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DOMANDE ESAME (Rosso:fai schifo Giallo: bravina Verde: bravissima)

1. Che cos'è la sociologia economica ?quali sono le due definizioni di Polaniy dell'economia?
2. Quali sono le tre forme di integrazione dell'attività economica di Karl Polaniy? E perché Karl Polaniy
le introduce?
3. Parlami del passaggio dall'economia classica all'economia neoclassica, fino ad arrivare alla
sociologia economica. Spiega anche le differenze tra le varie teorie.
4. Cos'è il compromesso storico di Gourevitch?
5. Chi è Keynes e cos’è la rivoluzione keynesiana ?
6. Che cosa sono la teoria dello sviluppo e la teoria della modernizzazione? fammi un esempio di una
di queste teorie.
7. Cosa intendiamo con il termine political economy comparata?
8. Che cosa intende Trigilia con imprenditorialità dal basso (capitalismo asiatico)?
9. Cosa intendiamo con stato sociale keynesiano?
10. Quali sono le differenze tra lo stato sociale e lo stato sociale keynesiano?--> fatta
11. Perché si parla di keynesismo forte e Keynesismo debole, e cosa sono?-->fatta
12. Quali sono le caratteristiche dei tre modelli di welfare di Anderson?
13. Che cosa intendiamo con neocorporativismo quando analizziamo il sistema di rappresentanza degli
interessi?
14. Che cos'è il modello organizzativo fordista taylorista? E perché si passa ad una specializzazione
flessibile? ovviamente spiegare anche cos'è quest'ultima.
15. Che cosa sono i distretti industriali e perché hanno richiamato l'attenzione di discipline come la
sociologia?
16. Cosa sono i distretti high tech? E perché vi si presentano concentrazioni di piccole e medie imprese
all'interno di tali settori?
17. Che cosa è accaduto nel campo dell'organizzazione del lavoro nel passaggio dal modello fordista
taylorista a quello giapponese?
18. Cos’è il capitale sociale?
19. Quali sono le principali caratteristiche del modello renano e quello anglosassone?
Risposte: Che cos'è la sociologia economica ?quali sono le due definizioni di Polaniy dell'economia?
1) Il senso comune mette in relazione fenomeni economici con fenomeni sociali, usandoli molto spesso come
sinonimi, ma tale affermazione è errata,una branca di studi che si interessa a tale distinzione è la sociologia
economica, essa è un’insieme di studi che focalizza la sua attenzione sull’interdipendenza tra fattori culturali e
fattori economici. Il tema princicpale di tale disciplina, sviluppatasi nel XX secolo, è lo sviluppo economico, il
quale studia il processo di cambiamento influenzato da fattori socioculturali ed economici. La tecnica usata da tale
disciplina prende il nome di ” scietificità”, che si differenzia dal metodo dalle scienze naturali e fisiche in quanto
non stipula leggi universali e valide sempre, bensì usa il rigore per prendere in esame l’oggetto di studio in
questione. Ma bisogna porre l’attenzione sul termine economia, Karl Polanyi, storico dell’economia e
istituzionalista,ci fornisce due definizioni di economia. La prima definizione venne definita da egli stesso
“economia sostanziale” perché prende in esame il rapporto che c’è tra uomo e natura, l’economia viene intesa
come un’insieme di attività produttive intraprese da membri di una società per produrre, distribuire e scambiare
beni, essa dunque segue processo istituzionalizzato di interazione tra individui e il soddisfacimento di bisogni, non
solo fisici, degli individui. Polanyi si sofferma sul ruolo delle istituzioni, le quali rappresentano il collante tra
l’economia e la società.Tale importanza risiede anche nella visione del sistema economico, che rappresenta le
modalità attraverso le quali le istituzioni orientano e regolano le attività economiche, esso è caratterizzato da tre
aspetti, ovvero da mentalità economica, organizzaziine economica e tecnisca, se una di queste non è presente, non
sarà visibile il sistema economico nell’economia .L’economista inoltre differenzia la presenza del mercato nelle
differenti società, ad esempio; nelle società primitive la presenza dello stato non era rilevante, e le sttività
economiche erano svolte a produzione familiare,negli imperi lo stato inizia pian piano ad avere un ruolo più
rilevante e le attività economiche erano regolate da esso, infine nelle società capitalistiche, lo stato aveva un ruolo
fondamentale , tant’è che nasccono così le prime proprietà private dei mezzi di rpoduzione, in cui l’economia si
emancipa da contesti sociali e politici. La seconda definizione di economia viene definita “economia formale”,
viene ricondotta al termine “economizzare”, secondo la quale, membri di una data società hanno dei mezzi a loro
disposizione e li sfruttano al massimo per soddisfare i propri bisogni, quindi avranno meno mezzi a disposizione
ma un maggiore guadagno.infine le regole sono indotte dal mercato e vige la regola della domanda e dell’offerta.

