failure or inapplicability of generative atomism is a
necessary condition for synchronic ontological emergence.» (2016, 13)

Qualora le entità fondamentali vengano ritenute essere quelle proprie del livello di base della fisica,
avremo la variante del Generative Atomistic Physicalism o “GAP” (pp.16-17), la forma più comune
nell’ambito delle questioni affrontate tradizionalmente dall’emergentismo.
Un esempio di “GAP” è il “fundamentals physicalism”, che manifesta in modo esplicito le
caratteristiche riduzioniste di cui sopra:
«This position is committed to the existence of the entities and properties of
fundamentals physics, and everything else that exists is determined by those entities and
properties in virtue of some determination relation D. Suppose now that the realm of
fundamentals physics is causally closed […] and take some event E that occurs after the
origin of the universe. If E belongs to the fundamentals domain, then all the events that
causally determine it occur in the domain of fundamentals physics. So any events
outside that domain will be causally redundant with respect to the occurrence of E. If E
lies in the fundamentals domain, it is, according to fundamentals physicalism,
determined by entities and properties within the fundamentals domain, perhaps in virtue
of some non-causal determination relation such as supervenience. Because E’s
occurrence is determined by fundamentals entities, any events outside the fundamentals
domain will again be redundant with respect to E’s occurrence. These two cases exhaust
the possibilities, and so all events outside the fundamentals domain are redundant with
respect to bringing about E.» (2016, 70)

L’accettazione di una visione ontologica simile comporta, come si vede, le problematiche ormai
familiari nei campi della filosofia della mente e della biologia: se tutti gli eventi sono determinati
dai fatti fondamentali/atomici, e se il regno dei fatti fisici fondamentali è causalmente chiuso, allora
ogni evento cronologicamente successivo allo stabilirsi del dominio dei fatti fisici fondamentali o vi
rientra, oppure ne è interamente determinato. Tutti i fatti dell’universo sono fisici o sono
causalmente inerti: si presenta così, per chi vuole tener ferma una ontologia di fisicalismo
fondamentales, la necessità di ridurre il mentale e il biologico al fisico, o di considerarli dei meri
epifenomeni qualora tale riduzione sia impossibile.
Quando invece nel caso dell’inefficacia o inapplicabilità di una impostazione di ricerca basata sul
Generative Atomism si sceglie di passare ad un quadro teorico diverso, abbiamo buone ragioni, dice
Humphreys, per considerare la possibilità di accettare un qualche tipo di visione emergentista –
perlomeno nei casi in cui le entità studiate sono, per altri versi, ben comprese. Il Generative
Atomism può rivelarsi inapplicabile per varie ragioni, a ciascuna delle quali può corrispondere un
tipo specifico di emergenza:
«Generative atomism can thus fail in the following ways. There can be nonfundamental
entities that are not constructed from the atoms of the chosen domain. There can be
nonfundamental entities that are not analyzable into atoms of the chosen domain. There
can be no atoms in the chosen domain. And it can be impossible to formulate generating
rules to construct all nonfundamental entities from the atoms of the chosen domain.
Each of these types of failure except the third can result in the occurrence of a
distinctive type of emergent entity.» (2016, 13).

