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SOSTANZA E FUNZIONE.

PREFAZIONE e CAPITOLO I.

Cassirer prende le mosse dalla filosofia della matematica. Logica… . la funzione concettuale.

C. crede nella struttura fondamentale comune a tutte le scienze empiriche, la sua ricerca si propone di
mettere in luce la fondamentale funzione unitaria da cui questa struttura viene dominata e tenuta insieme.

Ogni volta che nella storia della filosofia viene posta la questione del rapporto pensiero/essere,
conoscenza/realtà, essa viene guidata e dominata, fin dalla sua prima impostazione, da determinati
presupposti logici, da una determinata concezione intorno alla natura del concetto e del giudizio.

Riforma logica

La logica aristotelica è, nei suoi principi generali, l’espressione fedele e lo specchio della metafisica
aristotelica.

Tutti i tentativi critici di riforma della logica si devono concentrare su quest’unico punto: la critica della logica
formale si compendia in una critica della teoria generale della formazione dei concetti. Viene presupposta
l’esistenza delle cose medesime nella loro molteplicità e la facoltà dello spirito di isolare da questa massa di
singole esistenze individuali quelle caratteristiche che appartengono in comune a una pluralità di esse.
Allorché riuniamo in classi gli oggetti caratterizzati dal comune possesso di una e medesima proprietà e
ripetiamo questo procedimento innalzandoci ai gradi superiori, nasce a poco a poco per noi un ordine e un
articolarsi sempre più saldo dell’essere, conformemente al digradare delle somiglianze oggettive che si
trovano nelle cose singole. le funzioni essenziali, che in tal modo il pensiero compie, sono quindi soltanto
quelle di confrontare e distinguere determinate molteplicità sensibili.

La riflessione, che passa per cogliere i caratteri essenziali, conduce ad una astrazione. Questa astrazione isola
i tratti affini da ogni mescolanza di elementi eterogenei; li coglie e li mette in evidenza nella loro pura realtà.
In questo modo questa unità di una visione del mondo.

p.14 La logica aristotelica da priorità al concetto di cosa rispetto al concetto di relazione. Per Aristotele il
concetto non è un semplice schema soggettivo in cui noi raccogliamogli elementi comuni di un gruppo
qualsiasi di cose. Rilevare ciò sarebbe solo un gioco dell’immaginazione, alla base di ciò, sta il pensiero che
così si ottiene la forma reale, che garantisce il nesso causale e teleologico delle cose singole. Le due principali
forme tipiche della logica si contrappongono per questo motivo.

p.16 A seconda del diverso valore che si attribuisce al concetto di cosa rispetto al concetto di relazione, si
distinguono le due principali forme tipiche della logica che si contrappongono l’una all’altra nello sviluppo
scientifico dell’età moderna.

pp.24/25 E’ stato riconosciuto come fondamento di ogni “astrazione” un atto di identificazione. Al pensiero
viene attribuita una funzione peculiare consistente nel riferire un contenuto presente a un contenuto passato
e nel riconoscerli uguali fra loro sotto un certo punto di vista. Questa sintesi, non ha negli stessi contenuti
confrontati alcun diretto correlato sensibile. A seconda della maniera e della direzione in cui questa sintesi
avviene, il medesimo materiale può esser compreso in forme concettuali diverse. Senza un simile processo
di ordinamento in serie, non potrebbe nascere la coscienza della comune appartenenza a un genere e quindi
neppure l’oggetto astratto. Questo passaggio da un termine all’altro presuppone un principio secondo il
quale esso avvenga e mediante il quale venga accettata la specie di dipendenza fra ciascun termine e quello
che segue. Risulta che ogni formazione di concetti è legata a una determinata forma di costruzione di serie.
Diciamo concettualmente compresa e ordinata una molteplicità offerta dall’intuizione allorché i suoi termini
non stanno l’uno accanto all’altro senza rapporti, ma derivano in successione necessaria da un determinato
termine iniziale secondo una fondamentale relazione generatrice. l’identità di questa relazione generatrice,
che viene mantenuta pur nel mutare dei singoli contenuti, è ciò che costituisce la forma specifica del
concetto. Decisiva è la relazione di necessità, che in tal modo viene creata e di cui il concetto è solo
l’espressione e l’involucro, non già la rappresentazione generica, che in determinate circostanze si può
aggiungere, ma che non entra come elemento determinante nella definizione.

L’analisi della teoria dell’astrazione riconduce a un problema più profondo. Il “confronto” dei contenuti, è
solo un’espressione vaga. Sono funzioni categoriali molto diverse quelle qui riunite sotto una denominazione
comune. Il collegamento dei termini avviene mediante una qualche legge universale di coordinazione, in virtù
della quale viene stabilita una regola generale di successione… L’unità delle note di un concetto può essere
“astratta”, dagli elementi che di quel concetto formano l’estensione, solo in quanto noi conosciamo in essi la
regola specifica per cui si trovano in relazione; non già invece in quanto costituiamo, ricavandola da essi,
questa regola col semplice sommare o col tralasciare delle parti. L’unico punto di appoggio per la teoria
dell’astrazione è la circostanza che i singoli contenuti, non vengano da essi presupposti come particolarità
prive di connessione, ma vengono già tacitamente pensati nella forma di una pluralità ordinata. In tal modo
il “concetto” non è stato dedotto, ma presupposto; infatti, attribuendo a una pluralità un ordine e un nesso
dei suoi elementi, noi abbiamo già presupposto il concetto, se non nella sua forma compiuta, almeno nella
sua funzione fondamentale.

p.29 Il concetto matematico si distingue con la massima evidenza dal concetto ontologico.

pp.30/31 Il concetto è una regola universale per il collegamento del particolare stesso. Il concetto generale
si dimostra il più ricco di comprensione. Appare qui che, non l’”universalità” di una rappresentazione, bensì
l’universale validità di un principio di ordinamento in serie forma l’elemento caratteristico del concetto. Dalla
molteplicità che ci si offre non isoliamo alcune parti astratte, ma creiamo per i suoi termini una relazione
univoca, pensandola collegata mediante una legge perentoria.

p.32 Ogni funzione rappresenta una legge universale che, in virtù dei successivi valori che possono essere
assunti dalla variabile, comprende in sé ad un tempo tutti i singoli casi per i quali essa vale. Ma una volta che
venga riconosciuto questo, si apre subito per la logica un campo di indagine del tutto nuovo. Alla logica del
concetto-genere, la quale si trova nel punto di vista e nel dominio del concetto di sostanza, si contrappone
ora la logica del concetto matematico di funzione. Il campo di applicazione di questa forma di logica non
può essere cercato solo nel campo della matematica. Anzi, il problema si trasferisce subito nel campo della
conoscenza della natura, giacché il concetto di funzione racchiude in sé al tempo stesso lo schema generale
e il modello secondo cui il concetto moderno di natura si è formato nel suo progressivo sviluppo storico.

p.34 finché si crede che ogni determinatezza si riduca alle note costanti, alle cose e alle loro proprietà, ogni
generalizzazione concettuale sembrerà sicuramente significare anche una diminuzione di comprensione dei
concetti. Ma quanto più il concetto viene liberato dalla caratteristica che ne fa un essere simile alle cose,
tanto più si manifesta, dall’altro lato, il suo peculiare compito funzionale. Le proprietà permanenti vengono
sostituite da regole che ci fanno abbracciare con un unico sguardo un’intera serie di determinazioni possibili.
Questa trasformazione, questa conversione in una nuova forma di <<essere>> logico rappresenta il risultato
veramente positivo dell’astrazione.

p.36 Agli “oggetti di prim’ordine”, gli oggetti della percezione sensoriale, si contrappongono “gli oggetti di
secondo ordine”, la cui caratteristica logica viene determinata dalla forma di connessione onde essi nascono.
Ogni volta che riuniamo degli oggetti del nostro pensiero in modo da farne un unico oggetto, creiamo un
nuovo “oggetto di secondo ordine, il cui significato si esprime nelle relazioni che vengono stabilite mediante
l’atto di unione fra i diversi elementi singoli. Con queste considerazioni lo schema tradizionale della
formazione dei concetti è spezzato. Infatti, in luogo della comunanza di note, è ormai il <<complesso dei
rapporti>> fra gli elementi a decidere della unificazione in un concetto. Abbiamo visto come l’”astrazione”
rimarrebbe senza direzione e senza guida se non pensasse gli elementi, onde essa ricava il concetto, come
collegati fin da principio mediante una determinata relazione e ordinati in virtù di essa.

CAPITOLO II.

I CONCETTI NUMERALI

I.

Il numero è espressione del metodo razionale in generale. Non è più identificato come sostanza delle cose
come in Pitagora, ma è alla base della nostra comprensione razionale.

Nel capitolo 1 C. spiega la rivoluzione logica che da Aristotele e la logica della sostanza si passa alla logica
moderna legata al concetto di funzione. Lo stesso tipo di cambiamento avviene nel campo dell’algebra.

J.S. Mill e la teoria dell’astrazione: Come gli oggetti si differenziano tra loro per grandezza e forma, debbono
avere in sé una struttura che conferisce il loro carattere del numero. Così il concetto di “due” e “tre” viene
astratto da una pluralità di gruppi oggettivi nella stessa maniera in cui il concetto di colore viene astratto dal
confronto con oggetti colorati percepiti. da questo punto di vista, è logico che tutte le proposizioni intorno
ai numeri vengono considerate come l’espressione di determinate proprietà fisiche degli oggetti. questa
conseguenza implicita si è presentata per la prima volta nello sviluppo del moderno empirismo. Secondo J.S.
Mill, la proposizione 2+1=3 non rappresenta una semplice definizione, un semplice fissare il senso da legare
al concetto del 2 e del 3, ma riferisce un fatto empirico, che la nostra percezione spaziale ci ha finora sempre
presentato nello stesso modo. Questo metodo riduce l’idealità delle verità matematiche ad osservazioni
fisiche sul mondo materiale. La teoria di Mill è ricavata dalla sua generale interpretazione del concetto. La
prima applicazione di questa dottrina conduce ad un contrasto col fatto della stessa scienza aritmetica. Ogni
volta che nella moderna matematica si tentò di analizzare e spiegare questo fatto, lo si dovette anzitutto
scindere dalla visione errata che qui ne è data; fu necessario distinguere la struttura logica dell’aritmetica
pura dall’aritmetica milliana dei “sassolini e delle caramelle”.

Se la deduzione milliana fosse corretta, noi saremmo limitati dalle nostre capacità psicologiche nel cogliere i
numeri in relazione a determinati insiemi di oggetti. Se un gruppo ristretto è facile da cogliere, p.es 10 unità,
un numero come 789234 è impossibile da cogliere ed esprimere la differenza con 789235 ad esempio. In
questo modo viene persa la caratteristica contenutistica e l’applicabilità dei numeri. la sintesi del numerare
può, secondo Mill, avere luogo soltanto quando la separazione o l’unione è realmente effettuabile negli
oggetti fisici. Le mutevoli immagini date dai diversi gruppi formano il vero sostrato di ogni affermazione
intorno ai rapporti numerici. fuori dal campo dell’intuizione spaziale, sarebbe tolto ai concetti numerici il loro
fondamento proprio.

FREGE: critica drasticamente la teoria di Mill dicendo che, sarebbe strano se una proprietà astratta da cose
esteriori potesse essere riferita, senza cambiamento di significato a eventi a rappresentazioni e a concetti.
noi parliamo non soltanto del numero di granelli di sabbia, ma anche del numero delle categorie, del numero
delle leggi di Keplero ecc… E’ assurdo che in ciò che non è sensibile compaia ciò che è per sua natura sensibile.
se guardo qualcosa di azzurro, dico azzurro, se guardo un triangolo, non dico tre. Posso vedere al massimo
un qualcosa a cui si collega un’attività spirituale che conduce ad un giudizio dove compare il numero 3.

Anche qui (teoria sensistica) queste attività spirituali, queste funzioni del giudizio, non sono del tutto escluse,
ma vengono tacitamente ammesse. Nell’interpretazione sensistica del concetto di numero (Mill), solo le
prime verità dell’aritmetica vengono intese come risultato dell’osservazione immediata dei fatti fisici, mentre
la forma scientifica dell’algebra non può fondarsi sul fluire sempre rinnovato di fatti percettivi, ma dalla sua
“generalizzazione” dei dati sensibili primitivi. -> questo concetto… : p. 45, leggere da dove ho lasciato il
segnalibro.

1: se si dà un senso preciso e univoco esso si scinde in una pluralità di funzioni intellettuali diverse che
concorrono alla costruzione del regno dei numeri.

2: se si ammette la possibilità di estendere gradualmente le osservazioni da noi fatte in piccoli complessi di


oggetti ad altri complessi più grandi e determinare le proprietà dei complessi più grandi da quelli più piccoli
per analogia, ciò presuppone una relazione di dipendenza dei casi messi a confronto in cui uno è deducibile
dall’altro. Noi non avremmo il diritto di compiere questa operazione a meno che consideriamo omogenei
questi insiemi per “natura”: questa omogeneità significa soltanto un legame sotto una regola univoca, che
consente tramite la sua applicazione identica della medesima relazione fondamentale il passaggio da una
molteplicità all’altra. Senza questa connessione o legge, ogni unità aggiunta modificherebbe il sistema nel
complesso in modo che non si possa dedurre il comportamento di un insieme da un altro. in questo caso,
nessuna legge universalmente applicabile, nessuna relazione universalmente valida collegherebbe più gli
elementi del regno dei numeri, al contrario ogni proposizione aritmetica sarebbe da dimostrarsi caso per
caso per ogni singolo numero mediante l’osservazione e la percezione. 

 Per sfuggire a queste conclusioni la teoria sensistica deve deviare in un’altra direzione di pensiero.
Postulare la generalizzazione delle primitive esperienze dei numeri (implica la funzione di universalità
dei concetti che si sarebbe dovuta eliminare mediante la spiegazione). I medesimi procedimenti di
pensiero, indispensabili per ogni teoria nel progresso verso forme aritmetiche superiori,
costituiscono la base per la determinazione degli elementi.

LA VIA DELLA COSCIENZA (VIA ERRONEA) A) relazione tra propos. aritmetiche e esistenza empirica delle cose:
la relazione non starebbe nelle cose esteriori, ma nella “coscienza” stessa sarebbe la fonte di questi concetti.
Non un essere materiale, ma un essere spirituale è ciò che essi vogliono rappresentare. Il concetto rinuncia
a rappresentare una realtà esterna assoluta, in luogo di questa realtà si apre alla possibilità della sua forma
fenomenica nel nostro spirito. l’atto del pensare non riproduce i rapporti delle cose in sé stesse, ma solo la
maniera in cui si riflettono nella visione che ne ha il nostro io.

Anche la via della coscienza ha un difetto in comune con la deduzione sensistica: L’aritmetica non raggiunge
una fondazione logica indipendente. Nel sensismo appariva come caso speciale della fisica, ora appare come
caso appendice della psicologia.

Il senso e il valore del concetto di numero deve consistere nel soddisfare l’esigenza di identità logica!!!

7+5=12 non è una connessione di esperienze rappresentative, ma stabilisce un rapporto che


“platonicamente” unisce il 5 “in sé” e il 7 “in sé”. L’immagine psicologica del numero 2 può collegarsi a
immagini secondarie spaziali ecc… ma queste differenze non influiscono affatto sul SIGNIFICATO ARITMETICO
del numero 2. Ciò che un concetto “è” e significa può essere accertato in un modo soltanto: in quanto lo
intendiamo come portatore e punto di partenza di determinati giudizi, come complesso di relazioni possibili.
dei concetti sono identici quando è possibile, in una proposizione, scambiare l’uno con l’altro. questo è
possibile nell’identità logica del concetto di numero, ma si perde con il concetto psicologico di
rappresentazione. Le caratteristiche relazioni fondamentali, che vigono nella serie dei numeri, non sono
pensabili come proprietà di determinati contenuti rappresentativi. Non ha senso dire di una
rappresentazione che è più grande di un'altra… Come per il postulato di infinità, dal punto di vista psicologico
è impossibile rendere conto dell’infinità in quanto non è possibile da esperire. se i numeri fossero delle realtà
nella coscienza individuale, essi potrebbero esistere solo in quantità finita, cioè essere realizzati come
elementi particolari nella coscienza.
P.49- Cassirer riprende il suo concetto di funzione, dopo aver fatto la critica al sensismo e allo psicologismo,
dice che il motivo per cui ciò che è caratteristico del numero non si coglie in un particolare contenuto della
coscienza perché l’identificazione dei numeri è possibile mediante un ATTO, è una ATTIVITA’ che domina e
guida la nascita e la formazione dei concetti in generale. Leggere a pag.49 dove è segnato… Non oggetti,
bensì atti dell’appercezione sono ciò a cui la determinazione numerica si riconnette e a cui risale il suo senso
specifico.

Mill: “tutti i numeri”  inteso come numeri di qualche cosa, non esistono i numeri in astratto per il sensismo.
(ma possono essere numeri di qualsiasi cosa…). così si raggiunge l’universalità in quanto si fonda su un
processo di confronto di singoli casi… l’universalità introdotta in questo modo (surrettiziamente) non ci
garantisce una regola, e i casi esclusi potrebbero non presentare la medesima caratteristica dei casi analizzati.

Punto di vista Psicologico: Una più matura deduzione del concetto di numero dal fondamentale atto della
connessione e separazione appercettiva in generale raggiunge un nuovo punto di vista per quanto concerne
la fondazione del concetto di numero. Il numero è universale non perché contenuto come parte costitutiva
già compiuta in ogni singolo caso, ma perché rappresenta una condizione costante del giudizio che si
pronuncia intorno a ogni singolo come tale. La coscienza dell’universalità è già presupposta nell’atto che
coglie ciascuno dei casi: l’ordinamento di questi singoli casi in una totalità che li abbraccia è possibile solo in
quanto il pensiero ha la facoltà di riconoscere e di mantenere in un’identità concettuale una regola, della
quale esso si è una volta accertato, pur nella diversità e particolarità dei singoli casi in cui viene applicata.

Critica allo Psicologismo di Cassirer: Il problema logico del numero non viene risolto ma spostato. Per quanto
si possa attribuire un valore costruttivo ai puri atti del pensiero, essi, (presi dal p.di vista Psicologico)
rimangono pur sempre accadimenti che vanno e vengono nel tempo. Appartengono ad un particolare
processo individuale della coscienza il quale si svolge QUI ED ORA nelle particolari condizioni di ogni momento
singolo. come nel problema precedente  non sono delle realtà determinate cronologicamente quelle il cui
rapporto viene espresso e stabilito nelle proposizioni aritmetiche,

nelle proposizioni aritmetiche: in esse il pensiero si innalza al di sopra dell’intero campo del divenire
psicologico, a un regno di oggetti ideali ai quali attribuisce una fondamentale forma permanente e
immutabile. in virtù di questa forma ogni elemento della serie è connesso con ogni altro secondo una regola
sistematica stabilita una volta per sempre. NON PER VIA DI UNA ANALISI PSICOLOGICA DEGLI ATTI ONDE SI
FORMANO LE RAPPRESENTAZIONI SI PUO’ STABILIRE COME IL NUMERO UNO è COLLEGATO COL DUE… e
come conformemente a questo nesso nasce quell’intero complesso logico di proposizioni che si trovano
nell’aritmetica pura. La costruzione e l’oggettiva motivazione di questo sistema di rapporti appartiene a un
metodo tutto diverso. questo metodo inizialmente è soltanto un’esigenza, la cui attuazione deve apparire
problematica. infatti quale mezzo ci rimane se vogliamo escludere la riproduzione di un essere
esteriore/interiore, ed escludere la riproduzione di un essere fisico/psichico? Tale questione deriva
dall’interpretazione dogmatica dell’essenza della funzione del concetto. da questo punto di vista è la ricerca
logico-formale che trova qui un limite…

II.

