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Multiculturalismo quotidiano

Verso una definizione sociologica della differenza

di ENZO COLOMBO

1. Il successo della differenza

A partire dagli anni ’80 il tema della differenza ha assunto


una rilevanza particolare nelle società occidentali contempora-
nee. Si assiste infatti a un rapido diffondersi di una maggiore
sensibilità verso le specificità individuali e di gruppo che si
trasformano in strumenti retorici centrali per la formulazione di
nuove domande di inclusione o per la rivendicazione di privilegi.
Il riconoscimento pubblico della propria differenza costituisce
uno degli ambiti di scontro più evidenti e una delle principali
poste in gioco di gran parte degli attuali conflitti sociali. Questo
non significa che tutti abbiano o desiderino una «differenza»,
né, tanto meno, che siano soddisfatti di quella loro socialmente
riconosciuta; segnala unicamente che la differenza è divenuta
una argomentazione plausibile, ritenuta legittima e dotata di una
certa forza retorica per rendere conto della realtà sociale e del
comportamento, individuale e collettivo.
Il contesto più generale entro cui la riflessione proposta si
inserisce tende a considerare le società occidentali contempora-
nee come caratterizzate da una radicale rimessa in discussione
dei principi della modernità. Dalla seconda metà degli anni ’60
si assiste a una diffusa e profonda ridefinizione dei modi di
essere, di conoscere e di narrare (Colombo 1998) che avevano
caratterizzato le società moderne a partire dalla fine del XVIII
secolo. La valutazione positiva della differenza rappresenta forse
uno dei più evidenti segni di questo tentativo di revisione critica
dei concetti della modernità.
Un contributo fondamentale per la trasformazione del signi-
ficato attribuito alla differenza e al suo riconoscimento pubblico

RASSEGNA ITALIANA DI SOCIOLOGIA / a. XLVII, n. 2, aprile-giugno 2006


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viene dall’azione dei nuovi movimenti sociali i quali, al di là dei


temi specifici verso cui orientano la loro azione, sono impegnati
a rimettere in discussione i modelli sociali dominanti, accusandoli
di rinchiudere le specificità personali entro percorsi omologanti.
L’anticonformismo, la capacità di critica e di opposizione, il ri-
fiuto della tradizione e dei valori dei genitori costituiscono nuovi
modelli di identificazione che pongono in primo piano l’impor-
tanza delle scelte e delle esperienze personali, la variabilità degli
stili di vita, la capacità di distinguersi e di sfuggire al controllo
omologante del senso comune (Melucci 1982; 1991).
La differenza e la richiesta che essa venga pubblicamente
riconosciuta divengono un valore. All’opposto, l’idea di egua-
glianza – soprattutto per il significato che essa assume all’interno
dell’ideologia politica del melting pot – viene accusata non tanto
di essere un valore formalmente esaltato ma in realtà non realiz-
zato, quanto di costituire un obiettivo politico che, lontano dal
promuovere partecipazione e maggiore giustizia sociale, produce
forme di omologazione funzionali al mantenimento del dominio
di un particolare gruppo sociale (quello dei maschi, bianchi,
eterosessuali, cristiani, borghesi). Gli afroamericani, le donne, gli
omosessuali non si mobilitano più unicamente per poter parte-
cipare «alla pari» alla vita sociale, al di là di ogni differenza di
genere, età, religione, appartenenza etnica o preferenza sessuale,
né per avere accesso a risorse o ambiti da cui sono stati tradi-
zionalmente esclusi, ma rivendicano la possibilità di conservare e
manifestare pubblicamente le proprie differenze senza per questo
essere discriminati e stigmatizzati (Beccalli 1998).
Mantenere le proprie specifiche differenze diviene un requisito
indispensabile per una effettiva partecipazione egualitaria.
I processi di individualizzazione (Beck 2000), favoriti dalle
trasformazioni della produzione e del mercato, costituiscono
un secondo rilevante elemento di spinta verso una valutazione
positiva della differenza. Il superamento del modello di produ-
zione fordista (Piore e Sabel 1987) e l’imporsi di una «società
dei consumi» (Baudrillard 1970) hanno favorito il passaggio
da una produzione di beni durevoli altamente standardizzati
a una produzione flessibile e differenziata di beni voluttuari e
di servizi immateriali che contribuiscono a esaltare l’unicità del
consumatore. Il discorso dominante celebra la libertà di scelta
consentita dal mercato come strumento di partecipazione e rea-
lizzazione personale. Attraverso il consumo, è possibile scegliere
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e possedere oggetti e prestazioni che, proprio per l’unicità della


selezione che ognuno può realizzare, riflettono e amplificano le
qualità particolari e irripetibili di chi le ha realizzate. Costruire la
propria specifica identità diviene il fine e la gratificazione ricavata
dal consumo; identità che viene percepita degna di valore nella
misura in cui si presenta come unica e personale, nella misura
in cui differenzia e distingue.
I processi di individualizzazione si connettono inoltre a un
diffuso aumento della capacità personale (Melucci 2000), cioè
delle risorse individuali a disposizione dei soggetti sociali per
pensarsi, definirsi e agire come soggetti autonomi e per investire
nella realizzazione di sé come persona umana. Capacità personale
che diviene un elemento strutturale nel funzionamento delle so-
cietà complesse, le quali richiedono in forma sempre più diffusa
non comportamenti standardizzati ma attori in grado di fungere
da terminali attivi, capaci di scelta tra opzioni differenziate e di
azione autonomamente decisa.
Anche lo sviluppo di nuove teorie della conoscenza con-
tribuisce a una valutazione positiva della differenza. La svolta
epistemologica del secondo dopoguerra mette in discussione in
modo definitivo il modello di conoscenza positivista, sottolineando
il carattere inevitabilmente parziale e situato di ogni forma di
conoscenza nonché la rilevanza dell’osservatore. I contributi della
filosofia del linguaggio, dell’ermeneutica, della semiotica, della
sociologia e della nuova filosofia della scienza sottolineano come
la realtà percepita non sia indipendente dalle forme linguistiche
utilizzate per descriverla e come sia problematico continuare a
pensare che il linguaggio possa limitarsi a riflettere una realtà
data e universale. Si fa strada una prospettiva relativista che
assume che il significato e il contenuto di verità di un’afferma-
zione non possano essere dedotti dalla relazione tra nome e cosa
nominata ma debbano essere valutati in base alla situazione, alle
relazioni sociali in cui tale affermazione è avanzata nonché alle
caratteristiche individuali di chi la propone1.
La decostruzione critica dei concetti di eguaglianza e di
universalismo, centrali per la modernità, e il rilievo assunto dal

