Sei sulla pagina 1di 22

ROMANTICISMO

Le critiche sul dualismo prendono in considerazione la distinzione fra fenomeno e noumeno. i critici
prendono di mio soprattutto il concetto di noumeno, giudicandolo filosoficamente inammissibile. 
In filosofia si parla di idealismo in senso lato a proposito di quelle visioni del mondo che privilegiano la
dimensione ideale rispetto a quella materiale e che affermano il carattere spirituale della realtà vera.
Con l'espressione idealismo gnoseologico si indica tutte quelle prospettive che finiscono per ridurre oggetti
della conoscenza a idea o rappresentazione. Espressione idealismo romantico indica invece una grande
corrente filosofica post-kantiana. idealismo: 
L'attributo trascendentale tende a collegarlo con il punto di vista kantiano che aveva fatto del io penso il
principio fondamentale della conoscenza
La qualifica di soggettivo tenda contrapporlo al punto di vista di Spinoza che aveva inteso alla sostanza
stessa in termini di oggetto o di natura 
 L'aggettivo assoluto mira a sottolineare la tesi che io ho lo spirito è il principio unico di tutto e che fuori di
esso non c'è nulla.
FICHTE
Nacque a Rammenau nel 1762. compì i suoi studi di teologia a Jena e Lipsia, dove entrò in contatto con il
pensiero di Kant. divenne professore all’università di Jena. poi allontanatosi da Jena si recò a Berlino. morì
nel 1814
Nella seconda fase della sua speculazione all'esigenza dell'azione morale  si sostituisce quella della Fede
Religiosa e la dottrina della Scienza viene impiegata per giustificare la fede. Vuole costruire una filosofia
dell'infinito che è nell'uomo che è Anzi l'uomo stesso.
Se mio è l'unico principio, non solo formale, ma anche materiale, del conoscere allora è evidente che l’ io
non è sono finito ma anche infinito . Fichte è quindi il filosofo del infinità dell'io, della sua assoluta attività e
spontaneità, quindi della sua assoluta libertà. 
Il concetto centrale esposto nei “fondamenti dell'intera dottrina della Scienza” è quello di una scienza della
scelta, cioè di un sapere che metta in luce il principio su cui si fonda la validità di ogni scienza e che a sua
volta si formi sullo stesso principio. Questo principio è l'io, o autocoscienza. In sintesi l'essere Per noi
(oggetto) è possibile soltanto sotto la condizione della coscienza (del soggetto) e questa, a sua volta,
soltanto sotto la condizione dell'autocoscienza. la coscienza è il fondamento dell'essere, l'autocoscienza è
il fondamento della coscienza. La deduzione di Fichte è una deduzione assoluta o metafisica, che fa
derivare dal io sia il soggetto, sia l'oggetto del conoscere. 
con Tathandlung Fichte indica che l'io è, attività agente e prodotto dell'azione stessa in questo senso lì e
rappresenta la caratteristica dell'assolutezza. 
I TRE PRINCIPI 
Il primo Principio stabilisce che L’io pone se stesso, chiarendo come il concetto di io in generale identifichi
con quello di un'attività auto creatrice e infinita
Il secondo principio stabilisce che io pone il non-io, ovvero che l’io non solo pone se stesso, ma oppone
anche a se stesso qualcosa che, in quanto gli è opposto, è un non io. talenon io è tuttavia posto dall’io
quindi è nell’io.
Il terzo principio mostra come l'io, Avendo posto il non io, Si trovi a essere limitato da questo, esattamente
come quest'ultimo risulta limitato dall'io. Abbiamo quindi la situazione concreta del mondo ovvero una
molteplicità di io finiti che hanno di fronte a sé una molteplicità di oggetti a loro volta Finiti .L'io pone nell'io
all'io divisibile un non-io divisibile.
I tre principi delineano i capisaldi dell'intera Dottrina di Fichte
-L'esistenza di un Dio infinito, attività assolutamente libera e creatrice 
-L'esistenza di un Io ho finito perché limitato dal non io 
-La realtà di un non io, cioè dell'oggetto 
I tre principi non vanno interpretati in modo cronologico ma logico.
In virtù di questa dottrina l'io per fichte risulta finito e infinito al tempo stesso 
l’io infinito non è diverso dall'insieme degli io finiti nei quali si realizza
la struttura dialettica
L'io presenta una struttura triadica e dialettica articolata nei tre momenti di tesi antitesi e sintesi è incentrata
sul concetto di una sintesi degli opposti. La natura del nostro spirito è tale, che ogni dire esige un
contraddire, ogni tesi suscita un antitesi. Il processo indica nella tesi l'esordio spontaneo, ma ancora
Malcerto; Nell'antica tesi il dubbio, l'obiezione, la negazione sconfortante; Nella sintesi la riconquista, la
sicurezza del possesso, la catasti teoretica o morale 
idealismo e dogmatismo
L'idealismo consiste nel partire dal io, o dal soggetto, per poi spiegare su questa base la cosa ho detto.
viceversa il dogmatismo consiste nel partire dalla cosa in sé, o dall'oggetto per poi spiegare su questa base
L’io o il soggetto.
Il dogmatismo, che si configura come una forma di realismo in biologia e di naturalismo o di materialismo in
metafisica finisce sempre per rendere nulla o problematica la libertà
L'idealismo, facendo dell'io un'attività auto creatrice in funzione di cui Esistono gli oggetti, finisce sempre
per strutturarsi come una rigorosa dottrina della Libertà.
dottrina della conoscenza
fichte si proclama realista e idealista al tempo stesso: realista perché alla base della conoscenza ammette
un'azione del nonio sull'io, idealista perché ritiene che il non io sia a sua volta un prodotto dell’io.
L'immaginazione produttiva e l'otto attraverso cui li oppone, o crea, il non io.
Sul piano teoretico, la riappropriazione umana del non-io avviene attraverso una serie di gradi della
conoscenza: Sensazione, intuizione, intelletto, giudizio, ragione. 
DOTTRINA MORALE
Morale: riguarda l’azione dell’io sul non-io, che assume la forma di un dovere volto a far trionfare, al di là di
ogni ostacolo, lo spirito sulla materia
Primato della ragione pratica: corrisponde al fatto che la conoscenza e l’oggetto della conoscenza esistono
solo in funzione dell’agire; il criticismo etico di kant diventa una forma di moralismo metafisico che vede
nell’azione la ragione d’essere e lo scopo ultimo dell’universo.
Idealismo etico: l’io è il principio da cui tutto deve essere dedotto, concependo l’azione morale come la
chiave di interpretazione della realtà.
Agire: significa imporre al non-io la legge dell’io e il carattere morale dell’agire consiste nel fatto che esso
assume la forma del dovere, ovvero di un imperativo volto a far trionfare lo spirito sulla materia

SCHELLING
La sostanza di Spinoza è il principio Dell'infinita oggettiva, Lio di Fichte è il principio dell'infinita soggettiva.
Schelling vuole unire le due infinita nel concetto di un assoluto. Il principio supremo deve essere quindi un
assoluto, che sia insieme soggetto e oggetto, ragione e Natura, cioè l'unità o identità indifferenziata di
entrambi.
La natura secondo Schelling, a vita, razionalità e quindi valore in se stessa. Deve avere in sé un principio
autonomo che la spieghi tutti i suoi aspetti e questo principio deve essere identico a quello che spiega il
mondo della ragione dell'io, la storia. tale Infatti l'assoluto per Schelling. 
La tesi dell'assoluto come identità o indifferenza di natura e spirito conducono Schelling ad ammettere due
possibili direzioni della ricerca filosofica: 
-La filosofia della natura, diretta a mostrare come la natura si risolva nello spirito 
-La filosofia trascendentale, diretta a mostrare come lo spirito si risolva nella natura.
FILOSOFIA DELLA NATURA
La filosofia della natura di Schelling è una costruzione romantica, la quale prende spunto dai problemi
sollevati dalla critica del giudizio di Kant e, dalla scienza dell'epoca, dalla cultura filosofica del passato, dal
naturalismo rinascimentale. 
Alla base di tale filosofia sta il rifiuto dei due tradizionali modelli esplicativi della natura: Quello
meccanicistico scientifico e quello finalistico teologico.
Il primo parlando in termini di materia, movimento e causa, si trova in difficoltà a spiegare gli organismi
viventi. il secondo ricorrendo a un intelletto Divino agente dell'esterno del mondo, finisce per
compromettere l'autonomia e l'autarchia dei processi naturali. 
L'anima del mondo è ciò che sostiene la Continuità del mondo organico e inorganico essendo spirito la
natura presenta gli stessi caratteri di fondo che aveva attribuito al io. Essa è un'attività spontanea e
creatrice.
La natura agisce attraverso la lotta di forze opposte. se queste forze si considerano già date nei corpi, la
loro azione è condizionata o dalla quantità o dalla qualità dei corsi stessi: nel primo le forze operano
meccanicamente, nel secondo chimicamente. 
In meccanica l'attrazione prende il nome di gravitazione, in chimica di affinità. 
sono possibili 3 casi:
Che le forze siano in equilibrio, e si hanno Allora i corpi non viventi, che l'equilibrio venga rotto e si è
ristabilito, e sia ha Allora il fenomeno chimico, che l'equilibrio non venga ristabilito anche la lotta delle forze
sia permanente, e sia ha Allora la vita
Manifestazioni universali della natura:
Il magnetismo esprime la coesione grazie alla quale le varie parti dell'universo gravitano le une verso le
altre
L'elettricità esprime quella con la Rita dialettica che fa del mondo la sede di un opposizione di forze di
segno contrario
Il chimismo esprime quella incessante metamorfosi dei corpi
Schelling articola la storia dell'universo in tre diverse Potenza:
Prima potenza è rappresentata dal mondo inorganico
La seconda potenza è rappresentato dalla luce
Laterza potenza è rappresentata dal mondo organico
La natura si configura Quindi come uno spirito inconscio in moto verso la coscienza, cioè come un
processo in cui si verificano una progressiva Smaterializzazione della materia è un progressivo emergere
dello spirito.
La natura appare come la preistoria dello spirito o come il passato trascendentale della coscienza, Odissea
dello spirito

Nel linguaggio di Schelling dire che la fisica procede a priori significa dire che essa procede
sistematicamente, ossia mostrando come ogni fenomeno naturale testimoniato dall'esperienza faccia parte
di una totalità organica da cui necessariamente deriva è dentro cui necessariamente si colloca 
La fisica speculativa di Schelling ha avuto alcuni meriti storici:
-Stimolare l'interesse per i fenomeni naturali, come elettricità e magnetismo 
-Ha mostrato i limiti del meccanicismo tradizionale è a posto l'esigenza di studiare la natura 
-Ha contribuito ad alimentare le ricerche di morfologia comparata 
-Ha contribuito a preparare una mentalità evoluzionistica 
Schelling Non può essere considerato un perché le potenze non sono dei gradi Temporalmente successivi
dell'universo bensì dei momenti ideali e quindi simultanei
FILOSOFIA TEORETICA
La filosofia trascendentale parte dal soggettivo per derivarne l'oggettivo, mostrando il progressivo farsi
natura dell'intelligenza. Discende dalla forma alla materia chiarendo come le leggi del soggetto siano le
leggi stesse dell'oggetto. La filosofia trascendentale ha il compito di dedurre l'oggetto dal soggetto.
Il punto di partenza della deduzione di Schelling e l'autocoscienza Ovvero la coscienza o è sapere che io a
se stesso. l'autocoscienza coincide Dunque con la libera attività auto creatrice dello spirito. 
Nella autocoscienza esistono due attività, Una reale e una ideale:
-L'attività reale consiste nel fatto che l’io incontra il limite e risulta quindi limitabile
-L'attività ideale consiste nel fatto che l'io procede oltre ogni limite dato e risulta quindi Illimitabile. 
Le due attività si implicano a vicenda, in quanto l'io può configurarsi come ideale solo in quanto è reale e
viceversa.
Schelling distingue tre epoche o fasi di sviluppo dell'io:
-La prima epoca procede dalla sensazione all'intuizione produttiva in cui l'io si coglie come Senziente e non
solo come sentito, cominciando a prendere coscienza della propria attività 
-La seconda epoca va dall' intuizione produttiva, in cui l'io è ancora immerso negli oggetti, alla riflessione in
cui l'io si eleva all'intelligenza differenziata di sè
-La terza epoca va dalla riflessione alla volontà Dov'è Lio, aprendosi dagli oggetti, si coglie come
intelligenza autodetermintesi
L'articolazione di questi momenti del io coincide con la formazione del tempo, dello spazio e delle categorie
di relazione, qualità, quantità e modalità.
Perché l'oggetto non sa fare fin dall'inizio in produzione del soggetto’
Se il soggetto producesse consapevolmente I propri oggetti, non potrebbe pensarli in seguito come delle
cose in sè, Se Ciò avviene e perché io li genera inconsciamente tramite la produzione inconscia.
FILOSOFIA PRATICA
Nella filosofia pratica Lo spirito si pone come volontà, si concretizza:
-Nella morale, che accentua soprattutto la libertà e la spontaneità dell'agire 
-Nel diritto, che accento soprattutto il momento della legalità e della necessità 
Nel mondo Nasce un antitesi tra libertà e necessità. una prima composizione dell'antitesi è rappresentata
dalla storia. La storia è sintesi di libertà e necessità perché, mentre gli uomini credono di operare
liberamente, ciò che essi non si propongono nasce in maniera inconscia e in virtù di una forza Superiore.
Schelling sostiene l'esistenza di un disegno che si va attuando gradualmente nel tempo.
La rivelazione storica dell'assoluto Avviene in tre periodi:
-Il primo periodo è quello in cui la potenza superiore a fare sotto forma di destino, Ovvero la caduta di quei
grandi imperi 
-Il secondo periodo è quello in cui ciò che precedentemente appariva come destino si rivela come natura 
-Il terzo periodo è quello in cui ciò che prima appariva come destino e come natura si rivela esplicitamente
come Provvidenza 
ARTE
L'arte è un'attività nella quale si armonizzano completamente spirito e Natura, il tradurre inconscio e quello
conscio. Infatti nella creazione estetica l'artista risulta in preda a una forza inconsapevole che lo ispira,
facendo si che la sua opera si presenti come la sintesi di un pomeriggio inconscio o spontaneo e di un
momento conscio e mediato.
L'arte va intesa come organo della filosofia. L'artista umano si configura il festiva mente come colui che in
carne concretizza il modo di essere dell'assoluto. nella creazione estetica si ripete Il mistero della creazione
del mondo da parte dell'assoluto 
Com'è possibile che vi sia un predominio dell'oggetto sull'oggetto e, nello stesso tempo, un predominio del
soggetto sull'oggetto ?
Per rispondere a questo problema Bisogna ammettere che tra i due mondi, L'ideale è il reale, esiste
un'armonia prestabilita.
FILOSOFIA DELL’DENTITA’: teoria dell’assoluto come identità o indifferenza di oggetto/soggetto, spirito/natura,
conscio/inconscio; in particolare ruota intorno a come si possono derivare il finito e il relativo partendo dall’assoluto
e dall’infinito.
DIO CHE DIVIENE
-teismo: non riesce a spiegare come l’assoluto, essendo perfetto, possa dar vita all’imperfetto; non riesce a
giustificare la possibilità e lo spessore del male nel mondo e la conseguente possibilità di una scelta umana di esso,
ovvero la libertà
-emanazionismo: non fa che ripetere gli stessi inconvenienti del creazionismo
-panteismo classico: non riesce a spiegare né il salto dall’infinito al finito, né l’esistenza del male
Con schelling l’assoluto cessa di essere un atto puro per configurarsi come un Dio vivente, ossia come un Dio che non
è, ma diviene e che si rivela a se stesso mediante un processo cosmico coincidente con la storia stessa del mondo,
che è una vivente forma di teofania (manifestazione di Dio)
FILOSOFIA NEGATIVA/POSITIVA
Filosofia negativa è un pensiero che si limita a studiare l’essenza o la possibilità logica delle cose mentre la filosofia
positiva è un pensiero che concerne la loro esistenza o realtà effettiva.

