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IL FORDISMO
Il fordismo nasce nel 1914 quando Henry Ford introdusse la giornata di lavoro di 8 ore a 5 dollari
per gli operai della catena di montaggio automatizzata. Ford razionalizzò le vecchie tecnologie e la
preesistente divisione del lavoro, ma ottenne grandissimi incrementi della produttività facendo
scorrere il processo produttivo davanti agli operai fermi. Già Taylor (1911) aveva spiegato come si
potesse aumentare la produttività suddividendo ciascun processo di lavorazione in movimenti
semplici e organizzando compiti frammentati. La separazione tra gestione, concezione, controllo ed
esecuzione era già avviata in altre industrie. Di speciale in Ford c’è la sua visione, il suo
riconoscimento del fatto che la produzione in serie significasse consumo di massa, e quindi un
nuovo tipo di società democratica, razionalizzata, modernista e populista. Ford credeva che il nuovo
tipo di società potesse essere costruito con un’adeguata applicazione del potere delle grandi aziende.
Gli scopi della giornata di lavoro di 8 ore erano:
1) fare in modo che il lavoratore rispettasse la disciplina necessaria per far funzionare la catena di
montaggio ad alta produttività;
2) fornire al lavoratore abbastanza denaro e tempo libero per consumare i prodotti fabbricati in serie
che venivano sfornati in quantità sempre maggiori.
Così nel 1916, Ford mandò degli assistenti sociali nelle case dei suoi lavoratori privilegiati ad
accertarsi che l’uomo nuovo della produzione in serie avesse il giusto tipo di probità morale e vita
familiare e la capacità di consumare in modo prudente e razionale così da essere all’altezza dei
bisogni e delle aspettative aziendali. Ford credeva nel potere aziendale quale forma di regolazione
dell’intera economia.
Negli anni ’30 egli aveva cercato di risolvere la grande depressione, spingendo i suoi lavoratori a
produrre la maggior parte di ciò di cui avevano bisogno per vivere, insistendo che il fare da sé era
“l’unico mezzo per combattere la depressione economica”. Il sistema fordista si instaurò a seguito
di un processo lungo e complicato durato quasi mezzo secolo, e dipese da una miriade di decisioni
individuali.
Vi erano due grandi ostacoli alla diffusione del fordismo negli anni tra le due guerre:
1) i rapporti di classe nel mondo capitalistico che non potevano accettare un sistema produttivo in
cui il lavoratore era assegnato a ore di mera routine, senza bisogno che avesse capacità artigianali.
Ford aveva risolto il problema assumendo lavoratori immigrati, che però imparavano in fretta e gli
americani erano loro ostili. Il ricambio nella forza-lavoro di Ford fu elevatissimo. Invece nel resto
del mondo l’organizzazione dei lavoratori e le tradizioni artigiane erano troppo forti e
l’immigrazione troppo debole per instaurare il fordismo. Infatti la produzione in serie con la catena
di montaggio in Europa fu limitata fino alla metà degli anni ’30; solo verso gli anni ’50 il fordismo
iniziò a diffondersi oltreoceano.
