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di Mario Esposito
27 febbraio 2011
Dopo aver parlato degli anelli ricorsivi di Hofstadter ci dovremmo essere abituati al fatto che è
tipico dell'essere umano "proiettarsi" in processi logici che hanno alla base il "concetto" di
infinito.
Un libro interessante che affronta questo tema da un punto di vista antropologico e logico-
filosofico è quello di Paolo Virno "E così via all'infinito. Logica ed antropologia" (2010), in cui
il filosofo del linguaggio considera il meccanismo di regresso all'infinito una delle tre categorie
fondamentali che costituiscono la base logica della metafisica assieme alla negazione ed alla
modalità del possibile. Mi preme subito sgomberare il termine "metafisica" da significati di tipo
spiritualistico e precisare che parleremo di una metafisica squisitamente materialistica e
naturalistica poiché, dicendola con le parole di Virno, "tutto lascia credere che la metafisica, con
il suo caratteristico repertorio di problemi non empirici, sia una tendenza naturale della nostra
specie".
Ma cosa è il regresso all'infinito e cosa lo rende così "naturale"? Un esempio ci fa capire subito
di cosa stiamo parlando e lo lascio fare allo stesso Virno:
"Lungi dall'essere una eventualità bizzarra e marginale, o una faccenda che possa interessare
soltanto i logici di professione, l'interminabile 'e così via' riguarda da vicino ogni genere di
cognizioni, comportamenti pratici, affetti. Con esso ha dimestichezza già il bambino, che chiede
la ragione di un certo avvenimento, e poi la ragione di questa ragione, e poi ancora la ragione
della seconda e più fondamentale ragione ecc., dando luogo così ad una vertiginosa gerarchia
ascendente di 'perché'. Il regresso all'infinito è una sorta di refrain, familiare ed inquietante ad
un tempo, che accompagna, ed in certa misura condiziona, qualsivoglia esperienza. Poco si
capisce dei modi in cui la nostra specie si adatta (o non si adatta) al proprio contesto vitale,
come pure dei conflitti sociali e politici che ne costellano la storia, se non si tiene nel debito
conto la pervasività di questo fenomeno logico-linguistico".
Inoltre, come vedremo, questa naturale tendenza iterativa, che si proietta sia a ritroso che in
avanti, deve necessariamente essere interrotta per poter dare luogo a comportamenti e decisioni
(strategie cognitive), che siano - anche solo provvisoriamente - adeguati alle circostanze.
E', inoltre, fondamentale intuire sin da subito che questo processo logico e linguistico-sintattico
è peculiare del solo essere umano e che quindi lo distingue da ogni altro animale in quanto
animale linguistico.
Uno dei primi esempi tratto dalla storia della filosofia che fa Virno ed in cui emerge la "metafisica
del regresso" è quello del "terzo uomo" di Aristotele, una meta-idea che va a mediare in un
processo ricorsivo, costituendone una momentanea unità di misura (l'idea e il dato sensibile si
"conformano" al concetto di terzo uomo), la relazione fra l'uomo empirico e l'idea di Uomo (e qui
si rimanda anche a Platone e alla sua relazione idealistica fra ente sensibile e idea universale).
Il regresso senza esito (cioè all'infinito) si origina in quanto il terzo uomo non è, ovviamente,
l'ultimo: se ne genererà, cioè, sempre uno nuovo ed "intermedio" fra esso e l'uomo empirico e
quindi il processo ricorsivo in questo caso è determinato da due poli di cui uno è sempre "ideale"
e l'altro è "empirico".
Un altro esempio di spirale ricorsiva è quello tratto dal filosofo inglese Josiah Royce e riguarda il
tentativo di rappresentare l'immagine mentale della propria mente, infatti "l'immagine che ci
si fa della propria mente è, essa pure, uno stato mentale di cui bisogna dare conto e da ciò segue
che l'immagine della propria mente, per risultare attendibile, deve essere anche l'immagine
dell'immagine della propria mente e poiché la nuova e più comprensiva immagine è pur sempre
uno stato mentale ecc.".
Da un punto di vista antropologico è interessante l'affermazione di Virno in base alla quale:
"il 'terzo uomo' adombra lo scarto fra individuo e specie, ovvero la parziale incommensurabilità
di due termini, che pure sono complementari ed inscindibili. La serie ascendente delle condizioni
che rendono possibile un determinato fenomeno indica, invece, un grado elevato di
inadattamento all'ambiente; o anche, ma è lo stesso, la possibilità da parte dell'Homo Sapiens di
avvertire e mettere a tema i limiti di ogni particolare configurazione ambientale in cui si trova di
volta in volta ad operare. Dal canto suo, l'interminabile spirale suscitata dal tentativo di
elaborare un'immagine mentale della propria mente illustra bene la struttura perennemente
lacunosa dell' autoriflessione".
