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VALUTARE L’ARCHITETTURA.

RICERCA SOCIOLOGICA E POST-OCCUPANCY EVALUATION


POST OCCUPANCY EVALUATION (POE, o valutazione post-occupativa): una pratica di ricerca sociale
applicata che valuta gli esiti del progetto dopo che questo è stato consegnato e abitato. Mettendo al centro
dell’attenzione i destinatari finali di chi progetta, la POE è un contributo che la sociologia può dare alle
discipline progettuali. È una pratica di valutazione della progettazione. Dagli Stati Uniti degli anni ’60 del
900 si è diffusa in Europa e altri paesi. Si pone nell’ambito delle valutazioni ex post, studia cioè gli spazi
costruiti dopo che sono stati consegnati e occupati dai suoi destinatari. I destinatari sono dunque al centro
dell’attenzione, e assume il loro punto di vista.
Questo allargamento del focus di valutazione dal solo progetto agli abitanti degli spazi progettati è un
passaggio chiave. Erano i tempi in cui la cultura progettuale era dominata dal movimento moderno ed era
diffusa la convinzione che ci fosse un unico modo per progettare, quello razionalista, per cui gli eventuali
fallimenti del progetto dipendevano dall’incapacità dei destinatari a vivere gli spazi in modo “corretto”.
C era invece da considerare il punto di vista degli abitanti, per comprendere i motivi dei fallimenti.

1.UN QUADRO TEORICO


1.1 IL RAPPORTO TRA SOCIOLOGIA E PROGETTAZIONE
Fin dal rinascimento l’identità del progettista è stata vista come composta da 3 componenti: quella
dell’artista, del tecnologo e quella dell’ingegnere sociale, spesso messe in relazione con gli obiettivi
dell’architettura: solidità, utilità e bellezza.
Uno dei meta-obiettivi che il progettista si pone è quello di realizzare spazi che attraverso le loro
caratteristiche intervengano sulle esperienze dei loro abitanti, per migliorarle.
Rapporto tra architettura e scienze sociali: 3 momenti di possibile interazione:
- Un momento di elaborazione teorico-metodologica che precede la progettazione (EX ANTE), la
conoscenza prodotta in ambito sociologico può contribuire ad ampliare la sensibilità progettuale.
- Un momento di collaborazione nella progettazione (IN ITINERE), dove le scienze sociali, nel corso
della progettazione, contribuiscono con le loro conoscenze a prendere alcune decisioni progettuali
- Un momento di valutazione degli esiti progettuali (EX POST), le scienze sociali collaborano alla
valutazione degli esiti del progetto e dei suoi effetti sui destinatari.

1.2 LA QUESTIONE DEL DOPPIO SCARTO


L’attività progettuale può essere ricondotta a un processo che è composto da 4 fasi: la 1°, di natura
esplorativa e strategica, che porta alla definizione degli obiettivi generali del progetto; la 2°, gli obiettivi
generali vengono tradotti, con la definizione degli elementi che esso comprende; la 3°, quella della
progettazione, cioè del disegno delle soluzioni che soddisfano gli obiettivi; la 4°, quella della costruzione,
dove il progetto viene realizzato materialmente.
Nella pratica progettuale accade spesso che le scelte prese debbano essere rimesse in discussione.
Difficilmente il progetto nel momento in cui viene realizzato, consegnato e occupato dai suoi destinatari,
corrisponde a quello che era stato ideato all’inizio del processo progettuale. È praticamente sempre
presente uno scarto tra le intenzioni iniziali del progetto, quelle espresse nella fase strategica, e quelle che
il progetto consegnato, si propone di soddisfare. Al momento della consegna, le intenzioni espresse nel
progetto solo tali ancora solo potenzialmente.
Secondo Gans, il progetto finale costituisce uno “SPAZIO POTENZIALE”, cioè lo spazio delle intenzioni e delle
opportunità che esso propone. Diviene “SPAZIO EFFETTIVO” nella misura e nei modi in cui viene fatto
proprio da coloro che lo vanno ad abitare. Tra spazio potenziale e spazio effettivo si da sempre uno scarto.
Ve ne sono di 2 tipi:
- SCARTO PRE-OCCUPATIVO: si realizza antecedentemente alla consegna del progetto, ed è relativo
alle differenze tra obiettivi strategici stabiliti inizialmente e obiettivi che esso si propone di
soddisfare al momento della consegna. È tutto interno al campo della progettazione.
- SCARTO POST-OCCUPATIVO: emerge dal confronto tra opportunità offerte dal progetto al
momento della consegna e le intenzioni degli abitanti, cioè le loro pratiche, gli usi e i significati che
essi associano allo spazio abitato. Attiene al confronto tra il prodotto della progettazione e quanto
avviene quando esso è vissuto dai suoi abitanti, cioè confronto tra spazio potenziale e effettivo.
La POE si occupa del 2° tipo di scarto, ma in una certa misura anche del 1°.

1.3 UNA DIMENSIONE DELLA RELAZIONE TRA UOMO E SPAZIO: LE AFFORDANCE


Il concetto di AFFORDANCE fu proposto dallo psicologo James Gibson. Afferma che gli esseri animali
percepiscono l’ambiente attraverso la percezione delle affordance che esso offre. Esprimono sempre una
relazione tra 2 ambiti separati. Applicando alla progettazione, possiamo considerare tali ambiti lo spazio
costruito e l’uomo. Ci interessano quelle del tipo uomo-uomo, o uomo-spazio, cioè relative all’abitante
dello spazio costruito. Un progetto dovrebbe quindi mirare a creare spazi che offrono il più possibile
affordance positive. Gibson ipotizzava che la percezione delle affordance fosse prima diretta e immediata e
poi, che potesse diventare mediata e consapevole.

1.4 LE RAGIONI DELLA POST-OCCUPANCY EVALUATION


La valutazione della POE consente di far emergere quali siano gli elementi del progetto su cui è necessario
reintervenire. La POE va intesa come un momento necessario per ridurre lo scarto dopo la consegna. Aiuta
la “possibilità dell’errore” della progettazione, cioè alla accettazione della inevitabilità del doppio scarto.
Può quindi essere considerata come un occasione di apprendimento, l’output di una valutazione può essere
visto anche come input per i processi progettuali futuri. Va vista come un momento di un ciclo progettuale.