Quali sono le tre forme di integrazione dell'attività economica di Karl Polaniy? E perché Karl Polaniy le
introduce?
2) Karl Polanyi, storico dell’ economia, credette che l’economia nascesse grazie al mercato, luogo nel quale venivano
regolate le attività economiche, ma non sempre ciò accadeva, egli ipotizzò infatti che nell’associazione tra
l’economia di mercato ed altri meccanismi nascessero così le tre forme idealtipiche di integrazione dell’economia.
Esse sono sostanzialmente tre: la prima è la reciprocità,basata su obblighi di solidarietà condivisa, rilevante
soprattutto nelle società primitive. La seconda è la redistribuzione, affiancata alla reciprocità, tipica anch’essa delle
tribù ove il dono o un determinato bene viene affidato al capo della tribù, e quest’ultimo in occasioni come riti o
ricorrenze redistribuisce tali beni alla tribù stessa. Infine abbiamo gli scambi di mercato, che Polanyi suddivide in
tre tipi; scambio di doni, scambio amministrativo e scambio di mercato; il primo lo scambio dei doni viene
caratterizzato dalla presenza di relazioni di reciprocità da norme condivise, lo scambio amministrativo, il quale
avviene tramite le transizionioni controllate da potere politico che assicura l’acquisizione o distribuzione di un dato
bene, infine lo scambio di mercato si differenzia dai precedenti per la presenza della regola della domanda e
dell’offerta.

Parlami del passaggio dall'economia classica all'economia neoclassica, fino ad arrivare alla sociologia
economica. Spiega anche le differenze tra le varie teorie.
3) L’economia politica classica si sviluppa intorno al 1700, il padre fondatore di tale disciplina fu Adam Smith, in
uno dei saggi di maggior successo, ovvero ” la ricchezza delle nazioni”,espone le fondameta dell’economia
politica classica, secondo la quale che gli individui potessero risolvere i problemi locativi da soli. Con la
rivoluzione marginale, avvenuta nell’800, si tenne in considerazione maggiormante il distacco dello stato
dall’economia. Essa si stacca definitivamente dai fattori culturali e sociali, e inizia a dedicarsi alla stesura di
leggi per il mercato, isolandosi completamente dal contesto sociale.Si sviluppano così nuovi paradigmi
dell’economia, definiti nell’economia neoclassica. Nel 1870 vi è un distacco tra economia e contesto sociale che
segnerà la nascita della sociologia economica e con essa si svilupperanno nuovi elementi che prenderanno le
distanze dall’economia neoclassica. Quattro sono gli elementi che differenziano tali discipline; in primis abbiamo
la concezione dell’economia: per gli economisti neoclassici, tale concezione riprende il termine “economizzare”,
secondo la quale sfruttando i mezzi a loro disposizione gli individui traevano il loro soddisfacimento; per i
sociologi economici, essi invece erano alla ricerca dei mezzi si sussistenza. Per l’azione economia invece: i
neoclassici vedevano in essa un’azione mossa da un processo razionale, fondato su due caratteristiche, ovvero
utilitarismo e atomismo, infatti sono i motivi utilitaristici a spingere l’individuo verso un’interesse individuale
razionale. Per i sociologi economici invece l’azione economica è un’azione isociale, ovvero ingluenzata da
istituzioni, ove al loro interno sono presenti le norme e leggi che orientano il comportamento individuale, e
soprattutto importante precisare che i fini dei singoli non sono influenzati dagli altri, in quanto ogni soggetto ha dei
fini indipendenti gli uni dagli altri. Le regole; per i neoclassici si rifacevano alle regole del mercato concorrenziale,
in cui lo stato aveva solo il compito di assicura che non vi fossero frodi all’interno del mercato e tutelare gli attori
privati. Per i sociologi economici invece le regole venivano imposte dalle istituzioni sia private che pubbliche.
Infine il metodo d’indagine; i neoclassici utilizzavano il metodo analitico-deduttivo , ovvero si parte da degli
assunti per conoscere e spiegare le conseguenze di tali assunti. Per i sociololgi economici, il metodo è storico-
empirico, ovvero si parte da una base storica, da conoscenze regresse per poi studiarne il comportamento nel
tempo e nello spazio. La sociologia economica si interessa a tematiche come il mercato e al consumo, e in esse
ritrovismo ulteriori distinzioni. Per quanto riguarda gli economisti neoclassici, essi erano tutti ugualmente ben
istruiti e formati e soprattutto all’interno del mercato non vi dovevano essere fattori extra-economici in grado di
compromettere la produttività e la produzione all’inteno di esso. Per i sociologi economici invece è grazie
all’influenza delle istituzioni che all’intenro del mercato vi è un maggior grado di fiducia. Tant’è che le relazioni di
mercato si basano su legittimità ed equità, in quanto gli indivui sono più liberi di scegliere i propri impiego ed
avere accesso alle risorse di cui hanno bisogno. I neoclassici invece basavo le loro relazioni di mercato
sull’efficienza,per soddisfare i propri bisogni ad un minor costo.