Sviluppo dell’aritmetica scientifica nasce dall’esigenza della deduzione del concetto di numero dalla logica.
Diversamente dalla nozione di spazio, che deve rientrare o nel campo dell’intuizione o in quello di percezione
(esperienza), la nozione di numero deve di necessità essere fondata senza riferimenti a oggetti sensibili o
appoggiarsi a grandezze misurabili, ma solamente “mediante un sistema finito di semplici passi del pensiero”.
Cass. dice: In questa deduzione dell’aritmetica dalla logica, quest’ultima viene già presupposta in una forma
nuova.

Dedekind: “se cerchiamo di stabilire con precisione che cosa facciamo allorché contiamo un insieme o
quantità di oggetti, siamo condotti a considerare la facoltà, posseduta dallo spirito, di riferire certe cose a
certe cose, di rappresentare una cosa mediante un’altra cosa; facoltà senza la quale nessun pensiero è in
generale possibile, su quest’unica base (indispensabile) deve essere fondata la scienza dei numeri”.

COSE, (per quanto riguarda il pensiero aritmetico) è inteso come ciò che prende parte in una relazione, e con
le relazioni con cui vengono enunciate. Esse (le cose) sono i termini di relazione che non possono mai essere
isolati, ma devono essere “dati” soltanto uniti in una comunità ideale.

RIPRODUZIONE: anche il concetto di riproduzione, non significa più “fornire una copia concettuale delle
impressioni esterne”, ma significa “coordinazione ideale per cui noi colleghiamo in unità sistematica degli
elementi per il resto del tutto eterogenei”. “la <<riproduzione>> non crea una nuova cosa, bensì un nuovo
ordine necessario fra atti e oggetti di pensiero”.

Dedekind nel suo scritto, “essenza e significato dei numeri”, mostra come sulla base di questi principi sia
possibile costruite l’intero edificio dell’aritmetica ed esporne il significato scientifico.

X Cassirer, il concetto di numero serve come esempio per la formazione di puri “concetti-funzionali”.

I presupposti per la deduzione del concetto di numero sono dati nella logica generale delle relazioni.

Se consideriamo il complesso delle relazioni possibili, ci si presentano anzitutto certe fondamentali


determinazioni formali che appartengono regolarmente a determinate classi di relazioni e le distinguono da
altre classi di diversa struttura.

es. se tra “a” e “b” vi è una certa relazione

se aRb = bRa allora la relazione è simmetrica

se aRb non è necessariamente bRa, ma solo possibile, non-simmetrica

se aRb ≠ bRa allora è asimmetrica

se aRb e bRc, allora aRc è detta proprietà transitiva

se aRb e bRc, allora aRc è possibile ma non necessario si dice non-transitiva

se aRb e bRc, allora aRc non è possibile si dice intransitiva

Su queste determinazioni si fonda la definizione di ordine di un determinato insieme. è un errore considerare


l’ordine che sussiste fra gli elementi come qualcosa di evidente e dato dalla semplice esistenza dei singoli
termini. in realtà esso non appartiene agli elementi come tali ma alla relazione con cui sono collegati nella
serie. da questa relazione essa deriva la sua natura specifica.

Una progressione (o un qualsiasi insieme ordinato) è determinata da una relazione transitiva e asimmetrica.
con la determinazione della progressione si ha l’oggetto specifico si cui si deve occupare l’aritmetica. Tutte
le proposizioni e tutte le operazioni che essa definisce si riferiscono soltanto alle proprietà generali delle
progressioni; non si rivolgono mai direttamente alle “cose”, bensì alle relazioni di ordine che vigono fra gli
elementi di determinati insiemi.

(Dedekind) secondo questa deduzione tutta la <<realtà>> dei numeri è fondata sui rapporti che essi
presentano in sé stessi, non sulla relazione con una oggettiva realtà esteriore. Non hanno bisogno di un
sostrato estraneo, essi si appoggiano reciprocamente, in quanto ad ogni numero è assegnato univocamente,
in virtù dell’altro, il suo posto nel sistema. P.55 LEGGERE LA DEFINIZIONE DI DEDEKIND

Cassirer, relativamente all’uso del termine “astrazione” di Dedekind: “dal punto di vista logico “astrazione”
viene usato in un significato nuovo. l’atto dell’astrazione non mira alla separazione di una nota appartenente
a una cosa, ma ha lo scopo di renderci consapevoli del significato di una determinata relazione considerata
puramente in sé stessa, indipendentemente da tutti i casi singoli di applicazione. Nel suo significato, la
funzione del “numero” è indipendente dalla diversità degli oggetti che possono essere contati, questa
diversità deve essere trascurata se si tratta solamente di sviluppare la determinatezza di questa funzione.

“astrazione” significa (liberazione) concentrazione logica sul nesso relazionale come tale (vengono eliminati
i nessi psicologici ed empirici).

infatti per Dedekind l’essenza dei numeri si risolve nella loro posizione (si perde la sostanzialità del numero
in favore della formalità della serie). Il concetto di posizione deve essere inteso in tutta la sua estensione e
universalità logica. la discernibilità degli elementi, poggia su convinzioni puramente concettuali e non
intuitivo-sensibili. La stessa intuizione del tempo puro, sulla quale Kant fonda il concetto di numero, non è
qui richiesta. Noi pensiamo i termini della serie numerica come successione ordinata, ma questa successione
non contiene in sé nulla della concreta determinatezza della successione temporale. Il 3 non segue il 2 come
il tuono segue il lampo, dato che sia l’uno che l’altro (2/3) non hanno una realtà temporale, ma posseggono
una realtà logica puramente ideale. Il numero superiore presuppone l’inferiore ma questo non determina un
rapporto spazio-temporale ma solo un rapporto concettuale e sistematico. Il tempo, inteso come forma del
“senso interno”, presuppone si il numero, ma non vale il contrario.

Hamilton: l’aritmetica può essere definita la scienza del tempo puro solo quando dal concetto di tempo si sia
eliminata inizialmente ogni particolare determinazione contenutistica e sia conservato soltanto il fattore
dell’”ordine della progressione”.

Vantaggio metodologico della scienza del numero: il fatto di lasciar da parte il “quid” degli elementi che
formano il nesso di progressione e di prendere in considerazione soltanto il “come” di questo nesso.

Numeri cardinali di Dedekind, Helmholtz e Kroneker.

(ci si presenta un) Procedimento generale d’importanza decisiva per tutta la formazione dei concetti
matematici  Ogni volta che è dato un sistema di condizioni tale da potersi realizzare in contenuti
diversi, noi possiamo, prescindendo dalla variabilità di questi contenuti, tener ferma la forma stessa del
sistema come invariante e svilupparne deduttivamente le leggi. In questo modo creiamo una nuova forma
“oggettiva” che nella sua struttura è indipendente da ogni arbitrio; sarebbe ingenuo confondere questo oggetto con le
cose sensibilmente reali e operanti. in questo oggetto non possiamo cogliere “empiricamente” le sue “proprietà”.

Una nuova svolta nel concetto di numero si ha dal passaggio dal numero ordinale (semplice successione logica di
prodotti del pensiero) al numero cardinale (espressione della pluralità). Il numero cardinale n, è formato da tutti gli
elementi che lo precedono nella serie dei numeri. (spiegaz. numeri cardinali p.60).

La considerazione dei cardinali non ci fa scoprire nessuna nuova proprietà e nessuna nuova relazione che
non si sarebbero potute ottenere in base al semplice fattore dell’ordine; questo risultato soltanto viene
raggiunto: le formule sviluppate dalla teoria ordinale acquistano un più vasto campo di applicazione in
quanto possono ora essere, per così dire, lette in due lingue diverse. Se col passaggio che qui si compie non
viene creato nessun contenuto matematico nuovo, è incontestabile che nella formazione del numero
cardinale intervenga una nuova funzione logica. Nella successione ordinale i passaggi vengono compiuti
singolarmente, nella teoria cardinale c’è l’esigenza di cogliere la serie come un tutto ideale. L’elemento che
precede non deve esser soppiantato da quello che segue ma rimane conservato in esso riguardo al suo
generale significato logico, cosicché l’ultimo passo del procedimento comprende in sé al tempo stesso tutti i
precedenti e la legge che li collega reciprocamente. in questa sintesi la semplice successione dei numeri
ordinali si integra in un sistema unitario, in sé stesso chiuso, nel quale ogni termine non sussiste soltanto per
se stesso, ma rappresenta anche la struttura e il principio formale dell’intera serie.

Grazie ai due atti logici fondamentali, l’esigenza di una deduzione puramente razionale prescindente da ogni
elemento empirico e di ogg. fisici è soddisfatta.

P. 61: Helmholtz, spiegazione formazione dei numeri, da leggere…

Leibniz: la “base” delle verità non consiste mai nei segni, bensì nei rapporti oggettivi fra le idee.

Ordine, non è ciò che si può direttamente mostrare nelle impressioni sensibili, bensì qualcosa ad esse
appartiene solo in virtù di relazioni di pensiero.

La teoria non ha bisogno di un complesso di cose fisicamente date. Le pluralità che essa pone come base
sono dei complessi non già empiricamente esistenti, ma definiti idealmente, i quali possono essere
progressivamente costruiti secondo una regola costante in base a un punto di partenza inizialmente stabilito.
In questa regola sono radicate anche tutte le pure caratteristiche “formali” che contraddistinguono la serie
numerica, facendo di essa il tipo fondamentale di una connessione colta e dominata mediante il pensiero
concettuale.

III.

Riduzione del concetto di numero al concetto di classe… Per determinare che cosa un numero “è” nella sua
pura essenza, noi non cerchiamo di scomporlo direttamente in parti costitutive più semplici, ma domandiamo
anzitutto che cosa significhi uguaglianza di numeri. una volta stabilito sotto quali condizioni consideriamo
equivalenti due insiemi riguardo al loro numero, è con ciò determinata indirettamente anche la natura
specifica della nota che in essi assumiamo come identica. Il criterio dell’uguaglianza numerica di due insiemi
consiste nel fatto che sia possibile indicare una determinata relazione mediante la quale i due insiemi si
possano coordinare fra loro in maniera biunivoca.

In questo modo, confrontando le note comuni degli insiemi possiamo valutarne l’equivalenza, se un insieme
è in un rapporto di corrispondenza biunivoca con un altro, questi rappresenteranno lo stesso numero. Noi,
in quanto isoliamo e concepiamo come un oggetto di per sé stesso pensabile il rapporto comune che tutti gli
insiemi di un siffatto complesso posseggono, abbiamo con ciò già raggiunto quell’elemento essenziale che
siamo soliti chiamare il numero di quei complessi.

Deduzione di Frege: “Il numero che appartiene al concetto F è l’estensione del concetto: numericamente
uguale al concetto F”.

Noi cogliamo il numero di un concetto non già considerando solo per sé stessi gli oggetti che in esso rientrano,
ma pensando insieme con essi anche quelle classi i cui elementi stanno in rapporto di corrispondenza
biunivoca con quelli del complesso considerato.

CARDINALI: In questa concezione di numero è caratteristico il fatto che si innalzi ciò che si considera di solito
come criterio di uguaglianza numerica a vero carattere costitutivo, sul quale si fonda tutto il significato del
concetto di numero.

ORDINALI: presuppone i singoli numeri come “dati” e nel decidere poi della loro uguaglianza o diseguaglianza
si segue il procedimento inverso. Il rapporto enunciato nell’equazione è la sola cosa nota, mentre gli elementi
che rientrano in questo rapporto sono ancora indeterminati quanto al loro valore, e solo in virtù
dell’equazione diventano determinabili. 
Frege descrive questo procedimento: “Il nostro intento è di formare il contenuto di una proposizione tale da
poter essere pensato come un’equazione, cosicché ogni lato di questa equazione sia un numero. Vogliamo
in tal modo… mediante il concetto già noto di uguaglianza ottenere ciò che va considerato uguale”. Qui è
espresso un orientamento metodologico che sta a fondamento di ogni formazione di concetti matematici: La
forma prodotta deve ricevere tutta la sua realtà dalle relazioni in cui essa si trova .
Questione fondamentale #1: E’ il rapporto di equivalenza fra classi un metodo più semplice di quello delle
funzioni che portano alla serie sistematica dei numeri ordinali?

Condizione necessaria #1: Sarebbe migliore se si riuscisse a prescindere da queste funzioni e ottenere una
nuova via per la costruzione completa del regno dei numeri e le sue leggi.

Condizione necessaria #2: L’indagine critica si svolge su questo punto, “la deduzione della serie dei numeri è
deducibile dal concetto di classe o è un argomento circolare perché presuppone tacitamente dei concetti
derivanti da quel campo che presume di dedurre?”

L’INTERPRETAZIONE EMPIRISTICA ha in comune con la teoria delle classi la concezione del numero come
“proprietà comune” di certi contenuti e di certi gruppi di contenuti, ma a differenza della teoria empirica che
trova i sostrati delle espressioni numeriche negli oggetti sensibili, la teoria delle classi la trova solo nei
concetti degli oggetti. p.67 esempio degli anelli di venere… da riportare sul P POINT. Ogni giudizio sui rapporti
numerici attribuisce non già agli oggetti, ma ai loro concetti determinate note, mediante i quali vengono
distinti in classi aventi una peculiare natura.

Le proposizioni numeriche sono applicabili universalmente (ogg. materiali/immateriali), questo dimostra la


rigorosa uniformità, poiché il dato numerico non si riferisce mai a contenuti eterogenei me sempre ai concetti
sotto i quali sono compresi, riguarda quindi la medesima ESSENZA LOGICA.

La teoria delle classi vuole mostrare la vera funzione che il numero ha nel complesso della reale conoscenza
 le proprietà “logiche” del numero qui dedotte, sono quelle determinanti per l’applicazione del numero
nella vita quotidiana (la relazione biunivoca tra due classi, ad esempio la classe di 4 e la classe degli anelli di
saturno). In realtà un’indagine approfondita mostra che il senso in cui noi giudichiamo numericamente nella
vita quotidiana si discosta dalla teoria delle classi… La relazione non implica necessariamente la numerabilità,
potremmo conoscere due insiemi uguali senza tenere conto della loro grandezza numerica.

“Il <<quanto>> degli elementi, nel senso usuale, non si lascia convertire da alcuna trasformazione logica in
un semplice enunciato circa l’<<altrettanto>>; esso rimane un compito e una questione indipendente dalla
conoscenza”.

Contrasto metodologico tra la teoria ordinale e cardinale:


Caratteristica fondamentale della teoria ordinale: Un numero acquista valore fisso solo come posizione nel
sistema complessivo. la definizione di un singolo numero comporta la sua posizione in relazione alla posizione
degli altri numeri, e questo rapporto è ineliminabile se si vuole mantenere il significato del numero.

Caratt. della teoria cardinale: Nella deduzione generale del n. cardinale il nesso è eliminato. anche questa
teoria deve stabilire un ordine di successione, ma il senso degli elementi deve esistere prima di quest’ordine,
indipendentemente da esso. I termini sono determinati come le proprietà comune di certe classi ancora
prima che sia stato stabilito qualcosa circa il loro rapporto di successione. il vero carattere del numero ha la
sua radice proprio in questo fattore determinante che fin da principio viene escluso. la formazione di concetti,
a cui il numero risale, nel suo vero intento non è, come dovrebbe essere secondo la tradizionale teoria
dell’astrazione, orientata verso il rilevamento e la conservazione della diversità. la considerazione di insiemi
che si lascino coordinare tra loro in modo biunivoco può condurre a isolare in essi una nota identica; ma
questa nota in se stessa non è ancora un “numero”, ma solo una proprietà logica non meglio determinata.
diventa numero solo in quanto si distingue da altre note aventi lo stesso carattere logico e in quanto si viene
a trovare con esse in un rapporto di “prima” e di “dopo”, di “più” e di “meno”.  la spiegazione del numero
per classi equivalenti è irrilevante per i fini metodologici della matematica pura.

RILEVANZA MATEMATICA: le proprietà su cui si fonda L’ORDINE DELLE POSIZIONI. (il numero può essere ciò
che vuole in sé stesso, l’importante è il modo in cui viene rappresentato in una progressione)  in questo
modo viene superata la preminenza metodologica del numero ordinale… dice inoltre Cassirer: “dove si
potrebbe trovare una più sicura informazione sull’”essenza” di numero, in senso gnoseologico, se non nel
suo più generale uso scientifico?

PROGRESSIONE E DIFFERENZIAZIONE (FORMULE DA INSERIRE NEL P.POIN P.72)

In generale per ricondurre i diversi numeri alla forma di una “progressione” regolata in modo definito (e solo
in questa forma si trova il fondamento del loro significato scientifico) noi dobbiamo necessariamente
possedere un principio che ci consenta, allorché è dato un numero n, di definire ad esso un numero
immediatamente superiore. Questo rapporto di “prossimità” fra due numeri viene determinato dalla teoria
in quanto confrontiamo fra loro le classi corrispondenti… in quanto ne coordiniamo ad uno ad uno gli
elementi… e se in una classe rimane escluso un elemento, la classe di partenza sarà immediatamente
precedente all’altra che sarà successiva, avendo un elemento che non si ritrova nell’altra classe. In questo
modo si ritorna alle medesime sintesi intellettuali sulle quali nella teoria del numero ordinale, si fonda il
passaggio da un’unità alla successiva: l’unica differenza metodologica consiste nel fatto che queste sintesi in
tale teoria si presentano come costruzioni libere, mentre qui hanno bisogno di appoggiarsi a date CLASSI DI
ELEMENTI.

La determinazione del numero mediante l’equivalenza di classi presuppone che queste classi stesse siano
date come pluralità. il concetto della “similitudine” di classi, su cui si fonda il significato dei numeri cardinali,
richiede almeno la considerazione di due insiemi collegati fra loro da una determinata relazione. Per stabilire
una relazione non c’è bisogno che i due insiemi siano singolarmente numerati, basta che sia data una legge
generale che colleghi un qualsiasi elemento del primo insieme con un qualsiasi elemento del secondo. LA
DISTINZIONE DEGLI INSIEMI SI RIDUCE ALLA DISTINZIONE DELLE LEGGI CONCETTUALI DA CUI DERIVANO. Ma
da questo punto, il sistema dei numeri, come puri numeri ordinali, può essere dedotto direttamente, senza
che si passi per la via più lunga attraverso il concetto di classe: a tal fine infatti non si richiede altro che la
possibilità di distinguere una serie di puri atti di pensiero mediante il diverso rapporto con un determinato
elemento fondamentale che serve da punto di partenza. Pertanto la teoria del numero ordinale rappresenta,
per così dire il minimo fondamentale a cui in nessuna deduzione logica del concetto di numero si può
rinunciare; mentre la considerazione di classi equivalenti può essere sì di grande importanza per
l’applicazione di questo concetto, ma non appartiene al suo contenuto originario. (p.74)

Questione delle teorie matematiche: QUESTIONE DEI PRINCIPI: nelle diverse interpretazioni del concetto di
numero si ripete ancora una volta la lotta fra la logica dei concetti-generi e la logica dei concetti-relazioni.

Se deducessimo il concetto di numero dal concetto di classi, sarebbe confermata la forma tradizionale della
logica. l’ordinamento del singolo entro la gerarchia dei generi sarebbe il vero scopo: delle scienze empiriche
e delle scienze esatte. Russell e Frege… leggere per l’esposizione pag 75. (CRITICA DI CASSIRER AL METODO
DELL’ASTRAZIONE DI R. E F. CHE NON RIESCE A SEPARARE IL PIANO DEL CONCETTO DA QUELLO DELLA
FUNZIONE, CERCANO DI TROVARE COME PARTE COSTITUTIVA DEL CONTENUTO CiO’ CHE DOVREBBE ESSERE
UNA “MERA” “FUNZIONE”)

IV.

