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DIZIONARIO FILOSOFICO
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... così tra questa infinità s'annega il pensier mio: e 'l naufragar m'è dolce in questo mare. (Giacomo Leopardi)

In ordine Alfabetico
Abitudine Aforisma Alienazione Anima Anima del mondo
Antropomorfismo Apollineo-dionisiaco Aporia Archè
Asserto-base Assioma Assoluto Atarassia Ateismo
Atomismo Base empirica Capitalismo Comunismo
Contraddizione Creazione Deduzione Deismo Dialettica
Distopia Edonismo Epistemologia Epochè Esperimento
Espiazione Esplicito Esponibile Esposizione Essenziale
Essenzialismo Eterno ritorno Falsificabilità Fenomeno
Filosofia Forze produttive Giudizio Idea Imperativo
Induzione Intellettualismo etico Io penso Iperuranio Ipotesi
Ironia Logos Maieutica Materia-forma Metafisica
Metempsicosi Miseria dello storicismo Monade Morale
Necessità Nichilismo Noumeno Olismo Ontologia
Organismo Panteismo Pensiero Debole Percezione estetica
Pessimismo Phusis Plusvalore Predestinazione Programma
di ricerca metafisica Potenza-atto Proletariato Ragione
Rapporti di produzione Retorica Risentimento Sillogismo
Società aperta Sovrastruttura Spirito Struttura Superamento
Superuomo Teismo Teodicea Teoria scientifica
Trascendentale Utopia Verificazione

ABITUDINE
Dal latino habitudo , traduzione del greco eqoV : indica il meccanismo psicologico in base al quale
l'uniforme ripetizione di determinati atti o determinate esperienze rende più facile l'esecuzione degli
stessi comportamenti e più probabile l'aspettativa degli stessi avvenimenti. Il concetto è diffuso nella
filosofia moderna specialmente da Hume, che lo collega alla sua concezione associazionistica della
conoscenza. Accanto a questa valenza psicologica, nel pensiero novecentesco la nozione di abitudine
viene ripresa in chiave metafisica nell'ambito dello spiritualismo. Bergson distingue tra la memoria
pura, che coincide con la durata reale della coscienza, e la memoria-abitudine, che rappresenta invece
la funzione biologica attraverso cui alcuni contenuti della prima forma di memoria vengono riportati
alla superficie traducendosi in atti ripetitivi.

AFORISMA
Dal greco aforismoV , "ciò che è delimitato": termine usato originariamente per indicare le brevi
formule, nelle quali erano compendiati i precetti estrapolati dagli scritti di medicina attribuiti ad
Ippocrate. Di qui il termine è stato esteso a significare ogni proposizione che espone in forma concisa
un insegnamento o una massima.

ALIENAZIONE

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Il termine (che in ambito giuridico designa il cedere un possesso ad un'altra persona) fa la sua
comparsa sullo scenario filosofico nel seicento, con il maturare delle filosofie politiche; in
particolare, si parla di alienazione quando un gruppo di uomini cede (aliena) parte dei propri diretti
per costituire una società civile. Il termine viene stravolto nel suo significato da Hegel: "alienazione"
significa smarrimento della propria essenza (spirituale) nella materia; in particolare è il lavoro
materiale che fa sì' che l'uomo smarrisca la propria essenza spirituale nella materia, con la
conseguenza che per Hegel il lavoro è alienante. Con Marx la parola si colora di nuovi significati: è' l
a riduzione a oggetto del lavoratore salariato nell'ambito della società capitalistica. Secondo i
Manoscritti , l'operaio è alienato rispetto: 1. al prodotto della sua attività; 2. alla sua stessa attività
orientata a fini estranei; 3. alla sua essenza libera e creativa; 4. al prossimo col quale entra in rapporti
di conflitto. Per Marx (ispirato, a differenza di Hegel, da un marcato materialismo) il lavoro in sé non
è alienante, ma è anzi l'attività in cui meglio si realizza l'uomo, che riesce così ad estendere il proprio
dominio alla natura; il lavoro diventa alienante quando si presenta come sfruttamento (e questo
avviene nel regime capitalistico), quando cioè il frutto del lavoro viene brutalmente strappato
all'operaio.

ANIMA
Con questo termine (in greco yuch) si indica convenzionalmente il principio dell’attività cosciente
dell’uomo e, più in generale, il principio della vita di ogni vivente. PLATONE intende l’anima come
un principio di natura diversa dai corpi, affine al mondo delle idee, preesistente al corpo e immortale.
Stessa concezione hanno i padri della Chiesa, in particolare AGOSTINO che la definisce una
sostanza dotata di ragione e destinata a reggere il corpo. L’anima è quindi indipendente dal corpo e
non muore con esso, ma continua a vivere nell’attesa di ricongiungersi ad esso dopo la resurrezione.
ARISTOTELE invece intende l’anima come enteleceia del corpo, ossia come principio che lo
specifica e lo determina, dandogli anche vita e presiedendo alle sue funzioni. L’anima si distinguerà
dunque in: vegetativa (presiede alla generazione, nutrizione e crescita), sensitiva (presiede all’attività
sensitiva e al movimento) e intellettiva o razionale (presiede alla conoscenza e alla scelta). Le tre
anime più che separate sono distinte, ma se ARISTOTELE risolve il problema del dualismo
dell’uomo, ne pone un altro: in che rapporto sta l’anima intellettiva con le altre? L’intelletto è il
principio per cui l’uomo conosce e riflette ed è per natura immortale e divino, ma non è chiaro se sia
individuale o no e in che rapporti stia con le parti sensibili. Alcuni aristotelici sottolineano la
strettissima unione tra corpo e anima e negano perciò l’immortalità dell’anima del singolo uomo
(ALESSANDRO D’AFRODISIA, AVERROÈ), altri rivendicano l’immortalità personale
(AVICENNA). TOMMASO D’AQUINO, nella sua sistemazione di tutta la dottrina aristotelica,
definisce l’anima l’unica forma sostanziale dell’uomo e l’unico principio del suo essere. L’anima
intellettiva è perfetta e può assolvere anche le funzioni di quella sensitiva e vegetativa, che pertanto
non esistono. L’anima, inoltre, è anche una sostanza spirituale ed è sussistente, perciò immortale
rispetto al corpo. Nel RINASCIMENTO emergono due posizioni antagoniste: i PLATONICI
sostengono la spiritualità e l’immortalità dell’anima, gli ARISTOTELICI la negano. Nella filosofia
moderna abbiamo un rinnovato dualismo CARTESIO parla di corpo-res extensa e anima-res
cogitans, principi separati che agiscono e sussistono indipendentemente l’una dall’altra. HUME
critica questo dualismo parlando dell’anima come un fascio di fatti o eventi psichici in perpetuo
movimento o flusso. Nel novecento si è spesso parlato dell’anima come di un principio vitale, non
puramente spirituale-razionale ma inconsapevole.