Il tratto comune delle teorie dell’emergenza viene, fin qui, individuato dunque nell’essere
contrapposta all’inapplicabilità del Generative Atomism. Quando esso non serve a predire il
comportamento o le caratteristiche di un’entità fondamentale partendo dalle entità di base, quando
ci sono entità non composte da “atomi” o non in esse analizzabili, avremo delle forme di
emergenza. Ma altre caratteristiche fondamentali e comuni alla maggior parte delle analisi
dell’emergenza vanno aggiunte, affinché il concetto sia meglio delineato e casi “triviali” o
fuorvianti siano esclusi dal novero dei fenomeni emergenti.
Innanzitutto l’emergenza è un fenomeno relazionale: un’entità è emergente quando essa “risulta da”
qualcos’altro. La presenza di due domini contrapposti già porta al fallimento del generative
atomism (per esempio il dualismo delle sostanze); ma affinché uno dei due domini si possa
considerare emergente, deve esserci un qualche tipo di rapporto di “precedenza” di un dominio
rispetto all’altro di cui, appunto, si potrà dire che “emerge da”l dominio considerato di base (2016,
28). L’entità/proprietà/processo emergente è poi frequentemente considerato “nuovo” (novel) e in
qualche modo “autonomo” rispetto alle entità di base. Il concetto di “novità” viene meglio precisato
dandone una definizione esplicita: «An entity E is novel with respect to a domain D just in case E is
not included in the closure of D under the closure criteria C that are appropriate for D.» (2016, 29).
Esempi forniti da Humphreys di “criteri di chiusura”, che rendono perfettamente perspicuo il
concetto, sono: (i) l’impossibilità di dedurre l’esistenza dell’entità in esame dall’apparato teorico
delle entità di base, o (ii) di spiegare le proprietà dell’entità “nuova” facendovi ricorso; (iii) la
mancanza di un criterio di dipendenza tra la base e l’entità in esame, (iv) una violazione del
principio di chiusura causale del mondo fisico, che porta ad un esempio di “novità causale”.
Tale principio viene definito in tal modo: «Two events are causally connected just in case one is a
cause of the other. Then, a domain D is causally closed just in case anything causally connected to
an element of D is itself an element of D.» (2016, 31).
Chiaramente, Humphreys esclude che siano casi di “novità” quelli in cui si ha la prima occorrenza
cronologica di uno specifico valore di una proprietà, già esistente quanto a “tipo”.
Peraltro, nota sempre l’autore, la novità non include l’autonomia, e ci sono casi in cui la dipendenza
causale si accompagna ad un’autonomia concettuale (es. i casi di realizzabilità multipla in concetti
come la “computabilità”). Da un lato quindi bisogna distinguere i sensi di “autonomia” volta per
volta; dall’altro, essa non è un requisito necessario dell’emergenza, dato che questa si ha anche in
casi in cui il fenomeno emergente è causalmente dipendente da un fenomeno di base – almeno nelle
varianti inferenziali o concettuali dell’emergenza.
Un’altra caratteristica spesso attribuita ai fenomeni emergenti è quella dell’ olismo.
Una proprietà si dice olistica se essa può essere posseduta da un sistema nel suo intero, ma – in virtù
di una necessità nomologica ma non metafisica – non dalle sue parti. Esempio di proprietà olistiche
sono la solidità, l’instabilità, eccetera. Ma, nota Humphreys, sistemi privi delle altre caratteristiche
attribuite all’emergenza possiedono proprietà di questo tipo e viceversa si danno casi di entità o
proprietà emergenti al di fuori di un contesto olistico; dunque essa non è necessariamente un
requisito dell’emergenza.
Nelle discussioni intorno a fenomeni emergenti si fa, di solito, riferimento a differenti “livelli”
ontologici. Tali livelli costituiscono una gerarchia (il livello della “chimica” è superiore a quello
della fisica, quello della biologia è superiore a quello della chimica, ecc) e sono solitamente
costruiti secondo un concetto “composizionale” o mereologico: le entità della chimica
“comprendono” alcune entità della fisica di base e ne utilizzano proprietà e leggi, così come un
sistema biologico contiene come sue parti costituenti entità della chimica, e il suo funzionamento
passa attraverso le proprietà e leggi delle entità chimiche da cui esso è costituito.
Humphreys preferisce tuttavia parlare piuttosto di “domini”. Innanzitutto perché non c’è una
definizione unica ed esplicita del criterio da utilizzare nel distinguere i livelli: il criterio di
composizionalità puro e semplice è inadatto e insufficiente, perché impreciso; infatti da un lato casi
presunti di puro rapporto mereologico rivelano ad una più attenta analisi una difficoltà maggiore
nella possibilità di separare le parti all’interno del tutto (come nel caso degli atomi in una
molecola); dall’altro lato, applicando un criterio mereologico puro e semplice avremmo un
moltiplicarsi indesiderato dei casi in cui dobbiamo parlare di passaggio ad un livello superiore:
«[…] the compositional inclusion of A in B cannot be a sufficient condition for A to
occupy a lower level than B because it would produce far more levels than are usually
considered to be present in nature. The addition of one stone to a heap would put the
new heap at a higher level than the old. As a sufficient condition, it also leads to
arbitrariness. Take a composite object made up of two stones. This object will be at a
higher level than either of its constituents.» (2016, 123)

Il criterio più promettente per distinguere livelli differenti è, invece, quello che unisce ad un criterio
di composizionalità (un oggetto B ha come costituenti degli oggetti A) il requisito che l’oggetto B
risponda a leggi differenti rispetto a quelle che determinano il comportamento dei suoi costituenti:
«As a candidate definition, we have that entities of type B occupy a higher level than
entities of type A if and only if the entities of type B have type A entities as constituents,
there is at least one law or theory L that applies to type B entities that does not apply to
type A entities, and L cannot be reduced to the laws applying to type A entities.» (2016,
124).