Secondo Cassirer, l’obiettivo sia della teoria delle classi che della teoria ordinale è la ricerca della deduzione
del numero nella sua forma e significato più primitivi. Con l’ampliazione dei vari sistemi numerici, si amplifica
il problema riguardo a come dovrebbe essere considerato il numero. Secondo Gauss si tratta di esplicare il
valore conoscitivo, i vari metodi per estendere il concetto di numero vengono chiamati da Gauss: “metafisica
dell’immaginario”.

Gauss: “I numeri positivi e negativi possono trovare una applicazione soltanto là dove ciò che viene contato
ha un opposto che unito ad esso equivale all’annullamento. A rigore, questo presupposto ha luogo soltanto
quando ciò che viene contato ha un opposto ed esso equivalente all’annullamento. A rigore, questo
presupposto ha luogo soltanto quando ciò che viene contato non è costituito da sostanze, bensì da relazioni
fra oggetti uniti a due a due. Si postula allora che questi oggetti siano ordinati secondo una certa maniera in
una serie, per es. A,B,C,D…, e che la relazione di A con B possa essere considerata uguale alla relazione di B
con C, e così di seguito. Qui il concetto di opposizione non implica altro che l’inversione della relazione,
cosicché se la relazione di A con B è espressa con +1, la relazione di B con A deve essere espressa con -1.
Siccome una tale serie è illimitata nelle due opposte direzioni, ogni numero reale intero rappresenta la
relazione di un termine. scelto ad arbitrio come inizio, con un determinato termine della serie”.

Il numero immaginario: deduz. numero immaginario si basa sul fatto che gli oggetti che noi studiamo non
vanno più pensati come ordinati in una sola serie, ma tali che, per il loro ordinamento, occorre considerare
una serie di serie e quindi introdurre una nuova unità (+i, -i). Si manifesta qui il punto di vista logico
dominante. Il senso del concetto di numero non può esser compreso finché ci si ostina a voler mostrare in
sostanze, in oggetti per se stessi pensabili, ciò che significa; ci si rivela invece immediatamente non appena
si vede in esso l’espressione di PURE RELAZIONI, mediante le quali vengono regolati i rapporti in una serie
costruttivamente creata. Una SOSTANZA negativa, che dovesse significare al contempo essere e non essere,
sarebbe una contraddizione; una RELAZIONE negativa è solo il correlato logico necessario del concetto di
relazione in generale… se la relazione “A con B” può essere rappresentata come relazione di “B con A”, e se
(R) indica la relazione su cui si basa il passaggio da un termine al successivo, è posto al tempo stesso anche il
rapporto del termine seguente con l’antecedente indicato dalla relazione inversa (R^). I numeri positivi e
negativi (+a,-a) appaiono semplicemente come i due modi di procedere in queste due direzioni della
relazione (R ) e (R^). Da questa concezione fondamentale si deducono poi tutte le operazioni del calcolo
entro il campo così ampliato del numero: esse si fondano tutte sul carattere del numero puro, inteso come
numero relazionale. (questa strada trova conferma con la deduzione del numero irrazionale).

DEDUZIONE DEL NUMERO IRRAZIONALE: due strade possibili:

1. rapporti fra grandezze geometriche.

2. Postulato della risolubilità di determinate equazioni algebriche.

1. rapporti fra grandezze geometriche: Fonda il nuovo numero sullo spazio, quindi su relazioni di oggetti
misurabili. Appare presto evidente che il basarsi su rapporti di concreti oggetti empirici fallisce lo scopo. Limiti
degli errori di osservazione. I rapporti di misura non ci possono imporre il concetto di irrazionale nel senso
matematico. Non I corpi della realtà fisica, ma le grandezze puramente ideali della geometria possono in tal
modo fornire il sostrato occorrente per la deduzione dell’irrazionale. Il nuovo problema non nasce dall’atto
che coglie le grandezze esistenti, ma dalle leggi di determinate costruzioni geometriche. Ma sorge l’esigenza
che la costruzione (da cui non si può prescindere in ogni tentativo di deduzione) venga ricavata e dimostrata
come necessaria in base al principio fondamentale del numero stesso. Spostare la questione dal numero allo
spazio significherebbe distruggere l’unità e la solidità del sistema dell’algebra.

2. Postulato della risolubilità di determinate equazioni algebriche: L’usuale metodo algebrico, che introduce
valori irrazionali come soluzione di determinate equazioni è insufficiente, poiché in esso si scambia
l’affermazione di un postulato con la sua realizzazione. La definizione completa non può indicare l’oggetto
ideale a cui si riferisce, ma deve cogliere e determinare la caratteristica specifica in virtù della quale esso si
distingue da tutti gli altri. Questa caratteristica è data nel modo migliore quando oltre alla sua deduzione è
fissata in modo specifico la sua posizione nel sistema complessivo e quindi il suo rapporto con gli altri termini
noti dell’insieme dei numeri. questo rapporto di posizione abbraccia in sé fin da principio tutte le altre
proprietà che possono essere attribuite al singolo numero, poiché tutte queste proprietà solo
successivamente derivano da tale rapporto e vengono da esso fondate.

Dedekind considera i numeri irrazionali come “sezioni”. leggere pag. 81/82/83. Si pensi alla totalità delle
frazioni razionali, (frazione inteso come rapporto), intese come grandezze misurabili e divisibili (pure relazioni
d’ordine), ogni singolo elemento a che possiamo prendere da questo insieme divide l’insieme stesso in due
classi A e B. la prima comprende tutti i numeri (<a) la seconda i (>a). L’indicazione di ogni frazione indica la
suddivisione dell’intero sistema. NEL P.POINT LEGGERE PP.81,2,3 E RAFFIGURARE LA RETTA. (continuità della
linea retta.)

L’assunzione della proprietà della continuità della retta viene assunta da Dedekind come assioma, mediante
il quale riconosciamo alla linea la sua continuità e cogliamo col pensiero questa continuità presente in essa.
leggere p.83… Una siffatta opposizione di “ideale” e “reale” può, far nascere il pensiero secondo cui nessuna
determinatezza concettuale che ci si impone nella costituzione del regno dei numeri implica
necessariamente una determinatezza dell’essere. Il passaggio da un nesso sistematico ideale all’esistenza di
un nuovo elemento sembra racchiudere in sé un μετάβασις εἰς ἄλλο γένος = passaggio ad un altro
genere. Ma non si tratta di un passaggio arbitrario perché, almeno nel campo del numero, tutta la dualistica
separazione di essere ideale e di essere reale, di “essenza” e di “esistenza” scompare. se una tale distinzione
nello spazio reale può essere mantenuta, scompare nel campo dei puri numeri. Nessun numero “è” qualcosa
di diverso da ciò che esso è stato fatto in determinate definizioni concettuali.

I “tagli” prendono il carattere di numero perché esprimono, come il numero, la forma e l’ordine di una serie
in generale. I “tagli” sono numeri perché in se stessi formano un insieme rigorosamente ordinato, in cui la
posizione relativa degli elementi è stabilita secondo una regola concettuale.

leggere p.85 Numero, metodo di ordinamento in generale. L’ESSERE concettuale del singolo numero si risolve
qui con sempre maggior chiarezza e rigore nella sua peculiare FUNZIONE concettuale: infatti, se secondo la
concezione usuale, un certo numero in se stesso già dato ed esistente “opera” anche un determinato taglio
nel sistema complessivo, alla fine, per converso, proprio questa “operazione” diventa la condizione
necessaria e sufficiente per parlare dell’esistenza di un numero. l’elemento non può essere sciolto dal nesso
relazionale, poiché in se stesso non significa altro che appunto questo nesso e lo esprime, in forma
condensata.

TRANSFINITI: Il problema che giunge a creare i numeri transfiniti, sorgono da presupposti matematici (e non
filosofici). Nascono quando il concetto di equivalenza (criterio per la numerabilità degli insiemi finiti) doveva
essere esteso agli insiemi infiniti. perché due insiemi si dicano uguali, devono avere gli elementi in un
rapporto di corrispondenza biunivoca. per gli insiemi infiniti serve una REGOLA GENERALE per stabilire
l’intera correlazione. (spiegare la cosa su p.point). spiegare la gradualità degli insiemi infiniti.

I problemi metafisici dell’infinito si ritirano completamente dalla scena in questa forma di deduzione. infatti
in questa forma numerica non si tratta di numeri infiniti quanto piuttosto di numeri di qualcosa di infinito,
cioè di espressioni matematiche che noi ci creiamo per cogliere e fissare determinati caratteri distintivi di
insiemi infiniti.

conflitti teorici legati all’unione di INFINITA’ E REALTA’:

1. Impossibilità dell’infinito attuale: gli oggetti “contabili” (che possiamo contare) sono di numero finito.
indipendentemente da quanto possiamo contare o quanto possiamo esprimere nel conteggio, è sempre un
dato finito, limitato. Anche dal punto di vista psicologico è impossibile aggiungere una successione di unità
in maniera infinita. Ma queste obiezioni cadono di fronte ai transfiniti se ci atteniamo al suo significato
matematico. la materia del contare è disponibile illimitatamente, perché essa non è di natura empirica ma
logico-concettuale. Non asserzioni intorno alle cose, ma giudizi intorno ai numeri e ai concetti numerali
costituiscono ciò che viene raccolto in sintesi: cosicché la “materia” che viene presupposta non viene data
essa stessa dall’esterno, ma come in una costruzione libera.

Il concetto di transfinito serve al pensiero: esso rappresenta l’indipendenza del puro significato logico del
numero dalla “numerazione” nel senso usuale del termine. Infatti Cantor fa una distinzione tra la “funzione
logica” su cui si fonda il transfinito dal procedimento che successivamente pone e riunisce le unità. il numero
ω non è il risultato della semplice addizione dei singoli elementi, ma vuole essere semplicemente
l’espressione del fatto che l’intero insieme illimitato dei numeri naturali, in cui non si dà alcun “termine
ultimo”, “è dato nella sua successione naturale secondo la legge”. è possibile pensare il numero ω come il
limite verso cui tendono i termini 1,2,3,…,v,…, nel senso che ω è il termine successivo ad ogni termine v. La
funzione logica che ci fornisce ω è manifestamente diversa dal primo principio generatore;  Cassirer la
chiama secondo principio generatore di numeri reali interi e: se è data una determinata successione di
numeri reali interi definiti, dei quali non esista alcuno maggiore, sulla base di questo principio generatore
viene creato un nuovo numero, pensato come limite di quei numeri, cioè definito come immediatamente
maggiore rispetto a loro.

Non è il semplice aggiungere una unità all’altra che guida alla formazione dei concetti, ma risulta che ai singoli
termini della serie numerica e quindi la loro intera estensione potevano dedursi solo in quanto veniva colta
come identica nel suo contenuto concettuale una medesima relazione generatrice e mantenuta invariata
in tutto il mutare dell’applicazione particolare. (generazione concetto numeri).

Come l’infinità dei numeri naturali è posta mediante un concetto, così il suo contenuto si può ancora
riassumere in un concetto.

Per il pensiero matematico il rapporto fondamentale (che racchiude in sé la totalità dei termini che da esso
si possono generare), diventa a sua volta un nuovo elemento, una specie di unità fondamentale, da cui
prende inizio una nuova maniera di formazione dei numeri.

leggere 92…

2. Infinità del tempo: successione in una serie è indipendente dalla successione cronologica.

CAPITOLO III

IL CONCETTO DI SPAZIO E LA GEOMETRIA

I.

Il significato del concetto di numero si comprende in modo completo solo dopo che il pensiero si sia liberato
dall’abitudine di cercare nell’esistenza concreta il corrispondente per ognuna delle sue produzioni. Il numero
è una complessa determinazione concettuale che non possiede immediate copie sensibili negli oggetti fisici.

Una costruzione concettuale può essere coerente e senza contraddizioni, ma appare vuota e primitiva se non
arricchisce la nostra intuizione. Solo nell’intuizione si trova la decisione critica. Il modello che ora deve seguire
ci si mostra non nell’algebra pura ma nella geometria. Non i concetti numerali, ma quelli spaziali che in virtù
del loro diretto riferimento alla realtà concreta, devono servire da esempio tipico.

All’inizio della storia della logica si presenta un nesso oggettivo, concetto e forma sono sinonimi: Confluiscono
a formare un’unità nel significato della parola EIDOS. Il molteplice sensibile si ordina in forme spaziali che si
affermano come caratteristiche permanenti. Queste forme corrispondono allo schema fondamentale che,
nel mutare delle cose sensibili, cogliamo un complesso di determinazioni invariabili, un regno dell’”essere
eterno”. In questo modo la forma geometrica diventa l’espressione del tipo logico. Il pensiero fondamentale
del concetto-genere è confermato da un nuovo punto di vista: si tratta di stabilire – in base alla struttura di
una scienza matematica – i sommi generi a cui l’essere deve la sua uniforme impronta concettuale e il
costante ripetersi di determinate caratteristiche singole.

I generi dell’essere possono essere colti solo quando vengono distinti fra loro. Anche le diverse forme
geometriche formano un campo chiuso e immutabile. L’interesse del processo dimostrativo si rivolge non
tanto all’unità delle forme fondamentali, quanto alla loro distinzione.

Diviene evidente la differenza tra il metodo della scoperta e quello della dimostrazione, questo si trova sotto
il dominio di teorie logiche.

La differenza della geometria antica sta nella mancanza di unità dei principi costruttivi della geometria in
favore della differenziazione delle singole figure, ognuna pensata e compresa per sé come entità irriducibile
alle altre. La trasformazione della geometria inizia con l’impostazione di un nuovo ideale metodologico
(Descartes). Il metodo di Cartesio è volto a stabilire una connessione e un ordine univoco fra tutti i singoli
enunciati del pensiero. Non il contenuto di un pensiero, ma la necessità in virtù del quale esso è dedotto dai
primi principi fondamentali in una catena ininterrotta di ragionamenti. Vi è conoscenza geometrica solo
quando sia possibile studiare gli elementi in un procedimento unitario costruttivamente generabile.
L’ordinaria geometria sintetica viene meno a questa esigenza (il suo oggetto è l’immagine spaziale isolata, le
cui proprietà sono colte nell’intuizione sensibile, il cui nesso sistematico con altre figure non può mai essere
completo). A questo punto si presenta la necessità filosofica dell’integrazione del concetto di spazio con il
concetto di numero. Secondo Cartesio, lo scopo del pensiero filosofico è la comprensione di tutti gli oggetti a
cui si volge in connessione sistematica. ATTENZIONE p.100: L’esigenza di rappresentare le figure spaziali come
figure come figure numeriche può sembrare strana se la si considera solo dal punto di vista della ontologia
cartesiana, che questa “estensione” significa la vera sostanza delle cose naturali, quindi un originario stato
fondamentale dell’essere non riconducibile ad altro. MA: Quest’analisi dell’essere deve cedere il passo
all’analisi della conoscenza. Noi possiamo portare lo spazio alla completa ed esatta comprensione
concettuale solo imprimendogli il medesimo carattere logico che era proprio soltanto del numero. Il valore
del numero non è solo nella misura, ma che solo attraverso esso si realizza il postulato nel quale ogni
conoscenza perviene ad essere conoscenza. La trasformazione dei concetti spaziali in concetti numerali
innalza l’intera ricerca geometrica a un nuovo livello di pensiero. I sostanziali concetti di forma della
geometria antica, si convertono in puri concetti seriali, che diventano generabili gli uni dagli altri secondo un
determinato principio fondamentale. Dunque, una vera rivoluzione filosofica “del modo di pensare” sta a
fondamento della scoperta scientifica della geometria analitica. La logica tradizionale sembrava inattaccabile
finché fiancheggiata dal procedimento dell’antica geometria sintetica; solo la trasformazione del contenuto
della geometria rende possibile una nuova logica degli insiemi che supera i limiti della sillogistica.

Il concetto fondamentale su cui Cartesio sviluppa le sue considerazioni, è il concetto di movimento. Il


movimento non esprime un fatto concreto, bensì un fatto ideale: è l’espressione della sintesi in cui una
molteplicità successiva di posizioni determinate, connesse in virtù di una legge, viene raccolta nella unità di
una figura spaziale. Come prima il concetto di numero, così ora il concetto di movimento serve soltanto da
esempio del generale concetto seriale. La linea geometrica intuitiva si risolve in una pura successione di valori
numerici, collegati fra loro mediante una regola aritmetica. La mediazione del concetto di movimento serve
non allo scopo della intuizione, ma allo scopo della razionalizzazione. Il metodo cartesiano era limitato dai
mezzi dell’epoca, ma l’impostazione logica corretta, la riduzione dei concetti spaziali a concetti seriali. Il
concetto di numero si realizza compiutamente col concetto generale di funzione e ne è compenetrato: solo
questa cooperazione dei concetti riesce a rendere conto logicamente dei contenuti della geometria.
La figura geometrica che dal punto di vista della diretta intuizione, condiviso dalla geometria elementare
sintetica, appariva come qualcosa di noto e afferrabile, si rivela un risultato mediato. La figura è risolta in
molteplici strati di relazioni, e in virtù della forma di dipendenza, si determinano in un tutto.

Ogni formazione matematica di concetti si pone un duplice compito: il compito dell’analisi di un determinato
nesso relazionale in tipi elementari di relazioni e quello della sintesi si questi semplici tipi e leggi di formazione
in relazioni di ordine superiore. L’analisi dell’infinito è una perfetta espressione di questa tendenza di
pensiero. In essa l’indagine matematica supera la semplice considerazione delle grandezze e si volge a una
teoria generale delle funzioni. Gli elementi collegati in nuove unità non sono grandezze estensive, sono forme
funzionali che si determinano reciprocamente, raccogliendosi in sistemi di dipendenze.

II.

La geometria moderna instaura nel proprio campo una rigorosa struttura razionale e libertà dei metodi solo
passando dalla geometria metrica alla geometria di posizione. Rispetto alla geometria analitica di Descartes.
L’intuizione riprende i suoi diritti come nell’antica geometria sintetica. In tal modo la geometria riconduce
dall’astratto concetto di numero al concetto di forma.

Anche quando la geometria di posizione viene fondata sull’intuizione, si intende che non ci si attenga alla
singola figura sensibilmente data, ma che si compia la livera costruzione di forme secondo un principio
unitario.

Il fondamentale punto di vista metodologico, che aveva condotto alla scoperta della geometria analitica, non
viene abbandonato, ma condotta a una nuova applicazione nel campo della spazialità stessa. L’argomento
numero è messo da parte, e compare nella sua purezza l’argomento serie. La costruzione delle figure spaziali
rimane lo scopo ineliminabile, ma questo deve essere soddisfatto con mezzi puramente geometrici e non per
via indiretta (con concetti di numero e misura).

L’evoluzione che comincia nel IX secolo è dominata da punti di vista logici. Le relazioni fondamentali che
debbono essere mantenute inalterate in ogni figura particolare, formano il vero oggetto della geometria. Ciò
che uno studioso di geometria considera sono non tanto le proprietà di una figura, quanto il nesso di
correlazioni in cui essa si trova con altre figure affini. Diciamo che una determinata forma spaziale è
correlativa di un’altra quando è deducibile da essa mediante la trasformazione continua di uno o più dei suoi
elementi di posizione. In tal modo però si ammette il presupposto che certi fondamentali rapporti spaziali,
da considerarsi come le condizioni generali del sistema, rimangono invariati. La forza e il rigore della
dimostrazione geometrica poggiano sempre in quelle invarianti del sistema considerato e non in ciò che è
peculiare ei singoli termini come tali. E’ questa la concezione che Poncelet caratterizza filosoficamente
chiamandola “principio di continuità” e poi lo riformula come: “principio della permanenza delle relazioni
matematiche”. L’unico postulato da cui partiamo si può esprimere dicendo che: è possibile mantenere il
valore di determinati rapporti, anche quando cambia il contenuto dei singoli termini.

