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LA CAFFETTIERA DEL MASOCHISTA- Il design degli oggetti quotidiani

Le emozioni hanno il loro peso nella progettazione e nell’esperienza totale di un prodotto di uso comune.
Il metodo denominato HUMAN CENTERED DESIGN (HCD), dove la progettazione tiene conto dei limiti e
delle potenzialità dell’essere umano nella sua individualità e diversità.
Col passare del tempo la psicologia della gente rimane la stessa, ma cambiano gli strumenti e gli oggetti nel
mondo. Cambia la cultura. Cambia la tecnologia. I principi del design restano validi, ma il modo di applicarli
deve essere modificato per tener conto delle nuove tecnologie, dei nuovi metodi di comunicazione e
interazione.
Caffettiera per masochisti: deliberatamente impossibile, insensata.

1-LA PSICOPATOLOGIA DEGLI OGGETTI QUOTIDIANI


Gli oggetti ben progettati sono facili da interpretare e comprendere in quanto contengono indizi visibili del
loro funzionamento. Gli oggetti disegnati male invece possono essere difficili e frustranti da usare: mettono
in trappola chi li utilizza. Purtroppo però il cattivo design predomina: è un mondo pieno di oggetti
incomprensibili e dispositivi che inducono in errore. Quando una cosa semplice esige figure, scritte e
istruzioni vuol dire che il design è sbagliato.
Due fra le caratteristiche più importanti di una buona progettazione sono: VISIBILITA’ E COMPRENSIBILITA’.
Le componenti che contano devono essere visibili e comunicare il messaggio giusto. Nei dispositivi
complessi la visibilità e la comprensibilità richiedono l’uso di manuali di istruzioni. Molti prodotti industriali
diventano incomprensibili per il semplice fatto di avere un eccesso di comandi e funzioni.

I segnali naturali devono essere interpretati naturalmente. Design naturale: l’uso di segnali naturali.
La complessità dei dispositivi moderni
Tutti gli oggetti artificiali sono stati progettati. Il campo del design è relativamente nuovo, suddiviso in molti
settori specializzati. Dato che ogni cosa nasce da un progetto, il numero dei settori è enorme.
DESIGN INDUSTRIALE: concentrato sulle forme e i materiali. Creazione e sviluppo di concetti e specifiche
per ottimizzare la funzionalità, il valore e l’aspetto di prodotti e sistemi, con reciproco vantaggio di utenti e
produttori.
DESIGN DELL’INTERAZIONE: si concentra sulla comprensibilità e facilità d’uso. L’attenzione è concentrata
sul modo in cui le persone interagiscono con la tecnologia. Lo scopo è migliorare la loro comprensione.
DESIGN DELL’ESPERIENZA UTENTE: si concentra sull’impatto emotivo dei prodotti. Progettazione di
prodotti, processi, servizi, eventi e ambienti, mirando soprattutto alla qualità e alla piacevolezza
dell’esperienza complessiva.
Il design si occupa di come funzionano le cose, di come si comandano e di come le persone interagiscono
con la tecnologia.
La colpa è delle macchine e di chi le ha progettate. Il guaio nei progetti sfornati dai tecnici è l’eccesso di
logica. Le difficoltà sono causate dalla tecnologia. Se progettiamo cose per le persone, dobbiamo capire sia
le cose che le persone.
Il design antropocentrico
Le persone sono frustrate dagli oggetti quotidiani, dalla loro complessità.
La soluzione è il design antropocentrico, o HUMAN-CENTERED DESIGN (HCD), un impostazione che parte
dai bisogni, capacità e comportamenti umani, adattando poi la progettazione a quei bisogni, quelle capacità
e quei comportamenti. È una filosofia progettuale. Vuol dire partire da una buona conoscenza degli esseri
umani e dei bisogni che il progetto intende soddisfare, che deriva principalmente dall’osservazione. Il
principio guida dell’ HCD è evitare il più a lungo possibile di specificare il problema. Bisogna studiare i
bisogni umani.
Il buon design parte dalla conoscenza della psicologia e della tecnica, richieda una buona comunicazione. I
progettisti devono concentrare l’attenzione nei casi in cui le cose vanno storte.
Principi fondamentali dell’interazione
I grandi designer producono esperienze piacevoli. L’esperienza è cruciale, perché determina la tonalità del
ricordo che conserviamo delle interazioni con gli oggetti. Gli aspetti emotivi e cognitivi sono intrecciati.
La visibilità di un oggetto nasce dalla corretta applicazione di 5 concetti psicologici fondamentali:
AFFORDANCE (invito), SIGNIFICANTE, VINCOLO, MAPING e FEEDBACK. C’è poi un 6°, il più importante:
MODELLO CONCETTUALE del sistema, che permette una comprensione.
affordance
letteralmente “invito, autorizzazione”, indica la relazione tra un oggetto fisico e una persona, cioè la
relazione tra le proprietà dell’oggetto e la capacità dell’ agente di determinare in che modo l’oggetto
potrebbe essere usato. Una sedia “invita” alla seduta. La presenza di un affordance dipende dalle qualità
dell’oggetto e dalle abilità dell’agente che vi interagisce. È una relazione. Dipende dalle proprietà sia
dell’oggetto sia dell’agente. Anti-affordance è l’impedimento di un interazione. Per essere efficaci,
affordance e anti-affordance devono essere percepibili. Questo concetto è nato con lo psicologo J.J Gibson,
che sosteneva che il mondo contiene degli indizi percettivi che dobbiamo cogliere mediante una
“percezione diretta”. Diceva che tutti i sensi lavorano insieme e che noi raccogliamo l’informazione circa il
mondo esterno. Gli oggetti fisici forniscono informazioni importanti sui modi in cui è possibile interagire con
loro. Un affordance visibile è un forte indizio su come funziona una cosa. Le affordance percepite ci aiutano
a indovinare quali azioni siano possibili, senza bisogno di cartelli o istruzioni. Determinano quali azioni sono
possibili.
significante
componente segnaletica di un affordance. Quando un affordance non è percepibile, c’è bisogno di qualche
mezzo per segnalarne la presenza. I progettisti hanno bisogno di sapere come rendere comprensibili gli
oggetti che creano. Si cerca di segnalare dove l’azione deve avvenire. Le persone hanno bisogno di segnali
che indichino a che serve, cosa sta succedendo e quali sono le azioni possibili da eseguire, quindi dei segni.
È il segno quello che conta. I progettisti devono predisporre questi indizi. Un design corretto esige un
efficace comunicazione dello scopo, della struttura e del funzionamento del dispositivo. Il termine
significante ha una tradizione nella disciplina della semiotica, lo studio di segni e simboli.
Ogni segnale visivo e sonoro, ogni indicatore percepibile che comunichi quale è il comportamento
appropriato. Possono essere “deliberati e intenzionali” ma anche “accidentali e involontari”.
Quando in una cosa semplice come una porta c’è bisogno di aggiungere significanti esterni (cartelli, scritte e
disegni) è indizio di cattivo design. Sono più importanti delle affordance, perché comunicano come usare un
prodotto. La comunicazione è la chiave del buon design, e la chiave della comunicazione è il significante.

- Le AFFORDANCE sono le interazioni possibili tra le persone e l’ambiente. Alcune sono percepibili,
altre no.
- Le AFFORDANCE PERCEPITE spesso fungono da significanti, ma possono essere ambigue.
- I SIGNIFICANTI segnalano cose, in particolare quali azioni sono possibili e come eseguirle. Devono
essere percepibili, altrimenti non funzionano.
Mapping
Indica la relazione tra gli elementi di 2 insiemi. La relazione tra un comando e i suoi risultati è più facile da
capire ogni volta che esiste un buon mapping tra i comandi, le azioni e il risultato voluto.
Un mapping naturale, cioè che sfrutti le analogie spaziali, produce una comprensione immediata. Alcuni
sono culturali, altri derivano dai principi della percezione e danno luogo a raggruppamenti o disposizioni
naturali di comandi e indicatori. Un dispositivo è facile da usare quando l’insieme delle azioni possibili è
visibile e quando comandi e display sfruttano mapping naturali. Il concetto è importante nella
progettazione e disposizione di comandi e display. Quando il mapping usa la corrispondenza spaziale tra la
collocazione dei comandi e quella dei dispositivi comandati, è facile capire come usarli. È la corrispondenza
tra comandi e funzioni. Insieme di correlazioni logiche-spaziale tra ciò che si vuol fare e ciò che appare
fattibile.

Feedback
È un informazione di ritorno che dice all’utente quale azione ha effettivamente eseguito, quale risultato si è
realizzato. È un modo per farci sapere che la nostra richiesta è in corso di elaborazione. Comunica i risultati
di un azione. Il nostro sistema nervoso è equipagiato con numerosi meccanismi di feedback. Il feedback
deve essere immediato, deve anche essere informativo. Un feedback scadente può anche esser peggio di
nessun feedback, perché distrae, non informa e in molti casi è irritante e ansiogeno. Un eccesso di feedback
può essere anche più fastidioso di uno troppo scarso. Ma peggio di tutto è il feedback improprio, non
interpretabile. È essenziale, ma non quando interferisce con altre esigenze. Deve essere fatto bene, in
maniera appropriata. Il feedback deve essere programmato. Tutte le azioni hanno bisogno di una conferma.
Modelli concettuali
Ciò che noi formiamo mentalmente quando vediamo un oggetto, immaginandoci come possa funzionare. È
la spiegazione di solito molto semplificata di come funziona una cosa. È quello di un'unica immagine
coerente. Il modello semplificato è utile per l’uso normale, ma se il collegamento dei servizi si interrompe,
può nascere confusione: l’informazione è sempre presente sullo schermo, ma non possiamo più salvarla o
recuperare altri dati. Sono preziosi solo finchè gli assunti di base reggono. Spesso esiste più di un modello
concettuale di un certo dispositivo. Risiedono nella mente delle persone che usano il prodotto, sono cioè
“modelli mentali”. Un modello mentale è il modello concettuale che nella nostra mente rappresenta il
modo in cui secondo noi funzionano le cose. La stessa persona può avere modelli molteplici. Spesso sono
ipotizzati a partire dall oggetto stesso. Il modello si costruisce con l’esperienza. Sono preziosi per capire il
funzionamento dei dispositivi, prevederne il comportamento e inventarsi cosa fare quando le cose non
vanno come previsto. Un buon modello concettuale ci permette di prevedere gli effetti delle nostre azioni.
Quando le cose si guastano e ci imbattiamo in una situazione nuova, abbiamo bisogno di una migliore
comprensione, di un buon modello. Quando il modello che ci viene presentato è inadeguato o sbagliato
possiamo avere difficoltà.

