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Introduzione La comunicazione solleva domande e stimola riflessioni.

Saper comunicare
significa essere capaci di entrare in sintonia con i contesti e con gli attori che abitano quei contesti.
I processi comunicativi che costituiscono il sistema collettivo di un organismo sempre più articolato
che necessita di forme di fluidificazione nelle relazioni fra una molteplicità di soggetti portatori di
interessi e punti di vista. Tutto questo è dovuto dai forti processi di differenziazione, dalla crescita
dei livelli di scolarizzazione, dall’aumento del consumo dei media, dal continuo confronto con altre
esperienze e realtà che spingono gli individui ad aver maggiore consapevolezza dei diritti di
cittadinanza, a far maturare nuovi bisogni e attivare aspettative crescenti e pertanto vi sono il
bisogno e l’esigenza da parte delle persone di processi comunicativi consapevoli e responsabili
per favorire la fluidità dei processi relazionali, permettere agli individui di connettersi alla società, di
tessere legami sociali non più dettati soltanto dalla tradizione e dall’appartenenza, bensì
dall’elettiva gestione delle proprie interazioni e relazioni sociali. Il valore della comunicazione si
situa nella sua capacità di generare, attivare e fluidificare i sistemi di interazione sociale e le
diverse identità individuali e collettive che ne costituiscono i nodi relazionali dinamici.
La comunicazione pubblica, la cui apertura è cresciuta tanto rapidamente dalla seconda metà degli
anni duemila, è chiamata a lavorare su quanto condivisibile, a far leva su ciò che accomuna, a
tenere insieme, alimentare e diffondere la cultura della cittadinanza, ad accrescere il capitale
sociale, coniugando trasparenza e visibilità crescenti e consapevolezza/responsabilità per
rispondere alle richieste di quel cittadino monitorante che pretende di essere informato da soggetti
pubblici in grado di rendere conto continuativamente del proprio operato. Da tali considerazioni
trae spunto l’avvio di un lungo percorso di ricerca, condotto dal 2014 nei Comuni della Toscana,
finalizzato a rilevare in che modo la comunicazione pubblica stia cambiando e si stia ridefinendo,
per rispondere alle peculiari forme della relazionalità sociale poste all’avvento dell’ecosistema
digitale, per riflettere sui conseguenti aggiornamenti delle forme organizzative e delle
professionalità necessarie. Di questo lungo e articolato programma di ricerca rende conto la
seconda parte del volume intitolata Percorsi di ricerca, percorsi che si inscrivono nel più ampio
scenario dei cambiamenti avvenuti negli ultimi vent’anni nelle pubbliche amministrazioni e in
particolari nelle municipalità italiane. Cambiamenti che hanno riguardato gli aspetti comunicativi e
relazionali delle amministrazioni locali, tra personale e classe dirigente, istituzioni pubbliche e
private e territori. Le trasformazioni digitali evidenziano la necessità di ripensare tali distinzioni e
classificazioni e soprattutto riflettere sui bisogni emergenti in termini organizzativi e professionali, di
compiti e competenze.
Percorsi in comune > da un lato, il significato stesso del termine comunicazione allude all’agire
insieme ad altri in un contesto, condividere e mettere in comune gli obiettivi e alle finalità della
comunicazione pubblica. Dall’altro sottende il percorso che deve accompagnare lo sviluppo della
comunicazione pubblica, delle sue finalità e dei suoi valori.

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1.1 FARE ESPERIENZA La richiesta di sempre nuove informazioni risponde all’esigenza di
agire in un contesto in cui si riesca a controllare il maggior numero d’informazioni che rendano
riflessivo tale agire. La comunicazione risponde a una sempre più pressante domanda sociale,
determinata dai processi di trasformazione che hanno investito la società: processi di
diversificazione, eterogeneizzazione e individualizzazione, specializzazione e frammentazione che
esigono peculiari forme e modalità di rappresentazione di quel sempre più complicato insieme di
fatti, azioni, valori e convinzioni che chiamiamo mondo. Si moltiplicano e interdipendenze tra i
soggetti, aumentano le situazioni e i rapporti sociali, la gestione di questa ricchezza esperienziale
e cognitiva è la condizione esistenziale del nostro tempo, caratterizzata da incertezze e
ambivalenze e da un conseguente bisogno di conoscenze e informazioni. Conoscenza e
informazioni diventano risorse primarie per l’individuo contemporaneo. In definitiva, il principale
motivo della centralità comunicativa è la sempre maggiore differenziazione sociale del mondo
contemporaneo produce un costante processo di individualizzazione che parte dai primi anni di
vita e che di fatto non si conclude mai, producendo ciò che viene definita “socializzazione
continua”. In ciascuno degli ambienti in cui il bambino cresce, egli impara a comportarsi come si
deve, acquisisce le regole per stare al proprio posto. Il processo d’adeguamento al ruolo
caratterizza la nostra esistenza, talvolta anche inconsapevolmente e inconsciamente, per
consentire di definire al meglio le situazioni sociali in cui si trova e in cui è chiamato ad agire.
L’esperienza individuale è arricchita dal maggior numero di relazioni sociali da gestire nella propria
vita quotidiana che obbliga a moltiplicare i ruoli sociali interpretati. Il processo di socializzazione
viene a definirsi, pertanto, attraverso una ricomposizione delle norme e dei valori acquisiti nei
diversi ambiti sociali e di agenzie di socializzazione. La socializzazione diventa un punto di
incontro o di compromesso tra i bisogni e i desideri dell’individuo e i valori diversi gruppi con i quali
entra in relazione. Ovviamente quanto più si ampliano gli orizzonti esperienziali di un individuo
tanto più si ridefiniscono i sistemi di attese perché si compongono in modo del tutto originale i
valori, le norme, gli atteggiamenti assorbiti nei diversi ambienti frequentati, permettendo la
incorporazione delle disposizioni sociali prodotte dall’insieme dei sistemi di azione attraversati
dall’individuo nel corso della sua esistenza. Ogni individuo si appropria del proprio vissuto e lo
sintetizza.
Per Jedlowski, l’esperienza moderna è qualcosa che si costruisce incessantemente, il processo di
socializzazione è un continuo fluire. Non vi può essere cultura soggettiva senza cultura oggettiva in
quanto lo sviluppo o la condizione di un individuo “colto” è la cultura nel senso della appropriazione
da parte di questi degli oggetti di cultura che incontra. Tuttavia, la progressiva accumulazione del
sapere crea un sapere collettivo e oggettivato così vasto da non essere compiutamente
appropriabile da nessuno. Questa crescente polarizzazione produce un conseguente senso
d’inadeguatezza degli individui. L’esperienza diviene un attraversamento biografico per la
realizzazione del sé. La selezione fra le tante opportunità a disposizione diventa la caratteristica
precipua della modernità, la sua distinzione rispetto all’ineluttabilità della tradizione ed è questo il
processo di individualizzazione che scaturisce dalla differenziazione sociale. Ampiezza e
superficialità diventano due caratteristiche proprie dell’esperienza che sviluppano l’ambivalenza
intrinseca alla modernità e alla peculiarità della produzione simbolica con cui ciascuno di noi deve
fare i conti quotidianamente. Esse portano a ciò che Jedlowski definisce l’esperienza
dell’eccedenza, prodotta da un infinito simultaneo che ripropone l’ambivalenza fra senso di
ricchezza e di inadeguatezza e impone a ciascun individuo una capacità di gestione di tale
eccedenza attraverso una capacità di gestione di tale eccedenza attraverso l’individuazione di

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adeguate modalità di messa in forma delle informazioni acquisite per farle diventare utili e
spendibili nella relazione con gli altri oltre che alla definizione del nostro sé.
Il processo di socializzazione diventa una costante dell’esistenza individuale in cui la diversità
dell’esperienza e la diversità delle esperienze si confrontano costantemente affinché il fluire della
vita diventi appropriazione da parte dell’individuo.
L’esperienza è fondamentale per avere un orientamento nella propria vita. in tal senso, va intesa
anche come apertura al mondo. Se si è in grado di imparare delle esperienze fatte, si è capaci di
aprirsi a nuove esperienze e di coglierne il senso. Dunque, l’esperienza ha carattere processuale.
Ogni esperienza è mediata del soggetto a una comunità. Ogni esperienza è fondamentale per
definire l’agire individuale, possibile soltanto nella misura in cui tale azione sia immaginabile.
L’immaginazione consiste nella possibilità di mescolare nella propria mente le tante informazioni
che ci arrivano dalla varietà di mondi sociali frequentati e dalla capacità di usare tali informazioni
per rappresentarci nel contesto in cui siamo chiamati ad agire. Hannerz chiama il network delle
prospettive culturali di un individuo, una struttura biografica che riflette l’intero repertorio di ruoli
sociali dell’individuo, incidendo sulle sue azioni sociali e sul senso che a esse attribuisce.
L’ampliamento dell’immaginazione individuale favorisce la possibilità di un uso più originale delle
informazioni ricevute, come afferma Appadurai, l’immaginazione è una palestra per l’azione. Molto
spesso i rapporti fra i sessi sono stati regolati da carenze immaginative. Talvolta l’inibizione
all’azione permane anche quando vincoli e barriere sono rimosse: si pensi al persistente impaccio
e tendenza alla revoca da parte dei più anziani come per esempio l’abitudine a viaggiare. Il
concetto di immaginazione, sviluppato da Appadurai, ci riporta alla sottolineatura di Alfred Schutz
che sostiene come il senso dell’agire sia l’azione progettata che lo precede. Una progettazione che
si basa sulle oggettivazioni che costituiscono lo sfondo comune di riferimento all’interno del quale
l’individuo può agire, appunto sul suo capitale immaginativo, perimetrato dalle prospettive culturali
assunte e pertanto utili al soggetto come orientamento e direzione. Ma quando dalla progettazione
immaginata si passa all’azione vera e propria si realizza comunque uno scarto, una piccola presa
di distanza dal senso oggettivato, dal senso messo in comune che produce nuovo senso. È in
questo continuo aderire e distanziarsi, si forma la processualità della realtà sociale. La costruzione
del sé si basa su un progetto simbolico che l’individuo costruisce attivamente sulla base dei
materiali simbolici a sua disposizione, materiali che l’individuo ordina in un racconto coerente a
proposito di chi egli sia che la maggioranza delle persone modificherà nel tempo, utilizzando nuovi
materiali simbolici, vivendo nuove esperienze e ridefinendo la propria identità nel corso del
percorso esistenziale.
1.2 METTERE IN COMUNE LE ESPERIENZE Per gli individui il lavoro fra progettazione
dell’azione e sua messa in pratica richiede sempre maggiore riflessività. Si produce una vera e
propria intellettualizzazione delle pratiche sociali, intesa come continuo ragionamento intorno a ciò
che possiamo e ciò che vogliamo fare, in cui diventa fondamentale la capacità che abbiamo
d’includere l’altro nelle nostre riflessioni.
Il primo passaggio è cogliere che l’alter ragiona come noi stessi ma nel senso che è chiamato allo
stesso lavoro immaginativo e interpretativo. La consapevolezza di una stessa procedura fa
comprendere come anche il descritto scarto fra ciò che progetto ed elimino lo si ritrova anche in
alter, per cui diventa difficile intendersi totalmente. L’estraneità dell’altro è sempre più evidente
quanto più lo inseriamo nel nostro orizzonte di vita e ne teniamo conto della costruzione riflessiva
dei nostri progetti d’azione. Un paradosso soltanto apparente che ci richiama due concetti
fondamentali quali INTERDIPENDENZA e TRADUZIONE.
L’interdipendenza è data dalla tensione continua che si produce nella modernità fra volontà di
sottolineare la propria individualità, di liberarsi dal gioco oppressivo delle costrizioni imposte da
forme culturali che appaiono incombenti e costrittive ma al contempo la necessità di non sentirsi
troppo disancorati da quanto fanno e pensano gli altri. Cosa si intende? Si intende che la ricchezza
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di riferimenti culturali che si compongono nella nostra immaginazione ha la varietà prodotta da un
repertorio di comparazioni maggiori dovuti dalle frequentazioni di più ambienti culturali e dalla
consapevolezza di come ogni pratica sociale possa essere messa in atto in tante diverse forme
anche se si vogliono proseguire i propri scopi. Tuttavia, proprio questa varietà richiede la capacità
di condividere con gli altri le stesse rappresentazioni collettive oppure le stesse rappresentazioni
sociali, al fine di rafforzare l’insieme di valori condivisi e credenze che poi conducono ad analoghi
atteggiamenti e ad una oggettivazione che vincoli il nostro agire attraverso la solidificazione di
stereotipi che ci permettono di agire come al solito.
Le rappresentazioni sociali servono a rendere comprensibile e familiare ciò che familiare e
comprensibile non è, attraverso un vero e proprio lavoro di traduzione che Moscovici chiama
ancoraggio ovvero legare quanto ancora ci sembra distante qualcosa che conosciamo bene e fa
parte del nostro panorama culturale quotidiano. Il punto di vista che si forma è efficace solo se si
riesce a fare il lavoro di accostamento che viene compiuto insieme agli altri e la cui efficacia
dipende dalla fiducia e dalla sintonia che creiamo con il gruppo sociale di riferimento attraverso il
quale compiamo il processo di definizione della rappresentazione. Se c’è affiatamento il processo
attraverso il quale abbiamo sviluppato la rappresentazione sociale progressivamente scompare. La
rappresentazione si oggettivizza intorno a un nucleo centrale che permette all’individuo di pensare
insieme ai gruppi sociali di riferimento e gli consente di dare un significato preciso ai fatti, eventi…
che costituiscono il corredo della sua esperienza quotidiana. La rappresentazione diventa un
prodotto grazie al quale si ricostruisce il reale attribuendogli un significato.
La descritta moltiplicazione degli ambienti sociali frequentati sviluppo l’aspetto riflessivo di questo
percorso, sviluppando talvolta un nuovo processo costitutivo verso una nuova rappresentazione
sociale che modificherà progressivamente il senso comune. Il senso comune, pertanto, è dinamico
e appare sempre meno coeso e coerente. Un dinamismo che si regge sulla riflessività che da
soggettiva diventa collettiva. Emerge la natura relazionale della riflessività che fa parlare di un
circolo della rappresentazione in cui la riflessività si sviluppa proprio in un articolato, complesso e
incessante andirivieni fra individuo e società. Si sviluppano flussi riflessivi intensi e variegati che
però devono condensarsi in rappresentazioni stabili per sottolineare un’intenzionalità collettiva, fino
a permettere che l’individuo ritenga naturale comportarsi in un determinato modo. La metafora
baumiana sulla modernità liquida rimarca questo incessante dinamismo, frutto della tensione
descritta e causato non da una superficialità dei comportamenti basato sulle smanie del consumo
quanto da un pluralismo valoriale conseguente all’ampliamento delle comparazioni possibili e
quindi delle prospettive attivabili. La liquidità si riaddensa in forme nuove in cui anomia, disordine e
frammentazione costituiscono la norma e non l’eccezione.
1.3. LA CITTADINANZA DELL’IO PLURALE Attraverso i processi descritti si compone un io
plurale che si riflette sulla dimensione pubblica e politica dell’individuo, ridefinendo il concetto di
cittadinanza, il cui carattere multidimensionale si riverbera sulle modalità di partecipazione alla vita
pubblica e anche sui modi attraverso cui si ridefiniscono le forme della rappresentanza.
L’articolazione degli interessi che entrano nella vita quotidiana di ciascuno di noi pone come
ineludibile conseguenza un’estensione degli attributi che definiscono la cittadinanza intesa come
“una forma di uguaglianza umana fondamentale connessa con il concetto di piena appartenenza a
una comunicazione” (Marshall). La multidimensionalità è alla base di un rinnovato interesse degli
studi sulla cittadinanza. Alle riflessioni sugli aspetti formali e istituzionali della cittadinanza si sono
affiancati quelli di natura culturalista e relazionale, dimensioni attraverso le quali molti autori
cercano di spiegare come la ridefinizione dei contesti di vita dei cittadini influiscono sulle forme
della loro adesione alla vita pubblica in modo sostanzialmente diverso dalla prima modernità.
Nel suo studio sulla cittadinanza Marshall distingue tre diversi elementi caratterizzanti la
cittadinanza delle società democratiche > i diritti civili descritti come quelli necessari alla libertà
individuale (di parola, fede, pensiero…), i diritti politici consistenti nella possibilità di avere accesso
attivo o passivo all’esercizio del potere politico, i diritti sociali intesi come quelli in grado di
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assicurare sicurezza economica e benessere. Questi tre elementi marshalliani non consistono in
requisiti che si hanno o meno ma rappresentano dimensioni che possono espandersi e restringersi
per quantità di diritti acquisiti e qualità degli stessi.
Osservazione di Ceccarini > requisiti formali di Marshall ed elementi di natura culturale e
tecnologica. A sostanziare la cittadinanza culturale c’è in primis una dimensione affettiva che
consiste nella definizione delle appartenenze collettive alle quali ogni cittadino aderisce nella
propria biografia. È quell’attribuzione di cittadinanza espressa attraverso il sentire > sentirsi
italiano, francese…La cittadinanza si declina in modo plurale e soprattutto assume connotati
valoriali.
Il cambiamento e la pluralizzazione di ciò che Appadurai definisce etnoscape favorisce un acceso
e controverso dibattito sulla cittadinanza che mostra sempre più chiaramente il carattere precario
dell’associazione fra cittadinanza e nazionalità mentre sottolinea gli aspetti relazionali della
cittadinanza culturale, costruita nei diversi spazi di vita degli individui che progressivamente si
allargano dalla famiglia al vicinato, agli spazi lavorativi e alle diverse forme di socializzazione e di
consumo del tempo libero fino agli spazi mediali e digitali che producono la virtualità reale, un
apparente ossimoro che sottolinea come la maggior parte delle informazioni le riceviamo da
processi di comunicazione virtuali su base elettronica ma poi quelle stesse informazioni le
elaboriamo, costruendo i nostri significati per spenderle nella nostra quotidianità.
La rilevanza della dimensione culturale include nel concetto di cittadinanza una dimensione
privatistico-espressivo anche grazie all’azione di movimenti sociali che si fanno portatori di nuove
soggettività sociali. L’inserimento nel concetto di cittadinanza dei temi dell’autonomia individuale è
favorito da una concezione relazionale della cittadinanza. Si affacciano sempre più
prepotentemente gli enormi repertori mediali definiti mediascape da cui attingere informazioni utili,
poi condivise e ridiscusse attraverso le proprie reti relazionali che aiutano a trasformare tali
informazioni in significato. Cittadinanza che si costruisce sempre più giorno per giorno.
Dahlgren > parla opportunatamente di achieved citizenship piuttosto che received citizenship
sottolineando il carattere di condizione necessaria per poter agire. Immerso nella società ogni
individuo acquisisce stimoli, pratiche e risorse che definiscono la sua agency ovvero le sue
potenzialità nelle sue azioni sociali che compie definite dall’insieme delle sue esperienze sociali
che contribuiscono nella definizione di status del cittadino, una civic agency che si forma in un
nuovo spazio pubblico nel quale gli individui costituiscono la propria relazionalità. Se la
cittadinanza è una risorsa che si costruisce dinamicamente attraverso le interazioni di ognuno di
noi, diventa interessante partire dalle risorse che ciascuno di noi può mettere in campo, ovvero dal
capitale sociale che si possiede.
1.4. IL CAPITALE SOCIALE Per Bourdieu il capitale sociale è costituito dalla somma delle risorse
materiali o meno che ciascun individuo o gruppo sociale ottiene grazie alla partecipazione a una
rete di relazioni interpersonali basate sui principi di reciprocità e mutuo riconoscimento. Dunque, il
capitale sociale è una risorsa individuale frutto dell’insieme di relazioni che ciascuno gestisce nella
vita quotidiana che dipendono dalla struttura delle relazioni sociali fra due o più persone. Insomma,
le risorse sono possedute relazionalmente, infatti, sono attivabili soltanto nella misura in cui si è in
grado di riconoscere gli altri.
L’ambiguità del concetto è attribuibile al suo carattere intrinsecamente relazionale mentre il
capitale sociale è frutto del lavoro individuale ma poi si concretizza in caratteristiche strutturali e
normative di un determinato sistema sociale, organizzazioni, norme… Dimensione strutturali e
soggettiva si intrecciano e interagiscono. Il capitale sociale presenta una natura di mutua
dipendenza creata dalla sua struttura interattiva che ne evidenzia il carattere di dinamismo e
processualità per questo il capitale sociale si riferisce a un insieme per così dire infinito e non
delimitabile di fenomeni.
Ogni rete presenta un differente grado di significatività per i singoli individui, a seconda della sua
ampiezza e densità, dei contenuti che vi transitano. La forma del capitale sociale è data dalla
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differente consistenza delle interazioni ovvero dal grado di riflessività che l'individuo vi pone a
causa della differente rilevanza attribuita. Come risorsa collettiva, il capitale sociale è stato studiato
per analizzare la solidità della comunità, considerata condizione necessaria affinché si sviluppi la
fiducia necessaria alla cooperazione fra gli individui come ricadute significative sul rendimento
delle istituzioni e sull’efficacia dei processi di sviluppo. Il lavoro di Putnam sull’efficacia dell’azione
amministrativa delle regioni italiane, confermava l’esigenza che forme, intensità e densità delle
relazioni sociali dovessero superare gli ambiti amicali e familiari per scongiurare il familismo
amorale che fa riferimento a una morale e insieme di comportamenti e modi di relazionarsi che
contrappone un “noi” dove vigono legami di sangue strettissimi che portano ad agire col massimo
impegno affinché i membri della famiglia possano ottenere prosperità e benefici a scapito del resto
del mondo, una degenerazione dell’affetto che può sfociare nell’immoralità. Interdice di fatto
l’ampliamento della possibilità di comparare le prospettive culturali e gli orizzonti di aspettative dei
singoli, sganciandoli parzialmente dalle poche reti dei piccoli mondi della vita quotidiana e
aprendoli a confronti più articolati che è fonte di riflessività del soggetto, centrale per
l’individualizzazione delle azioni sociali orientata dalla responsabilità nei confronti degli altri. Dai
vari studi teorici ed empirici del familismo amorale, da una parte troviamo la razionalità di tale
comportamento per i limiti di risorse politiche, economiche o relazionali a disposizione della
maggior parte dei soggetti ritenuti familisti e dall’altra parte l’ineluttabilità di tale processo che ha
reso possibile un uso originale delle risorse a disposizione in direzioni che hanno favorito processi
di modernizzazione politica ed economica. Ciò che ci interessa analizzare è l’involuzione del
capitale sociale che attenuano le forme di solidarietà per il ritrarsi degli individui in una solitudine
che li porta a stemperare ciò che per Putnam è alla base del capitale sociale ovvero possedere
una cultura condivisa. Il punto centrale è l’assunzione di una prospettiva micro che consente di
studiare la produzione culturale messa in circolo dai singoli e la loro condensazione in una risorsa
collettiva che li vincola non eliminando la possibilità di aggiustamenti progressivi grazie a un gioco
combinatorio che diventa nella complessità delle società contemporanee e nella moltiplicazione
degli ambienti frequentati e delle interazioni intrecciate sempre più ricco, rendendo meno efficaci la
costante ripetizione di schemi culturali cristallizzati.
Proprio per questi motivi, il concetto di capitale sociale è stato ripreso per sottolineare le risorse
auto-organizzative della società civile. Si attenua la propensione a perseguire l’interesse generale
e si favorisce la chiusura nella propria dimensione privata e consumistica. La vita individuale è
assorbita in una varietà articolata di modelli di consumo che ridefinisce le strategie d’azione
individuali, distraendo l’attenzione dalla partecipazione politica. È in questo contesto che i politologi
teorizzano il voto d’appartenenza che va al di là del momento elettorale vero e proprio ma diventa
una componente identitaria significativa che informa atteggiamenti e comportamenti con una
solidità normativa che facilità l’adesione al contesto territoriale dove si vive. Tuttavia, negli anni al
voto d’appartenenza si affianca il voto d’opinione in cui si attenua il carattere di fedeltà ed emerge
l’esigenza per la classe politica di vedersi rinnovare la fiducia di volta in volta. Il cittadino ritiene di
dover e poter scegliere il proprio comportamento elettorale ma gli atteggiamenti del proprio agire
sulla base del descritto ampliamento del panorama socio-culturale che fruisce grazie alla
frequentazione di un maggior numero di ambienti sociali e dall’affermazione progressiva delle
rappresentazioni mediali della realtà a cui ha sempre più facilmente accesso per l’affermazione dei
media elettronici > una mediatizzazione dell’esperienza definitivamente esplosa con la pervasività
dei media digitali. Emerge la consapevolezza di come i media non siano soltanto dei canali efficaci
potenti e pervasivi ma nuovi ambienti sociali con proprie peculiari prerogative tecniche e incidenti
sul modo in cui le relazioni sociali si definiscono e ridefiniscono. Si parla di una mobilitazione
cognitiva basata sulla progressiva acquisizione di prospettive culturali caratterizzate da una
centralità sempre maggiore di quelli che Inglehart chiama valori postmaterialisti, fortemente
incidenti nella definizione di nuove forme di soggettività. Tali evoluzioni si riflettono anche nei
rapporti con le istituzioni e gli enti pubblici verso i quali i cittadini sviluppano un maggior numero di