Poncelet manifesta lo sforzo per raggiungere un’esatta e universale espressione del nuovo pensiero. Si
preoccupa di evitare che il trasferimento di relazioni, da lui posto come principio fondamentale, venga
confuso con un semplice ragionamento induttivo, senza connessione necessaria. Qui la legge della
connessione non è scoperta in un successivo momento, ma si trova già data all’inizio come principio
fondamentale, in maniera che solo in virtù di essa il singolo caso diventa determinabile nel suo contenuto.

Ciò che dal punto di vista della rappresentazione sembra indeterminatezza, per il fatto che tralascia i tratti
individuali dell’immagine, appare dal punto di vista del concetto, come la ragione di ogni determinazione,
perché in esso è contenuta la regola universale per la formazione dell’individuale. Fra l’”universale” e il
“particolare” sussiste quel rapporto che caratterizza la formazione matematica dei concetti: il caso generale
non prescinde dalle determinazioni particolari, ma conserva la facoltà di svilupparle e di coglierle nella loro
totalità concreta in base ad un principio.

Lo sviluppo della geometria proiettiva, ha portato i principi filosofici su cui poggia, a un’espressione sempre
più rigorosa. Quanto più si riesce a costruire la geometria di posizione su presupposti indipendenti, tanto più
si manifesta nella sua purezza anche generale carattere logico, il significato logico del nuovo procedimento.

p.120 Risultato filosofico: L’inserimento dei concetti spaziali nello schema dei puri concetti seriali è qui
definitivamente compiuto. Qui il numero viene usato solamente nel suo più generale senso logico: non come
espressione della misura e del confronto di grandezze, ma come espressione dell’ordine nella successione.
Nella generale fondazione logica, il numero è stato sviluppato come puro numero ordinale e mantenuto
libero da ogni legame con grandezze misurabili. L’esigenza che da Cartesio si affermava, veniva così
soddisfatta. l’ordine dei punti nello spazio è colto concettualmente alla stessa maniera dell’ordine dei numeri.
I due campi rimangono, nella loro essenza, ancora separati: l’”essenza” della figura non si risolve più
direttamente in quella del numero. Ma proprio in questa relativa indipendenza degli elementi e del rapporto
fondamentale si manifesta chiaramente il nesso del generale metodo deduttivo.

Emerge dalla molteplicità dei metodi geometrici la forma unitaria della formazione dei concetti in geometria.
L’inserirsi della geometria nella teoria dei gruppi rappresenta l’ultimo passo per la struttura complessiva.
“gruppo” contiene un importante elemento logico, in esso si raccoglie in un’unità concettuale non un
complesso di elementi quanto un sistema di operazioni.

“Proprietà geometrica”: quella proprietà che non viene modificata da certe trasformazioni spaziali.

Il compito di ciascuna geometria, quando sono dati un insieme e un gruppo di trasformazioni in esso, consiste
nello sviluppare la teoria degli invarianti relativi al gruppo.

Costanza e variabilità appaiono qui come termini correlativi: uno di essi è definibile solo mediante l’altro. Il
“concetto” geometrico acquista il suo significato permanente ed univoco solo quando sono indicati
determinati gruppi di cambiamenti relativamente ai quali esso è concepito. La permanenza non indica una
proprietà assoluta di oggetti dati, ma vale solo relativamente a una determinata operazione mentale, che noi
scegliamo come sistema di riferimento. Qui si annuncia già un cambiamento di significato nella generale
categoria di sostanzialità, il quale si manifesterà nel corso della ricerca con sempre maggior chiarezza: la
permanenza non si riferisce al perdurare delle cose e delle loro proprietà, ma indica la relativa indipendenza
di determinati termini di un nesso funzionale, i quali in confronto con altri si dimostrano elementi
relativamente indipendenti.

III.

La riduzione dei rapporti metrici a rapporti proiettivi attua il pensiero di Leibniz, secondo cui lo spazio, prima
ancora di essere definito quantum, deve essere inteso nel suo primitivo carattere qualitativo come ordine
nel coesistente. Possiamo ancora ricavare dall’intuizione i contenuti elementari della geometria: Il punti, la
retta, il piano; ma ciò che si riferisce alla connessione di questi contenuti deve essere dedotto e considerato
concettualmente.

Veniamo ricondotti alla concezione leibniziana della matematica: la matematica non è scienza della
grandezza, ma della forma; non della quantità, ma della qualità. L’arte combinatoria diventa la vera scienza
fondamentale purché non la si intenda come teoria del numero di connessioni di elementi dati, ma come la
rappresentazione universale delle possibili maniere di connessione in generale e della loro reciproca
dipendenza. Dovunque sia data una determinata maniera di connessione, che possiamo esprimere in certe
regole e assiomi fondamentali, ivi è fissato in senso matematico un “oggetto” identico. La struttura
relazionale come tale e non la natura assoluta degli elementi forma il vero oggetto della considerazione
dell’indagine matematiche.

Nella formazione dei concetti matematici, gli elementi particolari non vengono colti per ciò che essi sono in
sé e per sé, ma sempre e soltanto come esempi di una determinata e universalmente valida forma di ordine
e di connessione: La matematica, non riconosce in essi alcun altro “essere” oltre quello che loro conviene in
virtù della partecipazione a questa forma. Questo essere soltanto, è quello che interviene nella
dimostrazione, nel processo del ragionare e dell’inferire, e che è perciò suscettibile di quella completa
certezza che la matematica conferisce ai propri oggetti.

Concetto e giudizio conoscono il singolo solo come termine, come punto di una molteplicità sistematica, la
quale (come nel campo dell’aritmetica), si presenta come il vero prius logico rispetto a tutto ciò che viene
posto come particolare. La determinazione dell’individualità degli elementi non sta all’inizio, bensì alla fine
dell’evoluzione concettuale; essa è la meta logica a cui ci avviciniamo mediante il progressivo collegamento
di rapporti universalmente validi. Il procedimento della matematica preannuncia in questo un analogo
procedimento della scienza teoretica della natura, per il quale racchiude in sé la chiave e giustificazione.

Nel suo significato generale il compito della matematica non è quello di confrontare, separare o unire date
grandezze, ma nell’isolare e determinare nel loro rapporto reciproco le stesse relazioni generatrici sulle quali
poggia la stessa possibilità di porre delle grandezze. Gli elementi e tutto ciò che in base ad essi si costruisce
appaiono essere i risultati di determinate regole primitive di connessione, le quali vanno studiate tanto di
per se stesse, nella loro peculiare struttura, quanto nella determinatezza che risulta dal loro incontrarsi e
compenetrarsi. Il vantaggio metodologico di tutti questi procedimenti consiste nel fatto che il “calcul” proprio
in essi perviene ad effettuarsi in modo libero e indipendente: non si limita alla composizione di quantità, ma
si volge alla sintesi di relazioni.

Non si tratta di scomporre un “tutto” nelle sue “parti” omogenee e di ricomporlo partendo da queste; il
compito generale consiste nella connessione di certe condizioni concettuali del procedere in una serie in
genere verso un risultato univoco. Se è stato determinato un elemento iniziale, è stato dato un principio in
virtù del quale noi da esso possiamo giungere con un processo uniforme ad una molteplicità di altri elementi,
anche la riunione di diversi principi di tal genere sarà un’operazione riconducibile a regole sistematiche fisse.
Ovunque sia possibile un simile passaggio da serie semplici a serie complesse, è delimitato un nuovo campo
di determinazione matematico-deduttiva.

Gli sviluppi della logica e della matematica portano alla concezione secondo cui i veri “elementi” del calcolo
matematico non sono le grandezze, quanto le relazioni. In questi sviluppi si riconosce il pensiero
fondamentale dell’idealismo logico. Si precisa la tendenza matematica moderna a eliminare gli elementi
“dati” come tali e a non consentire loro alcun influsso sulla forma generale della dimostrazione. Ogni
concetto, che si impieghi nel procedimento dimostrativo (non allo scopo di spiegazioni intuitiva), deve esser
fondato e considerato in base alle leggi del nesso costruttivo. La logica della matematica, è la “logica
dell’origine” (Grassmann).

Alla “scomposizione in parti” si contrappone la “risoluzione in concetti”, che come strumento universale e
fondamentale garantisce la sicurezza e il progresso della deduzione pura.

IV.

Qui non si tratta di esporre i risultati della matematica, ma di determinare il principio della formazione
matematica dei concetti, in relazione al problema della critica della conoscenza. Il problema della
metageometria: la caratteristica di questo problema è l’aver trasformato il contenuto delle conoscenze
matematiche e il modo di concepire il loro fondamento e origine. Qui si è verificata un’estensione del campo
della problematica geometrica, ma questa estensione, conferma o confuta la forma logica della geometria?

Il tentativo di fondare una geometria sull’esperienza come fa Pasch non funziona perché l’astrazione dagli
oggetti empirici non permette di ottenere schemi del sistema della scienza geometrica. Per poter fare delle
dimostrazioni si deve passare dall’assunzione di punti “propri”, che rappresentano oggetti reali
dell’osservazione, a posizione di figure “improprie”, le quali sono costruzioni ideali che Pasch voleva
eliminare. Ogni geometria di approssimazione deve usare i concetti (punti, rette ecc…) della geometria pura.

Veronese tenta la strada della fondazione empirica della geometria passando dalla fondazione di quella su
“fatti spirituali”. Gli assiomi geometrici non sono copie di rapporti reali della percezione sensoriale, ma
postulati in virtù dei quali introduciamo nell’intuizione inesatta enunciazioni esatte. Le impressioni sensoriali
devono essere elaborate dallo spirito; è questo elemento “soggettivo” che nella matematica pura, nella
geometria e nella meccanica razionale afferma la superiorità rispetto all’elemento “oggettivo”. Sebbene qui
la geometria venga intesa come scienza sperimentale, la funzione logica dell’esperienza è diventata
completamente diversa. Noi partiamo da “preliminari considerazioni empiriche”, da fatti fondamentali
dell’intuizione sensibile: ma questi datti ci servono solo da “pedana di lancio”, dalla quale ci innalziamo alla
considerazione di nessi condizionanti, che non hanno correlato nel sensibile. I dati sensibili rappresentano lo
spunto iniziale, non il limite della formazione dei concetti matematici, e neppure il vero risultato permanente
che ivi viene raggiunto.

I dati sensibili servono come primo avvio, non servono nella dimostrazione deduttiva. Con questa
constatazione, dal punto di vista della critica della conoscenza, il problema è deciso: la critica non domanda
l’origine dei concetti, bensì il loro significato e il loro valore in quanto elementi di dimostrazione scientifica.

La libertà logica che si esige, deve essere riconosciuta anche ai concetti che non sono a più di 3 dimensioni.
Quando si paragona lo spazio euclideo con le altre possibili “forme di spazio” si manifestano le sue peculiari
caratteristiche concettuali. Se, dal punto di vista della metageometria esso viene concepito come punto di
partenza, come un materiale destinato a ulteriori sviluppi, rappresenta, dal punto di vista della critica della
conoscenza, il risultato di una complicata serie di operazioni mentali. Le ricerche psicologiche intorno
all’origine dell’idea di spazio, mostrano che lo spazio della nostra percezione sensoriale non corrisponde allo
spazio della nostra geometria, ma se ne distingue nelle decisive caratteristiche costitutive. p.145

La parte che si può affidare all’esperienza non consiste più nella fondazione dei singoli sistemi, ma nella scelta
che dobbiamo fare tra essi. Siccome tutti i sistemi si equivalgono per quanto riguarda la loro struttura logica,
occorre un principio che ci guidi nella loro applicazione: e questo principio, dato che si tratta del problema
del reale, non può essere cercato che nell’osservazione e nell’esperimento scientifico. L’esperimento mostra
la strada che conduce dalla verità dei concetti alla loro realtà. l’osservazione colma la lacuna tra le forme di
spazio logicamente determinate allo spazio degli oggetti fisici.

L’astratta teoria non si trova mai da un lato, mentre si contrappone ad essa, dall’altro lato, il materiale di
osservazione isolato in sé stesso e senza alcuna interpretazione concettuale. Questo materiale, deve già
necessariamente recare in sé, se gli dobbiamo attribuire determinatezza, i tratti di una certa elaborazione
formale di carattere concettuale. Non possiamo mai opporre ai concetti, che si tratta di provare, i dati di
esperienza, come nudi “fatti”, ma è sempre in definitiva un determinato sistema logico di connessione
dell’empirico che viene misurato su un altro sistema di tal natura e giudicato in base ad esso.

Se la scelta fra i diversi sistemi non deve essere lasciata interamente all’arbitrio soggettivo, dobbiamo
scoprire un criterio razionale di distinzione.

In ogni caso risulta che la forma puramente razionale della formazione dei concetti geometrici, quale si è
venuta stabilendo in maniera sempre più rigorosa, non è minacciata, ma piuttosto confermata dalle
considerazioni della metageometria. I dubbi destati da queste considerazioni non riguardano il vero e proprio
fondamento dei concetti, quanto la loro possibilità di applicazione empirica.

Non appena ci si porta sul terreno della determinazione della realtà, nessuna affermazione ha diritto di
pretendere certezza assoluta. Solo i puri nessi di condizioni, stabiliti dalla matematica, hanno una validità
illimitata.

CAPITOLO IV.

LA FORMAZIONE DEI CONCETTI NELLA SCIENZA DELLA NATURA

I.

La questione circa il significato e la funzione del concetto trova la sua definitiva e compiuta formulazione solo
nella considerazione dei concetti riguardanti la natura.

II.

Il dato dell’intuizione forma solo il punto di partenza psicologico: è matematicamente conosciuto solo
quando è soggetto ad una trasformazione che lo converte in un’altra forma di molteplicità, che possiamo
produrre e dominare secondo leggi razionali.

La base su cui poggia ogni teoria scientifica della natura è un intreccio di elementi “reali” e “non-reali”. Non
appena facciamo un passo al di là della prima osservazione ingenua dei singoli fatti, non appena cerchiamo
la connessione e la legge del reale, già superiamo i limiti che il postulato positivistico ci prescrive. – La forma
di conoscenza a cui spetta descrivere la realtà e svelarla fin nei suoi fili più sottili, comincia con l’allontanarsi
da questa stessa realtà e col sostituirla mediante i simboli del regno dei numeri e delle grandezze.

Il concetto di natura è fondato sull’idea di meccanismo. L’interpretazione della natura può tentare di liberarsi
da questo schema sostituendolo con un altro: Il movimento e le sue leggi rimangono il problema
fondamentale.  La realtà è compiutamente conosciuta quando è risolta in un sistema di movimenti. Ma
questa risoluzione non può mai riuscire finché il pensiero rimane nell’ambito dei semplici dati percettivi. Il
movimento, nel suo generale significato scientifico, non è nient’altro che un determinato rapporto in cui si
vengono a trovare lo spazio e il tempo. Senonché lo spazio e il tempo medesimi non vengono più presupposti
nelle loro immediate proprietà psicologiche e “fenomeniche”, bensì nelle loro determinazioni matematiche.

Già il primo accesso alla meccanica dipende da presupposti che trascendono il sensibile.

Nessuna teoria della scienza della natura si riferisce direttamente ai fatti della percezione come tali, bensì ai
limiti ideali che noi col pensiero poniamo il luogo di essi.

III.

Il fatto che la fisica si sia separata dalla metafisica e che la fisica contemporanea abbia escluso dal suo dominio
tutti i fattori non suscettibili di conferma empirica, misconosce il progresso graduale e continuo con cui la
fisica ha raggiunto la sua forma attuale. Il problema del metodo le è stato presente e vivo a partire dai suoi
primi inizi scientifici, e solo cimentandosi con questo problema, raggiunse anche il completo dominio sul
campo dei fatti a cui si rivolge. La riflessione e il produttivo lavoro scientifico non sono mai stati
rigorosamente separati fra loro, ma si sono favoriti e illuminati a vicenda.

In Aristotele, l’unità della concezione teleologica e della concezione matematica, che sussisteva nel sistema
platonico della natura è stata soppressa, in luogo di essa è sottentrato un rapporto di subordinazione (il
comportamento empirico-fisico dei corpi consegue per A. dalla loro essenza, dal fine immanente).
La fisica matematica dell’età moderna cerca da principio di dimostrare il suo diritto e la sua indipendenza
risalendo, per quanto riguarda i fondamenti filosofici, da Aristotele a Platone.

Il concetto di fenomeno è diverso a seconda che venga applicato all’oggetto indeterminato della percezione
sensoriale o all’oggetto della fisica matematica costruito teoreticamente; sono precisamente le condizioni di
questa costruzione a suscitare sempre di nuovo la questione gnoseologica.

IV.

Anche la più semplice determinazione quantitativa di un fatto fisico, lo avvolge in una rete di presupposti
teorici, fuori di cui non potrebbe essere posta neppure la questione della misurabilità dei fenomeni.

Fra i fenomeni osservati in un esperimento e il risultato finale dell’esperimento, come il fisico lo formula, c’è
un lavoro intellettuale complesso: è questo lavoro che converte la notizia intorno a singoli eventi in un
giudizio intorno alle leggi della natura. Questa dipendenza di ogni misurazione pratica da determinate
assunzioni fondamentali, stabilite come universamente valide, appare ancora più evidente se si considera
che il vero risultato dell’esperimento non si manifesta mai direttamente, ma piò esser raggiunto solo
attraverso una discussione critica volta ad escludere gli errori di osservazione.

La validità del concetto fisico poggia non sul suo contenuto di reali elementi di esistenza direttamente
presentabili, bensì sul rigore della connessione ch’esso rende possibile. In questo suo carattere
fondamentale, esso rappresenta l’ampliamento e la continuazione del concetto matematico.

Il singolo concetto non può mai essere misurato e confermato nell’esperienza, ma riceve questa conferma
soltanto come termina di un intero complesso teorico. La sua “verità” si manifesta nelle conseguenze a cui
esso conduce, nel nesso e nel rigore sistematico delle spiegazioni ch’esso rende possibili. Noi possediamo i
“fatti” solo in virtù del complesso dei concetti, come, pensiamo i concetti solo riferendoci alla totalità
dell’esperienza possibile. (p.200)

La considerazione dei concetti fondamentali della fisica: tutti questi concetti risultano essere ormai altrettanti
mezzi per ordinare il “dato” in serie e assegnargli il suo posto fisso entro questa serie.

L’analisi che la fisica compie dell’oggetto risolvendolo nel complesso delle costanti numeriche non ha lo
stesso effetto che della risoluzione di una cosa sensibile nella pluralità delle sue qualità sensibili. Le qualità
sensibili delle cose diventano oggetto della fisica in quanto si convertono in una determinatezza seriale. Da
somma di proprietà, la “cosa” diventa complesso di valori matematici. Il caos delle impressioni diventa
sistema di numeri. Questi numeri ricevono il loro significato dal contenuto dei concetti fondamentali, stabiliti
come unità di misura universalmente valide. Solo in questo nesso “logico” si comprende il valore oggettivo
che va riconosciuto alla trasformazione dell’impressione in “simbolo” matematico. Nella designazione
simbolica è cancellata la particolare natura dell’impressione sensoriale; viene però mantenuto tutto ciò che
la caratterizza come termine del sistema. Il simbolo possiede il correlato perfettamente valido nella
connessione regolare che sussiste fra gli elementi di essa; questa connessione è ciò che si rivelerà il nucleo
del concetto della stessa “realtà” empirica.