Ma dato che spesso non disponiamo di un criterio di composizionalità – sicuramente non nel caso,
per esempio, degli stati psicologici rispetto a quelli neurologici – e dato che spesso una definizione
mereologica attribuisce implicitamente priorità ai livelli più bassi rispetto a quelli superiori, passare
ad un discorso che faccia piuttosto riferimento a “domini” è per Humphreys più opportuno per
evitare di incorrere in tali inconvenienti. Distinguere due domini infatti non porta con sé una
gerarchia precisa tra essi, né fa riferimento ad un criterio mereologico: « The domains approach has
the important advantage that it allows us to initially remain neutral about how the entities of two
domains are related» (2016, 125).
Per ciò che riguarda la priorità di un dominio sull’altro, essa può essere stabilita sulla base di un
criterio di riducibilità esplicativa: «Finally, we have as a proposed sufficient condition that, if the
existence or properties of an entity A can be explained in terms of another entity or collection of
entities B, but not viceversa, then B has ontological priority over A.» (p.125). Non si tratta di un
criterio necessario per individuare la priorità ontologica in tutti i casi (casi di sopravvenienza non
ammettono una spiegazione nei termini delle proprietà di base, che vengono comunque ritenute
possedere una priorità ontologica), ma laddove trovi applicabilità costituisce senz’altro un criterio
sufficiente.
Un’altra considerazione preliminare necessaria prima di affrontare nello specifico le tre “famiglie”
di casi di emergenza (ontologica, inferenziale, concettuale) riguarda il modo di risolvere le difficoltà
della “downward causation” – cioé la causalità “discendente” che le proprietà emergenti applicano,
all’interno di un sistema, nei confronti del livello di base dei costituenti – evidenziate nella
letteratura in merito. Quella più significativa consiste nel paradosso dell’auto-causazione: se la
“downward causation” dal tutto alle parti viene interpretata come sincronica rispetto al costituirsi
del “tutto” in esame, allora ci troveremo di fronte ad un circolo vizioso, in cui la causa (il sistema)
include l’effetto (il livello di base) come una delle sue parti, anzi proprio come il suo costituente:
«[...]if a given system can causally affect its own components, via holistic properties
that have downward effects, a causal loop will be generated that violates the irreflexive
property of causation because the cause includes the effect as one of its parts» (2016,
127).

Questo problema può essere risolto intendendo la causalità discendente in senso diacronico:
dapprima il sistema si costituisce in virtù di interazioni tra le parti all’interno del livello base; e le
proprietà olistiche di livello o dominio superiore potranno poi esercitare un’influenza autonoma
sulle parti del sistema o anche su domini differenti. La “downward causation” diacronica viene così
definita dall’autore:
«Let S be a system having components. Then an occurrence D(S,t) of a property D
causes an occurrence E(y,t’) of a property E via whole/part causation just in case D(S,t)
causes E(y,t’) y is a proper part of S, t’ is later than t, and D is not a property of any
proper part of S» (2016, 128).

Chiariti i concetti di base, andiamo ad analizzare le tre grandi famiglie in cui Humphreys divide i
casi di emergenza: ontologica, inferenziale, concettuale.
L’emergenza ontologica può riguardare proprietà, leggi, o entità (2016, 41). Il caso dell’emergere di
entità verrà preso come quello di riferimento per via della sua esemplarità. Humphreys si concentra
in particolare su due forme di emergenza ontologica, la “transformational emergence” e la “fusion
emergence”, laddove quest’ultima è in realtà un caso peculiare della prima. Entrambi i casi possono
manifestarsi anche in assenza di downward causation: in tal modo Humphreys ottiene l’obiettivo di
mostrare come sia possibile concepire forme di emergenza ontologica anche qualora la causalità
discendente non fosse emendabile dalle critiche di cui sopra, o se non ne constatassimo
empiricamente esempi in natura.
La “transformational emergence” avviene quando un individuo di un dominio D cambia alcune
delle sue proprietà essenziali e si trasforma in un individuo di un dominio differente, D*: ciò viene
manifestato dall’apparire di leggi e comportamenti nuovi.
«Transformational emergence occurs when an individual a that is considered to be a
fundamental element of a domain D transforms into a different kind of individual a*,
often but not always as a result of interactions with other elements of D, and thereby
becomes a member of a different domain D* […] They possess at least one novel
property and are subject to different laws that apply to members of D* but not to
members of D. The fact that a fundamental entity can be transformed makes
transformational emergence essentially different from generative atomism, in which the
fundamental entities are immutable.» (2016, 60)