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richieste e soprattutto mostrano di diventare sempre più esigenti quanto più appaiono consapevoli
del proprio ruolo nello spazio pubblico.
1.5 NUOVE FORME DI PARTECIPAZIONE A lungo si è sostenuto che la progressiva espansione
delle democrazie spingendo i cittadini a cercare gratificazioni e a volgere il proprio sguardo verso
altri interessi. Tuttavia, negli ultimi anni, anche a causa dei processi di globalizzazione che hanno
allargato lo sguardo sul mondo e lo hanno reso più interconnesso, è iniziata a montare la
preoccupazione su come la democrazia possa non essere una forma irreversibile di governo e di
conciliazione degli interessi collettivi. Il rapporto del 2018 Freedom in the World sottolinea come il
2016 sia stato il decimo anno consecutivo di declino della libertà globale con un lentissimo ma
progressivo assottigliamento di quelli che il rapporto qualifica come free countries. La minore
partecipazione dei cittadini si spiegherebbe con due motivazioni: da un lato la persistente certezza
sulla complessiva tenuta dei sistemi democratici che rende meno urgente l’impegno per la difesa di
libertà fondamentali, non messe in pericolo dall’affermazione di una specifica parte politica
sull’altra, dall’altro lato invece una più composita mobilitazione cognitiva che allarga le possibili
forme di partecipazione e soprattutto allontana da una concezione della partecipazione legata ai
partiti politici. La mobilitazione cognitiva coglie la progressiva diversificazione delle richieste dei
cittadini, resi più esigenti da una più ricca e articolata esperienza sociale che produce significative
differenze negli stili di vita e nella definizione delle proprie prospettive culturali, basati sui valori
postmaterialisti di più difficile traduzione in domanda politica. I media assumono un ruolo sempre
maggiore nel modellare forme e caratteri di tale mobilitazione cognitiva. Le forme della
partecipazione diventano tanto più fluide quanto plurime e variegate. Con gli anni la partecipazione
si manifesta in modi molto differenziati che non necessariamente prevedono il coinvolgimento nei e
dei partiti politici. Le conseguenze di queste trasformazioni sono diversamente analizzate e
classificate in due grandi famiglie: da una parte c’è chi ritiene che le distrazioni prodotte
dall’articolazione delle esperienze individuali favorisca la caduta dell’uomo pubblico, rinchiudendo
l’individuo all’interno di un privatismo progressivamente anomico che attenua la fiducia nelle
istituzioni e l’interesse per le stesse. Dall’altra parte, diversi autori sostengono come le peculiari
esigenze dei cittadini si sostanzino in nuove forme d’impegno e partecipazione, meno tradizionali
ma positivi per l’arricchimento della vita pubblica. Le tipologie di partecipazione costruite dagli
studiosi sono efficacemente sintetizzate da Facello e Quaranta nelle espressioni di partecipazione
invisibile e individuale che sottolineano come per esprimere i propri interessi e posizioni non sia
necessario aderire a forme collettive di protesta e proposta proprio perché la partecipazione
s’insinua nelle pieghe di tante attività che apparentemente distinte e distanti da quelle solitamente
conteggiate nella partecipazione convenzionale (ad es. il rispetto per l’ambiente). Tuttavia, si può
constatare come l’articolazione delle possibilità di partecipazione produca un effetto
apparentemente contradditorio: all’incremento dell’interesse per la vita democratica anche se
variamente modulato nei cittadini corrisponde a una crescente insoddisfazione e disillusione
sull’efficacia delle risorse politiche formulate che induce la sfiducia. Rosanvallon definisce
democrazia dell’espressione la possibilità da parte di tanti di prendere la parola che può condurre
alla democrazia del coinvolgimento inteso come l’attiva individuazione di nuove pratiche
d’intervento. Il punto centrale è riuscire a trasformare l’espressione in coinvolgimento. In altri
termini, passare dall’osservazione scettica e disincantata all’azione. Nell’analisi di Rosanvallon c’è
il riconoscimento di un ruolo attivo del cittadino nel sorvegliare e giudicare il potere
istituzionalizzato. La sfiducia, dunque, assume una dimensione ambivalente: può essere
costruttiva se funziona come azione di stimolo ma anche degenerare in progressiva diffidenza e
allontanamento dai luoghi e dalle forme di decisione. Nel primo caso l’espressività si traduce in
azione e coinvolgimento, altrimenti declina in presa di distanza e progressivo isterilimento della
protesta. Diventano quindi fondamentali le condizioni dell’espressione, l’effettiva possibilità che tr
le espressività diventi voce, ciò che Rosanvallon chiama sfiducia positiva.
La moltiplicazione dei panorami sociali sfrangia le identità e richiede una legittimazione continua,
fondata sulla prova in cui la richiesta di trasparenza va considerata come processo a cui tendere,
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al fine di permettere alla fiducia di essere una risorsa da costruire attraverso le tante pratiche di
visibilità, sempre più richieste dai cittadini e apparentemente facilitate dalla crescente centralità dei
media. La fiducia richiede una perseverante manutenzione per garantire il perseguimento del bene
comune. I cittadini sviluppano forme di controllo per mettere alla prova la reputazione del potere. Il
punto centrale è se questa dimensione della vigilanza possa favorire l’abbandono della prospettiva
di un grande avvenire, immaginandosi invece con la modalità di una voce morale inflessibilmente
preposta a stigmatizzare i potenti o a risvegliare i dormienti. In questo modo, il contenimento del
potere, piuttosto che la sua conquista, diventando un obiettivo in sé, potrebbe provocare una
paralisi del campo politico. Da tali considerazioni discende l’esortazione a superare la
frammentazione e ricostruire la visione di un mondo comune. Sentimento d’impotenza e crisi di
senso, infatti, possono essere superate soltanto da nuove forme partecipative e deliberative della
democrazia, che ci riportano alle questioni poste dalle più recenti riflessioni in merito alle forme
d’innovazione democratica. Si ritrova una tensione irriducibile fra la legittimazione formale,
necessaria alle istituzioni di potere per agire con efficacia e le perduranti, incessanti verifiche e
conferme richieste dalla fiducia che notoriamente si concede fino a prova contraria, produce quelle
pratiche di visibilità imposte alla politica e spesso declinate nelle difficili promesse di trasparenza,
oppure di continua interpellanza del cittadino attraverso la democrazia diretta. C’è la crescente
consapevolezza di come la comunicazione debba sempre più rispondere a esigenze di
accountability piuttosto che a quelle di convincere attraverso efficaci politiche seduttive.
Nella sua articolata ricostruzione della storia dell’opinione pubblica americana, Schudson teorizza
il cittadino monitorante come quello che esprime meglio l’attuale impegno politico dell’elettore
medio. Uno dei punti di maggiore interesse del ragionamento di Schudson è il modo in cui coniuga
l’arricchimento della vita privata in un maggior numero di persone, conseguenza della più volte
ricordata articolazione della vita quotidiana in ambiti sociali diversificati dove si ricoprono un
maggior numero di ruoli sociali, con un’analoga predisposizione alla vita pubblica ma in modi e
forme differenti del passato. Si amplia la possibilità di richiedere giustizia e far valere i propri diritti
civili. In questo modo si politicizzano e si democratizzano relazioni della vita non appartenenti alla
politica. Seguendo questa prospettiva, il lamentato decino di tante forme di solidarietà organizzata
come il fervore della vita associativa, è attribuibile all’ascesa della libertà individuale e alla
conseguente attenzione per la salvaguardia dei diritti individuali. Schudson è consapevole di come
queste evoluzioni conducano a una progressiva diminuzione del ruolo dei partiti e a una
contemporanea crescita di quello dei media con la loro tendenza a personalizzare la politica e a
enfatizzare il conflitto. Tuttavia, ritiene che tali trasformazioni favoriscano una democrazia di massa
in cui i singoli progressivamente si familiarizzano con i diritti individuali, quelli con cui nascono e
combattono le nuove soggettività sociali incarnate nei movimenti degli anni Sessanta, che non
indeboliscono le appartenenze alle comunità ma ne ridefiniscono le forme. Attraverso questa tesi si
sottolinea come la sensibilità per i propri diritti in tante sfere della vita associativa abbia di fatto
accresciuta l’attività politica dei singoli, svolta in tanti differenti luoghi. La labilità dei confini fra
pubblico e privato oppure, come afferma Giddens, la trasformazione dell’intimità hanno
politicizzato la sfera personale producendo ciò che Beck definisce surpolitica e qualificandosi come
politica basata sugli stili di vita. Ne consegue che la progressiva sfiducia nei confronti dei politici sia
da attribuire all’efficacia riconosciuta a nuove modalità di svolgimento dell’attività politica che
faticano a individuare, a forme capaci di inglobare questi sconfinamenti della dimensione politica e
soprattutto di coinvolgere le tante soggettività che propongono specifici diritti di cittadinanza ma in
modo innovativo. Per Schudson la qualità di questa nuova forma di cittadinanza basata
principalmente sull’individualizzazione richiede la consapevolezza da parte di ciascuno dei diritti
altrui; quindi, una sensibilità all’interdipendenza fra le proprie azioni e quelle di coloro con cui si
entra in relazione. Si richiederebbe al cittadino una competenza che dovrebbe passare attraverso
una conoscenza onnicomprensiva. Pertanto, prende il posto di cittadino monitorante, il cittadino
ben informato, cittadino che è forse meglio informato dei cittadini del passato ma non possiamo
dire con certezza che sappia cosa fare con il proprio bagaglio di conoscenze. Siamo al cittadino

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critico che Pippa Norris declina in diverse forme e vari livelli la sua adesione alla comunità di
riferimento. Anche per lei l’insoddisfazione evidenzia interesse ed esprime una valutazione
conseguente alla rilevanza attribuita piuttosto che apatia e disinteresse. Vigilanza, controllo,
monitoraggio e valutazione sono tutte dimensioni che attenuano la deferenza nei confronti delle
autorità e delle istituzioni ma soprattutto rendono il cittadino più esigente e maggiormente esposto
alla delusione. In definitiva, il progressivo carattere multidimensionale della cittadinanza va
misurato cercando d’osservare e comprendere le tante e differenti modalità attraverso cui può
manifestarsi in una società caratterizzata da appartenenze plurime anche se meno solide che
sostanziano un’individualizzazione di massa in cui i luoghi e le forme d’accesso alla manutenzione
del rapporto fra dimensione privata e pubblica nella vita dei cittadini diventino tanti e soprattutto
presentano geometrie continuamente variabili.