Il fatto che la fisica scientifica cercando di penetrare nell’”essere” dei suoi oggetti, si imbatta in nuovi strati
di numeri, non significa che essa scopra nuove qualità metafisiche assolute, ma che cerca di esprimere la
natura del corpo o del fatto assumendo sempre nuovi “parametri” nella sua determinazione. Es. la massa.

V.

Il concetto logico di sostanza sta alla sommità della considerazione scientifica del mondo in generale; è esso
che storicamente segna la linea di confine tra l’indagine scientifica e il mito. Solo in questa funzione la filosofia
ha il suo vero inizio.
Il rigore e la perfetta evidenza razionale delle connessioni, che la scienza sviluppa, si acquisiscono solo a
prezzo della perdita dell’immediata realtà delle cose. Questo rapporto di dipendenza reciproca contiene
anche la soluzione del problema. Solo rinunciando a dare una sensibile riproduzione diretta della realtà, la
scienza può presentare questa stessa realtà come connessione necessaria di premesse e conseguenze. solo
uscendo dall’ambito del dato, essa si crea i mezzi concettuali per esprimere le leggi del dato.

Invece di immaginare dietro il mondo delle percezioni una nuova esistenza che potrebbe essere costruita
sempre con materiale sensibile, essa si accontenta di abbozzare gli schemi intellettuali universalmente validi
in cui i rapporti e le connessioni delle percezioni debbono lasciarsi rappresentare. Atomo ed etere, massa e
forza sono esempi di questi schemi, i quali tanto assolvono il loro compito meno è conservato in loro
contenuto percettivo.

Abbiamo così due campi distinti e due diverse dimensioni del concetto: ai concetti che indicano un’esistenza
si contrappongono i concetti che possiedono solamente una forma possibile di connessione. Tuttavia non
nasce qui alcun dualismo metafisico, giacché mentre non c’è alcuna diretta somiglianza fra i termini dei due
campi, essi sono necessariamente in un rapporto di riferimento reciproco. I concetti di ordine della fisica
matematica non hanno altro senso né altra funzione che di servire alla perfetta visione concettuale dei
rapporti dell’essere empirico.

p.224 – fondamentale – Il senso del concetto matematico non si lasciò comprendere finché si cercava per
esso ancora un correlato rappresentativo nel dato; si rese manifesto solo quando lo si riconobbe quale
espressione di una PURA RELAZIONE, su cui si fonda l’unità e la connessione continua degli elementi di una
molteplicità. Anche la funzione del concetto fisico diventa evidente solo in questo mutato punto di vista.
Quanto più tale concetto rinuncia a ogni contenuto percepibile in modo indipendente, quanto si libera da
ogni elemento immaginativo, tanto più nettamente si mette in rilievo la sua funzione logico-sistematica. Ciò
che la “cosa” della visione volgare perde in proprietà lo acquista in relazione.

Gli oggetti della fisica (atomo, forza, etere) non possono essere intesi come realtà da indagare, una volta che
sono stati riconosciuti quali strumenti che il pensiero è costretto a crearsi per abbracciare nella propria
visione il caos dei fenomeni come un tutto ordinato e misurabile. E’ dunque una realtà sola quella che ci viene
data e che però giunge alla nostra coscienza in maniere diverse, dato che una volta la consideriamo nel suo
aspetto intuitivo-sensibile, che è però anche spezzettamento nei singoli particolari sensoriali, mentre, dal
punto di vista della scienza, manteniamo in essa solo elementi su cui si fondano la sua connessione
intellettuale e la sua “armonia”.

VI.

La costruzione del sistema della meccanica pura si può compiere logicamente in diverse maniere a seconda
della specie e del numero di concetti fondamentali da cui si parte. Meccanica classica di Newton è costruita
su concetti di spazio, tempo, massa, forza, nelle moderne esposizioni in luogo di forza sta l’energia. Hertz,
“principi di meccanica” poggia su spazio, tempo, massa. In questa pluralità di punti di partenza si rivela che
l’”immagine” che noi abbozziamo della realtà naturale non dipende solo dai dati della percezione sensoriale,
bensì da punti di vista e da esigenze concettuali che introduciamo in essa.

Nella definizione di spazio e tempo e nella contrapposizione del contenuto sensibile e del contenuto
matematico dei due concetti risiede quindi, dal punto di vista gnoseologico, la formulazione scientifica del
problema dell’oggettività in generale.

La caratteristica di tutte le determinazioni matematiche: nessuna di esse ha significato di per se stessa, ma


ciascuna può essere intesa solo nei rapporti e nella continua connessione con la totalità delle altre. Nessuna
determinazione della fisica può negare questo fondamentale carattere logico (delle relazioni temporali), (qui
ed ora, prima e dopo). Essi sono e rimangono SISTEMI DI RELAZIONI nel senso che ogni particolare
determinazione in essi indica sempre e soltanto una singola posizione la quale riceve il suo completo
significato solo mediante la connessione in cui si trova con la totalità dei termini della serie.

Come non esiste una retta reale che abbia tutte le proprietà del puro concetto geometrico, così non c’è un
corpo reale che corrisponda perfettamente alla definizione meccanica del sistema d’inerzia. Rimane così
sempre aperta la possibilità di stabilire una più precisa e rigorosa corrispondenza fra il sistema delle
osservazioni e il sistema dei ragionamenti deduttivi.

La scienza non può possedere un criterio di verità più alto di quanto non sia l’unità e la coerenza nella
costruzione sistematica dell’esperienza nel suo complesso. La distinzione tra una verità “assoluta” dell’essere
e una verità “relativa” della conoscenza scientifica, la separazione tra ciò che è necessario dal punto di vista
dei nostri concetti e ciò che lo è in se stesso per la natura delle cose rappresentano già di per sé
un’affermazione metafisica, che, prima di essere usata come unità di misura, deve essere esaminata per
quanto riguarda il suo diritto e il suo valore. Il chiamare “convenzioni” (alla Poincaré) le ideali creazioni
concettuali ha perciò inizialmente UN SOLO significato intelligibile: mostrare che in esse il pensiero non
svolge solo un ruolo recettivo, ma una particolare ATTIVITA’ AUTONOMA. Questa è vincolata dal sistema
delle percezioni. Quest’ordine non può mai essere dimostrato in un unico sistema concettuale che escluda
ogni altra scelta, ma lascia sempre campo a diverse possibilità di rappresentazione. La nostra costruzione
concettuale cresce e si allarga e accoglie a sé nuovi elementi, in ciò essa non possiede arbitrio, ma segue una
determinata LEGGE DI PROGRESSO. Questa legge rimane l’ultimo criterio di oggettività; essa ci garantisce che
nella concezione fisica del mondo, alla quale cerchiamo di giungere secondo questa via, vengono eliminati
quegli aspetti contingenti del modo di giudicare, che risultano inevitabili nel punto di vista del singolo
osservatore, e sottentra in loro luogo quella NECESSITA’ che, in senso universale, forma il nocciolo stesso del’
concetto di oggettività. (p.252)

VII.

Spazio e tempo, quantunque siano indispensabili per la costruzione della realtà empirica, vanno considerati
soltanto come le forme universali in cui questa si presenta. Essi sono gli ordini fondamentali in cui il reale si
dispone, ma non determinano il concetto stesso del reale. Per riempire di contenuto concreto le forme in se
stesse vuote, occorre un nuovo principio: l’energia. L’atomo e la materia, per l’antica scienza della natura
formavano il vero tipo dell’oggettività, si risolvono invece, in semplici astrazioni. L’energia ci fa cogliere il
reale in quanto rappresenta l’OPERANTE medesimo.

L’oggetto è quale unicamente ci è dato: un complesso di modi d’azione attuali o possibili.

Il pensiero fondamentale dell’energetica, considerato dal punto di vista gnoseologico, risale in primo luogo
non al concetto di spazio, ma a quello di numero. Valori e rapporti numerici sono la meta a cui regolarmente
sono dirette l’osservazione teorica e la sperimentale, e in cui si trova il vero nocciolo della legge
fondamentale. Ma il numero, non può essere inteso come sostanza; esso indica un punto di vista generale
mediante il quale noi nel CONCETTO rendiamo unitaria e uniforme la molteplicità sensibile. Lo sviluppo del
concetto di energia offre, nel campo della fisica, un esempio concreto di questo generale processo
gnoseologico.

L’oggetto deve essere qualcosa di più rispetto alla semplice somma delle proprietà, esso sta a significare
l’UNITA’ delle proprietà e quindi il loro reciproco dipendere e condizionarsi.

L’energia non viene ad affiancarsi come un nuovo quid oggettivo ai contenuti già noti della fisica, quali la
luce, il calore, l’elettricità e il magnetismo, ma significa semplicemente una correzione oggettivamente
regolata in cui tutti questi contenuti si trovano. Il suo vero senso e la sua funzione risiedono nelle equazioni
che essa porta a stabilire fra gruppi diversi di fenomeni.
l’energia, concepita come singola cosa sarebbe un quid identificantesi al tempo stesso con, calore,
movimento, elettricità, senza essere nulla di questo. Essa, come principio non indica altro che un punto di
vista del pensiero, secondo il quale tutti questi fenomeni diventano misurabili e in tal modo, si inseriscono in
un unico ordine di connessione.

Osservazione logica di carattere generale: 2 concezioni fondamentali del concetto

- astrazione: separazione di un elemento identico o simile da una pluralità di percezioni della stessa
specie
- analisi dei concetti matematici: il dato viene costruito con un procedimento conforme ad una legge
a partire da una primitiva unità; qui non vengono evidenziate le singole parti, quanto indagati nella
loro struttura relazionale i nessi e i rapporti su cui si fonda la sua connessione sistematica.

Il fondamento matematico dell’energetica racchiude in sé tutti quei metodi di “formazione di serie” che non
si possono mai spiegare in modo esauriente dall’ordinario punto di vista della astrazione (MC: perché
l’energia non descrive cose ma relazioni, quindi non si può astrarre una relazione, ma coglierla
matematicamente è possibile). La logica moderna in luogo dell’astrazione pone un nuovo principio di
connessione formale. La caratteristica di questa nuova logica è che essa non parte più dalle cose e dalle loro
proprietà comuni, bensì dalle relazioni fra i concetti.

Le qualità di Aristotele sono qualcosa di diverso dalle qualità della fisica moderna: quelle indicano delle
qualità sensibili ipostatizzate, queste sono compenetrate dall’intero sistema CONCETTUALE DELLA
MATEMATICA, e hanno acquistato in tal modo una nuova forma logica e nuove proprietà di carattere logico.
Ciò a cui l’energetica si attiene, è l’espressione della qualità in un determinato numero, che la rappresenta in
modo esauriente e la sostituisce per la nostra considerazione. Ciò che qui viene mantenuto della qualità non
è determinazione sensibile, ma la peculiarità della sua matematica forma seriale.

VIII.

La fisica solo in apparenza ha ancora a che fare con CONCETTI ESPRIMENTI COSE; infatti la sua meta e il suo
vero campo sono costituiti da puri CONCETTI ESPRIMENTI LEGGI.

L’atomo non è mai il punto di partenza dato, bensì sempre il punto di arrivo delle nostre proposizioni
scientifiche.

La peculiare FUNZIONE LOGICA che il concetto di atomo – a prescindere dalle affermazioni metafisiche
sull’esistenza degli atomi – possiede, è il funzionamento come centro unitario in un sistema di coordinate, a
cui si collegano tutte le asserzioni concernenti i diversi gruppi di proprietà chimiche.

L’atomo della chimica è un “idea” nel senso che Kant ha dato a questo termine, in quanto possiede
effettivamente “un eccellente e indispensabilmente necessario uso regolativo”. Questa funzione rimane
come caratteristica permanente del concetto di atomo, anche quando il CONTENUTO di questo cambia
completamente, per esempio nella scienza moderna, in cui l’atomo della materia diviene atomo
dell’elettricità, o elettrone. Proprio una simile trasformazione conferma che l’essenziale del concetto non
consiste in certe proprietà materiali e che si tratta invece di un concetto formale il quale, a seconda dello
stato della nostra esperienza, si può riempire di un diverso contenuto concreto.

p.283 –

Il secondo passo importante nella formazione dei concetti della chimica, una volta stabilita l’idea generale di
atomo e stabiliti i valori per i pesi atomici dei singoli elementi, consiste nel collegare dal punto di vista
concettuale e nel raccogliere in classi aventi un determinato carattere le varie determinazioni, inizialmente
del tutto separate. I fatti empirici sono dati dai RAPPORTI DI SOSTITUZIONE chimica. La forma della
sostituzione si può stabilire mediante valori numerici che noi attribuiamo a ogni elemento oltre al suo peso
di combinazione.

Se ordiniamo le combinazioni chimiche secondo il principio che ci si offre, si distinguono in diversi tipi
principali. Il concetto di “tipo” viene preso in considerazione non già nel suo significato relativo agli speciali
compiti della chimica, ma solo come paradigma di determinati rapporti logici.

Al “tipo chimico” (proprietà fondamentali simili di tutti i termini) si contrappone il “tipo molecolare”
(abbraccia in sé corpi aventi proprietà molto diverse, i quali possono essere pensati come derivanti gli uni
dagli altri per sostituzione). Le considerazioni su cui si fonda l’UNITA’ del tipo corrispondono a quelle che
avviamo trovato realizzate nella FORMAZIONE DEI CONCETTI MATEMATICI. Ivi si presentano sistemi uniti
dalla regola univoca di relazione che vale nel passaggio da un termine all’altro.

p.288 teoria dei “radicali composti”: radicale: la parte non variabile in una serie di composti, in quanto si
lascia sostituire da altri corpi semplici. ------ non so se è collegato a qui sotto -------

La chimica si inserisce nel piano generale dell’energetica, passando così dall’ambito delle scienze empirico-
descrittive al campo della scienza matematica della natura.

….. manca il resto fino a p294.

IX.

Il vero interesse METODOLOGICO della formazione dei concetti della chimica consiste nel fatto che qui il
RAPPORTO DELL’UNIVERSALE COL PARTICOLARE viene posto in una nuova luce. Lo scopo della fisica teorica
sono le leggi universali del divenire. I casi particolari, hanno solo il valore di paradigmi. Tuttavia, quanto più
questo compito scientifico viene perseguito, tanto più netta diventa la SEPARAZIONE che si determina fra il
sistema dei nostri CONCETTI e il sistema del REALE. Ogni “realtà”, ci si presenta in forma individuale e quindi
in un immenso numero di singoli tratti, mentre il PENSIERO CONCETTUALE, conformemente alla sua funzione
fondamentale, consiste nell’allontanarsi da questa concreta totalità di tratti singoli.

I concetti teorici della scienza della natura non sono affatto significati di parole semplicemente purificati e
idealizzati; essi si contengono sempre il rinvio a un esatto PRINCIPIO SERIALE che ci insegna a collegare in
maniera determinata il molteplice dell’intuizione e a percorrerlo secondo una legge stabilita. Per il “concetto”
preso in questo senso non sussiste l’antinomia di Rickert: la semplificazione che il concetto intraprende di
fronte alla molteplicità intensiva ed estensiva delle cose, significa anche IMPOVERIMENTO continuo del suo
contenuto di realtà.

Se si pensa il particolare come ELEMENTO DI UNA SERIE e l’universale come LA LEGGE DI UNA SERIE, è chiaro
immediatamente che questi due fattori, senza convertirsi l’uno nell’altro e senza confondersi fra loro
riguardo al contenuto, si fondano completamente l’uno sull’altro nella loro funzione.

Ogni autentico concetto scientifico rivela la sua fecondità nel fatto che esso indica una via per raggiungere
nuovi campi, prima non noti, di “fatti”.

Sarebbe un errore credere che la scienza esatta, per questa caratteristica fondamentale di formare dei
concetti, si renda sempre più estranea ai compiti che la concreta esistenza empirica le pone. Proprio in questo
apparente allontanamento della realtà delle cose, la scienza tende ad esse per una nuova via. Proprio a quei
concetti, che non posseggono più alcun CONTENUTO intuitivo direttamente indicabile spetta una funzione
indispensabile per la formazione e la strutturazione della realtà intuitiva.

I concetti rendono possibile e garantiscono la conoscenza delle singole relazioni, anche se non le fanno mai
intuire come oggetti isolati.
L’identità della forma seriale – ed è questa che nella scienza della natura si nasconde dietro l’ammissione
degli oggetti identici – può essere mostrata soltanto nella molteplicità dei termini di una serie: molteplicità
che come tale deve essere mantenuta. Fra l’universale validità dei principi e l’esistenza particolare non
sussiste alcuna contraddizione: giacché in fondo non c’è fra esse rivalità. Esse appartengono a dimensioni
logiche diverse, cosicché nessuna delle due può tentare di porsi direttamente in luogo dell’altra.

CONCETTO PRINCIPALE: La teoria considera e delimita le forme possibili del nesso seriale in genere, mentre
l’esperienza indica il posto determinato che un essere empiricamente “reale” o un fatto empiricamente
“reale” occupa in quel nesso. Nella già sviluppata concezione scientifica della natura i due elementi sono
inseparabilmente uniti tra loro: l’universalità della regola funzionale si presenta soltanto nella particolarità
di valori costanti, e la particolarità dei numeri costanti soltanto nell’universalità di una legge che li colleghi
reciprocamente.

L’”individuo” della scienza della natura non include e non esaurisce né l’individuo della considerazione
estetica, né la personalità morale che formano i soggetti della storia. Ogni particolarità della scienza della
natura si risolve nella scoperta di VALORI DI GRANDEZZE E DI RAPPORTI DI GRANDEZZE univocamente
determinati, mentre il carattere proprio e il valore speciale che l’oggetto acquista nella considerazione
artistica e del giudizio etico rimangono fuori del suo orizzonte. Questa delimitazione non crea opposizione
dualistica. Il concetto della natura non nega o distrugge il concetto estetico o etico. Questi modi di
considerazione non si integrano tra di loro, ma creano nuovi punti di vista per una connessione. E’ un nuovo
ordine finalistico della realtà che si aggiunge al semplice ordine delle grandezze e in cui per la prima volta
l’individuo acquista tutto il suo significato. In termini logici: si tratta di diverse forme relazionali in cui il singolo
viene accolto e in virtù delle quali viene foggiato; l’opposizione dell’”universale” e del “particolare” si risolve
in un succedersi di condizioni complementari, che solo nel loro complesso e nella loro cooperazione possono
afferrare il problema della realtà.

CAPITOLO V

IL PROBLEMA DELL’INDUZIONE

I.

Il vero risultato dell’analisi metodologica della conoscenza scientifica della natura consiste nell’aver tolto
all’opposizione fra l’universale e il particolare il suo intransigente significato METAFISICO. La legge e il fatto
non appaiono più come i due poli del sapere separati, ma si trovano in una viva connessione FUNZIONALE in
quanto stanno tra loro in un rapporto di mezzo a fine. Pertanto da quando la scienza empirica si è messa sul
“cammino continuo di una scienza” non ha più preso parte nella polemica filosofica sui diritti dell’”induzione”
e “deduzione”.

I concetti esprimono il nesso necessario delle esperienze (metafisica dell’universale); la sensazione esprime
i caratteri individuali, la realtà indipendente (metafisica del particolare).

