Le emozioni hanno il loro peso nella progettazione e nell’esperienza totale di un prodotto di uso comune.
Il metodo denominato HUMAN CENTERED DESIGN (HCD), dove la progettazione tiene conto dei limiti e
delle potenzialità dell’essere umano nella sua individualità e diversità.
Col passare del tempo la psicologia della gente rimane la stessa, ma cambiano gli strumenti e gli oggetti nel
mondo. Cambia la cultura. Cambia la tecnologia. I principi del design restano validi, ma il modo di applicarli
deve essere modificato per tener conto delle nuove tecnologie, dei nuovi metodi di comunicazione e
interazione.
Caffettiera per masochisti: deliberatamente impossibile, insensata.
I segnali naturali devono essere interpretati naturalmente. Design naturale: l’uso di segnali naturali.
La complessità dei dispositivi moderni
Tutti gli oggetti artificiali sono stati progettati. Il campo del design è relativamente nuovo, suddiviso in molti
settori specializzati. Dato che ogni cosa nasce da un progetto, il numero dei settori è enorme.
DESIGN INDUSTRIALE: concentrato sulle forme e i materiali. Creazione e sviluppo di concetti e specifiche
per ottimizzare la funzionalità, il valore e l’aspetto di prodotti e sistemi, con reciproco vantaggio di utenti e
produttori.
DESIGN DELL’INTERAZIONE: si concentra sulla comprensibilità e facilità d’uso. L’attenzione è concentrata
sul modo in cui le persone interagiscono con la tecnologia. Lo scopo è migliorare la loro comprensione.
DESIGN DELL’ESPERIENZA UTENTE: si concentra sull’impatto emotivo dei prodotti. Progettazione di
prodotti, processi, servizi, eventi e ambienti, mirando soprattutto alla qualità e alla piacevolezza
dell’esperienza complessiva.
Il design si occupa di come funzionano le cose, di come si comandano e di come le persone interagiscono
con la tecnologia.
La colpa è delle macchine e di chi le ha progettate. Il guaio nei progetti sfornati dai tecnici è l’eccesso di
logica. Le difficoltà sono causate dalla tecnologia. Se progettiamo cose per le persone, dobbiamo capire sia
le cose che le persone.
Il design antropocentrico
Le persone sono frustrate dagli oggetti quotidiani, dalla loro complessità.
La soluzione è il design antropocentrico, o HUMAN-CENTERED DESIGN (HCD), un impostazione che parte
dai bisogni, capacità e comportamenti umani, adattando poi la progettazione a quei bisogni, quelle capacità
e quei comportamenti. È una filosofia progettuale. Vuol dire partire da una buona conoscenza degli esseri
umani e dei bisogni che il progetto intende soddisfare, che deriva principalmente dall’osservazione. Il
principio guida dell’ HCD è evitare il più a lungo possibile di specificare il problema. Bisogna studiare i
bisogni umani.
Il buon design parte dalla conoscenza della psicologia e della tecnica, richieda una buona comunicazione. I
progettisti devono concentrare l’attenzione nei casi in cui le cose vanno storte.
Principi fondamentali dell’interazione
I grandi designer producono esperienze piacevoli. L’esperienza è cruciale, perché determina la tonalità del
ricordo che conserviamo delle interazioni con gli oggetti. Gli aspetti emotivi e cognitivi sono intrecciati.
La visibilità di un oggetto nasce dalla corretta applicazione di 5 concetti psicologici fondamentali:
AFFORDANCE (invito), SIGNIFICANTE, VINCOLO, MAPING e FEEDBACK. C’è poi un 6°, il più importante:
MODELLO CONCETTUALE del sistema, che permette una comprensione.
affordance
letteralmente “invito, autorizzazione”, indica la relazione tra un oggetto fisico e una persona, cioè la
relazione tra le proprietà dell’oggetto e la capacità dell’ agente di determinare in che modo l’oggetto
potrebbe essere usato. Una sedia “invita” alla seduta. La presenza di un affordance dipende dalle qualità
dell’oggetto e dalle abilità dell’agente che vi interagisce. È una relazione. Dipende dalle proprietà sia
dell’oggetto sia dell’agente. Anti-affordance è l’impedimento di un interazione. Per essere efficaci,
affordance e anti-affordance devono essere percepibili. Questo concetto è nato con lo psicologo J.J Gibson,
che sosteneva che il mondo contiene degli indizi percettivi che dobbiamo cogliere mediante una
“percezione diretta”. Diceva che tutti i sensi lavorano insieme e che noi raccogliamo l’informazione circa il
mondo esterno. Gli oggetti fisici forniscono informazioni importanti sui modi in cui è possibile interagire con
loro. Un affordance visibile è un forte indizio su come funziona una cosa. Le affordance percepite ci aiutano
a indovinare quali azioni siano possibili, senza bisogno di cartelli o istruzioni. Determinano quali azioni sono
possibili.