2.1 L’ECOSISTEMA DIGITALE COME AMBIENTE CAOTICO La comunicazione digitale ha


ampliato gli ambienti sociali frequentati dai singoli individui, articolando ancor più la diversificazione
dei ruoli sociali che ormai da decenni caratterizza la modernità e definisce il processo
d’individualizzazione. Queste evoluzioni si riflettono sulla rappresentanza della realtà prodotta dei
cittadini con l’ecosistema comunicativo. I cittadini vivono in un ecosistema in cui il flusso
comunicativo alterna continuamente informazioni provenienti direttamente dalle fonti con quelle
mediate dal sistema giornalistico, con altre ancora che arrivano direttamente da amici e followers
che postano sulle loro bacheche social informazioni aggiuntive. Sempre più spesso la mediazione
si svolge attraverso forme ben diverse da quelle consolidate. L’abbassamento delle barriere
d’ingresso determinato dai processi di disintermediazione, come afferma McNair si assiste al
cosiddetto caos culturale che descrive appunto questa progressiva frammentazione e
destrutturazione che può essere rilevata per l’intero mondo della comunicazione. Questo caos è
dovuto al fatto che ognuno di noi riceve continuamente informazioni provenienti dai media
mainstream ma anche da fonti più attrezzate come siti e social per gestire le proprie esigenze
comunicative e da altri componenti in grado di ri-mediare i messaggi ai circuiti dei propri amici e
followers.
L’ecosistema della comunicazione si affolla di voci che possono abitare la sfera pubblica
mediatizzata, potenzialmente democratizzandola grazie alla possibilità di arricchire il discorso
pubblico. Al contempo però si attenua la larghissima condivisione dei princìpi attraverso cui si
seleziona ciò di cui si vuole parlare. Prima la condivisione era facilitata dalla chiara evidenza di
cosa fosse rilevante e di interesse pubblico in quanto la gerarchia dei valori era più definita e
circoscritta e ciò permetteva l’individuazione del concetto di interesse pubblico. Stuart Hall >
definitori primari, élites politiche ed economiche in grado di imporre temi e priorità all’ordine del
giorno erano pochi e ben legittimati dalla centralità sociale loro chiaramente riconosciuta. Il
processo di individuazione di massa ha eroso la nettezza di tali gerarchie. La comunicazione
digitale accentua questo processo attraverso la moltiplicazione del numero degli emittenti e dei
riceventi e si prosciuga il principio dei taciti presupposti che ha permesso al racconto giornalistico
di essere un racconto senza fine, senza dover raccontare un evento partendo ogni volta dall’inizio
e concedendo un ruolo importante nella costruzione delle priorità argomentative da parte
dell’attenzione dell’opinione pubblica. L’offerta comunicativa si frammenta mentre si segmentano i
pubblici.
Assume rilevanza il processo negoziale basato su una fitta trama di rapporti con fonti sempre più
abili nel gestire le logiche comunicative e con un pubblico progressivamente meno disponibile ad
affidarsi completamente a ciò che viene proposto dai media > pluralità informativa > aumento delle
verità e delle incertezze e disintermediazione che trasforma i fruitori in prosumers. Occorre mettere
in ordine nella folla di attori, eventi e fenomeni che già ci sono e che gremiscono, ognuno
pretendendo visibilità e centralità e farlo negoziando e dialogando con tanti nuovi interlocutori,
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secondo le logiche diverse del passato che siano coerenti con il nuovo ambiente comunicativo
definito dalla digitalizzazione.
Acquisisce rilevanza l’elaborazione discorsiva, la talkative society di Dahlgren che produce ciò che
Bakardjieva definisce subactivism ovvero una partecipazione civica fatta di negoziazioni,
contestazioni e accordi intorno a quali siano le regole per ordinare la vita sociale, per stabilire le
prospettive etiche e morali da perseguire che si tradurranno in dimensioni, comportamenti e attività
politici. In questa elaborazione discorsiva l’informazione diventa una risorsa imprescindibile. Si
definisce un ecosistema dove la pratica costante dell’aggiornamento informativo costituisce un
dato ormai acquisito e irrinunciabile. Ma proprio la progressiva naturalizzazione del processo
informativo, inglobato nella quotidianità in maniera spontanea, smorza la consapevolezza della
necessità di ripensare il modo in cui si definiscono le interazioni fra fonti, sistema dei media e
pubblico, ancora incentrate sulla linearità che dalla fonte va al pubblico attraverso la mediazione di
professionisti. Si può adattare all’intero ecosistema comunicativo quanto Singer riassume in 5
parole per descrivere l’evoluzione della comunicazione digitale > immersive (coinvolgente),
interconnesso, individualizzato, iterativo e istantaneo. Siamo immersi nell’informazione e nei
media. È ormai superato pensare a messaggi che si spostano da emittenti a riceventi. La
ricchezza informativa in circolazione determina diete multimediali molto più personalizzate.
Sebbene le forme di consumo si accavallino, ciascuno di noi assembla in modo del tutto
individualizzato l’insieme delle informazioni ricevute. Inoltre, le notizie sono aggiornate in
continuazione da nuove news e l’informazione digitale è cumulabile e si tratta di una forma di
comunicazione iterativa. E tutto diventa istantaneo e immediato.
Il superamento di una visione lineare del processo informativo fa andare in crisi il modello
trasmissivo di comunicazione, basato sulla centralità dell’emittente che verticalmente riempie di
contenuti il ricevente. Paradigma rituale o della condivisione > Carey che sostiene che la
comunicazione è un processo simbolico dove la realtà è prodotta, consolidata, corretta e
trasformata, una concezione che esalta il ruolo della sfera pubblica quale luogo collettivo in cui
società civile e Stato si confrontano, luogo della negoziazione e del confronto identitario.
Seguendo questo paradigma, le notizie vanno sempre più intese non come prodotto ma come
processo, definito da relazioni intense fra enti pubblici, aziende, associazioni… Grande quantità di
informazioni > meno netta la distinzione fra la funzione di fornire informazioni ai cittadini per
renderli partecipi alla vita politica e quella di articolare le conoscenze di un pubblico di consumatori
al fine di intrattenerli.
2.2 I CONFINI PIU’ LABILI TRA INFORMAZIONI E COMUNICAZIONE Una ridefinizione così
consistente delle pratiche si riflette sulle relazioni fra i vari attori sociali della negoziazione e più
generalmente sul modo in cui ognuno di noi si muove in questo nuovo ecosistema comunicativo.
Fino all’avvento della comunicazione digitale c’è stata una specifica funzione di mediazione svolta
dal giornalismo e per tanti anni se non decenni, i giornalisti hanno messo a punto procedure e un
processo di trasformazione dei fatti di notizia per apparire in modo del tutto arbitrario. Cambiando
l’ecosistema comunicativo, si ridefinisce la natura fra l’istituzione giornalistica e il suo pubblico, a
partire dalla modifica e individuazione degli eventi, temi e soggetti su cui accendere l’attenzione
dell’opinione pubblica.
Doppia natura del giornalismo > due rilevanti dimensioni della legittimazione giornalistica: in primis
il giornalista garantiva sulla veridicità di quanto sostenuto con l’attività di verifica, volte ad
assicurare la credibilità del giornalismo. In secundis, al giornalismo è stata riconosciuta la
peculiarità della gerarchizzazione ovvero la definizione del livello di rilevanza di un evento, tema o
un determinato attore sociale e da questa crescente assegnazione di rilevanza deriva la
mediatizzazione.
Carlson ritiene che la legittimazione della credibilità e autorevolezza del giornalismo abbia a lungo
risieduto nella capacità di garantire un servizio pubblico la cui natura gerarchica era assicurata
dall’esclusività. Era necessario che si strutturasse un luogo terzo fra le fonti e i fruitori che
svolgesse una funzione definitoria e certificativa di quali fossero gli eventi di interesse pubblico.
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Questa necessità ha favorito la trasformazione del giornalismo in qualcosa di più di semplice
trasmettitore di news, infatti decidere cosa pubblicare ha fatto assumere al giornalismo una
funzione centrale nella definizione della priorità e rilevanza dei temi di cui l’opinione pubblica è
chiamata a discutere. Tale funzione è stata efficace fino a quando gli altri attori sociali aveva minori
possibilità di entrare direttamente in contatto fra loro e quindi di preservare la gerarchia
giornalistica. Ma la rivoluzione digitale ha reso labili i confini di ruolo fra i vari attori della
negoziazione giornalistica > social e motori di ricerca hanno ridefinito il compito del giornalismo di
messa in forma delle informazioni, di assemblaggio dell’intera negoziabilità per far emergere
notizie puntiformi > giornalismo perde il suo monopolio nella distribuzione e diffusione delle notizie.
In questo modo si attenua la distinzione fra informazione e comunicazione fondata sulla centralità
dei fatti e la verifica degli stessi. È come se l’ecosistema digitale avesse desacralizzato il ruolo
dell’officiante rendendo il rito collettivo una serie di giaculatorie che ognuno può ripetere da solo e
quando vuole.
Concetto di fatto > fatti come entità date. Si sottolinea la natura processuale, di costruzione
dell’azione presente in ogni fatto. Al giornalista si affida il compito di verificare la datità del fatto che
viene tradotto nel controllo circa la sua indubitabilità. La verifica giornalistica attribuisce non solo il
connotato di realmente accaduto ma anche quello di rilevante e d’interesse pubblico sulla base di
un accordo solido circa il significato da attribuire al fatto cioè sul grado di stabilizzazione raggiunto
a livello sociale dalle interpretazioni sviluppatesi in merito. Un fatto diventa notizia quando si
raggiunge un accordo condiviso sul suo significato.
Fatto nell’informazione giornalistica > nel vaglio professionale del giornalista la certificazione sia
dell’indubitabilità del fatto sia della sua rilevanza e del suo grado di interesse pubblico.
Fatto nella comunicazione > pubblicizzazione da parte di qualsiasi attore sociale di un fatto per
proprio interesse, spesso legato alla volontà di persuadere. Attualmente i fatti sono sempre meno
assemblati e distribuiti in un insieme spazialmente e temporalmente definito, infatti diventano un
flusso costante portato alla nostra attenzione da individui collegati fra loro grazie a modalità che
non sono più definite dalla mediazione giornalistica. Stabilizzazione del significato difficile da
raggiungere perché il processo di negoziazione dei significati muta e coinvolge numerosi attori,
inoltre la frammentazione dei processi distributivi e la segmentazione dei pubblici incidono
negativamente sull’efficacia della condivisione, rendendoli più instabili ed esposti a continui
ribaltamenti. McNair > caos culturale: mancanza di un’unicità di direzione nel messaggio, in uno
spazio pieno di eventi, soggetti e temi notiziabili e in un tempo fondato sull’istantaneità.
Caos VS controllo dell’istituzionalizzazione del giornalismo. Un lavoro di controllo che sostanzia
quella tensione gerarchica che viene destrutturata dall’attuale caos che offre potenzialmente a tutti
la possibilità di entrare nell’agone comunicativo.
Le singole news sono inserite nel loro contesto di significazione non più soltanto grazie alla
contestualizzazione giornalistica ma anche all’interpretazione delle fonti e del pubblico. Sono testi
che evolvono di continuo grazie all’immediatezza di commenti, precisazioni… prodotti quanto dalle
notizie quanto dai suoi fruitori. Tendenza partecipativa > evidenziata dalle caratteristiche
dell’ambiente comunicativo dei social, un ambiente dove troviamo sia notizie mainstream sia
informazioni orientate prevalentemente al circuito privato delle nostre conoscenze.
Il giornalismo ha storicamente costruito la sua legittimazione sulla base della selezione dei fatti,
della loro gerarchizzazione e verifica in modo da trasformarli in notizia ma in un ecosistema come
quello attuale occorre individuare altre basi su cui concepire cosa sia l’autorevolezza giornalistica e
credibilità. Un mondo ibrido e orizzontale fa emergere come centrali valori fondanti il patto
comunicativo quali la partecipazione e la trasparenza, che diventano quasi un dovere per gli enti
pubblici che fondono la loro natura democratica proprio sul rendere conto del proprio operato e sul
coinvolgere i cittadini.

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2.3 RIPERCORRENDO LE STRADE DELLA COMUNICAZIONE ISTITUZIONALE La
comunicazione del soggetto pubblico ha uno sviluppo distinguibile in fasi e periodo storici a cui
corrispondono modelli, funzioni e obiettivi comunicativi diversi: dall’informazione negata
all’apertura a contenuti utili più direttamente rivolti ai cittadini che hanno caratterizzato gli anni ’80.
Da una funzione esternativa e trasmissiva a una tesa a includere, accogliere e ascoltare il
cittadino, i suoi bisogni e le sue esigenze di un contesto socio-culturale in costante mutamento che
ha permeato la riflessione di tutti gli anni ’90. In questi anni ha avuto notevole incidenza la
produzione normativa che dallo sradicamento di una cultura del silenzio e del segreto ha
traghettato verso la legge 150/2000 che colloca la comunicazione fra le funzioni obbligatorie
dell’amministrazione pubblica, legittimando il diritto delle amministrazioni di informare e
comunicare ma anche il dovere di rispondere ai crescenti bisogni informativi dei cittadini.
È passato ormai un ventennio dall’approvazione di quella legge, anni in cui sono stati tanti i
mutamenti ma altrettante le costanti che hanno accompagnato il processo di trasformazione delle
nostre amministrazioni e il ruolo della comunicazione. Nuove sensibilità, attenzioni e stimoli che
hanno via via ridefinito e progressivamente mostrato un ampliamento delle funzioni comunicative. I
fattori agenti > dalla domanda dei cittadini alla normativa, dalla sensibilità verso il ritorno della
comunicazione in termini di visibilità e reputazione all’innovazione tecnologica, dalla
trasformazione strutturale dei servizi a una nuova cultura specifica delle amministrazioni ancora da
costruire, rafforzare e legittimare. Viene definita la cultura della relazionalità che si sostanzia in una
visione e missione più strategica della comunicazione.
È tempo di cominciare a riflettere su alcune possibili risposte all’interrogativo su quale futuro
attenda la comunicazione pubblica dislocando certezze, ampliando o ridefinendo ruoli e
competenze e cercando di rispondere a questioni irrisolte. La legge 150/2000 approvata dopo un
lungo iter di 8 anni, significa per il mondo politico e amministrativo italiano riconoscere la necessità
che le istituzioni comunichino con i cittadini e con la società in generale. Un processo di
legittimazione e definizione di strutture e professionalità capaci di agire in un contesto sempre più
complesso e dinamico, la distinzione tra attività di informazione e attività di comunicazione che
introduce l’arduo compito della comunicazione di inter-agire con i cittadini. Si entra in una nuova
fase dove si ipotizza il ruolo strategico della comunicazione e non manca chi sottolinea il
potenziale innovativo di questa legge. In particolare, la legge disegna un contesto organizzativo nel
quale agire fra strutture (uffici stampa, relazioni con il pubblico e ufficio del portavoce) dotate di
competenze e figure professionali diverse in grado di rispondere alle pressanti esigenze
professionali e operative nelle organizzazioni. E diventa fondamentale il processo di attuazione
della legge stessa, ponendosi il problema della visibilità delle strutture stesse per perseguire gli
obiettivi della legge come trainare il cambiamento stimolando e incrementando gli impulsi istituzioni
al comunicare, superare l’invisibilità della comunicazione… Per quanto sia la comunicazione
esterna ad essere vista come prioritaria per promuovere il cambiamento, comincia ad emergere in
questo scenario anche il significato della comunicazione interna, una dimensione nuova e tutta da
costruire, affidando all’ufficio relazioni con il pubblico un ruolo centrale nel raccordo tra
comunicazione interna, esterna e istituzionale. La pluralità dei compiti e l’eterogeneità delle
situazioni comportano un’applicazione parziale e discontinua della legge, fatta di luci e ombre.
Paradossalmente dopo la tanto attesa legge, il processo di sviluppo della comunicazione pubblica
sembra arenarsi e subire la pressione di numerose criticità sia burocratiche che economiche che
rendono arduo l’orientamento alla trasparenza, ascolto e relazionalità. Il bilancio culturale della
legge era comunque positivo per le caratteristiche nuove che connotavano la legittimazione della
comunicazione pubblica in un’ottica più lungimirante.
2.3.1. L’AVVENTO DELLE TECNOLOGIE Negli anni a ridosso del 2000 alcune iniziative e testi
normativi arricchiscono e ampliano le attività connesse alla comunicazione. Sembra avviarsi in
Italia il processo di digitalizzazione e informatizzazione delle pubbliche amministrazioni. Il dibattito
sullo sviluppo della comunicazione pubblica e sugli scenari aperti dall’attuazione della legge
150/2000 individua sin da subito alcune problematiche sia di ordine culturale che procedurale. La
12
prima è la problematica trasversale della comunicazione nelle amministrazioni pubbliche >
rivoluzione tecnologica, culturale e metodologica in cui è collocata la prospettiva della
comunicazione della pubblica amministrazione. A partire dal 2005 si susseguono numerosi
provvedimenti normativi che pongono al centro del dibattito e dell’attenzione lo sviluppo delle
nuove tecnologie. Si cerca di introdurre nelle organizzazioni pubbliche strumenti importanti per
valorizzare l’azione istituzionale, migliorare l’organizzazione e la gestione dei servizi, facilitare il
rapporto con i cittadini, accompagnando un percorso di partecipazione e ascolto. Le problematiche
che accompagnano la diffusione delle nuove tecnologie si insinuano con quelle delle 150/2000
come la ricerca di figure professionali, riorganizzazioni dei servizi e dei tempi di lavoro… Il campo
si amplia con nuovi attori, nuovi linguaggi, connessione tra comunicazione interna ed esterna,
integrazione dei processi di governance.
L’avvento della digitalizzazione mette in discussione la netta distinzione e specificazione prevista
dalla legge fra i differenti uffici. Si moltiplicano i luoghi dove gli interlocutori interagiscono fra loro,
scavalcando potenzialmente la mediazione della comunicazione istituzionale e definendo una
connessione pubblica mediata che lega le relazioni online e offline. Ci troviamo davanti
all’esigenza di ripensare le forme organizzative ma questo coinvolge una ridefinizione delle identità
di quanto sono chiamati a gestire i rapporti fra i cittadini e le istituzioni perché si tratta di una
rivoluzione nel mezzo. Diventa più labile il confine fra comportamenti pubblici e privati ma
soprattutto si consente ai cittadini uno sguardo ampio e costante sui tanti ambiti della vita collettiva
grazie a una facilità di acquisizione delle informazioni che inverte il processo tradizionale per cui le
informazioni bisognava cercarsele ora invece le notizie ci raggiungono ovunque > news find me
(base cittadino monitorante di Schudson). In questo modo però tutti coloro che sono deputati alla
gestione, selezione, verifica e gerarchizzazione delle informazioni sembrano perdere rilevanza in
quanto scavalcati da un’illusoria trasparenza della rete che fa trovare tutto e da tempo gli studi
della comunicazione pubblica si stanno interrogando su come le tecnologie possano rappresentare
una leva fondamentale della trasformazione dei processi lavorativi, culture organizzative e l’identità
stessa delle amministrazioni pubbliche. Le tecnologie, quindi, possono modificare anche i processi
lavorativi, delle organizzazioni e dell’identità stessa delle pubbliche amministrazioni e i media
digitali rendono questo più agevole, in cui ogni cittadino può intervenire direttamente nella
negoziazione comunicativa. Se pensiamo alla legge 150/2000 che riconosceva l’opportunità di
comunicare con i cittadini e ribadiva la capacità d’ascolto della cittadinanza, i media digitali
rendono questa possibilità più agevole perché ogni cittadino può intervenire.
E-government > Internet offre la possibilità di migliorare le performances di governo, sia
aumentando la produttività della pubblica amministrazione sia facilitando il coinvolgimento dei
cittadini grazie all’interattività, ma anche grazie alla trasparenza e questo si chiama “momento
partecipativo di e-government”, in cui si riconosce un ruolo centrale delle tecnologie di
comunicazione nel favorire il rapporto con i cittadini. Questo potrebbe portare a una maggiore
partecipazione dei cittadini, come forma di “empowerment” dei cittadini. Sorice parla di un cambio
di prospettiva culturale che superi la visione della comunicazione politica come strumento per la
costruzione del consenso, ma che la faccia diventare una sorta di connessione sentimentale,
capace di includere i cittadini come risorsa strategica, per favorire la democrazia dialogica e questi
sviluppi appaiono ancora lenti, dovuta a una PA (Pubblica Amministrazione) poco sensibile alla
cultura del risultato e dell’accountability, in cui prevale la logica dell’adempimento, evidente nella
burocrazia in cui prevale la conservazione e questo rende difficile portare a nuove innovazioni. Si
sviluppa un processo intermittente guidato da amministrazioni early adopter che fungono da
stimolo e da traino per altre amministrazioni del compartimento pubblico. Le logiche burocratiche
appaiono ancora sintetizzate dalla metafora weberiana della gabbia d’acciaio piuttosto che dalla
casa di vetro di Turati. L’implementazione tecnologica resta ancora concentrata
nell’organizzazione interna della PA senza concentrarsi nel migliorare il rapporto con i cittadini.
Continuano a prevalere flussi comunicativi uni-direzionali (amministrazione-cittadino), invece di un
networking in grado di coinvolgere i cittadini nella condivisione delle conoscenze e azioni