Il reale contenuto dell’esistenza, che resiste ad ogni analisi, è cercato soltanto nelle impressioni solate e nelle
loro note qualitative: il progresso della conoscenza concettuale serve a mettere in evidenza questo elemento
fondamentale e a risolvere in esso tutte le affermazioni intorno all’essere. Per soddisfare questa esigenza si
deve sviluppare il motivo dell’INDIVIDUAZIONE. I giudizi che noi pronunciamo devono constatare uno stato
di fatto! Sono dei contenuti attuali e dei contenuti riprodotti della percezione (memoria) che costituiscono i
termini del confronto su cui poggia la realtà permanente del giudizio.

p.317 – Un “empirismo” coerente deve estendere questa concezione a tutti gli ambiti del sapere. La
matematica, la fisica, la biologia, sono da questo punto di vista uguali. Non è l’analisi dell’oggetto, ma l’analisi
psicologica dell’atto del giudizio ha condotto a questa situazione. La forma del giudizio deve essere sempre
la stessa, perché il materiale di rappresentazioni è sempre il medesimo per le diverse discipline della
conoscenza. Il metodo dell’osservazione e dell’esperimento è indipendente dal fatto che noi sperimentiamo
con le cose oppure con le nostre rappresentazioni.

Il giudizio fondato sulla memoria non può abbracciare l’infinita totalità dei casi possibili, ma solo la limitata
pluralità dei casi reali. La soluzione acquista carattere di necessità solo quando risaliamo oltre il singolo
esempio fino al procedimento della COSTRUZIONE in cui nasce la bisettrice (esempio di Mach p. 318) e in cui
essa acquista tutte le sue proprietà matematiche. Noi, diventando coscienti di questa regola unitaria di
costruzione, cogliamo al tempo stesso la TOTALITA’ delle determinazioni della figura completa, giacché solo
in virtù della legge generatrice queste determinazioni esistono e sono dimostrabili con perfetto rigore in base
ad essa. Qui il cammino non procede dalla pluralità dei casi particolari alla legge, ma dall’unità del
procedimento – geometrico (riferito all’esempio) – alle applicazioni particolari. Così viene stabilito un
rapporto valido per il mondo presente di rappresentazioni, quale si trova nella coscienza, ma afferma un
nesso ideale di collegamento; viene accertata una proposizione valida per tutte quelle “forme”. Questo
fenomeno PSICOLOGICO, supera l’unico schema di conoscenza di cui una coerente concezione sensistica può
disporre.

Si da conoscenza necessaria solo di quegli oggetti, come quelli della matematica pura, rinunciano a ogni realtà
concreta. Non appena questa realtà viene introdotta nell’ambito della nostra considerazione, anche il
carattere del sapere subisce una complessa trasformazione.

Ogni affermazione scientifica da noi giustificata con un esperimento si fonda sul tacito presupposto che ciò
che viene trovato valido qui ed ora rimanga anche valido per tutti i luoghi e per tutti i tempi, finché rimangono
invariate le altre condizioni dell’esperimento. Solo in virtù di questo principio il fatto “soggettivo” della
percezione sensoriale si converte nel fatto “oggettivo” del giudizio scientifico.

Goethe: “ogni fatto è già teoria, giacché solo il pensiero della NECESSARIA DETERMINATEZZA DELL’ACCADERE
conduce a ridurre all’immobilità una singola passeggera osservazione e a “stabilirla” come fatto”.

In ciò consiste la superiorità della costruzione matematica dei concetti: Gli oggetti di questa formazione di
concetti, sono ciò che la nostra costruzione ideale ne ha fatto, mentre ogni contenuto empirico nasconde in
sé determinazioni ignote, cosicché di esso non si può mai stabilire con certezza in quale dei diversi concetti
ipotetici, che noi abbiamo in precedenza concepiti e sviluppati nelle loro conseguenze, debba essere fatto
rientrare.

Kant: Anche il singolo giudizio a posteriori implica sempre, nella necessità del nesso che esso afferma, un
elemento a priori.

L’ambito del necessario si restringe e si precisa fino a che diventa adatto alla più esatta determinazione di ciò
che è in apparenza “contingente”. Non la semplice e singola determinazione cronologica, ma l’inserimento
di questa nel processo complessivo dell’accadere forma il vero scopo dell’induzione.

Il “segreto dell’induzione”, non comincia appena là dove da una PLURALITA’ di osservazioni ricaviamo una
conclusione circa la TOTALITA’ dei casi, bensì è già completamente contenuto nella costatazione di un
SINGOLO CASO. La soluzione del problema dell’induzione può essere trovata solo in questo ampliamento del
suo significato. La funzione, in virtù della quale noi seguiamo un contenuto empirico oltre i limiti in cui ci è
cronologicamente dato e lo stabiliamo nella sua determinatezza per tutti gli istanti della successione
temporale, rappresenta il vero nocciolo del problema induttivo. Il rapporto, che da principio ci si manifesta
solo per un singolo elemento indivisibile, si allarga oltre la sua sfera iniziale, finché determina in qualche
modo la TOTALITA’ degli istanti futuri. Così già ogni singolo giudizio racchiude in sé un motivo di INFINITA’. Il
permanente oggetto empirico, espresso in forma matematica, è L’INTEGRALE delle caratteristiche
momentanee di cui il singolo esperimento ci dà notizia. Il processo logico dell’integrazione non sarebbe
possibile se non ci fosse già nell’elemento, il rapporto col TUTTO, cioè, se il mutevole contenuto
dell’esperienza, non racchiudesse in sé sempre il riferimento alla sua regolare e permanente forma. In virtù
di questo riferimento, l’ambito delle esperienze, si allarga in modo da diventare dimostrazione e simbolo
della struttura SISTEMATICA della realtà in generale. Solo concependo i termini dell’accadere come collegati
mediante relazioni necessarie, noi possiamo usare qualche singola fase come rappresentazione e simbolo
dell’intero processo e della regola generale di questo.

La legge dell’esperienza “risulta” dai singoli casi solo in quanto essa è già stata posta tacitamente in ognuno
di essi. Il singolo giudizio empirico contiene già come POSTULATO implicito l’idea della completa
DETERMINATEZZA DELLA NATURA, che si trova come risultato finale nel sistema completo dell’esperienza.

Il fatto a ci è accessibile solo in una forma funzionale come f (α), g (β) ecc… dove f, g indicano dei modi di
connessione spaziale, temporale e causale. L’atto logico dell’”integrazione”, che interviene in ogni giudizio
induttivo, non contiene più alcun paradosso o difficoltà interna: il passaggio dal singolo alla totalità è possibile
perché fin da principio il rapporto col tutto non è escluso, ma mantenuto e abbisogna soltanto di essere
isolato e messo in luce concettualmente.

La tendenza verso qualcosa di permanente è propria del pensiero induttivo non meno che del pensiero
matematico.

Ogni esperienza è volta ad ottenere determinati “invarianti” e solo in essi si arriva alla sua vera conclusione.
L’idea di oggetto naturale empirico nasce e si fonda su questo procedimento.

In mezzo al caos temporale delle sensazioni noi stabiliamo, connessioni e coordinazioni; sono queste che
formano l’impalcatura fondamentale della realtà empirica.

E’ sempre una funzione del giudizio ciò che ci assicura la permanenza dell’essere empirico.

L’analogia autentica e feconda non si fonda sopra una corrispondenza sensibile di caratteristiche (es. Russell),
bensì sopra una corrispondenza concettuale nella struttura relazionale. Il confronto non poggia sopra una
somiglianza indeterminata, ma sopra una vera IDENTITA’ del nesso funzionale determinabile
matematicamente: questa identità, come nella matematica pura, viene messa in evidenza come “invariante”
logica e considerata di per se stessa. L’”analogia” si converte sempre più nell’”armonia”, cioè nell’intuizione
delle quantitative e unitarie leggi strutturali che, dominano la totalità dell’essere e in tal modo raccolgono in
unità anche le cose apparentemente più lontane.

II.

Il primo risultato che si chiede al “concetto” induzione consiste nel convertire la pluralità delle osservazioni,
presentatesi inizialmente come una slegata GIUSTAPPOSIZIONE di singoli elementi, in una stabile FORMA
SERIALE.

La differenza caratteristica rispetto al concetto matematico risiede nel fatto che, la costruzione la quale
nell’ambito della matematica raggiunge una conclusione fissa, nell’ambito dell’esperienza rimane per
principio TALE DA NON POTERSI CONCLUDERE.

Se noi pensiamo un evento singolo come sintesi di diverse leggi, la questione di come il particolare possa
“partecipare” dell’universale cessa di essere un problema METAFISICO, giacché per noi l’universale non
significa più una realtà sostanziale che entri nel singolo come reale elemento costitutivo, significa invece un
ELEMENTO logico che implicitamente è compreso in un più vasto sistema di relazioni.
La questione non è più di sapere come il singolo nasca dall’universale e si separi da esso, bensì come sia
possibile alla conoscenza mettere in relazione e determinare le regole dei nessi universali, in maniera che ne
risulti la visione concettuale delle particolari circostanze della realtà fisica.

Il pensiero matematico va pensato come il CORRELATO necessario per la formazione induttiva dei concetti.
Proprio la SINTESI DI RELAZIONI, che qui interviene come elemento essenziale, trova nella matematica u suoi
ultimi fondamenti astratti e la garanzia della sua validità universale. Il vero oggetto della matematica consiste
nella connessione e reciproca determinazione di relazioni.

L’esperimento serve per scomporre i singoli elementi costitutivi un complesso indistinto di percezioni, la
matematica serve a determinare la forma nella quale gli elementi si compongono in unità mediante leggi.

Qui non si può trattare dell’origine delle cose, ma dell’origine e della natura della NOSTRA CONOSCENZA
DELLE COSE. Il “reale” colto nell’impressione sensibile, non si è in sé già una “somma” di elementi eterogenei,
ma si presenta come un tutto semplice e indiviso.

Ciò che noi conosciamo (come ci mostrava Kant nella CRP) sono pure relazioni. La permanenza non si
presenta mai nell’esperienza sensibile, questa è solo un congelamento delle impressioni eterogenee limitate
in un singolo istante. Essa compare soltanto nella misura in cui riusiamo a convertire il molteplice-sensibile
in molteplice-matematico, cioè lo facciamo derivare da determinati elementi fondamentali secondo certe
regole che manteniamo costanti.

In contrasto con la teoria della “descrizione” occorre mantenere il carattere puramente logico del rapporto
di ragione e conseguenza, senza convertirlo in carattere ontologico. “Descrivere” un processo naturale in
equazioni quantitative significa “spiegarlo” nell’unico senso scientificamente ammissibile, giacché
l’equazione stessa è il modello di una conoscenza puramente concettuale.

III.

p.352

Solo all’interno di una serie di relazioni possiamo definire un oggetto.

Pag. 356 357, spiegazione degli invarianti, da riguardare.

VI.

IL CONCETTO DI REALTA’

I.

Oggettivi: quegli elementi dell’esperienza su cui poggia la permanenza di questa e che si mantengono
inalterati in ogni mutare del hic et nunc INDIVIDUALE.

Soggettivo: ciò che fa parte del mutare, e che esprime solo una determinazione del singolo hic et nunc
INDIVIDUALE.

Questa differenza possiede solo un valore relativo. Non ci sono elementi assolutamente costanti e non ce ne
sono di assolutamente variabili. Un contenuto può esser riconosciuto come variabile solo in relazione ad un
altro che gli si contrappone e si afferma come permanente, così anche questo secondo contenuto può
contrapporsi ad un terzo ed essere variabile per quello. La fase passata appare variabile rispetto al presente,
e quella presente lo è rispetto a quella futura. Solo questa FUNZIONE che il confronto deve compiere rimane
costante, mentre il contenuto materiale dei due campi si trova in un continuo fluire.

L’opposizione non è spaziale, ma dinamica: essa indica la diversa forza cin cui dei giudizi d’esperienza
RESISTONO alla prova continua della teoria e dell’osservazione senza esserne modificati nel loro contenuto.

In questo processo si distinguono dei gruppi che prima sembravano permanenti, mentre ora perdono questo
carattere. Risulta ora che, in questo passaggio alla soggettività non si tratta di un cambiamento che avvenga
nella sostanza delle cose, ma solo di un cambiamento riguardante la valutazione critica delle conoscenze.

La serie dei gradi di oggettività: in luogo di una semplice durata di determinazioni, è data una scala di valori
che procede secondo una regola determinata. Ogni termine rinvia al seguente e lo esige per il proprio
completamento. Perciò, la percezione sensoriale, rispetto all’allucinazione e al sogno, rappresenta il vero e
proprio tipo dell’oggettività, mentre, valutata secondo lo schema della fisica esatta, può diventare un
fenomeno che non esprime alcuna proprietà indipendente delle cose, soltanto uno stato soggettivo
dell’osservatore.

p.367: Ad ogni esperienza parziale si domanda che cosa essa significhi per il sistema complessivo, e questo
significato è ciò che determina per essa la misura dell’oggettività. In definitiva, non si tratta di stabilire che
cosa una determinata esperienza “è”, ma che cosa “vale”, cioè quale funzione le spetta come particolare
pietra di costruzione nella struttura del tutto. (chiave di volta del pensiero di Cassirer).

Ciò a cui serve l’opposizione di soggettivo e oggettivo è la rigorosa ORGANIZZAZIONE dell’esperienza. In luogo
dei contenuti variabili cerchiamo di ottenere dei contenuti durevoli, ma questo tentativo ha bisogno di esser
completato in un altro stadio. Noi non possiamo confrontare l’ESPERIENZA delle cose con le COSE STESSE,
sciolte da tutte le condizioni dell’esperienza; possiamo sostituire a un aspetto più ristretto dell’esperienza un
altro più vasto, che ordini i dati, in una VISIONE PIU’ GENERALE. Ci troviamo di fronte a un processo che
continuamente si rinnova e conosce punti di arresto solo relativi: sono questi punti di arresto che definiscono
per noi di volta in volta il concetto di “oggettività”.

La direzione in cui viene percorsa questa via dell’esperienza è opposta a quella che storicamente è stata
seguita dai metafisici. Per C. non è più dal soggetto, dall’”autocoscienza” fino all’oggetto. La critica della
conoscenza si pone il problema in modo opposto: per essa la questione non è stabilire come possiamo
giungere dal “soggettivo” all’”oggettivo”, bensì come si passi dall’”oggettivo” al “soggettivo”. Essa non
conosce altra e superiore oggettività oltre a quella che è data nell’esperienza stessa e conformemente alle
sue condizioni.

Degli elementi che da principio sembravano indispensabili e costitutivi del concetto di essere empirico, come
il contenuto delle singole sensazioni, perdono questa posizione preminente e posseggono d’ora innanzi
un’importanza non più centrale, ma soltanto periferica. La designazione di un elemento come “soggettivo”
non gli appartiene quindi affatto originariamente, ma presuppone un complicato procedimento di
CONTROLLO concettuale ed empirico, che viene raggiunto solo a un grado relativamente superiore. Essa
nasce solo nella critica vicendevole delle esperienze, in cui il contenuto mutevole si distingue da quello
permanente. Il “soggettivo” non è l’evidente punto di partenza dato, muovendo dal quale si dovrebbe
raggiungere e costruire in una SINTESI speculativa il mondo degli oggetti, ma è solo il risultato di un’ANALISI,
la quale presuppone l’esistenza dell’esperienza e quindi il valore di stabili e regolari relazioni fra i contenuti
in generale.

REALTA’: E’ la DIFFERENZIAZIONE logica dei contenuti d’esperienza e il loro inserirsi in un sistema ordinato di
dipendenze ciò che forma il vero nucleo del concetto di realtà. Questo nesso viene confermato se si considera
il carattere logico fondamentale dell’ESPERIMENTO scientifico, che è la vera testimonianza della realtà
empirica. L’esperimento scientifico acquista il suo valore in quanto riconduce i singoli dati sotto un
determinato punto di vista in cui vengono giudicati, conferendo loro un significato che essi non avevano nella
semplice esperienza sensibile come tale. Come ha spiegato Duhem, il fisico, per raggiungere un risultato nelle
sue ricerche deve anzitutto trasformare il caso reale nell’espressione del caso ideale che la teoria presuppone
ed esige.

TRASCENDENZA SIMBOLICA: Il limitato ambito di fatti, a noi accessibile sensibilmente, si allarga sotto la
visione del pensiero in un nesso di leggi naturali tra i fenomeni in genere. In tal modo abbiamo a che fare con
una specie di “trascendenza”: la singola impressione data non rimane semplicemente ciò che è, ma diventa
il simbolo del completo ordinamento sistematico entro il quale essa si trova e a cui prende parte in
determinata misura. Ma questo processo non ne cambia di nuovo la “sostanza” metafisica, ma solo la forma
logica.

Ciò che innalza gli “oggetti” della fisica al di sopra delle cose sensibili e conferisce loro una particolare specie
di “realtà” è la ricchezza di CONSEGUENZE che ne derivano. Essi indicano solo diverse vie per le quali noi
passiamo da un’esperienza all’altra per poter così alla fine abbracciare con lo sguardo la totalità dell’essere
come la totalità del sistema dell’esperienza.

La connessione dei fatti e la loro reciproca dipendenza è l’elemento primo ed originario, mentre il loro
isolamento rappresenta soltanto il risultato di un’artificiosa astrazione. Se si intende la RAPPRESENTAZIONE
come l’espressione di una regola ideale che collega il particolare, dato qui e ora, al tutto, riunendolo con esso
in una sintesi concettuale, non avremo più a che fare con una determinazione successivamente aggiunta,
bensì con una condizione costitutiva di ogni contenuto d’esperienza.

Il contenuto dell’esperienza è per noi diventato “oggettivo” in quanto abbiamo compreso come in esso ogni
elemento si connetta col tutto. La distinzione fra realtà e apparenza è possibile solo ENTRO il sistema
dell’esperienza. Il singolo elemento avente la funzione di segno non è materialmente simile al complesso da
esso indicato, giacché le RELAZIONI che formano il complesso non si lasciano completamente esprimere e
“riprodurre” da alcuna formazione singola; fra essi sussiste una perfetta comunanza logica, in quanto
appartengono al medesimo NESSO DI RAGIONI. La somiglianza oggettiva si converte in correlazione
concettuale.

La formazione dell’oggetto compare soltanto come la VALUTAZIONE critica che si compie nel CONCETTO.

Il processo non viene lasciato all’arbitrio individuale, ma si attua come un’ESIGENZA conforme a leggi. La
scienza, solo in quanto coglie ed esprime in modo sempre più rigoroso siffatte esigenze, raggiunge
progressivamente il concetto del reale.

Come la vera funzione del concetto non consiste nel “riprodurre” in modo astratto e schematico una
molteplicità DATA, bensì nel racchiudere in sé una legge di relazione mediante la quale viene creato un nuovo
e particolare nesso nella molteplicità, così anche in questo caso la forma di connessione delle esperienze si
rivela come ciò che trasforma le mutevoli “impressioni” in “oggetti” costanti. La più generale espressione del
“pensiero” coincide effettivamente con la più generale espressione dell’”essere”: l’opposizione, che la
metafisica non poteva superare, si appiana quando si risalga alla FUNZIONE LOGICA FONDAMENTALE dalla
cui applicazione i due ordini di problemi sono inizialmente nati e in cui perciò debbono trovare alla fine la
loro spiegazione.

II.