significante
componente segnaletica di un affordance. Quando un affordance non è percepibile, c’è bisogno di qualche
mezzo per segnalarne la presenza. I progettisti hanno bisogno di sapere come rendere comprensibili gli
oggetti che creano. Si cerca di segnalare dove l’azione deve avvenire. Le persone hanno bisogno di segnali
che indichino a che serve, cosa sta succedendo e quali sono le azioni possibili da eseguire, quindi dei segni.
È il segno quello che conta. I progettisti devono predisporre questi indizi. Un design corretto esige un
efficace comunicazione dello scopo, della struttura e del funzionamento del dispositivo. Il termine
significante ha una tradizione nella disciplina della semiotica, lo studio di segni e simboli.
Ogni segnale visivo e sonoro, ogni indicatore percepibile che comunichi quale è il comportamento
appropriato. Possono essere “deliberati e intenzionali” ma anche “accidentali e involontari”.
Quando in una cosa semplice come una porta c’è bisogno di aggiungere significanti esterni (cartelli, scritte e
disegni) è indizio di cattivo design. Sono più importanti delle affordance, perché comunicano come usare un
prodotto. La comunicazione è la chiave del buon design, e la chiave della comunicazione è il significante.
- Le AFFORDANCE sono le interazioni possibili tra le persone e l’ambiente. Alcune sono percepibili,
altre no.
- Le AFFORDANCE PERCEPITE spesso fungono da significanti, ma possono essere ambigue.
- I SIGNIFICANTI segnalano cose, in particolare quali azioni sono possibili e come eseguirle. Devono
essere percepibili, altrimenti non funzionano.
Mapping
Indica la relazione tra gli elementi di 2 insiemi. La relazione tra un comando e i suoi risultati è più facile da
capire ogni volta che esiste un buon mapping tra i comandi, le azioni e il risultato voluto.
Un mapping naturale, cioè che sfrutti le analogie spaziali, produce una comprensione immediata. Alcuni
sono culturali, altri derivano dai principi della percezione e danno luogo a raggruppamenti o disposizioni
naturali di comandi e indicatori. Un dispositivo è facile da usare quando l’insieme delle azioni possibili è
visibile e quando comandi e display sfruttano mapping naturali. Il concetto è importante nella
progettazione e disposizione di comandi e display. Quando il mapping usa la corrispondenza spaziale tra la
collocazione dei comandi e quella dei dispositivi comandati, è facile capire come usarli. È la corrispondenza
tra comandi e funzioni. Insieme di correlazioni logiche-spaziale tra ciò che si vuol fare e ciò che appare
fattibile.
Feedback
È un informazione di ritorno che dice all’utente quale azione ha effettivamente eseguito, quale risultato si è
realizzato. È un modo per farci sapere che la nostra richiesta è in corso di elaborazione. Comunica i risultati
di un azione. Il nostro sistema nervoso è equipagiato con numerosi meccanismi di feedback. Il feedback
deve essere immediato, deve anche essere informativo. Un feedback scadente può anche esser peggio di
nessun feedback, perché distrae, non informa e in molti casi è irritante e ansiogeno. Un eccesso di feedback
può essere anche più fastidioso di uno troppo scarso. Ma peggio di tutto è il feedback improprio, non
interpretabile. È essenziale, ma non quando interferisce con altre esigenze. Deve essere fatto bene, in
maniera appropriata. Il feedback deve essere programmato. Tutte le azioni hanno bisogno di una conferma.
Modelli concettuali
Ciò che noi formiamo mentalmente quando vediamo un oggetto, immaginandoci come possa funzionare. È
la spiegazione di solito molto semplificata di come funziona una cosa. È quello di un'unica immagine
coerente. Il modello semplificato è utile per l’uso normale, ma se il collegamento dei servizi si interrompe,
può nascere confusione: l’informazione è sempre presente sullo schermo, ma non possiamo più salvarla o
recuperare altri dati. Sono preziosi solo finchè gli assunti di base reggono. Spesso esiste più di un modello
concettuale di un certo dispositivo. Risiedono nella mente delle persone che usano il prodotto, sono cioè
“modelli mentali”. Un modello mentale è il modello concettuale che nella nostra mente rappresenta il
modo in cui secondo noi funzionano le cose. La stessa persona può avere modelli molteplici. Spesso sono
ipotizzati a partire dall oggetto stesso. Il modello si costruisce con l’esperienza. Sono preziosi per capire il
funzionamento dei dispositivi, prevederne il comportamento e inventarsi cosa fare quando le cose non
vanno come previsto. Un buon modello concettuale ci permette di prevedere gli effetti delle nostre azioni.