1.5 LO STUDIO DI SPAZIO POTENZIALE E SPAZIO EFFETTIVO


Una volta che un progetto architettonico sia stato abitato, può essere valutato da molti punti di vista e
possono essere presi in considerazione aspetti anche molto diversi tra loro, in relazione ai diversi bisogni.
1.5.1 La ricostruzione delle intenzioni del progetto
Uno degli obiettivi della POE è confrontare spazio potenziale ed effettivo, quindi è necessario ricostruire le
intenzioni iniziali del progetto e le opportunità che intende offrire al termine della progettazione.
Contribuisce anche a dare spessore e profondità alle scelte progettuali attraverso le quali il progetto ha
inteso esprimere le proprie intenzioni.
1.5.2 L’analisi dello spazio effettivo e l’eterogeneità degli abitanti
Una delle finalità della POE è andare a controllare se, in che modo e perché le funzioni e i significati che
sono stati inscritti nel progetto corrispondono a quelli che gli abitanti gli attribuiscono. L’analisi dello spazio
abitato serve quindi ad individuare indizi che potrebbero essere interpretati come segnali della maggiore o
minore capacità del progetto di svolgere soddisfacentemente le finalità che si prefiggeva. Da ciò
l’importanza di definire gli abitanti.

1.6 LA NASCITA DELLA POST-OCCUPANCY EVALUATION


La definizione concettuale di questa pratica è maturata, nella seconda metà degli anni ’60 del 900, con
l’intensificarsi del rapporto tra scienze sociali e progettazione. Dal lato dei progettisti è emersa una nuova
corrente della cultura progettuale che ha cominciato a porsi in maniera critica nei confronti dell’ideologia
del Movimento moderno in architettura. Questa posizione critica ha potuto legittimarsi anche a fronte dei
fallimenti eclatanti di alcuni progetti che si rifacevano a questa ideologia progettuale. Dall’altra parte, in
quegli anni, le scienze sociali mostravano un interesse crescente a studiare la relazione tra uomo e
ambiente. Entrambi questi movimenti si proponevano di considerare gli abitanti degli spazi costruiti come
soggetti il cui punto di vista non potesse essere ignorato nel momento in cui si prendessero decisioni sui
luoghi che abitavano. Scienziati sociali e progettisti avviarono quindi una più stretta collaborazione tra loro.
Le prime valutazioni degli spazi costruiti furono condotte nel mondo anglosassone, a partire dalla seconda
metà degli anni ’60. Gli oggetti di cui ci si occupò inizialmente furono i progetti realizzati per i programmi
governativi di edilizia popolare e gli ospedali, in modo da contribuire al miglioramento dei progetti
successivi.

2. LA POST OCCUPANCY EVALUATION ALL’OPERA


2.1 CINQUE CASI DI STUDIO
I casi coprono i 5 decenni trascorsi dall’epoca della definizione della POE fino ai nostri giorni.
2.2 UNA VALUTAZIONE PIONIERISTICA: EASTER HILL VILLAGE
Il primo caso di POE è uno studio condotto nel 1964 da Clare Cooper Marcus su Easter Hill Village, un
progetto di Housing, di edilizia residenziale pubblica a Richmond, in California, destinato a famiglie a basso
reddito. Fu uno dei primi lavori sociologici che si pose l’obiettivo di studiare le implicazioni sociali della
progettazione architettonica, confrontando le scelte adottate dai progettisti con le modalità con cui il
complesso veniva vissuto dai suoi abitanti. Questo lavoro è composto da 4 studi: 1°(il più rilevante),
valutazione dal punto di vista dei residenti delle soluzioni adottate dai progettisti; 2°, analisi etnografica di
come una popolazione a basso reddito usasse gli edifici e più in generale lo spazio costruito; 3°, analisi di
taglio sociologico dell’impatto dello spazio costruito sui comportamenti e sulle abitudini di chi lo abita; 4°,
studio di comunità su coloro che abitano un progetto di edilizia popolare e sulla vita sociale di un gruppo a
basso reddito. Il progetto venne realizzato nel 1954, in una piccola collina vicina alla baia. Avendo in mente
come destinatari principalmente famiglie con figli, ci si avvicinò al modello delle case
unifamiliari(detached), ma dovendo rispettare stringenti limiti di budget, realizzarono case a schiera di 2
piani, di diversi tagli. Ogni abitazione aveva un front yard e un back yard privati, e un porticato
all’ingresso(porch) che fu collocato in posizioni diverse del prospetto di ogni casa. Gli elementi esterni di
ogni casa furono dipinti con combinazioni uniche di colori.
Gli obiettivi progettuali erano: evitare l’aspetto freddo e ripetitivo; dare ad ogni famiglia un abitazione che
fosse percepita come casa propria; dotare ogni casa di una porzione di spazio privato all’aperto; fornire
opportunità per l’espressione dell’identità di ogni famiglia; promuovere i rapporti di vicinato; creare un
ambiente esterno stimolante e interessante per i bambini; favorire la formazione spontanea di sotto-gruppi
identitari all’interno della comunità.
Le authority non vedevano di buon occhio alcune scelte adottate dai progettisti, ma nonostante ciò furono
approvate e realizzate. Dopo 5 anni, le case furono consegnate alle 300 famiglie che erano in lista d’attesa.
Il successo progettuale fu presto dichiarato. Ma tali riconoscimenti non prendevano mai in considerazione il
punto di vista dei loro abitanti. Infatti commisero alcuni errori.
Tra gli scopi delle interviste c era la volontà di capire i bisogni dei destinatari, fu chiesto ai progettisti di
provare a rintracciare il legame tra tali obiettivi e le loro soluzioni progettuali. Era quindi necessario
rivolgere l’attenzione ai residenti, ai quali fu sottoposto un questionario. L’obiettivo di far si che venisse
percepito il meno possibile come un progetto di edilizia residenziale sovvenzionata si era rivelato realizzato
in misura assai ridotta. Ma soprattutto, perché i progettisti avevano affidato alla progettazione un compito
che andava oltre i limiti di quanto essa potesse cambiare la percezione dell’ambiente e delle condizioni
sociali in cui i residenti di Easter Hill vivevano. Le case erano percepite come uguali tra loro e non
rispondeva alla percezione di una residenza familiare, e non aiutava la scarsa privacy sia visiva che acustica
che c era tra le case. Molte delle opportunità di personalizzazione che i progettisti avevano lasciato loro
erano state colte in misura ridotta, perché essi preferivano destinare le scarse risorse economiche e di
tempo per altri bisogni. La scelta dei progettisti di non recintare i front yard con l intenzione di facilitare i
rapporti di vicinato aveva avuto anche l’effetto non desiderato di non separare lo spazio pubblico da quello
privato. I bambini avevano inoltre difficoltà a distinguere la propria casa e avevano pochi spazi a loro
dedicati, e gli anziani si lamentavano per i rumori dei bambini.