1
In campo sociologico, l’etnometodologia (Garfinkel 1967) e il costruzionismo
(Berger e Luckmann 1969) mettono in luce come la realtà sociale sia il risultato di
pratiche e procedure che la costituiscono come realtà data e non problematica. Si evi-
denzia che ciò che appare come ontologico e universale, in realtà è il risultato di una
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concetto di differenza non possono essere compresi se non si-


tuandoli nel diffondersi dei processi di globalizzazione (Giddens
1994; Featherstone, Lash e Robertson 1995; Robertson 1992). La
maggiore disponibilità di mezzi rapidi di spostamento e la diffu-
sione dei mezzi di comunicazione di massa rendono più diffusa
e «quotidiana» l’esperienza della differenza, favorendo, almeno
in forma mediata e immaginata, la percezione dell’esistenza di
differenti possibilità e di differenti prospettive. Come sottolinea
Appadurai (2001, 17), immagini in movimento che incrociano
spettatori deterritorializzati creano «sfere pubbliche diasporiche»,
nuovi spazi sociali, politici e culturali attraversati e caratterizzati
dalla differenza e dalla volontà di preservarla, senza annullarla
in una sintesi percepita come perdita e riduzione. Spazi che
mettono in crisi le teorie che pongono lo stato-nazione al centro
dei fenomeni di regolazione e mutamento sociale e considerano
l’eguaglianza come premessa indispensabile per la solidarietà
e la giustizia sociale (Beck 2005). In particolare, i processi di
globalizzazione favoriscono la creazione di comunità deterritoria-
lizzate, transnazionali e cosmopolite, caratterizzate dall’esperienza
del movimento e della diaspora più che dalla condivisione di
un luogo. Condizioni che consentono di mantenere radicati e
concreti legami con il gruppo e il paese di provenienza e che
sostengono la volontà di affermare e mantenere una visibile di-
stinzione rispetto al nuovo contesto di migrazione (Tarrius 2000;
Davis 2001; Sassen 2002).
L’insieme di questi fattori – azione culturale dei nuovi movi-
menti sociali, trasformazioni della produzione e affermarsi della
società dei consumi, svolta linguistica ed epistemologica, diffondersi
dei processi di globalizzazione – contribuiscono a trasformare il
significato attribuito alla differenza, che ora è sempre più percepita
come un valore da difendere e un elemento fondamentale per la

costruzione sociale, di una continua opera di revisione, modifica, aggiustamento che è


profondamente radicata nella condizione storica e culturale particolare di ogni specifico
gruppo sociale. L’antropologia interpretativa (Geertz 1973; 2001; Clifford e Marcus 1986;
Marcus e Fisher 1986) sottolinea che valori, conoscenze e verità sono relative, dipendono
cioè dal contesto sociale e culturale in cui sono prodotte. La nuova sociologia critica
(Foucault 1969; 1977; Said 1991; Hall 1992) evidenzia come queste attività particolari
di produzione di verità parziali siano in stretta relazione con il potere. Potere e sapere
vengono visti come inseparabili e ogni forma di conoscenza viene considerata capace
di costituire un modo specifico di guardare alla realtà sociale contribuendo a renderla
legittima e a disciplinarne i rapporti sociali.
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piena e autonoma realizzazione personale e collettiva. Per essere in


grado di un’azione libera e consapevole, gli individui e i gruppi
devono, prima di tutto, essere riconosciuti nella loro specificità e
nella loro irriducibile unicità. Ogni mancato riconoscimento, così
come ogni riconoscimento parziale che restituisce un’immagine
negativa o distorta, mina la capacità personale, la possibilità di
sviluppare una piena stima di sé e quindi la possibilità stessa
dell’azione auto-diretta (Taylor 1992).
La differenza, inizialmente veicolo per segnalare, con intento
critico, il carattere egemonico e oppressivo dello sguardo moderno,
positivista ed etnocentrico, orientato a una sintesi omologante e
a un universalismo ostile a ogni manifestazione di resistenza e
devianza, si è oggi spesso trasformata (come i concetti analoghi
di identità e cultura) in un’ossessione. Diviene «irrinunciabile»,
«costitutiva» e si pone come base per una possibile politica della
differenza (Young 1996), cioè per azioni attive in difesa della
propria specificità e orientate al riconoscimento di trattamenti
differenziati per gruppi differenziati.

2. Il confuso statuto teorico della differenza

Gran parte dell’attuale dibattito sulle società multiculturali,


sulla comunicazione interculturale o sul cosmopolitismo assume
la differenza come un fattore rilevante e si concentra sulla possi-
bilità di garantire un certo grado di inclusione, di cooperazione
e di accordo senza annullare le specificità che coesistono nel
medesimo spazio sociale e politico2.
Ma questo dibattito risulta spesso confuso, perché confu-
so rimane lo statuto concettuale attribuito alla differenza. La
differenza tende, infatti, a essere considerata un sinonimo di
identità (quando si parla di sé e del proprio gruppo) o a es-
serle contrapposta in modo dicotomico (quando ci si riferisce
ad «altri»); tende inoltre a essere diluita nella sua specificità
venendo sovrapposta ai concetti di gruppo, di appartenenza e di
cultura. Lo statuto incerto del concetto di differenza rende più
difficile prendere posizione in relazione alle molteplici richieste

2
Per una sintesi dell’attuale dibattito si rimanda a Baumann 2003; Piccone Stella
2003; Colombo 2002; Featherstone 2002; Skrbis et al. 2004.
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di riconoscimento delle specificità e alle diversificate richieste di


esclusione e inclusione; fino a che punto accettare le differenze,
se e come poterle valutare, quali richieste di riconoscimento
debbono essere accolte, quali contrastate e respinte, rimangono
questioni cruciali e controverse.
Semplificando e introducendo una certa forzatura, è possi-
bile evidenziare due posizioni limite contrapposte. Da un lato,
la differenza viene assunta come caratteristica forte, fondante le
specificità individuali e collettive, dall’altro, viene considerata
pura contingenza, risultato temporaneo e instabile, costruzione
continua.
Nel primo caso, la differenza viene spesso presentata come
essenza, come il nucleo più profondo e autentico che fonda la
ragione di esistenza del singolo o del gruppo, qualcosa che si
è ricevuto come dotazione personale particolare o come eredità
forgiata attraverso lunghi periodi storici, costituita dalla sedi-
mentazione dei più sacri saperi del gruppo e che ora influenza
e guida le azioni, i pensieri, le volontà individuali e collettive.
Il soggetto e i gruppi privati di questo loro bagaglio specifico,
privati della loro differenza, sono espropriati della capacità di
agire e di pensarsi come soggetti umani.
La visione essenzialista della differenza è uno degli assunti
problematici che rendono contraddittoria e paradossale la posizio-
ne multiculturale. Sia i fautori del rispetto e del riconoscimento
delle differenze sia gli oppositori della prospettiva multiculturale
tendono infatti a promuovere un feticismo della differenza (Turner
1994) che trasforma la specificità in un valore assoluto, da pre-
servare da ogni possibile perdita o alterazione, contrapponendosi
in modo deciso e frontale ad altre forme di differenza che la
minacciano. L’assunto essenzialista rende le differenze incom-
mensurabili proprio perché costruite nell’esclusione reciproca;
le cristallizza in unità coerenti e compatte sottratte ad ogni
storicità, ad ogni possibile mutamento. Lo scenario sociale che
ne consegue è un mosaico di diverse unità culturali, omogenee
e chiaramente distinte, adeguatamente separate le une dalle altre
in modo che la loro specificità non venga corrotta da influenze
reciproche. Si favorisce così lo sviluppo di una nuova retorica
dell’esclusione, spesso ad unico vantaggio dei gruppi dominanti
e dotati di maggiori risorse.
La visione essenzialista, che fa della differenza la sostanza
irrinunciabile per la costruzione dell’identità, dell’autodetermina-
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zione e dell’autostima, è compatibile anche con una prospettiva