Quando le cose si guastano e ci imbattiamo in una situazione nuova, abbiamo bisogno di una migliore
comprensione, di un buon modello. Quando il modello che ci viene presentato è inadeguato o sbagliato
possiamo avere difficoltà.
Se l’immagine del sistema non rende chiaro e coerente il modello progettuale, l’utente finirà per formarsi
un modello mentale sbagliato.
Immagine di sistema
La parte visibile del dispositivo. È l’insieme delle informazioni. è tutto ciò che si percepisce della struttura
fisica prodotta. Il modello concettuale dell’utente deriva dall’immagine di sistema, mediante l’interazione
col prodotto, letture, ricerche online e manuali. Il progettista si aspetta che il modello concettuale
dell’utente coincida col suo, ma non essendoci tra loro comunicazione diretta, tutto il peso della
comunicazione grava sull’immagine di sistema. Quando l’immagine del sistema è incoerente e inadeguata,
l’utente non può utilizzare efficacemente il dispositivo.
Il paradosso della tecnologia
La tecnologia rende la vita più facile e allo stesso tempo la complessità aumenta le nostre difficoltà e la
nostra insoddisfazione. Il moltiplicarsi delle funzioni crea problemi. La cosa migliore sarebbe l’esistenza di
standard universali, in modo da poter imparare i comandi una volta per tutte. Questo è il suo paradosso.
La sfida della progettazione
La progettazione richiede gli sforzi combinati di molti specialisti diversi. La parte più difficile per arrivare a
un prodotto buono è coordinare tutte le discipline cpoinvolte. Un prodotto di successo deve soddisfare tutti
i requisiti. Si deve pensare il progetto dal punto di vista di chi acquista e usa il prodotto. La sfida è usare i
principi del design antropocentrico per ottenere risultati positivi, prodotti che migliorino la vita e la rendano
più piacevole.
Il cattivo design, può nascere semplicemente da cattiva comunicazione. Il buon design esige la
considerazione dell’intero sistema.
Spesso riusciamo a cavarcela senza danno in situazioni nuove o poco chiare. L’ideale è avere buone
cognizioni ed esperienza nell’uso di un certo dispositivo o servizio, ma un buon design può predisporre nel
prodotto indizi o segnali.
Conoscenza nel mondo
Ogni volta che l’informazione necessaria per eseguire un compito è accessibile nel mondo esterno, la
necessità di apprendimento si riduce. Basta memorizzare le conoscenze sufficienti a sbrigare i nostri
compiti. Per funzionare usiamo 2 tipi di conoscenza: sapere che (conoscenza dichiarativa, comprende la
conoscenza di fatti e regole. È facile da mettere per iscritto e da insegnare.) e sapere come (conoscenza
procedurale, è la conoscenza che permette di suonare uno strumento, di rispondere al servizio nel tennis. È
difficile o impossibile da mettere per iscritto e difficile da insegnare. È in gran parte subconscia e ha sede al
livello comportamentale di elaborazione. Il modo per insegnarla è la dimostrazione, per acquisirla la
pratica). La conoscenza presente nel mondo esterno di solito è facile da assimilare. I progettisti forniscono
un gran numero di sussidi mnemonici. Le persone strutturano l’ambiente in modo tale da ricavare gran
parte dell’informazione necessaria per riuscire a ricordare le cose.
Quando improvvisamente si richiede precisione
Normalmente per i nostri giudizi non abbiamo bisogno di una grande precisione. Basta quel tanto di
informazione esterna e interna sufficiente a rendere non ambigua la decisione. La ricerca psicologica indica
che conserviamo descrizioni molto approssimative delle cose da ricordare, che devono bastare a
distinguere solo tra le alternative che ho davanti. Le confusioni dipendono dalla storia precedente. Quando
cambiano i criteri distintivi, le persone si disorientano e commettono errori, ma col tempo si adatteranno.