2.3 CHARLESVIEW HOUSING: UNA VALUTAZIONE DIAGNOSTICA


Fu condotto a Boston nel 1973 e coordinato da John Zeisel. Segna il primo impiego di alcune tecniche di
osservazione che hanno grande efficacia nell’analisi dell’uso degli spazi.
L’oggetto al centro della valutazione è il progetto di Housing di Charlesview, analizzato 4 anni dopo la sua
consegna agli abitanti, nel 1969. Il complesso era costituito da una serie di edifici di varie lunghezze, con al
massimo 3 o 4 piani ciascuno. Ospitavano 200 appartamenti di varie metrature e con diversi layout,
seguendo una distribuzione decisa. Il complesso era stato costruito nell’ambito di un programma di edilizia
residenziale sovvenzionata. L’iniziativa ha valore interreligioso. Vi erano single o coppie, in prevalenza
anziane, e molte famiglie numerose con molti bambini.
Fu dunque fatta la valutazione, quindi bisognava stabilire come e perché fossero state prese le scelte
progettuali e capire come il complesso veniva vissuto e accettato dagli abitanti. Si agì poi con l’osservazione,
per capire gli abitanti.
Il complesso veniva localizzato facilmente nel quartiere, ma le scelte compiute in merito alla disposizione
spaziale degli accessi al complesso e quelle relative al layout degli spazi comuni interni ad esso non erano
risultate altrettanto efficaci. Siamo dunque davanti ad un caso in cui una scelta progettuale presa con
l’intenzione di produrre certi effetti (dare la sensazione di una maggiore spaziosità degli appartamenti) per
una modifica intercorsa tra progettazione e occupazione (scarto pre-occupativo) aveva prodotto effetti
contrari a quelli previsti (la schermatura delle finestre e un minore uso sia dello spazio esterno che di quello
interno che vi si affacciava).

2.4 IL DESIGN INNOVATIVO DI UN REPARTO DI MATERNITA’ IN CALIFORNIA


Questo studio fu condotto nel 1993, 2 anni dopo, sulla nuova ala di un reparto di maternità di un ospedale
californiano, siamo in ambito ospedaliero. L’oggetto della valutazione era stato realizzato seguendo criteri
progettuali innovativi, mai seguiti prima di allora.
La porzione dell’ospedale fu completata e consegnata ai suoi abitanti nel 1991. Tale sezione era stata
costruita seguendo un nuovo approccio al parto, che prevede che il parto si svolga in camere singole e non
in sala parto. Nella stanza si svolgono tutte e 4 le fasi che portano alla maternità: travaglio, parto, prima
convalescenza, e post-partum. Ha un ambiente simile a quello domestico. Quando si avvicina il parto la
stanza viene rapidamente trasformata e dotata di tutte le attrezzature e condizioni necessarie.
Ricevette premi nazionali e fu considerato un prototipo preso in altri casi di progettazione ospedaliera.
Il team di valutazione si pose 3 obiettivi: 1) controllare se le intenzioni dei progettisti si fossero realizzate; 2)
raccogliere informazioni con cui l’ospedale avrebbe potuto migliorare il progetto; 3) formulare delle linee
guida per indirizzare future progettazioni.
Gli aspetti su cui si era indagato erano raggruppati in 2 gruppi: i building factors, cioè gli aspetti fisici degli
spazi, e gli human factors, cioè quelli su cui la qualità degli spazi fisici poteva avere ricadute socio-
psicologiche. L’edificio era considerato abbastanza positivamente per entrambi gli aspetti. Uno degli aspetti
giudicati più carenti era quello della sicurezza del reparto, su cui avevano pesato le preoccupazioni dello
staff relative alla difficoltà di controllare l’accesso dei familiari alle stanze e dunque anche ai neonati. Un
altro aspetto con valori bassi si riferiva ad una mancanza di spazio, che era legata agli effetti post-occupativi
di uno scarto pre-occupativo. Dallo staff fu generalmente valutato in maniera positiva. Però la
conformazione del reparto rendeva particolarmente rumoroso l’ambiente. Anche le stazioni-satellite
decentrate per gli infermieri, erano oggetto di uno scarto post-occupativo, dal momento che venivano
impiegate meno di quanto ci si aspettasse in fase di progettazione. Vi fu l’apprezzamento sia per le capacità
di accoglienza del reparto che per le sue qualità estetiche. Riguardo alle camere che ospitavano le
partorienti, gli elementi più critici riguardavano: il cattivo posizionamento degli armadietti; la dimensione
troppo piccola dei piani di lavoro all’interno e all’esterno delle camere; la carenza di punti luce per le
attività; la scarsa resistenza del materiale impiegato per la pavimentazione.
Uno degli scopi di questa valutazione era fornire delle linee guida per la progettazione di altri reparti di
maternità che superassero i problemi presentati in questo primo prototipo.