Cos'è il compromesso storico di Gourevitch?


4) Negli anni 70’ vi è stata una ripresa dell’economia grazie alla politica degli aiuti, come ad esempio il piano
Marshall, e grazie ad essi vi un aumento della domanda dei beni,un aumento della manodopera e soprattutto una
maggiore capacità di soffisfare i beni grazie all’ausilio di nuove tecnologie. Shonfield tramite un’analisi
comparata dei paesi occidentali egli sottolinea il passaggio dal capitalismo moderno ad un capitalismo piu
regolato, ovvero con un’aumento della tecnologia e del reddito, un aumento dell’influenza dello stato, ma
soprattutto la presenza del welfare all’interno di una data società e con una diminuzione dei costi, questo
porterebbe alla nascita di nuove imprese. L’intervento dello stato affiancato all’impresa forsista caratterizzata dalla
catena di montaggio , creerebbe il cosi detto ” compromesso storico” termine coniato da Peter Gourevitch, ovvero
i lavoratori sospesero le proprie ambizioni in cambio del welfare e gli imprenditori abbandonano il desiderio di
lavoratori passivi per accettare gran parte del welfare, grazie a quest’ultimo ottennero ad esempio il primato del
profitto, il libero scambio e una moneta forte. Questo compromesso storico diviene cosi la forma più efficace di
costruzione sociale del mercato.

Chi è Keynes e cos’è la rivoluzione keynesiana ?


1) Keynes fu un’economista che si formò a Cambridge nella scuola di Monaco, egli pone l’attenzione sui fenomeni
economici ed è proprio una conferenza , ovvero, “la fine del laissezz.-faire” e si distacca da una concezione
metafisica e dogmatica dell’economia e crede che nelle societè vi sia molta ignoranza ed incertezza rispetto al
futuro, proprio perché non basta affidarsi alla metafisica per risoluzione di determinati problemi economici, bensì è
necessario l’ausilio di un’attore pubblico esterno che intervenga, ovvero lo Stato. Questa incertezza si ramifica
sotto ogni aspetto economico, ad esempio gli imprenditori non sono disposti ad investire i propri risparmi, in
quanto il rendimento non è certo,l’investimento fubziona con il tasso di interesse, la dove il tasso di interesse
diminuisce drasticamente, l’imprenditore tenderà ad investire sempre meno, la domanda diminuirà anchessa e si
creerà una disoccpazione volontaria causata anche da un’aumento dei salari. Keynes pensa che l’unisa soluzione in
grado di prendere le redini di tale situazione di depressione sia la creazione di uno Stato interventista, che diventi il
regolarore della domanda, secondo tale soluzione infatti aumenterebbe la domanda dei beni, il reddito, si
riuscirebbe a colmare la spesa pubblica e a promuovere il pieno impiego.