Se l’immagine del sistema non rende chiaro e coerente il modello progettuale, l’utente finirà per formarsi
un modello mentale sbagliato.
Immagine di sistema
La parte visibile del dispositivo. È l’insieme delle informazioni. è tutto ciò che si percepisce della struttura
fisica prodotta. Il modello concettuale dell’utente deriva dall’immagine di sistema, mediante l’interazione
col prodotto, letture, ricerche online e manuali. Il progettista si aspetta che il modello concettuale
dell’utente coincida col suo, ma non essendoci tra loro comunicazione diretta, tutto il peso della
comunicazione grava sull’immagine di sistema. Quando l’immagine del sistema è incoerente e inadeguata,
l’utente non può utilizzare efficacemente il dispositivo.
Il paradosso della tecnologia
La tecnologia rende la vita più facile e allo stesso tempo la complessità aumenta le nostre difficoltà e la
nostra insoddisfazione. Il moltiplicarsi delle funzioni crea problemi. La cosa migliore sarebbe l’esistenza di
standard universali, in modo da poter imparare i comandi una volta per tutte. Questo è il suo paradosso.
La sfida della progettazione
La progettazione richiede gli sforzi combinati di molti specialisti diversi. La parte più difficile per arrivare a
un prodotto buono è coordinare tutte le discipline cpoinvolte. Un prodotto di successo deve soddisfare tutti
i requisiti. Si deve pensare il progetto dal punto di vista di chi acquista e usa il prodotto. La sfida è usare i
principi del design antropocentrico per ottenere risultati positivi, prodotti che migliorino la vita e la rendano
più piacevole.

2-PSICOLOGIA DELLE AZIONI QUOTIDIANE


Come facciamo le cose: i due golfi dell’esecuzione e della valutazione
Quando usiamo un oggetto, ci troviamo davanti 2 golfi: il GOLFO DELL’ESECUZIONE, nel quale cerchiamo di
indovinare come funziona, e il GOLFO DELLA VALUTAZIONE, in cui si tratta di capire cosa è successo,
cerchiamo di capire in che stato si trova e se le nostre azioni conseguono lo scopo. Corrisponde allo sforzo
necessario per interpretare lo stato fisico del dispositivo e capire fino a che punto sono realizzate
aspettative e intenzioni.
Compito del progettista è aiutare le persone a superare i due golfi. Le difficoltà hanno origine nel design,
non nell’utente. Per attraversale il golfo dell’esecuzione servono significanti, vincoli d’uso, mapping e un
modello concettuale. Per superare il golfo della valutazione, un modello concettuale e il feedback.
I 7 stadi dell’azione
Per capire cosa rende difficile fare una certa cosa, si deve esaminare la struttura di un azione.
Un’azione implica 2 aspetti: eseguirla (ESECUZIONE) e valutarne gli effetti (VALUTAZIONE), fare e
interpretare.
SCOPO: qualcosa da raggiungere. INTENZIONE: azione specifica per giungere allo scopo.
Sia l’esecuzione che la valutazione richiedono che si capisca come funziona una cosa, e quali risultati
produce. Stadio della progettazione: decidere quale seguire tra i tanti piani d’azione possibili. Le azioni
specifiche fanno da ponte tra ciò che vorremmo veder realizzato e tutte le possibili azioni fisiche per
arrivarci. Una volta specificato quali azioni compiere, dobbiamo effettuarle concretamente: lo stadio
dell’ezecuzione. Dallo scopo discendono i 3 stadi dell’esecuzione: pianificare, specificare ed eseguire. La
valutazione si articola anch’essa in 3 stadi: percepire cosa è successo, cercare di capirlo (interpretazione) e
confrontare cosa è accaduto con ciò che si voleva. Ecco così che abbiamo i 7 stadi dell’azione, 1 per lo
scopo, 3 per l’esecuzione e 3 per la valutazione. offrono uno schema per sviluppare nuovi prodotti o servizi.
1- SCOPO (defifinire l’obiettivo)
2- PROGETTARE (l’azione da seguire)
3- SPECIFICARE (una sequenza d’azione)
4- ESEGUIRE (la sequenza specificata)
5- PERCEPIRE (lo stato del mondo)
6- INTERPRETARE (la percezione)
7- CONFRONTARE (il risultato allo scopo).
Il pensiero umano: per lo più subconscio
In gran parte il comportamento umano è il risultato di processi subconsci, di cui siamo inconsapevoli. Solo il
livello riflessivo è conscio. Cognizione ed emotività non si possono separare. L’aspetto emotivo è un
potente sistema di elaborazione dell’informazione, che opera con le funzioni cognitive. La cognizione cerca
di interpretare il mondo, l’emozione gli assegna un valore. Uno stato emotivo positivo è ideale per il
pensiero creativo, ma non è molto adatto per portare a termine le cose. Mentre uno stato emotivo
negativo tende a focalizzare il cervello.
La cognizione e l’emozione nell’uomo
Vi sono 3 livelli di elaborazione: VISCERALE, COMPORTAMENTALE E RIFLESSIVO.
LIVELLO VISCERALE
Il livello più elementare li elaborazione. Fanno parte dei meccanismi elementare di protezione affettiva, per
un giudizio immediato sulle condizioni dell’ambiente: buono o cattivo, sicuro o pericoloso, ecc..
Ci permette di rispondere prontamente in maniera subconscia, senza consapevolezza o controllo cosciente.
Le risposte viscerali sono rapide e automatiche, subconscie, sensibili solo allo stato di cose immediato.
Risponde al presente immediato e produce uno stato affettivo indipendente dal contesto o dalla storia.
Valuta la situazione. È strettamente abbinato alla muscolatura, cioè al sistema motorio. Sono considerate
precursori delle emozioni. Dal punto di vista del design, riguarda nei consumatori la percezione immediata
del prodotto: conta los stile: aspetto fisico.
LIVELLO COMPORTAMENTALE
È la sede delle abilità apprese,attivate da situazioni che corrispondono al modello pertinente. Le azioni e le
analisi a questo livello sono in gran parte subconscie. In sede di progettazione, l’aspetto più critico del
livello comportamentale è che ogni azione è associata a un’aspettativa.
LIVELLO RIFLESSIVO
È quello della cognizione conscia. Qui si sviluppa la comprensione profonda e hanno luogo il ragionamento
e i processi decisionali. La riflessione è un processo cognitivo lento e profondo. Spesso avviene dopo che gli
eventi sono accaduti. I livelli più alti di emotività fanno capo alla riflessione, perché è qui che si assegnano le
causa e si fanno predizioni circa il futuro. Emozione e cognizione sono intrecciate.

