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Il mutamento morfologico

Si tratta di mutamenti sempre circoscritti a categorie definite e non pervasivi come a volte quelli fonologici.
Si può distinguere fra mutamenti che producono regolarità e mutamenti che non producono regolarità (e
investono occasionalmente singoli morfemi o un numero di parole limitato).
Due meccanismi principali sono alla base del mutamento morfologico:
• analogia (proporzionale e non proporzionale), considerata già dai neogrammatici come una delle due
possibili cause di eccezioni alla regolarità delle leggi fonetiche assieme ai casi di prestito;
• grammaticalizzazione→ si intende il mutamento per cui un elemento del lessico diventa un elemento della
grammatica.
I linguisti hanno spesso notato come vi siano chiare interazioni fra mutamento fonologico e morfologico: cfr.
il caso della metafonesi quale fenomeno di morfologizzazione, o la demorfologizzazione nel passaggio fra
ant. irl. fo-ad-gab (‘sotto a prendere’) e irl. mod. fog (‘andar via’).
Inoltre questo rapporto è all’origine di tendenze in conflitto: il mutamento fonetico è (spesso) regolare ma
produce altrettanto spesso irregolarità morfologiche, mentre il mutamento morfologico è quasi sempre
sporadico (cioè irregolare), ma produce solitamente regolarità (analogiche).
L’analogia Saussure: una forma analogica è una forma fatta a immagine di una o più altre secondo una
regola determinata.
Mutamenti morfologici sporadici
Tendenza “creativa” a istituire analogie non sempre sistematiche. Danno luogo a cambiamenti sporadici a
seguito di processi quali:
• estensione del contesto di applicazione di un morfema, ad es. la diffusione delle desinenze verbali in
italiano: lat. amabam > amava > amavo.
• risegmentazione, rianalisi che interessa la struttura fonologica dei morfemi: ad es. il pl. lat. analogico di
tempus (= tempi), che ri-segmenta quello originario come temp-ora diffondendo nel lat. tardo la desinenza
pl. -ora.
• fusione o blending, sorta di compromesso morfologico tra due forme con significato uguale o simile (ad es.
i due suffissi diminutivi del tedesco che si fondono in uno: il + in; o il suffisso pl. antico inglese -er che si
fonde con il m. ingl. -en in child-(e)r-en).
• retroformazione, che generalizza un modello di relazione morfologico come l’analogia, ma a partire da una
rianalisi che fa procedere il processo in senso inverso: a. ingl. pise – pisan, poi pise (trascritto peas) viene
rianalizzato come pea-s (e ne segue il singolare analogico pea). Cfr. anche it. redarre vs redigere.
• contaminazione , ovvero fusione che coinvolge forme semanticamente correlate rendendole simili
foneticamente (es. fr. male : femelle > ingl. male : female)
• concrezione/discrezione, vale a dire agglutinazione (o de-glutinazione) di una forma grammaticale e una
lessicale (es. lat. lusciniŏlus, it. l’usignolo; it. pop. l’apis per lapis)
• etimologia popolare o paretimologia, processo che segmenta e rende trasparenti gli elementi opachi di un
termine associandolo ad altri lessemi: es. lat postumus > lat. volg. post-humus > ingl. posthumous
Grammaticalizzazione Meillet: si creano nuove forme e/o categorie grammaticali perché un elemento
lessicale perde a poco a poco il suo significato proprio per assumere funzione grammaticale (ex. del latino -
mente) diventando membro di una classe chiusa.
Alle perdite si accompagnano acquisizioni di funzioni nuove in relazione agli usi degli elementi
grammaticalizzati:
- inferenze pragmatiche e reinterpretazione (es. ingl. go grammaticalizzato per esprimere il futuro nella
perifrasi progressiva: continuum di contesti e progressivo ‘scolorimento’ del contenuto lessicale del verbo di
moto);
- estensione semantica per metafora e metonimia da domini più concreti ad estratti (es. but da be [by]
utan [out], ‘da fuori’; verbi ausiliari modali in precedenza lessicali; espressione del futuro come ‘movimento’
o ‘volontà’);
- stratificazione di livelli per cui alcuni elementi possono conservare la loro forma accanto all’esito
grammaticalizzato, e le due forme coesistono o costrutti diversi si sovrappongono [ex. be going to, shall, will
in ingl.]); ciclicità e rinnovamento, per essere sostituiti da un nuovo ciclo di grammaticalizzazione (ad es. il
‘ciclo della negazione’ di Jespersen).
Effetti e cause del mutamento morfologico
- mutamento nell’inventario o funzione dei morfemi (es. dei sincretismi fra casi);
- mutamento nell’inventario o struttura delle classi flessionali (ex. del passaggio latino > lingue romanze) -
mutamento nell’inventario o struttura categorie flessionali (perdita del neutro).
Benveniste: la maggior parte dei mutamenti sono innovanti; conservativi i mutamenti che vedono
semplicemente la sostituzione di forme con altre nella medesima funzione