2.5 UN PROGRAMMA DI VALUTAZIONI SISTEMATICO. IL PROBE


Il Probe è stato il primo programma che si sia posto l’obiettivo di condurre una serie sistematica di
valutazioni post-occupative di edifici pubblici e privati. È stato avviato dal 1995 fino al 2002, dove furono
valutati 20 edifici, nel Regno Unito, prendendo in considerazione le “hard issues”, come la performance
energetica, che le “soft issues”, come il grado di soddisfazione degli utenti.
Ogni valutazione si compone di 10 passaggi, il più possibile standardizzati e che comprendono:
1- Il primo contatto con la proprietà/management dell’edificio, per la definizione degli accordi che
regolano l’accesso al sito;
2- Il PVQ nel quale vengono raccolte le piante dell’edificio e i dati statistici già esistenti relativi al
consumo energetico, alle procedure di funzionamento e al numero di occupanti dell’edificio;
3- Il primo sopralluogo al sito, della durata di 1 giorno, durante il quale vengono raccolti ulteriori dati,
e una serie di misurazioni dei suoi aspetti fisico-tecnici;
4- L’analisi preliminare delle informazioni raccolte durante il primo sopralluogo e l’inserimento e
l’analisi sui consumi energetici e la stesura della struttura del rapporto;
5- Il secondo sopralluogo, dove vengono raccolte informazioni;
6- La somministrazione del questionario agli occuopanti dell’edificio
7- L’analisi dei consumi energetici
8- Il pressure test, durante il quale si misura la tenuta dell’edificio alle perdite di aria
9- La stesura del Probe final Report, dove sono riportate le informazioni raccolte nelle varie fasi
10- La pubblicazione di una versione riveduta e corretta del rapporto sulla rivista.
La fase 6 è quella relativa al questionario per gli occupanti. È l’unica fase in cui chi abita l’edificio viene
direttamente chiamato ad esprimere il proprio punto di vista.
Il questionario veniva distribuito ad un campione il più ampio possibile ed era semplice e rapido. I punti
toccati da esso erano i seguenti: informazioni sui rispondenti; compilazione di classifiche e di valutazioni sul
design, i bisogni, l’immagine, la pulizia, gli spazi dedicati al magazzino e agli incontri degli abitanti; la
produttività percepita; il livello percepito di salubrità degli spazi; il comfort termico; l’areazione;
l’illuminazione, il rumore, gli arredi e gli spazi dell’edificio e altre variabili.
Gli strumenti impiegati nelle valutazioni del programma PROBE erano quasi esclusivamente quantitativi. I
dati erano presentati in grafici. Il successo e la notorietà del PROBE hanno contribuito largamente alla
diffusione di una idea secondo la quale sono sufficienti alcuni strumenti quantitativi standardizzati per
poter valutare in maniera esaustiva un edificio “dal punto di vista dei suoi occupanti”.

2.6 GLI SPAZI ESTERNI DEL CAMPUS DELL’UNIVERSITA’ DEL QATAR


L’ultimo caso di POE che prendiamo in considerazione è stato effettuato nel 2007, a più di 20 anni di
distanza dalla costruzione e consegna del campus dell’università del Qatar. L’obiettivo della valutazione era
di offrire alcuni suggerimenti per migliorare gli spazi esterni del campus a partire dallo studio del punto di
vista di chi lo frequentava. Lo studio è stato coordinato da Ashraf M. Salama, che è particolarmente attento
a porre il punto di vista degli abitanti al centro delle sue analisi sugli spazi costruiti.
Il campus ha al suo centro una vasta area destinata alle attività amministrative ed accademiche, formata
dalla ripetizione di un pattern modulare di edifici ottagonali. La ripetizione di questo pattern da forma ad
una pianta formata da decine e decine di ottagoni, formando edifici di varie dimensioni. Intorno a questo
centro sono invece collocati gli edifici di servizio. Gli edifici sono costituiti con componenti prefabbricati, la
cui immagine esterna è caratterizzata da 2 elementi architettonici tipici dell’architettura araba, rivisitati in
chiave moderna: le torri a vento e le mashrabiya. Negli spazi esterni, tra gli edifici ottagonali e quadrati, si
aprono cortili, in cui sono collocate piante per creare zone d’ombra e fontane, che per il progettista tali
spazi dovevano favorire la socializzazione.
Ma l’attenzione ai destinatari finali degli spazi progettati, sembra aver trovato poco spazio nelle scelte che
tali intenzioni hanno prodotto. Per gli interni l’attenzione a dotare gli ambienti di illuminazione e
ventilazioni naturai, si è rivelata poco efficace. Per gli esterni, la serialità degli edifici ottagonali rende molto
complessa l’individuazione di riferimenti che ne facilitino il riconoscimento da parte degli abitanti, hanno
notevole difficoltà ad orientarsi.
Il progetto veniva generalmente visto come un successo progettuale, ma perché queste analisi non
consideravano gli abitanti, fino alla valutazione condotta da Salama. La sua valutazione si è mossa
attraverso l’impiego integrato di 4 strumenti metodologici: osservazione diretta non strutturata; le
passeggiate di valutazione; il questionario; la mappatura dei comportamenti.
Le passeggiate di valutazione hanno evidenziato risultati non molto positivi riguardo alla percezione degli
spazi esterni del campus da parte degli studenti incaricati di compilare le checklist. Quelli che hanno
ottenuto punteggi più bassi sono stati quelli relativi alla chiarezza con cui gli edifici sono in grado, attraverso
la loro forma, di comunicare la loro funzione ai frequentatori abituali del campus e ai visitatori e quelli
relativi all’adeguatezza delle connessioni tra gli spazi interni ed esterni, all’accessibilità degli ingressi e delle
uscite, e alla qualità dell’esperienza che si fa entrando negli edifici. Sono gli aspetti legati all’orientamento
negli spazi esterni del campus a presentare i problemi maggiori. La segnaletica è stata giudicata molto
negativamente.

3.GLI APPROCCI DELLA POE


3.1 POE E VALUTAZIONE DEI PROGRAMMI SOCIALI: UN CONFRONTO
Dopo un lungo periodo di diffusione, negli ultimi anni la POE è più frequente e sarà sempre più richiesta.
Tuttavia è sempre più evidente la diffusione di alcuni approcci alla POE che tendono a dare un attenzione
non necessariamente equilibrata ai vari aspetti da valutare. Ciò è il risultato dell’influenza di approcci che si
sono sviluppati in altre discipline.

3.2 LA VALUTAZIONE DEI PROGRAMMI SOCIALI: 3 APPROCCI


Tipologia proposta da Nicoletta Stame, che si propone di ricondurre i tanti modelli esistenti di valutazione
ad alcuni approcci fondamentali. Il principio distintivo intorno al quale è costruita questa tipologia è
“l’elemento che funge da pietra di paragone” nella valutazione. Ha individuato 3 approcci principali.