HEGEL
Studia filosofia e teologia all’università di Tubinga.
La rivoluzione francese suscita in lui un’influenza duratura. I primi scritti risalgono al periodo in cui fece da precettore
in case private a Berna. Dopo la morte del padre abbandona la carriera di precettore e
inizia la carriera accademica. Nel 1808 diventa direttore del ginnasio, poi professore di filosofia e fu chiamato
all’università di Berlino. Muore a Berlino il 14 novembre 1831.
GLI SCRITTI.
Gli scritti giovanili sono principalmente di natura teologica. La prima grande opera di Hegel è la Fenomenologia dello
spirito(1807). Scienza della logica(1812). L’enciclopedia delle scienze filosofiche in
compendio(1817). Lineamenti di filosofia del diritto(1821).
RIGENERAZIONE ETICO-RELIGIOSA E POLITICA.
Hegel studia il tema della rigenerazione morale e religiosa dell’uomo come fondamento della rigenerazione politica.
Il mondo interiore dell’essere umano deve essere così forte da creare un nuovo ordine esteriore.
CRISTIANESIMO,EBRAISMO,MONDO GRECO.
Nelle due opere «la vita di Gesù» e «La prospettiva della religione cristiana» si può notare il passaggio da
una prospettiva Kantiana ad una post-Kantiana. In esse, Hegel, polemizza contro la chiesa che ha
costruito una religione positiva. Secondo Hegel il destino degli ebrei è infelice perché loro stessi lo hanno provocato.
Il mondo greco era in armonia con Dio, la natura e tra gli uomini. Il messaggio di Gesù insegna ad amare anche i
nemici, per questo il suo messaggio è di speranza.
TESI DI FONDO DEL SUO IDEALISMO.
La risoluzione del finito nell’infinito. L’identità tra ragione e realtà. La funzione giustificatrice della filosofia.
FINITO E INFINITO.
Monismo panteistico: il mondo è manifestazione e realizzazione di Dio (soggetto spirituale in divenire).
Il finito e l’infinito coincidono, in quanto il finito è manifestazione e momento necessario dell’infinito.
L’infinito, o Dio, è un soggetto spirituale in divenire, che si realizza progressivamente in tutti i suoi momenti e che
solo alla fine, cioè nell’uomo, acquista piena coscienza di sé.
LA FUNZIONE DELLA FILOSOFIA.
Comprendere ciò che è, è il compito della filosofia, poiché ciò che è, è la ragione.
La filosofia è la giustificazione razionale della realtà.
RAGIONE E REALTA’.
Ciò che è razionale è reale e ciò che è reale è razionale
-la razionalità non è idealità ma è la forma stessa di ciò che esiste
- la realtà non è una materia caotica, ma il dispiegarsi di una struttura razionale
-Hegel esprime la necessaria identità di realtà e razionalità
L’dea o ragione è identità totale e necessaria di:
1)ragione e realtà (la ragione non è un’astrazione, ma la forma stessa della realtà, intesa come sviluppo dell’idea).
2)essere e dover essere (ciò che esiste è ciò che razionalmente deve essere)
IDEA, NATURA E SPIRITO.
Hegel ritiene che il farsi dinamico dell’Assoluto passi attraverso i tre momenti dell’idea:
1)In sé e per sé (tesi): ossatura logica-razionale della realtà
2)Fuori di sé (antitesi): natura, cioè alienazione dell’idea nella realtà spazio-temporali del mondo
3) L’idea che ritorna in sé (sintesi): spirito
LE SEZIONI DEL SAPERE FILOSOFICO.
Logica: studia l’idea in sé e per sé.
Filosofia della natura: studia l’idea fuori di sé.
Filosofia dello spirito: studia l’idea che ritorna in sé.
I TRE MOMENTI DEL PENSIERO.
-Il momento astratto o intellettuale, consiste nel concepire l’esistente sotto forma di una molteplicità di
determinazioni separate le une dalle altre.
-Nel momento dialettico o negativo-razionale, le determinazioni sono unilaterali e devono essere messe in rapporto
con le determinazioni opposte.
-Il momento speculativo o positivo-razionale, consiste nel cogliere l’unità delle determinazioni
opposte.
Contrapposizione tra intelletto e ragione:
-l’intelletto è un modo di pensare statico
-la ragione è un modo di pensare dinamico; in quanto dialettica nega le determinazioni astratte dell’intelletto, in
quanto speculativa, coglie l’unità degli opposti realizzandone la tesi
LA DIALETTICA.
TESI: affermazione di un concetto astratto e limitato
ANTITESI: negazione di questo concetto e passaggio a un concetto opposto.
SINTESI: unificazione delle affermazioni precedenti e negazione di entrambi (negazione della negazione).
AUFHEBUNG: abolisce e conserva nello stesso tempo la tesi e l’antitesi. Con questo termine si indica la ri-
affermazione potenziata dell’affermazione iniziale, ottenuta tramite la negazione della negazione intermedia
HEGEL E LE FILOSOFIE PRECEDENTI.
La ragione per gli illuministi è finita e parziale, per Hegel la ragione è l’organo dell’infinito.
Per Kant la realtà non si adeguava alla razionalità, per Hegel questa adeguazioni è necessaria.
Hegel contesta ai romantici il primato del sentimento, dell’arte o della fede in quanto l’assoluto deve essere oggetto
della filosofia. Per Hegel l’intellettuale deve integrarsi nelle istituzioni socio-politiche del proprio tempo.
Hegel accusa Fichte di considerare la natura come un ostacolo esterno all’io, con il rischio di un nuovo
dualismo tra spirito e natura. Per Hegel, Fichte, è incapace di mettere insieme finito e infinito in quanto
vede l’infinito come meta ideale dell’io finito.
Per Schelling l’assoluto è Dio come principio creatore della realtà, è finito ed è identità di soggetto e
oggetto. Per Hegel è principio immanente della realtà, è infinto che racchiude la realtà finita ed è soggetto
che produce se stesso come oggetto.

LA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO


Il termine fenomenologia indica la scienza di ciò che appare, poiché nel sistema hegeliano l’intera realtà è spirito,
quindi la fenomenologia consisterà nell’apparire dello spirito a se stesso cioè nel pervenire dello spirito alla
consapevolezza di essere tutta la realtà.
Nell’opera le vicende narrate corrispondono alle vicende del principio hegeliano dell’infinito nelle
sue prime apparizioni. Descrive il progressivo affermarsi dello spirito e lo fa attraverso una serie di
“figure”, tappe ideali che hanno trovato un’esemplificazione tipica nel corso della storia e che
esprimono i settori più disparati della vita umana. Si comprende quindi che la fenomenologia sia la
storia romanzata della coscienza e attraverso contrasti e scissioni esce dalla sua individualità,
raggiunge l’universalità e si riconosce come ragione che è realtà e realtà che è ragione.
La fenomenologia si divide in due parti:
la prima parte comprende i tre momenti della coscienza, dell’autocoscienza e della ragione
la seconda comprende le tre sezioni dello spirito, della religione e del sapere assoluto.
COSCIENZA
La prima tappa della fenomenologia dello spirito è dunque la coscienza, intesa come ciò che si
rapporta a un oggetto, si articola a sua volta nei tre momenti della certezza sensibile, della
percezione e dell’intelletto.
-La certezza sensibile è la più povera forma di conoscenza poiché non rende certi che di una
indeterminata e generica cosa singola, ad esempio di questa casa o di questo albero presenti
davanti a noi. Aggiunge un generico “questo”, la pretesa di massima determinatezza trapassa
nell’indeterminatezza, nell’universale più astratto, in un nulla di determinato. Dunque la certezza
sensibile si nega, perché nella sua immediatezza si profila dualità tra ciò che è in sé e ciò che è
per la coscienza, il “questo” non dipende dalla cosa, ma dall’io che la considera ciò che è “per me”
una certa cosa.
-La percezione esplicita la distinzione tra soggetto che percepisce e oggetto percepito che era
implicitamente presente nella certezza sensibile. Hegel intende dire che gli oggetti non sono che
insiemi di proprietà che la coscienza “unifica”, l’oggetto non può essere percepito come uno nella
molteplicità delle sue qualità, se l’io non riconosce che l’unità dell’oggetto è da lui stesso stabilita.
-L’intelletto consiste nella capacità di cogliere gli oggetti non come tali, ma come fenomeni cioè
come risultati di una forza che agisce sul soggetto.
Poiché il fenomeno è soltanto nella coscienza e ciò che è al di là del fenomeno o è un nulla o è
qualcosa per la coscienza, la coscienza a questo punto ha risolto l’intero oggetto in se stessa ed è
diventata autocoscienza.
AUTOCOSCIENZA
L’autocoscienza postula la presenza di altre autocoscienze in grado di darle la certezza di essere
tale. L’uomo è autocoscienza solo se riesce a farsi riconoscere da un’altra autocoscienza.
Il riconoscimento non può che passare attraverso un momento di lotta e di sfida, tale conflitto si
conclude con il subordinarsi dell’una all’altra nel rapporto servo-signore. Il signore è colui che pur
di affermare la propria indipendenza ha messo a repentaglio la sua vita, fino alla vittoria; il servo è
colui che a un certo punto ha preferito la perdita della propria indipendenza pur di avere salva la
vita. Tuttavia la dinamica di questo rapporto si inverte, ovvero il signore diviene servo del servo e il
servo signore del signore. Il signore che appariva indipendente si limita a godere passivamente del
lavoro dei servi e finisce per dipendere da loro, viceversa il servo finisce per essere indipendente.
Il processo di acquisizione di indipendenza da parte del servo avviene attraverso tre momenti:
1.la paura della morte, lo schiavo è tale perché ha tremato davanti alla possibilità della morte, quindi
in virtù di questa paura ha potuto sperimentare il proprio essere qualcosa di indipendente da quel
mondo di certezze naturali che prima gli apparivano come qualcosa di fisso
2.il servizio, la coscienza si autodisciplina e impara a vincere i propri impulsi naturali
3.il lavoro, il servo trattiene il suo appetito rimandando il momento dell’utilizzo dell’oggetto che sta
producendo, egli imprime alle cose una forma dando luogo a un’opera che ha una sua indipendenza, in questo senso
l’opera rappresenta il riflesso, nelle cose, della raggiunta indipendenza del servo rispetto agli oggetti.
Il raggiungimento dell’indipendenza dell’io nei confronti delle cose trova la sua manifestazione filosofica nello
stoicismo, un tipo di visione del mondo che celebra l’autosufficienza e la libertà del saggio nei confronti di ciò che lo
circonda. Ma nello stoicismo l’autocoscienza raggiunge soltanto un’astratta libertà interiore, perché la pretesa di
mettere tra parentesi quel mondo esterno da cui lo stoico si sente indipendente appartiene allo scetticismo. Una
visione del mondo che sospende l’assenso su tutto ciò che è comunemente ritenuto vero e reale. Hegel usa contro lo
scetticismo l’argomento tradizionale, quello secondo cui lo scettico si auto-contraddice, perché da una lato dichiara
che tutto è vano e non-vero, dall’altro pretende di dire qualcosa di reale e vero.
Attraversata dalla contraddizione tra la negazione della verità e l’affermazione di una verità, la coscienza scettica
trapassa nella coscienza infelice, in cui la contraddizione assume la forma di una separazione radicale tra l’uomo e
Dio. Questa opposizione produce nella coscienza una lacerazione che genera infelicità.
Nell’ebraismo l’Assoluto, la realtà vera, è sentita come lontana dalla coscienza individuale e assume le sembianze di
un Dio trascendente, padrone della vita e della morte, ovvero un Signore inaccessibile di fronte al quale l’uomo si
trova in uno stato di dipendenza.
Nel cristianesimo medievale l’intrasmutabile assume la figura di un Dio incarnato, però la pretesa
di accoglierlo in una presenza particolare è destinata al fallimento, il simbolo eloquente sono le
crociate, dove la continua ricerca di Dio si conclude con la scoperta di un sepolcro vuoto. Di
conseguenza la coscienza continua ad essere infelice e Dio continua a configurarsi come un
irraggiungibile, manifestazioni di questa infelicità sono le sotto-figure della devozione, del fare e
della mortificazione di sé. La devozione è quel pensiero a sfondo sentimentale e religioso che non
si è ancora elevato al concetto, il fare è il momento in cui la coscienza cerca di esprimersi nel
desiderio che dirige sul mondo e non più su Dio, e nel lavoro da cui trae il proprio godimento. Con
la mortificazione di sé si ha la più completa negazione dell’io a favore di Dio.
Il punto più basso toccato dal singolo, il quale cerca un punto di contatto tra se e l’immutabile nella
figura mediatrice della chiesa, è destinato a trapassare dialetticamente nel punto più alto quando
la coscienza, nel suo sforzo di unificarsi con Dio, si rende conto di essere lei stessa Dio.
LA RAGIONE
Come soggetto assoluto, l’autocoscienza diventa ragione, la quale secondo Hegel è la certezza di ogni essere di
realtà. Esistono tre tipi fondamentali di ragione:
La ragione osservativa
La ragione attiva
L’individualità in se e per se
-LA RAGIONE OSSERVATIVA
La certezza della ragione di essere la realtà completa, può essere vera se si giustifica; il primo tentativo di
giustificazione è un ‘’inquieto cercare’’ che si rivolge alla natura e al mondo. si tratta della fase del Naturalismo, del
Romanticismo e dell’empirismo in cui la coscienza crede di cercare l’essenza delle cose, ma in realtà sta cercando
soltanto se stessa. L’osservazione della natura avviene attraverso una descrizione, per poi trasferirsi nel dominio del
mondo organico e infine passa nell’ambito della psicologia. Hegel parlò in molte sue opere della fisiognomica, una
scienza che era in grado di determinare i caratteri dell’individuo attraverso i tratti della sua fisionomia, oltre
anche della frenologia, una scienza che pretendeva di conoscere il carattere dalla forma e dalle protuberanze del
cranio.
-LA RAGIONE ATTIVA
Hegel chiama ‘’ l’attuazione dell’autocoscienza razionale mediante se stessa’’ cioè una ragione attiva. Secondo il
filosofo si passa dalla ragione osservativa a quella attiva e grazie a questo passaggio ci si rende conto che l’unità di io
e mondo non è qualcosa di dato ma qualcosa che deve venir realizzato. ‘’ il piacere e la necessità’’ è la prima figura in
cui l’individuo deluso dalla scienza, si getta nella vita e va alla ricerca del proprio godimento. Nella ricerca del
piacere, l’autocoscienza dell’individuo incontra la necessità del destino. A questo punto l’autocoscienza
cerca di seguire il cuore e interviene la seconda figura, ‘’ la legge del cuore e il delirio della presunzione’’, nella quale
l’individuo entra in conflitto con altri portatori del vero progetto di miglioramento della realtà.
Successivamente l’individuo contrappone la virtù, cioè un agire in grado di procedere oltre l’immediatezza del
sentimento e delle inclinazioni soggettive.
Stiamo parlando della terza figura, ‘’la virtù e il corso del mondo ’’ ma questo conflitto tra realtà concreta e virtù può
soltanto che concludersi con la sconfitta del ‘’ cavaliere della virtù’’.
Un esempiodi sconfitta è il periodo del terrore e Robespierre.