di radicale relativismo che dissolve la specificità in una differenza
ineliminabile e ubiquitaria. L’idea che la differenza costituisca
la base essenziale della visione del mondo di un individuo e
di un gruppo e che tale base sia il risultato della particolare e
irripetibile storia personale e collettiva porta a considerare ogni
differenza come unica, non comprensibile e non valutabile se
non dall’interno, dai membri che la abitano e ne sono abitati.
Le differenze sono prive di fondamento oggettivo, puro risultato
di contingenze, ma nondimeno costituiscono il fondamento per
l’identità e la premessa necessaria per l’azione. Pur negandone
la base oggettiva e quindi un’essenzialità primordiale, «naturale»,
si riconosce alla differenza il carattere di fondamento essenziale
per lo sviluppo di una piena consapevolezza identitaria. Non
solo, slegando la differenza da ogni oggettività ed esaltandone il
carattere di scelta, si sostiene l’impossibilità di giudizi di valore
e di merito che non provengano dall’interno, che non traggano
legittimità dall’appartenenza.
La differenza risulta così essere uno strumento poco utile,
sia sul piano descrittivo sia su quello conoscitivo; indica uno
stato di fatto del mondo che è contemporaneamente del tutto
accidentale e fondante ogni reale possibilità di riconoscimento
e di azione. Uno strumento che può essere usato solo da chi è
interno, ma sfugge ogni possibilità di comparazione e giudizio.
Lo scenario sociale che ne consegue è quello di individui e
gruppi che convivono nell’indifferenza reciproca; che sono pie-
namente liberi e onnipotenti nel definire la propria caratteristica
specificità a prezzo di chiudere ogni possibile comunicazione,
di sottrarsi ad ogni possibile confronto critico. Un relativismo
radicale fondato sull’idea di intraducibilità e incommensurabilità
porta all’indifferenza e all’isolamento (Benhabib 2005).
Uno dei contributi più rilevanti della riflessione antropologica
e sociologica al dibattito relativo a differenza, identità e cultura
consiste nella decostruzione critica della prospettiva essenzialista.
A partire da una epistemologia costruzionista, si mette in eviden-
za che differenze, identità e culture non sono date ma prodotte
in un’opera continua di mediazione, confronto, adeguamento e
conflitto tra possibilità differenziate. Non esistono come realtà
pure, ma solo come processi intrinsecamente caratterizzati da
contraddizione, instabilità, mutamento e miscelazione (Hannerz
2001; Amselle 1999; Nederveen Pieterse 2005).
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Neppure questa posizione sembra, però, priva di contrad-


dizioni. La prospettiva anti-essenzialista, infatti, tende spesso a
scivolare verso un radicale processualismo che dissolve la specifi-
cità in una continua produzione di differenze e identità prive di
stabilità. Così facendo, occulta l’azione del potere e il carattere
asimmetrico connesso a ogni definizione di differenza. L’insistenza
postmoderna e poststrutturalista sul carattere inevitabilmente ibrido
di ogni identità e cultura toglie di fatto rilievo alla differenza,
trasformandola in un elemento costitutivo ma non caratterizzante
(Young 1995; Werbner e Modood 1997). Favorisce l’idea che le
differenze siano equivalenti e simmetriche, che l’ibrido sia una
nuova condizione di parità che somma e trasforma le differenze
iniziali secondo logiche di miscelazione continua che occultano
e rendono apparentemente insignificanti le diverse posizioni di
potere. L’ibrido tende ad apparire sempre positivo, sempre ca-
pace di lasciarsi alle spalle le disparità e le disuguaglianze degli
elementi che entrano in contatto.
Il concetto di ibrido appare importante sul piano analitico
e teorico perché consente di superare la logica esclusiva delle
categorie binarie (Beck 2005); consente di porre attenzione agli
spazi intermedi, in-between (Bhabha 2001), agli spazi liminali
e di resistenza (bell hooks 1998), permette inoltre di superare
una visione essenzialista dell’identità e della cultura evidenziando
l’importanza del dialogo, del confronto, del movimento e della
diaspora (Hall 1990; Gilroy 1993). Segnala che identità, culture
e differenze non si danno mai in forma pura e omogenea, ma
trovano condizione di possibilità nel confronto continuo, nel loro
carattere indefinito e impuro (Clifford 1993), nello spazio inter-
medio che risulta dall’impossibilità di definire in modo preciso
la propria e l’altrui identità e la propria e l’altrui differenza.
L’ibridazione non si limita dunque a un catalogo di differenze, la
sua consistenza non risulta dalla somma delle parti, ma emerge
dal processo di dialogo, confronto e trasformazione di identità
e differenze (Papastergiadis 1997).
L’attenzione positiva ai processi di miscelazione rischia co-
munque di scivolare verso un piano normativo che occulta le
dinamiche di potere presentando l’ibrido come trasgressione
creativa, emancipazione da precedenti vincoli e poteri, condizione
auspicabile per una maggiore consapevolezza e una più ampia
garanzia di libertà e di giustizia. Si tende così a sottovalutare
la possibilità che la creazione di ibridi sia legata a violenza e
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alienazione, alla formazione di nuove disparità e nuovi confini


(West 1992; Anthias 2001). L’enfasi sulla forza di emancipazione
dell’ibrido può anche essere funzionale alla costruzione di una
nuova ideologia che cerca di far fronte al declino dell’egemonia
occidentale; un’ideologia orientata alla costruzione di nuove forme
di dominio e di modelli positivi di riconoscimento per un’élite
di cosmopoliti, sganciati dall’appartenenza nazionale, che si ca-
ratterizza per la sua capacità di passare da un contesto all’altro,
di rendersi mobile e flessibile (Friedman 1999).
Il concetto di ibrido risulta inoltre confuso quando utiliz-
zato empiricamente. Infatti, se, da un lato, in sintonia con la
critica decostruzionista ai concetti di differenza, identità, etnia
e cultura, sottolinea l’impossibilità di utilizzare in modo acritico
questi concetti – considerandoli come entità costituenti i soggetti
e la realtà sociale o come entità capaci di determinare le azio-
ni e le conformazioni istituzionalizzate –, dall’altro, rischia di
favorire un’immagine eccessivamente fluida e contingente della
differenza, un’immagine in contrasto con l’evidenza empirica che
mostra quanto differenze e identità siano spesso percepite come
elementi «concreti», irrinunciabili per la definizione di sé e del
proprio gruppo.

3. Per una definizione sociologica della differenza

Entrambe le prospettive – essenzialista e processuale radicale


– risultano insoddisfacenti per comprendere e prendere posizione
nei confronti delle richieste di riconoscimento della differenza
avanzate nella società contemporanea. Per rispondere adegua-
tamente alla questione centrale posta dal multiculturalismo e
dalle principali trasformazioni della società postmoderna – cioè,
come vivere con la differenza, come rivendicare l’importanza del
suo riconoscimento senza dissolvere ogni possibilità di legame
sociale e di solidarietà – risulta importante dare un contenuto
sociologico al concetto di differenza, cioè analizzare come viene
utilizzata nell’interazione sociale, da chi, in quali contesti e con
quali intenti.
A questo scopo, appare utile orientare l’attenzione analitica
alle situazioni di multiculturalismo quotidiano, cioè a situazioni
concrete di interazione in cui la differenza diviene, per almeno
una parte degli attori coinvolti, un elemento rilevante per la
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costruzione della realtà sociale e per il senso che ad essa viene


