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Giacomo Guidetti
A.A. 2015/2016
Infatti lo stesso è pensare ed essere
PARMENIDE
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Sommario
L'unico grande problema del Tractatus-logico philosophicus, nelle parole dello stesso Wittgenstein,
è quello di capire in che modo linguaggio e mondo si corrispondano. In questo paper ci
proponiamo di ripercorrere il percorso che il libro traccia in vista della soluzione di questo
problema: vedremo come l'autore, servendosi di concetti quali (1) immagine, (2) relazione interna
e (3) raffigurazione proponga un'originale teoria del linguaggio gravida di conseguenze,
soprattutto gnoseologiche e ontologiche. Per far ciò, però, non seguiremo l'ordine espositivo del
libro, bensì cercheremo di individuare il modo in cui devono essersi, di volta in volta, succeduti i
pensieri e i problemi alla mente di Wittgenstein e cercheremo di ripercorrere in tal senso le
posizioni espresse nel libro, nella convinzione che sia l'unico modo per coglierne davvero la
portata filosofica.
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Introduzione
«Il mondo è tutto ciò che accade»: così, con austera sicurezza, la proposizione 1 apre il Tractatus
descriva l'intelaiatura del mondo. La perentorietà delle prime proposizioni del Tractatus è
spiazzante, sembra di trovarsi di fronte a delle eteree verità auto-evidenti – quasi delle banalità –, di
avere a che fare con delle statuarie e monolitiche tautologie che non possono non essere
immediatamente accettate; la sensazione che ne deriva potrebbe risultare, alle volte, urticante: come
argomentazioni di Wittgenstein ci si può subito render conto di come, in realtà, più che un punto di
partenza l'ontologia del Tractatus sia uno dei punti d'arrivo – e neppure troppo banale. Per
dimostrare ciò, quello che faremo sarà percorrere il testo quasi a ritroso, nella convinzione che «il
Tractatus non si [possa] leggere seguendo l'ordine delle sue proposizioni»1, sistemate in tal modo
solo allo scopo di dare più chiarezza a ciò che vi è espresso, poiché il vero ordine dei pensieri
Tra le grandi curiosità di Wittgenstein ci furono quella di capire quale sia la struttura del
pensiero e come esso funzioni e quale sia la relazione tra linguaggio e mondo; di riflesso, una delle
grandi questioni del Tractatus è il problema della raffigurazione ad opera del segno proposizionale
o, più in generale, di cosa significhi farsi una rappresentazione di uno stato di cose. È sulla scia di
queste domande, quindi, che in questo paper ci proponiamo di ricostruire il percorso che il
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1. Problemi e prospettive
«Cosa è propriamente caratteristico della relazione del rappresentare»: è questo che Wittgenstein si
domanda in un appunto dei suoi Quaderni 1914-1916 datato 30 ottobre del 1914. Per spiegare come
egli risponda a questa domanda prendiamo avvio da un fenomeno molto semplice e quotidiano
quanto gravido di complessità: la comprensione del linguaggio. Wittgenstein si chiede come sia
possibile il fatto che siamo in grado di comprendere una quantità e varietà di enunciati diversi
virtualmente infinita; com'è possibile intendere il significato di frasi, anche molto complesse, mai
viste prima? Il linguaggio è così variegato e cangiante che, a ben guardare, la nostra naturale
proposizioni mostrano e al contempo definiscono l'intelaiatura degli stati di cose, attuali o possibili
che siano; e «sapere quale situazione possibile la proposizione raffigura vale a dire sapere come
Ma procediamo per gradi: cosa significa che le proposizioni mostrano l'intelaiatura degli
stati di cose? Significa che in qualche modo le proposizioni sono isomorfe alle situazioni che
descrivono, hanno la stessa struttura, lo stesso scheletro, dei fatti. Qui bisogna fare una
precisazione: i fatti sono le cose del mondo in una determinata e di volta in volta contingente ed
imprevedibile relazione reciproca; il Tractatus dice che «ciò che accade, il fatto, è il sussistere di
stati di cose» (TLP 2), specificando subito dopo che «lo stato di cose è un nesso d'oggetti (entità,
conoscenza di ciò che accadrebbe nella porzione pertinente del mondo – quella su cui verte la
proposizione – nel caso in cui quest'ultima fosse vera» 3. Ma questa relazione che c'è tra la