-L’INDIVIDUALITA’ IN SE’ E PER SE’


L’individualità pur potendo raggiungere la propria realizzazione, rimane astratta e inadeguata. La
prima figura è ‘’ il regno animale dello spirito e l’inganno, o la cosa stessa’’. Hegel quando parla di
vitrù parla dell’atteggiamento dell’onesta dedizione ai propri compiti particolari però vi è un inganno
in quanto l’individuo tende a spacciare la propria opera come la cosa stessa, cioè come il dovere
morale stesso. La seconda figura è la ‘’ragione legislatrice’’. L’autocoscienza cerca in se stessa
delle leggi che valgono per tutti che però tutta via si rivelano auto-contradditorie . Queste
contraddizioni spingono l’autocoscienza a cercare delle leggi assolutamente valide. Hegel intende
farci capire se ci si pone dal punto di vista dell’individuo si è condannati a non raggiungere mai
l’universalità. La ragione reale non è quella dell’individuo, ma quella dello spirito o dello stato
quindi l’individuo è fondato dalla realtà storico-sociale, e non viceversa.
LO SPIRITO,LA RELIGIONE E IL SAPERE ASSOLUTO
Il filosofo parla di spirito intende l’individuo nei suoi rapporti con la comunità sociale di cui è parte.
Lo spirito comprende 3 tappe:
-lo spirito vero, l’eticità
-lo spirito che si è reso estraneo a sé, la cultura
-lo spirito certo di se stesso, la moralità
Il primo momento corrisponde alla fase dell’eticità classica ,caratterizzata da una fusione tra un
individuo e una comunità. il secondo momento corrisponde alla fase della frattura tra l’io e la
società cioè una situazione di alienazione. Il terzo momento è quello di una riconquista eticità e
armonia tra individuo è comunità in cui lo spirito dopo aver attraversato le figure ancora imperfette
si riconosce nella sostanza etica dello stato. Con la religione, l’individuo acquista la totale
coscienza di se come spirito.