ANIMA DEL MONDO


Nozione che passa dalle antiche cosmologie mitiche orientali al pensiero greco, attraverso il Timeo di
Platone: secondo Platone, infatti, perfino l’universo, nel suo insieme, ha un’anima. Gli STOICI
parlano dell’anima del mondo come di Dio, immanente al mondo, mentre per PLOTINO essa sta tra
l’Intelletto e il mondo materiale a cui da’ ordine. Presente in alcuni autori del medioevo quest’idea
ebbe diffusione soprattutto nel pensiero magico del Rinascimento: Giordano BRUNO la porrà al
cuore del suo pensiero. Ultima eco avrà nella filosofia romantica della natura (SCHELLING), come
principio animatore e vivificatore del mondo.

ANTROPOMORFISMO
Attribuzione di sembianze fisiche umane, di caratteri personali, di comportamenti morali a fenomeni
naturali, ad animali e a divinità. Concenzioni antropologiche della divinità sono testimoniate fin dalla
remota antichità da reperti archeologici, a cui si affiancano successivamente opere letterarie, come i
poemi di Omero e di Esiodo. Contro la tendenza dell'antropomorfismo insorge fin dai suoi inizi la
filosofia: con Senofane, poi con i filosofi posteriori (ad eccezione degli epicurei) e, in particolar
modo, con il cristianesimo. In epoca moderna, il problema dell'antropomorfismo nella religione è
stato affrontato con decisione e rigore da Spinoza, dagli illuministi e, nell'Ottocento, da Feuerbach.

APOLLINEO-DIONISIACO
Nella filosofia di Nietzsche, si tratta di impulsi dualistici che caratterizzano radicalmente lo spirito
della grecità antica e poi attraversano con il loro gioco dialettico l'intera cultura umana, l'apollineo è
l'impulso solare della forma armoniosa, il dionisiaco è l'impulso vitale e caotico dell'ebbrezza
creativa. Si manifestano inoltre quali impulsi alla base dell'esperienza artistica. Apollo è il Dio della
luminosa razionalità, Dionisio è il Dio della vitalità passionale e istintiva.

APORIA

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Termine che significa "strada senza uscita" (dal greco a + poroV) e in filosofia indica l’irrisolvibilità
di un problema per la presenza di soluzioni parimenti sostenibili: molti dialoghi giovanili platonici
offrono conclusioni aporetiche. Nella filosofia moderna il termine indica una difficoltà insolubile.

ARCHE'
Dal greco arch , traducibile con "principio" inteso come la fonte (ciò da cui), la foce (ciò verso cui) e
il sostegno (la sostanza) della realtà; poiché nei filosofi naturalisti la realtà si riduce a quella
sensibile, l'arché principio finisce per identificarsi con la natura. Dal momento che l'arché si
configura come il fondamento del tutto, che tutto abbraccia e tutto governa, viene a coincidere con il
divino.

ASSERTO-BASE
Asserto-base Nella filosofia di Popper, l'asserto-base è la proposizione affermativa che deve risultare
controllabile da soggetti diversi sulla base dell'osservazione di oggetti rilevabili. Ogni teoria
stabilisce una distinzione fra gli asserti-base permessi a quelli non permessi, ma che divengono i
potenziali falsificatori della teoria stessa.

ASSIOMA
Dal greco axioV "degno", significa letteralmente "ciò che merita considerazione": termine usato da
Aristotele per indicare i princìpi comuni alle varie scienze, dotati di evidenza immediata e quindi non
bisognosi di dimostrazione, ma punti di partenza per le dimostrazioni. A partire dalle geometrie non-
euclidee gli assiomi hanno cessato di essere considerati verità auto-evidenti e son passati a designare
in generale proposizioni o regole assunte come premesse. La scelta degli assiomi è ritenuta
convenzionale, determinata da ragioni di comodità, opportunità o semplicità, ma non è arbitraria,
poichè deve rispettare criteri di non contradditorietà, di completezza e di indipendenza reciproca tra i
vari assiomi.

ASSOLUTO
E', specialmente nella filosofia hegeliana, l'unità di soggettivo e oggettivo mediata dal processo
dialettico, è lo Spirito, o intero, che ritorna a sé nelle forme dell'arte, della religione e della filosofia.

ATARASSIA
dal greco ataraxia, letteralmente "mancanza di turbamento". È un termine che, nella storia della
filosofia, troviamo citato da Epicuro accanto al termine aponia (mancanza di dolore). La filosofia,
come un farmaco, libera l’uomo dalla sofferenza e rende sopportabile la vita, previa un ferreo
controllo delle passioni e dei piaceri. Infatti solo il calcolo dei piaceri può far si che l’uomo non sia
schiavo dei bisogni, solo così si raggiunge l’imperturbabilità dell’anima e l’assenza di ogni dolore.
L’intero impianto filosofico di Epicuro (ma anche degli Scettici, seppure per vie diverse) tende al
conseguimento dell’atarassia.

ATEISMO
E' la negazione dell'esistenza e di ogni forma di conoscenza di Dio. Per l'ateo (dal greco a + qeoV )
non esiste alcun Dio: si possono citare come filosofi atei Nietzsche, Marx e molti altri.