3.2.1 L’APPROCCIO “POSITIVISTA-SPERIMENTALE”


È nato per studiare i risultati dei programmi che negli anni ’60 del 900 furono varati negli Stati Uniti per
affrontare alcuni problemi sociali particolarmente rilevanti. L’elemento di confronto che sta al centro della
valutazione è dato dagli obiettivi del programma: la valutazione consiste nel “verificare e misurare se gli
obiettivi sono stati raggiunti”, in una sequenza lineare e razionale fatta dalle 3 fasi di decisione, di
implementazione e di valutazione dei risultati.
Per condurre una valutazione è necessario dare una definizione il più possibile precisa di quali siano gli
obiettivi del programma. Lo scopo della valutazione è il controllo dell’efficacia di un programma nel
conseguire un obiettivo. La valutazione serve cioè a capire se un intervento possa essere generalizzabile ed
adottato in situazioni simili: per questo il metodo prediletto qui è quello sperimentale o quasi-sperimentale,
e le tecniche sono di natura quasi esclusivamente quantitativa.
Alcuni dei limiti di questo approccio: non è in grado di dire perché certi cambiamenti avvengono; non tiene
in alcuna considerazione i suoi effetti inattesi. Ma è ancora oggi uno dei più diffusi nella valutazione dei
programmi pubblici (per la chiarezza delle risposte delle valutazioni e per il fascino che il paradigma
scientifico positivista ha).

3.2.2 L’APPROCCIO “PRAGMATISTA-DELLA QUALITA’”


L’elemento rispetto al quale avviene il confronto fa riferimento ad un’idea di valore rispetto alla quale i
valutatori sono chiamati ad esprimersi. La rilevanza data ai valori nasce dalla critica al positivismo elaborata
dalla corrente pragmatista, che criticava la pretesa dei positivisti di porsi in un atteggiamento neutrale e
distaccato rispetto all’oggetto di ricerca. Secondo i pragmatisti, quando i risultati di un programma sono
messi in relazione solo con gli obiettivi che lo stesso programma ha stabilito non si fa altro che evitare di
assumersi una responsabilità, che i valutatori devono invece prendersi.
Per valutare, si deve dunque prescindere dagli obiettivi espressi dal programma specifico e il valutatore
deve individuare dei valori generali, “oggettivi”, con cui gli esiti del singolo programma e di quelli analoghi
devono essere messi a confronto.
Il giudizio di valore si compone però di 2 aspetti: il merit (valore intrinseco di un attività), che è giudicabile
rispetto ad un livello che è stabilito come standard di “qualità”; e il worth (valore estrinseco di un attività),
che dipende da quanto essa risponda agli effettivi bisogni dei suoi specifici destinatari.
Valutare un programma significa quindi applicare questi valori entro la “logica del valutare”. La qualità è un
concetto astratto non osservabile direttamente. L’approccio della qualità è tipicamente adottato in ambito
pubblico per valutare quali siano le performance dei servizi o per comparare servizi simili offerti da più
strutture locali decentrate. Anche questo approccio è molto diffuso.

3.2.3 L’APPROCCIO “COSTRUTTIVISTA-DEL PROCESSO SOCIALE”


Quest’ultimo è stato elaborato successivamente ed è tutt’ora meno diffuso. Raccoglie al suo interno una
serie di modelli di valutazione che hanno in comune l’attenzione al contributo dei vari attori toccati dal
programma che all’evoluzione che il programma subisce nel corso della sua attuazione.
La pietra di paragone di fronte alla quale si confronta è il successo per come esso viene definito durante la
sua attuazione. La dinamicità di esso fa si che non siano considerati solo gli effetti attesi del programma, ma
anche quelli inattesi, cui viene attribuita particolare rilevanza, perché fondamentali per capire come il
programma muti a contatto con le specificità che caratterizzano il contesto e gli attori su cui esso si propone
di intervenire. Si fa riferimento esplicito alla necessità del coinvolgimento diretto nella valutazione degli
stakeholder, che interagiranno con i valutatori nella “valutazione partecipata”.
Il processo valutativo è dunque una sorta di processo parallelo a quello del programma . quest’approccio fa
della valutazione un’occasione di apprendimento.

3.3 GLI APPROCCI DELLA POST-OCCUPANCY EVALUATION


I 3 approcci presentati costituiscono le matrici a cui si possono ricondurre i modelli di valutazione dei
programmi sociali più diffusi.

3.3.1 L’APPROCCIO SPERIMENTALE “DEGLI PSICOLOGI”


Un primo approccio alla valutazione in campo architettonico ha preso avvio in ambito medico, in particolare
psichiatrico, quando alla fine degli anni ’50 un gruppo di psicologi sociali statunitensi ha cominciato ad
analizzare gli effetti che le diverse caratteristiche degli spazi di cura avevano su coloro che abitavano i
reparti, primi tra tutti i pazienti.
Gli studi venivano spesso condotti dagli psicologi. Abbiamo avuto una naturale adozione in queste
valutazioni di un approccio teorico analogo a quello prevalente in psicologia negli Stati Uniti di quegli anni.
Questo approccio si basava sull’idea che anche la psicologia dovesse utilizzare strumenti analoghi a quelli
impiegati nelle scienze naturali, cioè nel riferimento al metodo sperimentale.
ELEMR fu un progetto di ricerca che si sviluppò per circa 3 anni e studiò gli effetti di una serie di interventi
di riorganizzazione degli spazi di un istituto psichiatrico del New England che ospitava adulti con problemi
psichiatrici. Gli psicologi si proposero dunque di valutare il ruolo che potesse avere nel comportamento dei
pazienti la ristrutturazione dei loro dormitori, e in particolare l’abbandono del modello del dormitorio ad
ambiente unico e la sua trasformazione in una serie di camere singole o doppie. La trasformazione da
dormitorio unico ad ambienti separati aveva avuto un effetto favorevole.
Siamo dunque nell’ambito di valutazioni che fanno riferimento ad un disegno sperimentale o quasi-
sperimentale, in cui si cerca di definire cosa succedeva prima e dopo un intervento.
Si partiva dall’ipotesi che una riorganizzazione dei dormitori avrebbe aumentato la socialità tra i pazienti.
Esso era considerato come momento la cui rilevanza maggiore stava nel fatto che facesse da spartiacque
tra le condizioni di partenza e quelle finali.
Questo approccio presenta non poche analogie con l’approccio sperimentale positivista alla valutazione dei
programmi sociali.