Il design deve coprire i 3 livelli: viscerale, comportamentale e riflessivo


Per il progettista il livello riflessivo è forse il più importante dei 3. La riflessione è conscia e le emozioni che
si producono a questo livello sono le più durature. Le risposte riflessive sono anche parte integrante del
ricordo degli eventi. È la riflessione che ci induce a consigliare un prodotto, a raccomandarne l’uso o a
sconsigliarlo. I 3 livelli di elaborazione agiscono insieme e svolgono tutti un ruolo essenziale nel determinare
l’apprezzamento di un prodotto o servizio. Il livello comportamentale, che è la sede propria
dell’interazione, lo è anche di tutte le emozioni basate sull’aspettativa. La comprensione nasce dalla
combinazione dei livelli comportamentale e riflessivo. La psicologia dibatte da tempo quale dei 2 aspetti
preceda, se l’emozioni o la cognizione.
I dispositivi mal progettati possono indurre frustazione e rabbia, un senso d’impotenza e disperazione. Un
apparecchio ben progettato da soddisfazione e un senso di piacevole padronanza. I 3 livelli di elaborazione
contribuiscono tutti insieme a determinare il nostro stato emotivo e cognitivo.
I 7 stadi dell’azione e i 3 livelli di elaborazione
Gli stadi dell’azione si possono facilmente collegare ai 3 livelli diversi di elaborazione. Al livello più basso ci
sono gli stati viscerali di calma o di ansia al momento di affrontare un compito o di valutare una situazione.
Al livello intermedio si collocano, sul versante dell’esecuzione, le emozioni suscitate dalle aspettative
(speranza, paura) e, sul versante della valutazione, le emozioni causate dalla conferma o meno delle
aspettative (sollievo, frustrazione). Al livello più alto troviamo le emozioni riflessive, quelle che valutano i
risultati in base ai presunti agenti causali e alle conseguenze, sia immediate, sia di lungo periodo: è a questo
livello che si incontrano soddisfazione e orgoglio, rabbia e vergogna. Uno stato emotivo importante è quello
che accompagna l’immersione totale in un attività, chiamato “flusso”, dove si perde la cognizione del
tempo e dell’ambiente esterno.
Gli essere umani come narratori di storie
Gli essere umani sono per loro natura inclini a cercare le cause degli eventi, a costruire spiegazioni e
racconti. Attribuiamo cause agli eventi, ma sono spesso erronee, chiamando in causa spesso fattori
sbagliati. I modelli concettuali sono una forma di racconto che nasce dalla predisposizione umana a trovare
spiegazioni. Sono fondamentali per aiutarci a capire le esperienze vissute e a gestire eventi inaspettati.
Fondiamo i modelli sulle conoscenze che abbiamo. Alcuni modelli difettosi portano alle frustrazioni della
vita quotidiana. Più gravi sono i modelli difettosi di sistemi complessi: un fraintendimento può provocare
incidenti catastrofici. Il problema del design, è che non ci sono sussidi informativi, non c’è modo di formarsi
il modello concettuale esatto. Anzi, l’informazione fornita mette fuori strada, suggerendo un modello
inadeguato. Ognuno di noi sotruisce delle storie per spiegare quello che ha osservato. In assenza di
informazioni esterne, si da libero corso all’immaginazione, purchè il modello concettuale arrivi a spiegare i
fatti osservati.
Incolpare le cose sbagliate
Si cerca sempre di trovare le cause degli eventi. Vi è una tendenza diffusa a prendersi la colpa degli
insuccessi con gli oggetti d’uso comune. Quando ci si addossa indebitamente la colpa dell’incapacità di far
funzionare un oggetto semplice, è all’opera un modello concettuale difettoso.
Impotenza appresa
Il fenomeno che prende il nome di “impotenza appresa” può servire a spiegare la tendenza a incolpare se
stessi. Si tratta della situazione in cui, di fronte ad un certo compito, si colleziona una serie di insuccessi
ripetuti, cosicchè se ne conclude che il compito è impossibile, almeno per noi: si è ridotti all’impotenza e si
rinuncia a tentare, conducendo all’idea di essere incapaci. La progettazione di tanti oggetti d’uso comune
sembra fatta apposta per garantire quel risultato. Quando hanno difficoltà ad usare un apparecchio, specie
se ritengono che nessun altro ne abbia, le persone incolpano se stesse. Ma il vero colpevole qui è in genere
un difetto di progettazione.
Psicologia positiva
A lungo la psicologia si è concentrata sul lato negativo dell’esperienza umana. Il XXI sec vede nascere una
prospettiva nuova: una psicologia positiva, una cultura del pensiero positivo, un sentirsi soddisfatti di se.
Non riuscire ci insegna qualcosa: impariamo più dai fallimenti che dai successi. Quando le cose vanno male
si può capirne il perché, così da evitarlo in futuro. L’insuccesso è uno strumento di apprendimento. L’errore
è una parte essenziale della ricerca e della creatività.
Incolpare erroneamente se stessi
Le persone si sentono in colpa: cercano di nascondere l’errore o ncolpano la propria “stupidità” o
“goffaggine. Il difetto sta nel progetto , e molti altri commetton lo stesso errore, ma se il compito sembra
semplice o banale la gente continua a prendersi la colpa. L errore umano di solito è l’effetto di una cattiva
progettazione: si dovrebbe parlare piuttosto di “errore di sistema”. Il progettista deve impostare il progetto
in modo da ridurre al minimo le probabilità di errore, usando anche affordance, significanti, vincoli e un
buon mapping, quindi un feedback immediato e comprensibile abbinato a un modello concettuale semplice
e chiaro. Quello che chiamiamo errore è in genere una cattiva comunicazione o interazione. I progettisti
hanno il preciso dovere di far si che il comportamento delle macchine sia comprensibile alle persone.
La parte più difficile del design è far si che le cose funzionino anche quando qualcosa va storto.
I 7 stadi dell’azione: 7 principi fondamentali del design
Lista di domande fondamentali. Ogni stadio d’azione richiede specifiche strategia progettuali. Le domande:
1- Cosa voglio realizzare?
2- Quali sono le sequenze d’azione alternative
3- Quale azione posso fare ora?
4- Come la faccio?
5- Cosa è successo?
6- Cosa significa?
7- Va bene? Ho realizzato il mio scopo?
Chiunque usa un prodotto dovrebbe essere sempre in grado di rispondere a tutte le 7 domande.
L’informazione che serve a rispondere alle domande sull’esecuzione è il feedforward (indica il controllo
predittivo, “in avanti”), quella che aiuta a capire cosa è successo è il feedback. Il feedback è l’informazione
di ritorno che ci fa capire cosa è successo. Il feedforward si realizza mediante l’uso di opportuni significanti,
vincoli e mapping, dove il modello concettuale ha un ruolo importante. Il feedback è dato dall’
informazione esplicita circa l’impatto dell’azione eseguita, anche qui una parte importante la svolge il
modello concettuale. Sia il feedback che forward devono presentarsi in una forma facilmente interpretabile
da chi utilizza il sistema. Si ricavano 7 principi fondamentali del design:
1- VISIBILITA’: è possibili sapere immediatamente quali azioni sono possibili e qual è lo stato attuale
del dispositivo.
2- FEEDBACK: c’è un informazione competa e continua riguardo ai risultati delle azioni e allo stato
attuale del prodotto o servizio. Dopo aver eseguito un azione, è facile determinare il nuovo stato.
3- MODELLO CONCETTUALE: il design fornisce tutta l’informazione necessaria per creare un buon
modello concettuale del sistema, che favorisca la comprensione e la sensazione di controllo.
Potenzia la visibilità e la valutazione dei risultati.
4- AFFORDANCE: affordance corrette sono fatte apposta per rendere possibili le azioni desiderate.
5- SIGNIFICANTI: un uso efficace dei significanti assicura la visibilità e un feedback efficiente e
intelligibile.
6- MAPPING: la relazione tra i comandi e le rispettive azioni obbedisce ai principi del buon mapping,
sostenuto dalla disposizione spaziale e dalla contiguità temporale.
7- VINCOLI: fornire vincoli fisici, logici, semantici e culturali guida l’azione e facilita l’interpretazione.

Il cattivo design, può nascere semplicemente da cattiva comunicazione. Il buon design esige la
considerazione dell’intero sistema.

3-CONOSCENZA NELLA TESTA E CONOSCENZA NEL MONDO


Ogni giorno abbiamo a che fare con un gran numero di oggetti. Si combina la conoscenza che abbiamo in
testa con quella del mondo esterno.
Comportamento preciso con nozioni imprecise
Da una conoscenza imprecisa può nascere un comportamento esatto per 4 ragioni:
1- La conoscenza è dentro la nostra testa e nel mondo esterno: la conoscenza ha sede solo nella testa,
ma gran parte di ciò che dobbiamo sapere per eseguire un compito possiamo ricavarlo
dall’informazione fornita dal mondo esterno. Il comportamento si determina combinando
l’informazione in memoria (nella testa) con quella presente nel mondo.
2- Non si richiede grande precisione
3- Nel mondo esistono vincoli naturali: il mondo limita i comportamenti permessi ogni oggetto ha
caratteri fisici che limitano le sue relazioni con altri oggetti, le operazioni che si possono eseguire su
di esso, il tipo di cose che vi si possono collegare ecc..
4- La conoscenza di vincoli e convenzioni culturali è presente nella nostra testa.