attribuito. Multiculturalismo quotidiano intende segnalare, con-
temporaneamente, uno spazio empirico di osservazione e una
particolare prospettiva analitica.
Nel primo caso si riferisce a situazioni specificamente urbane di
confronto continuo con la differenza, ambiti di interazioni ripetute
tra soggetti che fanno della differenza uno degli strumenti centrali
di interazione, comunicazione e attribuzione di senso. Rimanda
al diffondersi di situazioni di multiculturalismo «banale», minuto
e inserito in routine quotidiane, in cui «saper fare i conti» con
la differenza costituisce una competenza ordinaria e necessaria.
Contesti sempre più diffusi in cui l’alterità viene percepita come
una presenza continua (lo straniero che oggi è qui e domani
rimane, illustrato da Simmel), in cui creare, riconoscere, utilizzare
o dissolvere differenze diviene una necessità costante per avere
accesso a risorse materiali e simboliche scarse (Baumann 1996;
Blockland 2003). Contesti in cui la necessità di una relazione
continua con chi è definito come diverso richiede un costante
lavoro di addomesticamento; lavoro in cui le caratteristiche at-
tribuite alla differenza dalle reificazioni prodotte su scala macro
(dai mezzi di comunicazione, dal discorso politico, dalle discus-
sioni astratte e generalizzate relative al multiculturalismo e alle
politiche della differenza) sono continuamente riviste, rinforzate o
trasformate in base alle particolarità contestuali, senza che però
si dissolvano in una continua e irrilevante produzione di ibridi.
Intende richiamare l’attenzione alle situazioni di interazione in
cui l’Altro viene continuamente dotato di senso, ricondotto al
solito e al noto, ma non necessariamente al medesimo, lasciando
spazio per adattamenti, conflitti e mutamenti. Luoghi di inte-
razione in cui la differenza non è completamente imposta, ma
risultato di dialoghi e conflitti che avvengono non in condizioni
di eguaglianza e parità ma in condizioni di differenze di potere,
di capacità e di risorse.
Dare un senso alla musica ad alto volume o all’intenso odore
di cibo che si diffonde dall’abitazione del nuovo vicino, ridefi-
nire simbolicamente lo spazio dopo che la panchina solitamente
utilizzata nel parco del quartiere è stata monopolizzata da un
gruppo di adolescenti (Blockland 2003), imparare a rispondere
alle aspettative dei propri clienti circa l’autenticità etnica dei
propri prodotti di cui non si conosce l’esatta provenienza (Semi
2004), lasciare che gli altri ci considerino stranieri anche se si
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è nati e cresciuti in Italia per sottrarsi ad alcuni obblighi o per


essere giustificati in alcune mancanze (Frisina 2005), la necessità
di ridefinire il carattere e le azioni della badante rumena che si
prende cura del nostro genitore anziano per distinguerla dalla
rappresentazione deviante e negativa assegnata a questo gruppo
nazionale dal discorso macro, le diverse forme di identificazione
utilizzate dai giovani adolescenti figli di immigrati in contesti dif-
ferenti (Bosisio et al. 2005), possono essere esempi di ricorrente
multiculturalismo quotidiano.
La dimensione quotidiana è qui rilevante non perché carat-
terizzata spazialmente, come territorio del privato, dell’intimo
e del domestico, ma piuttosto perché definita relazionalmente,
come «luogo», cioè come insieme delle pratiche ordinarie, banali,
costitutive, embedded (Giddens 1994). Luogo che costituisce la
base dell’esperienza situata, del qui ed ora, ma che non è com-
pletamente definito dalla prossimità, dal territorio della comunità,
dai vincoli del vicinato o della parentela. Al contrario – e qui
sta una delle specificità aggiunte oggi dall’ubiquitaria presenza
della differenza in uno scenario di crescente globalizzazione – il
luogo quotidiano si configura aperto e connesso a dimensioni che
trascendono il qui ed ora del contesto immediato, trasformando
in modo inedito le relazioni e le pratiche banali, ordinarie (Beck
2005).
Come prospettiva analitica, multiculturalismo quotidiano in-
tende porre in primo piano la necessità di superare la banale
constatazione che la differenza è una costruzione sociale, per
concentrarsi sui modi di tale costruzione, mettendoli in relazione
con i contesti, micro e macro, che li rendono possibili e credibi-
li. La differenza è qui vista come una pratica, una performance
continua, a volte risultato di conflitti manifesti, altre volte del
lavoro di routine orientato a confermare o modificare il senso
condiviso attribuito alla realtà in cui si è inseriti (Sarat 2002).
È nell’ambito del multiculturalismo quotidiano che sembra più
evidente rilevare come la differenza assuma oggi un carattere di
risorsa: principale strumento retorico e politico che consente di
utilizzare discorsi, identificazioni e alleanze che si creano a livello
macro per adattarli e trasformarli nelle necessità contingenti del-
l’azione situata. Così come la vita quotidiana sembra oggi porsi
come punto privilegiato di osservazione per analizzare come il
generale e il globale vengono rielaborati nell’esperienza locale e
individuale – dando vita a quella che Robertson (1992) definisce
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la dimensione glocale –, il multiculturalismo quotidiano sembra


caratterizzarsi per la capacità di evidenziare come la differenza,
nella sua concreta forma di risorsa politica e argomentativa,
si costituisca nello sforzo continuo di adattare e trasformare i
discorsi dominanti relativi alla differenza in discorsi demotici
(Baumann 1997), cioè di usare le rappresentazioni reificate della
differenza e dell’appartenenza che vengono costruite e diffuse su
scala globale (dal discorso politico, dai mezzi di comunicazione
di massa) in strumenti relazionali, in risorse per l’azione.
La differenza si dimostra essere un’importante risorsa politica
e argomentativa, capace di dare senso a se stessi e alla realtà
in cui ci si trova ad agire, credibile se utilizzata per rivendicare
diritti o per tracciare confini e distinzioni. Una risorsa che rimane
caratterizzata da ambivalenza e che quindi va giudicata non sul
piano astratto della sua essenza, ma su quello empirico del suo
utilizzo. Si tratta di una risorsa polivalente che non può essere
valutata astraendo dal contesto concreto in cui viene evocata e
utilizzata o dalla posizione di potere di chi se ne fa promotore.
Una risorsa che può essere utilizzata come base per una strategia
orientata ad ottenere visibilità, ascolto, giustizia o privilegi, ma
che molto più frequentemente, nella dimensione banale e quoti-
diana, assume la forma della tattica e della resistenza (de Certeau
1990), cioè la forma di opportunità da cogliere nel momento e
nel contesto imprevisto in cui si presentano, atto non pienamente
consapevole di sovversione, critica non attuata criticamente.
Osservate a livello di multiculturalismo quotidiano, le rappre-
sentazioni comuni più diffuse della differenza (essenza, processo
continuo, risorsa strategica utilizzata in modo razionale) costitui-
scono delle possibilità mai attuabili in forma pura. La differenza
appare piuttosto un costante e situato lavoro di produzione e
superamento di distinzioni; un lavoro il cui prodotto richiede
un certo grado di credibilità e di stabilità per risultare efficace,
ma che rischia di perdere questa sua efficacia se non può esse-
re continuamente adattato alla specificità dei contesti entro cui
è utilizzato. Un lavoro che non dipende solo dalla volontà o
dalla sensibilità dei singoli, ma che risente di vincoli strutturali
e condizioni di potere che trascendono le capacità razionali e
strategiche degli attori coinvolti.
Assumere questa particolare prospettiva consente di far fronte
alla necessità di prendere sul serio la differenza come elemento
centrale dell’azione sociale nel mondo contemporaneo senza
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rinunciare a esprimere un giudizio critico nei confronti delle


singole e concrete richieste di riconoscimento e senza occultare
la dimensione di potere né la potenziale capacità di creazione
di esclusione che ogni riconoscimento di specificità comporta.
Per prendere posizione nei confronti delle diverse richieste di
riconoscimento della differenza appare utile considerare non tanto
i contenuti della differenza, quanto chi, come, in quali contesti
e con quali risultati se ne fa suo promotore.
A partire da queste domande, è possibile cercare di definire
alcune tra le principali configurazioni che la differenza assume
nel multiculturalismo quotidiano e analizzare quali scenari di in-
clusione e di accessibilità si rendono attuabili e credibili, nonché
le condizioni minimali che li rendono tali.