Che cosa sono la teoria dello sviluppo e la teoria della modernizzazione? fammi un esempio di una di
queste teorie
2) Nel secondo dopo guerra con l’istituzionalizzazione della sociologia,la sociologia economica comincia a porre la
sua attenzione verso le aree arretrate principalmente verso la cultura e lo sviluppo di esse, questo interesse prende
il nome di “sociologia dello sviluppo”, che intende accomapagnare tali aree verso questo processo di cambiamento
e di sviluppo. I fattori che hanno portato a tale interesse sono la presenza dei nuovi stati dopo la decolonizzazione,
la contrapposizione dei due blocchi ed le nuove organizzioni nate sotto l’URSS. Le scienze sociali in tal caso si
interessano a temi dello sviluppo economico e sociale; in ambito economico vi è la presenza delle politiche
keynesiane caratterizzate dalla presenza dell’intervento statale per sostenere il processo di industrializzazione e
soprattutto in ambito sociale;, l’impotanza dei fattori culturali e istituzionali che condizionano lo sviluppo, ed è
proprio da tali temi che nasce la teoria della modernizzazzione che è una sfida per la modernità occidentale in
quanto spinge le società meno sviluppate verso il cambiamento. Negli anno 50’ e negli anni 60’ tale teorie si
ramificherà in diversi approcci; il primo prende il nome di “ teoria della modernizzazione in senso stretto”,
secondo la quale il cambiamento avvicina i paesi arretrati al modello di società dei paesi più sviluppati, il secondo
approccio prende il nome di “ teoria della dipendenza” secondo la quale il i paesi più sviluppati condizionano il
cambiamento economico dei paesi arretrati, essa è rilevante principalmente nei paesi dell’America Latina, infine
abbiamo la” political economy comparata”, essa pone invece l’attenzione su ruolo delle istituzioni politiche nel
processo di modernizzazione. Diversi studi hanno richiamato l’attenzione sulla teoria della modernizzazione, che
prende in esame le società tradizionali tipiche delle aree aretrate , tra cui la scuola struttural-funzionalista di
Hoselitz e Levy, i quali credono lo sviluppo economico di tali aree sia condizionato dalla cultura e dalle strutture
sociali, definiti anche come orientamenti culturali che ostacolano lo sviluppo stesso. Tant’è che delinenao quattro
diversi principi su cui si basa tale scuolaa; ascrizione anziché principio di prestazione, universalismo anxihè
particolarismo, uniformità rispetto a specializzazione e orientamento razionalista rispetto all’orientamento
tradizionalista. Tramite queste caratteristiche e l’allontanamento dalle società tradizionali che può avviarsi la strada
verso l’innovazione ed il cambiamento nelle aree arretare,superando le società tradizionali. L’avvio della
modernizzazzione ha inizio con la presenza di nuove elitè che introducono innovazione rispetto ai modelli
tradiziinali e con essa anche i livelli di realizzazione del benessere tipici delle società tradizionali. Ma essa nn
venne solo sostenuta, azi furono mosse contro di essa varie critiche; la prima riguarda la concezione ottimistica
dello sviluppo che vede al centro una visione etnocentrica secono cui le società delle aree arretrare dovevano
adeguarsi al modello occidentale e considerarlo come modello positivo per arrivare all’innovazione, la seconda
riguarda dei modelli idealtipici che sono presenti in entrambe le società, sia moderne che tradizionali, ad esempio i
legami familiari, la terza critica riguarda i rapporti delle aree arretrare con l’esterno, i paesi arretrati sono
specializzati nella prodizione di materie prime e in manodopera, e a contatto con l’esterno scambiano queste
risorse con prodotti industrializzati a costi molto alti, ma questo non crea il capitale sociale necessario per lo
sviluppo, infatti secondo l’approccio dipendentista, il quale crede che con un’economia internazionale si aumenti
la concorrenza tra i mercati e soprattutto il lavoro degli artigiani che con essa possono essere a rischio, il rapporto
con i paesi industrializzati dovrebbe aumentare lo sviluppo, invece il risultato è una situazione di sottosviluppo,
secodno la quale le zone centrali deturpani di beni e risorse le periferie delle aree arretrate. Oinfine l’ulrima critica
crede che il cambiamento per tali società sia sostanzialmente esogeno.