ENCICLOPEDIA DELLE SCIENZE FILOSOFICHE IN COMPENDIO


LA LOGICA
Una delle 3 sezioni del sistema hegeliano. Hegel gli dedica una delle sue opere più importanti: la scienza della logica.
Il filosofo distingueva la filosofia, che trattava elementi concreti, e la logica, che ne trattava soltanto la parte astratta,
specificandone la struttura attraverso concetti e categorie. È importante capire come per Hegel il pensiero
corrisponda alla più oggettiva delle realtà, rendendo dunque i concetti pensieri oggettivi.
-I concetti puri e trascendentali di kant diventano in Hegel concetti derivati da esperienze stori-fenomenologiche.
-I concetti logici non sono dunque innati ma derivano dalle esperienze, anche millenarie, che il genere umano ha
compiuto e Si identificano come determinazioni del pensiero e della realtà.
Il pensiero logico hegeliano viene accomunato al modello di libertà, in quanto capace di produrre da sè la ricchezza
dei suoi contenuti .
Hegel le principali posizioni del pensiero logico rispetto all’oggettività:
-il procedere ingenuo: il pensiero conosce la vera essenza delle cose attraverso la riflessione 
-l’empirismo: la logica non può penetrare la vera realtà delle cose, costringendo il pensatore a cadere nello
scetticismo. 
-la filosofia della fede: Hegel gli da il merito di poter saltare dal pensiero all’essere ma il demerito di farlo attraverso
la fede.
È importante comprendere quanto per Hegel sia importante l’identità tra logica e metafisica, pur contestando molti
degli aspetti metafisici concordati dai suoi predecessori.
La logica Hegeliana viene articolata in tre parti.
Logica dell’essere. Divisa in logica della quantità, della qualità e della misura.
La qualità si articola a sua volta in essere indeterminato, essere determinato ed essere per se. In questo campo il
filosofo prova a differenziare scientificamente le cose, scoprendo che non esiste modo di farlo guardandone solo i
lati oggettivi.
La logica dell’essenza.
Hegel si rende conto che ciò che differenzia un concetto da un altro è l’essenza di esso, ovvero la sua verità.
In questa sezione vengono dunque studiati i diversi modi in cui l’oggetto si manifesta, come riflessione della sua
verità o essenza.
La logica del concetto.
In conclusione la verità non risiede né nell’essere né nell’essenza, ma da qualcosa che comprende entrambi, il
concetto. Nella ricerca dell’idea assoluta il filosofo si rende conto che la verità risiede nella stessa logica e
determinazione di se stesso.
LA FILOSOFIA DELLA NATURA
Il testo fondamentale in cui Hegel espone la propria filosofia nella seconda parte dell’Enciclopedia.
Hegel ammette che la filosofia della natura abbia per presupposto e condizione la fisica empirica, ma questa deve
limitarsi a fornirle il materiale e a fare il lavoro preparatorio, di cui si avvale per mostrare la necessità con la quale le
determinazioni naturali si concatenano a un organismo concettuale. I risultati dell’indagine empirica non fanno testo.
Secondo Hegel la natura è l’idea nella forma dell’essere altro e come tale è essenzialmente esteriorità.
Considerata in sé è divina, ma il modo in cui si manifesta non corrisponde al concetto: essa è quindi contraddizione
insoluta. Il suo carattere proprio è di essere negazione. Essa è la decadenza dell’idea da sé stessa, perché l’idea nella
forma dell’esteriorità è inadeguata a se stessa.
Il passaggio dall’idea alla natura costituisce un rompicapo poiché da un lato il filosofo lo presenta come una caduta
dall’idea e dall’altro il suo potenziamento. In sostanza, sembra che nella natura ci sia qualcosa in più o in meno
dell’idea, ma non si capisce precisamente cosa. 
Il concetto di natura ha una funzione chiave nella dottrina di Hegel, che non è possibile staccare dalla dottrina. Il
principio stesso dell’identità della realtà pone alla dottrina l’obbligo di giustificare e risolvere nella ragione tutti gli
aspetti della realtà. Hegel respinge fuori dalla realtà ciò che è finito (accidentalmente o contingente, legato al tempo
e allo spazio) e la stessa individualità in ciò che ha di proprio e irriducibile e la ragione.
le divisioni fondamentali della filosofia della natura sono:
 la meccanica, che considera l’esteriorità, che è essenza propria della natura, o nella sua astrazione (spazio e
tempo) o nel suo isolamento (materia e movimento) o nella sua libertà di movimento (meccanica assoluta);
 la fisica, che comprende la fisica dell’individualità universale, cioè degli elementi della materia, la fisica
dell’individualità particolare, cioè delle proprietà fondamentali della materia, e la fisica dell’individualità
totale, cioè delle proprietà magnetiche, elettriche e chimiche della materia;
 la fisica organica comprende la natura geologica, la natura vegetale e l’organismo animale
LA FILOSOFIA DELLO SPIRITO
La filosofia dello spirito, che Hegel definisce la conoscenza “più alta e difficile”, consiste nello studio dell’idea che,
dopo essersi  estraniata da sé, sparisce come natura (come esteriorità e spazialità) per farsi soggettività e libertà,
cioè autocreazione  e autoproduzione.
Lo sviluppo dello spirito avviene attraverso 3 momenti principali:
1. lo spirito soggettivo, che è lo spirito individuale nell’insieme delle sue facoltà;
2. lo spirito oggettivo, che è lo spirito sovra-individuale o sociale;
3. lo spirito assoluto, che è lo spirito il quale sa e conosce se stesso nelle forme dell’arte, della religione e della
filosofia.
Anche lo spirito procede per gradi, ma diversamente da quanto accade nella natura, nella quale i gradi sussistono
l’uno accanto all’altro (mondo vegetale e animale), nello spirito ciascuno è compreso e risolto nel grado superiore, il
quale a sua volta, è già presente nel grado inferiore.
LO SPIRITO SOGGETTIVO
Lo spirito soggettivo è considerato nel suo emergere dalla natura, attraverso un processo che va dalle forme più
elementari alle più elevate attività conoscitive. La filosofia dello spirito soggettivo si divide in tre parti:
 L’antropologia studia lo spirito come anima (naturale, senziente o reale), che indica tutti i complessi legami
tra spirito e natura che nell’uomo si manifesta come carattere, temperamento, o le varie disposizioni
psicofisiche connesse alle diverse età o al sesso. Hegel afferma che l’infanzia è il momento in cui l’individuo
si trova in armonia con il mondo; la giovinezza è il momento dell’individuo, con i suoi ideali e le sue
speranze, entra in contrasto con il proprio ambiente; la maturità è il momento in cui l’individuo si riconcilia
con il mondo.
 la fenomenologia studia lo spirito in quanto coscienza, autocoscienza e ragione;
 la psicologia studia lo spirito teoretico, cioè in quelle sue manifestazioni universali che sono il conoscere
dell’esterno, lo spirito pratico, cioè l’agire, e lo spirito libero, cioè il volere.
Il conoscere viene inteso da Hegel come la totalità di quelle determinazioni che costituiscono il processo concreto
attraverso il quale la ragione trova se stesso nel suo contenuto.
L’attività pratica è intesa come l’unità di quelle manifestazioni attraverso le quali lo spirito giunge in possesso di sé e
quindi diviene libero.
Lo spirito libero è quindi la volontà di libertà, divenuta essenziale e costitutiva dello spirito.
LO SPIRITO OGGETTIVO
I momenti dello spirito oggettivo sono:
•IL DIRITTO ASTRATTO: la manifestazione esterna della libertà delle persone, concepite come puri soggetti astratti di
diritto. 
Comprende:
-PROPRIETA’:  quando la persona trova il suo primo compimento in una cosa esterna, che diventa sua
-CONTRATTO:  il reciproco riconoscimento della proprietà tra le persone
-DELITTO: contrario del diritto, ovvero il torto
-PENA: riaffermazione potenziata del diritto che appare come necessità oggettiva del nostro razionale e giuridico
vivere insieme
LA MORALITA’: è la sfera della volontà soggettiva, che si manifesta nell’azione.
Comprende:
-PROPONIMENTO: il soggetto riconosce come proprie azioni che rispondono a un suo deliberato e responsabile
proposito
-INTENZIONE: poiché il proponimento procede da un essere pensante
-BENE E MALE: quando l’intenzione si solleva all’universalità, il fine assoluto della volontà diventa il bene in sé.
Da ciò derivano i LIMITI DELLA MORALE: separazione tra la soggettività che deve realizzare il bene e il bene che deve
essere realizzato, senza una indicazione concreta riguardo a che cosa sia autenticamente il bene.
Questo porta alla contraddizione tra essere e dover essere tipica della morale kantiana
•ETICITA’: è la moralità sociale, ovvero la realizzazione concreta del bene in forme istituzionali. Il termine deriva dal
greco “costume”, “dimora” per cui ogni individuo si trova in un orizzonte storico-culturale che orienta le sue scelte.
In questo senso il bene è concreto e determinato, ovvero fatto di regole di comportamento
Nella modernità costituisce la sintesi tra il diritto astratto e la moralità.
Il rapporto tra coscienza individuale ed eticità porta a:
-attesa di una nuova eticità: un nuovo universo di valori
-oppure al rifugio nella pura interiorità
Dunque la contraddizione tra le aspirazioni interiori e la realtà esteriore costituisce la molla per il progresso dello
spirito.  Le istituzioni sono:
-LA FAMIGLIA: dove il rapporto naturale tra i sessi assume la forma di unità spirituale, fondata su amore e fiducia.
Essa si articola in: matrimonio, patrimonio, educazione dei figli (seconda etica)
-LA SOCIETA’ CIVILE: nasce con la formazione di nuovi nuclei famigliari che porta al sistema atomistico e conflittuale
della società civile e  si identifica con la sfera economico-sociale e giuridico-amministrativa del vivere insieme.    
 Si articola in tre momenti:
 IL SISTEMA DEI BISOGNI: nasce dal fatto che gli individui devono soddisfare le proprie necessità con la
produzione di ricchezza e originano tre classi/ceti:
   _la classe sostanziale degli agricoltori: patrimonio nel terreno
   _la classe formale di artigiani, fabbricanti e commercianti
   _la classe universale dei pubblici funzionari
 AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA: concerne la sfera delle leggi e la loro tutela giuridica e si identifica con
il diritto pubblico
 POLIZIA E CORPORAZIONI: provvedono alla sicurezza nazionale
•LO STATO : è la riaffermazione dell’unità della famiglia al di là della dispersione della società civile. Lo stato sta alla
società civile come l’universale sta al particolare.
Con esso si ha la congiunzione dell’organicità con la consapevolezza soggettiva.
E’ il soggetto del bene e del male, ciò che sostiene le scelte del singolo.
Lo STATO ETICO è l’incarnazione suprema della moralità sociale e del bene comune. Rifiuta il modello liberale,
democratico, contrattualistico e giusnaturalistico.
Hegel ha dunque una CONCEZIONE ORGANICA DELLO STATO: questo non è fondato sugli individui ma sull’idea di
stato stesso ed è lo stato a fondare i cittadini non viceversa.
Lo stato di Hegel non è uno stato dispotico, in quanto a governare non deve essere l’uomo ma le leggi
LA COSTITUZIONE: è l’organizzazione dello stato che non deriva da pianificazione astratta ma deriva necessariamente
dalla vita storica di un popolo.
Identifica la MONARCHIA COSTITUZIONALE MODERNA:  prevede tre poteri distinti:
- Legislativo: concerne le leggi come tali e determinare l’universale
- Governativo: traduce in atto, in riferimento a casi specifici, l’universalità delle leggi e comprende il potere di polizia
operante nella società civile
- Del principe: rappresenta l’incarnazione stessa dell’unità di stato
 Per Hegel la monarchia costituzionale:  rappresenta la costituzione della ragione sviluppata; risolve
organicamente in se stessa le forme classiche di governo; esplicita la divinizzazione dello stato.
Non esiste un organismo superiore in grado di regolare i rapporti interstatali, il solo giudice è la storia, che ha come
suo momento strutturale la guerra.
LA FILOSOFIA DELLA STORIA
Per Hegel la storia del mondo è razionale, infatti la stessa fede religiosa nella provvidenza implica la razionalità della
storia, la quale porta alla forma di un sapere che è determina il fine, i mezzi e i modi della razionalità della storia.
•Il fine della storia del mondo è che lo spirito giunga al sapere di ciò che esso è veramente; questo spirito che si
manifesta e si realizza in un mondo esistente è lo spirito del mondo che si incarna negli spiriti dei popoli che si
succedono all'avanguardia della storia. 
•I mezzi sono gli individui con le loro passioni. Hegel indica che il progresso trova i propri strumenti negli eroi della
storia del mondo: questi sono i veggenti. Gli eroi della storia del mondo sono guidati da un’astuzia della ragione che
si serve degli individui e delle loro passioni come mezzi per attuare i propri fini.
•Il fine ultimo della storia del mondo è la realizzazione della libertà dello spirito che si realizza nello Stato. La storia
del mondo è quindi la successione di forme statali che costituiscono i momenti del divenire assoluto. I tre momenti
sono: il mondo orientale dove uno solo è libero, il mondo greco-romano dove alcuni sono liberi, il mondo germanico
dove tutti gli uomini sanno di essere liberi. 
LO SPIRITO ASSOLUTO E L’ARTE
LO SPIRITO ASSOLUTO: è il momento in cui l’idea giunge alla piena coscienza della propria infinità o assolutezza.
L’arte conosce l’Assoluto nella forma dell’intuizione sensibile, la religione nella forma della rappresentazione e la
filosofia nella forma del puro concetto.
L’ARTE
l’arte rappresenta il primo gradino attraverso cui lo spirito acquista coscienza di se medesimo, tramite essa l’uomo
assume la consapevolezza di sè mediante forme sensibili. Nell’arte lo spirito vive in modo immediato e intuitivo.
Hegel dialettizza la storia dell’arte in tre momenti: l’arte simbolica, caratterizzata dallo squilibrio tra contenuto e
forma, espressioni viventi di questo squilibrio e di questa incapacità sono il ricorso al simbolo e la tendenza allo
sfarzoso e al bizzarro, poi c’è l’arte classica caratterizzata da un armonioso equilibrio tra contenuto spirituale e forma
sensibile ,attuato mediante la figura umana, infine c’è l’arte romantica caratterizzata da un nuovo squilibrio tra
contenuto spirituale e forma sensibile. La forma artistica tipica dell’arte simbolica è l’architettura, nell’arte classica si
privilegia la scultura, l’arte romantica si volge alla pittura. Tutto ciò determina la crisi moderna dell’arte. La morte
dell’arte va interpretata come un’inadeguatezza a esprimere la profonda spiritualità moderna.
LA RELIGIONE
LA RELIGIONE: la religione si manifesta nella forma della rappresentazione, a metà strada tra l’intuizione sensibile
dell’arte e il concetto razionale della filosofia. La rappresentazione procede in modo a-dialettico e l’assoluto è
rappresentato in forma storica. Hegel quando inizia le sue lezioni sulla filosofia della religione propone che la filosofia
della religione riconosce la religione che c’è già. Lo sviluppo della religione è lo sviluppo dell’idea di Dio nella
coscienza umana, in un primo stadio troviamo la religione naturale, in un secondo le religioni naturali che trapassano
in religioni della libertà, nel terzo troviamo le religioni dell’individualità spirituale e nel quarto la religione assoluta.
Secondo Hegel l’unico sbocco coerente della religione è la filosofia, che ne assume e conserva tutti i contenuti
esprimendoli nella razionalità trasparente del concetto. Per Hegel la religione è una forma necessaria della vita dello
spirito. La prassi religiosa va risolta interamente nell’agire politico
LA STORIA DELLA FILOSOFIA
Nella filosofia l’idea giunge alla piena e concettuale coscienza di se medesima, la filosofia è il pensiero di Dio, è la
ragione di Dio, cioè la comprensione che Dio o l’Assoluto ha di se stesso, l’autocoscienza di Dio.
• La filosofia non è nient’altro che l’intera storia della filosofia giunta finalmente a compimento con Hegel.
• Per Hegel la storia della filosofia inizia con la filosofia greca e termina con Fitche e Schelling e si conclude
veramente nella sua stessa filosofia e su questi presupposti Hegel riconosce nel proprio pensiero l’ultima espressione
della filosofia

SCHOPENHAUER
Vicende biografiche:
Arthur Schopenauer nacque a Danzica il 22 febbraio 1788 da padre banchiere e da madre scrittrice.
Nella sua giovinezza viaggiò in Francia in Inghilterra e, dopo la morte del padre, che voleva destinarlo al commercio,
frequentò l’Università di Gottinga, dove ebbe come maestro di filosofia Schulze. Sulla formazione di Schopenhauer
influirono le dottrine di Platone e di Kant. Nel 1811, a Berlino, poté assistere alle lezioni di Fichte e nel 1813 si laureò
a Jena. Negli anni seguenti, Schopenhauer visse a Desdra, dove lavorò alle sue prime opere. Negli anni seguenti sì
abilitò alla libera docenza perso l’Università di Berlino dove tenne i suoi corsi senza alcun grande successo.
L’epidemia di colera nel 1831 lo costrinse a lasciare Berlino e si stabilì a Francoforte, dove rimase fino alla morte, il
21 settembre 1860.
Le opere:
Nel periodo in cui visse a Desdra, si dedicò alla composizione dello scritto “Sulla vista e i colori“ (1816), in difesa delle
dottrine scientifiche di Goethe e preparò per la stampa la sua opera principale, “Il mondo come volontà e
rappresentazione“ (1818).
Dopo essersi stabilito a Francoforte, pubblicò “Sulla volontà nella natura” (1836) e “I due problemi fondamentali
dell’etica“ (1841). L’ultima opera di Schopenhauer, “Parerga e paralipomena” (1851), è di un insieme di trattazioni e
di saggi, alcuni dei quali contribuirono a diffondere la sua filosofia.
Le opere di Schopenhauer non ebbero un successo immediato: il filosofo dovette aspettare più di vent’anni per
pubblicare la seconda edizione de “Il mondo come volontà e rappresentazione“. Il suo indirizzo cupo e apertamente
anti-idealistico, lo rendeva non gradito dai contemporanei; ebbe fortuna solo dopo il 1848, in concomitanza con
l’ondata di pessimismo che colpì l’Europa.
Le radici culturali:
Schopenhauer si pone come punto d’incontro di esperienze filosofiche molto diverse tra loro:
Platone, Kant, Illuminismo, romanticismo, idealismo e spiritualità indiana.
Da Platone Schopenhauer trae soprattutto la teoria delle idee, intese come forme eterne sottratte alla fugacità del
nostro mondo.
Da Kant deriva l’impostazione soggettivistica della gnoseologia.
Dall’Illuminismo riprende il filone materialistico e quello dell’ideologia, da cui deriva la considerazione della vita
psichica e sensoriale in termini di fisiologia del sistema nervoso.
Da Voltaire desume lo spirito ironico e la tendenza demistificatrice nei confronti delle credenze tramandate.
Dal romanticismo, Schopenhauer trae alcuni temi di fondo del suo pensiero, come quello dell’irrazionalismo, la
grande importanza attribuita all’arte e alla musica e soprattutto il tema dell’infinito. Un altro tema romantico è
quello del dolore; tuttavia, mentre sul piano filosofico il romanticismo mostra una tendenza globalmente ottimistica,
Schopenhauer appare decisamente orientato ad una visione pessimistica della realtà.
Il rifiuto dell’idealismo:
Un ruolo di decisiva importanza nella riflessione di Schopenhauer è quello giocato dal pensiero idealistico, che il
filosofo definisce spregiativamente “filosofia delle università“ e la presenta come una filosofia non al servizio della
verità, ma di interessi volgari quali successo il potere, che si propone di giustificare sofisticamente le credenze che
tornano utili alla chiesa allo Stato.
Per questo Hegel viene descritto come un “sicario della verità“ e un “ciarlatano pesante e stucchevole“.
Schopenhauer esprime un’opinione contraria per la filosofia a lui contemporanea e manifesta un’esigenza di libertà
della filosofia.
L’interesse per il pensiero orientale:
Nell’universo spirituale di Schopenhauer, un posto di rilievo spetta alla sapienza dell’antico oriente, alla quale il
filosofo fu avviato da Frederic Mayer. Il rapporto tra Schopenhauer e la tradizione filosofico-religiosa dell’India è
stato molto interpretato e dibattuto dai critici: Vecchiotti, uno dei maggiori studiosi del filosofo, si è dimostrato
decisamente contrario alla tradizionale sopravvalutazione dell’orientalismo di Schopenhauer.
Il suo pensiero sembra essere sostenuto da altri studi, che hanno provato che l’elaborazione del pensiero di
Schopenhauer si sia sviluppata prima del suo incontro con le filosofie dentali, quindi si può parlare di una sintonia più
che di un condizionamento.
Qualunque sia il giudizio, è comunque sicuro che:
 Schopenhauer sia stato il primo filosofo occidentale a tentare il recupero di alcuni
motivi del pensiero dell’estremo oriente;
 Ha desunto da esso un prezioso repertorio di immagini e di espressioni suggestive;
 È stato un ammiratore della sapienza orientale e fautore del successo che tale
sapienza ebbe in Occidente.