La cosa importante, dunque, da comprendere - lo ripeto - è che il regresso all'infinito è un
fenomeno squisitamente linguistico (cito Virno) e pertanto di tipo simbolico.
In quanto simbolico, si potrebbe ipotizzare una sua stretta dipendenza dalle pulsioni sub-
simboliche e quindi tentare di ridurlo ad una coazione a ripetere (se si vuole utilizzare il
lessico freudiano), ma Virno qui è molto chiaro nel distinguere le due cose: l'iterazione
pulsionale è sempre uguale a sé stessa, mentre nel regresso all'infinito "ogni passo successivo
costituisce uno sviluppo rispetto ai passi anteriori, ossia inaugura un livello (epistemico o
operativo) più complesso e comprensivo, che subordina a sé i livelli fin lì delineatisi (...) Il
regresso all'infinito esautora la congiunzione paratattica, essendo piuttosto contraddistinto da
una ferrea stratificazione gerarchica. Soltanto nel regresso logico , non nella coazione a
ripetere, ogni termine è generato da quello precedente in una sorta di concatenamento
architettonico o di fuga prospettica; soltanto in esso il superamento del limite implica la
riproduzione allargata (tale cioè da attingere un livello di maggiore generalità) del medesimo
limite".
Nell'approccio di Virno è chiara una visione preminentemente sintattica del fenomeno del
regresso all'infinito, determinato appunto dal linguaggio e dalla sua natura simbolica e non
riducibile al sub-simbolico, come ho già detto poco sopra. In questo, Virno riprende la visione di
Noam Chomsky e ne include, a mio parere, una visione computazionale di tipo Turing della sua
grammatica generativa.
Attraverso l'iterazione ricorsiva si genererebbe la novità e quindi la capacità adattiva "di aderire
con duttilità a situazioni impreviste".
Riprendendo una felice espressione di Humboldt ripresa dallo stesso Chomsky, che è quella di
"fare un uso infinito di mezzi finiti", Virno ci introduce al processo della gerarchia ascendente
dei metalinguaggi attraverso il quale si produce "qualcosa di nuovo" (la semantica in tal senso
sarebbe "generata" dalla natura ricorsiva della sintattica; la metafora a cui dobbiamo pensare è
sempre quella del "terzo uomo" aristotelico).
Molto in sintesi, quindi, possiamo dire che la ricorsività è creativa, ma come dice Virno "si
tratta di una creatività non poco bizzarra, essendo imperniata sulla monotona riproposizione
dell'identico nucleo di esperienza".
Per capire meglio il rapporto tra sintassi e semantica, riprendo le parole di Virno:
"Il dispositivo sintattico basato sull'applicazione iterativa della stessa procedura non consente, in
tal caso (nel regresso l'innovazione si trasforma in tautologia e viceversa, la differenza si
commuta in identità, e così via, nda) di elaborare nuovi contenuti semantici. La sintassi si
divarica nella semantica: la prima esibisce a chiare lettere la sua potenza trasformativa, ma
questa potenza gira a vuoto, manifestandosi soltanto nell'ineusaribile proliferazione dei livelli
gerarchici; la seconda pare invece atrofizzarsi, costretta com'è a battere il passo. Il regresso
all'infinito è un reperto antropologico di straordinaria importanza già solo per il fatto di
documentare l'intreccio, tipico della nostra specie, tra irreversibilità dei processi di sviluppo ed
eterno ritorno all'uguale, linea e circolo, innovazione e 'ancora una volta'. L'animale linguistico
è definito dalla coesistenza, anzi dalla reciproca implicazione, di queste due possibilità".
Secondo Virno il fondamento naturalistico del regresso, oltre che nella ricorsività sintattica,
risiede nel circolo logico su cui essa si innesta, che ha la propria origine nel "rapporto
dell'animale umano con l'ambiente" e che si esplica attraverso tre prerogative tipicamente umane:
l'iper-riflessività, la trascendenza e la duplicità di aspetto.
Mi soffermerò nel prossimo post soprattutto sulla duplicità di aspetto, ossia "la
necessità biologica di una esistenza artificiale o storico culturale" e quindi sul rapporto fra
biologia e cultura.