3) Lo Stato Sociale è una forma di stato che interviene economicamente a favore della popolazione meno ambiente.
Esso può essere chiamato anche Stato di Benessere o Stato Assistenziale, mentre la terminologia inglese è Welfare
State. L’obiettivo principale dello Stato sociale è quello di evitare che vi si formino delle disuguaglianze tra le
diverse classi sociali. Infatti egli si occupa di offrire un reddito minimo a tutta la popolazione, anche quei cittadini
inabili al lavoro o disoccupati. I mezzi che usa sono essenzialmente: la sanità pubblica, l’istruzione pubblica, i
sussidi alle famiglie povere, l’assistenza ai malati e agli anziani. La prima forma di stato sociale risale al 1600,
quando la Gran Bretagna emanò lo Stato Assistenziale, erogando delle leggi sui poveri, che prevedeva un salario
minimo, per sostenere quelle famiglie che non riuscivono a procurarsi nemmeno i beni necessari per sopravvivere.
Successivamente, sempre in Inghilterra, vi è stata la formazione delle Workhouse, venivano offerte delle abitazioni
ai lavoratori per evitare che si addasse in contro alla disoccupazione e per non perdere la manodopera a basso
costo. Per i lavoratori che rimanevano nelle workhouse, venivano privati dei loro diritti civili e politici. Con la
prima Rivoluzione Industriale, invece, vennero sancite le prime assicurazioni in caso di infortuni sul posto di
lavoro e in caso di malattie. Inizialmente erano volontarie, poi successivamente divennero obbligatorie. Ma è con il
secondo dopo guerra che si delinea lo stato sociale che è vigente ancora oggi. Vengono erogate le prime pensioni
per malattia e vecchiaia, si presenta la sanità pubblica e via dicendo. Ovviamente è giusto rammentare che non si
può parlare di un unico piano di Welfare State, in quanto ogni paese ha il suo. Tra il 1980 e il 1990, lo Stato
sociale entra in crisi per una serie di fattori: il Welfare State diveniva sempre più costoso e ammontava sempre più
il debito pubblico con l’accrescere della popolazione, le aziende non riuscivano a sostenerlo più in quando
dovevano concentrarsi anche sulla concorrenza nel mercato, data la presenza dei paesi di nuova
industrializzazione, quali gli asiatici, che non dovevano far fronte a spese relative allo Stato sociale. È prorpio
partendo da queste basi che lo stato sociale Keynesiano con la crisi degli anni 30’ crede che l’ortodossia non sia
più in grado di fornire delle risoluzioni economiche ed è necessario l’intervento dello stato nell’economia, e
soprattutto che lo stato intervega soprattuto nei periodi di stallo e della domanda nel mercato. Nel secondo
dopoguerra vi è sempre una maggiore presenza dello stato in campo economico e sociale e lo stato sociale
keynesiano si ramifica in questi anni in due direzioni: la prima definita keynesismo della crescita, ovvero utilizzare
l’intervento statale e la spesa pubblica come strumento per sostenere lo sviluppo economico,la seconda direzione
riguarda l’uso della spesa pubblico per accrescere il consenso e sostenere la crescita del welfare state. Lo sviluppo
all’interno di tale stato dipende dagli investimenti, i quali sono fondamentali per la produzione e produttività
nell’economia di mercato. Ma non in tutti i paesi si diffonde nel tempo e nello spazio in egual modo la politica
della domanda, infatti si parla di keynesismo debole e keynesismo forte. Il primo si sviluppa negli Stati Uniti fini
agli anni 70’, in esso la domanda viene sostenuta nei momenti di recessione e limitata nei momenti di equilibrio.
Questo tipo di keynesismo si attua per ristabilire il ciclo economico, si parla infatti di politiche stop and go, in esso
però la spesa sociale è meno consistente. Il keynesismo forte si sviluppa nei paesi scandinavi, promuove la cura e
la difesa della piena occupazione e crescita economica, vi è inoltre un incremento della spesa sociale, a questo
modello sono affiancati sindacati forti e partiti di sinistra che a loro volta sostengono la crescita del welfare.

4) Un nuovo modo per ricercare i problemi della modernizzazione è la nascita della political economy comparata,
negli anni 80’, è bene precisare che negli anni 70’ non tutti gli stati avrvano iniziato il processo di
modernizzazzione, ad esempio il continente africano risiedeva in codizioni gravose, mentre l’america latina e l’est
asiatico svilupparono un maggiore sviluppo economico, ma ci si rese conto che sia la teroria della dipenendenza
sia la teoria della modernizzazzioni erano troppo generali per spiegare il dislivello che vi era nei paesi a livello di
sviluppo economico. Ed è proprio da questo punto che si sviluppa la political economy comparata, essa e un filone
di studi che mette in relazione il rapporto che vi è tra l’intervento dello stato e i fattori culturali. il ruolo dello stato
è di fondamentale importanza in quando esso ha il compito di far funzionare il mercato. Questo interventento è
accomapgnato da due fattori fondamentali che hanno il compito di favorire lo sviluppo, ovvero la presenza di una
leadership politica che è orientata verso lo sviluppo e inoltre la presenza di una macchina statale che orienta gli
interessi collettivi. Negli anni 80’ vi è un cambiamento in talr filone, tant’è che grazie ai processi di sviluppo vi è
un rapporto tra il ruolo svolto dallo stato “ dall’alto” e strutture socio-culturali “dal basso”.