Il “velo di Maya“
Il fenomeno:
Il punto di partenza della filosofia di Schopenhauer è la distinzione kantiana a tra “fenomeno“ e “noumeno“, ovvero
tra la “cosa così come ci appare“ e la “cosa in sé“.
Questa distinzione però, non ha molto in comune con quella di Kant: se per quest’ultimo il fenomeno era la realtà, e
il noumeno una sorta di concetto-limite che rammentava all’uomo i limiti della conoscenza, per Schopenhauer il
fenomeno è parvenza, illusione e sogno, ovvero ciò che nell’antica sapienza indiana era detto velo di Maya, mentre il
noumeno è la realtà che si nasconde dietro l’ingannevole fenomeno.
Quindi fin dall’inizio, Schopenhauer riconduce questo concetto non allo spirito del kantismo, ma alla filosofia indiana
e buddista, che l’autore impara dai testi dei Veda e dei Purana.
Inoltre, se per il criticismo il fenomeno è l’oggetto della rappresentazione, in quanto cosa materiale che esiste anche
fuori della conoscenza, il fenomeno di cui parla Schopenhauer è la rappresentazione soggettiva, che esiste solo
dentro la coscienza.
Il filosofo quindi crede di riuscire ad esprimere l’essenza del kantismo con la tesi secondo cui “il mondo è la mia
rappresentazione“.
La rappresentazione ha due aspetti essenziali e inseparabili: da una parte c’è il soggetto rappresentante e dall’altra
l’oggetto rappresentato.
Soggetto e oggetto esistono come elementi imprescindibili della rappresentazione e nessuno dei due precede o può
esistere indipendentemente dall’altro. Quindi se il materialismo è falso perché nega il soggetto riducendolo
all’oggetto, l’idealismo e altrettanto falso, poiché compie il tentativo opposto, negare l’oggetto riducendolo al
soggetto.
Forme a priori della conoscenza:
Sulle orme del criticismo, anche Schopenhauer ritiene che la nostra mente risulti fondata su una serie di forme a
priori. Tuttavia, a differenza di Kant, Schopenhauer ammette solo tre forme a priori: spazio, tempo e casualità.
Quest’ultima è l’unica categoria (Kant ne elencava dodici) sia perché presuppone tutte le altre, sia perché l’oggetto si
identifica completamente nella sua azione casuale sugli altri oggetti.
La casualità:
La casualità assume forme diverse a seconda degli ambiti in cui opera manifestandosi come principio del divenire
(che regola i rapporti tra oggetti naturali), del conoscere (che regola i rapporti tra premesse e conseguenze),
dell’essere (che regole rapporti spazio-temporali e le connessioni aritmetico-geometriche) e dell’agire (che regola le
connessioni tra un’azione e i suoi motivi).
Poiché Schopenhauer ritiene che attraverso le forme a priori la visione delle cose si deforma, considera la
rappresentazione come ingannevole, traendo la conclusione che “la vita è sogno”.
Aldilà del fenomeno, esiste però la realtà, quella vera, riguardo alla quale l’uomo non può fare a meno di
interrogarsi. Infatti, Schopenhauer sostiene che l’uomo è un “animale metafisico“, che è portato a stupirsi della
propria esistenza e a interrogarsi sull’essenza ultima della vita.
Tutto è volontà. La realtà è un’illusione. L’uomo si racconta menzogne per reggere la durezza della vita.
Il mondo per Schopenhauer è la rappresentazione di una volontà di vivere (assoluta).
Noi uomini siamo piccole volontà di vivere prodotte da una volontà di vivere assoluta.
La volontà di vivere vuole vivere e noi siamo piccole volontà di vivere che vogliono produrre la volontà di vivere
assoluta. La volontà di vivere è la grande matrice che produce la realtà fenomenica, la realtà empirica in cui noi
viviamo.
Divisione tra noumeno e fenomeno:
 La realtà in cui viviamo, noi siamo Fenomeno ovvero apparenza
 Il noumeno ovvero la vera realtà è celata dietro il velo di Maya. Solo rompendo il velo di Maya si scopre che al di là
dell’apparenza c’è un noumeno ovvero una volontà di vivere.
COM’È POSSIBILE SQUARCIARE IL VELO DI MAYA?
L’uomo squarcia il velo di Maya spogliando l’uomo di tutti gli orpelli, di tutte le costruzioni non necessarie alla vita.
Cos’è l’uomo naturale allora?
L’uomo naturale è l’uomo spogliato da ideologie.
L’uomo spogliato è voglia di vivere.
L’uomo vuole vivere, l’uomo è slancio di vita.
L’uomo vuole vivere per vivere, perché dietro la voglia di vivere c’è la VOLONTÀ DI VIVEREA ASSOLUTA che produce
la realtà fenomenica, ma dopo averlo squarciato il velo di Maya cade il fenomeno e si scopre la vera essenza, ovvero
la VOLONTÀ DI VIVERE.

Dall’essenza del mio corpo all’essenza del mondo


Quando io vivo il mio corpo cerco di sottrarlo all’approccio fenomenico ovvero all’apparenza, cioè smetto di usare lo
spazio e il tempo.
Per questo si parla di fenomeni al plurale perché spazio e tempo distinguono molteplici cose dell’ambito
fenomenico, ma di noumeno al singolare perché in questo ambito spazio e tempo non operano.
Questo spiega perché una volta scoperta la volontà come essenza noumenica del mio corpo, so anche che tale
essenza non si riferisce solo al mio corpo, ma deve essere l’essenza profonda dell’intera realtà.
Di conseguenza l’io schopenhauriano si qualifica come la coincidenza di coscienza, volontà e corpo.
Molti hanno criticato Schopenhauer per aver fuso corpo e coscienza senza un’adeguata mediazione, altri invece
hanno trovato proprio in questa concezione la valutazione dell’individuo nella sua interezza.
Caratteristiche e manifestazione della volontà di vivere
La volontà primordiale è inconscia.
Il termine volontà, preso in senso metafisico-schopenhaueriano, non significa dunque volontà cosciente, ma indica il
concetto generale di energia.
La volontà non è qui più di quanto non sia là, così come non è oggi più di quanto sia stata ieri o possa essere domani.
È in una quercia come in un milione di querce. La volontà è anche eterna è indistruttibile, ovvero un principio senza
inizio e fine. La volontà si configura anche come una forza libera e cieca, ossia come energia incausata, senza un
perché e senza uno scopo. Quindi la volontà primordiale non ha alcuna meta oltre se stessa.
Secondo Schopenhauer l’unica e infinita volontà di vivere si manifesta nel mondo fenomenico attraverso due fasi:
 Nella prima, la volontà si oggettiva in un sistema di forme immutabili, che egli chiama idee;
 Nella seconda la volontà si oggettiva nei vari individui del mondo naturale, che sono nient’altro che la
moltiplicazione delle idee. Tra gli individui e le idee esiste un rapporto di copia-modello.
Il mondo delle realtà naturali si struttura a propria volta in una serie di gradi disposti in ordine ascendente.
La piramide culmina nell’uomo nel quale la volontà diviene pienamente consapevole.
Il pessimismo
Affermare che l’essere è la manifestazione di una volontà infinita equivale a dire, secondo Schopenhauer, che la vita
è dolore per essenza. Infatti volere significa desiderare e desiderare significa trovarsi in uno stato di tensione per la
mancanza di qualcosa che si vorrebbe avere. Per definizione, il desiderio è assenza, vuoto e indigenza, ossia dolore. E
poiché nell’uomo la volontà e più cosciente, e quindi più “affamata”, che negli altri esseri, proprio l’uomo risulta il
più bisognoso e mancante tra loro, destinato a non trovare un appagamento verace e definitivo:
“Ogni volere scaturisce da bisogno, ossia da mancanza, ossia da sofferenza. A questa dà fine l’appagamento; tuttavia
per desiderio che venga appagato, ne rimangono almeno dieci insoddisfatti; inoltre la brama dura a lungo, le
esigenze vanno all’infinito: l’appagamento è breve e misurato con mano avara. Anzi, la stessa soddisfazione finale è
solo apparente: il desiderio appagato dà tosto luogo a un desiderio nuovo: quello è un errore riconosciuto, questo un
errore non conosciuto ancora. Nessun oggetto del volere, una volta conseguito, può dare un appagamento durevole
{…} bensì rassomiglia soltanto all’elemosina, la quale gettata al mendico prolunga oggi la sua vita per continuare
domani il suo tormento”.
Per di più, ciò che gli uomini chiamano “godimento” (fisico) o “gioia” (psichica) non è altro che una cessazione di
dolore: perché ci sia piacere bisogna per forza che ci sia uno stato precedente di tensione o di dolore (es. il
godimento del bere presuppone la sofferenza della sete).
La stessa cosa non vale per il dolore, che non può affatto essere ridotto, con un puro gioco dialettico di parole, a
cessazione di piacere: un individuo può sperimentare una serie di sofferenze, sena che questi siano preceduti da
altrettanti piaceri, mentre ogni piacere nasce solo come cessazione di qualche preesistente tensione fisica o psichica.
Questo porta a Schopenhauer a considerare come “negativo” il lato umano della felicità: il piacere è solo una
funzione derivata dal dolore, che vive unicamente a spese di esso. Infatti il piacere riesce a vincere il dolore solo a
patto di annullare se stesso, poiché, non appena viene meno lo stato di tensione del desiderio, cessa anche la
possibilità del godimento:
“Che ogni felicità sia di natura negativa soltanto, e non positiva {…} ne abbiamo una prova anche in quello specchio
fedele dell’essenza del mondo e della vita che è l’arte, soprattutto nella poesia. Ogni poesia epica o drammatica può
in ogni caso rappresentare soltanto uno sforzo, un’aspirazione attiva, una lotta per la conquista della felicità, e non è
mai la felicità stessa durevole e compiuta. Essa conduce il suo eroe attraverso mille difficoltà e pericoli sino alla meta:
non appena questa è raggiunta, subito lascia cadere il sipario. Null’altro, infatti, le resterebbe, se non mostrare la
luminosa meta, nella quale l’eroe sognava di trovare la felicità, ha beffato anche lui, di modo che, quando l’ha
raggiunta, egli non si trova meglio di prima.”
Accanto al dolore, che è una realtà durevole, e al piacere, che invece è qualcosa di momentaneo, Schopenhauer
pone, come terza situazione di base dell’esistenza umana, la noia, la quale subentra quando viene meno l’aculeo del
desiderio.
La vita umana, conclude Schopenhauer, è come un pendolo che oscilla in maniera incessante tra il dolore e la noia,
passando attraverso l’intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia.
LA SOFFERENZA UNIVERSALE
Poiché la volontà di vivere, che è tensione perennemente insoddisfatta che si rinnova sempre, si manifesta in tutte le
cose sotto forma di una vera e propria Sehnscucht (desiderio inappagato), cosmica, il dolore non riguarda soltanto
l’uomo, ma investe ogni creatura. Tutto soffre: dal fiore che appassisce per mancanza d’acqua all’animale ferito ecc…
E se nell’uomo, in cui si riassume e si potenzia il male del mondo, soffre di più rispetto alle altre creature, è
semplicemente perché egli, avendo maggior consapevolezza, è destinato a sentire in modo più accentuato la spinta
della volontà e a patire maggiormente l’insoddisfazione dei propri desideri e l’offesa dei dolori.
In tal modo il filosofo perviene a una delle più radicali forme di pessimismo cosmico, o metafisico, di tutta la storia
del pensiero e afferma che il male non è solo nel mondo, ma nel principio stessi da cui esso dipende.
Espressione di un tale dolore universale non è solo l’anelito frustato della volontà, ma che la lotta crudele di tutte le
cose. Secondo Schopenhauer, infatti, dietro le celebrate “meraviglie” del creato si cela un “arena di esseri tormentati
e angosciati, i quali esistono solo al patto di divorarsi l’un l’altro. Uno degli esempi più paradossali ed espressivi di
tale auto-lacerazione dell’unica volontà in una molteplicità conflittuale di parti e di individui reciprocamente
ostili. Secondo Schopenhauer l’unico fine della natura sembra infatti essere quello di perpetuare la vita, e, con la vita,
il dolore.
L’ILLUSIONE DELL’AMORE
Il fatto che alla natura interessi solo la sopravvivenza della specie trova una sua manifestazione emblematica
nell’amore, fenomeno che Schopenhauer ritiene basilare per l’individui e di cui la filosofia deve quindi occuparsi.
Infatti l’amore, che “si impadronisce della metà delle forze e dei pensieri dell’umanità più giovane”, è uno dei più
forti stimoli dell’esistenza.
Il fine dell’amore, o con lo scopo per cui esso è voluto dalla natura, è solo l’accoppiamento (ed è per questo che
l’atto sessuale è accompagnato da un particolare piacere). Ma se dietro il fascino di un bel volto c’è in verità un
nascosto desiderio sessuale, che, con l’innamoramento, si traduce nel ciclo accoppiamento-procreazione, vuol dire
che l’individuo, proprio nel momento in cui crede di realizzare maggiormente il proprio godimento e la
propria personalità, è in realtà lo “zimbello” della natura.
La manifestazione di tale “essenza biologica” dell’amore sono, per Schopenhauer, il caso limite della mantide
femmina (che divora il maschio dopo l’unione sessuale) e la triste constatazione del fatto che la donna, dopo aver
adempito alla procreazione e all’allevamento dei figli, perde ben presto bellezza e attrattive.
Se l’amore è un puro strumento per perpetuare la vita della specie, allora non c’è amore senza sessualità. Tant’è
vero che, in passi di sapore pre-freudiano e pre-psicoanalitico, Schopehauer scrive: “ogni innamoramento, per
quanto etereo voglia apparire, affonda sempre le sue radici nell’istinto sessuale”.
È per questo insieme di ragioni che l’amore procreativo viene inconsapevolmente avvertito come “peccato” e
“vergogna”. In modo aforistico, Schopenhauer afferma che l’amore è nient’altro che “due infelicità che si incontrano,
due infelicità che si scambiano e una terza infelicità che si prepara”: per questo l’unico amore di cui si può tessere
l’elogio non è quello generativo dall’èros, ma quello disinteressato della pietà”.
LA CRITICA ALLE VARIE FORME DI OTTIMISMO
Uno degli aspetti più interessanti della filosofia di Schopenhauer è la critica mossa alle varie “ideologie” con cui gli
uomini tentano di celare a se stessi i dati negativi del vivere e, in generale, la cruda realtà del mondo.
Sebbene Schopenhauer non vi dedichi delle vere e proprie opere, spunti di critiche e ideologie sono disseminati in
tutti i suoi libri, poiché egli fa della tecnica dello “smascheramento” uno degli aspetti principali del suo filosofare, e in
questo senso può venir considerato tra i “maestri del sospetto” della cultura moderna, accanto a pensatori come
Marx, Nietzsche e Freud.
In particolare il filosofo “sbugiarda” la filosofia accademica di Stato, affermando che chi ci viene pagato per pensare
non può certo filosofare liberamente, ma deve riflettere rispettando le idee e i pregiudizi di chi lo paga; polemizza
contro gli intellettuali “inseriti” e contro le loro occulte ambizioni di denaro, di potere e di gloria; smaschera i luoghi
comuni della razionalità dell’essere e della felicità dell’esistenza umana e mette a nudo la falsità di ogni
forma di ottimismo (metafisico, sociale e storico).
IL RIFIUTO DELL’OTTIMISMO COSMICO:
La polemica di Schopenhauer contro le ideologie trova uno dei propri bersagli preferiti in quell’ottimismo cosmico
che circolava in buona parte delle filosofie e delle religioni occidentali dell’epoca, ossia in quello schema di pensiero
che interpretava il mondo come un organismo perfetto. Per Schopenhauer, questa visione, pur essendo
indubbiamente “consolatrice”, risulta palesemente falsa, poiché la vita è un’esplosione di forze sostanzialmente
irrazionali e il mondo è il teatro dell’illogicità e della sopraffazione.