2) modalità e meccanismi degli interventi statali – bisognava ideare un nuovo modo di regolazione
per soddisfare le esigenze della produzione fordista. La stasi democratica degli anni ’20 doveva
essere superata con un po’ di autoritarismo e di interventismo statale. Ma il problema di
un’adeguata configurazione e uso dei poteri statali fu risolto solo dopo il 1945. Ciò portò il
fordismo alla maturità quale regime di accumulazione ben definito, e come tale, esso rappresentò la
base di un lungo boom postbellico, che rimase immutato sino al 1973. In tale periodo il capitalismo
nei paesi industrialmente avanzati raggiunse tassi di crescita economica notevoli e relativamente
stabili, il livello di vita migliorò e la tendenza alla crisi fu contenuta. La crescita fenomenale
dipendeva da una serie di compromessi: lo stato doveva assumere nuovi ruoli (keynesiani) e creare
nuovi poteri istituzionali; il capitale aziendale doveva mantenere una sicura redditività; i lavoratori
organizzati dovevano assumere nuovi ruoli e funzioni in relazione al rendimento sul mercato del
lavoro e nei processi produttivi. Nel dopoguerra, negli USA, i sindacati furono esposti a violenti
attacchi perché accusati di infiltrazione comunista e furono sottomessi ad una rigida disciplina
legale. L’eterno problema dell’assuefazione del lavoratore a sistemi di lavoro così routinari,
dequalificati, degradanti, non può mai essere completamente superato. Le organizzazioni sindacali
burocratizzate venivano sempre più confinate in un angolo. Le decisioni delle grandi aziende
divennero prevalenti del definire le vie della crescita del consumo di massa. E alla fine accettarono,
con riluttanza, il potere sindacale, quando i sindacati si impegnarono a controllare i loro membri e a
collaborare con la dirigenza in programmi per aumentare la produttività in cambio di aumenti
salariali che stimolassero la domanda effettiva. Lo stato assunse una grande varietà di obblighi:
doveva dare una solida base al benessere sociale, con spese che coprissero la previdenza sociale,
l’assistenza sanitaria, l’istruzione, la casa… inoltre il potere statale veniva usato per influenzare gli
accordi salariali e i diritti dei lavoratori nel processo produttivo. Il fordismo dipendeva proprio
dall’assunzione da parte dello stato di un ruolo speciale nel sistema di regolamentazione sociale. Il
fordismo postbellico dev’essere visto come uno stile di vita: la produzione in serie voleva dire
standardizzazione del prodotto e consumo di massa. Inoltre era anche un fenomeno internazionale:
si instaurò solidamente in Europa e Giappone dopo il 1940, si consolidò e si espanse nel periodo
postbellico per mezzo delle politiche imposte durante l’occupazione o grazie al Piano Marshall e
agli investimenti statunitensi. Questo sviluppo degli investimenti e del commercio esteri fece sì che
la capacità produttiva eccedente degli USA fosse assorbita altrove, mentre il progresso
internazionale del fordismo significava la formazione di mercati di massa mondiali che a sua volta
significava la globalizzazione dell’offerta di materie prime spesso meno costose. Il nuovo
internazionalismo portò con sé altre attività (banche, servizi, alberghi…) e una nuova cultura
internazionale. Gli accordi di Bretton Woods del 1944 fecero del dollaro la valuta di riferimento
mondiale, legando così lo sviluppo economico mondiale alla politica monetaria e fiscale degli USA.
La diffusione del fordismo si ebbe così in un particolare contesto di regolamentazione politico-
economica internazionale e in una configurazione geopolitica in cui gli USA avevano una posizione
predominante. Non tutti traevano benefici dal fordismo: le trattative salariali si limitavano a certi
settori dell’economia, altri settori di produzione ad alto rischio dipendevano ancora da salari bassi e
precarietà; i mercati del lavoro tendevano a dividersi in un settore di monopolio ed uno competitivo.
La disuguaglianza che ne derivava produceva gravi tensioni sociali e forti movimenti organizzati
dagli esclusi. Una grande parte della forza-lavoro si vedeva pure negare l’accesso alle tanto
decantate gioie del consumo di massa, e ciò causava un enorme scontento, alimentando la crescita
dei contromovimenti insoddisfatti dei presunti vantaggi del fordismo. La legittimazione del potere
statale dipendeva dalla capacità di estendere a tutti i benefici del fordismo e di trovare i modi per
assicurare a tutti assistenza sanitaria adeguata, casa e istruzione. Dal punto di vista dei consumatori,
la qualità della fornitura dei servizi attraverso un sistema non discriminatorio di amministrazione
statale fu a sua volta oggetto di severe critiche. A ciò si deve aggiungere lo scontento del Terzo
mondo per un processo di modernizzazione che prometteva sviluppo, emancipazione dal bisogno e
piena integrazione nel fordismo, ma produceva distruzione delle culture locali, oppressione e
dominio capitalistico. Malgrado le tensioni, i capisaldi del regime fordista ressero sino al 1973:
crebbe il livello di vita materiale per la massa della popolazione ed emerse un ambiente
relativamente stabile e favorevole ai profitti delle grandi aziende. 9.