Qualche osservazione. Innanzitutto, la “rottura” rispetto all’atomismo generativo avviene in prima


istanza sul terreno dell’ “immutabilità” delle particelle fondamentali. Ma tale caratteristica
dell’atomismo è, in effetti e come Humphreys stesso ammette, spesso solo “implicita” nelle teorie
in qualche modo atomistiche, ed anche nel fisicalismo. Anzi, si potrebbe in effetti mettere in
discussione che tale requisito sia davvero essenziale per i fisicalisti di oggi. L’impianto concettuale
fisicalista punta più sulla “spiegabilità” delle trasformazioni a partire dalle leggi fondamentali che
sull’escludere tout court la possibilità di mutamenti nelle entità fondamentali: ciò che conta è, alla
radice, che tutti i comportamenti e le proprietà di alto livello o di dominio differente trovino una
spiegazione sufficiente in quelle del dominio di base. E Humphreys non sembra discostarsi troppo
da questa visione quando spiega il mutamento di dominio delle entità fondamentali sulla base di
“interazioni” tra le medesime, interazioni tutte occorrenti all’interno del dominio di base D. Una
visione simile sembra potersi prestare ad una riduzione di tipo nageliano, tramite l’ausilio di leggi-
ponte che colleghino tra loro i due domini, “spiegando” il passaggio dall’uno all’altro nei termini
delle interazioni e proprietà del dominio di base. La questione fondamentale dunque a questo punto
consiste nel comprendere se, a trasformazione compiuta, in che senso quelle del dominio
“emergente” D* siano proprietà e leggi nuove. Humphreys immagina un qualche nesso tra esse e
quelle del dominio di partenza, oppure la conoscenza delle proprietà del dominio di base D ci può
portare al massimo fino a spiegare la trasformazione delle entità fondamentali in entità di D*, ma
non possono dirci nulla sul comportamento e proprietà delle entità trasformate?
L’autore sembra propendere per quest’ultima ipotesi, per esempio quando scrive: «The laws
governing a domain will not correctly tell us how the transformed individual behaves as a member
of a different domain D* unless the laws of D* are a consequence of the laws of D.» (2016, 62).
In quest’ultimo caso, l’emergenza ontologica sarebbe solo “apparente”. Un esempio interessante di
transformational emergence forse solo apparente è quello dell’individuo all’interno di una “massa
tumultuante”: la traduzione italiana del termine inglese usato (mob) non è semplice, ma si riferisce
ad un’aggregazione di persone in tumulto, che sembra essere mossa da passioni “collettive”
irragionevoli e non più rispondenti alla “psicologia” normale e razionale del singolo: potremmo
tradurla con “folla”, intesa nel senso della tradizione manzoniana. Casi del genere, dice Humphreys,
fanno pensare alla nascita di un “tutto” (la folla) superiore alle parti (i singoli) e con proprietà
olistiche non spiegabili sulla base delle proprietà delle sue parti (psicologia della folla / psicologia
dei singoli). C’è tutta una tradizione in merito allo statuto dei “gruppi” cui Humphreys fa
esplicitamente riferimento (Searle e Tuomela in particolare). Ma, sostiene l’autore, il
comportamento di una folla in tumulto può essere spiegato facendo riferimento non a proprietà
olistiche, ma piuttosto alla trasformazione della psicologia dei singoli, quindi in termini di
trasformational emergence: il comportamento “anomalo” della folla non è dato dal suo essere un
tutto emergente dotato di proprietà irriducibili, quanto piuttosto dal cambiamento strutturale cui le
sue parti (i singoli) sono sottoposti, in virtù delle interazioni reciproche. C’è davvero un’emergenza
di proprietà nuove, ma non a livello collettivo.
Sempre ammesso, ovviamente, che entrambi i domini (quello della psicologia razionale degli
individui prima della trasformazione, quello “patologico” dell’individuo nella folla) non siano
riducibili a un dominio ancor più basilare capace di spiegare entrambi (per esempio quello della
neurobiologia), come Humphreys ritiene plausibile: quello dell’individuo nella folla, pertanto, è un