L’ATEISMO FILOSOFICO:
Contestando le religioni, che egli definisce “metafisiche per il popolo” e i sistemi teistici (il termine “teismo” indica
una teoria filosofica che implica l’esistenza di Dio), Schopenhauer perviene ad abbozzare le linee di un ateismo
filosofico, che sarà ripreso in forma originale da Nietzsche.
IL RIFIUTO DELL’OTTIMISMO SOCIALE:
Un’altra “menzogna” contro cui Schopenhauer si scaglia di frequente è la tesi della bontà e della socievolezza
dell’uomo. Se non si vuole continuare a confondere le proprie illusioni di adolescenti con la realtà, si deve
infatti ammettere, secondo il filosofo, che la regola dei rapporti umani è sostanzialmente costituita dal conflitto e dal
tentativo di sopraffazione reciproca. Di conseguenza, se gli uomini vivono insieme non è tanto per simpatia ma
soprattutto per bisogno. E se esistono lo Stato e le sue leggi, non è certo per rispondere a un’umana
esigenza di eticità ma solo perché l’uomo possa difendersi e regolamentare gli istinti aggressivi degli individui.
IL PESSIMISMO COME VIA VERSO LA PIETÁ:
Questa tesi di Schopenhauer hanno fatto sì che il suo pensiero fosse accusato di “misantropismo”. In realtà, come
vedremo, il pessimismo antropologico e sociale è finalizzato, nel suo sistema, a favorire la via etica della pietà. Infatti
solo chi ha la sensibilità di avvertire che i rapporti umani si costituiscono per lo più nell’orizzonte dell’ingiustizia può
sentire il desiderio di seminare e curare quei “fiori dell’eccezione” che sono la giustizia e l’amore.
IL RIFIUTO DELL’OTTIMISMO STORICO:
Un altro aspetto della dottrina di Schopenhauer, che lo contrappone radicalmente non soltanto all’idealismo
romantico e alla maggioranza dei suoi contemporanei, ma anche all’intera cultura dell’Ottocento, è la polemica
contro ogni forma di storicismo. Il pensatore tedesco Max Scheler rilevò che, in un’epoca in cui la fiducia nel
progresso illimitato dell’uomo aveva assunto gli aspetti dell’idealismo, del materialismo storico e dell’evoluzione
positivistico, solo Schopenhauer aveva osato contrapporsi ai “dogmi” storicistici.
I LIMITI DELLA CONOSCENZA STORICA E L’IMMUTABILITÁ DELL’UOMO:
Inizialmente, Schopenhauer ridimensiona fortemente la portata conoscitiva della storia, affermando che essa non è
una vera e propria scienza, in quanto è costretta a limitarsi alla catalogazione dell’individuale. Secondo
Schopenhauer il destino dell’uomo presenta, nei suoi caratteri essenziali (nascita, sofferenza, morte), dei tratti
immutabili.
LA STORIA COME PRESA DI COSCIENZA DEL PROPRIO DESTINO:
Se, come ritiene Schopenhauer, la storia è solo il fatale ripetersi di un medesimo dramma, allora è necessario
spogliare la disciplina storica della sua pretesa di rilevarci il “diverso” e il “progressivo”, e prendere coscienza del
fatto che l’umanità si trova nel medesimo e perpetuo stato di dolore, e spera di metterlo a tacere inseguendo un
mutamento e un progresso illusori. L’autentico compito della storia sarà pertanto quello di offrire all’uomo la
coscienza di sé e del proprio destino.
Le vie della liberazione dal dolore 
Da quanto si è detto emerge chiaramente come per Schopenhauer la vita sia sostanzialmente dolore, al di là di
qualsiasi apparenza ingannevole. Facendo proprie le sentenze pessimistiche dei saggi dell’Oriente, Schopenhauer
giunge ad affermare che l’esistenza, proprio in virtù del dolore che la costituisce, risulta una cosa tale
che si impara poco per volta a non volerla. Si potrebbe pensare che questo sistema metta a capo una “filosofia del
suicidio universale”. Invece il filosofo rifiuta e condanna il suicidio per due motivi:
1. perché il suicidio è un atto di forte affermazione della volontà stessa, in quanto il suicida “vuole la vita ed è solo
malcontento delle  condizioni che gli sono toccate”
2. perché il suicidio sopprime soltanto una manifestazione fenomenica della volontà di vivere, la quale, pur morendo
in un individuo, rinasce in mille altri
Pertanto, secondo Schopenhauer, la vera risposta al dolore del mondo non consiste nell’eliminazione, tramite il
suicidio, di una vita, ma nella liberazione della stessa volontà di vivere. Pertanto, più che soffermarsi su di una
giustificazione teorica di questo passaggio chiave del suo pensiero , Schopenhauer preferisce richiamare l’attenzione
sull’esistenza di individui eccezionali che in tutti i tempi hanno intrapreso il cammino della liberazione di se
stessi dalla volontà di vivere e dalla tirannia, a essa connessa, dei bisogni e dell’egoismo. Il filosofo intende che è con
la presa di coscienza del dolore e con il disinganno di fronte alle illusioni dell’esistere che prende avvio il cammino di
liberazione dell’individuo.
Schopenhauer articola l’iter di salvezza dell’uomo in 3 momenti: 
 Arte  Morale   Ascesi 
Arte
L’arte è conoscenza libera e disinteressata, che si rivolge alle idee, ossia alle forme pure delle cose: nell’arte, ad
esempio, questo amore, Questa afflizione e questa guerra divengono l’amore, l’afflizione e la guerra. Analogamente
il soggetto che contempla le idee, non è più l’individuo naturale particolare, sottoposto alle esigenze pratiche della
volontà, ma il puro soggetto del conoscere, il puro occhio del mondo.
L’arte sottrae l’individuo alla catena infinita dei bisogni e dei desideri quotidiani, ecco perché, secondo
Schopenhauer, l’arte è catartica per essenza: grazie a essa l’uomo, più che vivere, contempla la vita, elevandosi al
di sopra della volontà, del dolore e del tempo. Ai diversi gradi di manifestazione della volontà, le varie arti si possono
ordinare gerarchicamente: esse vanno dall’architettura, che corrisponde al livello più basso, fino alla scultura alla
pittura e alla poesia. Tra le arti spicca la tragedia, che costituisce l’autorappresentazione del dramma della vita.
Un posto se occupa invece la musica, poiché si pone come immediata rivelazione della volontà a se stessa.
Schopenhauer afferma che la musica si configura come l’arte più profonda e universale, come una vera e propria
“metafisica in suoni”, capace di metterci in contatto con le radici stesse della vita dell’essere. La funzione liberatrice
dell’arte è pur sempre temporanea e ha i caratteri di un gioco effimero, o di una breve incantesimo. L’arte
costituisce dunque un confronto alla vita, ma il cammino della autentica redenzione richiede altri sentieri.
L’etica della pietà
A differenza della contemplazione estetica, la morale implica un impegno nel mondo a favore del prossimo. L’etica
costituisce infatti un tentativo di superare l’egoismo e di vincere quella lotta incessante degli individui che
rappresenta una delle maggiori fonti di dolore per l’uomo. Schopenhauer sostiene che l’etica non sgorga da un
imperativo categorico dettato dalla ragione, bensì da un’esperienza vissuta, ovvero da un sentimento di pietà,
attraverso cui avvertiamo come nostre le sofferenze degli altri. Non basta sapere che la vita è dolore e che
tutti soffrono: bisogna sentire e realizzare questa verità nel profondo del nostro essere.
Pertanto è la moralità a produrre la conoscenza.
La morale si concretizza in due virtù cardinali: la giustizia e la carità:
 la giustizia, che un primo freno all’egoismo, ha un carattere negativo, poiché consiste nel non fare il male e
nell’essere disposti a riconoscere agli altri ciò che siamo pronti a riconoscere noi stessi; 
  la carità si identifica con la volontà positiva e negativa di fare del bene al prossimo. 
L’ascesi
La morale rimane pur sempre all’interno della vita e presuppone un qualche attaccamento a essa. Per questo
Schopenhauer non si accontenta di approfondire l’esperienza della pietà, ma persegue una liberazione totale non
solo dall’egoismo e dall’ingiustizia, ma della stessa volontà di vivere. Questa liberazione si raggiunge con l’ascesi.
L’ascesi è l’esperienza attraverso la quale l’individuo, cessando di volere la vita e il volere stesso, si propone di
estirpare il proprio desiderio di esistere, di godere e di volere.
Il primo gradino  dell’ascesi è costituito dalla castità perfetta, che libera dalla prima e fondamentale manifestazione
della volontà di vivere. La rinuncia ai piaceri, l’umiltà, il digiuno, la povertà, il sacrificio e l’auto-macerazione, tendono
tutte al medesimo scopo, che quello di sciogliere la volontà di vivere delle proprie catene. La soppressione della
volontà di vivere, di cui l’ascesi rappresenta la tecnica, è l’unico vero atto di libertà che sia possibile all’uomo.
La coscienza del dolore come essenza del mondo non è un “motivo”, ma un “quietivo” del volere, capace di vincere il
carattere stesso dell’individuo e le sue tendenze naturali. Quando succede ciò, l’uomo diviene finalmente libero, si
rigenera ed entra in quello stato che i cristiani chiamano di grazia .
Mentre nei mistici del Cristianesimo l’ascesi si conclude con l’estasi, nel misticismo ateo di Schopenhauer il cammino
verso la salvezza mette capo al nirvana buddista, ovvero all’esperienza del nulla: un nulla che, secondo quanto
insegnano i testi e i maestri dell’Oriente, non è il niente, bensì un nulla relativo al mondo, cioè una negazione del
mondo stesso. 
 Secondo un punto di vista molto diffuso tra i critici, la teoria “orientalistica” dell’ascesi costituisce la parte
più debole e contraddittoria del sistema di Schopenhauer. Infatti come si può coerentemente ritenere che la
volontà, la cui essenza è appunto il volere, a un certo momento non voglia più se stessa? O il fatto che
Schopenhauer non si sia sentito personalmente deciso a intraprendere la via dell’ascesi non priva la sua
filosofia della testimonianza viva del suo autore, dando l’impressione della “non sincerità” del suo
pessimismo? Queste critiche non devono tuttavia far perdere di vista né la sua denuncia della realtà del
dolore, né la  profondità di molte sue analisi, coincidenti con le voci più alte della sapienza di tutti i tempi.