ATOMISMO
E' la dottrina secondo cui la realtà è composta da atomi (dal greco atomon , "che non si può
tagliare"), ovvero di particelle indivisibili che costituiscono gli elementi ultimi in cui essa può venire
suddivisa. Nell'antichità, furono atomiste le filosofie di Democrito e di Epicuro; ma Leibniz, nel
Seicento, mise alla berlina il concetto di atomo fisico, facendo notare come una particella, per quanto
piccola, sia pur sempre (almeno concettualmente) ulteriormente divisibile. Russell introduce la
nozione di atomo logico per indicare la teoria secondo cui esistono atomi logici, ovvero proposizioni
elementari (o atomiche) alle quali si perviene attraverso l'analisi di proposizioni complesse (o
molecolari).

BASE EMPIRICA
Tipico concetto di Popper, è l'insieme di proposizioni derivabili all'interno di una teoria scientifica
che ne consentono il controllo sperimentale. In un'epoca determinata c'è generalmente accordo tra i
ricercatori sulla base empirica, benché questa possa sempre essere rivista conformemente a un nuovo
accordo tra i ricercatori.

CAPITALISMO
E', marxianamente, la formazione economico-sociale contraddistinta dal rapporto capitalista-
salariato: la classe detentrice dei capitali mantiene la proprietà privata dei mezzi i di produzione e
utilizza a proprio profitto la forza lavoro dei salariati. Chi detiene i mezzi di produzione è capitalista
e ottiene il proprio profitto sfruttando la forza-lavoro di chi è privo di tali mezzi e non può far altro
che farsi sfruttare o morir di fame.

COMUNISMO
"Non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi.
Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti", dimettendo il
regime del consumo e del possesso e superando così l'ambito della proprietà privata: questo è ciò che
intende Marx per comunismo. Tuttavia è bene ricordare che già Platone, per dirne uno, aveva
ipotizzato una società caratterizzata dal comunismo integrale (comunismo ancora più accentuato di
quello marxiano) in cui cioè tutto è di tutti (donne comprese).

CONTRADDIZIONE
E', nella filosofia di Hegel, il momento negativo razionale della dialettica, quello in cui viene in luce
l'impossibilità per ogni singola determinazione di sussistere separatamente dalle altre. E' dalla
contraddizione che scatta il superamento dialettico.

CREAZIONE
In senso filosofico generale è l'atto del porre in essere, del produrre materia, del dare forma e ordine
ad un qualcosa privo di identità. L'azione dell'uomo si configura più correttamente come produzione,
cioè come potenza non creatrice ma plasmatrice di ciò che è già. La creazione umana, intesa allora
come la messa in opera di un oggetto da parte di un agente individuale o collettivo, si caratterizza per
la contemporanea presenza di tre elementi: 1) l'unicità dell'oggetto che viene prodotto; 2)
l'espressività, cioè la trasposizione di interiorità o spiritualità in un'azione effettuale; 3) la rottura, più
o meno marcata, con le modalità espressive tipiche di un'epoca. Questo concetto generale di
creazione può applicarsi a svariati domini spirituali, ma senz'altro nell'arte trova la sua resa concreta
più esplicita, come l'ambito privilegiato dell'espressività dell'io che ricostruisce, un essere tratto non
dalla natura ma dalla propria interiorità.

DEDUZIONE
Dal latino deduco , "tiro giù", indica il rapporto di derivazione di una conclusione dalle premesse in
un ragionamento. Aristotele l'identifica col sillogismo e, in quanto ragionamento che va
dall'universale al particolare, la distingue dall'induzione (che invece va dal particolare all'universale).
Nel pensiero moderno, essa rimane alla base dell'atteggiamento razionalistico, anche se spesso non
viene più identificata col sillogismo, bensì col modello di procedura della matematica. Nell'Ottocento
la deduzione sillogistica fu bersagliata da John Stuart Mill, che vide in essa un circolo vizioso, poichè
la conclusione (Socrate è mortale) è già contenuta nella premessa (tutti gli uomini sono mortali).

DEISMO
Credenza nell'esistenza di Dio fondata su basi esclusivamente razionali e fiorita in età illuministica,
nel clima di rivalutazione delle facoltà razionali. Rifiutando ogni forma di rivelazione, di autorità
divina, di culto e di mistero, ammette solo quei principi religiosi e morali cui l'uomo può giungere
con la ragione e attraverso lo studio della natura: " il Dio dei filosofi e degli scienziati " definiva
Pascal il Dio dei deisti, per distinguerlo dal Dio-persona ( " Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe ")
delle religioni rivelate. Il Dio dei deisti non è un Dio persona da pregare, è più un "robot" che
garantisce l'ordine fisico del mondo. Deista convinto fu, ad esempio, Voltaire.

DIALETTICA
La parola fu usata per la prima volta da Zenone di Elea e designa un dialogo in movimento, un
confronto di posizioni (dal greco dia + logoV , 'dialogo che va da una parte all'altra' ). Con Hegel si
riveste di nuovi significati: da buon idealista, convinto che realtà e pensiero siano la stessa cosa, è
evidente che per Hegel le leggi che presiedono all'andamento del pensiero e all'andamento della
realtà siano le stesse. Fu Platone il primo ad usare una dialettica della realtà, un richiamo reciproco di
quelle che lui chiamava 'idee'. Per Hegel è la stessa cosa: 'dialettica' è sì il modo in cui la ragione
opera, ma è anche il modo in cui funziona la realtà. Dunque è la legge della ragione umana, la quale
riproduce nel pensiero le opposizioni che si danno nella realtà, e insieme il principio immanente di
sviluppo della realtà stessa. In senso specifico, è il momento della negazione della determinazione
immediata, cioè astratta e separata dello Spirito. Ma in senso ampio è il processo logico-ontologico in
cui la determinazione astratta viene dapprima posta (la cosiddetta "tesi"), poi negata nella sua
separatezza (la cosiddetta "antitesi") e infine positivamente ricompressa in una unità più profonda (la
cosiddetta "sintesi").