esempio di transformational emergence solo prima facie. (2016, 57-61).
La fusion emergence è un caso speciale della transformational emergence: il caso in cui due entità
di base, o due proprietà di base, si trasformano perdendo la loro “separatezza” e alcune proprietà da
cui erano definiti per diventare un “tutto” unificato e non più composto dalle precedenti “parti”
(cioé dalle parti individuabili nella reciproca distinzione), con caratteristiche nuove.
C’è il caso delle proprietà: «two property instances that belong to a domain D interact, and in so
doing, the instances are transformed in such a way as to produce a new property instance, the key
feature of which is that it does not have the original property instances as components»; e c’è il caso
delle entità: «Interactions between entities A and B results in both A and B being transformed in a
radical manner, losing the essential property of existence, with the resulting entity being the fusion
of the two». (2016, p.74). Oltre a sottolineare come, nel considerare l’esistenza una “proprietà
essenziale”, Humphreys stia violando un “tabù” dell’ontologia analitica contemporanea, c’è da
mettere in luce come il concetto di fusion emergence faccia svanire le problematiche della
sovradeterminazione causale (non c’è “concorrenza” tra poteri causali del tutto e poteri causali delle
parti, dato che le parti non posseggono più esistenza e poteri causali indipendenti) e rende
inapplicabile (e quindi non universalmente necessario per tutti i casi di emergenza) il concetto di
“sopravvenienza” (la “base” di sopravvenienza viene a mancare insieme alla separatezza delle
parti). Che è una delle ragioni che motiva lo spazio decisamente ridotto che Humphreys riserva alla
sopravvenienza nella definizione dei fenomeni emergenti – insieme al fatto che la sopravvenienza
non spiega, ma tratta la presenza delle proprietà di livello alto rispetto alla base subveniente come
un “fatto bruto” (2016, 217). Gli esempi di fusion emergence presi da Humphreys dalle scienze
naturali consistono nel quantum entanglement e nel legame covalente.
Questo chiude il capitolo sulla ontological emergence. Prima di passare, più rapidamente, alle altre
forme di emergenza, occorre fare riferimento alla questione in merito alle relazioni interne ed
esterne, affrontata da Humphreys nel capitolo successivo a quello sulla ontological emergence. Essa
è di particolare significatività dal punto di vista metafisico e si collega al tema dell’emergentismo in
vari modi, come vedremo.
Humphreys distingue la definizione di relazioni interne ed esterne data da Moore e da Lewis. Nel
caso di quella di Moore, poi, fornisce due interpretazioni possibili: una “forte” ed una “debole”. Per
Moore le relazioni interne sono quelle tali da determinare la natura degli enti relati; nel caso di
quelle esterne, invece, essa si “aggiunge” alle proprietà essenziali delle entità coinvolte senza
alterarle in alcun modo, e senza entrare nella definizione delle entità stesse.
L’interpretazione “debole” delle relazioni interne in Moore dice che «what is meant by an entity a
being in an internal relation to b is simply that were the same relationship not to apply between b
and a third entity c, then there has to be some intrinsic difference between a and c»; quella forte
afferma che «it is in virtue of being in the internal relation that some of the intrinsic properties of an
entity a are different. That is, either being related to another object, or the relation itself, produces a
change in a.» (2016, 110).
Mentre per Lewis:
«An internal relation is one that supervenes on the intrinsic nature of its relata: if X1
and Y1 stand in the relation but X2 and Y2 do not, then there must be a difference in
intrinsic nature either between the Xs or else between the Ys […] I shall say that a
relation is external iff it does not supervene on the natures of the relata taken separately,
but it does supervene on the nature of the composite of the relata taken togheter.» (2016,
112-13, che cita da Lewis 1986, “On the plurality of worlds”, p.62).