4. Configurazioni quotidiane di utilizzo della differenza

Il rilievo assunto dalla differenza come risorsa per l’azione


– oltre a collegarsi all’importanza che essa assume nella società
contemporanea – è legato sia al fatto che essa sembra costitui-
re una risorsa ampiamente disponibile (si basa su qualcosa che
potenzialmente tutti possiedono) (Stolke 1995) sia al fatto che
si presta a un uso poliedrico. Innanzitutto, la differenza si pre-
senta come nuova forma di identificazione, cioè come strumento
di resistenza contro l’omologazione nel modello dominante. Il
ricorso ad argomentazioni basate sul diritto a essere riconosciuti
e a vedere difesa la propria specificità sono divenuti strumenti
legittimi per retoriche e pratiche di opposizione verso altri mo-
delli, soprattutto se dominanti e maggioritari. Nell’ambito del
multiculturalismo quotidiano tende a garantire la possibilità di
rivendicare spazi di indipendenza, manifestazioni di autonomia e
libertà di definire e manifestare le proprie preferenze. L’azione
dei movimenti femministi e di altri gruppi che rivendicano una
specificità soprattutto di ordine culturale, ha ampiamente utilizzato
e diffuso questo modello di argomentazione e di azione.
La differenza si presenta inoltre come nuova forma di uni-
versalismo, cioè come strategia di legittimazione di richieste di
inclusione. Denuncia forme antiche e radicate di discriminazione
e rivendica priorità nella distribuzione di risorse scarse in grado
di compensare e risarcire le minoranze per l’iniquo trattamento
ricevuto. Nel multiculturalismo quotidiano si manifesta inoltre
282 Enzo Colombo

come richiesta di riconoscimento di una specificità precedente-


mente negata o marginalizzata. Il riconoscimento di appartenenza
a specifiche differenze diviene strumento per acquisire posizioni
vantaggiose rispetto ai criteri di allocazione di particolari beni
o servizi. Solitamente, perché domande di inclusione veicolate
dalla differenza possano essere riconosciute ed accettate, è ne-
cessario che siano collocate in un discorso che ammette una
sottostante unità (Sarat 2002). Solo quando la differenza che
fonda la richiesta di riconoscimento e di trattamento preferen-
ziale è sufficientemente addomesticata da rientrare negli assunti
culturali prevalenti e nelle routine istituzionali ha possibilità di
essere ritenuta legittima.
Può inoltre essere base per nuove forme di privilegio, cioè
essere trasformata in strumento strategico per ottenere vantaggi:
può essere usata per costruire barriere e confini che riducono
la concorrenza rispetto alla distribuzione delle risorse disponibili.
La differenza diviene in questo caso strumento di esclusione e
di protezione degli interessi del gruppo con cui ci si identifica.
La costituzione di comitati da parte delle élite locali e l’elabo-
razione di discorsi ostili verso la differenza altrui, basati sulla
difesa della propria specificità, costituiscono esempi empirici di
questo specifico utilizzo della differenza.
Infine, si può presentare come nuova forma di critica sociale,
cioè come strategia di legittimazione per la richiesta di ridiscutere
e modificare le regole che fondano lo status quo. In questo caso
la differenza viene utilizzata per evidenziare e smascherare l’azione
di dominio esercitata dalla presunta normalità della maggioranza,
come strumento per rimettere in discussione il senso comune, il
già dato, i modelli d’azione istituzionalizzati. Nell’ambito del mul-
ticulturalismo quotidiano questo uso della differenza si sostanzia
nella possibile creazione di spazi di sperimentazione, spazi che
favoriscono la contaminazione e l’incontro, la festa, l’inversione
rituale e la trasgressione carnevalesca.
Tutti questi casi configurano l’utilizzo della differenza in
ambito quotidiano come una nuova risorsa per la competizione
sociale, come uno strumento politico che consente di tracciare
confini entro cui riconoscersi e difendersi e oltre i quali esiliare
gli indesiderati e combattere i nemici. A livello dell’interazione
quotidiana, la differenza appare essere uno strumento per la
costruzione di confini simbolici e materiali che creano alleanze,
classificazioni e distinzioni, che servono come strumenti di sele-
Multiculturalismo quotidiano 283

zione, di inclusione ed esclusione. Uno strumento che opera sia


sul piano cognitivo del riconoscimento, della legittimazione e della
capacità di giustificare e dare senso a sé e alla realtà sociale, sia
sul piano relazionale e istituzionale come risorsa politica per la
regolamentazione dei rapporti sociali e come base legittima per
la differenziazione e la discriminazione.
La dimensione politica del multiculturalismo quotidiano ne
evidenzia lo stretto legame con il potere: creare una differenza e
creare un confine sono atti di imposizione e sono possibili solo se
sostenuti dalla capacità di definire e istituire differenziazioni che
assumono carattere vincolante. L’attenzione alla dimensione del
potere implica l’impossibilità sia di distinguere le differenze con
un sistema discreto e dicotomico che le misuri sul piano valoriale
(giusto-sbagliato; ammissibile-inammissibile), sia di considerarle
sempre tra loro equivalenti. Perché risulti strumento analitico
utile dal punto di vista dell’analisi sociologica, la differenza deve
essere specificata inserendola nel contesto di relazioni di potere
entro cui viene costruita, invocata o utilizzata.
L’analisi delle forme empiriche del multiculturalismo quoti-
diano non può facilmente prescindere da un’analisi delle condi-
zioni di potere che consentono e definiscono la manifestazione
di differenze3.
La questione del potere è importante anche perché con-
sente di evidenziare come la differenza si presenti oggi come
risorsa «aggiuntiva» connessa all’aumento delle capacità per-
sonali (Melucci 2000); anche se potenzialmente distribuita in
modo uniforme (tutti possono rivendicarne una), la capacità di

3
Appare quindi importante poter separare i casi più estremi, in cui l’azione del
potere si manifesta in modo più preciso ed evidente: è utile poter distinguere tra
differenze autonomamente rivendicate e differenze imposte. La distinzione sembra però
tutt’altro che semplice. Più che una differenziazione dicotomica, essa sembra infatti se-
gnalare un continuum in cui i casi estremi appaiono più come possibilità ideal-tipiche
che come esempi empirici. I casi in cui le differenze si presentano come puramente
imposte e non, con gradi di libertà diversi, come il risultato di relazioni, scontri e ag-
giustamenti reciproci, sono particolari e limitati (ma senz’altro significativi e importanti
– cfr. gli esempi della marginalità estrema, l’attribuzione di stigma sociale, il dibattito
corrente sull’immigrazione o sull’integralismo religioso). È importante, comunque, tenere
in primo piano la questione per evidenziare come l’analisi empirica della differenza
debba includere un’analisi dei rapporti di potere, debba evidenziare in quale contesto
di potere è possibile la costruzione di un particolare insieme di differenze. Non appare
utile analizzare quale differenza viene invocata, come viene usata, da chi e nei confronti
di quale interlocutore, senza analizzare il contesto di poteri, locali e globali, entro cui
tale differenza diviene una risorsa utilizzabile e credibile.
284 Enzo Colombo