Spesso riusciamo a cavarcela senza danno in situazioni nuove o poco chiare. L’ideale è avere buone
cognizioni ed esperienza nell’uso di un certo dispositivo o servizio, ma un buon design può predisporre nel
prodotto indizi o segnali.
Conoscenza nel mondo
Ogni volta che l’informazione necessaria per eseguire un compito è accessibile nel mondo esterno, la
necessità di apprendimento si riduce. Basta memorizzare le conoscenze sufficienti a sbrigare i nostri
compiti. Per funzionare usiamo 2 tipi di conoscenza: sapere che (conoscenza dichiarativa, comprende la
conoscenza di fatti e regole. È facile da mettere per iscritto e da insegnare.) e sapere come (conoscenza
procedurale, è la conoscenza che permette di suonare uno strumento, di rispondere al servizio nel tennis. È
difficile o impossibile da mettere per iscritto e difficile da insegnare. È in gran parte subconscia e ha sede al
livello comportamentale di elaborazione. Il modo per insegnarla è la dimostrazione, per acquisirla la
pratica). La conoscenza presente nel mondo esterno di solito è facile da assimilare. I progettisti forniscono
un gran numero di sussidi mnemonici. Le persone strutturano l’ambiente in modo tale da ricavare gran
parte dell’informazione necessaria per riuscire a ricordare le cose.
Quando improvvisamente si richiede precisione
Normalmente per i nostri giudizi non abbiamo bisogno di una grande precisione. Basta quel tanto di
informazione esterna e interna sufficiente a rendere non ambigua la decisione. La ricerca psicologica indica
che conserviamo descrizioni molto approssimative delle cose da ricordare, che devono bastare a
distinguere solo tra le alternative che ho davanti. Le confusioni dipendono dalla storia precedente. Quando
cambiano i criteri distintivi, le persone si disorientano e commettono errori, ma col tempo si adatteranno.
I vincoli semplificano la memoria
Vincoli esterni esercitano un rigido controllo sulla scelta lecita delle parole, riducendo il carico della
memoria. Uno dei segreti sta nei vincoli della forma poetica. Tutti facciamo uso di chiari vincoli che servono
a semplificare ciò che deve essere memorizzato. I vincoli strutturali e culturali, da soli, spesso non bastano a
determinare un rimontaggio corretto, ma riducono a dimensioni ragionevoli la quantità di dati da
memorizzare. I vincoli sono strumenti potenti per un designer.
La memoria è conoscenza nella nostra testa
Quando il numero di codici diventa troppo grande, la memoria non ce la fa. Molte di queste combinazioni
esistono soprattutto per rendere più facile la vita alle macchine e ai loro progettisti. La tecnologia oggi ci
evita di dover ricordare tutte queste informazioni arbitrarie e lo fa al posto nostro. Quanto più è complesso
il sistema, tanto meno è sicuro, perché, nell’impossibilità di ricordare tutti questi dati, la gente li scrive.
La sicurezza pone grandi problemi di progettazione, che chiamano in causa sia tecnologie complesse, sia il
comportamento umano.
LA STRUTTURA DELLA MEMORIA
La memoria umana è la conoscenza dentro la nostra testa (conoscenza interna). La memoria del presente è
accessibile all’istante, senza sforzo mentale. Ritrovare il passato è diverso: maggiore sforzo e minore
chiarezza.
2 tipi principali di memoria: MEMORIA A BREVE TERMINE e MEMORIA A LUNGO TERMINE.
Memoria a breve termine o memoria di lavoro
(MBT) conversa le esperienze più recenti, ovvero il materiale al quale si sta pensando in questo momento.
Memoria del presente. L’informazione vi è memorizzata automaticamente e recuperata senza sforzo, ma
può contenere una quantità di informazioni limitatissima (da 5 a 7 voci, aumentabili fino a 10/12 se il
materiale è ripetuto continuamente). Si usa nell’esecuzione di compiti quotidiani. Ma il materiale
conservato è fragile: basta essere distratti da un'altra attività, perché scompaia di colpo. Per ricordare
quantità enormi di materiali, gli specialisti si servono di metodi speciali, la cosiddetta mnemotecnica. La
capacità della memoria a breve termine dipende molto dalla familiarità del materiale. Per migliorare
l’efficienza della memoria di lavoro, il modo migliore è presentare le diverse informazioni in modalità
diverse: vista, suono, tatto, gesti.
Memoria a lungo termine
(MLT) è memoria del passato. Ci vuole tempo per riporre le informazioni in questa memoria, e tempo e
sforzo per recuperarle. Il sonno ha un ruolo importante per consolidare il ricordo delle esperienze del
giorno. Un meccanismo possibile è quello del ripasso. Si ha una ricostruzione della conoscenza, ma può
essere soggetta a distorsioni. Una grossa difficoltà con la memoria a lungo termine è l’organizzazione.
Categorie importanti:
- Memoria di cose arbitrarie: gli elementi da ritenere sembrano accidentali, privi di significato e di
relazione gli uni con gli altri o con altre cose già note. Memoria di cose che non presentano un
significato o una struttura sottostante. La conoscenza arbitraria si può classificare come il fatto puro
e semplice di ricordare che cosa va fatto, senza basarsi su una comprensione del perché o su una
qualche struttura interna (memorizzare l’alfabeto, imparare ad allacciarsi le scarpe).
- Memoria di cose significative: gli elementi da memorizzare sono legati da relazioni significative tra
loro o con altre cose già note.
Il modo più efficace per aiutare le persone a ricordare è rendere superflua la memorizzazione.
Modelli approssimativi: la memoria nel mondo reale
Il pensiero conscio richiede tempo e risorse mentali. Le abilità ben assimilate aggirano l’esigenza di
sorvegliare e controllare di continuo le operazioni: il controllo conscio è richiesto soltanto durante
l’apprendimento iniziale e quando si devono affrontare situazioni inattese.
Un modo semplice di migliorare la memoria e la precisione è scrivere le cose. La mente umana senza sussidi
esterni è sorprendentemente limitata: sono le cose a moltiplicarne le potenzialità.
Teoria scientifica e pratica quotidiana
Il modello semplificato della memoria a breve termine, benché scientificamente sbagliato, offre indicazioni
utili per il design.
La conoscenza nella nostra testa
La conoscenza contenuta nel mondo esterno, è uno strumento prezioso per la memoria, ma solo se è
disponibile nel posto e momento giusto. Altrimenti dobbiamo usare la conoscenza contenuta nella nostra
testa. Una memoria efficace si serve di tutti gli indizi accessibili, conoscenza interna ed esterna.
Quanto più è facile registrare l’informazione appena ascoltata, tanto meno probabili saranno gli errori di
memoria.
Promemoria: memoria del futuro
Memoria prospettica indica il compito di ricordarsi di fare qualcosa in un momento futuro e memoria del
futuro indica la capacità di fare programmi e prefigurare scenari a venire.
Si deve conservare in testa la conoscenza. Se l’evento è importante ritornerà in mente di continuo.
Ci sono 2 aspetti diversi in un promemoria: il segnale e il messaggio. Nel rammentarci qualcosa dobbiamo
distinguere tra il segnale (sapere che devo ricordarmi di qualcosa) e il messaggio (ricordare l’informazione
stessa). Il promemoria ideale deve avere entrambe le componenti.
Pro e contro nello scambio tra conoscenza nel mondo e nella testa
L’informazione nel mondo e nella testa sono entrambe essenziali. Ma possiamo scegliere se affidarci più
all’una o all’altra. Questa scelta esige uno scambio: ottenere i vantaggi della conoscenza esterna significa
perdere i vantaggi della conoscenza interna. La conoscenza nel mondo esterno funge da promemoria di se
stessa. Può aiutarci a ritrovare strutture che altrimenti dimenticheremmo. La conoscenza che abbiamo in
testa è efficiente: non c’è bisogno di esplorare e interpretare l’ambiente esterno. Ma per utilizzare questa
informazione dobbiamo averla immagazzinata ed essere in grado di recuperarla. La conoscenza dislocata
nel mondo non richiede apprendimento, ma può essere più difficile da usare, e dipende dalla presenza
fisica dell’informazione: se si cambia ambiente l’informazione può andare perduta.
I promemoria sono un buon esempio degli scambi compensatori tra conoscenza interna ed esterna.
L’informazione esterna è accessibile: si rammenta da sé, è sempre li. La conoscenza contenuta nella mente
invece è effimera: ora c’è, più tardi non c’è più. Non possiamo contare sul fatto che qualcosa sia presente
nella nostra mente in qualunque momento dato, a meno che non sia richiamato da un evento esterno o ci
sforziamo di tenerlo a mente con la ripetizione.
Memoria distribuita tra molte teste e molti apparecchi
Quando si tratta di ricordare le cose bene è efficiente la collaborazione. “memoria transattiva”.
La collaborazione tra gli esseri umani e la tecnologia ci rende più intelligenti, più forti. Oggi si ha una
dipendenza dalla tecnologia più grande che mai.
IL MAPPING NATURALE
Il mapping dimostra quanto sia efficace combinare i 2 tipi di conoscenza interna ed esterna.
Un mapping naturale è quello in cui la relazione tra i comandi e le funzioni comandate è ovvia. A seconda
delle circostanze, utilizzerà indicazioni spaziali. Ecco 3 livelli di mapping, in ordine decrescente di efficacia:
- Ottimale: i comandi sono montati direttamente sull’oggetto comandato;
- Seconda scelta: i comandi sono il più possibile vicini all’oggetto comandato;
- Terza possibilità: i comandi sono disposti nella stessa configurazione spaziale degli oggetti
comandati.
L’assenza di significanti è un difetto vero. Con un mapping naturale, la relazione è totalmente contenuta
nel mondo esterno , riducendo l’impegno della memoria. Con un mapping sbagliato, invece, le relazioni
vanno memorizzate, con maggiore sforzo mentale ed errori più frequenti. Attivare il comando sbagliato può
produrre disastri economici o incidenti mortali. Qualunque problema incontriate è colpa del design
sbagliato, non vostra!

Cultura e design: il mapping naturale può variare da una cultura all’altra


Non esistono soluzioni giuste o sbagliate: tutto dipende dal punto di vista.

4-SAPERE COSA FARE: VINCOLI, VISIBILITA’ E FEEDBACK


L’insieme di conoscenze che troviamo nel mondo comprende le affordance e i significanti visibili; quella che
abbiamo in testa comprende i modelli concettuali, i vincoli culturali, semantici e logici.
4 tipi di vincolo: fisico, culturale, semantico e logico; sono universali. I vincoli sono indizi potenti, che
limitano l’insieme delle azioni possibili. L’uso intelligente di vincoli in sede di design permette alle persone
di decidere il giusto corso d’azione.
4 TIPI DI VINCOLI: FISICI, CULTURALI, SEMANTICI E LOGICI
Li usiamo continuamente nei lavoretti di riparazioni domestiche.

Norme culturali, convenzioni e standard


Ogni cultura ha le sue convenzioni. Le convenzioni sono una forma di vincolo culturale, associato al modo di
comportarsi. A volte le convenzioni sono codificate in standard internazionali o in norme di legge.
Affordance, significanti e vincoli negli oggetti quotidiani
Affordance, significanti e vincoli possono semplificare il nostro incontro con gli oggetti d’uso comune.
L’assenza di questi indizi è causa di numerosi problemi. Quando un dispositivo semplice come una porta
deve essere accompagnato da un manuale di istruzioni, c’è un difetto: cattivo design!

La mancanza di una comunicazione chiara tra le persone e le ditte che costituiscono le varie parti di un
sistema è forse la causa più comune di progetti confusi e complicati. Un design efficace deve partire
dall’attenta osservazione di come sono eseguite nella realtà le operazioni supportate dal sistema, in modo
da farvi corrispondere il suo funzionamento. L’espressione tecnica per indicare questo metodo è “task-
analysis”. Il nome dell’intero procedimento progettuale è HCD (human-centered design), o design
antropocentrico.
Comandi centrati sull’attività
Quando è ben progettata, con un’analisi dettagliata delle attività da svolgere, la corrispondenza univoca tra
i comandi e tipo di attività funziona benissimo.
Vincoli che obbligano al comportamento voluto
Funzioni obbliganti: sono una forma di vincolo fisico: situazioni in cui le azioni sono vincolate in modo che
un passaggio mancato impedisce di procedere al successivo. Sono il caso estremo di vincoli per impedire un
comportamento indesiderato. Nel campo della sicurezza, le funzioni obbliganti si presentano sotto altri
nomi: 3 di questi metodi sono:
- Interlock: obbliga a eseguire le operazioni nella sequenza dovuta.
- Lock-in: mantiene attiva una funzione impedendo che qualcuno la interrompa prematuramente.
Può essere un vero e proprio recinto chiuso, che impedisce fisicamente di uscire. (impedisce di
uscire dal programma senza salvare il lavoro).
- Lockout: impedisce l’ingresso in uno spazio pericoloso o impedisce che succeda qualcosa.
CONVENZIONI, VINCOLI E AFFORDANCE
Le affordance riguardano le azioni possibili con un certo oggetto, evidenti purché l’affordance sia
percepibile: abbiamo l’affordance percepita. Il significante è quell’aspetto dell’affordance percepita che ci
permette di decidere quale sia esattamente l’azione da eseguire. In molti casi avviene attraverso
convenzioni.
Le convenzioni sono vincoli culturali: le convenzioni sono diversissime nelle varie culture. Offrono un utile
guida nelle situazioni nuove, ma ostacolano l’introduzione di cambiamenti.
La gente protesta e si lamenta ogni volta che in un insieme di prodotti viene introdotto un sistema che viola
le convenzioni e richiede un nuovo apprendimento: i pregi della novità non contano. È il cambiamento che
disturba.
Principi di design: presenza di affordance percepibili e significanti, visibilità, immediatezza del feedback.
Infine, molti convergono al principio dei casi disperati: se tutto il resto non funziona, standardizzare
(quando nessun’altra soluzione sembra possibile, progettare tutto al solito modo, così che gli utenti
debbano impararlo una volta sola). Gli standard devono rispecchiare il modello concettuale. Gli standard
semplificano la vita a tutti, ma tendono a ostacolare lo sviluppo.
Usare i suoni come significanti
A volte è impossibile rendere visibile tutto quello che si vorrebbe. Qui entra in scena il suono: il suono può
fornire informazioni che non sarebbero accessibili in nessun altro modo. Il suono ci dice che le cose
funzionano bene, o che hanno bisogno di manutenzione o riparazioni. Può anche salvarci dagli incidenti.
I suoni naturali, sono essenziali come l’informazione visiva, perché ci rivelano cose invisibili, o cose che ci
sfuggirebbero. Quei suoni riflettono l’interazione complessa di oggetti naturali. I materiali quando
interagiscono generano suoni, e questi suoni ci dicono qualcosa. Il suono però, oltre che aiutare, può
distrarre e infastidire. Uno dei pregi del suono è che si nota anche quando l’attenzione è rivolta altrove, ma
è anche un difetto poiché spesso è invadente. L’idea di utilizzare il canale uditivo per trasmettere segnali è
importante ed efficace. Assenza di rumore può significare assenza di informazione e il silenzio può essere
un guaio.
Quali sono i principi che devono guidare la progettazione dell’apparato sonoro dei veicoli elettrici (o ibridi)?
Il suono deve corrispondere a vari criteri: allerta, orientamento, scarso inquinamento acustico,
standardizzazione/individualizzazione.