DISTOPIA
E’ un termine che solo apparentemente viene utilizzato come opposto, contrario, a quello di "utopia";
infatti viengono usate, con la medesima funzione, anche le espressioni "anti-utopia" o "contro-
utopia". E’ accreditato oramai il fatto che la scelta semantica presuppone una scelta di ampio raggio:
definire significa prendere una precisa posizione metodologica e filosofica. Infatti, se vengono scelti
ed adoperati termini "contro-utopia" o "anti-utopia" si metterà in evidenza il senso di opposizione e
di esclusione tra i due concetti. Ma l’utopia non esclude di fatto la distopia: ecco perché è più corretto
utilizzare quest’ultimo termine. Infatti tra l’utopia e la distopia non c’è un rapporto di contraddizione;
tutt’altro. Innanzitutto la distopia e l’utopia, secondo un’interpretazione letteraria di questi due
fenomeni, appartengono entrambe ad un particolare filone della fantascienza a sfondo sociale, che
descrive tanto luoghi immaginari dove regna il benessere e la felicità (utopia), quanto terribili ipotesi
di mondi futuri invivibili (distopia). Ma l’utopia e la distopia sono legate anche a livello filosofico;
l’immagine della città nuova vagheggiata dagli utopisti si unisce alla narrazione della società
perversa della distopia, componendosi del medesimo slancio. In altre parole alla base di questi due
atteggiamenti c’è la denuncia di una realtà avvertita come dolorosa e oppresiva e la sollecitazione
costruttiva a porvi rimedio attraverso l’esercizio della ragionevolezza. Ovviamente ci sono delle
differenze: l’utopia recide i legami col passato e con il luogo presente, opera una cesura incolmabile
tra la storia reale e lo spazio riservato alla progettazione utopica; la distopia invece intende collocarsi
in continuità con il processo storico amplificando e rendendo tangibili quelle tendenze negative
operanti nel presente che, se non vengono smascherate e ostacolate, condurranno alle società
perverse da essa tratteggiate. Ma l’utopia così come la distopia ci invitano a mantenere un’approccio
critico con la realtà che ci circonda, ci insegnano a essere attenti e vigili e a non essere pessimisti, a
non ripiegarci in noi stessi: un altro mondo è possibile. Ci sono da segnalare però, riguardo a
quest’ultimo concetto, dei tentativi da parte di alcuni autori che intendono metterci in guardia
dall’utopia stessa; anzi, autori come Huxley e Berdjaev insistono sulla pericolosità della
realizzazione materiale, concreta, delle utopie; ma è simbolico il fatto che proprio Huxley qualche
tempo dopo si dedica alla descrizione di una utopia. Esempi di celebri distopie del novecento:
Evgenij Zamjatin "Noi" (1922), Aldous Huxley "Il Mondo Nuovo" (1932), George Orwell "1984"
(1984).

EDONISMO
E' una dottrina che afferma che il bene è il piacere e che il piacere è il criterio della scelta morale.
Può essere attribuito, per certi aspetti, ai sofisti e in modo più compiuto ai cireanici e agli epicurei. La
dottrina viene ripresa da autori neoepicurei della prima età moderna, quali L. Valla, P. Gassendi, M.
Montaigne. Un presupposto psicologico edonista sta alla base di dottrine etiche più complesse, come
il convenzionalismo di T. Hobbers o certe forme di utilitarismo in primo luogo quello di J. Bentham.

EPISTEMOLOGIA
Etimologicamente deriva dalle parole greche episthmh (scienza) e logoV (discorso) con cui si indica
quella parte della Teoria Generale della Conoscenza che si occupa della filosofia della scienza, cioè
dei fondamenti, della natura, dei limiti e della validità del sapere scientifico, sia delle scienze esatte
(logica e matematica) che delle scienze empiriche (fisica, chimica, psicologia, sociologia etc.) .

EPOCHE'
Termine greco con cui si indica la sospensione dell'assenso. Di fronte ad una sensazione, gli Stoici
dicono che si pià dare l'assenso, negarlo oppure sospenderlo: da qui prendono le mosse gli Scettici. E'
da loro usato per designare la condizione di dubbio o incertezza, derivante dal "peso uguale delle
tesi" che si contrappongono in una discussione in opposizione all'atteggiamento assertorio dei
dogmatici. Nel pensiero contemporaneo il termine viene ripreso da E. Husserl: l'epoché o "riduzione"
consiste nel "sospendere" o "mettere tra parentesi" le credenze quotidiane per poter cogliere i modi
essenziali del reale. A differenza di quella scettica, l'epoché fenomenologia non intende mettere in
dubbio il mondo esterno, semplicemente non vuole farne alcun uso in sede di ricerca speculativa.
Anche in Heidegger il termine ritorna, ma con un nuovo significato: ogni "epoca" è diversa dalle
altre perché in ogni epoca l'essere si manifesta diversamente, rimanendo in sospeso (epoch) tra
l'uscir fuori e il restar nascosto.

ESPERIMENTO
Evento ripetibile messo in atto da un osservatore allo scopo di controllare una teoria o un'ipotesi
scientifica. Nel pensiero antico medievale gli esperimenti sono rarissimi. La sperimentazione inizia a
svolgere una funzione importante nella costruzione del sapere solo alla fine del sec XVI. Francesco
Bacone nella sua filosofia esalta il ruolo dell'esperimento nella produzione di conoscenza. Decisiva è
l'azione di Galilei, per il quale l'esperimento assume procedure rigorose e predeterminate che
permettono un controllo numerico di ipotesi quantitative. Quando tutti i fattori di disturbo non
possono essere eliminati concretamente, Galilei ricorre a "ideali" pratiche di laboratorio immaginate,
i cui risultati sono ottenuti attraverso il ragionamento. Dalle ricerche sperimentali di Newton sulla
natura della luce in poi lo sperimentalismo diviene un indirizzo di enorme rilievo, da molti
identificato con il metodo scientifico nel suo complesso. Nel positivismo l'esperimento diviene la
sola fonte lecita di conoscenza, in quanto fondamento oggettivo e indubitabile per la scienza: i "fatti
sperimentali" sono contrapposti alle ipotesi, alle teorizzazioni, considerate incerte e soggettive. La
critica del convenzionalismo ha tuttavia dimostrato che in ogni esperimento intervengono
inevitabilmente presupposti ipotetici, convinzioni teoriche, e dunque è sbagliato considerare
l'esperimento come contrapposto alla teorizzazione.