KIERKEGAARD
Le vicende biografiche e le opere
Kierkegaard nacque in Danimarca, a Copenaghen, Il 5 maggio 1813. Influenzato dal padre si iscrisse alla facoltà di
teologia di Copenaghen, presso la quale dominava l’ispirazione di Hegel. Circa 10 anni dopo il suo ingresso in
università, si laureò con una dissertazione intitolata Sul concetto dell'ironia con particolare riguardo a Socrate, che
pubblico l'anno seguente. Ma non intraprese la carriera di Pastore alla quale la sua laurea lo adibiva.
Nel 1841-1842 si recò a Berlino e ascoltò le lezioni di Schelling, che insegnava la propria filosofia, fondata sulla
distinzione radicale tra realtà e religione. Il filosofo se in un primo momento entusiasta del pensiero di Schelling ne
fu presto deluso. 
Morì l’11 novembre 1855. 
Alcuni episodi della sua vita, di cui egli stesso ci offre una testimonianza nel suo Diario,  ebbero nelle sue opere una
risonanza profonda e apparentemente sproporzionata rispetto alla loro reale entità. 
Le principali opere del filosofo danese sono: 
Sul concetto dell'ironia con particolare riguardo a Socrate (1841) 
Timore e tremore (1843)
La ripresa (1843)
Briciole di filosofia (1844)
Il concetto dell'angoscia (1844)
La malattia mortale (1849)
Utili, per la comprensione del suo pensiero, sono infine le Carte, pubblicate postume.

L’esistenza come possibilità e fede


L’opera di Kierkegaard non può essere ridotta ad una polemica contro l’idealismo romantico. Sta di fatto, però, che
molti dei suoi temi si pongono in netta contrapposizione con l’idealismo.
La filosofia di Kierkegaard è basata sulla possibilità, una categoria dell’esistenza umana. Già Kant aveva riconosciuto
una possibilità, di cui egli aveva messo in luce l’aspetto positivo. Kierkegaard, invece, scopre e mette in luce il
carattere negativo di ogni possibilità che entri a costituire l’esistenza umana.
Ogni possibilità è infatti “possibilità-che-sì” ma anche “possibilità-che-non”, tant’è vero che il filosofo considera la
sua esistenza personale come al “punto zero”. Il punto zero è l’indecisione permanente, l’equilibrio instabile tra le
opposte alternative che si aprono di fronte ad ogni possibilità: l’uomo è sempre davanti ad un baratro, ogni istante
della vita è una scelta. 
Un’altra caratteristica del suo pensiero è lo sforzo costante di chiarire le possibilità fondamentali che si offrono
all’uomo, ovvero quei momenti o stadi della vita che costituiscono le alternative fondamentali dell’esistenza, dove
l’individuo è indotto a scegliere. 
Il terzo elemento portante del pensiero di Kierkegaard è il tema della fede e in particolare del cristianesimo, l’unica
religione in cui il filosofo intravede un’ancora di salvezza, unica via che sottrae l’uomo all’angoscia e alla
disperazione. 

La critica all'hegelismo
Kierkegaard propone la sua concezione dell’esistenza partendo dalla critica all’hegelismo. A Hegel, Kierkegaard
critica principalmente tre concetti: 
 l’esistenza subordinata all’essenza: Hegel, nella sua filosofia, sostiene che l’esistenza è subordinata
all’essenza in quanto il reale si fa razionale e quindi il finito si fa infinito e Assoluto. Per Kierkegaard, invece,
l’esistenza non può essere subordinata all'essenza in quanto l’essenza è solo concettuale, un processo
gnoseologico di astrazione della mente umana, mentre ciò che esiste è l’esistenza individuale. 
 la dialettica hegeliana et...et: Hegel sviluppa la sua filosofia intorno al rapporto dialettico tesi, antitesi e
sintesi, intendendo la sintesi come un superamento dell’antitesi in cui i primi due momenti vengono
conciliati e portati alla migliore espressione (et...et = sia…sia = sia antitesi che tesi). A ciò Kierkegaard oppone
la dialettica dell’aut...aut, ovvero della vita come possibilità di scelta, in quanto l’individuo è libero di
scegliere tra le alternative che sono inconciliabili tra loro. 
 l’esistenza come necessità: nella concezione filosofica hegeliana trionfa la necessità, in quanto tutto avviene
secondo un ordine razionale stabilito dall’Assoluto e non può essere altrimenti. A questo Kierkegaard
oppone l’esistenza come possibilità, ovvero come possibilità di scelta tra quelle che inevitabilmente
incontriamo nella vita; infatti l’uomo non è quello che è ma quel che sceglie di essere.

STADI DELL’ESISTENZA
Ogni stadio forma una vita se, con le sue opposizioni interne, si presenta all'uomo come un'alternativa che esclude
l'altra.
Il filosofo considera come i primi due fondamentali stadi dell'esistenza: la vita estetica e vita morale.
Lo stadio estetico è la forma di vita di chi esiste nell'attimo, fuggevolissimo e irripetibile.
L'esteta è colui che vive poeticamente, cioè nutrendosi di immaginazione e riflessione insieme. Dotato di un senso
finissimo per scoprire quanto l'esistenza offre di più interessante, egli si rapporta alle diverse situazioni della vita
concreta come se fosse il frutto dell'immaginazione poetica, costruendo per sé stesso un mondo luminoso, dal quale
bandisce tutto ciò che è banale, insignificante meschino e nel quale vive in uno stato di permanente ebbrezza
intellettuale. 
La vita estetica non tollera la ripetizione che contraddistingue la quotidianità di una vita regolare.
Per rappresentare nella sua  pienezza lo stadio estetico dell'esistenza, il filosofo  tratteggia la figura di Johannes, il
protagonista del Diario di un seduttore il quale sa trarre  godimento non dalla ricerca sfrenata indiscriminata del
piacere, ma dalla scelta dei piaceri più intensi e appaganti.
La vita estetica rivela tuttavia la propria inadeguatezza, conducendo necessariamente alla noia e in ultimo alla
disperazione. Tale disperazione è il sintomo dell'ansia dell'esteta per una vita diversa, per la possibilità di
un'alternativa esistenziale differente.  
Non a caso Kierkegaard spiega che il numero eccezionalmente alto delle conquiste del protagonista si spiega con la
sua insoddisfazione per ogni relazione.
Ciò non dipende dall’inadeguatezza delle varie amanti, ma dall'incapacità di Dongiovanni di trovare nella donna, in
una donna, quella infinità di piacere di realizzazione che sta cercando.

Con la scelta della disperazione nasce dunque la vita etica, la quale implica una stabilità e una continuità che la vita
estetica escludeva.
Lo stadio etico è il dominio della riaffermazione di sé, del dovere della fedeltà a se stessi, ovvero il dominio della
libertà.
Così come la vita estetica incarnata dal seduttore, la vita Etica è rappresentata dalla figura del marito.
Il matrimonio per Kierkegaard e l'espressione tipica delle eticità.
Una persona etica vive del proprio lavoro, esso costituisce la sua vocazione e l'individuo che sceglie la vita etica
lavora con piacere.
La caratteristica della vita Etica è costituita dalla scelta che l'uomo fa di se stesso: si tratta di una scelta assoluta,
perché non è la scelta di una determinazione finita, bensì la scelta della Libertà, cioè in fondo, della scelta stessa.
L'individuo non può rinunciare neanche agli aspetti della vita più dolorosi e crudeli, e nel riconoscersi in questi
aspetti, egli si pente. Il pentimento costituisce l'ultima parola una vita etica, la parola per cui lo stadio etico rivela la
propria insufficienza nascita di passare al dominio della religione.

LA VITA RELIGIOSA
Così come non c'è continuità tra lo stadio estetico e lo stadio etico allo stesso modo non c'è continuità tra lo stadio
etico e lo stadio religioso, anzi c'è un abisso ovvero in opposizione ancora più radicale che il filosofo chiarisce in
Timore e Tremore rifacendosi al personaggio biblico di Abramo e alla sua vicenda.
Il Sacrificio di Isacco non è suggerito ad Abramo da una qualche esigenza morale ma da un comando Divino che
contrasta la legge morale e gli affetti naturali, l'affermazione del principio religioso sospende interamente l’azione
del principio morale.
Optando per il principio religioso, l'uomo di fede sceglie di seguire i comandamenti divini anche a costo di infrangere
le norme morali e giungere così a una rottura totale con tutti gli altri uomini.  
La fede non è un principio generale un rapporto privato tra l'uomo e Dio un rapporto Assoluto con l'assoluto essa è il
dominio della solitudine.
Da tutto ciò deriva il carattere incerto e rischioso della vita religiosa.
La Fede è appunto certezza angosciosa, angoscia che si rende certa di sé e di un rapporto nascosto con Dio.
La Fede è paradosso e scandalo il cui segno è lo stesso Cristo il quale si deve riconoscere come Dio mentre muore e
soffre come un misero uomo.
Kierkegaard è dunque convinto che la religione cristiana livelli la canzone della vita dell'uomo.

L’ANGOSCIA 
Dopo aver delineato gli stadi fondamentali della vita, Kierkegaard approfondisce la propria ricerca e giunge 
al motivo per cui quelle alternative e quei contrasti si originano, ovvero all’esistenza come possibilità.
Nelle sue due opere fondamentali, Il concetto dell’angoscia e La malattia mortale, il filosofo analizza la situazione di
radicale incertezza, instabilità e dubbio in cui l’uomo si trova, ovvero a causa della natura problematica del modo di
essere che gli è proprio:
-nel Concetto dell’angoscia tale analisi assume il punto di vista dei rapporti dell’uomo con il mondo;
-nella Malattia mortale tale analisi assume il punto di vista della relazione dell’uomo con se stesso.
L’angoscia di cui parla Kierkegaard è la condizione generata nell’uomo dal possibile che lo costituisce.
Essa è a fondamento del peccato originale: 
Adamo è “innocente” finché resta “ignorante”, cioè finché non conosce le proprie infinite possibilità; ma tale
ignoranza contiene in sé l’elemento che determinerà la caduta, ovvero il niente, ed è proprio questo niente a
generare l’angoscia. A differenza della paura, l’angoscia non si riferisce a nulla di preciso. Essa è il puro sentimento
della possibilità. Per cui nell'ignoranza di ciò che può, Adamo possiede il proprio potere nella forma della pura
possibilità, e l’esperienza vissuta di questa possibilità è l’angoscia. Quest’ultima ,dunque, è libertà finita, cioè
limitata, che si identifica con il sentimento della possibilità.
La connessione dell’angoscia con il possibile si rivela nella connessione del possibile con l’avvenire.
Il possibile, infatti, corrispondente all’avvenire:
il passato genera angoscia solo nel caso in cui si presenti come possibile futuro, ovvero come possibilità di
ripetizione, giacché diversamente genererebbe pentimento; quindi l’angoscia è legata a ciò che non è ma può
essere, alla possibilità del nulla (o possibilità nullificante).
L’angoscia è strettamente legata alla condizione umana: se l’uomo fosse angelo, o bestia, non la conoscerebbe; essa,
infatti, è presente in grado minore in quei momenti in cui l’uomo si rende simile agli animali ( es. condizione di
estrema felicità), ma anche lì , seppure mascherata, c’è sempre. L’angoscia è dunque la più gravosa e al tempo
stesso la più necessaria tra le categorie umane. Difatti le parole più terribili pronunciate da Cristo, che hanno
impressionato Lutero, furono quelle rivolte a Giuda: “ciò che tu fai, affrettalo!”, poiché rappresentano l’autentica
angoscia per ciò che può accadere; e solo in questo caso si rivela l’umanità del Figlio di Dio, perché umanità significa
angoscia.
Kierkegaard collega l’angoscia al principio dell’infinità del possibile (“nel possibile, tutto è possibile”) ,anche, il
negativo. Per questo ogni possibilità favorevole è spesso annientata dall’infinito numero delle possibilità
sfavorevoli. È quindi l’infinità delle possibilità a rendere l’angoscia insuperabile, e a farne la condizione
fondamentale dell’uomo nel mondo. L’onnipotenza della possibilità induce l’individuo a “riposare nella
provvidenza”.