DAL FORDISMO ALL’ACCUMULAZIONE FLESSIBILE
Si possono vedere i segni dell’esistenza di gravi problemi all’interno del fordismo già negli anni
’60: la formazione del mercato dell’eurodollaro e la crisi creditizia del 1966-67 erano segnali
premonitori della minore capacità degli USA di regolare il sistema finanziario internazionale. La
concorrenza internazionale si intensificò, e l’Europa occidentale e il Giappone sfidarono l’egemonia
americana, tanto che vennero mano gli accordi di Bretton Woods e il dollaro fu svalutato. Nel
periodo 1965-73 fu sempre più evidente l’incapacità del sistema fordista e keynesiano di tenere
sotto controllo le intrinseche contraddizioni del capitalismo, dette anche “rigidità”. L’unico
strumento di risposta flessibile stava nella politica monetaria, nella capacità di stampare moneta a
qualsiasi velocità sembrasse necessaria per garantire la stabilità dell’economia. Ebbe così inizio
l’ondata inflazionistica (fondi in eccedenza e pochi sbocchi produttivi). Il tentativo di frenare
l’inflazione crescente portò a un crollo mondiale nei mercati immobiliari e a gravi difficoltà per le
istituzioni finanziarie. A ciò si aggiunge l’aumento dei prezzi del petrolio e la decisione dei paesi
arabi di bloccare le esportazioni verso l’occidente. La forte deflazione del periodo 1973-75 indicava
che le finanze statali erano sproporzionate rispetto alle risorse: ne derivò una profonda crisi fiscale e
di legittimazione. Ciò avviò una serie di processi che minarono il compromesso fordista. Negli anni
’70-’80 ci fu anche un periodo di ristrutturazione economica e di riaggiustamento sociale e politico,
e da tutta questa incertezza prese forma una serie di nuovi esperimenti nel campo
dell’organizzazione industriale e della vita politica e sociale, che rappresentano i primi segni del
passaggio ad un regime di accumulazione assolutamente nuovo. L’accumulazione flessibile è
caratterizzata da un confronto diretto con le rigidità del fordismo. Poggia su una certa flessibilità nei
confronti dei processi produttivi, dei mercati del lavoro, dei prodotti e dei modelli di consumo. È
caratterizzata dall’emergere di settori di produzione completamente nuovi. Ha determinato una
grande crescita dell’occupazione nel settore dei servizi e la nascita di complessi industriali
assolutamente nuovi in regioni fino ad allora sottosviluppate. Ha anche determinato una nuova fase
di “compressione spazio-temporale” nel mondo capitalistico, diffondendo immediatamente le
decisioni in uno spazio sempre più grande e variegato. L’accumulazione flessibile implica una
rapida distruzione e ricostruzione delle capacità dei lavoratori, modesti o inesistenti aumenti
salariali e il ridimensionamento del potere sindacale. Il mercato del lavoro ha conosciuto una
radicale ristrutturazione, i datori di lavoro hanno sfruttato il diminuito potere sindacale e i lavoratori
eccedenti per promuovere regimi lavorativi e contratti di lavoro molto più flessibili. Ma ancora più
importante è stato l’apparente abbandono dell’occupazione regolare a favore di lavori a tempo
parziale, o temporanei, o in subappalto. Cambia così la struttura del mercato del lavoro tipo: 1) c’è
un nucleo costituito da lavoratori dipendenti permanenti e a tempo pieno, fondamentale per il futuro
a lungo termine dell’azienda, che hanno maggiore sicurezza del posto di lavoro, buone prospettive
di carriera, diritto a livelli soddisfacenti di pensione, previdenza; 2) la periferia comprende due
sottogruppi: a) formato da dipendenti a tempo pieno dotati di capacità ampiamente disponibili sul
mercato del lavoro, come impiegati, segretarie… caratterizzato da un’alta rotazione; b) assicura una
flessibilità numerica ancora maggiore e comprende i lavoratori part-time, occasionali e temporanei,
a contratto, con una sicurezza del poto di lavoro bassissima. In questa categoria di dipendenti, negli
ultimi anni, c’è stata una notevole crescita. La flessibilità a volte può essere di reciproco vantaggio,