5-ERRORE UMANO? NO, CATTIVA PROGETTAZIONE


La maggior parte degli incidenti industriali è causata da “errore umano”. Ma il problema è della
progettazione.
Capire perché nasce l’errore
Gli errori avvengono per molteplici ragioni. La più comune è che le procedure richiedono comportamenti
innaturali. Le interruzioni sono una causa comune di errore. Ma forse il maggior responsabile è
l’atteggiamento della gente verso l’errore. Quando accade un errore dovremo capirne il perché e
ridisegnare il prodotto o le procedure in modo che non si ripeta.
Analisi delle cause profonde
Root case analysis, ovvero analisi della cause profonde, è il nome di questo gioco: indagare l’incidente
finché non si trova la singola causa che ne è all’origine. Ma troppo spesso il processo si ferma non appena si
scopre che una persona ha agito in maniera impropria: ma dovremo scoprire cosa lo ha prodotto, perché
l’errore è accaduto e cosa si può fare per prevenirlo.
I cinque perché
L’analisi delle cause profonde mira a determinare la causa prima di un evento, non la causa immediata. In
Giappone da tempo si usa a questo scopo una procedura detta dei “cinque perché”, oggi molto diffuso.
Significa che quando si cerca la ragione di un evento non ci si ferma dopo averne trovata una, ma ci si
continua a domandare perché, fino a che non si trovano le vere cause di fondo. Ma ciò non garantisce il
successo. C’è sempre la tendenza a fermarsi troppo presto.
Se il sistema ci lascia sbagliare, è mal progettato! Se poi ci induce a sbagliare, è progettato malissimo!
Sbagliamo perché il design si concentra sulle esigenze del sistema e delle macchine, non sulle nostre.
Una causa importante d’errore è la fretta, il tempo spesso è cruciale.
Violazioni deliberate
Gli esseri umani sbagliano non solo per errore: a volte corrono rischi consapevoli. Quando il risultato è
positivo, spesso sono ricompensati, quando è negativo possono essere puniti. Nello studio degli incidenti
hanno una parte importante. Deviazioni intenzionali dalle regole sono responsabili di molti sinistri. Si tratta
dei casi in cui una persona contravviene intenzionalmente alle procedure e alle norme. Si hanno violazioni
sistematiche quando il mancato rispetto delle norme è talmente frequente che nessuno ci fa caso. In alcuni
casi, l’unico modo di portare a termine un compito può essere violare una norma o una procedura. Una
delle cause principali del fenomeno è l’irrazionalità di norme e procedure che non solo permettono, ma
incoraggiano le trasgressioni. Quel che è peggio è che i buoni risultati ottenuti violando le regole possono
procurare lodi e ricompense, cosa che rinforza la trasgressione.
DUE TIPI DI ERRORE: LAPSUS ED ERRORI COGNITIVI
Si definisce “errore umano” ogni deviazione dal comportamento “appropriato”, ogni comportamento che si
discosta da quello generalmente accettato come giusto o adeguato. Errore è il termine generale per tutte le
azioni sbagliate. 2 categorie principali: lapsus e gli errori cognitivi, suddivise a loro volta in 2 o 3 sottoclassi.
LAPSUS: si ha un lapsus quando si intende eseguire un azione e si finisce per fare qualcos’altro. L’azione
eseguita non è quindi quella voluta. Accade ai livelli inferiori. Ci sono 2 tipi principali:
- Lapsus d’azione: si esegue un azione sbagliata
- Lapsus di memoria: si dimentica di eseguire l’azione o di valutarne i risultati.
ERRORI COGNITIVI: si ha un errore cognitivo quando è sbagliato lo scopo o il piano d’azione: da quel
momento in poi le azioni fanno parte dell’errore essendo di per sé inappropriate, in quanto parte di un
progetto sbagliato. Qui l’azione corrisponde all’intenzione: è l’intenzione che è sbagliata. Nascono da
decisioni consapevoli, e avvengono ai livelli cognitivi più alti. 3 tipi:
- Regola sbagliata: In un errore fondato sull’applicazione della regola sbagliata, la diagnosi della
situazione è giusta, ma poi si sceglie un corso d’azione inadeguato, seguendo una regola operativa
errata.
- Conoscenza sbagliata: a essere sbagliata è la diagnosi stessa della situazione.
- Dimenticanza: si hanno quando ci si dimentica qualche passaggio al momento di fissare gli obiettivi,
di eseguire la procedura o di valutarne i risultati.
Gli errori si possono inquadrare in riferimento ai 7 stadi del ciclo dell’azione.
CLASSIFICAZIONE DEI LAPSUS
La maggior parte degli errori di ogni giorno sono lapsus: si vuol fare una cosa e ci si trova a farne un’altra. I
lapsus non si scoprono se non c’è un informazione di ritorno. Dipendono dalla disattenzione, capitano più
spesso agli esperti, perché tendono a eseguire i compiti in maniera automatica. Certi lapsus dipendono da
somiglianza tra le azioni. ci sono molti tipi diversi di lapsus, che si possono classificare in base al
meccanismo che li origina:
- Lapsus di cattura: si definisce come la situazione in cui al posto dell’attività voluta se ne esegue
un’altra, più frequente o eseguita poco prima, che la cattura. Compare quando 2 diverse sequenze
d’azione hanno in comune gli stadi iniziali, se una sequenza è insolita e l’altra abbondantemente
ripetuta. Sono errori per dimenticanza parziale. È più frequente negli esperti.
- Lapsus per somiglianza: l’errore consiste nell’agire su un’ elemento che è simile all’obiettivo. Ciò
avviene quando la descrizione dell’obiettivo è abbastanza vaga. Si esegue l’azione giusta
sull’oggetto sbagliato. Tanto più sono comuni tanto più è probabile l’errore.
- Lapsus per dimenticanza: sono molto diffusi. La causa più frequente sono le interruzioni. Molto
spesso l’interferenza viene dalle macchine stesse che usiamo.
- Errori di modalità: avvengono quando un dispositivo ha più modalità di funzionamento, cioè stati
diversi, in cui gli stessi comandi hanno funzioni diverse. I progettisti, se possibile, dovrebbero
evitare i comandi multifunzione, ma se questi sono inevitabili è necessario che il dispositivi mostri
chiaramente qual è la modalità selezionata.
CLASSIFICAZIONE DEGLI ERRORI COGNITIVI
Gli errori cognitivi nascono dalla scelta di scopi e piani d’azione inadeguati, oppure dal confronto errato tra
risultati e scopi. Si hanno 3 modalità di comportamento: comportamento basato sulle abilità (quando gli
operatori sono molto qualificati, così da poter eseguire i compiti di routine senza particolari ragionamenti o
attenzione. La forma più comune di errori sono i lapsus), sulle regole (si ha quando la routine abituale non è
applicabile, ma la nuova situazione è conosciuta e quindi è già prevista una procedura precisa, cioè una
regola. Gli errori possono essere sia lapsus sia errori cognitivi), e sulla conoscenza (si hanno quando
capitano eventi insoliti, dove è necessario uno sforzo di ragionamento e soluzione dei problemi, per
sviluppare piani d’azione, metterli alla prova e applicarli e modificarli. Qui sono essenziali i modelli
concettuali).
Gli errori gravi possono dipendere da una diagnosi erronea, per cui si applica la regola sbagliata.
Errori nell’applicazione delle regole
Quando si presentano problemi semplici o si devono chiamare in causa nuove procedure, il
comportamento degli operatori si basa sull’applicazione di regole. Tutto quello che c’è da fare è riconoscere
la situazione, scegliere la regola giusta e applicarla. Sono difficili da applicare e da scoprire. Nelle situazioni
complesse il problema è proprio l’eccesso di informazione: informazione a favore e contro la decisione
presa. La sfida, per i progettisti, è presentare l’informazione circa lo stato del sistema, in modo che sia facile
da acquisire e interpretare, oltre a fornire spiegazioni e interpretazioni alternative.
Errori basati sulla cognizione: il comportamento basato sulla conoscenza interviene quando la situazione è
talmente nuova che non esistono abilità consolidate o regole prestabilite che permettono di affrontarla. Si
deve ideare una procedura nuova. Il comportamento fondato sulla conoscenza è governato al livello
riflessivo, ed è quindi consapevole e lento.
Errori per dimenticanza
Le dimenticanze possono dar luogo a errori cognitivi se a essere dimenticati sono lo scopo o il piano
d’azione. Una causa comune sono le interruzioni. La conseguenza è un vero e proprio errore cognitivo. In
sede di progettazione si deve partire dall’idea che l’operatore può essere interrotto durante l’attività e può
avere bisogno di aiuto al momento di riprenderla.
Pressioni sociali e istituzionali
Un fattore che sembra spesso coinvolto negli incidenti è la pressione sociale, che ha un grande peso nel
comportamento quotidiano. Può causare interpretazioni sbagliate, errori e incidenti. Di fronte a problemi
nuovi che chiamano in causa le funzioni cognitive, è necessario un complesso processo di problem- solving.
Nei contesti commerciali la pressione a non interrompere le operazioni è immensa, date le perdite che può
comportare la fermata del sistema. Le pressioni sociali sono continuamente in azione, ma sono difficili da
documentare poiché gli interessati e le organizzazioni sono riluttanti ad ammetterle, cosicché lo si tiene
nascosto. Le pressioni sociali si possono vincere, ma sono potenti e diffuse. La buona progettazione da sola
non è sufficiente. Dobbiamo mettere la sicurezza al primo posto. È utile che le attrezzature rendano espliciti
e visibili i potenziali pericoli. Il colpevole, quasi sempre, è il progetto!
La checklist: elenchi da spuntare voce per voce, sono strumenti assai utili, di cui è dimostrata l’efficienza nel