5) Il capitalismo Asiatico si interessa al rapporto tra stato e società , uno studioso che si interesso a questo tipo di
capitlismo fu Hamilton il quale indivuà alcune caratteristiche dell’industrializzazione nei paesi asiatici; ovvero le
relazioni di lavoro e le attività produttive. Ma per poter comprendere il capitalimo asiatico è bene una
comparazione tra il modello cinese e quello giapponese, in quanto in entrambi i paesi sia le relazioni di lavoro sia
le attività produttive sono diverse tra loro. Il modello giapponese è caratterizzato da un capitalismo dall’alto, in cui
è imponente il ruolo dello stato, esso è ispirato al modello di capitalismo occidentale, in cui si è alla ricerca di
contatto con le grandi imprese, ed esse sono specializzare in settori dell’industria pesante. In questo modello non vi
sono imprese familiari, ma tutto il potere viene affidato a politiche dirigiste e gruppi polifunzionali che vogliono
aumentare la produzione autonomia. L’eredità ti tale modello è il trasferimento dei beni e guadagno al primo
genito.Nel modello cinese vige un capitalismo dal basso, in cui non sono presenti le grandi imprese, anzi vi è la
rilevanza delle imprese familiari, infatti l’inmpresa non si distacca mai dalla famiglia, in esso si sviluppa sia una
crescita verticale che aumenta gli occupati, sia orizzontale, che aumenta la presenza di piccole imprese a
conduzione familiare. Il potere risiede nel ruolo della famiglia, infatti i ruoli tra loro sono interscambiabili, grazie
alla presenza di un tessuto fiduciario maggiore e grande cooperazione tra queste piccole imprese. L’eredità di tale
modello è la distribuzione dei beni uguali a tutti i figli maschi

6) Ciò che caratterizza lo stato sociale keynesiano è la forte crescita del sistema di welfare, Titmuss e Esping-
Anderson hanno sviluppato tre modelli di welfare con diverse caratteristiche. Il primo è il modello istituzionale-
distributivo,lo ritroviamo in Svezia Norvegia e Danimarca, che riconosce i diritti sociali come componente
essenziale della cittaidnanza, si tratta infatti si programmi pubblici che mirano a fornire dei benefici a tutti i
cittadini, per quanto riguarda le dinamiche socio-politiche esso è caratterizzato da un regime social-democratico in
cui è molto presente il movimento operaio , associato a sindacati e a partiti di sinistra. Il secondo modello è il
residuale, trovatosi negli stati uniti, in cui la protezione sociale è riservata solo ai cittadini che si trovano in
condizioni di indigenza e di grave precarietà, esso si rifà al regime corporatico conservatore, in cui è molto
presente la dottrina sociale della chiesa, vi è un’egemonia deipartiti moderati e conservatori. Infine l’ultimo
modello è il remunerativo, trovatosi in Belgio,Germania,Italia,Spagna e Australia (paesi europei), tale modello
ritiene che l’assicurazione sui rischi non debba basarsi su un reddito di cittadinanza bensì su una categoria socio-
professionale, in cui il finanziamento si basa sui contributi e e non sulla tassazione.