ma gli effetti complessivi non sembrano positivi per la popolazione. L’attuale tendenza consiste nel
ridurre il numero dei lavoratori appartenenti al nucleo e basarsi sempre più sulla forza-lavoro che
può essere rapidamente reclutata e liquidata senza costi. La trasformazione nella struttura del
mercato del lavoro ha portato cambiamenti importanti nell’organizzazione industriale: il subappalto
organizzato offre l’opportunità di creare piccole aziende, sono così rinate forme di produzione
“sfruttatrici” economie in nero, informali o sommerse. I sistemi di tipo paternalistico
costituiscono un territorio pericoloso per l’organizzazione dei lavoratori perché è più facile che il
potere sindacale (se presente) si corrompa invece di riuscire a liberare i dipendenti dal dominio del
“padrino”. La coscienza di classe si sposta su un terreno molto più confuso di conflitti interfamiliari
e di lotte per il potere in un sistema di famiglie o clan. Il passaggio all’accumulazione flessibile è
stato contrassegnato da una rivoluzione nel ruolo delle donne nei mercati del lavoro. È più facile
sfruttare le capacità lavorative delle donne sulla base del tempo parziale, e quindi sostituire gli
uomini (meglio pagati e più difficili da licenziare) con le donne (pagate meno). Le economie di
scopo hanno soppiantato le economie di scala. Questi sistemi flessibili di produzione hanno
permesso un’accelerazione nel ritmo dell’innovazione dei prodotti e l’esplorazione di piccole e
specializzate nicchie di mercato. Il tempo di rotazione del capitale doveva essere drasticamente
ridotto con l’uso di nuove tecnologie e nuove forme di organizzazione. E anche il tempo di
rotazione nei consumi doveva diminuire: la semivita di un tipico prodotto fordista era di 5-7 anni,
ma l’accumulazione flessibile in certi settori ha ridotto quel tempo a meno della metà e in altri
settori (videogiochi e software per computer) a 18 mesi. L’accumulazione flessibile quindi è stata
accompagnata da una maggiore attenzione alle mode mutevoli e alla mobilitazione degli artifici
della creazione di bisogni e della trasformazione culturale. L’estetica relativamente stabile del
fordismo ha lasciato il posto al fermento, all’instabilità, alle qualità fuggevoli di un’estetica
postmodernista che “celebra la differenza, la caducità, lo spettacolo, la moda e la mercificazione
delle forme culturali”. C’è stata anche una crescita nell’occupazione del settore dei servizi a partire
dai primi anni ’70. L’espansione può essere in parte attribuita alla crescita del subappalto e delle
attività di consulenza (un tempo interne alle aziende). Inoltre il bisogno di accelerare il tempo di
rotazione nei consumi ha determinato una sorta di passaggio dalla produzione di beni alla
produzione di eventi come gli spettacoli. Tutto ciò ha accresciuto l’importanza di
un’imprenditorialità “intelligente” e innovativa. Deregulation = maggiore monopolizzazione in
settori come il trasporto aereo, l’energia e i servizi finanziari. L’accumulazione flessibile ha portato
a massicce fusioni e diversificazioni aziendali. Sono fiorite anche le piccole imprese, le strutture
organizzative patriarcali e artigianali. Anche il lavoro autonomo ha conosciuto una forte rinascita.
8.L’organizzazione più rigorosa e l’implosione del centralismo sono state ottenute con due sviluppi
paralleli: 1) l’accesso alle informazioni e il loro controllo assieme ad una forte capacità di analisi
istantanea dei dati sono diventati fattori essenziali. Si conseguono grandi profitti proprio grazie ad
un accesso privilegiato alle informazioni. L’accesso al knowhow scientifico e tecnico è sempre stato
importante nella lotta competitiva, ma in un mondo di gusti e bisogni che cambiano rapidamente,
l’accesso all’ultima novità tecnica, al prodotto più recente, fa conseguire un’importante vantaggio
competitivo. La conoscenza stessa diventa un bene fondamentale, da produrre e vendere al miglior
offerente. Inoltre diventa importante non solo il prodotto, ma anche l’immagine dell’azienda, non