ridurre gli errori, in particolare lapsus e dimenticanze. Sono importanti nelle situazioni che esigono molte
operazioni complesse, e ancor più se ci sono interruzioni. La resistenza alle checklist si è rivelata
particolarmente forte da parte dei medici. Bisogna procedere per tentativi e perfezionamenti progressivi,
ispirandosi ai principi della progettazione antropocentrica. Molte obiezioni correnti, sono rivolte a checklist
mal progettate. È cattivo design imporre una sequenza preordinata a compiti che non la richiedono. Questo
è uno dei vantaggi principali delle checklist elettroniche.
DENUNCIARE GLI ERRORI
Se gli errori vengono notati, è possibile evitarne le conseguenze. Ma non tutti gli errori sono facili da
scoprire. Le pressioni sociali spesso inducono a non ammettere i propri errori. Le organizzazioni in genere
non rivelano volentieri gli errori dei propri dipendenti, ma è un atteggiamento controproducente. Il solo
modo per ridurre la frequenza degli errori, è ammetterne l’esistenza, studiarli e mettersi in condizione di
intervenire per prevenirli in futuro. Lo scopo è capire come è avvenuto l’errore e cambiare le cose per
evitare che si ripeta. È impossibile eliminare gli errori se non sappiamo quali sono.
INDIVIDUARE L’ERRORE
Gli errori non necessariamente causano danni, purché scoperti in tempo. In generale, i lapsus d’azione si
scoprono con relativa facilità, molto meno gli errori cognitivi, perché in genere non c’è nulla che segnali la
scelta sbagliata di uno scopo e di un piano d’azione. Le dimenticanze sono lapsus più difficili da individuare
esattamente perché non c’è nulla da vedere: semplicemente, una certa azione non è stata eseguita.
Quando una dimenticanza causa un errore cognitivo, salta l’intero piano d’azione.
La tendenza a minimizzare e razionalizzare: per scoprire che un interpretazione è sbagliata può volerci del
tempo. La tendenza a minimizzare, trovando spiegazioni di comodo, è un problema comune negli incidenti
che coinvolgono grossi interessi economici. Per lo più l’incidente è preceduto da segnali d’allarme: fatti
insoliti o cattivo funzionamento di qualche apparato. Spesso si presenta una serie di guasti ed errori
apparentemente sconnessi, che culmina in un disastro.
Retrospettivamente gli eventi sembrano logici: il contrasto tra l’interpretazione prima e dopo un evento può
essere nettissimo. Nelle spiegazioni retrospettive, gli eventi sembrano ovvi, mentre prima dell’evento erano
del tutto imprevedibili. Non conoscendo l’esito effettivo della situazione, ben pochi riuscivano a prevederlo.
PROGETTARE IN VISTA DELL’ERRORE
È relativamente facile progettare in vista di una situazione in cui tutto va bene, il dispositivo viene usato
come si deve e non sopravvengono imprevisti. Il difficile è progettare in vista dei casi in cui le cose vanno
storte. Le macchine non sono così intelligenti da cogliere il senso delle nostre azioni, ovviamente. Se
l’operatore fa uno sbaglio, la macchina lo esegue anche se è molto pericoloso. Ciò ha provocato tragici
incidenti. Sarebbero bastati semplici “controlli di ragionevolezza”. È facile sbagliare, ma difficile o
impossibile scoprire l’errore e rimediarvi. Ecco come evitarlo: 1- capire le cause di errore e progettare in
modo da ridurle; 2- prevedere controlli di ragionevolezza; 3- permettere di annullare le azioni sbagliate; 4-
facilitare la scoperta degli errori e la loro correzione; 5- non stigmatizzare l’errore, ma aiutare a completare
bene la procedura.
La pratica del multitasking, in cui deliberatamente si eseguono insieme diversi compiti, è considerata
erroneamente un modo efficiente di aumentare la produttività, ma in realtà dimostra un deterioramento
delle prestazioni, un aumento degli errori e un calo della qualità ed efficienza.
Lezioni di design dallo studio degli errori: si possono ricavare diversi insegnamenti:
-AGGIUNGERE VINCOLI PER BLOCCARE GLI ERRORI: la prevenzione degli errori implica spesso l’aggiunta di
vincoli specifici. Nel mondo fisico, ciò si può ottenere mediante l’uso intelligente di forme e grandezze.
-MESSAGGI DI CONFERMA E DI ERRORE: numerosi sistemi cercano di impedire gli errori chiedendo
conferma prima dell’esecuzione di un comando, soprattutto se l’azione distrugge del materiale importante.
Purtroppo questi messaggi compaiono nel momento sbagliato. La richiesta di conferma sembra un inutile
fastidio anziché un controllo di sicurezza, perché l’attenzione dell’utente è concentrata sull’azione che sta
eseguendo e non sul materiale che ne è oggetto. Quello che conta è rendere evidenti quali sono le
conseguenze dell’azione. La mia risposta dipende dalla natura del mio sbaglio: se è stato un semplice
lapsus, la richiesta di conferma sarà utile, ma se è stato un errore cognitivo, tenderò a ignorare il
messaggio. I messaggi di avvertimento sono inefficaci contro gli errori cognitivi. In sede di progettazione si
può: rendere più evidente il materiale su cui si agisce e rendere l’operazione reversibile.
Controlli di ragionevolezza: i sistemi elettronici hanno un altro vantaggio su quelli meccanici: possono fare
una verifica per assicurarsi che l’operazione richiesta sia sensata.
Ridurre al minimo i lapsus: i lapsus accadono soprattutto quando la mente conscia è distratta, da qualche
altro evento o semplicemente perché l’azione da compiere è talmente assimilata da poter essere eseguita
in maniera automatica, senza un’attenzione consapevole. I comportamento più abili però, avvengono a
livello subconscio, sono cioè rapidi, privi di sforzo e di solito esatti. Molti lapsus si possono evitare facendo
si che le varie operazioni e i rispettivi comandi siano il più possibile dissimili, o almeno fisicamente
distanziati. Il modo migliore di attenuare i lapsus è fornire un chiaro feedback circa l’attività in corso e il
nuovo stato che ne risulta, insieme a un meccanismo che permetta di azzerare l’errore. ma le pratiche
correnti nella progettazione architettonica sembrano fatte apposta per causare lapsus.
Il messaggio importante è che una buona progettazione può prevenire lapsus ed errori cognitivi. Il design
può salvare la vita.
Il modello del gruviera nella genesi degli incidenti: per fortuna la maggior parte degli errori non causa un
incidente. I sistemi ben progettati hanno buone capacità di recupero che ne impediscono il collasso. È per
questo che i tentativi di trovare la causa di un incidente sono generalmente destinati al fallimento. Per
causare l’incidente, tutti gli elementi devono essere allineati (es. metafora fette di formaggio con i buchi).
Di solito non c’è una singola causa, ed è vano trovarne solo una. Si deve capire il sistema e proporre
cambiamenti che evitino in futuro il ripetersi della stessa sequenza d’eventi. Vari mori per prevenire gli
incidenti: aumentare il numero di fette (cioè predisporre più linee di difesa); ridurre il numero dei buchi
(ridurre i punti critici dove l’errore può avvenire), o farli più stretti; allertare gli operatori quando vari buchi
sono allineati. Dobbiamo riflettere sui sistemi e su tutto ciò che conduce all’errore umano e quindi
all’incidente. Bisogna aumentare le precauzioni contro l’errore.
QUANDO IL BUON DESIGN NON BASTA
Quando davvero è colpa delle persone: naturalmente a volte è la persona che sbaglia.
PROGETTAZIONE ELASTICA E SOSTENIBILE
Nell’ambito industriale gli incidenti in grandi sistemi complessi, possono avere un grave impatto, esteso alla
popolazione circostante. La questione è come progettare e gestire i sistemi in modo che possano
ripristinare i servizi con un minimo di danni e disagi. Un approccio importante è il resilience engineering,
una progettazione elastica, sostenibile e capace di recupero, che mira alla creazione di sistemi, procedure,
metodi di gestione e formazione del personale. È un paradigma per la gestione della sicurezza, imperniato
sui modi di aiutare le persone a far fronte con successo a situazioni complesse sotto pressione.
IL PARADOSSO DELL’AUTOMAZIONE
Le macchine stanno diventando più intelligenti, e sono sempre più numerose le operazioni automatizzate.
Quando funziona è meraviglioso, ma quando va in tilt l’impatto è di solito inatteso e quindi pericoloso. Il
suo paradosso è che può sbrigare le operazioni più monotone e noiose, ma entra in crisi di fronte alla
complessità. Quando avviene il guasto, l’operatore umano è fuori gioco.
PRINCIPI DI DESIGN PER FARE I CONTI CON L’ERRORE
Nascono difficoltà quando non consideriamo uomo e macchine come un sistema collaborativo, ma
assegniamo alla macchina tutto ciò che può essere automatizzato, lasciando il resto alla persona. Quello
che chiamiamo “errore umano” spesso non è altro che un’azione inadatta alle esigenze della tecnologia.
Segnala un difetto progettuale. Un design ottimale deve darlo per scontato e cercare di ridurre al minimo le
occasioni di errore. ecco qui i principi chiave di un buon design:
- Collocare nel mondo esterno la conoscenza necessaria, senza pretendere che tutta l’informazione
sia conservata nella memoria;
- Utilizzare il potere dei vincoli naturali e artificiali: fisici, logici, semantici e culturali. Sfruttare
l’efficienza di funzioni obbliganti e mapping naturali;
- Colmare i 2 golfi, dell’esecuzione e della valutazione. Rendere le cose visibili, sia ai fini della
valutazione che dell’esecuzione. Fornire informazioni di feedforward e feedback.