È evidente che la relazione interna nel senso di Lewis corrisponde alla lettura debole della
definizione di Moore, ma non a quella forte. Il discorso è interessante per l’emergentismo per
almeno due ragioni: innanzitutto, le proprietà emergenti sono spesso classificate come “relazionali”,
sia nel senso in cui sarebbero frutto delle relazioni tra le parti, sia nel senso che esse vengono
frequentemente considerate come “olistiche”, proprietà di alto livello che determinano il
comportamento di un sistema complesso e dunque spiegano perché le sue parti si comportino in un
determinato modo. Quest’ultimo caso in particolare è molto vicino all’interpretazione “forte” delle
relazioni interne di Moore. La seconda ragione è che proprio questa definizione può essere
utilizzata nel caso della trasformational emergence di Humphreys, laddove le entità fondamentali
cambiano le loro proprietà essenziali in virtù delle interazioni reciproche.
Passiamo adesso all’ inferential emergence. Essa è presente in tutti quei casi in cui uno stato o una
proprietà di un sistema non possono essere derivati dalle conoscenze presenti in un corpo di teorie
scelto come riferimento – dato che l’emergenza è sempre relativa a qualcosa, chiaramente tale stato
o proprietà di sistema sarà inferenzialmente emergente rispetto a quel corpo di teorie di riferimento,
che solitamente è quello ritenuto fornire la descrizione più accurata del dominio delle entità
fondamentali che compongono il sistema, o del livello “di base”.
Questa forma di emergenza è in prima istanza relativa alla nostra conoscenza dei fenomeni e non ha
necessariamente una portata ontologica; tale portata, tuttavia, non è in linea di principio esclusa: i
casi più certi di emergenza inferenziale sono quelli in cui riusciamo a comprendere da quali
caratteristiche ontologicamente presenti nel sistema dipendono gli stati o le proprietà “emergenti”
rispetto alla teoria di base; tali caratteristiche possono essere ontologicamente emergenti o meno (si
ricordi, infatti, che emergenza ontologica, inferenziale e concettuale non sono mutualmente
esclusive rispetto ad una stessa entità o sistema).
La definizione formale di inferential emergence data da Humphreys è:
«A state, law or entity Z is inferentially emergence with respect to a theory, a model, or
a simulation T having domain S if and only if (a) the status of Z makes it a prima facie
candidate for inclusion in S, (b) T has the means for representing Z, (c) T includes rules
or law statements that are considered fundamental to the domain S, and (d) it is
impossible on the basis of T, togheter with specific conditions C representing
fundamental facts about the domain S, to effectively derive or compute the
representation of Z, where C entails neither the presence nor the absence of Z» (2016,
145).

La condizione dell’appartenenza prima facie del fenomeno al corpo teorico fondamentale di


riferimento serve ad escludere quei casi “triviali” in cui il fenomeno emergente è sì non prevedibile
sulla base della teoria fondamentale, ma perché vi è completamente irrelato (per esempio non
possiamo dedurre le regole del calcio dalle conoscenze della fisica molecolare).
Tale non-deducibilità, che è il criterio fondamentale dell’inferential emergence, può essere frutto o
di ragioni di principio (che naturalmente abbisognano di ulteriori spiegazioni, e sono
frequentemente indizi di un’emergenza anche ontologica o del fallimento e della necessità di
rivedere la teoria di base) oppure dall’impraticabilità effettiva di predizioni e spiegazioni più
semplici rispetto allo svolgersi effettivo delle relazioni tra le parti all’interno del sistema (che è il
caso della weak emergence di Mark Bedau, vedasi altra scheda lettura, e che è perfettamente
compatibile con la riducibilità ontologica del sistema e non implica una “pecca” della teoria
fondamentale). Chiaramente nel caso dell’indeducibilità di principio quanto più la teoria
fondamentale è completa e corretta, e quanto meglio la non-deducibilità non viene meno pur nella
comprensione delle caratteristiche delle entità di base, tanto più abbiamo ragione di aspettarci di
essere in presenza di un caso di emergenza anche ontologica. Qualora le ragioni dell’indeducibilità
non siano concettuali o logiche, tuttavia, tale ipotesi resta aperta ad eventuali smentite empiriche
(per esempio nel caso della scoperta di una nuova teoria fondamentale che riesca a rendere conto
dei fenomeni apparentemente emergenti).
Humphreys analizza soprattutto i casi di inferential emergence presenti nel campo dei modelli
computazionali: se, da un lato, in questi casi l’emergenza ontologica è sicuramente esclusa, dato che
tali modelli sono costruiti a partire da principi propri dell’atomismo generativo, dall’altro lato la
piena comprensione dei modelli da noi stessi costruiti ci consente di evitare quell’ “opacità”
epistemica e la possibilità di futura smentita su base empirica cui accennavo sopra.
In questi casi l’ inferential emergence si presenta frequentemente sotto forma di pattern emergence:
l’emergere di uno schema di organizzazione non-deducibile a priori a partire dalle regole di base del
modello computazionale, o dalle caratteristiche di base del sistema fisico in esame (la pattern
emergence è infatti presente anche in “natura”, ed è quella più spesso chiamata in causa da autori
come Thompson o Deacon).
Il criterio sufficiente per poter parlare di pattern emergence consiste nella presenza di una struttura
frutto di auto-organizzazione del sistema stesso:
«A sufficient condition for the presence of a pattern-emergent state in a system is the
generation of a stable, nonrandom structure or pattern as a result of a self-organizing
process» (2016, 152).