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collaborative. Spesso ci si limita a una comunicazione verticale, cioè una trasmissione della
comunicazione in cui l’opinione pubblica acquisisce una conoscenza funzionale alla forza
comunicativa dell’emittente. La moltiplicazione delle modalità di comunicazione favorita dalla
digitalizzazione fa perdere la distinzione tra comunicazione politica e istituzionale, codificata dalla
legge 150/2000. Oggi le strutture politiche cercano di sfruttare l’immediatezza e la
disintermediazione della comunicazione digitale, cioè i social permettono un’apertura con i
cittadini, ma non sempre viene sfruttato al massimo.
Se si assume il MODELLO A 3 STADI di Mergel e Bretschneider > fase pionieristica, fase di
razionalizzazione del potenziale caos prodotto dalla fluidità e dalla pervasività dei social media,
fase d’istituzionalizzazione di tali processi ma questo appare comunque ancora limitato.
Oggi, comunque, da parte delle amministrazioni, si ha la voglia di comunicare, di relazionarsi,
l’ obiettivo è porre al centro il dialogo con i pubblici, la partecipazione, la collaborazione, la
trasparenza, la condivisione, l’apertura delle organizzazioni.
2.3.2. LA COMUNICAZIONE UBIQUA Ubiquo si riferisce qualcuno/qualcosa che può trovarsi
contemporaneamente in più luoghi e questo caratterizza la comunicazione delle organizzazioni
pubbliche degli ultimi anni: la comunicazione innanzitutto si rende visibile in ogni atto delle
organizzazioni attraversi atteggiamenti, comportamenti, discorsi che producono rappresentazioni;
poi perché spesso ha una collocazione non chiara, agisce in un panorama complesso e si ritrova
in più parti delle organizzazioni, questo perché: aumento della domanda di informazione dei
cittadini e la necessità delle organizzazioni di rispondere alle loro esigenze; - aumento della
complessità dei compiti e funzioni delle organizzazioni, delle iniziative, e progetti per i cittadini che
spesso richiedono un coinvolgimento di più attori anche delle organizzazioni; - esigenza di
ciascuna parte di legittimare la propria azione e di far conoscere ciò che si fa per ottenere visibilità
e riconoscimento. Per questo si vede che la comunicazione sembra essere onnipresente in tutti gli
aspetti delle organizzazioni e si ha quindi una rottura con la chiusura e con l’autoreferenzialità, ma
questo comporta anche delle difficoltà: i media sociali schiudono nuove possibilità di servizio al
cittadino e si rivelano luoghi e ambienti caratterizzati da nuove forme di partecipazione. Quindi
un’ulteriore spinta verso la visibilità, per poter entrare e dialogare con i cittadini per garantire
trasparenza e immediatezza. Per fare questo però occorre che le istituzioni abbiano credibilità
nella cura delle relazioni sul web. Le amministrazioni si devono quindi ridefinire anche nel contesto
online; intelligenza di saper cogliere la loro voice e incorporare gli input per migliorare i servizi,
trasparenza e la capacità di accountability.
2.3.3. TRAIETTORIE DEL CAMBIAMENTO È importante individuare percorsi e pratiche in grado
di valorizzare la risorsa comunicativa > la legge 150/2000 aveva l’obiettivo di far emergere,
rendere visibile e rafforzare e quindi avviare un cambiamento, concentrandosi su obiettivi, compiti
e funzioni, strutture, professionalità, strumenti e canali. Le nuove esigenze dei canali di ottenere
visibilità hanno reso la comunicazione una risorsa appetibile e da sfruttare: la comunicazione serve
per gestire ed è da gestire, pianificare, coordinare, in modo tale da scongiurare due pericoli: quello
di perdere di vista l’obiettivo che caratterizza la comunicazione pubblica e che oggi va realizzato:
creare relazioni tra istituzioni, cittadini e dipendenti, basata su credibilità, fiducia, riconoscimento;
quello di credere che la comunicazione si una sorta di “libera tutti” dove ognuno si improvvisa
professionista.
Oggi è necessario lavorare sulla costruzione di una cabina di regia della comunicazione
istituzionale, capace di guidare e governare le dinamiche relazionali e comunicative che
avvengono nell’ente, che ha il compito di far chiarezza sui processi comunicativi
dell’organizzazione, ma anche guidare con azioni concrete per ridefinire le modalità operative di
gestione dei canali > la regia deve avere una doppia natura: politico-strategica: mediazione e
integrazione tra le parti, gestione di tutti i processi di comunicazione; operativa e pragmatica :
semplificazione, proporre percorsi, procedure, stimolare soluzioni, mettere al servizio
dell’organizzazione le competenze tecniche > tutto questo comporta figure professionali preparate.

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La legge 150/2000 è nata proprio per definire i confini delle 3 strutture dell’ambito pubblico e
pertanto bisogna individuare i profili professionali per ogni struttura di riferimento, come: giornalisti,
addetti alle relazioni con il pubblico e comunicatori politici ma questo comportò delle difficoltà : è
chiaro che vi siano delle differenze tra i vari enti, mancanza di risorse economiche, carenza di
personale + mancanza di coordinamento e flessibilità (comunicazione interne), di formazione di
personale e competenze+ incapacità di gestione di resistenze e difficoltà.
Sintetizziamo la legge 150/2000: - grande flessibilità nelle soluzioni trovate VS scarsa flessibilità
concettuale e operativa; - figure professionali slegate, lente nel loro processo di affermazione e
legittimazione interna VS rapidità dei processi sociali e culturali in atto dentro e fuori le
organizzazioni.
Ma nelle organizzazioni oggi risulta importante il web e il web 2.0, con le sue rispettive leggi i
social media non sono strumenti rigidi e segmentati, fondano la loro essenza sull’apertura (cioè
trasversalità, integrazione, fluidità dei rapporti interni e tra le strutture) : di chi comunica, dei testi,
dei contenuti, dei diritti e delle strutture comunicative. Nasce da qui una questione, chi gestisce i
canali social? > è necessaria una maggior integrazione tra informazione, comunicazione,
burocrazia. I problemi che le organizzazioni dovrebbero risolvere, con l’avvento del web 2.0, sono:
velocizzare i tempi di risposta e di reazione, accorciare la catena decisionale, coordinarsi con il
resto dell’organizzazione, creare sinergia tra esigenze operative, competenze specifiche > bisogna
capire che le tecnologie possono essere le leve della trasformazione dei processi lavorativi, delle
culture organizzative e dell’identità delle amministrazioni pubbliche.
Per avere qualità servono competenze e le competenze costano > i comunicatori oggi devono
essere selezionatori di progetti, di informazioni, di dati, di contenuti, connettori tra parti
dell’organizzazione, tra ambienti e attività, tra obiettivi e la loro realizzazione. Emerge l’esigenza di
una diffusa pluralità di esperienze, di saperi pertanto si deve operare su una ri-definizione delle
professionalità che a vario titolo si occupano nelle organizzazioni pubbliche di mediare i rapporti tra
questi e i cittadini.

3.1 PRIMA FASE: CENSIRE, MONITORARE il programma di ricerca espone i risultati di una
scelta mixed methods, impiegando una pluralità di approcci. Nella prima fase si è cercato di capire
in che modo gli enti locali hanno risposto alle sfide imposte dalle trasformazioni in atto. Dopo 15
anni dalla legge 150/2000 ci siamo chiesti come le pubbliche amministrazioni stessero affrontando
il cambiamento, per intercettare le nuove esigenze comunicative > per rispondere è stata
realizzata una indagine quantitativa per capire la gestione della comunicazione dei Comuni
toscani: fase che va dal 2014 al 2015, coinvolgendo 269 comuni (su 281). Macro-obiettivi che si
voleva raggiungere: - conoscere il funzionamento interno dei Comuni nella gestione della
comunicazione, per rilevare professionalità, mutati scenari della comunicazione pubblica e
istituzionale; - individuare competenze e saperi specifici per la risposta dei bisogni informativi; -
Analizzare prassi e routine professionali alla luce delle trasformazioni tecnologiche. Si è deciso di
utilizzare l’intervista telefonica (per la sua duttilità per esplorare aspetti quantitativi e qualitativi) con
un responsabile della comunicazione del Comune > intervista su 20 domande, sia risposta multipla
che aperta. La ricerca è stata ripresa nell’estate successiva perché molte amministrazioni si
trovavano a fine mandato e quindi alcune risposte risultavano provvisorie.
3.2 SECONDA FASE: LE INTERVISTE Negli anni 2015-2016 abbiamo realizzato una serie di
indagini qualitative, tramite interviste non direttive e semi strutturate, presso i comparti di 18
15
Comuni toscani, per avvicinarci alle attività, strategie e ai vissuti delle persone addette alla
comunicazione e all’informazione. Abbiamo coinvolto comuni di grande (FirenzeLivorno-Prato),
media (Carrara- Grosseto-Lucca- Massa-Pisa- Pistoia- Siena), piccola dimensione
(CascinaMonsummano Terme- Pietrasanta- Pontedera- San Miniato) + Cavriglia, Signa, Vernio e
alcuni di questi hanno una spiccata vocazione turistica, altre sono realtà industriali, dell’entroterra e
della costa.
I professionisti intervistati sono stati contattati telefonicamente e scelti in base al loro ruolo. Sono
state raccolte 36 interviste rilasciate da 11 addetti dell’URP, 1 sindaco, 2 vicesindaco > hanno
indagato 4 ambiti: a) URP; b) ufficio stampa; c) gabinetto del sindaco; d) figure politiche.
Ogni intervista è durata più di 1 ora, organizzata con 3 diverse sezioni: intervista non direttiva
(persona presenta se stesso e il proprio percorso professionale, con attenzione a quando la sua
biografia professionale si interseca a quella organizzativa); somministrazione di storie brevi
(intervistato deve reagire); semi-strutturata (intervistato doveva ricostruire i passaggi più importanti
della comunicazione istituzionale all’interno dell’ente di appartenenza, tracciando un quadro storico
+ cercare di indicare le prospettive di sviluppo e innovazione dell’ente stesso, evidenziando punti
di forza e di debolezza in ambito di strategia comunicativa + riflettere sull’impatto delle nuove
tecnologie sulla vita istituzionale cercando di prevedere i cambiamenti futuri dell’ente).

3.2.1 L’INTERVISTA BIOGRAFICA In questo tipo di approccio alla ricerca si sottolinea la capacità
euristica della relazionalità volta a restituirci lo sguardo interno alla struttura di appartenenza. Gli
intervistati si devono presentare, in modo libero e informale, in modo tale da creare un clima di
fiducia tra intervistato e intervistatore e a favorito poi delle digressioni. Come ricorda Jedlowsky,
l’esperienza appare concreta e significativa soltanto quando e ne può parlare con altri, quando la si
può esperire di nuovo dandole senso e condividendola attraverso il racconto.
3.2.2. LE STORIE Somministrazione di brevi storie esemplari, utili a esplorare le posizioni
dell’intervistato in merito ad alcune opzioni suggerite dall’intervistatore > questo serve per indagare
idee e posizioni dei professionisti della comunicazione in merito a questioni oggetto di dibattito, e
che possono riguardare opinioni su atteggiamenti professionali e scelte dirigenziali particolari.
Abbiamo applicato queste storie per la prima volta nell’ambito della comunicazione pubblica. Le
storie servono da filtro per comprendere meglio determinate situazioni lavorative: cioè la “storiella”
serve a far prendere posizione sull’argomento e a rivelare le sue opzioni di valore > tecnica
formulata da Alberto Marradi, corrisponde alla tecnica narrativa delle vignette, che vengono
sottoposte agli intervistati chiedendo loro di commentarle, spiegarle e interpretarle. Questo si
rintraccia anche nelle tecniche di TAT (Thematic Apperception Test), che a partire dagli anni ’30 si
sono diffuse in ambito psicologico: attraverso le narrazioni degli intervistati è possibile rilevare
indicazioni che vanno dagli aspetti problematici personali, alle loro visioni del mondo sociale.
Abbiamo individuato 4 brevi storie: prima > rilevare l’atteggiamento dell’intervistato nei confronti
della competenza comunicativa contrapponendo il valore dell’improvvisazione, basata su una
predisposizione caratteriale, al valore della formazione, quindi improvvisazione vs formazione; la
stessa storia contiene un piano di lettura che contrappone la preferenza per la conoscenza di un
ambiente professionale acquisita nel tempo, alla preferenza di una risorsa professionale formata
per quel compito specifico, quindi conoscenza per frequentazione vs conoscenza per studio;
seconda > si riferisce all’atteggiamento individuale e organizzativo di maggior adesione o di
tendenza a eludere le norme che disciplinano le attività, governano le strutture e le professionalità
della comunicazione pubblica. Un secondo livello ha a che fare con l’idea di adesione alle
norme/adattamento e superamento delle stesse alla luce delle esigenze dello specifico ente;
terza > indaga il binomio autonomia/dipendenza per portare alla luce il senso di responsabilità
nello svolgimento quotidiano del proprio lavoro, ovvero la percezione di essere alle dipendenze di
qualcuno altro oppure essere protagonisti della comunicazione istituzionale; quarta > si muove sul
continuum visibilità dell’ufficio/opacità, esplorando una dimensione organizzativa, ovvero la
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maggiore o minore strutturazione delle attività di comunicazione e quanto questa si collega al buon
andamento del proprio lavoro. Chi ritiene che la legittimazione formale dell’ufficio e il
riconoscimento delle singole figure professionali necessarie per fare bene il proprio lavoro e chi
ritiene invece che la competenza comunicativa sia diffusa entro l’organizzazione, comportando una
sua gestione più fluida e flessibile.
3.2.3. INTERVISTA SEMI-STRUTTURATA L’ultima parte dell’intervista semi-strutturata ha
ricercato le informazioni relative alle 4 dimensioni sopracitate, sempre tramite conversazione. È
stato possibile toccare tutti gli aspetti interessanti in fase di disegno della ricerca. Basso livello di
direttività per poter essere maggiormente neutrali e poter così capire meglio cosa c’è nella mente
dell’intervistato.
3.3. TERZA FASE: I FOCUS GROUPS E IL CONFRONTO CON I PROFESSIONISTI I focus
groups si sono svolti 2 a Firenze nel Dipartimento di scienze politiche e sociali e 1 a Pisa nella
sede ANCI Toscana. Abbiamo scelto di usare i focus groups per mettere in relazione tra di loro i
diversi intervistati, caratterizzati da biografie professionali, esperienze organizzative, percorsi
formativi e caratteristiche anagrafiche differenti, al fine di stimolare un confronto produttivo intorno
ad alcuni temi nodali. I professionisti coinvolti si sono trovati a immaginare soluzioni, modelli, ruoli
e approcci alla professione completamente o parzialmente nuovi. Tutto questo si è svolto in 3
momenti:
3.3.1. PRIMO ESERCIZIO: “CHI L’HA DETTO?”. LE FRASI “SHOCK” DELLE INTERVISTE
usate 6 frasi estrapolate dalle interviste, rese anonime, su aspetti importanti nel percorso svolto,
commentate dai partecipanti. Esempi di frasi:
F1. la comunicazione pubblica non è che sia cambiata così tanto… le problematiche che c’erano
negli anni ’90 ci sono ancora! La frase introduce i professionisti a un’analisi dei fattori di
cambiamento avvertiti nella comunicazione pubblica;