ESPIAZIONE
L'effetto curativo della pena. Platone considerò l’espiazione come il mezzo per guarire
l'anima dalle sue proprie malattie; e ritenne che come l'economia libera dalla povertà e la
medicina dalla malattia, così la giustizia libera dall'intemperanza e dall'ingiustizia (Gorgia,
478 a).

ESPLICITO
Espresso o chiaramente espresso. "Rendere esplicito" (o anche talvolta "esplicitare") il
significato di un termine o di una proposizione: esprimerlo o riesprimerlo più chiaramente. Il
termine opposto "implicito" significa quindi ciò che non è espresso, ma soltanto suggerito; o
non è espresso chiaramente.

ESPONIBILE
Nella Logica medievale "exponibilia" erano proposizioni oscure a causa del fatto che pur
avendo la forma grammaticale di proposizioni semplici, in realtà celano una composizione,
la cui analisi (expositio) ne risolve l'oscurità. In Kant "esposizione" conserva un senso
analogo ma più specifico, di proposizione consistente di un'affermazione con una
negazione celata che l'esposizione rende evidente (Logica).

ESPOSIZIONE
1. L'analisi di un concetto o il suo chiarimento. Kant chiama l' E. trascendentale "la
definizione di un concetto come principio dal quale si possa scorgere la possibilità di
conoscenze sintetiche a priori" (Critica R. Pura). In questo senso, l’esposizione
trascendentale del concetto di spazio mostrerà la possibilità delle conoscenze a priori che
possono discendere da tale concetto, cioè la possibilità della geometria.

2. Nella logica terministica medievale, è la prova di un sillogismo di terza figura mediante un


sillogismo della stessa figura nel quale un termine medio singolare fa la funzione che nel
primo era fatta da un termine medio comune. Per es., il sillogismo "Qualche uomo è dotato
di virtù, Ogni uomo è animale, Qualche animale è dotato di virtù" può essere esposto così:
"Socrate è dotato di virtù, Socrate è animale, Qualche animale è dotato di virtù" (Ockham,
Summa Log.; Jungius, Log.)

ESSENZIALE
Questo aggettivo riveste, oltre ai due significati relativi ad essenza, quello più comune e
generico di " importante". Tale è il significato del termine in espressioni come "carattere
essenziale", "qualità essenziale", ecc., che il più delle volte non fanno riferimento ai
significati specifici di "essenza" ma intendono solo sottolineare l'importanza che un
carattere, una qualità, ecc., possiede da un certo punto di vista.

ESSENZIALISMO
Popper ha chiamato "essenzialismo metodologico" "la corrente di pensiero introdotta e
difesa da Aristotele, la quale sostiene che la ricerca scientifica deve penetrare sino
all'essenza delle cose per poterle spiegare".

ETERNO RITORNO
Concezione elaborata dagli Stoici e ripresa da Nietzsche: è l'idea che nega il procedere del tempo in
modo lineare verso un fine, per affermare invece la pienezza di ogni suo attimo, che è in sé carico di
senso: questa idea porta l'uomo a "dire di sì alla vita" così com'è, in eterna ripetizione.

FALSIFICABILITA'
Nella filosofia di Popper, è la caratteristica per cui le teorie sono valide solo fino alla loro smentita,
devono essere cioè falsificabili. "le teorie non sono mai verificate empiricamente", giacché non è
possibile desumere asserzioni universali dall'osservazione di singoli fatti, per essere provata
scientificamente, una teoria deve essere controllabile di principio, cioè deve essere tale che si
possano derivare da essa asserti, che si possono controllare nei fatti, cioè che si possono dimostrare
falsi.

FENOMENO
Dal greco fainomai "appaio", il fenomeno è un concetto tipico della filosofia kantiana: è infatti
l'oggetto dell'esperienza sensibile, concluso mediante le forme a priori della sensibilità (spazio e
tempo) e dell'intelletto (le 12 categorie). L'uomo non può percepire le cose come esse sono in sè, ma
le percepisce come appaiono a lui, ovvero fenomenicamente.

FILOSOFIA
letteralmente "amore per la conoscenza" (in greco filoV = amore, sofia = conoscenza). Inizialmente il
termine è stato utilizzato come aggettivo: filosofoV = amico della filosofia (vedi Eraclito e Pitagora).
Solo in seguito designerà un modo di pensare e non solo una qualità. I Greci sono stati i primi autori
di filosofia, coloro che hanno "creato" il modo di pensare filosofico, i primi impegnati in un’indagine
critica e razionale sull’uomo e la natura che lo circonda. Gli orientalisti però sottolineano come nelle
civiltà pre-greche ci fossero già le più grandi filosofie religiose come la corrente dell’Induismo,
Buddismo, Taoismo, Confucianesimo. Per concludere, la filosofia greca si concentra sulla
conoscenza della natura e delle sue forze; la speculazione orientale si concentra su problemi
esistenziali e religiosi.

FORZE PRODUTTIVE
Concetto tipicamente marxista, le forze produttive sono costituite dai lavoratori che producono, il
modo nel quale producono e i mezzi di cui si servono. Nella società capitalistica i lavoratori sono i
salariati, il modo di produzione è industriale e i mezzi di produzione sono prevalentemente i nuovi
macchinari resi disponibili all'interno delle fabbriche.

GIUDIZIO
La facoltà del giudizio è, nella filosofia kantiana, la forza che pensa il particolare quale contenuto
dell'universale e così facendo giudica. Il giudizio può essere determinante, sussumendo il particolare
sotto una legge a priori (giudizio conoscitivo o morale), o riflettente, se dal particolare accede
all'universale (giudizio estetico o finalistico). In altri termini, il giudizio determinante determina
l'oggetto, mentre quello riflettente riflette ed esprime giudizi di gusto sull'oggetto determinato in
precedenza.