6-PENSIERO PROGETTUALE
Nel design il segreto di una buona progettazione sta nel capire qual è il problema reale.
RISOLVERE IL PROBLEMA GIUSTO
Tutto sta nel risolvere il problema giusto. Un bravo progettista cerca di capire quali sono le vere questioni in
gioco. Non si cerca di trovare una soluzione finché non si è accertato qual è il problema reale, e anche
allora, invece di risolverlo direttamente, ci si ferma a considerare un’ampia gamma di soluzioni potenziali:
solo a quel punto si converge su una proposta precisa. Tutto questo processo prende il nome di “pensiero
progettuale”. È diventato il marchio di fabbrica dei moderni studi di design. Due degli strumenti più efficaci
che hanno a disposizione sono il metodo del design antropocentrico e il modello a doppio rombo del
pensiero divergente-convergente.
Il design antropocentrico, o human-centered-design (HCD) è il processo per far si che il prodotto soddisfi i
bisogni della gente, sia comprensibile e usabile, realizzi i compiti voluti e offra un’esperienza d’uso positiva
e gradevole. Una progettazione adeguata deve soddisfare un gran numero di vincoli e considerazioni, tra
cui la forma, i costi e l’efficienza, l’affidabilità ed efficacia, la comprensibilità e facilità d’uso, un aspetto
attraente e la soddisfazione dell’utente. L’HCD è una procedura per venire incontro a queste esigenze, ma
con particolare attenzione a 2 aspetti: risolvere il problema reale e risolverlo in un modo che corrisponda
alle necessità e capacità umane. Un unico tema: iterazione dei 4 stadi dell’osservazione, generazione,
creazione di un prototipo e verifica. Ma ancor prima c’è un principio sovrastante: risolvere il problema
giusto. Ciò da luogo alle 2 fasi del processo: trovare il problema, trovare la soluzione (“doppio rombo”).
IL MODELLO DEL DESIGN A DOPPIO ROMBO
Il lavoro del designer spesso comincia mettendo in discussine il problema che gli è stato sottoposto. Si ha
un doppio schema divergenza-convergenza (modello di processo a doppio rombo). Il processo si articola in 4
fasi: “scoperta” e “definizione”, le 2 fasi divergente e convergente per trovare il problema reale, “sviluppo”
e “consegna”, le 2 fasi divergente e convergente per trovare la soluzione giusta. Questo alternarsi ripetuto
di divergenza/convergenza è importante per determinare qual è il vero problema da risolvere e poi
individuare la soluzione migliore.
Si parte da un idea, e nella fase iniziale di ricerca si usa il pensiero divergente per esplorare tutte le
questioni fondamentali. Solo allora è tempo di convergere sul sottostante problema reale. Allo stesso
modo, si usano gli strumenti di ricerca per esplorare una vasta gamma di soluzioni prima di convergere su
una sola.
IL PROCESSO DEL DESIGN ANTROPOCENTRICO
Il doppio rombo descrive le 2 fasi della progettazione: trovare il problema giusto e soddisfare i bisogni
umani. Nella pratica, entra in gioco il design antropocentrico, dove si distinguono 4 attività diverse:
1-osservazione; 2-ideazione; 3-prototipo; 4-verifica.
Queste 4 attività sono ripetute più volte, ottenendo ad ogni nuovo ciclo idee nuove e un avvicinamento alla
soluzione desiderata.
OSSERVAZIONE: si fa una “ricerca progettuale”. Un indagine sul campo per conoscere i potenziali clienti,
osservarne le attività e cercare di capire quali sono le loro motivazioni, i loro interessi e bisogni reali. Si fa
l’osservazione nell’ambiente naturale, nel contesto della vita quotidiana, dovunque il prodotto o servizio in
questione dovrà essere usato. Le specifiche progettuali devono tener conto di entrambi i fattori: marketing
(acquisto; vogliono sapere cosa la gente compra, capire come prende le decisioni d’acquisto), e design (uso
del prodotto; cogliere il comportamento reale dell’utente, sapere di cosa ha bisogno e come userà il
prodotto o servizio).
IDEAZIONE: il passo successivo è generare possibili soluzioni, generare idee. Si può ripetere per entrambi gli
stadi del doppio rombo. Qui è cruciale la creatività. Ci sono molti modi di produrre idee, che rientrano per
lo più sotto la rubrica “brainstorming”, cui le regole principali sono 2: generare molte idee; esser creativi
senza tener conto dei limiti e mettere tutto in discussione.
PROTOTIPO: Il solo modo per sapere se un’idea è ragionevole è metterla alla prova: costruire rapidamente
un prototipo o un modello simulato di ogni possibile soluzione.
VERIFICA: si fa usare il prototipo ad un piccolo gruppo che corrisponda il più possibile alla popolazione cui è
destinato il prodotto. Le condizioni d’uso imiteranno al massimo quelle reali. Si analizzano i risultati, si
perfeziona il prototipo e si ripete la proceduta.

ITERAZIONE
L’iterazione nel design antropocentrico serve a permettere un perfezionamento progressivo. Lo scopo è
mettere a punto rapidamente dei prototipi e sottoporli a verifica. Gli sbagli devono essere concepiti come
“esperienze di apprendimento”. Bisogna fare studi e verifiche ripetute per indovinare i requisiti giusti.
Design antropocentrico: design centrato sull’attività: l’attenzione concentrata sulle persone è un tratto
caratteristico del design antropocentrico. Bisogna concentrarsi non sulla singola persona, ma sulle attività,
perché le attività umane sono tendenzialmente simili in tutto il mondo. Quindi è un design centrato sulla
persona, ma più adatto a popolazioni ampie e non omogenee.
Design iterativo o stadi lineari: il processo tradizionale di progettazione è lineare, il cosiddetto metodo a
cascata: il movimento avviene in un’unica direzione e, una volta prese le decisioni, tornare indietro è
difficile o impossibile. Ciò contrasta col metodo iterativo del design antropocentrico, dove il processo è
circolare, con perfezionamenti continui, continui cambiamenti e percorsi a ritroso per ripensare le decisioni
iniziali. È adatto soprattutto per le fasi iniziali della progettazione.
La parte più difficile nello sviluppo di prodotti complessi è il management: organizzare, far comunicare e
sincronizzare tutte le persone

Due sole sono le molle che guidano la creazione di nuovi prodotti: 1- aggiungere funzioni accessorie per
tenere il passo con la concorrenza; 2- aggiungere funzioni imposte da una nuova tecnologia.
Legge di Norman dello sviluppo del prodotto: il giorno stesso in cui parte, il processo di sviluppo di un
prodotto è in ritardo sui tempi e fuori bilancio. Il lancio di un prodotto è sempre accompagnato d una
previsione di tempi e costi. Ci vuole tempo anche soltanto per far partire il progetto. Nello sviluppo di un
prodotto è coinvolta un incredibile miscela di discipline, e deve piacere ai consumatori e attirarne di nuovi.
Ognuna delle discipline interessate ha una visione diversa del prodotto, spesso in contrasto col punto di
vista degli altri. Lo scontro tra discipline diverse si può risolvere con gruppi di lavoro multidisciplinari, dove
si impara a capire e rispettare le reciproche esigenze: se tutti capiscono il punto di vista di tutti, è possibile
ideare soluzioni creative capaci di soddisfare la maggior parte delle esigenze. Le squadre multidisciplinari,
grazie alla migliore comunicazione e collaborazione, spesso permettono di risparmiare tempo e denaro.

LA SFIDA DEL DESIGN


Fare del buon design non è facile. Il design mira soprattutto ad accertare i reali bisogni della gente e
soddisfarli, mentre il marketing si preoccupa di capire cosa effettivamente la gente comprerà. Ciò di cui le
persone hanno bisogno e quello che comprano sono 2 cose diverse, ma entrambe importanti. Per creare
buoni prodotti non bastano le competenze specialistiche: ci vuole un’organizzazione armoniosa,
collaborativa e rispettosa, capace di funzionare. Il processo del design deve tenere conto di numerosi
vincoli.
Un prodotto ha molti requisiti, spesso in conflitto: il progettista deve soddisfare i suoi clienti, che non
sempre sono gli utenti finali. In alcune situazioni il fattore dominante è il costo. Il designer ha bisogno di
conoscere il cliente e in molti casi questo è chi acquista il prodotto, non chi lo usa di fatto: è importante
studiare e comprendere entrambi. Se tutte le esigenze fossero note fin dall’inizio, si potrebbero trovare
soluzioni ben più soddisfacenti.
Il design è un’attività complessa, ma l’unica maniera per metterla insieme, è che tutte le parti interessante
facciano un lavoro di squadra. La progettazione deve tener conto delle vendite e del marketing, di
manutenzione e assistenza, di sviluppo tecnico e fabbricazione, di costi e scadenze.
Progettare per persone speciali: il progettista deve tirar fuori un prodotto unico buono per tutti. La persona
media non esiste. Antropometria fisica è il nome della disciplina. Il progettista può quindi cercare di
soddisfare le esigenze di misura di quasi tutti, fino al 90°, 95° o addirittura 99° percentile. A volte è
impossibile produrre un articolo che si adatti a chiunque, per cui la soluzione è costruirne versioni diverse.
Il problema dello stigma: molti attrezzi pensati per venire incontro alle persone con difficoltà fanno fiasco, i
destinatari li rifiutano. Molti evitano degli oggetti, anche se ne avrebbero bisogno, a causa dello stigma,
dell’immagine negativa che queste cose proiettano. Fra tutti il più sgradito è il deambulatore: un attrezzo
brutto, che denuncia a gran voce “disabile”. Una progettazione che tenga conto delle persone con bisogni
speciali è spesso chiamata “design inclusivo o universale”. La soluzione migliore del problema di progettare
per tutti è la flessibilità: flessibilità nella grandezza delle immagini sullo schermo del computer, nella
grandezza, altezza e inclinazione di tavoli e sedie. Le soluzioni flessibili offrono una possibilità alle persone
con esigenze particolari.
LA COMPLESSITA’ è UN BENE: E’ LA CONFUSIONE CHE E’ UN MALE
La vita è complessa, come sono complessi i compiti che dobbiamo affrontare. E i nostri strumenti devono
essere all’altezza dei compiti. La complessità è essenziale: solo la confusione è da evitare. Il principio più
importante per addomesticare la complessità è fornire un buon modello concettuale.
STANDARDIZZAZIONE E TECNOLOGIA
Alcuni miglioramento provengono dalla tecnologia stessa, altri dalla standardizzazione. La
standardizzazione è un tipo particolare di vincolo culturale, è un enorme progresso sulla strada della facilità
d’uso. Gli standard sono necessari: ci semplificano la vita e permettono ad apparecchi di marche diverse di
lavorare insieme.
Uno standard mai entrato in uso: il tempo digitale: standardizzato semplifica la vita: basta imparare il
sistema una volta per tutte. Ma non va fatto troppo presto: si rischia di restare intrappolati in una
tecnologia primitiva, o di introdurre regole che si rivelano inefficienti e possono indurre in errore. se invece
si tarda troppo, può darsi che oramai ci siano così tanti modi diversi di fare le cose, che diventa impossibile
concordare uno standard internazionale.
RENDERE DELIBERATAMENTE LE COSE DIFFICILI
Sembra proprio che se non si rinuncia al buon design, in certi contesti, sia compromesso lo scopo stesso per
cui esiste il sistema. Anche dove la difficoltà d’uso è intenzionale, è importante conoscere le regole del
buon design, per 2 ragioni: 1: l’operazione non dev’essere interamente difficile, di solito c’è una difficoltà
iniziale, per tenere alla larga le persone non autorizzate, ma il resto segue i principi normali della buona
progettazione; 2: per rendere difficile un’operazione si deve comunque sapere come procedere.
I sistemi di sicurezza pongono un problema speciale ai progettisti. Spesso accade che un elemento
introdotto per ragioni di sicurezza elimini un pericolo, ma ne crei uno secondario.
IL DESIGN: SVILUPPARE LA TECNOLOGIA PER LE PERSONE
Il design fa incontrare la tecnologia e le persone, gli affari e la politica, la cultura e il commercio. Da un lato
vi sono vincoli terribilmente complessi da superare, dall’altro, l’opportunità di sviluppare prodotti e servizi
che arricchiscono la vita della gente, arrecandole benefici e godimento.