Nella storia del pensiero scientifico e speculativo il problema della realtà è legato al problema dello spazio.
Per il modo ingenuo di pensare è la “cosa” che è data fin da principio e viene sempre solo in parte espressa
e riprodotta in ciascuna delle nostre percezioni (C. è contro questa concezione).
Il concetto “seriale”, a differenza del “concetto-genere” si rivelò decisivo nella fondazione delle scienze esatte
e ora continua ad avere ulteriori applicazioni e si dimostra strumento della conoscenza oggettiva.
III.
L’analisi psicologica della rappresentazione di spazio conferma il CONCETTO DELL’OGGETTIVITA’ risultato
dalla generale analisi logica della conoscenza. Il misterioso passaggio fra due sfere dell’essere diverse nella
loro essenza scompare ormai, e in luogo di esso sottentra il semplice problema della connessione e riunione
delle singole parti dell’esperienza in un complesso ordinato. Il singolo contenuto, per potersi dive veramente
oggettivo, deve svilupparsi oltre il suo limite cronologico ed allargarsi in modo da diventare l’espressione
dell’intera esperienza. Da questo momento, esso non sussiste solo per se stesso, ma per le leggi di questa
esperienza che esso, per la sua parte, rappresenta. Tale elemento forma ora il punto di partenza di una
costruzione concettuale che, nelle sue conseguenze prossime e remote, determina e abbraccia la totalità
della realtà empirica. Il procedimento di questa “integrazione” logica, si lasciava già rendere evidente in ogni
giudizio intorno ai “fatti”. Ogni volta che si attribuisce, anche soltanto a una cosa singola, una particolare
caratteristica concreta, si fa valere la concezione secondo cui il nesso in tal modo stabilito permane
logicamente come tale. E questa permanenza che è stabilita con la FORMA stessa del giudizio, si mantiene
anche quando il CONTENUTO è mutevole.
Noi colleghiamo una serie di circostanze diverse, separate per il tempo e per il contenuto, mediante un
complesso unitario di regole causali: è questa connessione che imprime davvero il suggello dell’essere. Il
contenuto dei singoli differenziali cronologici acquista oggettiva importanza in quanto in base ad esso può
essere ricostruito il contenuto dell’intera esperienza secondo una determinata metodica.
L’idealismo critico si distingue dal “realismo”, che qui si sostiene, non perché neghi i postulati di pensiero su
cui, viene fondato il concetto dell’essere oggettivo, ma al contrario proprio perché li coglie in modo più
rigoroso e ne richiede l’applicazione già per ogni fase della conoscenza, anche la più primitiva. Senza dei
principi logici fondamentali, che trascendano il contenuto delle impressioni di volta in volta date, non c’è per
il realismo né una COSCIENZA DELL’IO, né una COSCIENZA DELL’OGGETTO. Ciò che va contestato non è il
concetto di “trascendenza”, ma quello di “immanenza”, che qui è presupposto. L’idea dell’io non è più
originaria dell’idea di oggetto, nessun contenuto può dirsi soggettivo se non in contrasto con qualcos’altro
che appaia come oggettivo.
Una volta che la differenza metafisica tra soggetto e oggetto è stata convertita in una distinzione
metodologica, conviene esaminare la questione. La ragione più profonda del fatto che il mondo esterno e il
mondo interno vengano contrapposti fra loro come due realtà eterogenee risiede un un’analoga opposizione
che viene ammessa fra ESPERIENZA E PENSIERO. La certezza dell’esperienza pura viene considerata
completamente diversa da quella del pensiero. L’esperienza pura si mantiene immune da ogni commistione
del concetto, ci assicura delle condizioni del nostro proprio io, mentre ogni conoscenza dell’oggetto esterno
ottiene la sua vera garanzia solo in virtù della necessità del pensiero. L’inizio di ogni teoria della conoscenza
deve consistere nel fatto che noi ci liberiamo da tutti i legami col regno dello spirito e della natura, da ogni
rapporto con i veni e gli elementi comuni della civiltà allo scopo di mantenere salda la nostra singola coscienza
individuale. MA PROPRIO QUESTO COMINCIAMENTO CONTIENE UNA PREMESSA LA CUI LEGITTIMITA’ E’
INDIMOSTRABILE dal punto di vista della logica e dal p.d.v. della psicologia. Il taglio che viene operato tra
percezione e pensiero, distrugge non meno il concetto di coscienza che il concetto oggettivo di esperienza.
Ogni coscienza esige una certa specie di CONNESSIONE, e ogni forma di connessione presuppone una
relazione del singolo con un tutto complessivo, presuppone l’inserimento del contenuto individuale in un
sistema generale. Un quid di percezioni senza regola e senz’ordine non si può realizzare come finzione
metodologica: la semplice possibilità della coscienza implica almeno l’anticipazione concettuale di un ordine
possibile, anche se non ancora accertato nei suoi particolari.
Se si determina l’oggetto non come una sostanza assoluta di conoscenza, ma come l’oggetto quale si forma
nel progredire dell’esperienza stessa, non c’è alcun abisso gnoseologico da doversi superare con atti di
imperio del pensiero o comandi transoggettivi. Quest’oggetto dal punto di vista dell’individuo psicologico
può essere detto trascendente; dal punto di vista della logica e dei supi principi supremi va indicato come
“immanente”. Esso rimane in quel campo che questi principi, in particolare i principi della conoscenza
matematica e scientifica determinano e delimitano. Questo pensiero è ciò che unicamente costituisce in
nucleo dell’”idealismo” critico. L’idealità qui affermata, non ha niente di comune con la “rappresentazione”
soggettiva; essa riguarda il valore oggettivo di determinati assiomi e di determinate norme della conoscenza
scientifica. La VERITA’ dell’oggetto dipende dalla VERITA’ di questi assiomi e non ha alcun fondamento
diverso e più saldo. In tal modo non c’è più un essere assoluto ma solo un essere relativo. Questa relatività
significa la dipendenza logica dal contenuto di determinate premesse universalmente valide di ogni
conoscenza in generale. La proposizione secondo cui l’essere è un “prodotto” del pensiero non contiene
riferimenti a rapporti causali o metafisici, indica una pura relazione funzionale, un rapporto di subordinazione
nella validità di determinati giudizi. Se analizziamo la definizione di “oggetto”, se diventiamo consapevoli di
ciò che è posto in questo concetto, veniamo necessariamente ricondotti a certe necessità logiche che in tal
modo appaiono come gli indispensabili “fattori” costitutivi di questo concetto medesimo. L’esperienza e il
suo oggetto sono concepiti alla maniera di variabili dipendenti che successivamente sono ricondotte a una
serie di variabili logiche indipendenti: e questa dipendenza – riguardante il puro contenuto – della funzione
dalle proprie variabili è ciò che nel linguaggio dell’idealismo viene chiamato dipendenza dell’”oggetto” dal
“pensiero”.
E’ conformemente alle leggi universalmente valide della ragione che noi formiamo il concetto di essere e lo
determiniamo nei particolari. Sono così esattamente indicati tanto la legittimità che i limiti di ogni specie di
“trascendenza”. Questa limitazione si manifesta con la massima chiarezza quando si confronti l’oggetto
dell’esperienza con l’oggetto della matematica pura. Neppure l’oggetto della matematica pura si risolve in
alcun modo in un complesso di sensazioni; anche per esso è caratteristico il trascendere il dato in un prodotto
mentale che non ha alcun corrispondente immediato in un singolo contenuto della rappresentazione.
Tuttavia gli oggetti della conoscenza matematica, i numeri le forme pure della geometria, non costituisceono
un campo speciale e a sé di esistenze assolute, bensì sono solo l’espressione di determinati nessi ideali
universalmente validi e necessari. Una volta stabilita questa interpretazione, essa può essere estesa anche
agli oggetti della fisica, i quali sono il risultato di un lavoro logico, in cui trasformiamo l’esperienza secondo
le esigenze del concetto matematico. La “trascendenza” che noi attribuiamo all’oggetto della fisica,
differenziandolo dall’oggetto della singola percezione, è della specie della distinzione con cui noi
contrapponiamo l’idea matematica del triangolo, alla singola immagine rappresentata qui e ora nelle
raffigurazioni reali. In entrambi i casi la momentanea immagine sensibile si innalza a un nuovo significato
logico permanente; ma in entrambi i casi bisogna anche riconoscere che in virtù di questa distinzione non
viene da noi colto alcun essere, bensì soltanto un nuovo carattere di necessità concettuale viene impresso a
determinati contenuti. Le medesime condizioni su cui si fonda il passaggio dai dati empirici del tatto e della
vista alle pure forme della geometria, sono necessarie e sufficienti per la trasformazione del contenuto della
semplice percezione nel mondo delle masse e movimenti di carattere empirico-fisico. In entrambi i casi viene
introdotta un’unità di misura costante, alla quale d’ora innanzi il variabile verrà riferito; su questa funzione
fondamentale poggia l’affermazione di ogni specie di oggettività.
La “trascendenza” che può essere fondata e dimostrata in virtù del pensiero non è se non quella che è stabilita
e garantita nella FUNZIONE FONDAMENTALE del giudizio medesimo. L’oggetto non è né più né meno
trascendente del giudizio. In tal modo la correlazione fra la conoscenza e l’oggetto è ammessa in senso critico:
infatti per quanto il giudizio trascenda il contenuto della percezione sensibile attuale, non di pretende di
affermare che esso si trovi al di là dei PRINCIPI LOGICI della conoscenza in genere. La dipendenza da questi
principi e non la dipendenza da contenuti o atti psichici concreti era ciò che l’idealismo metodologico esigeva.
Il concetto fisico, trascendendo il campo dell’esperienza, acquista la sua realtà in RELAZIONI CONCETTUALI
dalle quali è inseparabile per la sua essenza e per la sua definizione. All’immanenza psicologica delle
impressioni si contrappone non una trascendenza metafisica delle cose, ma l’universale validità logica dei
supremi principi della conoscenza. La singola “rappresentazione” si innalza al di sopra di sé stessa e “significa”
anche qualcosa che non si trova direttamente in essa. Ma in questa “rappresentazione” non ci sono elementi
che ci conducono al di là dell’esperienza intesa come SISTEMA COMPLESSIVO. Ogni singolo elemento
dell’esperienza in tanto possiede un carattere simbolico, in quanto in esso è nel contempo posta e pensata
la legge generale che abbraccia la totalità dei termini. Il particolare appare come il differenziale che senza il
riferimento al suo integrale, non è né completamente determinato, né comprensibile.
p.398 CRITICA AD HARTMANN DA LEGGERE SUL LIBRO
Lo scopo di questa relazione è di far sì che noi mediante essa, partendo da un dato punto iniziale,
PERCORRIAMO in un regolato processo la totalità dell’esperienza, non che noi la TRASCENDIAMO. Il continuo
andare al di là del singolo contenuto di volta in volta dato è una funzione fondamentale della conoscenza,
che si compie e si appaga entro il campo degli oggetti della conoscenza.
La concezione critica definisce l’oggetto della scienza della natura mediante il riferimento alla “totalità
dell’esperienza”; questa totalità non piò mai essere rappresentata e fondata come una semplice somma di
singoli dati sensibili. Questa totalità acquista la sua forma e il suo ordine solo in quanto si stabiliscono delle
relazioni originarie, nessuna delle quali si lascia indicare “tangibilmente” alla maniera di un dato contenuto
sensibile; è una delle diverse espressioni di questa relazione che viene mantenuta nel concetto di materia,
come nel concetto di forza o di energia.
IV.
Tutto il nostro sapere, per quanto possa essere compiuto in se stesso, non ci dà mai gli oggetti stessi, bensì
solo dei SEGNI di essi e delle loro reciproche relazioni (SEGNO: un concentrato di significato, es. in
matematica la A). Tutto ciò che è NOTO e tutto ciò che è conoscibile si viene a trovare in una particolare
opposizione con l’essere assoluto dell’oggetto. La medesima ragione che ci rende certi dell’esistenza delle
cose, imprime in esse il carattere dell’INCOMPRENSIBILITA’. Tutto ciò che appare come il RESIDUO
incompreso della conoscenza, in realtà interviene in ogni conoscenza come fattore indispensabile e come
condizione necessaria. CONOSCERE UN CONTENUTO VUOL DIRE FARE DI ESSO UN OGGETTO,
INNALZANDOLO AL DI SOPRA DEL SEMPLICE STADIO DI DATO E CONFERENDOGLI UNA DETERMINATA
COSTANZA E NECESSITA’ LOGICA. Noi conosciamo OGGETTIVAMENTE gli “oggetti” in quanto stabiliamo
distinzioni e fissiamo determinati elementi all’interno dell’esperienza, in modo permanente. In questo senso
il concetto di oggetto non è più il LIMITE estremo del sapere, ma il mezzo con cui il sapere esprime e fissa ciò
che è divenuto suo stabile possesso. Esso indica il possesso logico del sapere e non qualcosa di oscuro che lo
trascenda. In questo modo la “cosa” non è più la realtà ignota dinnanzi a noi come semplice materia, ma
esprime la forma e il modo del comprendere stesso. Ciò che la metafisica attribuisce alle proprietà come cosa
in sé, si dimostra un elemento necessario nel processo dell’oggettivizzazione. Se nella metafisica si parla della
permanenza e dell’esistenza continua degli oggetti, in contrapposizione alla mutevolezza e discontinuità delle
percezioni, qui l’identità e la continuità appaiono come dei POSTULATI che servono da generali linee di
direzione alla progressiva connessione delle leggi. Esse indicano gli strumenti logici con cui si attua la
conoscenza. Solo in base a questi rapporti si spiega la peculiare variabilità che si manifesta nel CONTENUTO
dei concetti scientifici esprimenti oggetti. A seconda che la FUNZIONE dell’OGGETTIVITA’, unitaria per la sua
meta e per la sua essenza, si realizza con materiale empirico diverso, nascono concetti diversi nella realtà
fisica, i quali rappresentano solo gradi diversi nella realizzazione di una sola e medesima esigenza
fondamentale. Realmente immutabile rimane soltanto quest’esigenza stessa, non già i mezzi con cui essa
viene di volta in volta appagata.
La SCIENZA DELLA NATURA non può trovare altro mezzo espressivo per indicare il suo contenuto che la
relazione formali su cui poggia il nesso dell’esperienza. TEORIA DEI SEGNI di Helmholtz  rappresenta una
caratteristica espressine della generale gnoseologia della scienza della natura. Le nostre sensazioni e
rappresentazioni sono SEGNI e non COPIE degli oggetti. Dalla copia si esige una certa specie di UGUAGLIANZA
con l’oggetto riprodotto, della quale non ci possiamo accertare. Il SEGNO non richiede somiglianza oggettiva
negli elementi, ma soltanto una CORRISPONDENZA FUNZIONALE DELLE DUE STRUTTURE. In essa sono
mantenuti i rapporti oggettivi su cui essa si trova con altre cose della stessa specie. Ciò che noi possiamo
trovare in modo chiaro e come dato di fatto senza supposizioni ipotetiche sono le leggi del fenomeno; e
questa legalità, che per noi è condizione della comprensibilità dei fenomeni, è anche l’unica proprietà che
possiamo riferire direttamente alle cose stesse. In questa concezione è stata creata una doppia ESPRESSIONE
per il medesimo dato di fatto fondamentale. La legalità del reale in definitiva non esprime nulla di più e nulla
di diverso rispetto alla realtà delle leggi; questa realtà consiste nell’immutabile validità che esse posseggono
per OGNI esperienza. Noi, presentando come LEGGI DELLE COSE quei nessi che inizialmente potevano
sembrare semplici regolarità delle SENSAZIONI, abbiamo semplicemente creato un nuovo modo d’indicare il
valore universale che riconosciamo loro. Se scegliamo questo modo d’espressione il dato di fatto che è
conosciuto non ne risulta modificato nella sua natura, ma semplicemente CONFERMATO e convalidato nella
sua verità oggettiva. Pertanto, gli oggetti della fisica non sono i “segni di qualcosa di oggettivo” quanto i
SEGNI OGGETTIVI che soddisfano determinate condizioni ed esigenze concettuali.
Da tutto questo deriva che noi non conosciamo le cose in ciò che esse sono di per sé sole, ma solo nei loro
rapporti di dipendenza reciproca, e che possiamo accettare in esse solo le relazioni di permanenza e
cambiamento.
Il principio generale della RELATIVITA’ afferma: noi possiamo giungere alla CATEGORIA di COSA solo
attraverso la CATEGORIA DI RELAZIONE. Le proprietà “relative” formano il positivo fondamento dello stesso
concetto di realtà.
L’indipendenza dell’oggetto fisico da tutte le particolarità della sensazione mette al tempo stesso in chiara
evidenza la sua coordinazione coi principi logici universalmente validi: solo in quanto ci si riferisce a questi
principi dell’unità e della continuità della conoscenza viene trovato e accettato il contenuto dello stesso
concetto di oggetto.