In che rapporto si trova questo criterio con la definizione più generale di inferential emergence? Pur
non essendo esplicitato, la mia ipotesi è che esso presupponga le condizioni precedentemente
esposte di carattere più generale, senza sostituirle: se le condizioni generali per parlare di emergenza
inferenziale sono rispettate e ci troviamo di fronte al caso di una struttura frutto di auto-
organizzazione, allora nello specifico possiamo parlare di pattern emergence. Tant’è che la
necessità di escludere la formazione casuale della struttura (nonrandomness) deriva dal fatto che
essa non potrebbe definirsi in effetti nuova, violando una delle caratteristiche fondamentali
necessarie per poter parlare di emergenza non solo inferenziale, ma in tutti i casi.
Humphreys fornisce più avanti alcune chiarificazioni sulle varietà di sistemi che più spesso
vengono ritenute presentare strutture emergenti: partendo dal presupposto che, in generale, «a
system is a collection of objects among which relations hold» (2016, 264), l’autore definisce i
sistemi dinamici come quelli i cui stati cambiano in accordo con una regola esplicitamente
specificabile (2016, 265), e quelli complessi sulla base del seguente elenco di caratteristiche:
« (1) Complex systems are open systems with a flow of energy, information, or some
other quantity.

(2) They contain many interacting components, the number of which is smaller than
required for statistical mechanics and larger than can be dealt with by traditional
analytical mathematics.

(3) The interactions between the components leads to coordinated global behavior that
is exhibited in global patterns or properties of other kinds.

Typical features of complex systems then include:

1. The autonomy of the system, consisting in the absence of external or central internal
control.

2. Global order as a result of local interactions.

3. Dynamic operation. This precludes synchronic, instantaneous organization and forces


us to consider diachronic emergence.