DISPERAZIONE E FEDE
Se l’angoscia è la condizione in cui il possibile pone l’uomo rispetto al mondo, la disperazione è la condizione in cui il
possibile pone l’uomo rispetto alla sua interiorità, al suo io. Essa è inerente alla personalità stessa dell’uomo, al
rapporto in cui l’io si pone con se stesso e alla possibilità di questo rapporto. Disperazione e angoscia sono legate ma
non identiche: entrambe sono fondate sulla struttura problematica dell’esistenza umana.
La disperazione è strettamente legata alla natura dell’io. Così come può volere l’io può anche non volere essere se
stesso. Se vuole essere se stesso non giungerà mai all’equilibrio e al riposo poiché è finito e quindi insufficiente a se
stesso. Ma anche se non vuole essere se stesso e cerca di rompere il proprio rapporto con sé, urta contro
un’impossibilità dal momento che tale rapporto gli è costitutivo.
La disperazione è la caratteristica di entrambe queste alternative. Essa perciò è quella che Kierkegaard chiama
“malattia mortale”, non perché porta alla morte dell’io ma perché consiste nel vivere la morte dell’io: essa è il
tentativo di negare la possibilità dell’io, o considerandolo autosufficiente nel caso in cui voglia essere se stesso, o
cercando di distruggerne la natura nel caso in cui non voglia  essere se stesso.
Siccome l’io è sintesi di necessità e libertà in esso la disperazione nasce da una mancanza di necessità o da una
mancanza di libertà.
Nel caso in cui la disperazione nasca dalla mancanza di necessità, l’io fuggirà verso infinite possibilità che non
diventano mai concrete facendo dell’individuo un miraggio. E’ come se tutto fosse possibile e quindi l’io venga
ingoiato dall’abisso di tutte queste opzioni.
Nel caso, invece, in cui la disperazione nasca da una mancanza di libertà la possibilità è l’unico rimedio. Ad esempio,
se un uomo disperato rimanesse senza possibilità sarebbe come se gli mancasse l’aria. Talvolta anche solo la capacità
della nostra fantasia può compensare la necessità di una possibilità.
Secondo Kierkegaard solo il credente possiede l’antidoto contro la disperazione. 
La fede è quindi la via per eliminare la disperazione; essa è la condizione per cui l’uomo pur orientandosi verso se
stesso e volendo essere se stesso non si illude di essere autosufficiente ma riconosce la propria dipendenza da Dio.
In questo rapporto apparentemente contraddittorio del singolo con l’assoluto, secondo Kierkegaard consiste lo
“scandalo” del cristianesimo che niente può eliminare o diminuire.
La fede sostituisce alla disperazione la speranza e la fiducia in Dio, che è un elemento fondamentale a cui l’uomo si
aggrappa sapendo di non essere solo, esso tuttavia è un aiuto che non aiuta. Con ciò si intende il fatto che la fede
non si configura come un cammino prestabilito e quindi non esonera l’uomo dal prendere una scelta. In ciò sta la
differenza tra valori morali e valori religiosi. Quelli morali obbligano l’uomo ad adeguarsi ai costumi e alla mentalità
più comune mentre quelli religiosi sono liberi e liberanti.
La fede, quindi, porta l’uomo al di là della ragione e di ogni forma di comprensione. Tutte le categorie del pensiero
religioso sono impensabili, ad esempio è impensabile l’idea di un dio che si fa carne e muore per gli uomini.

L’ETERNO NEL TEMPO


Il rapporto tra uomo e Dio non si verifica nella storia ma nell’attimo inteso come una subitanea (manifestazione
che avviene con grande rapidità) inserzione della verità divina nella vita dell’uomo.
Anche in questo senso il cristianesimo è paradosso e scandalo, poiché se il rapporto tra uomo e Dio si verifica
nell’attimo, ciò vuol dire che l’uomo per suo conto vive nella non verità e il peccato costituisce la conoscenza di
questa condizione.
Kierkegaard contrappone perciò il cristianesimo al socratismo secondo cui, l’uomo vive nella verità ma deve
soltanto renderla esplicita, cioè tirarla fuori da se stesso. Secondo la concezione socratica, infatti, in ognuno di noi è
contenuta la verità, donataci da Dio, e sta a noi farla pervenire alla conoscenza, il maestro così non è più la figura
che insegna ma che aiuta il processo di esplicitazione della verità, per questo motivo Socrate non si definiva maestro
e affermava di non insegnare nulla.
Secondo il punto di vista cristiano, invece, poiché l’uomo è la non verità, si tratta di ricreare l’uomo, di farlo
rinascere per renderlo adatto ad una verità che gli proviene da fuori. Il maestro, in questa concezione, è un
salvatore, un redentore che determina la nascita di un uomo nuovo, capace di accogliere nell’attimo la verità di Dio.
Dio rimane quindi al di fuori della ricerca umana e perciò l’unica definizione che gli si può dare è quella di differenza
assoluta. E’ una definizione apparente, perchè una differenza assoluta non può essere pensata, e ciò significa che
l’uomo non è dio, non è la non verità ma è il peccato.
Nell’attimo dunque si realizza il paradosso del cristianesimo, cioè la venuta di Dio nel mondo. In questo senso
soltanto il cristianesimo è un fatto storico.

EREDITÀ’ KIERKEGAARDIANE
La filosofia di Kierkegaard costituisce il tentativo di fondare la validità della religione sulla struttura dell’esistenza
umana. Secondo Kierkegaard la religione non è una visione razionale del mondo ma la via della salvezza  cioè l’unico
modo di sottrarsi all’angoscia e alla disperazione. Questo aspetto della filosofia di Kierkegaard costituisce il perno del
ritorno al suo pensiero nella riflessione contemporanea.
Egli attraverso i concetti di possibilità, scelta e altri ha offerto all'indagine filosofica una serie di strumenti teorici.
Egli ha insistito sul fatto che la filosofia non costituisce un sapere oggettivo ma un atteggiarsi o un progettarsi
dell’intera esistenza umana e quindi un impegno in tale progettazione.
E questa dimensione sarà propria di tutte le correnti dell’esistenzialismo contemporaneo.

FEUERBACH
“SIAMO Ciò CHE MANGIAMO”: opera del 1862. L’obiettivo di Feuerbach è quello di sostenere un
materialismo radicale e anti- idealistico. A tal punto da portarlo a sostenere che noi coincidiamo
precisamente con ciò che ingeriamo. Nella sua affermazione risuonano richiami etico- politici. Feuerbach
insiste sulla necessità di risolvere gli urgenti problemi dell’epoca concernenti la sussistenza umana, invece
di appagarsi di una cultura meramente speculativa: “la fame e la sete abbattono non solo il vigore fisico ma
anche quello spirituale e morale dell’uomo, lo privano della sua umanità, della sua intelligenza e della
conoscenza.” Se volgiamo migliorare le condizioni spirituali di un popoli, bisogna anzitutto migliorare le
condizioni materiali. Dato che esiste, secondo il filosofo, un’unità inscindibile tra psiche e corpo, ne
consegue che per pensare meglio dobbiamo alimentarci meglio. L’espressione “l’uomo è ciò che mangia” in
tedesco è un brillante gioco di parole, data la somiglianza tra “ist” (essere) e “isst” (mangiare).
LA DESTRA E LA SINISTRA HEGELIANA, I CARATTERI GENERALI
Quando Hegel morì i suoi discepoli, si divisero in “vecchi” e “giovani”. Successivamente David Strauss
cambiò la denominazione di questa divisione, ispirandosi al parlamento francese, i vecchi hegeliani furono
detti la destra e i giovani furono detti la sinistra. La dottrina di Hegel riguardo la religione risulta ambigua;
infatti il filosofo sosteneva che religione e filosofia possedevano la stessa verità, ma in due forma diverse:
- La sinistra vedeva la filosofia come distruzione della religione in quanto i dogmi religiosi e la verità della
filosofia erano incompatibili
- La destra, invece, vedeva la filosofia come conservazione della religione perché la filosofia riusciva a dare
una spiegazione razionale dei dogmi religiosi.
VITA E OPERE
Nasce il 28 Luglio 1804 a Landshut, in Baviera e morì il 13 Settembre 1872. Scolaro di Hegel e
successivamente libero docente, si vide troncare la carriera universitaria a causa delle ostilità incontrare
dalle sue idee religiose. A parte una piccola parentesi in cui fu chiamato per tenere una lezione sulle
religioni, passò gli ultimi anni in miseria, a Rechenberg. Il suo primo scritto, Pensieri sulla morte e
l’immortalità gli causò quell’ostilità che gli costò la carriera universitaria. Il suo distacco da Hegel è segnato
nello scritto Critica della filosofia hegeliana al quale seguirono le Tesi provvisorie per la riforma della
filosofia. La sua opera più importante resta L’Essenza del cristianesimo e L’Essenza della religione.
IL ROVESCIAMENTO DEI RAPPORTI DI PREDICAZIONE
La filosofia di Feurbach ha come presupposto quello di cogliere l’uomo e la realtà nella loro concretezza, e
per fare ciò critica quello che è l’approccio idealistico-religioso del mondo in quanto offre una visione
rovesciata della realtà. Secondo quest’approccio il concreto è ciò che avviene dopo, quando invece
sappiamo che corrisponde alla causa delle cose e quindi effettivamente accade prima; l’astratto, invece, è
ciò che avviene prima, ma in realtà è l’effetto e quindi ciò che accade dopo; in questa prospettiva non si
potrà mai giungere alla realtà. Così il filosofo inizia il suo programma di rovesciamento dei rapporti tra
soggetto (=concreto) e predicato (=astratto).
LA CRITICA DELLA RELIGIONE
DIO COME PROIEZIONE DELL’UOMO:
Feuerbach afferma che Dio è essenza oggettivata del soggetto, cioè non è altro che la proiezione illusoria
(l’immagine riflessa) di alcune qualità umane, in particolare quelle più “perfette”: ragione, volontà e cuore.
Dio è dunque l’essenza oggettivata del soggetto. Il mistero della teologia non è che l’antropologia. E la
religione, in quanto antropologia capovolta, costituisce “la prima, ma indiretta autocoscienza dell’uomo”.
Pertanto, l’antropologia costituisce la chiave di tutti i dogmi teologici (ad esempio la Trinità è la metafora
della vita sociale e della comunione tra l’io e il tu). Dio è dunque specchio e creazione dell’uomo, che nasce
da: L’uomo a differenza dell’animale ha coscienza di sé non solo come individuo, ma anche come specie;
mentre come individuo si sente debole e limitato, come specie egli si sente invece infinito e onnipotente.
Da ciò, Dio non è che una personificazione immaginaria delle qualità della specie. Altre volte l’origine
dell’idea di Dio sta nell’opposizione umana tra volere e potere, che porta l’individuo a costruirsi l’immagine
di una divinità in cui tutti i suoi desideri siano realizzati. Feuerbach afferma che i desideri dei cristiani sono
illimitati (a differenza dei Greci), perciò la loro divinità è infinita ed onnipotente. In sintesi, “Dio è l’ottativo
del cuore umano divenuto tempo presente”. Altre volte ancora, l genesi primordiale dell’idea di Dio sta nel
sentimento di dipendenza che l’uomo prova di fronte alla natura. Tale sentimento ha spinto l’uomo ad
adorare quelle cose senza le quali egli non potrebbe esistere (luce, aria, acqua, terra).

■ ALIENAZIONE: «Qualunque sia l’origine della religione, è comunque certo, che essa costituisce una forma
di alienazione» dove con tale termine il filosofo intende lo stato patologico per cui l’uomo, “scindendosi”,
proietta fuori di sè una potenza superiore (Dio) alla quale si sottomette.
■ Se la religione è il frutto dell’oggettivazione alienata o alienante, l’ATEISMO si configura come un atto di
onestà filosofica.
Cioè, ciò che nella religione è soggetto deve ridiventare predicato; quindi non si può più affermare che Dio
(soggetto) è sapienza, volontà e amore (predicato), ma che la sapienza, la volontà e l’amore (soggetto) sono
divini (predicato). Il compito della vera filosofia non è più quello di porre il finito dell’infinito ( risolvere
l’uomo in Dio) ma, al contrario, porre l’infinito nel finito (risolvere Dio nell’uomo).
LA CRITICA A HEGEL
L’hegelismo è definito da Feurbach come una teologia mascherata e vede quella che è l’idea di Hegel come
un fantasma di noi stessi, o meglio risulta il frutto di un’alienazione. L’idealismo di Hegel non è altro che
una trasposizione filosofica della dottrina del cristianesimo. Il risultato di questa critica, secondo Feurbach
equivale alla creazione di una nuova filosofia incentrata sull’uomo.
UMANISMO E FILANTROPISMO:
La filosofia dell’avvenire delineata da Feuerbach ha la forma di un umanismo naturalistico: “umanismo”
perché fa dell’uomo l’oggetto e lo scopo del discorso filosofico, “naturalistico” perché fa della natura la
realtà primaria da cui tutto dipende, compreso l’uomo. Il nucleo di questo umanismo naturalistico è
costituito dal rifiuto di considerare l’individuo come astratta spiritualità, o razionalità, per concepirlo
piuttosto come essere che vive, soffre, gioisce ed avverte una serie di bisogni dai quali si sente dipendente.
E’ dunque un essere “di carne e di sangue”, condizionato dal corpo e dalla sensibilità; Feurbach sostiene,
però, che “soltanto un essere sensibile è un essere vero, un essere reale”. Per Feuerbach la sensibilità
presenta una valenza pratica, come dimostra il suo legame con l’amore, ossia con quella passione
fondamentale che fa tutt’uno con la vita (“tanto più uno partecipa all’essere, quanto più ama, e viceversa”)
e ha il potere di aprirci verso il mondo (“esiste soltanto ciò che essendo ti procura gioia, e non essendo
dolore”).

Potrebbero piacerti anche