costruire differenze che diventino rilevanti e socialmente rico-


nosciute richiede risorse cognitive e la disponibilità a investire
in campo simbolico; risorse e disponibilità attivabili solo in
condizioni di relativa abbondanza di risorse materiali. Richiede
inoltre il possesso di un certo capitale sociale, cioè la possibilità
di inserimento in una rete di relazioni capace di sostenere e di
rafforzare la distinzione prodotta. Questo fa della differenza una
risorsa distribuita in modo asimmetrico e responsabile della for-
mazione di ulteriori differenziazioni: diviene la base potenziale
per la formazione di nuove disuguaglianze che conservano una
radice strutturale nella diversa distribuzione delle risorse materiali
ma si manifestano e si concretizzano nella diversa distribuzione
delle risorse simboliche e culturali.
La differenza diviene significativa come risorsa relazionale solo
superata una soglia minima di garanzia per ciò che riguarda la
disponibilità di risorse fondamentali per la propria sopravvivenza
(materiale, sociale e cognitiva). Ciò implica riconoscere che la
differenza non è una risorsa disponibile – in forma autonoma
– per i più deboli, perché richiede delle capacità minime per
essere attivata e usata politicamente; la differenza risulta essere
una risorsa funzionale soprattutto all’élite, sia essa dominante
– per ribadire lo status quo – oppure minoritaria e alternativa
– per garantire nuovi spazi di indipendenza e di potere4.
L’idea di multiculturalismo quotidiano intende segnalare
uno spazio in cui la differenza non è completamente imposta
ma risultato di processi di dialogo e di conflitto, processi che
rimangono comunque caratterizzati dalle asimmetrie di potere,
influenzati dalla diversa posizione occupata e dalla disparità delle
risorse disponibili.

4
Queste osservazioni consentono di distinguere una situazione limite al di sotto della
quale risulta empiricamente irrilevante se non fuorviante considerare la differenza come
una risorsa politica, argomentativa e relazionale. Nei casi in cui la differenza risulta essere
monologica (Bachtin 1968), cioè il discorso di una sola parte, pura etichetta discriminante,
la differenza va vista come stereotipo e pregiudizio, come modalità di difesa estrema o
di oppressione egemonica. Le situazioni in cui la differenza si presenta come risultato di
una monologica tendono a caratterizzarsi per la manifestazione di forme di irrigidimento
identitario, queste si riscontrano principalmente in situazioni di carenza di risorse e di
capacità personali che spingono verso difese comunitarie e arroccamenti essenzialistici
oppure in situazioni di disparità e asimmetrie di potere e di risorse economiche che
spingono la parte più forte a mantenere i propri vantaggi segnalando e sottolineando
la differenza e la distanza con la parte più debole. In condizioni meno asimmetriche
prevalgono fenomeni dialogici, di scambio, ibridazione, confronto, conflitto situato.
Multiculturalismo quotidiano 285

Considerare la differenza in stretta relazione con il potere e


centrale per lo scontro politico teso a definire i confini materiali
e simbolici di inclusione e di esclusione, le forme di distribuzione
delle risorse scarse e il significato da attribuire alla realtà sociale,
implica, inoltre, sottolinearne il carattere ambivalente: strumento
dinamico di mutamento e di potenziale inclusione e strumento
entropico di frantumazione del legame sociale e di costruzione
di barriere ed esclusioni. Questo invita a guardare alla differenza
interrogandosi sulle implicazioni che essa ha sulle relazioni sociali
nel contesto analizzato, invita a inserire nell’analisi quali confini
una particolare differenza costruisce, chi ne rimane posizionato
all’esterno e a quale prezzo. La differenza crea spazi di riflessività
e di mutamento ma può anche rivelarsi minacciosa e offensiva
(Werbner 2001). In quali condizioni è possibile la formazione
di dialogo e di miscelazione, quali elementi culturali e sociali
vengono destabilizzati dalla differenza, quali offrono maggiore
resistenza, fino a che punto la paura della differenza rafforza
la propria appartenenza, quali gruppi e in quali condizioni sono
più riluttanti a sottoporre a discussione la propria differenza,
divengono questioni empiriche centrali (Anthias 2001).

5. La differenza come ambito di critica sociale

Una più puntuale definizione sociologica del concetto di diffe-


renza consente non solo di avere strumenti analitici più adeguati
a cogliere le implicazioni di una diffusa e quotidiana esperienza
della differenza, ma anche a porre in luce diversa il dibattito sul
multiculturalismo, sull’inclusione e l’accessibilità, così come essi
vengono a delinearsi nella società contemporanea.
Innanzitutto invita a considerare la differenza come una que-
stione rilevante, che non può essere velocemente liquidata come
l’emergere di pulsioni irrazionali premoderne né ideologicamente
contrastata perché incompatibile con gli ideali illuministici del-
l’eguaglianza e della cittadinanza universale. Inoltre, evidenzia che
la differenza ha sempre un carattere ambivalente e ambiguo, è
potenzialmente in grado di veicolare richieste di equità, giusti-
zia sociale e ampliamento dello spazio democratico così come
richieste di nuove forme di discriminazione e di privilegio. La
prospettiva sociologica invita a considerare la differenza non per
una sua presunta essenza costitutiva, ma nelle forme concrete che
286 Enzo Colombo

essa assume nelle pratiche situate. La differenza appare quindi


non come un valore in sé, da riconoscere e proteggere in forma
astratta e generalizzata, indipendentemente dai contesti sociali
in cui emerge ed è invocata, quanto una risorsa argomentativa,
politica e strategica, utilizzata per tracciare confini, definire in-
clusioni ed esclusioni, per creare consensi e definizioni condivise
della realtà sociale, manifestazione di un potere di definizione e
di istituzione. Il concetto di risorsa intende inoltre segnalare la
necessità di prendere in considerazione la differenza non solo
guardando ai modi e agli ambiti in cui viene invocata e utiliz-
zata, ma anche alle condizioni in cui ciò può avvenire, cioè alle
condizioni di capacità, potere, interessi individuali e collettivi,
condizioni di discriminazione e di disuguaglianza in cui si tro-
vano gli attori sociali.
Evidenziare il carattere di risorsa politica assunta dalla dif-
ferenza nella società contemporanea significa inoltre esplicitare
che la produzione di distinzione, di un confine che consenta di
definire chi ne è incluso e chi ne è escluso, la capacità sociale di
nominare, imporre ad altri o vedersi riconosciuta una specificità
che individua e separa sono sempre azioni di potere, costituiscono
un’opera di semplificazione e di attribuzione di ordine alla realtà
esterna che non può contare su necessità ontologiche o naturali,
ma è frutto di una selezione e di una indicazione che ha origini
sociali. Si tratta di un’azione di definizione della situazione che è
strettamente legata ai rapporti di forza esistenti e che ricompone,
attraverso un’opera di occultamento, annullamento e riduzione al
silenzio delle parti più deboli, interessi e prospettive conflittuali.
Esprimere, indicare e riconoscere una differenza sociale significa
sempre creare un’esclusione, imporre un ordine parziale, definire
un confine che aumenta fittiziamente l’omogeneità interna e la
distanza esterna.
Il possibile uso della differenza come risorsa politica ridi-
segna lo scenario entro cui riflettere sul tema dell’inclusione e
dell’esclusione e ne sottolinea il potenziale critico.
In un contesto globalizzato e fluido, la richiesta di inclusione
tende a trasformarsi in una richiesta di accessibilità. Situazioni
in cui si rivendica il diritto a non vedersi rifiutato l’ingresso
in particolari contesti sociali, senza che la presenza in essi si
configuri come partecipazione piena ed esclusiva, condivisione di
obblighi di fedeltà o assunzione di responsabilità collettive. La
negazione del diritto di accesso a particolari contesti sociali viene
Multiculturalismo quotidiano 287