IDEA
Il termine deriva dal greco eidoV, traducibile con forma, figura, aspetto. A differenza del significato
assunto in epoca moderna, ovvero di contenuto della mente e risultato del pensiero (così è appunto da
Cartesio in poi), nell'antichità era considerata (da Platone) un'entità perfetta e immutabile, di carattere
divino, e con esistenza propria, quindi non era generata dall'intelletto. Il concetto di idea è stato
introdotto da Platone, secondo il quale tutto ciò che appartiene al mondo delle cose sensibili è un
tentativo di imitazione delle idee, immutabili, eterne e perfette (corrispondenti al vero essere). Queste
infatti sarebbero "paradigma" di tutti gli oggetti o le azioni. Le idee di Platone vivono in un mondo a
parte, detto Mondo delle Idee o Iperuranio e inoltre, nel dualismo gnoseologico platonico
corrispondono all'episthmh, cioè la conoscenza immutabile e perfetta. Le idee esistono secondo
Platone indipendentemente dall’essere pensate. Plotino, invece, farà un passo avanti: esistono nella
misura in cui sono pensate da Dio. Per noi moderni, invece, le idee esistono se e quando le pensiamo
noi.

IMPERATIVO

Dal latino impero "comando", è, nell'ambito della filosofia kantiana, un'espressione della necessità
oggettiva di un'azione. L'imperativo categorico è il comando incondizionato della legge morale che
ha in se stesso il proprio fine. L'imperativo ipotetico è un comando relativo ai mezzi da utilizzare per
ottenere un determinato scopo.

INDUZIONE
E’ il risalire da casi singoli all’universale (è il contrario della deduzione). Una o più affermazioni
(dette premesse) ne implicano induttivamente un’altra (detta conclusione) se la verità delle prime
rende più o meno probabile che quest’ultima sia vera . L’inferenza da "nessun cane che io conosca è
vizioso" a "assolutamente nessun cane è vizioso" è un’inferenza induttiva perché la verità della prima
affermazione rende probabile che la seconda sia vera ma non lo garantisce. A dubitare in qualche
modo della validità dell’induzione saranno Bacone e, successivamente, Mill; nel ‘900, Popper le
negherà ogni valore.

INTELLETTUALISMO ETICO
La filosofia di Socrate si basava sui due cosiddetti "paradossi socratici", ovvero che il bene era
conoscenza (e il male ignoranza) e che chi conosceva il bene non poteva commettere il male. Queste
sue posizioni sono state definite intellettualismo etico, ma è un termine che va rivalutato. Infatti
Socrate non intendeva proclamare la supremazia della ragione astratta e teorica sulle emozioni e sulla
volontà, ma semplicemente dire che la conoscenza ha un orientamento pratico ed esistenziale, e ciò
implica un’educazione ad agire correttamente. Socrate intende che la filosofia è quasi uno stile di vita
e che col ragionamento si può giungere a trovare la giusta strada e soluzione.

IO PENSO
E', nella filosofia di Kant, la funzione trascendentale in grado di unificare i dati della sensibilità e
dell'intelletto. Ancor prima che sull'oggetto percepito operino le 12 categorie, l'Io penso già ha
operato riconducendo le varie componenti dell'oggetto sotto quell'unico denominatore che mi
permette di dire che sono mie percezioni.

IPERURANIO
Termine introdotto da Platone nel "Fedro", deriva dal greco uper (oltre), e ouranoV (cielo). Nella
filosofia platonica, designa il mitico luogo al di là del cielo e delle cose sensibili, dove si trovano le
idee eterne e perfette. E' impossibile descrivere in modo esatto e degno questo luogo, in quanto può
essere raggiunto solo dall'anima, che avendo la stessa natura divina delle idee, comprende la loro
perfezione. Questo posto è abitato solo dalla conoscenza vera e pura. E’ nell’iperuranio che risiedono
le idee ed è lì che si spingono le anime disincarnate dai corpi, salvo poi ricadere in altri corpi.

IPOTESI
In epistemologia, indica la premessa non necessariamente vera di una dimostrazione. Newton usa
dapprima il termine ipotesi per designare sia i " principi", cioè gli enunciati riguardo alle "vere cause"
dei fenomeni ancora bisognosi di prova, sia congetture assai dubitabili scambiate per verità
incontestabili. Il suo famoso detto "hypotheses non fingo" (non invento ipotesi) vuole escludere, in
quanto prematura, l'introduzione di congetture sulle proprietà ultime che stanno alla base della
gravitazione. La rinuncia alle "ipotesi" non vuole quindi rappresentare la scienza come
accumulazione di fatti empirici senza formulazione "ipotetica" di leggi generali, ma intende
respingere tutte quelle costruzioni arbitrarie, prive di rapporti con i fenomeni reali.