proposizione e ciò che essa dice e il sussistere di uno stato di cose – pur ipotetico ma possibile – in
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cosa consiste e come si articola? Cosa significa rappresentarsi i fatti, e di conseguenza, cosa
significa pensare? Il problema pare essere quello di «trovare una connessione tra i segni sulla carta
Prima di procedere nel vedere come Wittgenstein affronti questo argomento, diamo un
rapido sguardo alla sua concezione di linguaggio così da avere chiaro il piano di discussione su cui
il filosofo fa muovere il proprio pensiero. Il linguaggio, per Wittgenstein, è come un unico grande
salute. A differenza di quel che pensava Russell, infatti, «tutte le proposizioni del nostro linguaggio
comune sono di fatto, così come esse sono, in perfetto ordine logico» (TLP 5.5563) dato che «non
può darsi un ordine logico imperfetto: o esso c'è o esso non c'è» 4. Inoltre, se parliamo di linguaggio
nell'accezione tractariana del termine non ci riferiamo alle lingue naturali, empiriche, ma ad un
piano astratto – quello della logica, appunto – nel quale riposa quell'insieme di meccanismi e regole
che sono sottesi ad ogni lingua naturale e, quindi, al nostro modo di pensare.
Il Tractatus propone una teoria rappresentativa in cui giocano un ruolo fondamentale i concetti di
stato di cose che questa rappresenta, ciò implica che la prima deve da sé mostrare il secondo:
l'immagine deve rendere visibile il fatto a cui è connessa. Egli, poi, «si domanda che tipo di
caratterizzazione della nozione di proposizione sarebbe in grado di spiegare come mai, chi
comprende una proposizione, sappia quale situazione sussiste se essa è vera» 5: in questi termini è
lampante ed immediata l'analogia con le immagini che, sebbene non coincidenti con ciò che
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rappresentano, restituiscono chiaramente la situazione che ritraggono. «L'immagine è un modello
della realtà» (TLP 2.12) – osserva – e «noi ci facciamo immagini di fatti» (TLP 2.1).
ciascuno dei quali è rappresentante di un oggetto fuori nel mondo – e delle relazioni e il fatto «che
gli elementi dell'immagine siano in una determinata relazione l'uno con l'altro rappresenta che le
cose sono in questa relazione l'una con l'altra» (TLP 2.15). Un'immagine è, per Wittgenstein, in
grado di fare quel che fa, ossia rappresentare dei fatti, grazie a dei mezzi espressivi che, come
ricorda Monk riprendendo il famoso esempio del plastico dell'incidente automobilistico, possono
variare dalle relazioni di tipo spaziale fino alle proprietà cromatiche, passando per le relazioni
temporali e così via 6. L'insieme di questi mezzi espressivi è ciò che nella cornice del Tractatus
prende il nome di forma di raffigurazione, ossia «ciò che l'immagine deve avere in comune con la
non è affatto la stessa per tutte le immagini, dato che dipende da quello che queste rappresentano.
C'è però qualcosa di costante: il «carattere comune di tutte le immagini – l'avere struttura» 7: la loro
forma logica. Infatti, se tutte le immagini hanno una forma di raffigurazione che rappresenta una
determinata struttura, per contingenti ed imprevedibili che possano essere queste strutture resta
comune ad ogni immagine la peculiarità di essere qualcosa di strutturato. Così pensata, però,
l'immagine diviene un fatto essa stessa perché è un fatto che i suoi elementi costitutivi siano in
quelle determinate relazioni reciproche. Anche cambiando solo una relazione tra due elementi di
un'immagine otteniamo una nuova disposizione, una nuova struttura del fatto rappresentato e,
quindi, un nuovo fatto e una nuova immagine. Non solo: quest'ultima, come si è detto, è anche
(quasi kantianamente) forma; è possibilità di una struttura, è ciò che configura la realtà per come ci
appare. Fabbrichesi Leo la descrive come un fatto (empirico) e, al contempo, una forma
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(trascendentale), intendendo parlare con ciò dell'immagine come di una struttura di relazioni tra
elementi in cui queste relazioni sono al contempo rappresentative e configurative ma, nella quale
struttura, tali relazioni non sono elementi terzi, di mezzo tra il fatto e l'immagine, ma una
caratteristica propria della natura di quest'ultima: è ciò che – mostrandosi – la rende tale8.