7) Analizzando la situazione che vi si presenta durante gli anni 70’, ci si chiese come fosse possibile che iin paesi
come l’Italia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti avessero un tasso di disoccupazione ed inflazione alto , risperro ai
paesi scandinavi, in cui invece la situazione era conenuta? Grazie alla political economy comparata che pone
l’attenzione sulla comparazione di due sistemi, quello pluralista e quello neocorporativista, ponendo l’attenzione
su due dimensioni che sono molto differenti in questi modelli. La prima dimensione riguarda l’organizazzione
degli interessi e il secondo è la decisione politica. Il modello pluralista tipico dei plaesi Anglosassoni e degli
USA .è caratterizzato da un’organizzazione degli interessi che vede al suo interno numerose associazioni
volontarie di piccole dimensioni che esprimono una rappresentnza verso degli interessi spacifici,il sistema di
rappresentanza di interessi è caratterizzata da poca centralizzazione e cooperazione e coordinamento.per quel che
riguarda la decisione politica vi è molta concorrenza. Il modello neocorporativo invece tipico dei paesi Eurepei
seppur diversi tra loro, è caratterizzato dalla presenza di grandi imprese che inglobano al loro interno vari settori
economici-produttivi, in esso il sistema di rappresenza molto centralizzato e coordinato, e soprattutto esso è
caratterizzato dalla presenza del modello di concertazione,ovvero, un accordo tra il governo ed altri attori pubblici
come ad esempio le rappresenze sindacalik, le quali collaborando con i governi definiscono ed elaborano le
politiche economiche.
8) Durante gli anni 70’ diviene un fenomeno di maggiore importanza la presenza di piccole e medie imprese,
denominate “cluters”, bisogna precisare che non si puà parlare di distretti industriali senza tenere in considerazione
la presenza di due caratteristiche fondamentali; ovvero, il processo produttivo diviso in fasi separate per consentire
la specializzazione delle piccole imprese e la possibilità dipproduzione soggette a un’elevata variabilità della
domanda, inoltre a queste caratteristiche aggiungiamo la specializzazione fattoriale, il tessuto cooperativo e i
l’integrazione tra le aziende nel processo produttivo. Questi distretti industriali sono molto presenti soprattutto in
Italia,dove si sono maggiormente sviluppate queste piccole e medie imprese. Esse sono sono concentrare in
sistemi locali ovvero in aree urbane di meno di 10 mila abitanti, ove vi è un mercato del lavoro integrato e
specializzazione settoriale. I distretti industriali inoltre devono rispondere in modo flessibile ai cambiamenti del
mercato grazie all’utilizzo di nuove tecnologie e coni rapporti di collaborazione e soprattutto devono avere la
capacità di innnovare e migliorare la qualità dei prodotti, ambe caratteristiche sono denominate da Marshall:”
atmosfera industriale”. Tra i modelli postfordisti vi si pone l’attenzione sulla formazione di sistemi locali
dell’innovazione, che sono caratterizzati dalla concentrazione in un particolare territori di imprese di piccole e m
edie dimensioni specializzate in settori ad altra teconologia, tra i quali ritrovismo le biotecnologie,le produzioni di
softwer e le telecomunucazioni, si parla infatti di settoti high tech. I settori in questioni incorporano il loro nuove
tecnologie legate al progresso scientifico. Le caratteristiche che ritroviamo in essi sono: la divisibilità del processo
produttivo,l’incertezza delle triettorie tecnologiche e l’elevata variabilità del mercato. Per spiegare la
concentrazione territoriale di queste piccole Essi hanno suscitato particolare interesse nell’ambito della sociologia
economica perché alla base richiamano la presenza di un forte tessuto fiduciario e perché rappresentano una forma
alternativa rispetto alla grande industria, e il loro successo è favorito dalla presenza di una maggiore propensione
alla cooperazione tra le imprese e lo sviluppo locale. Tutto ciò grazie agli interventi, da un lato, di Banche,
Comuni, e dall’altro, da parte delle associazioni di rappresentanza degli interessi, del mondo del lavoro e delle
imprese. aggiungere
9) Nel 900’ si afferma un nuovo modello di organizzazione economica che prende il nome di modello fordista-
taylorista, esso si basa sulle grandi imprese che hanno delle caratteristiche principali. Esse sono verticalmente
integrate, ovvero all’intenro di esse sono presenti più fasi produttive che rpima erano affidate ad altre imprese,
questo permette una continua espansione dell’impresa, le imprese sono impegnate nella produzione di massa,
ovvero nella produzione di beni standardizzati, a maggior quantità, con l’utilizzo di macchine specializzate, questo
procsso di produzione avviene a minor costo grazie alla presenza di un’economia di scala. Infine vi è una
manodopera scarsamente qualificata, il lavoro è semplice e ripetitivo e questo limita l’autonomia degli operai.
L’impresa viene vista come una grande organizzazione burocratica basata sul controllo gerarchico, la dove vi sia
una buona organizzazione burocratica vi è la maggiore presenza del management che ha il compito di controllare e
coordinare le attività produttive. La diffusione di tale modello avviene grazie alla diffusione dell’elettricità come
fonte di energia a basso costo e il miglioramento dei mezzi di trasporto e cominucazione. Negli anni 70’ entra in
crisi il fordismo a causa della saturazione del mercato, l’aumento del prezzo del petrolio, l’instabilità del mercato
nazionale, con il passaggio da cambi fissi a cambi fluttuanti, porta alcuni paesi ad adottare un modello
neocorporativo con pratiche di concertazione per sopperire a tale crisi e cambiamenti, i paesi come
Italia,Inghilterra e Usa non hanno trovato soluzione in questo modello, e durante gli anni 70’ ci sono stati effetti
scioccanti per le trasformazioni avvenute. I paesi che hanno aderito al sistema di rappresentanza di tipo
neocorporativo dovevsno produrre più beni di qualità a causa dei nuovi gruppi sociali creatisi, che hanno
sviluppato nuovi stili di vita, inoltre vi è l’introduzione di nuove tecnologie elettroniche, grazie a questi due nuovi
elementi è possibile produrre dei beni non standardizzati e cosè sfuggire aòòa concorrenza dei paesi a più basso
costo del lavoro, ne risulta inafatti un costo minore della produzione flessibile e una maggiore produzione dei beni
non standardizzati. Dinanzi a tali crisi, due ricercatori, Piore e Sabel stipularono un modello in contrapposizione a
quello fordista, ovvero quello della specializzazione flessibile, in cui vi è presente una maggiore manodopera
qualificata, un produzione di beni non standardizzati con macchine utilizzate per modelli diversi , in questo
modello non sono solo coinvolte le grandi imprese, ma anche le piccole imprese.