3.3.2 L’APPROCCIO DEL PROCESSO PROGETTUALE


Negli anni ’60 cominciavano ad interessarsi a questi temi anche alcuni scienziati sociali. Un primo punto su
cui si basava questo approccio è il riconoscimento che non sia possibile individuare una volta per tutte un
set di obiettivi a cui la progettazione deve tendere. negli anni ’60 cominciava a crescere nella progettazione
un movimento critico nei confronti del movimento moderno, che era prevalente in quegli anni. I
rappresentanti di questa corrente critica, rifiutavano che il progettista potesse considerarsi depositario
della modalità “corretta” con cui progettare gli spazi, dalla quale discendeva l’unica modalità con cui i
destinatari avrebbero dovuto viverli. Al contrario, essi erano convinti della necessità di dare maggiore
risalto proprio al punto di vista dei destinatari. Così nelle valutazioni post-occupative di questo approccio
venivano coinvolti sia gli attori che avevano preso parte al processo progettuale, sia gli abitanti degli spazi
studiati. C’era molta attenzione ad una ricostruzione dettagliata del processo progettuale.
Si cercava di comprendere se i bisogni degli abitanti corrispondessero a quelli individuati da chi aveva
condotto il processo progettuale. La definizione di cosa potesse essere considerato un successo nella
progettazione di uno spazio era al centro di una costruzione dinamica, che prendeva in considerazione
punti di vista diversi. Le critiche maggiori rivolte a questo approccio riguardano la ridotta generalizzabilità
dei suoi risultati.
È necessario chiedersi se sia possibile trovare una soluzione universale ai problemi progettuali. Da un lato la
validità delle indicazioni pre-progettuali individuate non è universale, dal momento che i bisogni dei
destinatari cambiano nel tempo e da caso a caso. Dall’altro, ciò non toglie che tali indicazioni non possano
costituire criteri generali da calare di volta in volta nelle situazioni specifiche.
Tra gli aspetti più significativi va segnalata la tematizzazione nei confronti degli effetti inattesi della
progettazione architettonica.
Nell’ambito della post occupancy evaluation i 2 approcci “sperimentale degli psicologi” e “del processo
progettuale” si sono sviluppati parallelamente, su temi simili ma a partire da campi disciplinari diversi.
Dopo gli anni ’60 e ’70, la POE ha rallentato il suo processo di diffusione, ma l’approccio “sperimentale degli
psicologi” manterrà una forza che gli consentirà di ridefinirsi e di riproporre la propria matrice originaria
fino ai nostri giorni; l’approccio “del processo progettuale” si indebolirà.

3.3.3 L’APPROCCIO DELLA “BUILDING PERFORMANCE”


La POE, e l’analisi degli spazi costruiti sono tornati al centro di un certo interesse.
Nella seconda metà degli anni ’80 del 900, nell’ambito della progettazione si è sviluppato un nuovo
approccio alla valutazione, caratterizzato da una forte attenzione nei confronti delle dimensioni più
specificatamente tecniche dello spazio costruito. Questo aspetto ha fatto si che si consolidasse il filone della
Building Performance Evaluation (BPE), il quale, pur riprendendo i caratteri fondanti, ne ha sviluppato
alcuni particolari aspetti. Alcuni autori hanno proposto di sostituire l’acronimo POE con quello di BPE.
La pratica della POE si è dunque ridefinita, seguendo un approccio e linguaggio con una chiara tendenza a
considerare in termini di prestazioni (di performance) gli spazi costruiti e ad adottare tecniche di analisi
mirate per lo più ad ottenere “misurazioni” da confrontare con standard prestabiliti. Questa tendenza ha
avuto l’esito di concentrare l’attenzione sempre più verso le dimensioni prestazionali di natura tecnica e
funzionale degli spazi costruiti.
Per questo approccio la valutazione viene estesa a tutte le fasi del processo progettuale, includendo il
planning, il programming, il design, la construction, la occupancy e il facility management e l’adaptive reuse
o il recycling facilities. La nozione di “performance”, viene declinata in modi diversi a seconda delle diverse
fasi del progetto di cui si occupa.
Gli autori del BPE hanno messo in rilievo come i criteri per valutare il grado di “building performance” non
debbano essere soltanto di natura quantitativa ma anche di tipo qualitativo. Si richiede una valutazione sia
dei bisogni degli abitanti che del contesto nel quale si colloca l’edificio. L’approccio della BPE ha molte
analogie con l’approccio “pragmatista della qualità”. Un primo elemento critico è legato al disegno generale
di esso e al suo tentativo di operare una valutazione universale . i teorici di questo approccio si propongono
sia di estendere la valutazione a tutte le fasi del processo progettuale ma anche di prendere in
considerazione tutti gli aspetti rispetto ai quali un edificio o uno spazio costruito è chiamato a svolgere una
performance: sia quelli tecnici e funzionali che quelli legati agli aspetti sociali, culturali e psicologici dei suoi
occupanti. Questo tentativo si scontra con non pochi problemi nella pratica. Le valutazioni post-occupative
di questo approccio soffrono in misura accentuata di una tendenza negativa , ovvero quella di privilegiare
sempre più gli aspetti di merit a scapito di quelli di worth, e significa dare per scontato che alcune proprietà
siano di per se desiderabili. Questo approccio ha avuto una diffusione notevole grazie alla ripetibilità e alla
maggiore semplicità con cui sono strutturati i suoi disegni di valutazione.
Le astrazioni a cui questo approccio mira si fondano sull’assunzione della validità transculturale della
nozione di “performance”. La valutazione non può non tener conto dei significati che lo spazio assume per i
suoi abitanti. Lo spazio fisico viene assunto a tutti gli effetti come un luogo.