così: (1) ogni immagine ha una struttura, ossia consta di elementi in determinate relazioni tra loro
che costituiscono l'aspetto di quell'immagine, la sua struttura; (2) ciascun elemento è rappresentante
di un elemento del fatto rappresentato, in virtù di quella che chiamiamo relazione di raffigurazione,
e infine (3) ogni immagine è una forma di raffigurazione, ovvero la possibilità di una struttura che
può o meno sussistere nella realtà, di modo tale da rendere l'immagine vera o falsa e da permettere
di individuarne il valore di verità sempre e solo a posteriori, dato che l'immagine è un fatto.
La proposizione, allo stesso modo «dice: così è, e non invece così. Essa rappresenta una
possibilità e forma già visibilmente la parte d'un tutto – del quale ha i tratti – e dal quale spicca» (Q
6.6.15). Già nei Quaderni, quindi, si profila una teoria raffigurativa della proposizione che in prima
battuta appare come la perfetta traduzione nel dominio delle proposizioni di quanto detto circa le
immagini. Come fa notare Sluga9, però, le proposizioni non sono immagini di fatti nell'accezione
visiva del termine bensì soltanto in quella logica perché «se la forma di raffigurazione è la forma
logica, l'immagine si chiama immagine logica» (TLP 2.181) e «l'immagine logica dei fatti è il
pensiero» (TLP 3) – e noi sappiamo che le proposizioni sono l'espressione sensibile del pensiero.
Per essere più precisi, per Wittgenstein sono i pensieri a essere immagini solamente logiche ma,
come abbiamo detto, siccome questi si trovano espressi in maniera sensibile nelle proposizioni del
linguaggio, queste ultime sembrano essere a loro volta immagini logiche dei fatti. In quanto tali, le
proposizioni non constano di elementi visivi che fanno le veci10 dei loro corrispondenti nel mondo;
8 L'immagine è al contempo parte dell'insieme dei fatti e rappresentante di tale insieme; e le relazioni rappresentative
e configurative – in sostanza: la forma logica – sono esclusivamente nell'immagine, non nel mondo né tantomeno
nelle menti. Cfr. FABBRICHESI LEO 2000, p. 20.
9 Cfr. SLUGA 2012, p. 45.
10 È interessante notare come Wittgenstein tenga ben separate le relazioni elemento-elemento delle immagini dalle
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di questo si occupano dei nomi convenzionali. Scrive Wittgenstein: «il segno, mediante il quale
proposizionale nella sua relazione di proiezione al mondo» (TLP 3.12). Ciascun segno
proposizionale è, poi, composto da nomi, i quali sono «rappresentanti, nella proposizione, degli
chiama forma di raffigurazione, le proposizioni, che di questo insieme vantano solo la forma logica,
riusciranno lo stesso a toccare il mondo? La risposta a questa domanda è, come sottolinea Marconi,
che la forma logica è la forma della realtà 11 e dunque sì, il contatto è assicurato. La forma logica va
quindi pensata – con un paragone un po' improprio ma espressivo – come l'anima di ferro delle
mura in cemento armato che rappresentano i fatti del mondo per come ci appaiono: vi sta dentro.
Ma sta dentro anche alle proposizioni; ed è in virtù di ciò, di questa relazione interna, che queste
funzionano allo stesso modo in cui funzionano le immagini e sono ad esse isomorfe. Le immagini
sono, a loro volta, isomorfe alla realtà: è di conseguenza assicurato l'isomorfismo anche tra
proposizione e realtà12.