solo per il marketing, ma anche per la raccolta di capitali; 2) completa riorganizzazione del sistema
finanziario mondiale e dall’emergere di poteri molto maggiori di coordinamento finanziario – c’è
stato un duplice movimento verso la formazione di conglomerati finanziari di grande potere
mondiale, e una rapida diffusione e un decentramento delle attività e dei flussi finanziari. La
deregulation e l’innovazione finanziaria sono condizioni di sopravvivenza per ogni centro
finanziario. La computerizzazione e le comunicazioni elettroniche hanno sottolineato l’importanza
del coordinamento internazionale istantaneo dei flussi finanziari. Economia di carta = conquistare
profitti senza darsi la pena di produrre qualcosa di reale. Fuori dal controllo dei governi nazionali,
questo mercato di denaro “senza stato” è cresciuto enormemente. Il debito dei paesi del Terzo
mondo è a sua volta sfuggito ad ogni controllo. L’accumulazione flessibile guarda, più del
fordismo, al capitale finanziario quale propria forza di coordinamento. Le possibilità di crisi
monetaria e finanziarie indipendenti e autonome sono maggiori che nel passato. Il crollo del sistema
fordista-keynesiano significava chiaramente uno spostamento di poteri a vantaggio del capitale
finanziario rispetto allo stato. C’è stata una rapida riduzione dei costi dei trasporti e delle
comunicazioni grazie all’uso dei container, dei jet e delle comunicazioni via satellite. La
dipendenza degli USA dal commercio estero è raddoppiata in meno di 10 anni, portando
rapidamente l’America da condizione di creditore netto a quella di massimo paese debitore del
mondo. Da tutti questi mutamenti è conseguita una sostanziale ridistribuzione del reddito, di cui
però hanno beneficiato in gran parte le classi già privilegiate. L’imprenditorialità caratterizza ora
non solo l’attività economica, ma campi diversi come la gestione urbana, l’organizzazione del
mercato del lavoro, la ricerca e lo sviluppo, persino la vita accademica, letteraria e artistica. Il più
flessibile movimento del capitale sottolinea il nuovo, il fuggevole, l’effimero, il transitorio ed il
contingente nella vita moderna, anziché i più solidi valori espressi dal fordismo. Ma è in tempi di
frammentazione e incertezza economica che il desiderio di valori stabili porta ad un’enfatizzazione
dell’autorità delle istituzioni di base (famiglia, religione, stato). E fin dal 1970, in tutto il mondo
occidentale, ci sono chiari segni di una rinnovata adesione a queste istituzioni ed ai valori che esse
rappresentano.
7. ‘’Verso una teoria della transazione’’, di Harvey, tratto dal volume ‘’ la crisi della modernità’’
VERSO UNA TEORIA DELLA TRANSIZIONE
Stiamo quindi assistendo ad una transizione storica. Vi è stato un cambiamento significativo nel
funzionamento del capitalismo a partire dal 1970. Dobbiamo quindi circoscrivere la natura dei
cambiamenti che stiamo considerando.
L’accumulazione flessibile è ancora una forma di capitalismo, quindi parecchie considerazioni di
base di Marx rimangono valide: 1) il capitalismo è orientato alla crescita, perché solo così
possono essere garantiti i profitti e può essere mantenuta l’accumulazione di capitale. La crisi è
quindi un’assenza di crescita. 2) la crescita dipende dallo sfruttamento della forza-lavoro
durante il processo produttivo, quindi dipende dal divario fra quanto i lavoratori guadagnano e
quanto creano. Il capitalismo si basa quindi su un rapporto di classe tra capitale e lavoro, e la
dinamica della lotta di classe per il controllo dei lavoratori e dei salari è fondamentale. 3) il
capitalismo è dinamico dal punto di vista tecnologico ed organizzativo, in quanto le leggi della
concorrenza spingono i capitalisti alla ricerca del profitto ad innovare continuamente.
Marx dimostrò che queste tre condizioni necessarie del capitalismo erano incoerenti e
contraddittorie, e che quindi esso era necessariamente esposto al pericolo di crisi. L’argomentazione
marxista è che la tendenza alla sovraccumulazione non può mai essere eliminata nel capitalismo.