F2. Facebook è il nuovo URP per discutere intorno all’effettiva funzionalità dei media digitali e al
loro rapporto con la PA e i cittadini;
F3. Il sito internet chi lo fa? Un informatico, uno che si occupa di contenuti? È informatica, è
giornalismo, è comunicazione? Affronta due argomenti: tema dei saperi e delle competenze
chiamate con l’arrivo dei media digitali che sembrano ridefinire le categorie professionali; la
spartizione delle attività tra le persone che si occupano di comunicazione pubblica nello stesso
ente.
F.4 la comunicazione nei Comuni è trasversale, non si presta ad avere un suo ufficio affronta il
tema della differenza tra generica attività comunicativa e competenza comunicativa che riguarda
un numero ristretto di persone che operano in uffici e strutture.
3.3.2. SECONDO ESERCIZIO: “IN UN MONDO IDEALE…” Il gruppo si è confrontato con le
differenti modalità organizzative della comunicazione pubblica, tra assetti normativi, reali e ideali. È
stato fatto un esercizio proiettivo, che si discostasse dalla semplice sfera normativa: ciascun
partecipante veniva posto in una dimensione organizzativa ideale, spinto a ragionare su una
miglior modalità organizzativa della comunicazione istituzionale affinché rispondesse a esigenze
reali. Si sono analizzati 3 aspetti chiave: uffici e strutture coinvolte in un modello ideale di
organizzazione della comunicazione istituzionale; competenze professionali e l’armonizzazione dei
saperi che si ritengono necessari; modalità relazionali e di raccordo quotidiano tra le varie figure
individuate. Poi a ciascun partecipante si è chiesto di descrivere i punti di contatto e di distanza tra
la situazione ideale e quella reale vissuta nell’attuale condizione lavorativa del proprio Comune per
rilevare in quali fattori i comuni coinvolti di discostino o si avvicinino al dettame normativo oppure a
una situazione sperata ideale.

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3.3.3. TERZO ESERCIZIO: “NEI PANNI DI…” Una sorta di gioco di ruolo, con una prima parte
individuale e una conclusiva di confronto. Si è voluto investigare il rapporto tra anima
amministrativa e anima politica all’interno della stessa articolazione. I partecipanti hanno rivestito i
panni del dirigente alla comunicazione e del sindaco e di individuare 3 macro-obiettivi che
ritengono prioritari per il miglioramento della comunicazione istituzionale.
3.4 QUARTA FASE: UN ALTRO MODO DI CONOSCERE LA REALTA’ – IL QUESTIONARIO
ONLINE Si è usato nuovamente il sondaggio attraverso l’intervista direttiva e la tecnica del
questionario online, che comporta degli effetti come abbandonare il questionario quando si
desidera e impossibilità di accertare il livello di attenzione. Per questo il questionario presentava
una prima parte di presentazione della ricerca e pertanto il questionario doveva essere compilato
interamente. La ricerca mirava a conoscere il pubblico delle pagine Facebook comunali e si suoi
comportamenti digitali. Si sono analizzate 3 dimensioni di indagine: chi sono i frequentatori delle
pagine Facebook dei Comuni (per raccogliere informazioni sociografiche e capire le loro identità) ;
cosa fanno concretamente attraverso o sulle pagine Facebook (rapporto che intraprendono con le
pagine della municipalità, capire per quale motivo ci si iscrive a una pagina e attraverso quali
percorsi si viene a conoscenza della pagina, che utilizzo personale ne viene fatto della pagina e il
tipo di attività svolta online); che cosa pensano delle pagine Facebook dei Comuni (come
l’intervistato giudica la pagina dal punto di vista dell’aggiornamento, dei tempi di risposta, della
comprensibilità e linguaggio, e poi si ha una domanda aperta per raccogliere suggerimenti e
miglioramenti per la pagina > è stata una ricerca esplorativa, per ottenere risposte a interrogativi
nuovi, attraverso anche l’incrocio dei dati.

4.1. TRA INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE Nei capitoli precedenti si è sottolineata la


necessità di ragionare intorno a possibili ricomposizioni e di analizzare le modalità e le
conseguenze delle tante intersezioni che oggi sembrano sfidare i tentativi di classificazione e
perimetrazione di un nuovo scenario.
Ci soffermiamo sull’intersezione tra informazione e comunicazione, sulla tensione fra informalità e
istituzionalizzazione e fra comunicazione politica e pubblica.
Informare e comunicare fanno riferimento alla stessa materia prima: il dato, l’informazione, la
conoscenza > questo comporta che spesso si sovrapponga il loro significato e risulta difficile
adottare una netta separazione tra i due, specificatamente nel settore pubblico.
Il termine “informazione” è polisemico: informazione come processo > l’esito di essere informati
dipende da un percorso di ricerca e di incontro che cambia soggettivamente. Quindi è un’attività
dinamica, per cui l’efficacia dipende da un incontro fortunato; informazione come conoscenza >
alla base del processo c’è l’acquisizione di dati, notizie, nozioni che possono accrescere la
cognizione individuale, senza impoverire il donatore. La sola diffusione informativa però genera
opacità, genera conoscenza quando è inserita in un contesto di significazione, quando attiva i
processi cognitivi dei suoi destinatari; informazione come oggetto > ci porta a considerare la
“tangibilità” della materia informativa: documenti, notizie, dati, eventi, rimandano a testi di cui
l’individuo si appropria mediante un contatto diretto.
Il termine “comunicazione” è correlato alle relazioni e interazioni e quel dato, informazione o
conoscenza vengono scambiati e condivise diventano risorsa relazionale e negoziale che
ridefinisce i rapporti tra gli individui.
È chiaro che si ha l’esigenza che la risorsa informativa accompagni tutti i processi di produzione e
di erogazione del servizio stesso, per venire incontro ai bisogni dell’utente. Ma informare e
comunicare non sono solo un diritto/dovere nel rapporto con i cittadini/istituzioni, sono anche
un’esigenza organizzativa, nata dai processi di differenziazione, specializzazione dei compiti e
delle funzioni, dalla moltiplicazione dei sottoinsiemi in cui si articola la società e da un ambiente
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comunicativo caratterizzato da un flusso di informazioni e relazioni, dove ciascun soggetto si deve
rendere visibile. La legge 150/2000 compie una distinzione tra informazione e comunicazione >
l’ambito informativo è ricondotto al giornalismo, al dialogo con il sistema dei media; l’ambito
comunicativo è riferito alle relazioni con i cittadini, con la comunicazione esterna ed interna. Il
problema che sorge è che entrambi questi ambiti presentano i medesimi obiettivi, ovvero favorire
l’accesso ai servizi pubblici promuovendo la conoscenza, facilitare la conoscenza delle disposizioni
normative, illustrare le attività istituzionali, favorire processi di semplificazione e modernizzazione
degli apparati.
Ancora più difficile risulta per il web e web sociale in quanto sembrano ricomporre contenuti e
relazioni, capacità informativa e capacità di dialogo ma anche di risposta alle richieste dei cittadini.
4.1.1. CONTENUTI E RELAZIONI DIGITALI Gli assunti che seguono hanno lo scopo di
sintetizzare le caratteristiche dell’area di intersezione e sovrapposizione tra attività comunicativa e
informativa che è per lo più correlata alla gestione dei canali di networking istituzionali. Se da un
lato la norma distingue tra ambito delle relazioni di contenuti ovvero tra compiti degli uffici relazioni
con il pubblico e mansioni affidate agli uffici stampa, le caratteristiche delle piattaforme social
network sembrano ridefinire le correlazioni tra le varie mansioni e ruoli nelle pubbliche
amministrazioni. Da ciò che è stato detto durante le interviste, emerge che è aumentata la
comunicazione non mediata, che è complessa, quella in cui ci si rivolge al cittadino e pertanto, il
lavoro dei social, svolge la funzione di URP; l’ufficio stampa è separato dall’ufficio URP ma
secondo loro dovrebbero essere affiancati per dare una comunicazione più efficacie e coordinata.
4.1.2 RELAZIONI DISINTERMEDIATE Quando nel nostro Paese si posero le basi per la nascita
della comunicazione pubblica e delle strutture di comunicazione e informazione, il concetto di
inter-mediazione aveva una concezione positiva, in cui si aveva un raccordo operativo tra ci
usufruiva dei servizi e chi svolgeva il servizio (istituzioni e cittadini). Si incontravano anche
fisicamente, in un contesto di scambio informativo come i front office. Un ponte tra un noi ovvero
gli apparati politici e amministrativi e un loro ovvero cittadini, territori e altre istituzioni.
Eppure, oggi nella società dell’informazione, dell’online e offline, sorge il dubbio che questo ruolo
di corpo intermedio sia inefficacie e impopolare > diventa il sinonimo di intromissione e
frapposizione, un ostacolo da aggirare anziché di conciliazione e collegamento.
Il termine “disintermediazione” indica una relazionalità diversa con la cittadinanza che affascina
soprattutto la politica: spontaneità, trasparenza, rapidità, riduzione degli spazi. Anche le istituzioni
mirano a questo per recuperare un dialogo diretto con il cittadino, velocizzare e snellire gli iter
burocratici, personalizzare il dialogo con il territorio, limitando l’attrito di diffusione delle
informazioni: “Facebook è il nuovo URP” e “Twitter il nuovo ufficio stampa”, cioè l’ente deve essere
presente negli spazi in cui il cittadino chiede, cerca informazioni, produce contenuti. Di tale
attivismo dal basso, amplificato dai cosiddetti user generated contents e dal web, così come
dall’opportunità di avere a disposizione modalità di relazione diretta e disintermediata, sembrano
consapevoli sia i comunicatori che gli amministratori dell’importanza di gestire senza ulteriori
intermediari la propria presenza digitale. Una presenza fatta non solo di contenuti informativi ma
anche di relazioni e interazioni significative. Dall’intervista emerge che con l’arrivo di Internet si è
venuta a creare una nuova opportunità per gli utenti, in cui si ha una comunicazione immediata,
diretta, semplice. Ma da ciò ne consegue che in un clima di disintermediazione, sono gli stessi
comunicatori pubblici e addetti stampa a dover legittimare il proprio ruolo di intermediari agli occhi
dei loro colleghi.
4.2. TRA INFORMALITA’ E ISTITUZIONALIZZAZIONE Dalla informalità che esisteva in passato
alla istituzionalizzazione. Ancora oggi emerge una discontinua, saltuaria ed eterogenea
applicazione della legge 150/2000.
Ma una delle conseguenze più visibili è che gli organigrammi invece di somigliarsi per lo tesso
corpus normativo, tendono in realtà a differenziarsi sempre di più > tutto questo è dettato da
scarsità di risorse, personale, competenze e di cultura comunicativa negli enti. A fronte di un
19
effettivo svolgimento di funzioni di comunicazione e informazione, quasi la metà dei Comuni
dichiara di non avere attivo un ufficio relazioni con il pubblico o un ufficio stampa, ma solo persona
che si occupano di tali mansioni. Gli unici ad avere una chiara strutturazione sono i servizi
informatici, mentre altre funzioni presentano una collocazione più fluida, indefinita come servizi
editoriali, cerimoniali, immagine coordinata, promozione del territorio, organizzazione di eventi, chi
gestisce i social media dell’ente. L’arrivo dei social media nel settore pubblico italiano non è andato
di pari passo con un recepimento normativo.
4.2.1 FLESSIBILITA’ OPERATIVA Una delle prime ragioni che sembrano sollecitare il
superamento di una distinzione rigida tra strutture e professionalità è l’esigenza di gestire strumenti
e relazioni in modo più fluido, flessibile, sia nei tempi che nei modi. In particolare, il mondo digitale
necessita di figure professionali che abbiano un certo grado di autonomia, definito “battitore libero”,
una figura che superare le spigolosità organizzative e le burocrazie. Ma questo può comportare
anche dei rischi come il fatto che l’esser troppo fluido porti a non fare le cose per bene e quindi
l’ideale sarebbe una via di mezzo. Ciò che desta preoccupazione è il rischio connesso ad
un’eccessiva flessibilità e viceversa un’eccessiva rigidità e burocrazia. Il tema della collaborazione
tra uffici è sentito tra i professionisti intervistati, funzionale allo svolgimento del proprio lavoro ma
anche l’esigenza di una PA in cambiamento e ridefinizione e di enti costretti a fare di necessità
virtù ovvero a fare i conti con risorse più scarse rispetto al passato. Inoltre, l’impatto che i media
digitali hanno avuto sulla professione dei comunicatori riguarda anche i tempi di lavoro, difficili da
contenere, ma anche da formalizzare e quantificare.
4.2.2. UBIQUITA’ ORGANIZZATIVA Le conseguenze dell’ubiquità della comunicazione pubblica,
che risulta molto più diffusa all’interno delle organizzazioni. Il primo aspetto riguarda la sfera di
attività dei comunicatori che oggi chiedono ai propri enti di poter partecipare anche a quei processi
di costruzione dei servizi. Una ubiquità, dunque, che porta chi si occupa di comunicazione ad
uscire, anche fisicamente, dal proprio ufficio per andare incontro e scandagliare ciò che accada nel
resto dell’ente. I motivi di una partecipazione ubiquitaria dei comunicatori sono l’esigenza di
rendere fruibili processi, prodotti o servizi che altrimenti il cittadino faticherebbe a comprendere o
fraintendere, arrecando un danno evidente alla credibilità dell’istituzione. I comunicatori scoprono
talvolta un ruolo quasi consulenziale nei confronti dei propri colleghi o di un mero lavoro di rifinitura
e adeguamento dei contenuti alle caratteristiche del medium impiegato.
4.2.3 IBRIDAZIONE E INCERTEZZA PROFESSIONALE Tra le conseguenze di una maggiore
fluidità organizzativa, di processi produttivi dai ritmi più veloci ed incalzanti, dalla presenza informa
di comunicatori entro i Comuni per un arco di tempo limitato, vi è la questione professionale. Infatti,
a fronte di alcuni vantaggi riscontrabili in una figura di “battitore libero”, si rintracciano di frequente
sia difficoltà ne gestire contemporaneamente più attività e compiti più ibridi rispetto al passato, sia
evidenti preoccupazioni da parte degli intervistati soprattutto in riferimento all’incertezza del futuro
(la duttilità da alcuni è considerata indefinitezza, nebulosità verso il futuro, soprattutto di chi ha un
lavoro a tempo determinato, e difficoltà nell’ottenere una legittimazione professionale) > la perdita
del lavoro non è soltanto del singolo professionista ma anche per la vita dell’ente. Discontinuità e
incertezza professionale influenzano sia le modalità di conduzione della comunicazione
istituzionale, sia le relazioni interne. Tuttavia, si rintracciano alcuni che invece per quanto riguarda
il rapporto con il lavoro a tempo determinato, lo ritengono un vantaggio perché maggiormente
stimolante per il professionista.
4.3 TRA COMUNICAZIONE PUBBLICA E POLITICA Il ritardo culturale dell’Italia fino agli anni ’90
nella comunicazione istituzionale sembrava retaggio del timore di rinnovare le logiche persuasorie
del regime fascista. Ne è derivato un rapporto asimmetrico tra cittadino e una politicizzazione di
tale relazione. Dunque, negli anni del big bang della riforma amministrativa nel momento in cui si
sono riconosciute le specificità dell’una e dell’altra, la separazione trova giustificazione nel bisogno
di rimarcare i rispettivi elementi di distinzione irrinunciabile. Infatti, la comunicazione pubblica è
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nata per ricucire un rapporto di fiducia tra Stato e cittadini e non avrebbe mai potuto trattare temi
controversi ma avrebbe alimentato una nuova legittimazione delle istituzioni a partire dalla natura
dei contenuti comunicati in maniera chiara e trasparente. L’aspetto posto in discussione non è
tanto l’obiettivo perseguito da entrambe che è il medesimo ovvero l’interesse generale e il bene
comune, quanto le issues trattate che appunto nel caso della comunicazione politica hanno
carattere controverso. Questo lavoro di specificazione è oggi messo in discussione dai media
digitali che rendono difficile separare le forme di interazione tra istituzioni e individuare e
distinguere quando i propri interlocutori rivestano il ruolo del cittadino-elettore oppure di cittadino-
utente. Rispetto a quanto rilevabile nel corso degli anni Novanta, le due aree oggi non devono
essere lette in un’ottica diadica e contrappositiva ma complementare e convergente.
4.3.1. RISCHI E OPPORTUNITA’ DI UN PROGRESSIVO AVVICINAMENTO Tra i cittadini
intervistati, alcuni lamentano la sovrapposizione tra comunicazione istituzionale e politica,
soprattutto negli spazi social, credendo che sia una scelta che l’amministrazione faccia
consapevolmente. Si sottolinea come sia importante presentare minor faziosità dei contenuti,
considerati a volte troppo celebrativi e invece spingere maggiormente sulle informazioni. Gli
atteggiamenti che sono emersi come prevalenti possono essere distinti in 2 famiglie: a)
NORMATIVISTI che vorrebbero mantenere e preservare il più possibile lo spirito della legge
150/2000, con la netta separazione tra le due sfere; b) REALISTI che ritengono il processo di
reciproca ibridazione inevitabile e funzionale ad una migliore gestione dei processi produttivi di
politiche e servizi. Davanti a queste due posizioni sembrano schiudersi due percorsi alternativi:
continuare a confrontare l’adeguamento del singolo contesto organizzativo ad un unico modello di
comunicazione e a un assetto organizzativo dominante quello della legge 150/2000 oppure
rintracciare in ciascuna situazione specifica il modello organizzativo più adatto sia ad interpretare
la storia e il vissuto trascorso sia ad accogliere le nuove esigenze tra condizioni inevitabili e
cambiamenti attesi.
4.3.2. LA VICINANZA DEI COMUNICATORI AI VERTICI POLITICI La vicinanza dei comunicatori
ai vertici politici si può rappresentare come rapporto informale e funzionale oppure come formale o
sancita da un assetto organizzativo che pone il comunicatore a contatto diretto con il politico. La
vicinanza al vertice può comportare un maggior controllo dell’operato del dipendente e una
maggior autonomia, perché si è ricevuto a monte l’accreditamento e la legittimazione politica e si è
stabilito un rapporto di fiducia tra amministratore e dipendente, il quale si può quindi sentir
maggiormente libero nei propri compiti.
4.3.3. INTERVENTO DELLA POLITICA NEGLI SPAZI INFORMATIVI DELL’ENTE La maggior
parte delle amministrazioni con cui ci siamo interfacciati nelle varie fasi della ricerca si è dimostrata
sensibile alla distinzione degli spazi informativi a cura degli uffici comunicazione di ciascun ente e
quelli riconducibili alla persona del sindaco o dell’assessore che nella maggior parte dei casi sono
comunque gli attori-chiave da cui proviene lo stimolo ad essere presenti anche come istituzioni sui
social media. Il ruolo di comunicazione istituzionale è da definirsi al sindaco, mentre la
comunicazione politica all’assessore. A tale distinzione si è soliti riferire il ruolo di comunicazione
istituzionale agli spazi informativi del primo tipo mentre di comunicazione politica a quelli del
secondo tipo > distinzione non solo a livelli di contenuti ma anche a livello di relazionalità diversa
con i pubblici a cui i diversi ambiti si rivolgono. Ci sono circostanze in cui è comunque difficile
mantenere inalterata la distinzione tra le due sfere informative. La giustificazione di un’ampia zona
di sovrapposizione tra contenuto istituzionale e politico sembra ricollegata all’avvento dei social
media. Con l’avvento dei social media si è analizzato l’approccio delle amministrazioni sui primi
social network (Facebook), dettato da input politici: era il sindaco o l’assessore che ne richiedeva
l’apertura o il consolidamento. Le piattaforme social dettano all’amministrazione tempi serrati di
produzione dell’informazione e il rispetto di formati più asciutti per attirare l’attenzione del pubblico,
incidendo sui linguaggi e sulla selezione dei temi da affrontare.