Mutamento sintattico
Il livello sintattico combina e riassume fenomeni che possono ricondursi:
- all’uso di elementi morfologici specifici
- alla combinazione di elementi nei costrutti
-alla strutturazione delle frasi nei periodi.
Esso dunque si interfaccia con la morfologia, ed è influenzato dalle funzioni semantiche e comunicative,
introducendo una dimensione di vaghezza e opacità che contrasta con la natura lineare e segmentale delle
strutture sintattiche e impedendo di predire direzioni e limiti del mutamento. Perciò i fenomeni di
grammaticalizzazione, rianalisi ed estensione hanno tutti implicazioni morfologiche e sintattiche, perché
nella grammaticalizzazione si verifica un passaggio di classe (aperta > chiusa) e una perdita di autonomia
dell’elemento che alla fine non è più analizzabile.
Inoltre, a livello semantico-funzionale, assistiamo a una riduzione di significati lessicali a beneficio di quelli
grammaticali con conseguente “espansione” di funzioni ( in virtù della polisemia del funtivo grammaticale).
Il mutamento sintattico coincide spesso con un mutamento tipologico.

Rianalisi
La reinterpretazione dei costrutti a livello sintattico è un fenomeno più complesso di quello morfologico,
perché meno visibile: interessa infatti la struttura sottostante di uno schema (ex. dell’interrogativa del
francese standard, del francese colloquiale e di quello sub-standard come caso di rianalisi senza
grammaticalizzazione, da pronome a particella). Un esempio classico di rianalaisi è la formazione nelle
lingue romanze del passato prossimo, inesistente in latino. La nascita di questo nuovo tempo verbale implica
una diversa analisi ed interpretazione del verbo latino habere, il quale designa il significato di ‘’possedere,
detenere’’.

Estensione
Fenomeno o processo speculare alla rianalisi: cambia infatti l’espressione superficiale di uno schema senza
una modifica vera e propria della struttura sottostante: l’estensione analogica è dunque un cambiamento
manifesto. Ex. in ted. per il caso morfologico della prep. wegen (‘per, a causa di’), con il genitivo impostosi
nello standard e il dativo considerato un tempo scorretto ma oggi accettabile.
Se è vero che la lingua si trova in un costante stato di variazione, in sintassi diacronica è difficile accettare il
postulato della «grammatica a priori» chomskiano: è stato proposto così un modello definito «grammatica
emergente» in cui la sintassi di una lingua è concepita come insieme non delimitato di forme via via
organizzato dai parlanti in base alle esigenze comunicative.
Il mutamento semantico-lessicale
L’arbitrarietà del segno rende imprevedibili e aleatori i mutamenti che investano il piano del contenuto di
una qualsiasi lingua.
Ma vi sono vincoli: l’organizzazione strutturata del lessico, i nessi associativi, i meccanismi della memoria,
l’interfaccia fra il livello semantico e i moduli morfosintattici.
Il significato può cambiare a livello denotativo, connotativo o di registro.
L’etimologia, l’onomasiologia (realizzazioni lessicali diverse di un medesimo contenuto/concetto) o la
dimensione semasiologica (vari significati assunti da un medesimo significante entro un sistema linguistico
dato) come punti di vista per affrontare il mutamento semantico.