sempre più vissuta come mancanza di riconoscimento, un’offesa


alla dignità individuale, una nuova forma di oppressione che
minando l’autostima e deformando l’immagine di sé, «imprigiona
una persona in un modo di vivere falso, distorto e impoverito»
(Taylor 1992, 9). Intrecciandosi al tema del riconoscimento, la
richiesta di accessibilità si trova a giocare su due dimensioni di-
stinte ma interconnesse. Da un lato, la rivendicazione del diritto
a non essere esclusi, bloccati sulla soglia; la possibilità di essere
ammessi, pur senza che questo implichi degli obblighi troppo
onerosi e non escluda la possibilità di andarsene quando se ne
abbia desiderio. Dall’altro, la possibilità di intervenire sulle norme
che regolano gli accessi, contestandole se ritenute sfavorevoli o
inique. In questo secondo caso, l’accessibilità rimanda non tanto
all’inclusione, quanto alla definizione di nuove regole e di nuovi
contesti, rimanda a un meta-discorso che include la messa in
questione delle regole fondative – del confine caratterizzante – il
contesto in cui si richiede l’ingresso.
Mentre la prima dimensione ripropone questioni comuni alle
riflessioni moderne sull’inclusione e sulla cittadinanza, rimettendo-
ne in discussione i termini e il grado di trade-off necessario tra
sicurezza, fedeltà, responsabilità e libertà individuale, la seconda
pone questioni più difficili da affrontare con i consolidati stru-
menti, teorici e pratici, delle società liberali. Si tratta infatti della
richiesta di sottoporre a revisione le regole stesse che consentono
il confronto tra posizioni differenti, che definiscono gli attori, i
luoghi e le modalità della discussione e dell’incontro. Si tratta
di rivedere le modalità di costruzione dei confini dello spazio
sociale che delimitano la possibilità di inclusione e di accesso;
di definire non solo chi e a che condizioni può essere incluso,
ma le caratteristiche stesse dello spazio entro cui garantire o
meno l’inclusione.
In entrambi i casi, il problema dell’inclusione e dell’accesso
assumono dimensioni diverse rispetto alle tradizionali questioni
di giustizia e universalismo caratterizzanti il periodo moderno.
Quando la differenza è principalmente utilizzata per veicolare
nuove richieste di partecipazione, sollecita più ampie forme di
equità e di democrazia. Equità non viene intesa come assoluta
eguaglianza e omologazione ma come possibilità di sviluppo delle
capacità (Sen 1985; Nussbaum 1999), per definizione differenzia-
te e distribuite in forma variabile; democrazia non viene intesa
come capacità di creare uno spazio uniforme e consensuale, ma
288 Enzo Colombo

come capacità di accogliere differenti prospettive, di gestire la


pluralità e la diversità delle visioni del mondo e degli interessi,
di lasciare spazio all’interpellanza e alla critica (Touraine 1998).
Il problema posto da queste richieste di riconoscimento è so-
prattutto di maggiore accessibilità: non si tratta della richiesta di
essere inglobati in una universalità – a cui si aspira a partecipare
perché percepita e riconosciuta come la manifestazione più vera
e realizzata della natura umana – ma di avere accesso – parziale,
temporaneo e sempre revocabile – a spazi decisionali, beni scarsi
e ricompense ambite da cui si è stati tradizionalmente esclusi.
Le richieste di accessibilità si collocano all’interno dei processi
di ridefinizione della struttura e della gerarchia sociale, che carat-
terizzano la società contemporanea. Il venir meno delle strutture
«solide» (Bauman 2002) della modernità (stato nazione, classe
sociale, organizzazione fordista del lavoro, traiettorie biografiche
fortemente guidate dall’inserimento in percorsi occupazionali di
lungo periodo e in strutture familiari altrettanto durature fondate
sul matrimonio eterosessuale) ha favorito, da un lato, una accesa
competizione per la nuova definizione delle linee di distinzione
capaci di arrecare vantaggio sociale, dall’altro, ha enfatizzato la
dimensione fluida e dinamica delle relazioni sociali, facendo della
flessibilità, della capacità di mutare e di trasformarsi le capacità
più preziose e trasformando ogni forma di fedeltà e di radica-
mento in un potenziale svantaggio.
In questo scenario «liquido», il problema dell’inclusione si
configura sempre più come necessità di limitare i privilegi dei
più forti; non si tratta più, principalmente, di favorire e garan-
tire l’ingresso dei più marginali in uno spazio delimitato ricco
di risorse e di capacità di protezione, quanto di vincolare i più
privilegiati alle loro responsabilità, di chiamarli a rispondere dei
loro privilegi e a pagare per gli oneri che derivano dal mante-
nimento delle condizioni che li rendono possibili.
La sfida posta dalle richieste di accessibilità consiste nel
ridisegnare uno spazio sociale abbastanza definito e stabile in
cui sia possibile distribuire secondo principi di equità gli oneri
connessi alla produzione di beni pubblici e stabilire le compen-
sazioni dovute all’occupazione di posizioni privilegiate.
Per mettere in evidenza il carattere di conflitto e di critica
sociale che accompagna le attuali domande di inclusione è neces-
sario analizzare sia la dimensione culturale, sia quella normativa
e istituzionale. Sul piano culturale, è rilevante incrementare la
Multiculturalismo quotidiano 289

capacità di nominare e individuale il potere, di riconoscere le


asimmetrie, di sottolineare la «differenza» delle élite privilegiate.
Si tratta della necessaria opera di decostruzione della «normalità»,
per evidenziarne il carattere parziale e situato; un’analisi genea-
logica consente di mettere in discussione le condizioni storiche
che hanno portato particolari gruppi sociali a poter presentare la
propria posizione e la propria azione come «naturale», definendo
come devianza altre specifiche forme di differenza; è inoltre im-
portante riconoscere e nominare il potere di esclusione che fonda
ogni manifestazione sociale di differenza. Sul piano normativo e
istituzionale si tratta di evidenziare i vincoli e le condizioni che
facilitano od ostacolano la formazione di nuove istanze legittime e
autorevoli, in grado di definire e far rispettare i necessari obbli-
ghi derivanti dal possesso di privilegi. La possibilità di avanzare
richieste di accessibilità da parte di persone e gruppi sociali
marginali passa, nello scenario globale e fluido contemporaneo,
attraverso la capacità di evitare che le élite privilegiate siano
eccessivamente mobili, sfuggenti e irresponsabili.

6. Lo spazio per il dissidente

Quando la differenza diviene lo strumento politico principale


per la messa in discussione critica delle regole che fondano lo
spazio sociale e politico, la sfida posta ai limiti di compatibilità
del sistema sociale occidentale contemporaneo è più profonda e
potenzialmente minacciosa. Riconoscere che la differenza è sempre
il risultato della definizione sociale di una linea di distinzione
che nega o consente accesso a beni scarsi e a contesti sociali di
privilegio e potere, significa ammettere che ogni atto di inclusione
o esclusione dipende dalle regole utilizzate per costruire lo spazio
sociale e dai poteri che hanno avuto modo di imporre le loro
preferenze nel processo che ha portato alla definizione dei con-
fini. Il contesto entro cui è possibile e pensabile qualsiasi forma
di accessibilità e di inclusione è definito da un atto di potere,
esito di un conflitto tra punti di vista e interessi differenziati.
Il conflitto risulta così essere una componente stabile di ogni
affermazione di differenza.
Al di là delle richieste di accessibilità e inclusione, che possono
essere ricomposte attraverso conflitti distributivi che riguardano
i diversi rapporti di forza ma non rimettono in discussione le
290 Enzo Colombo