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5.1. ORGANIZATION FOR WHAT? A partire da Weber, gli studi classici sull’organizzazione e
sulla burocrazia delineano un frame razionale e strumentale dove le scelte organizzative si
valutano e giustificano esclusivamente in relazione alla loro capacità di conseguire prestabiliti.
Nelle organizzazioni pubbliche questo frame è rimasto immutato così come nella nostra
immaginazione si sovrappone l’idea di organizzazione pubblica e di organizzazione burocratica,
dove l’aggettivo “burocratica” si connota sempre più di un’accezione negativa.
La razionalizzazione e l’agire volto al raggiungimento dello scopo si realizza tanto attraverso la
gestione razionale degli esseri umani. Questa gestione per Weber rappresenta il miglior modo di
amministrare non tiene conto del rischio di sovrapporre due autorità diverse. Infatti, nel modello
weberiano manca una distinzione tra l’organizzazione frutto dell’abilità di esperti e l’organizzazione
frutto della disciplina. Nel primo caso l’obbedienza è una risorsa mentre nel secondo caso è un fine
in sé.
Organizzazione per che fare? Riecheggia il titolo del testo di Robert S. Lynd Knowledge for What?
The place of social science in American Culture. Lynd ha esplorato il campo degli studi
accademici del tempo cercando di vedere come all’interno delle organizzazioni/istituzioni deputate
alla costruzione del sapere, interagissero, dessero vita a pratiche, a convenzioni e a strutture fisse
due diversi gruppi di studiosi: gli accademici tradizionali e coloro che erano depositari di un sapere
più tecnico > questo porta a una separazione: lo studioso tradizionale sembra essere lontano dalle
rilevanze immediate che la società evidenzia, e il secondo troppo spesso accetta la definizione dei
suoi problemi in stretta relazione con la contingenza dell’ambiente istituzionale del momento >
succede anche oggi nei sistemi amministrativi in cui si hanno comunicatori che interagiscono con
difficoltà con comunicatori di più lungo corso: i primi sono spesso formati nei corsi di laurea in
scienze della comunicazione ma sono ignoranti per quanto riguarda le logiche amministrative
preesistenti.
5.1.1 ORGANIZZAZIONE COME MEZZO O COME FINE, TRA METAFORE E DESTINI
INATTESI L’organizzazione si basa in base alle risorse (input) oppure è orientata alla performance
(output). Si usano molte metafore per quanto riguarda le organizzazioni, come “palazzo” di Pasolini
per indicare organizzazioni che risolvono principalmente questioni degli addetti ai lavori e non del
cittadino > tra gli intervistati questa espressione non è emersa, ma è emerso il fatto che
consideravano la propria azione circoscritta all’interno del proprio ruolo.
Altra metafora forte è quella della “macchina burocratica”, dove burocratico sta per lento,
complicato; il termine macchina configura un’etichetta priva di anima, in cui il fattore umano non
c’è. I vari componenti sono considerati come ingranaggi che si articolano tra loro e la macchina
viene intesa come qualcosa di misterioso, dove per gradi è possibile conoscere i meccanismi.
Altra metafora è quella delle “mezzemaniche”, modo poco rispettoso per definire gli impiegati che
hanno mansioni di poca importanza. Da questo emerge che spesso si ha la tendenza di fare tutta
l’erba un fascio: si attribuiscono le caratteristiche di alcuni ad un intero gruppo, rimandando a un
universo complesso. La trasformazione verso un agire delle PPAA chiama varie dimensioni:
l’avvento del web 2.0 ha portato i cittadini ad attivarsi in processi di information seeking, abilitati
dalla disponibilità dei mezzi digitali, per favorire modelli di e-government; si ha la necessità di
aumentare la fiducia nella PA, per combattere le metafore. L’ubiquità della comunicazione pubblica
comporta l’aumento dei bisogni di comunicazione, la necessità di curare relazioni interne ed
esterne da parte dei singoli professionisti, settori e amministrazioni. Se da un lato l’ampliamento
delle funzioni comunicative appare un evidente segnale di una profonda e irreversibile rottura con
la cultura della chiusura e autoreferenzialità che ha purtroppo descritto per anni le nostre
amministrazioni pubbliche, dall’altro lato emerge l’esigenza di capire come le trasformazioni
avvenute stiano realmente incidendo sulla crescita di una cultura della comunicazione che permei
l’intera organizzazione > capacità di interagire, rispondere, saper prendere, accogliere torrenti
comunicativi che dall’esterno si immettono nelle pratiche discorsive e priorità relazionali.
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5.1.2 CONFINI DI RUOLO: LINGUAGGI, TEMPI E SPAZI I professionisti della comunicazione
sembrano soffrire l’idea degli orari di lavoro definiti, perché è difficile capire chiaramente i limiti del
proprio lavoro. Differenti sono le esigenze legate alla presenza dei media interattivi e a questa
incontinenza comunicativa. Le piattaforme digitali hanno reso possibile l’interazione in condizioni di
atemporalità e a-territorialità > quando questo sganciamento spazio-temporale ha investito i ritmi
lavorativi delle organizzazioni pubbliche, si è verificano un flusso continuo di accessi agli uffici e di
richiesta di servizi in ogni orario del giorno e della notte, ridefinendo il senso della posizione della
comunicazione, esponendo continuamente i comunicatori pubblici ai cittadini. Le tecnologie e le
reti contribuiscono a sollecitare la necessità di trasformare il tradizionale concetto di luogo di
lavoro in spazio di lavoro e quello di orario di lavoro in tempi dell’attività. Ribadendo le difficoltà di
tracciare confini tra fronti interni ed esterni della comunicazione, si nota come l’informalità si allarga
a macchia d’olio e in maniera imprevista e che all’informatizzazione degli atti segue
l’informalizzazione dei rapporti con produzione di richieste difficili da evadere. Cambiano i rapporti
e cambiano i linguaggi e i contenuti che non sempre facilitano il lavoro degli addetti alla
comunicazione, piuttosto chiedono loro un nuovo impegno per contrastare il chiacchiericcio
mediatico senza però impedire il confronto.
5.1.3. CONFINI DI RUOLO: PARCELLIZZAZIONI IDENTITARIE, TRA RESPONSABILITA’ E
LIBERA INTRAPRESA Nella sezione di Colletti Bianchi. La classe media americana dedicata ai
sistemi di vita, Wright Mils mette in evidenza, tra gli altri aspetti, quello specificatamente relativo
alle caratteristiche del lavoro che definisce come alienante, noioso, privo di soddisfazioni perché
scollegato dal prodotto finale ma da quello che emerge dai focus group è che l’assumersi
responsabilità fa sì che l’autonomia possa trovare spazio di espressione. Emergono alcune
valutazioni circa la costatazione di una mancanza di soddisfazione nella gestione del proprio ruolo,
così come la persona in questione non si prende molte responsabilità. Dai focus group emerge il
fatto che l’assumersi responsabilità fa sì che l’autonomia possa trovare spazio di espressione.
5.1.4. ALTRO SUI CONFINI DEL RUOLO: PERSONALIZZAZIONE/SPERSONALIZZAZIONE E
ORGANIZZAZIONE COME MEZZO Si sottolinea il problema di non avere spazi sufficienti e
strutture funzionali per favorire l’efficacia e la finalizzazione del proprio lavoro. La fluidità della
comunicazione pone grandi sfide ai professionisti della comunicazione pubblica, ma sconfigge
anche la parcellizzazione del lavoro. Nei comparti comunicazione, l’organizzazione riveste grande
importanza per permettere i collegamenti tra tutti gli uffici e i referenti. L’uso di linguaggi informali
tra colleghi sottolinea la necessità di un’attenzione specifica alle relazioni, così come la centralità
delle caratteristiche personali nel rivestire alcuni ruoli sottolinea l’importanza della persona e della
personalizzazione del ruolo. I cittadini oggi sono sempre più capaci di entrare dentro il “palazzo”, di
acquisire informazioni rilevanti.
5.2 ASSETTI E RELAZIONI QUOTIDIANE Il 2000 è stato un anno che ha visto la realizzazione di
un percorso volto a riconoscere l’importanza di un governo della comunicazione in ambito
istituzionale, in cui informazione e comunicazione diventano attività fondamentali, grazie anche
all’attuazione della legge 150/2000, questa legge oggi è messa in crisi dalla trasformazione del
digitale, che ha aperto percorsi diversi. Se è vero che il web 2.0 e i social media possono elevare
l’engagement della cittadinanza, è altrettanto vero che devono essere previsti e sviluppati nuove
capacità, impegni e valori nell’attivazione di questa nuova opportunità. Un percorso che richiede
tempo e linearità di sviluppo, ben chiari negli autori che hanno proposti quelli che sono stati definiti
maturity models. Il modello di Mergel e Bretschneider presenta un idealtipo di maturity model che
prevede, dopo uno stadio di adozione spontanea e informale dei social media, una fase dell’ordine
del caos, tutta interna alla PPAA, in cui si procede a una messa a valore e standardizzazione
dell’impatto dei social media. In una terza fase le amministrazioni si dedicano e impegnano a
istituzionalizzare e consolidare comportamenti e norme, individuando anche l’offerta di una
formazione ad hoc per arrivare alla pubblicazione di una strategia o di un documento politico

23
organizzativo ufficiale per la gestione di queste piattaforme. I partecipanti alla ricerca hanno
suggerito l’urgente necessità di riconoscere formalmente nuove professionalità e nuovi ruoli
all’interno delle amministrazioni pubbliche o di proporre un aggiornamento e un nuovo
posizionamento, di professionalità previste della legge 150/2000 come il capo ufficio stampa e di
altri addetti stampa, il comunicatore pubblico, il portavoce…
5.2.1 ORGANIZZAZIONI POSSIBILI Gli addetti alla comunicazione si sono confrontati con idee di
organizzazione oggi diverse, la burocrazia non è più così limitante, ci si è adattati alle persone e
alle competenze dei singoli. Ai partecipanti delle interviste è stato chiesto di indicare tipi di
organizzazioni a cui auspicano; la formulazione di organizzazioni differenti dei comparti
comunicazione nasce attraverso due fasi: la prima collettiva, di discussione e confronto; la
seconda individuale, in cui ogni partecipante mette in evidenza le differenze tra organizzazione
ideale e organizzazione di cui fa parte. I partecipanti ritengono che i rapporti tra gli uffici debbano
essere frequenti, quotidiani, soprattutto informali, per una maggiore intesa e condivisione. Risulta
di massima importanza la presenza della nuova figura del social media manager > i social sono
motore, presidio e centro di ascolto dei cittadini. Le informazioni dovrebbero viaggiare sempre
secondo un doppio binario: informale e formale > l’informalità serve a rendere più produttivo il
confronto. Un’altra soluzione auspicata disegna un’organizzazione degli uffici in cui il ruolo del
dirigente viene svolto dal capo ufficio stampa e comprende l’URP, i servizi editoriali, i servizi
decentrati di comunicazione, la rete civica e la rete dei referenti interni. Il social media manager fa
da collegamento tra ufficio stampa e URP e in questo caso si dà importanza ai rapporti formali e di
decide di fare riunioni settimanali. Ciò che accomuna ciò che hanno proposto i professionisti
coinvolti nella ricerca è la necessità di un lavoro di condivisione degli scopi, con l’incontro tra
persone, pur riconoscendo il valore della distinzione dei compiti. Ciò che emerge dai gruppi e dalle
persone intervistate è la mancanza o insufficienza di momenti di confronto, di riunioni di
coordinamento, che può così portare alla mancanza di una strategia condivisa. Molti inoltre
lamentano la mancanza di un Dirigente della comunicazione e che si ha una mancanza di capacità
nel dare senso ai contenuti della comunicazione.
Sono emersi 3 principali percorsi di miglioramento necessari:
1) Curare la comunicazione interna: comunicazione tra i vari uffici deve migliorare, anche con
la creazione di un nucleo di lavoro sulla formazione al team work in cui far partecipare i
componenti di tutti gli uffici dell’ente; individuare momenti di confronto per condividere
obiettivi e strategie;
2) Semplificare e snellire i processi: sburocratizzare il lavoro, ma serve anche una miglior
strutturazione, in modo tale da aiutare anche il cittadino;
3) Adozione e impiego di tecnologie digitali: aggiornare gli strumenti comunicativi e le
infrastrutture per migliorare la connettività; serve anche per una miglior autonomia nella
fruizione dei servizi per i cittadini; la gestione dei social dovrebbe essere affidata a
personale competente
Ci sono 2 approcci principali: logica della conseguenza (razionalità fine-medio) e appropriatezza
(esperienza, dipendenza dal percorso e consenso di ciò che è giusto.
5.3. ATTORI, TRA BIOGRAFIE E COMPETENZE Il percorso fatto finora porta alla logica
conseguenza che sia le strutture che gli attori che le abitano vanno guardati con un occhio che
mette a fuoco elementi diversi rispetto a quanto fatto per un lungo tempo. Non sono più centrali
ruolo e organizzazione bensì i modi in cui ruoli e le organizzazioni si muovono spazi sociali e
soggetti al mutamento e alla richiesta dei loro attori di sentirsi in missione, anziché esecutori di una
funzione. Missione della comunicazione > il primo significato di missione ci rimanda all’idea di un
soggetto scelto per fare qualcosa, per portare qualcosa da un luogo, una situazione, una
dimensione a un’altra. Nel secondo significato, il soggetto perde la sua soggettività per adempiere,

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riempire uno spazio di ruolo. La ricerca ha messo in evidenza come gli addetti del comparto
comunicazione siano capaci di pensare la propria professione, in termini euristici, di scoperta, di
produzione di possibilità. Conoscono e si soffermano a guardare le organizzazioni per ripensarle
come ambienti osmotici, capaci di accogliere e produrre comunicazione, relazione, confronto
interno ed esterno, senza soluzione di continuità, con messa in crisi del soggetto weberiano in
risposta alle esigenze di trasparenza. I professionisti della comunicazione contribuiscono al
processo decisionale organizzativo ed esercitano la loro agency attraverso l’interazione e la
creazione di significato all’interno dei loro contesti. I professionisti da noi invitati a commentare le
PPAA mettono una forte attenzione sull’elemento umano, sulla relazione, sul conseguimento
comune di obiettivi, sulle volontà di rispondere ai cittadini. L’organizzazione non è più vista come
assetto scelto per la distribuzione di compiti in capo a persone/professionisti determinati, bensì un
ambiente in cui si intrecciano mansioni e biografie, relazioni interne ed esterne, compiti individuali
e collaborativi, agency e accountability.
5.3.1 BIOGRAFIE PROFESSIONALI Le biografie raccolte rappresentano repertori di azione, utili a
capire come si arriva alla costruzione delle competenze che sono la base delle 4 figure
professionali:
1) URP > fanno esperienze interne al PA; stabilità degli organici
2) Uffici stampa > soggetti a cambiamenti frequenti perché le loro competenze si intrecciano con la
politica
3) Gabinetto del sindaco
4) Politici
Bisogna inoltre distinguere il giornalista dal comunicatore pubblico, in cui uno comunica all’esterno
e l’altro trova materiali negli ingranaggi della macchina burocratica.
5.3.2 COMPETENZE PROFESSIONALI Jeffrey e Brunton nel 2011 sottolineano come sia spesso
difficile indentificare con precisione la distinzione tra skills (abilità) e competenze > le abilità sono
la capacità di eseguire compiti e risolvere problemi e le competenze come capacità di applicare
adeguatamente i risultati dell’apprendimento in un contesto definito.
Teoria delle competenze di Hazleton > riprende la teoria delle competenze comunicative
interpersonali di Spitzberg e Cupach. Hazleton ritiene la competenza una qualità, conoscenza,
abilità e motivazione; evidenzia altri 2 fattori: il contesto (variabili che interagiscono nelle relazioni
tra pubblici e comunicatori sono generalizzabili in un’ampia varietà di contesti e inteso anche come
responsabilità in condizioni di crisi; la competenza è trasferibile, non è quindi legata al ruolo) e
risultati.
Dalle interviste hanno estrapolato quali fossero le competenze maggiormente necessarie per i
professionisti della comunicazione istituzionale:

1. Competenze interpretative: per Solito un capitale culturale necessario a situarsi nel mondo,
applicare adeguatamente i risultati dell’apprendimento in un contesto definito. Per fare
comunicazione ci vuole una certa cultura e preparazione.
2) Competenze settoriali e organizzative: il comunicatore deve conoscere la sua istituzione e la
competenza deve essere contestualizzata per soddisfare esigenze complesse, attingendo e
mobilitando risorse psicosociali in un particolare contesto.
3) Competenze relazionali e comportamentali: essere brillante, flessibile, avere passione per la
comunicazione, predisposizione personale.