Come si vedrà l'essere umano è artificialmente biologico e biologicamente artificiale ed in questa
bipolarità risiede, secondo Virno, l'essenza della sua antropologia caratterizzata dal regresso e
dalla necessità della sua interruzione.
SECONDA PARTE
Abbiamo detto che il fondamento naturalistico del regresso all'infinito risiede, secondo Virno,
nella ricorsività sintattica e in un circolo logico che a sua volta si basa su:
Fonte: http://
www.brunovergau
wen.be/
Dunque, secondo questa analisi, tra biologia e cultura esiste ad un tempo identità e differenza, ma
è nell'inseparabilità di queste ultime relazioni che risiede la vera importanza del loro rapporto.
La duplicità di aspetto così definita da' origine a due tipi di regresso, ossia:
Nelle parole di Virno "la realtà sub-simbolica dell'animale umano trapela con sembianze
improprie nella marcia a ritroso di un Io che, essendo incardinato per intero nell'ambito
simbolico, è sempre presupposto o anteriore a sé stesso. Nel regresso per alternanza il punto di
partenza è la differenza senza unità. Nel regresso per presupposizione, l'unità senza differenza."
Infatti, l'applicazione della regola diventa una "variabile dipendente del concetto di regola. Ma il
concetto di regola, una volta reso autosufficiente, non può evitare di sdoppiarsi in regola-oggetto
e meta-regola" e da qui inizia il regresso.
Come per i meta-linguaggi, si genera una gerarchia di livelli normativi in cui Virno ravvede da
un lato "l'eteronimia della cultura e la sua effettiva ibridazione con elementi non culturali (o sub-
simbolici)" e dall'altro lo stretto legame con la coppia ambiente/mondo.
Il concetto di regola, infatti, per lui coincide con quello di Istituzione e quindi con il ruolo
primario di quest'ultima nella fase di ambientalizzazione del mondo, mentre l'applicazione
inusuale della regola apre all'aspetto della mondanizzazione dell'ambiente.
In questo circolo si evidenzia l'aspetto politico di questo regresso in quanto emerge la tendenza a
quel limite che è l'indiscernibilità fra azione esecutiva (questione di fatto) e norma (questione di
diritto) che secondo Virno è "lo sfondo permanente della prassi umana" e che Wittgenstein
chiamava "il modo di comportarsi comune agli uomini".
In sintesi, cioè, la regola diventa "naturale" (in realtà si tratta di condotte naturalmente artificiali)
e quindi ha un valore politico (perchè ambientalizza il mondo) oltre che sociale. A questo punto la
regola, però, si trasforma in regolarità, che avendo una valenza bio-antropologica è instabile e
quindi soggetta all'oscillazione tra ambientalizzazione del mondo e mondanizzazione
dell'ambiente e quindi si candida ad interagire innovativamente con la componente simbolico-
culturale per portare alla creazione di nuove regole, e così via.
Nel prossimo post concluderò questo excursus su antropologia e logica, attraverso il libro di
Paolo Virno, e affronterò il tema delle tecniche di interruzione del regresso.
TERZA PARTE
Il meccanismo del regresso all'infinito, secondo Virno, è inseparabile dal suo arresto, che è
evidentemente necessario per evitare quello che con una analogia con il linguaggio
computazionale è chiamato halting problem (il problema della fermata, che è invece
indecidibile nel senso di Godel per una macchina di Turing) e che quindi rende l'essere umano
anche da questo punto di vista intrinsecamente diverso da un computer.
L'arresto del regresso nelle parole di Virno "è un dato di fatto, una evidenza empirica (...) E'
innegabile che nell'arco di una vita, ma anche di una singola giornata, sono innumerevoli le
occasioni in cui arrestiamo la spirale delle metarappresentazioni e dei trascendimenti. Il 'basta
così' incrocia l' 'e così via' come l'ascissa la sua ordinata'."
In realtà, l'arresto è secondo il nostro autore un fatto bifronte poiché "al pari di qualsiasi soglia
o confine, può essere considerato tanto una via d'uscita che una via d'accesso. Uscita dalla
situazione in cui l'identico limite viene riproposto ricorsivamente ad opera del suo stesso
superamento; accesso alla conoscenza del dispositivo logico che, istituendo l'infinito andirivieni
tra limite e superamento, genera una situazione di tal genere".