Finora abbiamo visto le caratteristiche della nozione tractariana di immagine e come queste
possano essere applicate anche alla nozione di proposizione; adesso ci occuperemo di capire più in
La relazione di raffigurazione che lega il linguaggio e il mondo non va pensata come una relazione
relazioni immagine-fatto anche sul piano semantico: come riporta Frascolla, Wittgenstein si serve dei termini
vertreten e Vertretung, che Frascolla traduce con le espressioni “fare le veci” e “essere il rappresentante di” per le
relazioni elemento-elemento; mentre per le relazioni immagine-fatto utilizza i termini dastellen e Darstellung, che
Frascolla, seguendo A. G. Conte, rende con “ rappresentare” e “rappresentazione”. Cfr FRASCOLLA 2000, pp. 49-
50.
11 Cfr. MARCONI 2017, p. 22.
12 Cfr. DIONIGI 2001, p. 73.
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di semplice rappresentazione, poiché questa non si limita a fare un calco della realtà e riproporlo
nell'immagine o nella proposizione ma, al mondo, imprime anche una forma. Potremmo dire che
“estrazione” ed “immissione” della forma avvengono in uno stesso tempo, in un'unica azione: sono
la stessa cosa. Abbiamo già detto che tra immagine e realtà c'è un «processo raffigurativo e
sostitutivo»13, adesso aggiungiamo che tale processo è possibile grazie a quel qualcosa che
accomuna immagine e realtà: la forma logica. La proposizione 2.2 del Tractatus è lapidaria:
«l'immagine ha in comune con il raffigurato la forma logica della raffigurazione», e così quindi
«mondo e immagine del mondo sono perfettamente equivalenti, perché la forma di rappresentazione
e al mondo? Cosa comporta questo movimento a doppio senso? Per afferrare saldamente l'idea di
questo andirivieni della forma logica dobbiamo pensare a questa come al punto medio di un
segmento i cui estremi sono – per semplificare – linguaggio e mondo: quella si trova nel mezzo tra
questi e ogni movimento di passaggio tra i due estremi passa necessariamente attraverso il punto
medio. Ma quel che è più importante è che questo punto medio in qualche modo si proietta sia
sull'uno che sull'altro estremo: la forma logica imprime il suo stampo sia al linguaggio che al
mondo, nel contempo in cui ne fornisce una rappresentazione. I secondi si riflettono l'uno nell'altro,
vicendevolmente, solo attraverso e in virtù della prima – sono l'uno modello dell'altro, come
scriveva Hertz15.
Il segmento del nostro esempio va pensato, però, come un continuum ad un primo tempo
indistinto dove linguaggio e mondo non sono differenziati; questo garbuglio necessita d'esser
strutturato e a ciò concorre la forma logica. Nel momento stesso in cui questa imprime una forma al
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continuum di linguaggio e mondo ecco che questi due diventano immediatamente riconoscibili: nel
momento in cui s'imprime la matrice al materiale indistinto della realtà, è lì che anche diviene
Da quanto detto fin qui viene fuori il quadro ontologico ed epistemologico del Tractatus.
Del primo possiamo dire che: l'immagine è – lo ripetiamo – un fatto costituito da elementi stanti per
oggetti del mondo in determinate relazioni reciproche; queste relazioni costituiscono di volta in
volta quella che è la forma logica dell'immagine, che è la stessa della realtà: forma logica e forma
della realtà sono il medesimo. Ma le immagini raffigurano situazioni possibili che, a seconda della
loro sussistenza o non sussistenza, verificano o falsificano l'immagine. Dobbiamo quindi pensare il
mondo come l'insieme delle immagini vere. Quindi «il mondo è tutto ciò che accade» (TLP 1), è «la
totalità dei fatti, non delle cose» (TLP 1.1), intendendo appunto con fatto «il sussistere di stati di
cose» (TLP 2) e con stato di cose «un nesso d'oggetti (entità, cose)» (TLP 2.01). Per Wittgenstein
non si può parlare del mondo nei semplici termini di una lista di oggetti: una tale lista può
sicuramente dirci che oggetti potrebbero esserci nel mondo ma non può dirci altro, non può dirci
quali di questi ci siano effettivamente né quali siano le relazioni che legano gli uni agli altri questi
oggetti16. Il mondo in quanto tale è afferrato nella sua essenza – espressione che avrebbe dato non
poco prurito a Wittgenstein – solo quando si parla di fatti, quindi, solo quando si guarda alle
relazioni tra cose; la nozione di fatto, come sottolinea Sluga, è primaria rispetto a quella di
oggetto17.
