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La disputa sugli universali - Gabriella Giudici (originali)

by gabriella

Severino Boezio (480 – 524)

La disputa sugli universali nacque nella filosofia scolastica in seguito alla traduzione, ad
opera di Boezio, dell’Isagoge di Porfirio, un testo del terzo secolo d.C. introduttivo alle
Categorie di Aristotele (eisagoghé, significa infatti “introduzione” in greco). Porfirio,
neoplatonico allievo di Plotino, aveva esposto il problema della natura dei termini
universali di “genere” e “specie” applicabili a una molteplicità di individui (ad es. uomo,
animale), ma non aveva avanzato alcuna ipotesi di soluzione.

La questione degli universali si sviluppa, dunque, intorno al problema del rapporto tra idee o
categorie mentali e le realtà extramentali, cioè della relazione tra Voces e Res, le parole e
le cose, pensiero ed essere. Gli universali esistono solo come concetti della nostra mente
(conceptus mentis) o esistono anche nella realtà? E, in quest’ultimo caso, esistono separati
dalle cose (ante rem), come nelle idee platoniche o sono nelle cose (in re), come nelle forme
aristoteliche? Sosterranno la prima tesi Roscellino, i nominalisti (gli universali sono flatus
vocis) e, con un’importante variazione, Abelardo (gli universali sono concetti della nostra
mente), mentre la seconda sarà difesa dai realisti (Scoto Eriugena, Anselmo, scuola di
Chartres) e da Guglielmo di Champeaux.

Nel campo dei realisti, optare per la soluzione aristotelica che considera gli universali
esistenti in re, nelle cose, o per quella platonica, cioè sostenere che gli universali esistono ante
rem, significava riconoscere o negare la realtà sostanziale degli individui: per i realisti
estremi, come Guglielmo, i generi e le specie hanno realtà ontologica sussistente e autonoma,
mentre gli individui ne sono solo la manifestazione accidentale e variabile; per i realisti
moderati, come sarà Tommaso, la realtà degli individui è pienamente riconosciuta benché sia
determinata da un’essenza universale.
Parigi, Cimitero Père-Lachaise – Abelardo ed Eloisa

Nel campo dei nominalisti, si afferma invece che l’essere (cioè l’esistenza reale) appartiene
solo agli individui e che i cosiddetti universali sono soltanto nomi, flatus vocis, mere parole.
Questa posizione radicale, che nega non solo realtà ontologica, ma anche consistenza
logico-concettuale agli universali è attribuita a Roscellino. Abelardo (Pierre Abélard)
sceglierà una via intermedia sostenendo che gli universali, o meglio il concetto, non può
essere una realtà, perchè una realtà non può essere predicata di un’altra realtà, ma nemmeno
un puro nome, perchè anche il nome è una realtà particolare e non può essere predicato di
un’altra: il concetto è piuttosto un discorso (sermo), cioè qualcosa che implica sempre il
riferimento alla cosa significata (intenzionalità e oggettività degli universali).

Nelle sue Glosse su Porfirio, Abelardo illustra sia la concezione realista di Guglielmo di
Champeaux, che quella nominalista di Roscellino. In ossequio al metodo dialettico, che
consisteva nel porre una quaestio, nell’enunciare gli argomenti favorevoli e contrari (pro e
contra) sia alla risposta positiva che a quella negativa e nello scegliere una delle sue soluzioni
confutando quella opposta (determinatio), il filosofo espone le tesi dei suoi due maestri:
p
er enunciare, infine, la propria
Riepilogazione
Luca Bezzini

In filosofia è detto “universale” ciò che è comune a più realtà individuali, per esempio le
proprietà che definiscono una classe particolare di individui, un genere o una specie. La
questione degli universali – già dibattuta da Porfirio e da Boezio, ma ‘esplosa’
definitivamente a partire dal secolo XII – verteva intorno al quesito se i predicati
universali fossero solo realtà mentali, oppure avessero una realtà oggettiva al di fuori della
mente, e, in quest’ultimo caso, se fossero realtà corporee o incorporee, se esistessero
separate o solo nelle cose sensibili.

Ecco quali furono schematicamente le principali posizioni assunte nel corso del basso
medioevo.
NOMINALISMO Roscellino (sec. XI-XII)

della prima Scolastica

Si richiama alla tradizione stoica. Le cose esistenti sono sempre individuali; perciò l’universale non
esiste né in re né in mente, ma è un segno dotato della capacità di essere predicato per più cose. Per cui
l’universale è solo una vox,un flatus vocis (fiato di voce).

Guglielmo di
REALISMO Champeaux (sec. XI-
RADICALE XII)

Si richiama alla tradizione platonica. L’universale sussiste ante rem, ossia prima della cosa; è
un’essenza necessaria posta fuori dal tempo e costituisce la parte sostanziale della cosa
individuale.

Abelardo (sec. XII)


CONCETTUALISMO

Accanto al suono del nome (vox) e agli individui da esso indicati(res), si mette in evidenza un
terzo aspetto dell’universale, quello del concetto (sermo), ossia il significato universale che
attribuiamo collettivamente alle cose. L’universale non è nelle cose né esiste prima di esse, ma
viene dopo (post rem), come concetto o discorso mentale che ha origine da un processo di
astrazione dell’intelletto e genera l’intellezione.

Tommaso d’Aquino
REALISMO (sec. XIII)
MODERATO
Si richiama alla tradizione aristotelica e cerca di trovare una giustificazione sia alle ragioni dei
nominalisti, sia a quelle dei realisti e dei concettualisti. L’universale, infatti, esiste sia in re
(perché è la forma delle cose, ciò che le fa essere quello che sono), sia ante rem (perché, in
quanto forma, prima di essere nelle cose, era nella mente di Dio), sia post rem (perché è
ricavato dalle cose, con un procedimento di astrazione, nel momento in cui l’intelletto umano
conosce le cose). La formula di questo indirizzo sarà: universalia post rem, cum fundamento
in re.

NOMINALISMO Guglielmo
d’Ockham (sec.
della tarda Scolastica XIV)

È noto il cosiddetto ‘rasoio di Ockham’, secondo cui non si devono moltiplicare inutilmente
gli enti (frustra fit per plura quod per pauciora fieri potest; che nella formulazione posteriore
sarà: entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem). L’u. non esiste come ente dotato di
esistenza autonoma, oggetto di conoscenza, perché la sola realtà esistente e conoscibile è
l’individuo. L’universale esiste, tuttavia, come strumento del linguaggio. Si individua infatti
una funzione universale dei termini chiamata segno (suppositio, da supponere, «stere per»),
che ha un carattere “naturale” come “termine mentale” (ossia il concetto) ed ha un carattere
convenzionale come “termine orale o scritto” (ossia il linguaggio, la parola). La ‘naturalità’
del segno del concetto esprime semplicemente il rapporto del concetto con la cosa: non c’è
una giustificazione metafisica, ma empirica, ossia il concetto deriva dalla cosa, che da sé sola
produce nella mente il segno che la rappresenta.

Esercitazione (un’ora)
Leggi l’introduzione e i testi di Abelardo e sintetizza in non più di 20 righe le posizioni che si
combattono nella disputa sugli universali e le ragioni della sua importanza.
https://gabriellagiudici.it/abelardo-e-la-disputa-sugli-universali/

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