3.3.4 L’EVIDENCE BASED DESIGN. UN NUOVO APPROCCIO?


Nell’ultimo decennio si è venuto definendo un nuovo approccio alla progettazione, l’Evidence Based Design
(EBD), che a partire dall’ambito della progettazione sanitaria ha conquistato una certa notorietà anche in
altri settori della pratica progettuale. I suoi teorici propongono di prendere le decisioni progettuali solo sulla
base di ricerche già disponibili cioè solo a partire da evidenze raccolte in studi sulle precedenti esperienze
progettuali. Bisogna fare riferimento all’Evidence Based Medicine, un approccio che in medicina si è
sviluppato negli anni ’90 e sosteneva la necessità di basare le pratiche diagnostiche e terapeutiche solo a
partire da studi che validassero tali pratiche, cioè ne dimostrassero l’efficacia e la robustezza. Si è a lungo
discusso se dovesse essere considerato una rivoluzione che ha portato alla definizione di un nuovo
paradigma della scienza medica o se dovesse essere inteso come l’introduzione di nuovi metodi da
affiancare ai tradizionali. L’adozione da parte dell’EBD dello stesso approccio impiegato in medicina è
criticabile per diversi motivi: la diversa natura delle evidence mediche rispetto a quelle su cui dovrebbe
basarsi la progettazione, la differente natura e inoltre ogni progetto è un caso di combinazione di elementi
unico e non ripetibile rispetto a tutti gli altri. L’EBD finisce per essere una mera reintroduzione di una logica
positivista-sperimentale che presenta diversi elementi problematici. L’EBD finisce quindi per affidarsi
completamente a valutazioni che mettono al centro della loro attenzione la capacità performativa del
progetto come misura di tutti i possibili effetti della progettazione. Si produce così la tendenza nelle
valutazioni a concentrarsi sulle dimensioni. Ciò si traduce in una minore sensibilità delle valutazioni ad altri
aspetti. Negli ultimi anni le valutazioni post-occupative hanno sempre meno avuto per oggetto le residenze,
e sono sempre più frequenti le valutazioni degli spazi di lavoro e gli studi su aspetti specifici degli spazi
sanitari. Gli approcci valutativi hanno quindi difficoltà a cogliere aspetti della vita degli abitanti. Tale
avanzamento sembra essere ostacolato proprio dal tentativo persistente di puntare alla definizione di
soluzioni ottimali da impiegare universalmente. Può invece essere affrontato solo prendendo
consapevolezza che anche i concetti di standard e di requisito prestazionale devono essere posti al centro
di una riflessione critica.

4. I PROSSIMI PASSI
4.1 UN DOPPIO MOVIMENTO FINALE
Nella tematica della valutazione dell’architettura, si è fatto riferimento al tema del doppio scarto: scarto
pre-occupativo e post-occupativo, cioè lo scarto tra spazio potenziale e spazio effettivo, che fanno
riferimento rispettivamente alle intenzioni inscritte nello spazio dal progettista e quelle inscritte nello spazio
dai suoi abitanti. Un ulteriore concetto è quello di affordance, che è stato portato nel campo della
progettazione architettonica per mettere a frutto l’intuizione di Gibson su come gli essere umani facciano
esperienza degli spazi. Si è poi messo in luce alcune somiglianze e differenze tra campo della valutazione
post-occupativa e quello della valutazione dei programmi.
È necessario un doppio movimento: il primo ci riporta al punto da cui è partito questo lavoro.

4.2 IL RICONOSCIMENTO DEL DOPPIO SCARTO


Senza considerare il fattore del doppio scarto non si è in grado di dare il giusto peso, nella valutazione, al
fatto che il processo progettuale è un processo complesso, la cui linearità è teorica.
Si è visto come nei casi studio considerati esemplari sia stato dato ampio spazio alla ricostruzione del
processo progettuale come uno degli snodi decisivi per capire i cambiamenti che lo hanno interessato.
L’approccio sperimentale degli psicologi non considera affatto il tema dello scarto pre-occupativo, perché in
questa cornice la valutazione è una pratica che si occupa di controllare se e in quale misura il progetto
abbia prodotto certi effetti sui suoi abitanti. Tali valutazioni sono raramente in grado di dire qualcosa sul
perché alcune scelte progettuali producano o meno certi effetti o sull’esistenza di effetti inattesi.
Gli esponenti della Building Performance si sono impegnati ed hanno spinto per dare maggiore spazio alla
valutazione nell’ambito della progettazione architettonica e per estendere il suo impiego in tutte le fasi del
processo progettuale. Gli aspetti più problematici di questo approccio: il peso sempre minore che viene
attribuito nelle valutazioni alle dimensioni più strettamente socio-psicologiche; e alla sua continua ricerca
finalizzata all’elaborazione di una progettazione universale, che ha il problema di intendere il processo
progettuale come se questo potesse essere simile nei diversi casi e contesti. Quindi, non è possibile dare
per scontato che si possa impiegare sempre lo stesso set di strumenti e non ci si può limitare a considerare
sempre e solo gli stessi fattori come possibili motivi del verificarsi di uno scarto. In questo approccio si ha
una tendenza a considerare il primo scarto come separato rispetto al secondo; non si considerano cioè le
implicazioni e il ruolo che lo scarto pre-occupativo ha rispetto alle modalità con cui si presenta lo scarto
post-occupativo.

4.3 PER UNO STUDIO VALIDO DELLO SCARTO POST-OCCUPATIVO


La tematizzazione dello scarto post-occupativo è un elemento comune a tutti gli approcci della POE.
L’esigenza di valutare un progetto ha poggiato sulla presa di coscienza dello scarto post-occupativo. I diversi
approcci alla POE hanno poi declinato questa consapevolezza in maniera diversa, scegliendo di privilegiare
punti di vista e strategie differenti.

4.3.1 LEGGERE LE AFFORDANCE


In alcuni approcci c’è la tendenza a concentrare l’attenzione più agli aspetti tecnici e tecnologici dei
progetti; gli strumenti impiegati per studiare lo scarto tra spazio potenziale e spazio effettivo sono molto
diversi. Possiamo raggrupparli in 3 macro famiglie: dell’OSSERVAZIONE, dell’INTERVISTA, del
QUESTIONARIO. In ognuna di esse si possono collocare le varie forme in cui questi 3 strumenti sono stati
impiegati nei vari casi. Quella dell’osservazione è quella più in grado di produrre nuova conoscenza
significativa per lo studio tra spazio potenziale ed effettivo. L’intervista e il questionario fanno riferimento
alla parola come modalità di produzione dei dati, mentre l’osservazione si basa sulla visione, sulle immagini.
Le affordance, offrono un nuovo modo di concepire le modalità con cui facciamo le nostre esperienze negli
spazi: esse non dipendono dalle proprietà che lo spazio possiede quanto dalle opportunità che in esse
cogliamo; però anche queste opportunità nello spazio sono colte in maniera non mediato dal linguaggio
cosciente, quanto piuttosto in maniera non consapevole. L’osservazione ha il grosso vantaggio di mettere
chi valuta nella posizione di utilizzare come strumento di produzione della conoscenza la stessa modalità di
lavoro che viene principalmente impiegata nell’attività progettuale, e cioè proprio quella della visione. Ciò
consente a chi valuta di compiere movimenti che guardano allo spazio in maniera affine al progettista.
A tali strumenti deve quindi essere affiancata con maggiore frequenza l’osservazione, ma non si nega
l’importanza dei risultati e delle conoscenze degli strumenti che si basano sulla parola.