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4) Competenze comunicative: per Solito attengono alla capacità di conoscere, capire e leggere il
sistema mediatico; saper usare e modulare la comunicazione, una competenza basata sulla
conoscenza.
5) Competenze di realizzazione: capacità di perseguire l’obiettivo di orientare il cittadino, attraverso
attitudini e comportamenti lavorativi che facilitano il raggiungimento.
6) Competenze tecniche: conoscere strumenti e metodologie del marketing, con fine strategico
delle nuove tecnologie.

6.1. SOCIAL MEDIA e PA Citizien journalism > un tipo di giornalismo che supera il tradizionale
trasporto delle notizie, praticato dal sistema giornalistico, dalle fonti al pubblico, per la possibilità di
quest’ultimo di entrare in tempo reale nel processo, finanche dettando i tempi della notiziabilità e
sovvertendo i criteri con i quali si selezionano e gerarchizzano le informazioni.
È interessante indagare la relazione che si sta creando tra cittadini e le piattaforme di social
networking delle pubbliche amministrazioni > indagare chi sono, cosa cercano e qual è il loro
comportamento digitale.
Si possono ottimizzare altre 2 dimensioni della comunicazione pubblica: l’intensificazione delle
relazioni e l’abbattimento dei costi necessari a rendere efficaci tali relazioni.
Le dinamiche di diffusione delle innovazioni rappresentano un fenomeno da comprendere nella
sua elevata complessità > accanto alle potenzialità di un nuovo prodotto/metto tecnologico, si
doveva considerare la compatibilità, su 3 livelli: 1) Con le norme e i valori del consenso; 2) Con le
idee e le pratiche precedentemente introdotte; 3) Con i bisogni degli utilizzatori.
L’impiego dei social media al massimo delle loro potenzialità funzionali e sociali non dipenderà
soltanto e nemmeno prioritariamente, dal livello di diffusione dell’innovazione tecnologica in sé,
quanto dai contesti in cui quest’ultima è introdotta. Produrre effettivo cambiamento mediante
l’impiego dei nuovi media dipende in tale ottica dalla coltivazione di un dialogo e di una cultura
comunicativa, dentro e fuori la PA, tra una costante dialettica tra comportamenti online e offline.
6.2. I MATURITY MODELS Probabilmente a frenare i processi tecnologici e digitali nelle pubbliche
amministrazioni sono state le differenti finalità di tali amministrazioni e la mancanza di una
concorrenza di mercato nell’erogazione dei servizi. È innegabile che i social media possano
elevare l’engagement della cittadinanza, ma è anche vero che devono essere sviluppate nuove
capacità nell’attivare queste opportunità > sono stati definiti i maturity models > Bertot, Jaeger e
Grimes presentano il Maturity Model of social media adoption, in cui gli autori individuano alcune
condizioni per un efficacie percorso di integrazione e di messa a frutto del web 2.0: 1) Facile
accesso alle tecnologie 2) Garanzia di accesso a tutti gli utenti considerando le loro diverse abilità,
competenze e condizioni 3) Alfabetizzazione informatica e civica diffusa per poter usufruire e
comprendere i servizi. Questi elementi favoriscono la partecipazione democratica e l’engagment
dei cittadini; avviare un dialogo partecipativo per lo sviluppo e l’attuazione di politiche; sostenere la
co-produzione dell’amministrazione e del pubblico per sviluppare servizi migliori. Le policy
dovrebbero prevedere possibilità alternative all’amministrazione 2.0 poiché i social possono anche
escludere dal circuito informativo le persone senza accesso > questo potrebbe dar luogo a un new
democracy model, che promuove la nascita di un pubblico impegnato e informato, al quale
estendere servizi e risorse.
Lee e Kwak presentano un modello a 5 stadi, con fase di partenza priva di comunicazione
interattiva durante la quale l’amministrazione si occupa di catalogazione e trasmissione di
informazione; livello successivo definito di trasparenza dei dati che risponde a due compiti:
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identificazione di dati di alto valore e di grande impatto per il pubblico e il miglioramento e la
garanzia della qualità dei dati in termini di accuratezza, coerenza e tempestività; terza fase è
centrale la partecipazione espressiva: l’amministrazione tiene conto delle reazioni dei propri
pubblici dando loro voce e spazio; quarta fase si ha la collaborazione aperta dei cittadini e il mondo
dell’impresa. Qui è necessario che ci sia la presenza di un contesto mediale sviluppato e capace di
usare qualsiasi dispositivo e la disponibilità di dati in modo che il pubblico possa facilmente
navigare. Quinta fase quando si configura una struttura di governance volta all’innovazione
continua e al miglioramento dei programmi di stakeholder engagement.
Margel e Bretschmeider propongono un modello che tiene insieme le dimensioni tecnologiche e
quelle umane, suddiviso in 3 fasi: primo stadio detto entrapreneurship e sperimentazione, in cui si
ha l’adozione spontanea dei social media da parte di early adopters, dipendenti delle pubbliche
amministrazioni che sperimentano al difuori dell’attività lavorativa. Qui si ha mancanza di ordine e
libera iniziativa; secondo stadio in cui si passa all’ordine del caos, alla standardizzazione; terzo
stadio è quello della strategia, in cui si ha l’integrazione dei social media nella pubblica
amministrazione.
6.3 RUOLO STRATEGICO DELL’INFORMAZIONE
6.3.1. I SIGNIFICATI DELL’INFORMAZIONE assunto di fondo dei maturity models: la maturità si
raggiunge passando attraverso uno stadio intermedio, nel quale si verificano le condizioni per una
collaborazione attiva con i cittadini. La comunicazione pubblica nel nostro Paese si trova in questo
stadio intermedio, stimolata da tante opportunità ma anche insidiata dai più facili intrecci con la
comunicazione politica che rischiano di rendere più complessa una sua chiara evoluzione.
Leggendo i dati sul rapporto instaurato con i cittadini dei venti Comuni toscani attraverso un servey
online pubblicato nella pagina Facebook di tali Comuni. Hanno compilato il questionario 584
cittadini con una maggioranza nei cittadini trai 31 e 40 anni. Come si può intuire, la dimensione del
campione non consente generalizzazioni; eppure, i dati sono utili per avanzare alcune interessanti
ipotesi interpretative che dovranno essere suffragata da ulteriori indagini e da un approfondimento
delle domande di ricerca, tese ad analizzare sia gli obiettivi delle pubbliche amministrazioni che le
interazioni con i cittadini. Due sono le direttrici interpretative > la prima è guardare allo scambio
informativo fra i cittadini e istituzioni come funzionale a quella trasparenza necessaria per
un’opinione pubblica attualmente molto sfiduciata nei confronti delle performance della pubblica
amministrazione, che cerca nuove strade per ampliare ulteriormente quel monitoraggio delle
istituzioni e delle loro pratiche; la seconda ci è fornito da Lev-On e Steinfeld che analizzano le
pagine Facebook delle municipalità israeliane come hub of interactions, un approccio fecondo che
descrive un ecosistema comunicativo molto denso di attori e informazioni in circolazione e pertanto
bisognoso di aggregatori che sappiano mettere ordine nella frammentazione di tale ecosistema e
nella conseguente e progressiva segmentazione dei pubblici. La ridefinizione di Lev-On e Steinfeld
in hub of informations può garantire un processo di legittimazione delle informazioni circolanti e dei
tanti soggetti che all’interno di uno specifico territorio hanno bisogno di diffondere conoscenza sulle
proprie attività nonché di incrementare la visibilità per il perseguimento dei propri obiettivi. Le
nuove possibilità di comunicazione garantite dal digitale, anche se non determinano flussi
interattivi ma si limitano a un accrescimento della dimensione informativa, costituiscono
un’importante novità nell’ampliamento delle logiche negoziali fra cittadini e istituzioni.
Buckland > comunicazione come processo, conoscenza e oggetto. Impiegare le nuove tecnologie
digitali in un’ottica informativa, complessa e matura, comporta un’attenzione a tutte e tre le
dimensioni citate, al fine di creare un vantaggio nella relazione tra istituzione e singolo cittadino ma
anche nel più ampio scenario sociale e istituzionale, in cui il singolo processo ha luogo e in cui
apporterà valore.
6.3.2. IDENTIKIT DEL CITTADINO SOCIAL: MOLTA INFORMAZIONE, POCA INTERAZIONE
Le abitudini partecipative offline degli intervistati sono riconducibili a tre tipi: 1. Politico-istituzionale
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come riunioni di partito o commissioni consiliari; 2. Civiche come assemblee pubbliche, comitati e
movimenti cittadini; 3. Socioculturali come partecipazioni a manifestazioni ed eventi, attività no-
profit…
I comportamenti degli intervistati evidenziano che la partecipazione politica in senso stretto è
piuttosto rara ma è leggermente superiore la partecipazione a comitati e movimenti civici ed
assemblee politiche organizzate dal Comune. Queste occasioni d’incontro, a metà strada tra
partecipazione politica e impegno civico, sono esperienze capitate ad un numero maggiore di
intervistati. Nettamente superiore è la partecipazione sociale e culturale. L’azione partecipativa è
intermittente, frammentata tanto da ridefinire le forme d’interazione diretta e specifica con gli attori
locali istituzionali, maggiormente differenziate rispetto al passato.
Particolare attenzione è stata riservata alle interazioni degli intervistati con gli enti locali attraverso
il web. L’attività di gran lunga prevalente è quella informativa sia per cercare informazioni che di
condividerle > sono state cercate informazioni riguardo eventi svoltisi in prossimità dei Comuni.
Non manca l’attività di monitoraggio e seguono poi in maniera più minoritaria le modalità di
consumo di Facebook, l’abitudine di leggere i commenti degli altri utenti… Dunque, agli intervistati
interessa di più cosa fanno gli amici piuttosto che le loro opinioni. All’interno di questi dati più
generali si rintracciano differenze, seppure minime, attribuibili al genere > gli uomini tendono di più
a far sentire la propria voce mentre le donne nel cercare informazioni di pubblica utilità o vicini ai
propri luoghi di vita. Per quanto riguarda le modalità di fruizione dei contenuti e la frequenza d’uso,
al primo posto troviamo una partecipazione intermittente e uno stile prettamente informativo, più o
meno analoga la percentuale di coloro che leggono i contenuti senza intervenire e a seguire il
gruppo dei visitatori saltuari. Approfondendo la conoscenza di cosa più specificatamente facciano i
cittadini nelle pagine istituzionali dei Comuni, i primi risultati della ricerca mostrano la ricerca di
informazioni sugli eventi, su situazioni di emergenza e su informazioni riguardanti i servizi pubblici.
A seguire, con un notevole distacco, le motivazioni partecipative alla vita istituzionale sono
minoritarie. Tutto questo è servito ad evincere una generale incapacità di cittadini e istituzioni di
sfruttare appieno le potenzialità dei social in quanto non si fa adeguatamente leva sulla
socievolezza e sull’interattività per cui sono nati, né accresce il livello di engagement del cittadino
che resta un mero e passivo fruitore di dati, notizie, informazioni. Quindi abbiamo la
rappresentazione dell’informazione come un primo stadio embrionale che dovrebbe poi evolvere in
interattività, secondo un modello di sviluppo incrementale. L’uso meramente informativo è un
passaggio obbligato nella ridefinizione dei rapporti fra i cittadini e istituzioni che non manca d’avere
una sua intrinseca efficacia. La scarsa interattività e il dialogo limitato non vanno interpretati
solamente in chiave negativa bensì indicano un rapporto più formale tra cittadini e istituzioni
rispetto alle caratteristiche di immediatezza proprie dei social. Tuttavia, da un uso prevalentemente
informativo del canale possono emergere sia segnali di interesse e motivazione ma anche di
aspettative e bisogni e di importanti indicazioni strategiche per le amministrazioni su come
garantire la migliore performance per la cittadinanza. L’accrescimento del valore dell’informazione
dipende dalla capacità di rinsaldare lentamente fiducia e legittimazione fra le parti, una fiducia
erosa negli anni, nonché dal progressivo accrescimento del livello di conoscenza del cittadino delle
modalità di funzionamento e delle potenzialità del network su cui si attiva, che potrà ridefinire lo
scambio, la condivisione e la messa in circolazione dei materiali utili a un’effettiva relazione.
6.4. RIPENSARE IL RUOLO DELLA DIMENSIONE INFORMATIVA In Italia la comunicazione
pubblica nasce come dovere/esigenza delle PPAA di aprire uno spazio pubblico comunicativo, in
grado di garantire il diritto primario dei cittadini ad essere informati, condizione necessaria per una
partecipazione attiva alla vita pubblica che superi la tradizione secolare di una comunicazione top-
down, pedagogica, prescrittiva e propagandistica. La legge 150/2000 tenta di sostanziare i principi
di accesso, trasparenza e semplificazione individuando strutture e processi comunicativi basati
proprio sul rapporto tra amministrazione e cittadini e sulla circolazione delle informazioni. A ridosso
degli anni Duemila, la digitalizzazione ha visto la conseguente accelerazione dei processi di
modernizzazione in atto del settore pubblico. Un contesto in cui l’informazione si connota di un
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ruolo chiave nell’apertura, accessibilità, trasparenza, visibilità, accountability e cittadinanza
consapevole. Trasparenza e accountability richiedono legittimazione delle istituzioni pubbliche che
nella nostra realtà è carente. Le informazioni acquisibili anche mediante i social diventano le
fondamenta su cui costruire con cautela percorsi di avvicinamento, fondati sulla progressiva
conoscenza e la graduale consapevolezza e soddisfazione dei bisogni.
6.4.1. USO RIFLESSIVO E CAUTO DELLE PAGINE SOCIAL ISTITUZIONALI Questa
consapevolezza suggerisce che la fase attuale presenta un’informazione intesa come processo
che passa attraverso un uso ragionato, riflessivo e cauto delle pagine social istituzionali. Il primo
approccio è quello pull, avvenuto dopo essere venuti a conoscenza per atre vie della pagina
Facebook e prevale soprattutto negli uomini. L’altro approccio è quello push secondo cui il contatto
è suggerito da altri soggetti quali amici, dipendenti e amministratori comunali e prevale nelle
donne. Prevale tra gli utenti la consapevolezza di trovarsi in uno spazio in cui non è prioritario il
dibattito e la partecipazione attiva quanto piuttosto le finalità informative e l’utilità dei contenuti
veicolati, ponendo attenzione, riflessione e cautela nel mondo dei social in cui sembra prevalere la
condivisione istintiva.
6.4.2. IL RUOLO DELL’INFORMAZIONE COME STRUMENTO DI AZIONE E CONOSCENZA
l’informazione genera conoscenza se inserita in un contesto di significazione quando riesce ad
essere riconosciuta e identificata come risorsa che abilita all’azione, fornisce la capacità di
muoversi e di scegliere e rende possibile la partecipazione e le nuove esperienze. L’esigenza degli
intervistati è quella di acquisire attraverso le pagine social istituzionale del Comune, informazioni e
conoscenze su quanto accade nel territorio in cui si vive o si lavora.
6.4.3. LE MILLE SFACCETTATURE DEL COINVOLGIMENTO Quanto più l’informazione
ricercata soddisfa il bisogno di vicinanza al proprio contesto di vita, tanto più emerge la necessità
di approfondimento. Emerge un uso articolato da parte dei cittadini che ibridano i loro percorsi
attraverso diverse fonti, più frequentemente digitali. Quanto più l’informazione ricercata risponde a
un bisogno particolarmente avvertito, tanto più si fa strada un ruolo dinamico e attivo di chi si
informa. Si sottolinea come un’informazione mirata, che soddisfi il più possibili bisogni avvertiti e
concreti, sia in grado di coinvolgere e stimolare. I cittadini individuano nei social opportunità
molteplici, si avvicinano a essi con cautela e sta alle amministrazioni comunali far lievitare questo
processo affinché i canali social diventino utili porte per percorsi di avvicinamento e integrazione
con l’istituzione. Si può consolidare attraverso la possibilità per le amministrazioni di diventare per i
cittadini dei veri e propri hub of informations di quanto accade nel territorio e chi amministra.
Ipotesi di Lev-On e Steinfeld che attribuiscono alle amministrazioni comunali un ruolo-chiave nella
sistematizzazione, integrazione e riconoscimenti dei contenuti sia autoprodotti che eteroprodotti
ovvero prodotti da altri soggetti istituzionali attivi sul territorio. Il comune hub assumerebbe la regìa
comunicativa, facendo da snodo di tutti i flussi informativi che insistono sul territorio amministrato.
Gli enti in questo percorso possono profilare i cittadini e comprendere meglio le loro esigenze e i
loro interessi, favorendo la dimensione dell’ascolto finalizzato alla citizen satisfaction prevista dalla
legge 150/2000, evolvendo la dimensione della cittadinanza proprio sui servizi direttamente
collegati alla quotidianità, catturando l’interesse, generando dibattito, mobilitando risorse e
impegno civico.

