Sei sulla pagina 1di 2

LA DISPUTA SUGLI UNIVERSALI

Natura e significato storico Nel XII secolo uno dei temi discussi dai pensatori scolastici
fu il <<problema degli universali>>. Con il termine universali, in filosofia, si indicano
quei concetti generali riferiti a più individui o cose; ossia i generi, per esprimere il concetto
di “animale” e le specie, per esprimere il concetto di “uomo”. Siccome gli enti che ci
circondano sono individuali e i concetti sono universali, sorgeva l’interrogativo circa
l’esistenza o meno di realtà universali. Secondo Porfirio, in un passo dell’Isagoge
(introduzione) alle Categorie di Aristotele, la sola alternativa che non trovava riscontro
nella disputa era quella secondo cui gli universali sarebbero realtà corporee. In compenso
i pensatori medievali si chiesero se gli universali esistono come conceptus mentis, ossia
come concetti della nostra mente oppure esistono anche nella realtà e in quest’ultimo
caso, se esistono separati dalle cose, come nel caso delle idee platoniche, oppure
esistono “dentro” le cose, come nelle forme aristoteliche. Interrogarsi sul problema degli
universali significò interrogarsi sui poteri stessi della ragione e sulla validità degli
strumenti intellettuali di cui essa si serve per parlare del mondo. Un nuovo spirito
cominciò a pervadere la scolastica: la riflessione sugli universali presuppose l’assunzione
di un punto di vista non più solo teologico ma anche filosofico, un punto di vista che
guardava più all’uomo che a Dio.

Le soluzioni Le due soluzioni fondamentali al problema degli universali furono quelle del
“realismo”, che affermava l’esistenza degli universali fuori della mente, e del
“nominalismo” che negava tale affermazione. Esse si divisero, a loro volta, in due
tendenze, una moderata e l’altra radicale.

Per “realismo estremo” si intende la concezione secondo la quale gli universali, oltre a
sussistere fuori della mente, godono anche di una consistenza propria che fa sì che
esistano “prima delle cose”, ante rem, quindi è la soluzione platonico-neoplatonico-
agostiniana che identifica gli universali con le idee o i modelli tramite i quali Dio ha
creato il mondo. Nel Medioevo questa posizione fu presente in autori come Giovanni
Scoto Eriugena e Anselmo d’’Aosta. La stessa affermazione venne difesa da
Guglielmo di Champeaux, il quale affermava la realtà “sostanziale dei generi e delle
specie: la specie “uomo”, ad esempio, rappresentava una realtà essenzialmente identica
per tutti gli uomini che erano moltiplicati e divesificati tra loro solo da qualità accidentali.
Per “realismo moderato” si intende invece quella dottrina secondo cui gli universali non
esistono ante rem, ma soltanto in re, ossia incorporati nelle cose singole, a titolo di
princìpi organizzatori immanenti (nel senso aristotelico), dove i generi e le specie non
esistono “separatamente” rispetto agli individui, ma soltanto come loro forma o essenza. Il
realismo moderato riconosce pienamente la realtà degli individui, pur riconoscendo in
essi un’essenza universale.

In antitesi si oppone il “nominalismo estremo” che afferma che l’essere esiste solo in
forma individuale e che gli “universali” sono solo “nomi” privi di qualunque corrispettivo
reale. Questa posizione viene attribuita a Roscellino di Compiégne, il quale, ridusse gli
universali a semplici emissioni fisiche di voce, mettendo così in discussione non soltanto
il significato reale degli universali e la loro consistenza logico-mentale ma anche la
Trinità divina perché se non c’è un universale che “raccoglie” in qualche modo gli individui,
non esistono le Tre persone distinte in Padre, Figlio e Spirito Santo che insieme
costituiscono l’unità trinitaria di Dio ma tre divinità distinte. Per “nominalismo moderato” si
intende quella dottrina secondo cui gli universali non esistono nelle cose ma solo
nell’intelletto, ed essendo nient’altro che “segni” mentali, manifestano quindi una
validità logico-gnoseologica pur non possedendo consistenza ontologica.

Abelardo A risolvere la disputa tra realisti e nominalisti ci pensò Pietro Abelardo che
propose il “concettualismo”, come una sorta di compromesso o “terza via” tra le due
dottrine. Secondo lui, infatti, il concetto o l’universale non può essere una realtà, perché
una realtà non può essere il predicato di un’altra realtà, e non può essere nemmeno un
puro nome, perché anche il nome è una realtà particolare e non può essere il predicato di
un’altra, ma è piuttosto un sermo, un discorso, ossia qualcosa che tende sempre a
significare o a indicare qualche cosa. La scolastica, in seguito, chiamerà la cosa significata
“intenzionalità” e il concetto stesso “intenzione”. Se il concetto “uomo” viene adoperato
per indicare gli uomoni e non gli asini, ciò accade perché hanno in comune il loro status di
“essere uomini”, ossia la condizione uniforme in cui si trovano tutti gli enti individuali
designati da quel concetto e che costituisce la realtà oggettiva del concetto stesso.
Teologicamente parlando il concettualismo di Abelardo però era più vicino al realismo
perché, a suo parere, anche se l’uomo non ha accesso diretto a Dio e quindi per la sua
conoscenza è del tutto inutile ipotizzare l’esistenza ante rem dell’universale, nella mente
di Dio è senza dubbio presente l’universale res.

Potrebbero piacerti anche