I vincoli semplificano la memoria
Vincoli esterni esercitano un rigido controllo sulla scelta lecita delle parole, riducendo il carico della
memoria. Uno dei segreti sta nei vincoli della forma poetica. Tutti facciamo uso di chiari vincoli che servono
a semplificare ciò che deve essere memorizzato. I vincoli strutturali e culturali, da soli, spesso non bastano a
determinare un rimontaggio corretto, ma riducono a dimensioni ragionevoli la quantità di dati da
memorizzare. I vincoli sono strumenti potenti per un designer.
La memoria è conoscenza nella nostra testa
Quando il numero di codici diventa troppo grande, la memoria non ce la fa. Molte di queste combinazioni
esistono soprattutto per rendere più facile la vita alle macchine e ai loro progettisti. La tecnologia oggi ci
evita di dover ricordare tutte queste informazioni arbitrarie e lo fa al posto nostro. Quanto più è complesso
il sistema, tanto meno è sicuro, perché, nell’impossibilità di ricordare tutti questi dati, la gente li scrive.
La sicurezza pone grandi problemi di progettazione, che chiamano in causa sia tecnologie complesse, sia il
comportamento umano.
LA STRUTTURA DELLA MEMORIA
La memoria umana è la conoscenza dentro la nostra testa (conoscenza interna). La memoria del presente è
accessibile all’istante, senza sforzo mentale. Ritrovare il passato è diverso: maggiore sforzo e minore
chiarezza.
2 tipi principali di memoria: MEMORIA A BREVE TERMINE e MEMORIA A LUNGO TERMINE.
Memoria a breve termine o memoria di lavoro
(MBT) conversa le esperienze più recenti, ovvero il materiale al quale si sta pensando in questo momento.
Memoria del presente. L’informazione vi è memorizzata automaticamente e recuperata senza sforzo, ma
può contenere una quantità di informazioni limitatissima (da 5 a 7 voci, aumentabili fino a 10/12 se il
materiale è ripetuto continuamente). Si usa nell’esecuzione di compiti quotidiani. Ma il materiale
conservato è fragile: basta essere distratti da un'altra attività, perché scompaia di colpo. Per ricordare
quantità enormi di materiali, gli specialisti si servono di metodi speciali, la cosiddetta mnemotecnica. La
capacità della memoria a breve termine dipende molto dalla familiarità del materiale. Per migliorare
l’efficienza della memoria di lavoro, il modo migliore è presentare le diverse informazioni in modalità
diverse: vista, suono, tatto, gesti.
Memoria a lungo termine
(MLT) è memoria del passato. Ci vuole tempo per riporre le informazioni in questa memoria, e tempo e
sforzo per recuperarle. Il sonno ha un ruolo importante per consolidare il ricordo delle esperienze del
giorno. Un meccanismo possibile è quello del ripasso. Si ha una ricostruzione della conoscenza, ma può
essere soggetta a distorsioni. Una grossa difficoltà con la memoria a lungo termine è l’organizzazione.
Categorie importanti:
- Memoria di cose arbitrarie: gli elementi da ritenere sembrano accidentali, privi di significato e di
relazione gli uni con gli altri o con altre cose già note. Memoria di cose che non presentano un
significato o una struttura sottostante. La conoscenza arbitraria si può classificare come il fatto puro
e semplice di ricordare che cosa va fatto, senza basarsi su una comprensione del perché o su una
qualche struttura interna (memorizzare l’alfabeto, imparare ad allacciarsi le scarpe).
- Memoria di cose significative: gli elementi da memorizzare sono legati da relazioni significative tra
loro o con altre cose già note.
Il modo più efficace per aiutare le persone a ricordare è rendere superflua la memorizzazione.
Modelli approssimativi: la memoria nel mondo reale
Il pensiero conscio richiede tempo e risorse mentali. Le abilità ben assimilate aggirano l’esigenza di
sorvegliare e controllare di continuo le operazioni: il controllo conscio è richiesto soltanto durante
l’apprendimento iniziale e quando si devono affrontare situazioni inattese.
Un modo semplice di migliorare la memoria e la precisione è scrivere le cose. La mente umana senza sussidi
esterni è sorprendentemente limitata: sono le cose a moltiplicarne le potenzialità.
Teoria scientifica e pratica quotidiana
Il modello semplificato della memoria a breve termine, benché scientificamente sbagliato, offre indicazioni
utili per il design.