7-IL DESIGN NEL MONDO DELLE IMPRESE


Le realtà del mondo impongono gravi limiti al lavoro di progettazione. La progettazione di tecnologie
adeguate alle capacità ed esigenze umane è determinata dalla psicologia degli esseri umani. Le tecnologie
possono cambiare, ma le persone rimangono le stesse.
LE FORZE DELLA CONCORRENZA
La concorrenza tra le industrie produttrici di beni e servizi oggi è estesa al mondo intero. La pressione
competitiva è fortissima. I fattori che permettono di affermarsi sul mercato sono: prezzo, la ricchezza di
funzioni e la qualità del prodotto. Conta anche la rapidità. Una piccola azienda, deve aggiornarsi per
anticipare la concorrenza, con una dimostrazione che stimoli l’interesse dei potenziali clienti e investitori,
ma soprattutto dei distributori potenziali del prodotto. Sono infatti i distributori i veri clienti, non le persone
che alla fine acquistano l’articolo e lo usano. Le imprese sono sottoposte a pressioni commerciali: la
necessità di far presto, il problema dei costi, la concorrenza. Le pressioni che deve affrontare un azienda
appena fondata, non risparmiano neppure le compagnie già affermate.
L’accessorie: una tentazione mortale: in ogni prodotto di successo si annida il virus di una malattia insidiosa,
detta “accessorite”, il cui sintomo principale è la proliferazione strisciante di funzioni accessorie.
Il problema è che dopo qualche tempo che il prodotto è sul mercato, inevitabilmente entrano in gioco vari
fattori che spingono l’azienda ad arricchirlo di nuove funzioni, avviando un processo di proliferazione
strisciante. Ogni nuovo modello presenta funzioni accessorie rispetto al precedente (es. telefoni). È facile
che le pressioni di mercato impongano l’aggiunta di nuove funzioni, ma non c’è nessuna pressione per
sbarazzarsi delle vecchie.
La proliferazione strisciante delle funzioni accessorie è la tendenza a moltiplicare, spesso in misura
irragionevole, il numero di elementi presenti in un prodotto, che non c’è modo che resti comprensibile e
facile da usare, una volta che nel corso del tempo sono state aggiunte tutte queste funzioni specializzate. È
proprio questo tentativo di tenere il passo con la concorrenza a far si che i prodotti sembrino tutti uguali. Se
i prodotti di 2 aziende si somigliano in tutti gli aspetti accessori, non c’è più nessuna ragione per cui il
consumatore debba preferire uno piuttosto che l’altro. È il design dettato dalla competizione. La maggior
parte delle imprese confronta i vari aspetti dei suoi prodotti con quelli della concorrenza, per vedere quali
sono i punti deboli in modo da rimediarvi: sbagliato. La strategia migliore è concentrare gli sforzi sugli
aspetti in cui si è più forti e cercare di migliorarli ancora, puntando su di essi marketing e pubblicità. Non si
deve seguire il gregge, ma focalizzare l’attenzione sui nostri punti di forza. Il buon design esige che si faccia
un passo indietro rispetto alle pressioni concorrenziali. La qualità del prodotto richiede una continua
attenzione ai destinatari del prodotto.
CAMBIAMENTI IMPOSTI DA NUOVE TECNOLOGIE
Le esigenze oggi sono cambiate. La tecnologia cambia il modo di fare le cose, ma i bisogni fondamentali
restano gli stessi.
QUANTO TEMPO CI VUOLE PER INTRODURRE UN NUOVO PRODOTTO?
La tecnologia cambia rapidamente, gli individui e la cultura lentamente. Possono bastare pochi mesi per
arrivare dall’idea iniziale alla creazione di un prodotto, ma poi ci vogliono decenni perché venga accettato.
Prodotti vecchi durano a lungo dopo esser diventati obsoleti, quando oramai dovrebbero esser scomparsi
da tempo. Gran parte della vita quotidiana è dettata da convenzioni vecchie di secoli.
Ci vogliono decenni di lavoro per trasformare una tecnologia sperimentale in componenti affidabili e poco
costosi. C’è poi un altro grande problema: il generale conservatorismo delle grandi aziende. Le idee
rivoluzionare per lo più fanno fiasco e il fiasco è intollerabile per un’azienda affermata.
Nel campo dei prodotti industriali, avere idee originali è la parte più facile: il difficile è realizzarle come
prodotti di successo. È difficile mettere a punto tutti i dettagli necessari perché un’idea nuova funzioni.
Le idee troppo in anticipo sui tempi falliscono.
Ogni innovazione, specie quelle che ci cambiano la vita, richiede decenni perché si passi dall’idea originale
al successo commerciale, ma la maggior parte delle innovazioni fallisce e non arriva mai al vasto pubblico.
Certi prodotti alla prima immissione sul mercato hanno fatto fiasco, ma sono riusciti ottimamente quando
sono stati ripresentati da un'altra azienda tali e quali.
DUE FORME D’INNOVAZIONE: GRADUALE E RIVOLUZIONARIA
L’innovazione dei prodotti avviene in 2 modi diversi: seguendo un lento processo evoluzionistico naturale,
oppure attraverso sviluppi rivoluzionari. In generale la gente crede che l’innovazione sia frutto di grossi
cambiamenti radicali, ma in realtà la forma più comune è quella dei piccoli passi. Un processo continuo di
perfezionamento può col tempo dar luogo a cambiamenti significativi. L’innovazione rivoluzionaria cambia
la vita delle persone e la produzione industriale. L’ innovazione graduale migliora le cose esistenti.

Innovazione graduale: il design si sviluppa attraverso l’innovazione graduale, mediante continue verifiche e
perfezionamenti. Il progetto è quindi messo alla prova, modificando i punti deboli. Il termine in uso è
ascensione. Parte da un prodotto esistente e lo perfeziona.
Innovazione radicale: parte ex novo, spesso sulla spinta di tecnologie che rendono possibili cose del tutto
nuove. È la forma più spettacolare di cambiamento. Ma la maggior parte delle idee rivoluzionarie fallisce e
anche quelle che hanno successo possono richiedere decenni per arrivarci, o anche secoli. L’innovazione
graduale dei prodotti è difficile. Le rivoluzioni sono rarissime.
IL DESIGN NELLA VITA QUOTIDIANA: 1988-2038
La tecnologia cambia rapidamente, gli individui e la cultura lentamente. Il cambiamento evoluzionistico è
sempre in azione su di noi, ma i tempi sono lunghissimi.
Cambiando la tecnologia, cambiano le persone? Le persone cambiano, e cambiano le macchine. Quindi
anche le culture cambiano.
Cose che ci rendono intelligenti: sembra che la tecnologia ci renda più intelligenti: la memoria e le abilità
cognitive sono di gran lunga migliori di quanto siano mai state prima. Ma ci rende anche stupidi, perché
togliendocela siamo messi peggio che di prima, siamo impotenti. La coppia uomo-macchina è più potente
dell’uomo o della macchina da soli. Sono le cose a renderci intelligenti: la potenza della mente umana senza
sussidi esterni è molto sopravvalutata.

Non tutti sono d’accordo sugli scopi. Il design assume quindi un significato politico, e infatti le filosofie
progettuali variano da un sistema politico all’altro. Siamo circondati da oggetti del desiderio, non da oggetti
d’uso.

Il design è riuscito solo se il prodotto finale ha successo, se la gente lo compra, lo utilizza, ne è soddisfatta e
ne parla bene. Un progetto che nessuno acquista è fallito. Per assicurare il successo di un prodotto il buon
design non basta: deve poter essere costruito e distribuito in maniera affidabile, efficiente e tempestiva.
Nel mondo di oggi bisogna prendere in considerazione l’intero ciclo di vita dei prodotti. Il processo di
sviluppo di un prodotto è complesso e difficile.
Le nostre tecnologie possono cambiare, ma i principi fondamentali dell’interazione sono invarianti.
Se i risultati delle azioni sono visibili.

Esistono 3 modelli concettuali:

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