L’unica questione riguarda il modo in cui questa tendenza può essere gestita: 1) la svalutazione
delle merci, della capacità produttiva, del denaro, rappresenta un modo per affrontare le
eccedenze di capitale: riduzione o annullamento del valore dei beni, cessione a prezzi stracciati di
scorte eccedentarie di beni. La forza lavoro viene analogamente svalutata o distrutta 2) controllo
macroeconomico, con l’istituzionalizzazione di un sistema di regolazione – capacità di creare un
equilibrio di forze attraverso il quale i meccanismi responsabili del problema della
sovraccumulazione potevano essere tenuti sufficientemente sotto controllo 3) assorbimento della
sovraccumulazione attraverso spostamenti spaziali e temporali – è l’opportunità più vantaggiosa e
duratura, ma anche più problematica: lo spostamento temporale implica un diverso uso delle
risorse o un’accelerazione nel tempo di rotazione, tale che un’accelerazione quest’anno possa
assorbire l’eccesso dell’anno scorso. La capacità di fare ciò dipende dalla capacità di formazione di
capitale fittizio. Non sempre però questo metodo assorbe l’eccedenza totalmente, e comunque è di
solito un palliativo lo spostamento spaziale implica l’assorbimento del capitale e della forza-
lavoro eccedenti mediante un’espansione geografica. La “soluzione spaziale” implica quindi la
creazione di nuovi spazi che rendano possibile la produzione capitalistica. Anche questo metodo
può essere solo una soluzione a breve termine lo spostamento spazio-temporale ha un doppio
effetto, è sempre necessaria la formazione del capitale fittizio, ma è la combinazione delle strategie
temporali e spaziali ad avere la massima importanza Ma come risolveva il fordismo il problema
della sovraccumulazione? Esso era generalmente costretto a ricorrere a forme selvagge di
svalutazione. Fu soprattutto grazie allo spostamento spaziale e temporale che il fordismo risolse il
problema durante il boom postbellico. L’accumulazione flessibile sembra quindi essere una
semplice combinazione delle due strategie fondamentali di acquisizione del profitto (plusvalore)
descritte da Marx. La prima, relativa al plusvalore assoluto, è basata sull’estensione della giornata
di lavoro in relazione al salario necessario per garantire la riproduzione della classe operaia ad un
certo livello di vita. La seconda, plusvalore relativo, avvia dei cambiamenti organizzativi e
tecnologici che permettono il conseguimento di profitti temporanei. L’adozione di questa strategia
porta in primo piano l’importanza di una forza-lavoro estremamente specializzata, uno strato molto
privilegiato e potente, in grado di comprendere e gestire le nuove modalità di innovazione
tecnologica e di orientamento al mercato.
8.‘’La globalizzazione economica’’, di M. B Steger, tratto dal volume ‘’la globalizzazione’’
LA GLOBALIZZAZIONE ECONOMICA
La globalizzazione economica contemporanea può essere fatta risalire all’affermazione di un
nuovo ordine economico internazionale, iniziato con la conferenza economica a Bretton Woods ->
Stati Uniti e Gran Bretagna (più altre potenze economiche) che abbandonano le politiche
protezionistiche, stabilendo regole vincolanti ed un sistema più stabile di scambi. Vengono così a
crearsi tre nuove organizzazioni economiche internazionali:
• FMI, fondo monetario internazionale o Banca Mondiale Prestiti funzionali e finanziamento
progetti industriali nei paesi in via di sviluppo
• WTO, organizzazione mondiale per il commercio
• GATT, promozione e applicazione patti commerciali multilaterali
Il sistema Bretton Woods diede vita all’età dell’oro del capitalismo regolamentato, caratterizzato da
incremento dei salari, potenziamento dei servizi sociali: tuttavia agli inizi degli anni Settanta, il
sistema venne affossato. Nixon abbandonò il sistema del dollar standard, causando instabilità
economica globale, inflazione, bassa crescita, disoccupazione, decifit... Thatchr e Reegan
associarono la parola “globalizzazione” ad un programma politico che promuoveva la liberazione
delle economie regolamentate di tutto il mondo. Si parla di neoliberalismo, che affonda le sue radici
nel liberalismo di Smith e Ricardo: essi vedevano nel mercato un meccanismo autoregolamentato
per il raggiungimento di equilibrio tra domanda e offerta, invocando l’abolizione di dazi e barriere
che ostacolavano il commercio e il flusso di capitale.
I tre sviluppi più significativi sono l’internazionalizzazione del commercio e della finanza, la
crescita di potere delle multinazionali e le grandi banche d’investimento, il ruolo più attivo di
FMI, Banca mondiale e WTO.
Internazionalizzazione del commercio e della finanza: La propaganda del libero commercio si
basava sulla convinzione che l’eliminazione o la riduzione delle barriere al commercio
internazionale avrebbero accresciuto la ricchezza globale e ampliato la scelta dei consumatori. Vi
sono dimostrazioni di economie nazionali che hanno beneficiato di aumenti nella produzione grazie
al libero scambio, ma non è chiaro se i benefici generati siano stati distribuiti equamente tra le
società, e al loro interno. Vari studi dimostrano che il divario tra paesi ricchi e poveri si sta
allargando ad un rapido ritmo. La globalizzazione delle attività finanziarie consente maggiore
mobilità fra diversi segmenti del settore finanziario, con meno restrizioni e più possibilità
d’investimento. Nuove tecnologie basate su internet hanno accelerato la liberalizzazione delle
transazioni finanziarie; investitori individuali usavano reti globali d’investimento elettronico per
inviare i propri ordini e per ricevere informazioni sui principali sviluppi economici e politici. Il
denaro coinvolto non aveva a che vedere con la fornitura di capitali per l’investimento produttivo,
bensì su merci su cui si negoziavano profitti di produzioni future.