10) Così come i distretti industriali hanno adotatto un modello della produzione flessibile, anche le grandi imprese
presenti al sud e nordovest sperimentano una produzione flessibile in quanto vi è una grande instabilità
eframmentazione dei mercati, e soprattutto investire in machinnari specializzati diventa pericoloso in quantol vi è
continuo cambiamneto della domanda, cosi si cerca una riorganizzazione per offire maggiori prodotti e produrlo
in base allarapidità e variabilità della domanda. I tratti di questo nuovo modello sono la separazione tra concezione
ed esecuzione del prodotto in quanto vi è una produzione dei beni lenta, che crea forme di decentramente dellle
autorità, in cui le strutture centrali sono più snelle e si occupano solo di decisioni strategiche, inoltre cambia
l’organizzazione dei lavoro interna in quanto la possibilità di produrre beni differenti in relazione alla variabilità
della domanda porta allo sviluppo del modello di” just in time” , ricordato anche come “Toyotismo”, in cui vi è la
necessità di eliminare gli scarti all’interno delle grandi imprese, e una forte collaborazione e convolgimento della
manodopera. La grande impresa si apre così all’esterno, di modo da avere un contatto con i subfornitori
specializzati, vi sono presenti delle regole istituzionalizzate che consentono e incentivano il lavoratore ad un
comportamento più cooperativo, si pensi infatti che in Giappone fu istitutito l’impiego a vita e ci si concentrò in
investimenti la formazione professionale. Infine il contesto isitutzionale è molto importante, in quanto influisce
sulle capacità di adattamento delle grandi imprese al nuovo modello produttivo flessibile.

11) A partire dagli anni ’80, grazie alla globalizzazione, le economie mondiali iniziano ad influenzarsi a
vicenda, orientandosi verso un mercato internazionale. La sociologia si impegna a studiare la
varietà dei capitalismi, che definiscono 2 modelli idealtipici: il modello renano e il modello
anglosassone. Nel primo caso troviamo un sistema di regolazione in cui il mercato è limitato ed è
forte il ruolo dello Stato; nel secondo caso il ruolo del mercato è molto più ampio e si attua un
processo di globalizzazione. Per spiegare al meglio le differenze tra i due modelli, possiamo riferirci
a diversi contesti. Per quanto riguarda la Finanza e l’assetto proprietario delle imprese, nel modello
anglosassone il finanziamento è soddisfatto attraverso il reperimento di capitale sul mercato
azionario e le decisioni sulla vendita delle azioni è influenzata dall’esito redditizio a breve termine.
Nel modello renano, il finanziamento è soddisfatto attraverso le Banche, che favoriscono rapporti di
lunga durata e, inoltre, è presente un’attenzione particolare agli interessi degli Stakeholders
(management e lavoratori). Un secondo aspetto importante riguarda la formazione professionale,
verso la quale c’è un elevato investimento nel caso del modello renano. Nell’ambito delle relazioni
industriali, nel modello anglosassone le organizzazioni sindacali sono molto deboli e ci sono pochi
vincoli alla licenziabilità; mentre, nel modello renano, c’è meno libertà di licenziare o assumere.
Un’ulteriore differenza tra i due modelli riguarda l’ambito della disuguaglianza sociale: nel modello
renano lo Stato interviene in campo sociale e della redistribuzione, nel modello anglosassone, la
privatizzazione dei servizi comporta un tasso di povertà molto più elevato che, di conseguenza,
acuisce le disuguaglianze dei redditi. Nell’ambito dell’innovazione, i due capitalismi hanno vantaggi
diversi; infatti, nel modello anglosassone si punta alle innovazioni radicali, mentre in quello renano
alle innovazioni incrementali (migliorare prodotti già esistenti). Inizialmente, si riteneva che il
modello renano fosse quello vincente, ma pian piano ci fu una ripresa anche del modello
anglosassone. In generale, possiamo affermare che non ci sia superiorità dell’uno, rispetto all’altro,
ma che ci sia un equilibrio multiplo, in quanto ogni modello ha i suoi punti di forza e le sue
debolezze.

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