4.3.2 STRUMENTI E APPROCCI


L’osservazione è stata impiegata in misura e in forme molto diverse tra loro. Ha avuto un ruolo centrale
nell’approccio del processo progettuale. Nella fase iniziale costituisce un passaggio chiave nella definizione
delle ipotesi da controllare con altri strumenti. Negli altri due approcci (sperimentale degli psicologi e della
Builing Performance) ha uno spazio inferiore e comunque sempre in forme che mirano al controllo delle
ipotesi. Generalmente l’intento è quello di osservare per contare invece che di osservare per scoprire.
In queste valutazioni l’osservazione viene impiegata soprattutto per valutare le opportunità che lo spazio
offre nella relazione tra due suoi elementi fisici. È la tecnica che nelle scienze sociali e nelle valutazioni post-
occupative viene più spesso trascurata o relegata ad un ruolo marginale o secondario.
Un modello ideale di analisi dello scarto post-occupativo tra spazio potenziale ed effettivo deve far ricorso a
tutte e 3 le macrofamiglie di strumenti. Osservazione e intervista, si sostiene che, quando caratterizzate da
una bassa strutturazione, sono strumenti che permettono di rispondere a domande sul come, sul perché si
attuino certe pratiche di abitazione dello spazio. ma sono in grado di dire poco sul quanto tali pratiche siano
effettivamente diffuse.

4.4 PER AVANZARE SU BASI SOLIDE


Quella che è stata definita come una nuova, maggiore diffusione della POE in realtà ha coinciso con una sua
ridefinizione che nasconde alcune criticità(lo slittamento prodotto a proposito dell’oggetto delle
valutazioni; e un rafforzamento della POE che, a partire dall’ambito della progettazione ospedaliera, fa
riferimento ai disegni valutativi tipici dell’approccio sperimentale degli psicologi).
L’approccio del processo progettuale, dopo le speranze degli anni ’70, non è riuscito a raggiungere una
soglia critica minima che gli permettesse di consolidarsi e ha pagato più degli altri approcci la fase di stallo
che ha caratterizzato la diffusione della POE nel decennio successivo, quello degli anni ’80, così questo
approccio è rimasto relegato a posizioni marginali.

4.4.1 SUPERARE LA DIFFIDENZA DEL MONDO PROGETTUALE


Uno degli elementi che hanno compromesso la diffusione della Poe è legato all’atteggiamento di diffidenza
nei suoi confronti che è stato espresso dagli attori che prendono parte al processo progettuale. Tra i motivi
di questa diffidenza c’è il problema dei costi della valutazione post-occupativa: non è chiaro chi debba
assumersi gli oneri di quella che, agli occhi dei molti attori del processo progettuale, viene considerata una
fase successiva alla conclusione del loro lavoro. I tempi sono un'altra chiave attraverso cui si manifesta il
fattore economico dei costi. I tempi sono una delle risorse scarse che i progettisti si trovano a dover gestire:
il tempo necessario a svolgere una valutazione su un oggetto già progettato viene generalmente percepito
come tempo sottratto ai progetti successivi, e per questo viene raramente considerato tra le fasi necessarie
di un progetto progettuale. I progettisti continuano quindi a riproporre le stesse soluzioni anche quando
sono poco o per niente efficaci e non possono rendersene conto. Un ulteriore motivo di diffidenza è legato
infine all’idea che alcuni progettisti hanno secondo cui la valutazione sia un momento in cui sono chiamati a
rispondere delle loro scelte progettuali e dei loro insuccessi (hanno temuto la POE come critica
dell’architettura). Ma nella valutazione post-occupativa non c’è nessun intento recriminatorio nei confronti
dell’operato dei progettisti. Una nuova generazione di progettisti, sembra particolarmente disposta ed
interessata agli esiti delle valutazioni, cogliendone il contributo al miglioramento della pratica progettuale.

4.4.2 FAVORIRE LA COLLABORAZIONE INTERDISCIPLINARE


Un secondo ordine di fattori che ha reso problematica la diffusione della POE è legato alle difficoltà del
rapporto interdisciplinare tra scienze sociali e mondo della progettazione, in relazione con gli obiettivi
diversi a cui tali discipline mirano quando si accostano agli studi sullo spazio abitato e con i problemi legati
alla costruzione di un patrimonio concettuale comune che permetta una proficua comunicazione
interdisciplinare.

4.5 UNA SINTESI CONCLUSIVA


La POE va intesa dunque come l’analisi dell’inevitabile doppio scarto che si da in quel processo complesso
che muove dalle fasi iniziali del progetto, passa per la sua realizzazione e prosegue con la sua abitazione.
La POE si fa di 2 valutazioni: la valutazione dello scarto pre-occupativo e di quello post-occupativo. Questi 2
momenti valutativi sono strettamente interconnessi.
Per promuovere questo nuovo approccio devono essere favorite alcune condizioni fondamentali: è
necessario sostenere un idea di valutazione che faccia del confronto tra soggetti diversi il suo punto di
forza; in un altro senso deve essere intesa come momento in cui si tende al coinvolgimento sia degli attori
coinvolti nel processo progettuale che degli abitanti degli spazi.
Non può esistere una progettazione valida universalmente e non possono neanche essere pensati disegni di
valutazione universali.
Per poter realmente incidere sulla sensibilità progettuale della comunità dei progettisti, le valutazioni
devono adottare modalità di produzione e di restituzione dei loro risultati che massimizzino le possibilità
che questi siano reinseriti nel processo progettuale.
La POE offre la possibilità di affinare la sensibilità di progettisti e scienziati sociali.

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