La crisi finanziaria globale del 2008 inizia con la crisi asiatica, che abbandonò gradualmente il
controllo sui movimenti interni di capitale per attrarre capitali esteri. Tale afflusso si è tradotto con
un aumento vertiginoso delle quote azionarie e degli immobili, di cui gli investitori si resero conto:
la reazione fu ritirare il denaro investito, portando ad un crollo economico, disoccupazione e
diminuzione dei salari. Negli anni Ottanta e Novanta, tre amministrazioni degli Stati Uniti vollero la
deregolamentazione dei servizi finanziari, realizzando tale proposito con l’abolizione del Glass-
Steagall Act che impediva alle banche commerciali di fare investimenti a Wall Street. Ne conseguì
una speculazione finanziaria delle banche, ovvero cercarono di ottenere il massimo guadagno
puntando sul rialzo e sul ribasso dei prezzi di mercato. Ciò portò al fallimento di molte banche, che
persero i risparmi dei clienti. Nel 2008, le radici negli anni Ottanta e Novanta, portarono ad una
nuova crisi: investitori individuali e istituzionali acquistavano obbligazioni supportate da mutui
immobiliari, di cui le banche d’investimenti celavano i reali rischi. A metà del 2007 i prezzi
sopravvalutati degli immobili americani sono scesi: gli investitori hanno realizzato il rischio del
mercato immobiliare e hanno perso fiducia, facendo crollare il valore dei fondi.
• Le obbligazioni sono forme d’investimento rese disponibili da società o enti pubblici che hanno
bisogno di liquidità; queste vengono acquistate da un investitore, secondo la cifra richiesta
dall’emettitore, il quale ha in cambio (nel corso del tempo) un ammontare del capitale investito ed
un interesse USA, Gran Bretagna e altri paesi industrializzati hanno spinto il governo ad acquistare
obbligazioni immobiliari sotto sequestro, in cambio di quote di capitale delle imprese. In tal modo,
un’impresa di salvataggio si è trasformata nella possibilità di queste di continuare ad avere denaro e
non dover dichiarare fallimento. Quando la crisi finanziaria globale si è trasformata in crisi
economica globale, i leader del G20 si sono riuniti per definire una strategia comune al fine di
uscire dalla grande recessione; tra il 2011 e il 2013 in molte parti del mondo la crescita è rimasta
bloccata, i numeri della disoccupazione sono scesi lentamente (specie nell’Unione Europea). Le
corporation transnazionali controllano gran parte del capitale d’investimento, tecnologia, accesso ai
mercati finanziari del mondo: per mantenere la propria predominanza sul mercato globale, si
fondono con altre grandi imprese. Le CTN consolidano le proprie attività su un mercato del lavoro
globale, sempre più deregolamentato -> mobilità e profittabilità delle imprese sono rese possibili
dalla disponibilità di manodopera e risorse a basso costo, nonché condizioni favorevoli
all’insediamento nel Sud globale. Anche la produzione globale è cambiata -> suddivisione processi
produttivi in fasi separate, distribuite in unità operative sparse nel mondo. Se si parla di
globalizzazione economica, le istituzioni più importanti sono l’FMI, la Banca mondiale e il WTO.
L’FMI e la Banca mondiale sono nate durante la guerra fredda, con l’intento di erogare prestiti ai
paesi in via di sviluppo: oggi, sono in armonia con gli obiettivi neoliberisti di integrare e
deregolamentare i mercati di tutto il mondo. Il Consenso di Washington, ideato e codificato da John
Williamson, ha l’obiettivo di riformare i meccanismi economici interni dei paesi debitori in via di
sviluppo, e metterli in grado di ripagare i debiti contratti; tuttavia, i termini del programma proposto
non facevano altro che creare una nuova forma di colonialismo.