IRONIA
In generale l'atteggiamento che consiste nel dare un'importanza assai minore del giusto (o di quella
che si ritiene tale) a se stessi o alla propria condizione o situazione o a cose o persone che hanno
stretto rapporto con se stessi. La storia della filosofia conosce due forme fondamentali d'Ironia: 1°
l'Ironia socratica; 2° l'Ironia romantica. 1° L'Ironia socratica è la sottovalutazione che Socrate fa di se
stesso nei confronti degli avversari con cui discute. Quando nella discussione sulla giustizia Socrate
dichiara: "Io ritengo che l'indagine è al di là delle nostre possibilità e che voi che siete bravi dovete
aver pietà di noi piuttosto che arrabbiarvi con noi", Trasimaco risponde:" Ecco la solita I. di Socrate "
(Rep., I, 336 e-337 a). Aristotele non fa che enunciare genericamente questo atteggiamento socratico
quando vede nell'I. uno degli estremi nell'atteggiamento di fronte alla verità. Il veritiero è nel giusto
mezzo; chi esagera la verità è il millantatore e chi invece tenta di diminuirla è l'ironico. L'I., dice
Aristotele, è, sotto questo aspetto, simulazione (Et. Nic., II, 7, 1108 a 22). Cicerone si rifaceva a
questo concetto affermando che "Socrate spesso nella disputa abbassava se stesso ed alzava coloro
che voleva confutare; e così, parlando diversamente da come pensava, adoperava volentieri quella
simulazione che i Greci chiamano I." (Acad., IV, 5, 15). E a questo concetto del termine faceva
riferimento S. Tommaso che la esamina come un forma (lecita) di menzogna (S. Th., II, 2, q. 113, a.
1). 2° L'Ironia romantica poggia sul presupposto dell'attività creatrice dell'Io assoluto. Identificandosi
con l'Io assoluto, il filosofo o il poeta (che molto spesso coincidono, per i Romantici) è portato a
considerare ogni realtà più salda come un'ombra o un gioco dell'Io: è portato cioè a sottovalutare
l'importanza della realtà, a non prenderla sul serio. Secondo Federico Schlegel, l'I. è la libertà
assoluta di fronte a qualsiasi realtà o fatto. "Trasferirsi arbitrariamente ora in questa ora in quella
sfera come in un altro mondo, non solo con l'intelletto e con l'immaginazione ma con tutta l'anima;
rinunciare liberamente ora a questa ora a quella parte del proprio essere, e limitarsi completamente a
un'altra; cercare e trovare il proprio uno e tutto ora in questo, ora in quell'individuo e dimenticare
volutamente tutti gli altri: questo può solo uno spirito che contiene in sé come una pluralità di spiriti e
tutto quanto un sistema di persone, e nel cui intimo l'universo che, come si dice, è in germe in ogni
mondo, s'è dispiegato ed è pervenuto alla sua maturità" (Fragmente, 1798, § 121). Queste notazioni
sull'I. trovarono una sistemazione concettuale nell'opera di C. G. F. Solger, Erwin (1815) nella quale
l'I. veniva interpretata dal punto di vista della soggettività che comprende se stessa come cosa
suprema e che perciò abbassa a un puro nulla tutte le altre cose, anche ciò che c'è di più alto. Pur
polemizzando contro qualche particolare, definito " platonico " della dottrina di Solger, Hegel la
faceva sua nel descrivere l'I. nel modo seguente: "Prendete una legge, e schiettamente qual è in sé e
per sé: io ne sono perciò anche al di là e posso fare così e così. Non la cosa è superiore, ma sono io
superiore e sono il padrone, che al di sopra della legge e della cosa, scherza con esse come con il suo
piacere e in questa coscienza ironica, nella quale lascio perire il Sommo, godo soltanto di me " (Fil.
del dir., § 140). L'I. così intesa, come coscienza della Soggettività assoluta, la quale, come tale, è
tutto e di fronte alla quale perciò tutte le altre cose sono nulla e pertanto come coscienza dell'assoluto
arbitrio di tale soggettività è, secondo Hegel, un risultato della filosofia di Fichte quale è stata intesa
e interpretata da Federico Schlegel (FU. del dir., § 140, Zusatz). "Qui il soggetto si sa in sé medesimo
come l'Assoluto e non da alcun peso a tutto il resto: esso sa distruggere sempre di nuovo tutte le
determinazioni che esso stesso si dà del giusto e del bene. Esso può dare a intendere a sé ogni cosa
ma non mostra altro che vanità, ipocrisia, sfrontatezza. L'I. sa di dominare qualsiasi contenuto: essa
non prende nulla sul serio, scherza con tutte le forme " (Geschichte der Phil., III, sez. 3, C, 3; trad.
ital.. III, 2, pag. 370-71). Quel concetto è rimasto a contrassegnare uno degli aspetti fondamentali del
romanticismo tedesco. Di esso Kierkegaard ha dato un'interpretazione attenuata o metaforica, da un
lato concependo l'I. socratica come la superiorità di Socrate sopra la nequizia del mondo (Diario, X3,
A, 254); dall'altro lato intendendo in generale l'I. come "l'infinitizzazione dell'interiorità dell'io" ma
come infinitizzazione " interiore ", in un significato che non ha più la portata che Fichte attribuiva
all'infinità stessa. "Cos'è l'I.? egli scrive. L'unità di passione etica, che accentua in interiorità il
proprio io infinitamente, e di educazione la quale nel suo esteriore (nel commercio con gli uomini)
astrae infinitamente dal proprio io. L'astrazione fa sì che nessuno s'accorga della prima unità vissuta
ed in ciò sta l'arte per la vera infinitizzazione dell'interiorità" (Diario, VI, A, 38, trad. Fabro). Poiché
l'infinità dell'io è qui soltanto un'infinità " interiore ", cioè l'accentuazione all'infinito del valore
dell'io nella coscienza, ma non è l'infinità effettiva e creativa dell'Io assoluto dei romantici, l'I. non ha
più il suo significato romantico: è solo il contrasto tra la coscienza esaltata che l'io ha di sé e la
modestia delle sue manifestazioni esterne.

LOGOS
Il termine deriva dal greco legein , che significa "raccogliere", "contare" o anche "trascegliere" e in
greco classico "raccontare", "parlare". Lógos, indica il mondo dell'intelligenza o della conoscenza
intellettiva; è, infatti, sia l'intelligenza (nella sua valenza intuitiva, cioè come intelletto, e nella sua
valenza discorsiva, cioè come ragione), sia l'oggetto dell'intelligenza (il concetto, il giudizio e il
ragionamento), sia l'espressione dell'oggetto dell'intelligenza (la parola o il termine, la proposizione,
l'argomentazione e, in generale, il discorso).

MAIEUTICA
In greco maieutikh tecnh significa arte della levatrice. Socrate si paragonava alla madre Fenarete,
che operava come ostetrica, identificandosi con colui che fa "partorire" la verità agli uomini:
ciascuno di noi è gravido della verità e Socrate si propone di farcela partorire. Sosteneva infatti che
essa fosse nascosta nell’animo di ognuno e che, attraverso domande e risposte opportune, sarebbe
venuta fuori. Socrate credeva di essere investito della missione divina di aiutare l’uomo onesto a
conoscere se stesso. Se infatti si è a conoscenza di ciò che è bene, non si può commettere il male.

MATERIA-FORMA
Si tratta di una coppia di concetti relativi, perché la materia è il principio di indeterminazione, il
sostrato comune che viene organizzato e strutturato dal principio di determinatezza, o forma. La
forma non è una sostanza separata (come le idee platoniche), ma è l'essenza intrinseca, la sostanza
fondamentale delle cose sensibili. La coppia materia-forma traduce, a livello fisico, la dottrina
metafisica della potenza e dell'atto.