La conoscenza nella nostra testa
La conoscenza contenuta nel mondo esterno, è uno strumento prezioso per la memoria, ma solo se è
disponibile nel posto e momento giusto. Altrimenti dobbiamo usare la conoscenza contenuta nella nostra
testa. Una memoria efficace si serve di tutti gli indizi accessibili, conoscenza interna ed esterna.
Quanto più è facile registrare l’informazione appena ascoltata, tanto meno probabili saranno gli errori di
memoria.
Promemoria: memoria del futuro
Memoria prospettica indica il compito di ricordarsi di fare qualcosa in un momento futuro e memoria del
futuro indica la capacità di fare programmi e prefigurare scenari a venire.
Si deve conservare in testa la conoscenza. Se l’evento è importante ritornerà in mente di continuo.
Ci sono 2 aspetti diversi in un promemoria: il segnale e il messaggio. Nel rammentarci qualcosa dobbiamo
distinguere tra il segnale (sapere che devo ricordarmi di qualcosa) e il messaggio (ricordare l’informazione
stessa). Il promemoria ideale deve avere entrambe le componenti.
Pro e contro nello scambio tra conoscenza nel mondo e nella testa
L’informazione nel mondo e nella testa sono entrambe essenziali. Ma possiamo scegliere se affidarci più
all’una o all’altra. Questa scelta esige uno scambio: ottenere i vantaggi della conoscenza esterna significa
perdere i vantaggi della conoscenza interna. La conoscenza nel mondo esterno funge da promemoria di se
stessa. Può aiutarci a ritrovare strutture che altrimenti dimenticheremmo. La conoscenza che abbiamo in
testa è efficiente: non c’è bisogno di esplorare e interpretare l’ambiente esterno. Ma per utilizzare questa
informazione dobbiamo averla immagazzinata ed essere in grado di recuperarla. La conoscenza dislocata
nel mondo non richiede apprendimento, ma può essere più difficile da usare, e dipende dalla presenza
fisica dell’informazione: se si cambia ambiente l’informazione può andare perduta.
I promemoria sono un buon esempio degli scambi compensatori tra conoscenza interna ed esterna.
L’informazione esterna è accessibile: si rammenta da sé, è sempre li. La conoscenza contenuta nella mente
invece è effimera: ora c’è, più tardi non c’è più. Non possiamo contare sul fatto che qualcosa sia presente
nella nostra mente in qualunque momento dato, a meno che non sia richiamato da un evento esterno o ci
sforziamo di tenerlo a mente con la ripetizione.
Memoria distribuita tra molte teste e molti apparecchi
Quando si tratta di ricordare le cose bene è efficiente la collaborazione. “memoria transattiva”.
La collaborazione tra gli esseri umani e la tecnologia ci rende più intelligenti, più forti. Oggi si ha una
dipendenza dalla tecnologia più grande che mai.
IL MAPPING NATURALE
Il mapping dimostra quanto sia efficace combinare i 2 tipi di conoscenza interna ed esterna.
Un mapping naturale è quello in cui la relazione tra i comandi e le funzioni comandate è ovvia. A seconda
delle circostanze, utilizzerà indicazioni spaziali. Ecco 3 livelli di mapping, in ordine decrescente di efficacia:
- Ottimale: i comandi sono montati direttamente sull’oggetto comandato;
- Seconda scelta: i comandi sono il più possibile vicini all’oggetto comandato;
- Terza possibilità: i comandi sono disposti nella stessa configurazione spaziale degli oggetti
comandati.
L’assenza di significanti è un difetto vero. Con un mapping naturale, la relazione è totalmente contenuta
nel mondo esterno , riducendo l’impegno della memoria. Con un mapping sbagliato, invece, le relazioni
vanno memorizzate, con maggiore sforzo mentale ed errori più frequenti. Attivare il comando sbagliato può
produrre disastri economici o incidenti mortali. Qualunque problema incontriate è colpa del design
sbagliato, non vostra!
La mancanza di una comunicazione chiara tra le persone e le ditte che costituiscono le varie parti di un
sistema è forse la causa più comune di progetti confusi e complicati. Un design efficace deve partire
dall’attenta osservazione di come sono eseguite nella realtà le operazioni supportate dal sistema, in modo
da farvi corrispondere il suo funzionamento. L’espressione tecnica per indicare questo metodo è “task-
analysis”. Il nome dell’intero procedimento progettuale è HCD (human-centered design), o design
antropocentrico.
Comandi centrati sull’attività
Quando è ben progettata, con un’analisi dettagliata delle attività da svolgere, la corrispondenza univoca tra
i comandi e tipo di attività funziona benissimo.