Virno identifica due generi principali di interruzione del regresso, che sono:
a. l'interruzione mimetico-omeopatica;
b. l'interruzione proiettiva, che a sua volta si distingue in due sottoclassi : la proiezione del
tutto nella parte e la proiezione in uno spazio bi-dimensionale (del tipo ascissa-ordinata, un cui
esempio può essere quello filosofico kantiano di scissione tra fenomeno e noumeno o cosa in sé).
In maniera analoga al sintagma 'e così via, all'infinito', ci sono innumerevoli tipi di interruzione
mimetico-omeopatica che possiamo trarre ad esempio da un simbolismo come quello
matematico: la radice quadrata di due, √2, ci consente di esprimere in maniera "sintetica" il
risultato del suo calcolo che è 1,414213562... e, come dice Virno, "esonera da un compito di cui
non si intravede il termine".
Gli assiomi in senso lato sono un altro modo di interruzione mimetica del regresso, in quanto
fungono da cornice e quindi costituiscono un limite invalicabile entro il quale si svolgono le
sequenze ricorsive. Virno considera assiomi in tal senso sicuramente le proposizioni primitive di
una teoria deduttiva, ma anche le convenzioni linguistiche e comportamentali e gli assunti
teologici.
A rendere un assioma tale, secondo Virno, è "soltanto la tappa della fuga all'indietro che precede
l'interruzione di questa stessa fuga; la tappa, cioè, che viene subito prima del sintagma 'e così
via, all'infinito' con cui si sospende il regresso proprio mentre se ne ratifica la presenza".
Con l'assioma, quindi, si stabilisce un punto del regresso in cui "la procedura ricorsiva non è più
usata, ma solo menzionata."
Infine le abitudini, che come si è detto rappresentano una cristallizzazione della prassi.
Prima, però, bisogna definire due coppie di concetti, ognuna delle quali va a costituire due assi di
coordinate perpendicolari.
La prima coppia è costituita da:
- disposizione: l'attitudine a fare o subire qualcosa;
- avvenimento: una singola manifestazione di questa attitudine;
mentre la seconda coppia da:
- grammaticale: tutto ciò che delimita e qualifica la forma di vita specificatamente umana, "modi
di agire basilari e invarianti, strutture cognitive fondamentali, immagini del mondo certe come
una tautologia". In questa categoria, in sintesi, possiamo ritrovare ciò che Wittgeinstein definiva
"modo di comportarsi comune agli uomini" e di cui si è parlato anche nel precedente post;
- empirico: "i fatti della vita, le mosse interne ai diversi giochi linguistici, i fenomeni di cui si
può addurre una causa o una ragione, ciò che è accidentale o soggetto al dubbio".
Ciò premesso, Virno afferma che "l'abitudine, cristallo della prassi, è costituita dagli stessi assi
perpendicolari che, per altro verso, inducono il blocco del regresso all'infinito. E' costituita, cioè,
dalle coppie disposizione-avvenimento e grammaticale-empirico."
Il fatto che le coppie in esame siano "perpendicolari" fra loro e quindi come minimo dialogiche
implica che dal loro accoppiamento dinamico si generino le abitudini, che quindi
rappresentano dei punti di intersezione antropologici attraverso cui si disinnesca il regresso
all'infinito (quello che si è chiamato regresso per presupposizione), che altrimenti si genererebbe
senza questa dinamica proiettiva in uno spazio bi-dimensionale.
Nelle parole di Virno si può dire che "sembra lecito affermare, quindi, che l'abitudine ha il suo
fulcro nella relazione fra qualcosa di permanente (il grammaticale, la disposizione), che però è
intrinsecamente lacunoso, e qualcosa di labile (gli avvenimenti, i fatti empirici), che però è
completo in sé stesso."
Ne deriva così un ethos in cui si "ripete sempre di nuovo la correlazione tra disposizione ed
avvenimento, grammaticale ed empirico" ed in cui c'è sempre spazio per la novità che si genera
appunto dalla dinamica predetta.
In sintesi, le abitudini non restano mai identiche ma cambiano in funzione della dinamica delle
coppie (ascissa/ordinata) di cui si è parlato.
Termina qui questa spero interessante "puntata metafisica" innescata dal regresso all'infinito.
Nel prossimo post riprenderò a parlare di coscienza, in particolare secondo la visione di Alva Noe
e del suo "Perché non siamo il nostro cervello. Una teoria radicale della coscienza" di cui
traccerò successivamente alcune analogie con il modello del quantum brain.