regole generali che definiscono il campo della contesa, le riven-


dicazioni di differenza si trasformano spesso in una richiesta di
ridefinizione delle regole costitutive lo spazio politico, cioè in una
messa in discussione delle regole stesse che strutturano lo spazio
del dialogo e del conflitto politico. Si tratta di conflitti che non
necessariamente prevedono una possibile ricomposizione negoziale;
coinvolgendo posizioni ritenute fondanti la propria identità e la
propria differenza, difficilmente si prestano al linguaggio della
mediazione e dell’accordo. La definizione delle regole istitutive
è risultato di un’azione di potere che non ha altra legittimità
oltre la propria capacità di imporsi, è risultato di una chiusura
e di una violenza.
La natura difficilmente riconciliabile dei conflitti relativi alle
regole istitutive implica la necessità di definire delle regole più
generali (della meta-regole) in grado di disciplinare conflitti po-
tenzialmente distruttivi.
L’attuale utilizzo della differenza come strumento critico di
ridefinizione delle regole che fondano lo spazio sociale ne eviden-
zia l’ineliminabile potenziale conflittuale e invita ad affrontare in
modo diverso il dibattito sul multiculturalismo. Alle posizioni che
contrappongono differenze inconciliabili, trasformate in essenze
da preservare immutate, o a spigliati inviti a un multicultura-
lismo di mercato (Colombo 2002), basato su di un’ibridazione
non compromettente perché protetta da asimmetrie di potere, si
sostituisce la necessità di analizzare la differenza nella sua am-
bivalenza. Alle posizioni arroganti che considerano la differenza
come non negoziabile e che alla necessità di evitare la violenza
e il conflitto distruttivo prepongono la salvaguardia dell’onore e
la difesa delle proprie posizioni (Brown 1991), si contrappone la
necessità di favorire un accordo minimale teso a riconoscere la
necessità di evitare dolore e umiliazioni inutili, teso a contenere
la sofferenza e l’annientamento fisico e morale della parte più
debole (Rorty 1989; Crespi 1994).
La consapevolezza dell’inevitabilità del conflitto e del carattere
politico di ogni definizione di differenza favorisce l’idea che, anche
nelle situazioni di più intenso conflitto, sia necessario salvaguardare
uno spazio per il dialogo, il confronto non violento e l’accordo.
Queste possibilità, date le condizioni fortemente asimmetriche
che si stanno considerando, sono però spesso opzione possibili
solo per la parte più forte. È quest’ultima che può assumersi
l’onere di favorire il dialogo, innanzitutto coltivando un interesse
Multiculturalismo quotidiano 291

per l’ascolto e il confronto con la differenza e quindi utilizzando


in modo consapevole il proprio potere di definizione.
Ma sarebbe senz’altro debole affidare le speranze di un con-
trollo delle potenziali derive distruttive del conflitto sulle regole
istitutive alla sola volontà e sensibilità dei più forti. Una visione
sociologica della differenza invita a immaginare e approntare
condizioni istituzionali che consentano forme di controllo della
parte più potente.
Una garanzia minimale sembra legata alla capacità di costruire
spazi istituzionali per la critica e il dissenso (Colombo 2003).
Garantire uno spazio per il dissidente rende più evidente il ca-
rattere storico e contingente della definizione delle regole istitutive
dello spazio sociale e politico e richiama la parte dominante a
rendere conto della propria posizione di privilegio. Consentire
l’espressione della domanda indiscreta – della domanda che obbliga
a dire ciò che si preferirebbe tacere, ad ammettere ciò che si
preferirebbe negare – significa riutilizzare il potenziale distruttivo
e destabilizzante connesso ad ogni manifestazione di differenza
come dispositivo sociale di controllo del potere. Un dispositivo
orientato a evitare che il potere si renda egemonico, presentando
come naturale e universale ciò che è risultato, storico e situato,
di una selezione parziale che si impone su possibilità alternative
altrettanto plausibili e legittime. Il dissidente (la differenza) pone
la domanda indiscreta che obbliga il potere a giustificarsi, aprendo
un processo che lascia spazio per la contestazione e il mutamento,
è garanzia comune contro un potere dispotico e irresponsabile.

7. In sintesi

Una prospettiva sociologica che evidenzi il carattere di risor-


sa politica assunta dalla differenza nella società contemporanea
consente di superare sia una visione essenzialista della differenza,
sia una visione radicalmente processuale. Da questo punto di
vista, la differenza non si dimostra essere un valore in sé (non
è essenziale, ma socialmente costruita), di fronte al quale non
è possibile e auspicabile alcun giudizio di valore, ma uno stru-
mento argomentativo e strategico che può essere usato sia per
rivendicare una maggiore giustizia sociale e un maggiore grado di
partecipazione e inclusione, sia per ottenere privilegi e generare
nuove forme di esclusione.
292 Enzo Colombo

La differenza può essere valutata in base al contesto effettivo


in cui viene invocata e utilizzata; è nell’ambito delle pratiche
quotidiane di gestione della differenza che essa assume pieno
rilievo di risorsa politica e si rende evidente la dimensione di
potere su cui si fonda. L’evidenza del carattere ambivalente e
dell’asimmetria di potere di ogni manifestazione di differenza
invita ad ampliare la complessità dell’analisi, evitando sempli-
ficazioni e sintesi eccessive e valorizzando la molteplicità degli
aspetti contestuali che concorrono alla manifestazione empirica
concreta della differenza. L’ambivalenza della differenza impedi-
sce di poterla valutare in modo unidimensionale, definendone il
grado di giustizia o di oppressione: anche il riconoscimento della
specificità di una minoranza storicamente discriminata genera
zone di privilegio (l’élite) e di esclusione.
L’attenzione al processo di produzione e utilizzo della differenza
invita inoltre a garantire non il riconoscimento e la protezione
della differenza (in quanto essenza e fondamento del riconosci-
mento individuale e collettivo), ma la sua manifestazione, la sua
presenza provocatrice, per le relazioni che promuove, lo spazio
di dialogo e di conflitto che alimenta.
Lo sguardo sociologico sulla differenza modifica la proble-
matica connessa all’inclusione e all’accesso senza diminuirne
il rilievo. Questione centrale diviene garantire le condizioni
culturali e istituzionali che consentano lo sviluppo delle poten-
zialità dinamiche e la protezione dal consolidarsi di un potere
egemonico e dispotico veicolate dalla differenza, riconoscendone
la capacità e la necessità di porsi come domanda indiscreta, ma
senza assolutizzarne il valore e senza trasformarla in un’ossessione
contemporanea.
Consente di sottolineare la scomoda evidenza storica che non
si dà differenza senza potere e asimmetria, così come non si dà
eguaglianza senza dominio e costrizione. Uno dei modi plausibili
di controllo di questa tensione appare essere la capacità di pro-
durre e sostenere continuamente differenze in modo da evitare
che una specifica differenza assuma un carattere totalizzante ed
egemonico. Porre in primo piano la necessità di garantire uno
spazio accogliente per il dissidente consente di costruire delle
garanzie minimali per evitare che la normalità definita dal po-
tere dominate occulti da parzialità che la fonda, per creare uno
spazio di critica capace di impedire che la normalità contestuale
si trasformi in normalità essenziale. La domanda indiscreta e
Multiculturalismo quotidiano 293

irritante del dissidente obbliga a produrre giustificazioni inne-


scando potenziali processi di trasformazione che non escludono
i conflitti ma che appaiono una garanzia più solida contro la
violenza prodotta da un potere assoluto che non ha altro limite
che la propria illuminata magnanimità.

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