Vincoli che obbligano al comportamento voluto
Funzioni obbliganti: sono una forma di vincolo fisico: situazioni in cui le azioni sono vincolate in modo che
un passaggio mancato impedisce di procedere al successivo. Sono il caso estremo di vincoli per impedire un
comportamento indesiderato. Nel campo della sicurezza, le funzioni obbliganti si presentano sotto altri
nomi: 3 di questi metodi sono:
- Interlock: obbliga a eseguire le operazioni nella sequenza dovuta.
- Lock-in: mantiene attiva una funzione impedendo che qualcuno la interrompa prematuramente.
Può essere un vero e proprio recinto chiuso, che impedisce fisicamente di uscire. (impedisce di
uscire dal programma senza salvare il lavoro).
- Lockout: impedisce l’ingresso in uno spazio pericoloso o impedisce che succeda qualcosa.
CONVENZIONI, VINCOLI E AFFORDANCE
Le affordance riguardano le azioni possibili con un certo oggetto, evidenti purché l’affordance sia
percepibile: abbiamo l’affordance percepita. Il significante è quell’aspetto dell’affordance percepita che ci
permette di decidere quale sia esattamente l’azione da eseguire. In molti casi avviene attraverso
convenzioni.
Le convenzioni sono vincoli culturali: le convenzioni sono diversissime nelle varie culture. Offrono un utile
guida nelle situazioni nuove, ma ostacolano l’introduzione di cambiamenti.
La gente protesta e si lamenta ogni volta che in un insieme di prodotti viene introdotto un sistema che viola
le convenzioni e richiede un nuovo apprendimento: i pregi della novità non contano. È il cambiamento che
disturba.
Principi di design: presenza di affordance percepibili e significanti, visibilità, immediatezza del feedback.
Infine, molti convergono al principio dei casi disperati: se tutto il resto non funziona, standardizzare
(quando nessun’altra soluzione sembra possibile, progettare tutto al solito modo, così che gli utenti
debbano impararlo una volta sola). Gli standard devono rispecchiare il modello concettuale. Gli standard
semplificano la vita a tutti, ma tendono a ostacolare lo sviluppo.
Usare i suoni come significanti
A volte è impossibile rendere visibile tutto quello che si vorrebbe. Qui entra in scena il suono: il suono può
fornire informazioni che non sarebbero accessibili in nessun altro modo. Il suono ci dice che le cose
funzionano bene, o che hanno bisogno di manutenzione o riparazioni. Può anche salvarci dagli incidenti.
I suoni naturali, sono essenziali come l’informazione visiva, perché ci rivelano cose invisibili, o cose che ci
sfuggirebbero. Quei suoni riflettono l’interazione complessa di oggetti naturali. I materiali quando
interagiscono generano suoni, e questi suoni ci dicono qualcosa. Il suono però, oltre che aiutare, può
distrarre e infastidire. Uno dei pregi del suono è che si nota anche quando l’attenzione è rivolta altrove, ma
è anche un difetto poiché spesso è invadente. L’idea di utilizzare il canale uditivo per trasmettere segnali è
importante ed efficace. Assenza di rumore può significare assenza di informazione e il silenzio può essere
un guaio.
Quali sono i principi che devono guidare la progettazione dell’apparato sonoro dei veicoli elettrici (o ibridi)?
Il suono deve corrispondere a vari criteri: allerta, orientamento, scarso inquinamento acustico,
standardizzazione/individualizzazione.
6-PENSIERO PROGETTUALE
Nel design il segreto di una buona progettazione sta nel capire qual è il problema reale.
RISOLVERE IL PROBLEMA GIUSTO
Tutto sta nel risolvere il problema giusto. Un bravo progettista cerca di capire quali sono le vere questioni in
gioco. Non si cerca di trovare una soluzione finché non si è accertato qual è il problema reale, e anche
allora, invece di risolverlo direttamente, ci si ferma a considerare un’ampia gamma di soluzioni potenziali:
solo a quel punto si converge su una proposta precisa. Tutto questo processo prende il nome di “pensiero
progettuale”. È diventato il marchio di fabbrica dei moderni studi di design. Due degli strumenti più efficaci
che hanno a disposizione sono il metodo del design antropocentrico e il modello a doppio rombo del
pensiero divergente-convergente.