4. The system cannot be fully understood by analysis into its components» (2016, 262).

L’enfasi sulla stabilità della struttura è connessa al fatto che tale stabilità sarebbe ciò che rende il
sistema autonomo: considerazione comune in tutti gli autori che affrontano l’argomento (cfr.
Thompson, Deacon, Moreno et al.). Essa può avvenire o in virtù del riprodursi dei medesimi
microprocessi attraverso il mantenimento dei medesimi componenti (recirculating autonomy)
oppure attraverso la sostituzione dei costituenti con altri di un medesimo tipo o di tipi equivalenti
(replacement autonomy / equivalent class autonomy) (2016, 155) – casi in cui gioca un ruolo il
concetto di instanziabilità multipla e non solo quello di realizzabilità multipla (2016, 162-65).
Altrove nel testo infatti Humphreys distingue tra la realizzabilità multipla, che riguarda le proprietà
(proprietà di second’ordine che possono essere realizzate da differenti proprietà di prim’ordine) e l’
instanziabilità multipla, che invece concerne i casi in cui una proprietà di prim’ordine può essere
instanziata da individui diversi. L’autore introduce, per ciò che concerne la realizzabilità multipla, i
concetti di realizzabilità eterogenea (nel caso in cui una proprietà di second’ordine può essere
realizzata da un’ampia gamma di proprietà di prim’ordine) e realizzabilità omogenea (nel caso in
cui la varietà delle proprietà di prim’ordine che realizzano una di secondo possa essere ricondotta
ad un unico tipo). (2016, 227-28)
Tornando ai fenomeni di pattern emergence essi illustrano, secondo Humphreys, in modo
particolarmente perspicuo l’importanza della dimensione diacronica/relazionale nella definizione di
cosa è emergente e cosa non lo è: possiamo infatti immaginare, ad esempio, che una struttura
sviluppatasi in seguito a ripetute interazioni all’interno di un sistema venga duplicata in un sol
colpo: nel primo caso essa sarebbe emergente, nel secondo no. Perché mancherebbe la relazionalità
tipica dell’emergenza: la copia (per esempio una struttura geometrica prodotta da uno “stampo”: cfr
2016, 160) non avrebbe una sua “base d’emergenza”, delle dinamiche fondamentali rispetto cui essa
possa essere considerata non-deducibile. Ritengo che ciò sia discutibile: anche in quest’ultimo caso,
infatti, si può comunque parlare di emergenza limitatamente alla teoria che consideri solo le
interazioni tra le particelle della porzione di materia su cui viene impresso lo stampo: la presenza
della forma geometrica non è deducibile a partire da questa teoria di base (mentre essa lo sarebbe,
risultando non più emergente, rispetto ad una teoria che prenda in esame anche l’agente e lo
strumento che ha impresso la struttura geometrica).
Passando infine alla conceptual emergence, si tratta di tutti quei casi in cui è necessario ricorrere ad
un nuovo vocabolario, a nuovi concetti o a nuove formulazioni di leggi per comprendere il
comportamento di fenomeni che non possono venire descritti adeguatamente tramite il solo
apparato della teoria fondamentale di riferimento.
Ciò non implica che i fenomeni siano di per sé irriducibili, né che la nostra formulazione di leggi
nuove descrivano un’influenza nomologica reale addizionale a quella delle forze fondamentali della
natura, né che vi sia un’effettiva novità ontologica in gioco: «...there are no new nomological
influences at work in these higher levels, but there are conceptual and theoretical innovations that
must be introduced in order for us to understand and render tractable the complexity of phenomena
occurring above the fundamental level […] The new representational apparatus makes predictions
and theoretical integration easier, but ontologically, there is nothing new at the emergent level.»
(2016, 182-83).
La necessità del ricorso all’emergenza concettuale non porta al superamento di un’ontologia basata
sull’atomismo generativo; essa basta però a mettere in crisi le aspirazioni costruzioniste di un certo
fisicalismo ingenuo – quelle per cui, cioé, sarebbe possibile non solo ridurre il complesso agli
elementi semplici (cosa non incompatibile con certe forme di emergenza concettuale, ripetiamo) ma
anche di ricostruire il complesso a partire dal semplice – un progetto secondo Humphreys di fatto
irrealizzabile.
Anche l’emergenza concettuale – quando non dipenda dai limiti scientifici, cognitivi o dalle nostre
scelte pragmatiche – può essere, tuttavia, fondata su un’effettiva novità ontologica: «The inability to
derive some claims about phenomena in domain B from a theory about domain A is evidence that
something in domain B which is essentially new with respect to A is being described, and that A is
deductively incomplete with respect to the B phenomenon» (2016, 188).
Il testo si chiude con due capitoli dedicati all’analisi di altri concetti connessi alla questione
dell’emergentismo – il primo per l’ambito filosofico, il secondo quello scientifico. Nel primo
vengono discusse le definizioni più comuni di fisicalismo, sopravvenienza, fondamentalità e
realizzabilità multipla, nonché un cenno ai concetti di “aggregatività” di Wimsatt e di
“nonstrutturalità” delle proprietà emergenti in O’Connor e Wong; esso non apporta, comunque,
innovazioni significative, fatto salvo per ciò che riguarda le critiche alla portata del concetto di
sopravvenienza e di realizzabilità multipla, che ho già riportato sopra.
Nel capitolo dedicato alle questioni di carattere scientifico, infine, Humphreys (oltre alle definizioni
di sistemi dinamici e complessi, già riportate sopra) analizza lo status dei fenomeni di
ferromagnetismo come possibile ulteriore esempio di emergenza.

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