METAFISICA

Dal greco meta ta fusika , "al di là delle cose fisiche": il termine fu coniato nell'antichità per
indicare i libri aristotelici che nel corpus delle sue opere venivano dopo quelli concernenti la filosofia
della natura (fisica) oppure le questioni riguardanti ciò che va oltre quest'ambito. Nella filosofia
moderna esso è usato nel senso (anch'esso aristotelico) di "scienza prima", di disciplina filosofica
fondamentale che sta alla base di ogni altra ricerca. In questo senso la metafisica può significare due
cose: per un verso essa continua a indicare la ricerca filosofica sui princìpi costitutivi della realtà e
dell'essere; per altro verso può indicare la ricerca preliminare sulle possibilità della conoscenza e
sulla struttura generale del sapere: quest'uso riceve la sua formulazione più chiara in Kant, per il
quale la metafisica è lo studio di quei princìpi (da Kant chiamate "forme") che, essendo intrinseci alla
costituzione stessa della mente umana, condizionano ogni forma di conoscenza. Con Hegel la
metafisica torna ad essere scienza della realtà e, poichè quest'ultima coincide con la razionalità, per
lui metafisica e logica coincidono. Il valore ontologico della metafisica viene recuperato anche da
Bergson seguendo però la strada opposta: egli svincola la metafisica da ogni fondamento
intellettuale/razionale e vede nell'intuizione l'unica facoltà conoscitiva adatta a penetrarne i problemi.
Heidegger ha dapprima concepito la metafisica come ontologia, volta a chiarire il problema del senso
dell'essere a partire da quell'ente particolare che è l'esserci, per il quale è costitutivo porsi questo
problema. In seguito, egli ha considerato la metafisica come il contrassegno di un'epoca che va da
Platone fino a Nietzsche ed è caratterizzata dall'oblìo dell'essere: ciò è dovuto al fatto che la
metafisica pensa l'essere alla stregua di un ente, cioè come un qualcosa di presente e, quindi, di
controllabile e dominabile; ma in tal modo smarrisce la verità dell'essere, che è disvelamento, ossia
manifestarsi, ma insieme anche sempre nascondersi nel corso del tempo. Nell'ambito del
neoempirismo, per esempio da parte di Carnap, la metafisica è invece intesa come un insieme di
proposizione prive di significato, in quanto non riconducibili nè a tautologie nè ad asserzioni
empiriche verificabili.

METEMPSICOSI
Credenza nella trasmigrazione dell'anima da un corpo all'altro in esistenze che si succedono nel
tempo. Il termine significa, letteralmente, "passaggio dell'anima" (dal greco meta + yuch ) e designa
una dottrina assai diffusa nell'antichità greca e orientale. La metempsicosi è elemento essenziale
dell'Orfismo ed è oggetto dell'insegnamento di Pitagora. Anche Empedocle ne parla nelle
Purificazioni , mentre in Platone se ne trovano ben due diverse interpretazioni come destino
dell'anima per eccessivo attaccamento alla vita corporea (nel Fedone ) e come prospettiva propria di
tutte le anime che, terminato il ciclo millenario della vita ultraterrena, devono tornare ad incarnarsi
(nella Repubblica , mito di Er). In età rinascimentale, sulle orme di Bruno e di Telesio, molti
pensatori reinterpretano la metempsicosi come principio della filosofia naturale. L'induismo e il
buddhismosi fondano su di essa.

MISERIA DELLO STORICISMO


Titolo di un'opera di Popper ed espressione chiave della sua filosofia, della storia; lo storicismo
nasconde una metafisica infondata, che presuppone in senso univoco e oggettivo delle vicende
storiche e implica una concezione deterministica e totalitaria della realtà umana, come fosse
governata da leggi fisse e invariabili, mentre si danno soltanto tendenze storiche interpretabili
esclusivamente in base a ipotesi soggettive e variabili.

MONADE
Termine greco (da monoV , "solo") indicante l'unità da cui si originano i numeri e le cose. Talora fu
usato per designare il principio divino come unità suprema. Leibniz lo usa per indicare l'atomo di
forza (giacchè quello materiale a suo avviso è inconcepibile), ovvero la sostanza individuale che sta
alla base della sua metafisica pluralistica.

MORALE
Etimologicamente deriva dal latino "(philosophia) moralis" col quale Cicerone tradusse il termine
greco ta etika. Entrambi questi termini si riferiscono ai costumi, alle abitudini: in generale ai
comportamenti umani ed in particolare alle regole di condotta e alla loro giustificazione. Cioè
innanzitutto la Morale appare come il sistema delle regole che l’uomo segue (o deve seguire) nella
sua vita tanto personale quanto sociale. Hegel distingue tra "morale" ed "etica": la morale (che trova
in Kant il suo campione) è qualcosa di interno, a livello di coscienza; l'etica, invece, (che Hegel di
gran lunga preferisce) è qualcosa di più esterno, che implica il comportamento contestualizzato nella
collettività.

NECESSITA'
Dal latino necessitas , è la "modalità" contrapposta alla possibilità. Necessario è ciò che non può non
essere o ciò che non può essere (in questo senso coincide con l'impossibile). Leibniz distingue tre
generi di necessità: 1)la necessità geometrica (o logica) stabilisce una connessione ineludibile tra
antecedente e conseguente sulla base del principio di non contraddizione: così, necessario è ciò che è
vero in tutti i mondi possibili; 2)la necessità fisica costituisce l'ordine immutabile della natura; 3)la
necessità morale discende dal dovere di scegliere il meglio (cioè è ciò che fonda l'obbligazione
morale). Anche Wolff e Kant riprendono, con poche varianti, questa distinzione; per Hegel, invece, la
necessità caratterizza la dialettica e, pertanto, investe tanto la realtà quanto il pensiero: tutto ciò che è
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Wittgenstein esiste propriamente solo la necessità
logica, quale è esibita dalle tautologie e dalle contraddizioni, che sono rispettivamente sempre vere e
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TIM false, a differenza delle asserzioni empiriche (come quelle delle teorie fisiche) le quali sono
sempre
contingenti e possono essere vere o false. A partire da Carnap è stata ripescata la nozione leibniziana

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