Effetti e cause del mutamento semantico


▪ Estensione, ampliamento dell’ambito semantico-referenziale e dei contesti d’uso (exx. del lat. panarium,
rivalis, egregius e rispettivi esiti italiani)
▪ Restrizione, ossia specializzazione dell’ambito semantico e dei contesti d’uso (ex. ingl. mete > meat) Gli
effetti del mutamento possono elevare il registro o le connotazioni connesse a un termine (ex. minister), o
all’opposto ridurle (ex. villanus). Si verificano inoltre fenomeni opposti quali l’iperbole (kill in inglese che
passa da ‘colpire, tormentare’ a ‘uccidere’; eliminare nel passaggio lat. > it.) e la litote (ex. il fr. étonner
derivato dal lat. ex-tonare).
Tra le cause del mutamento si possono citare: fattori linguistici (sintagmatici o paradigmatici: ex. di pas in
francese); fattori extralinguistici (socioculturali, storici: ex. della denominazione dei pasti in francese e
inglese); tabu ed eufemismo; prestito. Le tendenze sono inoltre di tre generi: significati basati su situazioni
esterne > interne (comprendere, capire nel passaggio dal lat. all’it., e oggi afferrare e ingl. grasp); significati
basati su situazione esterna o interna > situazione testuale e metalinguistica (ex. ingl. observe, while
nell’accezione di ‘benché’); significati basati in modo crescente sull’attitudine epistemica o deontica del
parlante nei confronti della proposizione (ex. di magan > may in inglese).