Il design antropocentrico, o human-centered-design (HCD) è il processo per far si che il prodotto soddisfi i
bisogni della gente, sia comprensibile e usabile, realizzi i compiti voluti e offra un’esperienza d’uso positiva
e gradevole. Una progettazione adeguata deve soddisfare un gran numero di vincoli e considerazioni, tra
cui la forma, i costi e l’efficienza, l’affidabilità ed efficacia, la comprensibilità e facilità d’uso, un aspetto
attraente e la soddisfazione dell’utente. L’HCD è una procedura per venire incontro a queste esigenze, ma
con particolare attenzione a 2 aspetti: risolvere il problema reale e risolverlo in un modo che corrisponda
alle necessità e capacità umane. Un unico tema: iterazione dei 4 stadi dell’osservazione, generazione,
creazione di un prototipo e verifica. Ma ancor prima c’è un principio sovrastante: risolvere il problema
giusto. Ciò da luogo alle 2 fasi del processo: trovare il problema, trovare la soluzione (“doppio rombo”).
IL MODELLO DEL DESIGN A DOPPIO ROMBO
Il lavoro del designer spesso comincia mettendo in discussine il problema che gli è stato sottoposto. Si ha
un doppio schema divergenza-convergenza (modello di processo a doppio rombo). Il processo si articola in 4
fasi: “scoperta” e “definizione”, le 2 fasi divergente e convergente per trovare il problema reale, “sviluppo”
e “consegna”, le 2 fasi divergente e convergente per trovare la soluzione giusta. Questo alternarsi ripetuto
di divergenza/convergenza è importante per determinare qual è il vero problema da risolvere e poi
individuare la soluzione migliore.
Si parte da un idea, e nella fase iniziale di ricerca si usa il pensiero divergente per esplorare tutte le
questioni fondamentali. Solo allora è tempo di convergere sul sottostante problema reale. Allo stesso
modo, si usano gli strumenti di ricerca per esplorare una vasta gamma di soluzioni prima di convergere su
una sola.
IL PROCESSO DEL DESIGN ANTROPOCENTRICO
Il doppio rombo descrive le 2 fasi della progettazione: trovare il problema giusto e soddisfare i bisogni
umani. Nella pratica, entra in gioco il design antropocentrico, dove si distinguono 4 attività diverse:
1-osservazione; 2-ideazione; 3-prototipo; 4-verifica.
Queste 4 attività sono ripetute più volte, ottenendo ad ogni nuovo ciclo idee nuove e un avvicinamento alla
soluzione desiderata.
OSSERVAZIONE: si fa una “ricerca progettuale”. Un indagine sul campo per conoscere i potenziali clienti,
osservarne le attività e cercare di capire quali sono le loro motivazioni, i loro interessi e bisogni reali. Si fa
l’osservazione nell’ambiente naturale, nel contesto della vita quotidiana, dovunque il prodotto o servizio in
questione dovrà essere usato. Le specifiche progettuali devono tener conto di entrambi i fattori: marketing
(acquisto; vogliono sapere cosa la gente compra, capire come prende le decisioni d’acquisto), e design (uso
del prodotto; cogliere il comportamento reale dell’utente, sapere di cosa ha bisogno e come userà il
prodotto o servizio).
IDEAZIONE: il passo successivo è generare possibili soluzioni, generare idee. Si può ripetere per entrambi gli
stadi del doppio rombo. Qui è cruciale la creatività. Ci sono molti modi di produrre idee, che rientrano per
lo più sotto la rubrica “brainstorming”, cui le regole principali sono 2: generare molte idee; esser creativi
senza tener conto dei limiti e mettere tutto in discussione.
PROTOTIPO: Il solo modo per sapere se un’idea è ragionevole è metterla alla prova: costruire rapidamente
un prototipo o un modello simulato di ogni possibile soluzione.
VERIFICA: si fa usare il prototipo ad un piccolo gruppo che corrisponda il più possibile alla popolazione cui è
destinato il prodotto. Le condizioni d’uso imiteranno al massimo quelle reali. Si analizzano i risultati, si
perfeziona il prototipo e si ripete la proceduta.
ITERAZIONE
L’iterazione nel design antropocentrico serve a permettere un perfezionamento progressivo. Lo scopo è
mettere a punto rapidamente dei prototipi e sottoporli a verifica. Gli sbagli devono essere concepiti come
“esperienze di apprendimento”. Bisogna fare studi e verifiche ripetute per indovinare i requisiti giusti.
Design antropocentrico: design centrato sull’attività: l’attenzione concentrata sulle persone è un tratto
caratteristico del design antropocentrico. Bisogna concentrarsi non sulla singola persona, ma sulle attività,
perché le attività umane sono tendenzialmente simili in tutto il mondo. Quindi è un design centrato sulla
persona, ma più adatto a popolazioni ampie e non omogenee.