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SLIDES E CONTENUTI SEMINARIO PERCORSI IN COMUNE
Seminario con gli autori del volume Percorsi in Comune. La comunicazione nelle municipalità
toscane (2020): Solito L., Materassi L., Pezzoli S., Sorrentino C. (Università degli studi di
Firenze)
Riguarda il livello organizzativo della pubblica amministrazione più vicino ai cittadini
Comunicazione – comune > la comunicazione lega i cittadini e il comune ed è un senso più alto
perché è un bene inappropriabile.
Un libro a più voci ma anche un percorso di ricerca che ha fatto sì che questa disciplina sia stata
progressivamente messa sotto la lente di ingrandimento di molti professionisti.
Della comunicazione pubblica, spesso, si è portati a studiarne l’aspetto più visibile ovvero le
competenze ma queste sono anche conseguenze di cambiamenti sociali e di collettività che hanno
reso la risorsa comunicativa sempre più centrali nella nostra esistenza.
Le domande dei cittadini sono sempre mutevoli in base al contesto storico-sociale in cui si vive. Le
nostre esigenze informative caratterizzano la nostra vita quotidiana ma ciascuno di noi è portatore
di istanze e bisogni che lo descrivono, queste istanze possono essere comuni ma quando il
cittadino si relaziona con l’amministratore pubblico, è portatore dei suoi bisogni. Le nostre vite
sono così tante complicate che per la soddisfazione dei nostri bisogni necessitiamo di più fonti
informative e la pubblica amministrazione oltre a fornire informazioni, si deve dedicare a tessere
relazioni.
Scenario del cambiamento: il contesto in cui nasce la comunicazione > la comunicazione pubblica
nasce e si evolve nell’intersezione dell’evoluzione dei processi di cambiamento all’interno del
sistema istituzionale ma nasce anche in un clima di profondo scetticismo riguardo la
comunicazione pubblica, con tutto un rapporto di fiducia e credibilità da ricostruire. Hanno visto
nell’apertura verso il cittadino un’esigenze oltre che ad un’opportunità. Avevano bisogno di
confrontarsi in maniera paritaria con gli altri interlocutori che hanno ottenuto una cittadinanza
conquistata e riconosciuta. Una cittadinanza che deve essere conquistata nel nostro quotidiano e
dobbiamo raggiungerla non in modo passivo ma deve essere disciolto nel nostro vivere quotidiano,
tramite una partecipazione esercitata e stimolata attraverso il vivere quotidiano. L’evoluzione e il
diritto di informare i cittadini per farli godere appieno del loro status di cittadini.
In questa intersezione tra istituzioni e cittadinanza c’è anche il sistema mediale che diventa
sempre più individuale e autonomo, organizzato e prescinde dal controllo istituzionale e dalla
domanda della cittadinanza.
Un altro aspetto che ci consente di comprendere meglio i fatti di ricerca raccontati, è la sfera
pubblica che oggi è una sfera pubblica densa in quanto composta da una trama fitta di relazioni e
flussi informativi da parte di un numero sempre maggiore di attori sociali che necessitano di una
riconoscibilità pubblica. Tutti questi soggetti competono per poter affermare il proprio punto di vista
e riconoscibilità pubblica.
Esperienza > per capire in che modo le traiettorie individuale possono essere lette alla luce
dell’evoluzione della comunicazione pubblica. Si sono moltiplicate le nostre relazioni sociali e il
cittadino vive in network relazionali che impongono ruoli sociali sempre più diversificati in maniera
davvero mai sperimentata prima. Questa moltiplicazione dei ruoli sociali ci porta di dover decidere
costantemente chi siamo nel quotidiano, non solo rivestendo ruoli decisi altrove (dal nostro status,

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possibilità economiche, professioni tramandate da generazione a generazione) ma questa
apertura verso nuove possibilità ci condanna ad una vita fatte di scelte. È un riportare le
esperienze con cui ci si confronta quotidianamente al nostro vissuto. L’esperienza è un viaggio
autobiografico che arriva alla realizzazione del sé, un processo dinamico della propria
realizzazione e identità.
Eccedenza > non abbiamo poche fonti da cui ispirarci per i nostri vissuti ma abbiamo il problema di
selezionare fra un’eccedenza informativa, fra voci e attori che reclamanano la propria legittimità e
le proprie specificità. L’esigenza di far presente la propria autorevolezza nel difendere il proprio
punto di vista. Ciascuno di noi in questa eccedenza può provare un senso di inadeguatezza in un
panorama di eccedenza informativa.
Negli anni ’90, la PA inizia a mettere mano ai propri strumenti relazionali e comunicativi in un’ottica
di risposta dei diritti dei cittadini. Si parlava di essere trasparenti e di assumere un ruolo più
paritario rispetto ai propri interlocutori. Questo è una cosa che non si è affermata in maniera
omogenea in tutte le amministrazioni, in alcuni luoghi ha trovato un terreno fertile mentre in alti
contesti ha trovato più difficoltà nell’affermarsi e tanto spesso il cittadino deve faticare per poter
accedere, individuare e selezionare informazioni buone per lui > la PA nel tempo ha dovuto
qualificare le informazioni e l’esigenza è stata quella di lavorare internamente per rendere i dati
consumabili per il cittadino comune ma hanno lavorato in maniera culturale per poter guidare le
informazioni e la comunicazione con il cittadino in modo più attivo, per costruire una relazionalità
consapevole in quanto strategicamente e volutamente ricercata per l’interlocutore, una
relazionalità costruita sulla risorsa comunicativa, di mettere in comune con il cittadino il bagaglio
informativo ma anche le logiche stesse, la mission che la PA condivide con il cittadino in una logica
generale da proteggere e costruire.
Oggi in questa esigenza di costruire una relazionalità, ci troviamo in un ripensamento della
relazionalità con i propri interlocutori. Nel testo non si parla dell’accelerazione comunicativa in
questi anni di pandemia ma questo contesto ha visto le PA investite da un protagonismo e visibilità
mai avuti prima. Questi nodi del dibattito quotidiano sono dei nodi che la pandemia ha reso più
complicati da sciogliere. Cosa riguardano
 L’’ascolto e la bidirezionalità comunicativa quindi un servizio pubblico che non si costruisce
in maniera individuale ma in un’ottica maggiormente congiunta tra cittadini e PA
 informazione e comunicazione > legge 150 del 2000 sin da suo titolo ci tiene a ribadire
l’esigenza di lavorare in due piani, un piano informativo e delle conoscenze possedute dalla
PA e un piano relazionale con il cittadino
 nuove competenze e nuove professionalità > dagli anni ’90 non solo è evoluta la PA ma
anche il sistema dei media e oggi ci si interroga su quali possono essere le nuove
professionalità, sempre meno etichettabili e sempre più mutevoli, c’è uno slittamento di
confine tra i vari ruoli.
 formazione > una formazione non per i saperi esclusivi ma che tipo di formazione è
necessaria per creare questa ibridazione fra competenze
 rapporto tra comunicazione politica e comunicazione istituzionale > nell’evoluzione della
comunicazione pubblica era necessario tracciare dei solchi tra queste due mission
comunicative ma oggi si deve faticosamente distinguere le finalità della comunicazione
pubblica e istituzionale
 coordinamento > come coordinare in maniera sinergica questa polifonia che rintracciamo
oggi all’interno delle PA
 linguaggi > da utilizzare per soddisfare e comunicare i bisogni della nuova cittadinanza
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UBIQUITA’ > pag 66 del libro > nel momento in cui si afferma e riconosce la legge 150 mette in
ordine le strutture e legittima cosa ciascun ufficio fa nei confronti delle risorse comunicative.
Oggi abbiamo una risorsa comunicativa ubiqua in quanto ogni ufficio e direzione e anche
dipendente pubblico è una fonte di informazione e produttore di relazioni. Ubiquità della risorsa
comunicativa e più persone parlano contemporaneamente di quella PA. L’ubiquità porta a una
collocazione non chiara dalla comunicazione, se tutte le persone sono portatori di comunicazione,
come riconoscere le professionalità dei comunicatori pubblici, ad oggi titolari di una competenza
specifica. Da un lato indica una ricchezza informativa che si rintraccia da più parti dell’ente ma
dall’altra opacizza le professionalità necessarie alla buona riuscita della comunicazione. Cittadini
come portatori di domande, aumento di una domanda costantemente alimentata dall’esterno che
produce sempre più atti comunicativi che devono essere governati in una sfera sempre più
competitiva.
Questi nodi impattano su tre versanti:
1. versante di tipo ambientale > capacità di leggere tutti i nodi problematici in più contesti
organizzativi e culturali. La pandemia ha dettato la ricerca di linguaggi diversi basati su
nuove esigenze e nuovo contesto diverso
2. versante organizzativo che riguarda le strutture e le competenze coinvolte
3. versante istituzionale > norme e comportamenti > da un lato ciò che la norma prescrive ma
deve anche interpretare un vissuto che nel tempo si è ridefinito nei nostri comportamenti
quotidiani. In che modo oggi i contesti territoriali rimandano alla ridefinizione di nuove
norme.
Ricerche fatte sulla municipalità toscana > il territorio toscano è letto alla luce di processi dei
cambiamenti comuni ad altri territori e l’invito è quello di usare il risultato delle ricerche dei comuni
toscani per i nostri territori.
Dove sta il problema di ubiquità? Per esempio, Whatsapp è un’app di instant messaging e il
problema dell’ubiquità è che chi gestisce il canale deve far viaggiare l’informazione in più canali e
tutti i ruoli devono essere al corrente di questo ma per fare ciò c’è bisogno di un investimento
informativo e culturale a monte. Problematiche legata alla velocità e alla molteplicità degli
strumenti che devono essere risolte tramite la valorizzazione di questi.
Ricerca iniziata nel 2014 > percorso di ricerca lunga che con azioni diverse ha mappato e
investigato le problematiche che la letteratura aveva individuato. In questa fase iniziale della
ricerca aveva lo scopo di capire a che punto erano i comuni toscani nell’adozione della legge 150.
Risposte da 269 comuni toscani.
 Nel 2014-15 costruzione di un unico database dei comuni toscani con i recapiti e ove
possibile almeno un nominativo di un referente alla comunicazione pubblica o istituzionale.
Rilevazione degli assetti organizzativi e competenze convocate
 2015-16 interviste in profondità a 36 responsabili/addetti alla comunicazione e focus group.
Approccio narrativo capace di inserire l’esperienza del singolo entro un contesto di più
vasta significazione. Confronto tra reale e auspicato
Da un lato si è lavorato con le interviste per capire i percorsi autobiografici delle 36 persone di
rivestire il ruolo attuale di comunicatori e nei focus group si è indagato in maniera più specifica le
idee della struttura comunicativa all’interno dei comuni. Quello che emerge è un panorama
estremamente eterogeneo ed è emerso un forte spirito imprenditoriale e intraprendenza dei
comunicatori, la volontà di legittimare il proprio ruolo ma è purtroppo è emersa una scarsa
competenza dei pubblici > una relazionalità poco consapevole. Per questo nel 2017 sono tornati a
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un tipo di ricerca più quantitativa distribuendo dei questionari che hanno raggiunto 46 enti dell’area
metropolitana fiorentina > territorio più specifico e l’hanno raggiunto tramite i social per indagare i
pubblici della PA in particolare i pubblici sociali.
Risultati del percorso di ricerca > chiamano la teoria precedentemente trattata e la ricerca ha
comprovato alcune questioni già diffuse nella letteratura. Nella prima parte della ricerca alcuni
aspetti emersi nella capacità di coordinamento sono stati quasi da manuale mentre la seconda
parte della ricerca inerente ai pubblici, è stata più sorprendente > le organizzazioni si trovano a
dover affrontare il superamento di una lettura dicotomica dell’evoluzione della comunicazione
pubblica e le intersezioni, sovrapposizioni e lo slittamento dei confini tra informalità e
istituzionalizzazione, tra comunicazione pubblica e privata, tra saperi esclusivi e ibridazioni
professionali in quanto nella PA molte persone si trovano a dover e voler comunicare ma la
comunicazione è un sapere specifico e tra queste persone ci deve essere l’individuazione di un
canale comune.
Sono emersi 4 auspici in sede di focus group:
1. Maggiore flessibilità e gestione più fluida ma integrata, una maggiore fluidità
dell’informazione senza che diventi una sciatteria
2. Ubiquità è una questione profondamente sentita dai dipendenti e comunicatori delle PA che
hanno sottolineata la necessità di coinvolgere tutti gli uffici nei processi comunicativi, per
riconoscere a tutti la possibilità di partecipare alla costruzione della comunicazione ad
esempio attraverso dei tavoli, un lavoro di confronto e riunione e un lavoro di traduzione nei
termini più appropriati per la comunicazione
3. Vicinanza che fa riferimento all’individuazione di una vicinanza senza che si verifichi una
competitività interna
4. Definizione di alcuni aspetti specifici di alcuni ruoli attraverso la capacità di accogliere e
riconoscere alcune competenze comunicative all’interno della comunicazione per renderle
comprensibili ai pubblici della PA
Sempre come risultati dei focus group delle organizzazioni possibili emerse:
 Modello del grande orecchio che rimanda all’ascolto ed è un tipo di organizzazione basata
sull’idea di ascoltare ciò che arriva principalmente dai punti di contatto con il pubblico, farlo
proprio e integrarlo tramite miglioramenti soddisfando i bisogni dei cittadini, il tutto in
maniera coordinata e in accordo con la dimensione politica, con il portavoce del sindaco…
che ascolta i bisogni.
 Modello della squadra è un modello paritario che lavora per tavoli di confronto per decidere
le strategie comunicative della PA. Mettere in comune necessità, bisogni e risorse in modo
tale che la PA possa farlo in maniera coordinata
 Modello della redazione che si preoccupa della visibilità della PA, in maniera tale da poter
essere apprezzata dall’esterno > ruolo dell’ufficio stampa. Anche in questo caso l’auspicio
è quello di un lavoro coordinato.
L’impatto dei social media > come leggere l’impiego del web sociale nelle relazioni tra cittadini e
istituzioni? Tale impiego è compatibile con il contesto organizzativo, culturale e sociale?
MATURITY MODELS
 Bertot, Jaeger e Hansen 2012 > forma di alfabetizzazione informatica e civica diffusa per
aumentare l’accesso e la partecipazione di decisione della PA per rendere i cittadini più
proattivi nel processo decisionale.
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 Lee e Kwak (2012) > secondo loro i social sono delle opportunità per mettere in contatto i
cittadini, le imprese e le altre istituzioni per una ricchezza di opportunità per rinnovare
quelle che erano le possibilità della PA
 Merge e Bretschneider (2013) > fanno sì che i social media diventano all’interno
dell’organizzazione non degli intrusi ma degli oggetti costitutivi dell’operato della PA.
Rogers
Ricerca sui cittadini > nelle pagine Facebook delle PA. Information maturity model. Cosa fanno
online e offline in termini di partecipazione alla vita istituzionale. I cittadini sono in una fascia di età
ampia che va dai 30 ai 55, sono leggermente in maggioranza maschile (52% m e 48% f) e la
partecipazione alla vita pubblica si esprime con qualche occasionale partecipazione a
manifestazioni politiche. Ciò che emerge è una partecipazione di stampo culturale che va
dall’interesse per l’attività folkloristica organizzata dal comune e altri eventi culturali più pregiati.
Cosa invece fanno online? Il cittadino che risponde e che dunque è abbastanza attivo, manifesta
quella che Schatzon chiama partecipazione calda, una partecipazione per interessi specifici, il
cittadino si attiva solo su determinati interessi. Intorno al 50% dei cittadini utilizzano i social per
informazioni > gli uomini commentano di più mentre le donne tendono di più a condividere e
mandare avanti l’informazione. Prossimità in termini di residenza. Informazioni su eventi e su
emergenze che stanno avvenendo nel territorio.
In che modo ci si attiva? Per conoscenza perché abbiamo visto la pagina condivisa da qualcuno
che conosciamo ma ci si attiva anche perché conosciamo i contenuti e siamo in accordo o in
disaccordo. Da un lato c’è uno spazio di espressione delle idee e opinioni.
Domanda aperta finale > è vero che le PA non danno granché spazio alla comunicazione e
relazione perché hanno fatto un’attività principalmente di informazione nei social media ma nello
spazio destinato non codificate, è emerso che i cittadini vogliono più informazioni sulle istituzioni
anche storicamente per ricostruire anche una sorta di appartenenza. Chiedono più ascolto e
interazione anche di risposta ai commenti in maniera più veloce e meno politica.
Non ricerca sistematica

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