La sociolinguistica
La sociolinguistica è il settore della linguistica che studia le relazioni tra la lingua e la società. Essa non è
sociologia che prende in considerazioni il fenomeno della lingua,ma una linguistica che collega la
descrizione e l'analisi delle lingue con lo studio dell'articolazione interna delle relazioni sociali.
Sembra più corretto iniziare a parlare di sociolinguistica a partire dalla metà del XX secolo,cioè da quando
alcuni studiosi che lavoravano negli stati uniti hanno prodotto un serie di ricerche,su lingue viventi,che
miravano a descrivere da un lato la correlazione tra fatti linguistici e collocazione sociale dei parlanti,
dall'altro la funzione sociale delle scelte linguistiche all'interno delle diverse comunità. Si può parlare di
sociolinguistica dal momento in cui l'analisi dei fatti linguistici inizia a servirsi,sia nella raccolta dei dati,sia
nel loro trattamento.
Concetti fondamentali
Un primo concetto è quello di variabile sociolinguistica. Un insieme di forme linguistiche, ai vari livelli di
analisi, che abbiano analoga distribuzione sociale costituisce una varietà linguistica.
Ciascuno di questi modi è detto variante. A seconda dei principali fattori con cui correlano, si riconoscono
tre tipi di varietà di lingua:
• le varietà diatopiche o geografiche,in cui il criterio di riconoscimento è la distribuzione
territoriale,geopolitica dei parlanti.
• le varietà diastratiche o sociali, in cui il criterio di riconoscimento è la posizione sociale,lo strato e il gruppo
sociale di appartenenza dei parlanti.
• le varietà diafrasiche o situazionali, in cui il criterio di riconoscimento è la diversità delle situazioni
comunicative.
Si possono distinguere a loro volta in varietà di codice, legate all'argomento di cui si sta parlando e varietà di
registro,legate a comportamenti come il contesto tra i vari interlocutori.
Comunità e repertori linguistici
L'insieme delle varietà che possono trovarsi in compresenza all'interno di una comunità linguistica forma il
repertorio a disposizione dei parlanti di quella comunità. A sua volta una comunità linguistica è costituita da
quelle persone che condividano almeno una varietà di lingue.
Si definisce diglossia la compresenza in un repertorio di almeno due varietà,di vui una si è specializzata ed è
usato solo per le funzioni comunicative alte,ufficiali,formali,l'altra si è specializzata e usata solo per le
funzioni comunicative basse, si definisce bilinguismo la coesistenza di almeno due varietà,nessuna delle
quali si è specializzata per usi specifici e che quindi possono essere usate entrambe in tutte le situazioni
comunicative.
Si possono distinguere 4 tipi di bilinguismo:
a) bilinguismo monocomunitario,quando tutti i parlanti di una comunità sono bilingui o pluringui.
b) bilinguismo bicomunitario quando la comunità è divisa in due parti, abbastanza separate tra loro,ciascuna
delle quali usa una sola lingua al proprio interno e l'altra solo nei rapporti son membri della seconda
sottocomunità.
Lingue in contatto
Il contatto fra varietà linguistiche diverse ha conseguenze sul piano dei testi,sul piano delle varietà stesse,sul
piano della formazione di varietà linguistiche nuove.
Lingue in contatto
La convivenza in situazioni di bilinguismo porta ciascuna delle varietà a fornire e assorbire elementi da
quella con cui si trova in contatto. Uno dei meccanismi attraverso i quali le lingue rinnovano e adeguano il
proprio lessico è l'adozione di elementi di provenienza straniera. I processi che permettono questo
rinnovamento sono due tipi:
• il prestito, si ha quando un lessema viene adottato come neologismo dalla lingua replica mantenendo una
continuità nella forma del significante.
• il calco,si ha quando un neologismo viene foggiato con materiale della lingua replica sul modello di un
lessema già esistente nella lingua modello.
Invece, l’insieme di fatti indicati con l’etichetta di commutazione di codice riguarda i fenomeni che
avvengono sul piano del discorso ed è tipico del comportamento di parlanti bilingui. Il termine indica infatti
l’uso alternato di due lingue diverse nella stessa interazione comunicativa da parte di uno stesso parlante.
Lingue “di” contatto: le varietà nate dal contatto linguistico
La convivenza all'interno di comunità linguistiche ricche di occasioni di scambio tra parlanti alloglotti,come
quelle che si trovano nei porti,ha portato nel corso dei secoli alla formazione di “lingue di contatto”. I due
tipi principali di varietà di contatto sono le lingue pidgin e le lingue creolo.
Si chiama pidgin una lingua di contatto,nata e sviluppata in ambiti coloniali per scopi comunicativi
relativamente ristretti,quali l'interscambio commerciale o militare,e che non ha mai raggiunto lo status di
lingua materna,ma si continua ad apprendere esclusivamente come seconda lingua da parte di parlanti che
hanno lingue materne diverse da essa. Quando un pidgin si consolida nel tempo e nella comunità
parlante,estendendo la propria sfera comunicativa,può arrivare a essere trasmessa come lingua materna. Le
lingue di contatto giunte a questo stadio si definiscono creoli.
Strumenti di analisi
I principali concetti tesi a formalizzare la rappresentazione delle variabili sociolinguistiche:
-Le regole variabili, sono un'estensione in ambito sociolinguistico delle regole di scrittura della grammatica
generative. Lo scopo delle regole variabili è introdotto in una normale regola di riscrittura,accanto a
indicazioni di tipo sociologico.
-Uno sviluppo delle regole variabili è costituito dalle grammatiche di varietà,nelle quali si registra le
percentuale di effettive realizzazioni da parte di un campione significativo di parlanti.
-Un altro metodo di analisi è quello delle scale d'implicazione. Una scala d'implicazione è un espediente
grafico che permette di rappresentare e formalizzare i rapporti che intercorrono tra le diverse variabili di un
repertorio,verificando le eventuali solidarietà tra le varianti e identificando in questo modo i confini tra le
varietà del repertorio.

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