Design iterativo o stadi lineari: il processo tradizionale di progettazione è lineare, il cosiddetto metodo a
cascata: il movimento avviene in un’unica direzione e, una volta prese le decisioni, tornare indietro è
difficile o impossibile. Ciò contrasta col metodo iterativo del design antropocentrico, dove il processo è
circolare, con perfezionamenti continui, continui cambiamenti e percorsi a ritroso per ripensare le decisioni
iniziali. È adatto soprattutto per le fasi iniziali della progettazione.
La parte più difficile nello sviluppo di prodotti complessi è il management: organizzare, far comunicare e
sincronizzare tutte le persone
Due sole sono le molle che guidano la creazione di nuovi prodotti: 1- aggiungere funzioni accessorie per
tenere il passo con la concorrenza; 2- aggiungere funzioni imposte da una nuova tecnologia.
Legge di Norman dello sviluppo del prodotto: il giorno stesso in cui parte, il processo di sviluppo di un
prodotto è in ritardo sui tempi e fuori bilancio. Il lancio di un prodotto è sempre accompagnato d una
previsione di tempi e costi. Ci vuole tempo anche soltanto per far partire il progetto. Nello sviluppo di un
prodotto è coinvolta un incredibile miscela di discipline, e deve piacere ai consumatori e attirarne di nuovi.
Ognuna delle discipline interessate ha una visione diversa del prodotto, spesso in contrasto col punto di
vista degli altri. Lo scontro tra discipline diverse si può risolvere con gruppi di lavoro multidisciplinari, dove
si impara a capire e rispettare le reciproche esigenze: se tutti capiscono il punto di vista di tutti, è possibile
ideare soluzioni creative capaci di soddisfare la maggior parte delle esigenze. Le squadre multidisciplinari,
grazie alla migliore comunicazione e collaborazione, spesso permettono di risparmiare tempo e denaro.
Innovazione graduale: il design si sviluppa attraverso l’innovazione graduale, mediante continue verifiche e
perfezionamenti. Il progetto è quindi messo alla prova, modificando i punti deboli. Il termine in uso è
ascensione. Parte da un prodotto esistente e lo perfeziona.
Innovazione radicale: parte ex novo, spesso sulla spinta di tecnologie che rendono possibili cose del tutto
nuove. È la forma più spettacolare di cambiamento. Ma la maggior parte delle idee rivoluzionarie fallisce e
anche quelle che hanno successo possono richiedere decenni per arrivarci, o anche secoli. L’innovazione
graduale dei prodotti è difficile. Le rivoluzioni sono rarissime.
IL DESIGN NELLA VITA QUOTIDIANA: 1988-2038
La tecnologia cambia rapidamente, gli individui e la cultura lentamente. Il cambiamento evoluzionistico è
sempre in azione su di noi, ma i tempi sono lunghissimi.
Cambiando la tecnologia, cambiano le persone? Le persone cambiano, e cambiano le macchine. Quindi
anche le culture cambiano.
Cose che ci rendono intelligenti: sembra che la tecnologia ci renda più intelligenti: la memoria e le abilità
cognitive sono di gran lunga migliori di quanto siano mai state prima. Ma ci rende anche stupidi, perché
togliendocela siamo messi peggio che di prima, siamo impotenti. La coppia uomo-macchina è più potente
dell’uomo o della macchina da soli. Sono le cose a renderci intelligenti: la potenza della mente umana senza
sussidi esterni è molto sopravvalutata.
Non tutti sono d’accordo sugli scopi. Il design assume quindi un significato politico, e infatti le filosofie
progettuali variano da un sistema politico all’altro. Siamo circondati da oggetti del desiderio, non da oggetti
d’uso.
Il design è riuscito solo se il prodotto finale ha successo, se la gente lo compra, lo utilizza, ne è soddisfatta e
ne parla bene. Un progetto che nessuno acquista è fallito. Per assicurare il successo di un prodotto il buon
design non basta: deve poter essere costruito e distribuito in maniera affidabile, efficiente e tempestiva.
Nel mondo di oggi bisogna prendere in considerazione l’intero ciclo di vita dei prodotti. Il processo di
sviluppo di un prodotto è complesso e difficile.
Le nostre tecnologie possono cambiare, ma i principi fondamentali dell’interazione sono invarianti.
Se i risultati delle azioni sono visibili.