posizioni di Kant: già nei Quaderni appuntava che «solo ciò che noi stessi costruiamo possiamo
prevedere» (Q 15.4.16). Possiamo propriamente conoscere solo ciò che ci appare nei confini della
logica; il resto è ineffabile ed «esso mostra sé» (TLP 6.522). Su tutto questo, forma logica inclusa
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perché «la sua propria forma di raffigurazione l'immagine non può raffigurarla; essa la esibisce»
(TLP 2.172), non può che incombere quel profondo, mistico silenzio a cui la proposizione 7 del
Così come abbiamo aperto queste poche pagine le lasciamo chiudere alle parole di
Wittgenstein che, con una chiarezza disarmante, esprimono in due proposizioni consecutive come
La proposizione può rappresentare la realtà tutta, ma non può rappresentare ciò che, con la
realtà, essa deve avere in comune per poterla rappresentare – la forma logica.
Per poter rappresentare la forma logica, noi dovremmo poter situare noi stessi con la
proposizione fuori della logica, ossia fuori del mondo.
TLP 4.12
TLP 4.121
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Conclusione
Abbiamo affrontato il Tractatus logico-philosophicus per capire come Wittgenstein abbia impostato
il problema e la sua soluzione del rapporto tra linguaggio e realtà. Ci siamo soffermati su alcune
nozioni fondamentali per il nostro lavoro: (1) quella di immagine, che abbiamo visto proporsi come
un modello della realtà che per sua propria natura è parte della realtà stessa ma al contempo ne
assurge a rappresentazione; (2) quella di forma logica, vera pietra angolare che tiene insieme mondo
e linguaggio, che appartiene tanto alle immagini quanto alle proposizioni quanto alla realtà stessa;
(3) quella di proposizione, ossia la manifestazione sensibile dei pensieri – intesi questi come pura
Siamo poi passati a vedere più in dettaglio il modo in cui la forma logica sia ciò che mette in
connessione pensiero, linguaggio e realtà e come Wittgenstein ne faccia il perno della sua teoria del
linguaggio; teoria che si presenta raffigurativa nei suoi tratti generali e superficiali ma che, ad uno
sguardo più attento, si rivela assolutamente distante dall'asserire una mera e semplicistica
una teoria proiettiva e a tratti trascendentale, secondo la quale la forma logica s'imprime e al
linguaggio e alla realtà creando così quell'indissolubile legame che li tiene uniti e corrisposti e che
al contempo ne permette il reciproco conformarsi in quel quadro che il Tractatus mostra nelle sue
primissime proposizioni.
Per questioni di spazio non ci siamo potuti soffermare sui punti deboli della teoria di
Wittgenstein, a partire dal suo background concettuale che guarda al linguaggio come ad un unico
grande sistema; prospettiva che lascia fuori non pochi aspetti del linguaggio stesso. Di questo lo
stesso Wittgenstein si accorgerà qualche tempo dopo la pubblicazione del Tractatus e arriverà poi
ad invertire la rotta con le Ricerche Filosofiche, in cui il linguaggio si frammenta in una miriade di
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teoria raffigurativa della proposizione e la nozione di gioco linguistico per ricostruire il radicale
Lasciamo ad un altro spazio questo genere di riflessioni e, per rientrare nella cornice del
Tractatus, ci limitiamo a concludere sottolineando come qui ci appaia una realtà pregna di logica
alla quale, tuttavia, qualcosa continua a sfuggire. Quel qualcosa non può essere afferrato dal
linguaggio, lo si può solo osservare, tacendo nella consapevolezza dei nostri limiti, come la
montagna e il cielo di Tebe prima della morte del suo re, cristallizzati in un «silenzio irreale e
cosmico»18.
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BIBLIOGRAFIA
1. Fonti
2. Studi
DIONIGI, Roberto,
FRASCOLLA, Pasquale,
MONK, Ray,
pensiero, 2008.
PERISSINOTTO, Luigi,
1985.
14
2010 Un filosofo senza trampoli, a cura di Luigi Perissinotto, Milano-Udine: Mimesis
Edizioni, 2010.
SLUGA, Hans,
3. Strumentario
LYCAN, William,
15