VII.
SOGGETTIVITA’ E OGGETTIVITA’ DEI CONCETTI DI RELAZIONE
Ogni determinatezza che possiamo accertare nella materia della conoscenza le appartiene solo relativamente
a un CERTO ORDINE POSSIBILE e quindi a un CONCETTO FORMALE DI SERIE.
La materia è sempre soltanto in relazione alla forma, come la forma va CONSIDERATA solo in rapporto con la
materia. Se si prescinde da questa coordinazione dei due elementi, non rimane per essi alcuna “esistenza”
del cui fondamento e origine possa farsi questione. - Per la costruzione dell’esperienza e per il costituirsi del
suo oggetto non basta attenersi alle LEGGI generali di connessione, alle EQUAZIONI universali dei fatti di
natura, ma occorre anche la conoscenza di particolari COSTANTI, le quali possono essere ottenuto solo
mediante l’osservazione sperimentale.
Le “verità eterne” sono valide in modo del tutto indipendente da ogni situazione di fatto della realtà,
comunque possa essere. Rappresentano sistemi ipotetici di ragionamenti; Le verità dell’aritmetica
rimarrebbero le stesse anche se non ci fosse nessuno che sappia contare. In questo modo i classici
dell’idealismo ripudiano ogni motivazione psicologica. Bolzano e le verità in sé: La “sussistenza” delle verità
è logicamente indipendente dal fatto di essere pensate. L’”essere” attribuito a enti geometrici e matematici
non significa alcuna realtà temporale, bensì indica il loro reciproco ESSER DETERMINATI.
Fra l’OGGETTO e l’OPERAZIONE del pensiero sussiste un intimo rapporto di dipendenza reciproca: ogni puro
atto di conoscenza tende a una verità oggettiva che esso contrappone a sé stesso, d’altro lato l’esistenza
della verità può essere portata alla coscienza solo in virtù di questi atti e attraverso la loro mediazione.
Le condizioni necessarie per il concetto di nucleo dell’oggetto sono stabilite in base alla validità di
determinate relazioni logiche. Il significato di pure relazioni non può mai essere rappresentato in semplici
impressioni sensibili. Qui si deve risalire dalla sensazione passiva all’attività del giudizio, nella quale soltanto
trovano un’adeguata espressione il concetto di connessione logica e quindi il concetto di verità logica.
Ciò che una verità “è” può essere spiegato solo RICOSTRUENDO questa verità col pensiero e facendola
nascere dinnanzi a noi dalle sue singole condizioni. Questa visione “genetica” della conoscenza non è in
contrasto con l’esigenza di una permanenza durevole. L’ATTIVITA’ del pensiero non è arbitraria, ma regolata
e determinata. La funzione del pensiero cerca e trova il suo punto di appoggio in una struttura ideale
dell’oggetto pensato la quale gli appartiene una volta per sempre indipendentemente da ogni atto di
pensiero cronologicamente limitato. La totalità delle nostre operazioni è indirizzata e tesa verso l’idea di uno
“stabile e permanente” campo di validità di relazioni oggettivamente necessarie. Appare così che ogni sapere
nasconde, per così dire, in sé un motivo STATICO e un motivo DINAMICO e solo in quest’unione attua
completamente il suo concetto.
Il cambiamento tende ad una COSTANZA, mentre d’altro lato la costanza può giungere alla coscienza solo nel
cambiamento. Non vi è alcun atto del conoscere che non sia diretto verso un certo stabile contenuto di
relazioni come al suo vero oggetto; come d’altro lato, questo contenuto non si può manifestare e farsi
comprendere se non negli atti del conoscere.
Nel caso della logica e della matematica, il singolo riceve il suo senso e il suo valore soltanto dal tutto: questo
tutto, non può essere rappresentato in una sola volta come un soggetto stabile dell’intuizione, ma per poter
essere davvero abbracciato con lo sguardo, deve essere colto nella legge della sua costruzione e determinato
mediante questa legge. Per concepire la serie dei numeri come SERIE e penetrarne per la prima volta
l’essenza sistematica, occorre non solo un singolo atto percettivo, ma una pluralità di tali atti condizionatisi
reciprocamente. Pertanto, si richiede un MOVIMENTO DEL PENSIERO, il quale non è solo un semplice gioco
di rappresentazioni, ma è tale che in esso ciò che è stato una volta raggiunto viene STABILMENTE mantenuto
e diventa il punto di partenza di nuovi sviluppi. Così il riconoscimento di una durevole esistenza di verità
scaturisce dall’attività stessa. Nel mezzo dell’atto del produrre s’innalza per il pensiero un PRODOTTO logico
permanente, in quanto il pensiero si accorge che questo atto medesimo non avviene in modo arbitrario, ma
si svolge secondo regole costanti alle quali esso non può sottrarsi, se vuole raggiungere in sé stesso sicurezza
e determinatezza.
In tal modo, la “SPONTANEITA’” (citazione di Kant, di rischioso utilizzo) del pensiero non costituisce l’opposto,
bensì il correlato necessario di quell’unica “oggettività” che esso può raggiungere.
La concezione critica della conoscenza rileva che i concetti acquistano la loro verità non dal fatto che siano
copie di realtà in sé esistenti, ma dal fatto che esprimono gli ordini ideali che costruiscono e garantiscono la
connessione delle esperienze. Le “realtà” che la fisica afferma non hanno un significato oltre quello dei
concetti di ordine. Esse vengono fondate in quanto vengono riconosciute come mezzi di connessione
rigorosa.
… Il complesso di osservazioni di Tycho Brahe viene a far parte del sistema di Keplero, nel quale esse sono
collegate e interpretate in maniera nuova. La legittimità di ognuna di queste connessioni viene da noi
misurata non sulle cose stesse, ma su determinati PRINCIPI supremi della conoscenza della natura, che noi
stabiliamo come norme logiche. Noi diciamo “oggettivo” l’ordine spaziale che corrisponde a quei principi e
che è stato costruito secondo il presupposto e le esigenze, ad esempio del principio di inerzia. Il riferimento
a siffatti principi garantisce un’interna omogeneità del sapere empirico, in virtù della quale tutte le diverse
fasi concorrono all’espressione dell’UNICO oggetto. l’”oggetto” è vero e necessario esattamente come lo è
l’unità logica della conoscenza empirica; al tempo stesso non è nulla di più vero e più necessario di essa.
Sebbene quest’unità non si presenti mai compiuta, sebbene sia sempre un’”unità proiettata”, non per questo
il suo concetto è meno univocamente determinato. L’esigenza stessa costituisce l’elemento stabile e
permanente, mentre ogni forma della sua realizzazione rinvia sempre al di là di sé medesima. L’unica realtà
può essere indicata e definita solo come limite ideale delle teorie variamente mutevoli; Il porre questo
LIMITE, non è arbitrario, ma inevitabile, in quanto solo con esso viene costruita la CONTINUITA’
DELL’ESPERIENZA. Non un SINGOLO sistema – copernicano o tolemaico – può valere per noi come
espressione del “vero” ordine cosmico, bensì solo la totalità di questi sistemi quali continuamente si
sviluppano secondo una determinata connessione. In tal modo qui non viene contestato il fondamentale
carattere strumentale dei concetti e dei giudizi scientifici; Ma lo strumento stesso che conduce all’unità e alla
verità del pensato deve essere in se stesso sicuro. Se non possiede in se stesso una determinata stabilità, non
sarebbe possibile fare di esso alcun uso sicuro e durevole, esso si frantumerebbe al primo tentativo e si
dissolverebbe nel nulla. Noi non abbiamo bisogno dell’oggettività di cose assolute, ma della oggettiva
determinatezza della VIA DELL’ESPERIENZA MEDESIMA.
Il reale CONTENUTO del pensato, a cui la conoscenza perviene, corrisponde in realtà alla FORMA attiva del
pensato (indica che il mondo si costituisce in base alle nostre facoltà conoscitive – Kant). Nel processo della
conoscenza nasce k0idea di una fondamentale esistenza permanente di relazioni ideali, che rimane uguale a
se stessa e non è influenzata dalle contingenti circostanze dell’apprensione psicologica. Il vero compito
CONCRETO della conoscenza consiste nel rendere ciò che è permanente fecondo per ciò che è mutevole.
L’esistenza delle verità eterne diventa mezzo per porre piede nel campo del cambiamento stesso. Ciò che è
mutevole viene considerato come se fosse permanente, in quanto cerchiamo d’intenderlo come risultato di
leggi teoretiche universali. Sebbene la differenza fra i due fattori non possa perciò esser fatta scomparire,
tuttavia nel continuo adeguamento dell’uno all’altro consiste tutto il processo della conoscenza.
La costanza delle forme ideali non ha più un carattere puramente statico, bensì anche e soprattutto un senso
dinamico: non è tanto costanza nell’essere, quanto piuttosto costanza nell’uso logico. I nessi ideali, di cui
parlano la logica e la matematica, sono le direttrici fisse secondo le quali si orienta l’esperienza nella sua
scientifica elaborazione formale. Questa FUNZIONE che essi continuamente compiono è il loro permanente
e indistruttibile valore che si afferma e si conferma identico di fronte a ogni variare del contingente materiale
empirico.
Il pensiero, non consiste solamente nell’astratte da una pluralità di elementi quanto vi è di analiticamente
comune, ma rivela il suo specifico significato nel passaggio necessario che esso compie da un elemento
all’altro. Diversità e cambiamento non sono “estranei al pensiero”, ma rientrano nella funzione dell’intelletto
stesso. Se questa DOPPIA FORMA CORRELATIVA DEL CONCETTO viene misconosciuta, si apre subito
inevitabilmente un abisso insuperabile fra la conoscenza e la realtà fenomenica.
L’identità a cui il pensiero tende non è l’identità di ultime cose sostanziali, ma l’idealità di ordini e
coordinazioni funzionali. Queste non escludono l’elemento della diversità e del cambiamento, ma solo in esso
e con esso pervengono a determinarsi. Il pensiero non esige quindi la scomparsa della molteplicità e
variabilità in genere, bensì vuole dominarle mediante la CONTINUITA’ matematica delle leggi e forme seriali.
Per la costruzione di questa continuità il pensiero ha però bisogno del punto di vista della diversità non meno
che del punto di vista dell’identità: anch’esso non gli è quindi imposto semplicemente dall’esterno, ma è
fondato nel carattere e nel compito della stessa “ragione” scientifica. La via della ricerca non consiste
solamente nel passare dalla molteplicità all’unità, non è meno legittima anche la direzione opposta. Solo
mediante questo superamento si può giungere al nuovo significato dell’identità e della permanenza, il quale
sta alla base delle leggi scientifiche. Il concetto completo di pensiero ristabilisce così l’armonia dell’essere:
l’inesauribilità del problema della scienza non è un segno della sua insolubilità, ma contiene la condizione e
lo stimolo per la sua soluzione sempre più completa.

VIII.
LA PSICOLOGIA DELLE RELAZIONI
I.
Il problema della conoscenza non ci ha condotti ad un dualismo metafisico di mondo soggettivo e mondo
oggettivo, ma ci ha condotto ad un COMPLESSO DI RELAZIONI che contiene il presupposto per l’opposizione
concettuale di “soggetto” e “oggetto”. Qui la tradizionale distinzione è inattuabile: il complesso di relazioni
è oggettivo in quanto in esso si fonda tutta la COSTANZA della conoscenza empirica e ogni possibilità di
GIUDIZIO OGGETTIVO; ed è concepibile solo nel GIUDIZIO MEDESIMO, nell’attività del pensiero. La sua
determinazione segue un DUPLICE metodo. Cosa siano queste relazioni nel puro senso logico può essere
stabilito solo in base al significato che esse acquistano nel sistema complessivo della scienza. Entro questo
sistema, ogni proposizione è legata e connessa ad altre, e la posizione, che in tal modo viene ad avere nel
complesso della conoscenza possibile in generale, le dà la misura della sua certezza.
La scienza procede da una proposizione oggettivamente valida ad un’altra, per la quale rivendica la medesima
forma di validità, senza che da questa via la distolgano considerazioni psicologiche e dubbi psicologici. Questo
processo indipendente crea alla psicologia un problema. Finché l’analisi psicologica si mantiene solamente
sull’ambito sensoriale non può rendere giustizia dei problemi posti dalla scienza. L’oggetto richiede nuovi
mezzi psicologici per esser descritto. L’esigenza generale di una PSICOLOGIA DELLE RELAZIONI conduce ad
una trasformazione dei metodi psicologici in generale. Questa trasformazione costituisce un importante
problema gnoseologico: anche qui appare che, come negli altri campi, è il modo di FORMAZIONE DEI
CONCETTI che subisce un cambiamento.
p.437 – Hume finisce il percorso iniziato da Berkeley e portato avanti da Loke di desostanzializzazione; ma
solo in apparenza la sostanzialità dell’”anima” è eliminata: essa sopravvive nella sostanzialità
dell’”impressione” sensibile.
Le questioni che psicologicamente si riassumono nel concetto di QUALITA’ DELLA FORMA danno il primo
impulso a una nuova revisione dei concetti generali fondamentali.
Ciò che collega i diversi contenuti rappresentativi a una determinata forma psichica fondamentale, si
presenta in una funziona nuova, che si concreta in una STRUTTURA indipendente di natura determinabile.
Una siffatta INTERPRETAZIONE teorica è data quando si cerca di spiegare l’unità, che è propria delle
complesse formazioni psichiche, non in base alla semplice GIUSTAPPOSIZIOINE delle loro parti, bensì in base
all’AZIONE reciproca che queste esercitano le une sulle altre.
p.442. Non è possibile che noi, partendo dalla conoscenza di determinati nessi causali arriviamo alla
comprensione dei concetti relazionali in genere; al contrario, si deve già presupporre ciò che questi concetti
significano e intendono, per poter parlare ragionevolmente di connessioni causali della realtà. La spiegazione
psicologica, partendo da elementi reali e dall’azione che essi esercitano nel complesso dei fenomeni psichici,
ha già presupposto tutto ciò di cui si tratta di dare una giustificazione logica. Essa presuppone al principio
della trattazione un mondo reale, in cui vivano diverse relazioni oggettivamente permanenti, mentre
inizialmente sembrava che si potesse e dovesse dedurre tutta questa specie di realtà dalle semplici
sensazioni, considerate gli unici dati dell’esperienza pura, senza aggiungervi altri elementi. Ciò che nella
conoscenza è realmente conosciuto non sono mai gli elementi singoli, ma una molteplicità articolata
mediante relazioni di ogni specie, la quale solo per astrazione può essere distinta in elementi singoli. La
questione non è: come possiamo arrivare dalle parti al tutto; ma come possiamo passare dal tutto alle parti.
Gli elementi non “sussistono” mai fuori di qualche forma di connessione, cosicché il tentativo di derivare da
essi i modi possibili di connessione si svolge necessariamente in un circolo vizioso. “Reale” nel senso
dell’esperienza e dei dati psicologici è sempre il risultato complessivo, i suoi singoli componenti posseggono
solo il valore si assunzioni ipotetiche, in cui il valore e la cui legittimità debbono misurarsi in base alla
circostanza se nel loro riunirsi riescano a rendere e a ricostruire la totalità dei fenomeni.
p.446 – Le pure funzioni della coscienza affermanti l’unità e la diversità sono sempre, come tali, indispensabili
e non si possono sostituire risalendo alle oggettive cause fisiologiche.
Alla psicologia della sensazione si contrappone la psicologia del pensiero.
II.
Nella “teoria dei contenuti formali” avviene un’intima trasformazione del concetto della psicologia. Vi sono
due forme di “oggetti” psichici che si contrappongono fra loro. “Oggetti di ordine superiore”; non possiamo
parlare di uguaglianza, diversità, unità, pluralità senza parlare pensarle come uguaglianza/diversità di
qualcosa. Ma questo qualcosa può cambiare come si vuole, può manifestarsi come colore o suono, come
concetto o giudizio – di cui è predicabile la diversità o l’unità – senza che con ciò venga compromesso il vero
SENSO di questi concetti fondamentali. In tal modo, la dipendenza che sembra esser propria delle relazioni
pure nella loro effettiva comparsa e, nella loro esistenza psichica, non esclude una completa indipendenza
del loro SIGNIFICATO specifico. Le relazioni universalmente valide, non esistono come parti della realtà
psichica o fisica, limitate nello spazio e nel tempo, ma “sussistono” unicamente in virtù della necessità che
noi riconosciamo a determinate proposizioni. In generale, alle relazioni fra esistenze (4 pere, 3 mele) si
contrappongono pure RELAZIONI IDEALI: a questa distinzione corrisponde una caratteristica opposizione
nella gerarchia delle conoscenze che si riferiscono a questi oggetti. Quando il giudizio si riferisce a un oggetto
della realtà singolo, rimane limitato ad un qui ed ora. Nell’altro caso, la dipendenza tra due elementi, A e B,
viene determinata in modo univoco dalla “natura” dei termini stessi. Intorno a relazioni ideali di questa specie
sono possibili i giudizi i quali, per esser colti ella loro verità, non hanno bisogno della prova costituita da
singoli casi diversi successivamente esaminati, ma vengono conosciuti una volta per tutte in quanto si coglie
la NECESSITA’ della connessione. Accanto ai giudizi empirici concernenti oggetti d’esperienza si trovano
quindi “giudizi a priori” concernenti “oggetti fondati”. Mentre i “fenomeni” psichici, come colori e suoni,
possono venir soltanto constatati come fatti nel loro presentarsi e nelle loro caratteristiche, gli oggetti
“metafenomenici” come l’uguaglianza o la somiglianza, si collegano a giudizi i quali vengono pronunciati con
coscienza della loro validità necessaria e intemporale. In luogo di una semplice constatazione di fatto
sottentra il tutto sistematico di un nesso razionale, i cui elementi si condizionano e si postulano
reciprocamente.
Anche questa teoria, in UN PUNTO si trova ancora sotto l’influsso della tradizionale interpretazione della
formazione dei concetti. Essa prende le mosse dai semplici contenuti sensibili, considerati come dati
riconosciuti, per aprirsi così la strada alle formazioni più complesse. Gli “oggetti di ordine superiore” non
possono essere separati da alcuno degli elementi percettivi in cui sono fondati, senza perdere con ciò ogni
consistenza. Un’analisi più attenta elimina anche quest’ultima apparenza d’indipendenza dell’elemento
semplice. Il luogo di una successione e di una subordinazione di contenuti, essa pone un rapporto di
rigorosissima CORRELATIVITA’. Come la relazione ha bisogno del riferimento agli elementi, così questi
abbisognano del riferimento a una forma di RELAZIONE, nella quale solo acquistano costante significati. I
“fondamenti” sono sempre e solo determinabili e determinati come fondamenti di relazioni possibili. La
coscienza come COSCIENZA si spegne non solo se pensiamo eliminati i fenomeni sensibili, quali i colori e i
suoni ecc. ma anche se immaginiamo tolti quegli oggetti “metafenomenici”, quali la molteplicità e il numero,
l’identità e la diversità. L’esistenza della coscienza ha la sua radice solo nella correlatività reciproca dei due
elementi, nessuno dei quali perciò deve essere anteposto all’altro come “primo” e originario.
p.450 - Dal punto di vista critico, l’elemento di ordine non si trova con il contenuto in un rapporto cronologico
di prima e dopo. Solo l’analisi può arrivare a questa distinzione nel materiale inizialmente unitario del “dato”.
Il fatto che per noi non si dia alcun contenuto della coscienza, che non sia in qualche modo formato e ordinato
secondo determinate relazioni, dimostra che il processo del percepire non va separato da quello del
GIUDIZIO. Sono ATTI ELEMENTARI DEL GIUDIZIO quelli in virtù dei quali il singolo contenuto viene colto come
termine di un determinato ordine ed è così per la prima volta fissato in se stesso. Nella sua vera forma
fondamentale, il giudizio rappresenta la forma della determinazione oggettiva in genere, mediante la quale
un contenuto particolare viene distinto come tale e al tempo stesso ordinato sistematicamente in una
molteplicità. Da questa forma non si può prescindere senza perdere le differenze qualitative del contenuto.
Anche se, considerando il puro RAPPORTO DI TEMPO, le relazioni vengono “trovate”
CONTEMPORANEAMENTE ai contenuti sensibili, ciò significa nondimeno che questo “trovare” implica già le
forme elementari dell’agire spirituale. Se pensassimo queste forme come abolite, scomparirebbe con esse
ogni possibilità di ulteriore applicazione dello stesso concetto di coscienza. L’io si coglie e si costituisce solo
in qualche specie di attività. Sono sempre determinati modi dell’”unità dell’appercezione” ciò a cui è
necessariamente collegata, sotto l’aspetto psicologico, l’apprensione di determinate relazioni fra gli oggetti.
In tal modo l’inscindibile correlazione fra le sensazioni e i puri concetti di relazione, quando venga
ulteriormente sviluppata in modo coerente, dimostra il contrario di ciò che inizialmente ne era stato inferto:
non indica la passività dell’io nel raggiungimento di questi concetti, ma al contrario mostra l’elemento di
attività proprio di ogni processo percettivo, in quanto esso è isolato in sé stesso, appartiene alla TOTALITA’
delle conoscenze e dell’esperienza.
Per quanto riguarda i concetti spazio-temporali la teoria critica della conoscenza distingue la forma spazio-
temporale dal contenuto della sensazione e la tratta come un problema indipendente, per questo non ha
affatto bisogno di pensare una REALE SEPARAZIONE in qualche mitico stato anteriore della coscienza. Ciò che
essa afferma e sostiene è soltanto la concezione secondo cui i GIUDIZI, che si fondano e si costruiscono su
queste forme relazionali, posseggono una propria validità caratteristica, la quale è preclusa alle semplici
asserzioni intorno all’esistenza di una sensazione data qui ed ora. Solo il SISTEMA DELLA GEOMETRIA
completamente sviluppato e ordinato secondo principi razionali unitari contiene la definitiva
caratterizzazione dell’elemento dello spazio. La psicologia non deve contraddirla. La sua peculiare trattazione
del problema delle relazioni conduce a un punto in cui interviene una nuova tendenza della ricerca. La
distinzione tra l’elemento relazionale e l’elemento contenutistico rimane in essa PROLETTICA.
La critica della conoscenza non cerca il pensiero là dove esso accoglie e riproduce in sé in modo
semplicemente recettivo il senso di un nesso di giudizio già compiuto, bensì la dove esso crea e costruisce un
complesso significativo di proposizioni. Quando la psicologia segue questa direzione di ricerca e considera il
pensiero, nella totalità concreta delle sue funzioni PRODUTTIVE, anche l’iniziale contrasto dei metodi si
risolve sempre più in una correlazione: la psicologia stessa offre ormai l’appiglio per affrontare quei problemi
che debbono cercare la loro progressiva soluzione nella logica e nella sua applicazione alla scienza.

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