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IDOLON, L’IDEA DI MERCATO NEGLI AUTORI

SOCIOLOGICI
Capitolo primo
Le spiegazioni sociologiche della teoria dell’azione
Nella prima metà del secolo scorso, gli economisti predicavano il liberismo in America, il
corporativismo in Italia, il collettivismo in Russia.
L’economia, scienza delle previsioni spiega il domani senza comprendere l’oggi perché
applica il paradigma della razionalità alle azioni umane.
Gli economisti hanno convinto il Fondo Monetario Internazionale a inviare centinaia di
miliardi nella Russia senza vedere che gli aiuti finanziari finivano nelle tasche di tribù
mafiose.
Lo spirito della speculazione è anarchico, ama la libertà. È un elemento fondamentale della
tensione continua dell’individuo alla felicità.
Il mercato è un sistema che interagisce con molti corpi, in cui micro e macro si riflettono.
La chiave di accesso al mercato è la creazione di idee, in cui la competizione diventa un
processo di selezione critica, nella scelta tra beni e servizi migliori. I governi hanno un
ruolo importante nel decidere le regole e incentivare la formazione; chi ha un buon livello
di formazione è nella posizione migliore per scoprire nuove vie di innovazione e
miglioramento degli standards di vita.
Mises dice che la fiducia nelle abilità è spesso determinante nell’applicare l’istinto
paretiano delle combinazioni insieme alla necessità di rimuovere un bisogno. Una
maggiore autostima induce una motivazione al di là nel tempo, poiché i costi di un’azione
possono essere inferiori ai benefici; i costi vengono percepiti come gravosi rispetto ai
benefici futuri, finendo con il rimandare l’azione.
La riscopertà della soggettività è uno dei temi rilevanti della sociologia dal 1989 a oggi;
scarsezza e abbondanza diventano valori relativi anche alla formazione come plusvalore
da aggiungere senza mercificare l’individuo all’interno del circuito economico.
La formazione di un individuo completo non può essere ignorata nel sistema economico;
ma l’accelerazione economica e tecnologica rendono necessario un aggiornamento
cognitivo anche personalizzato. Il mercato è il potere dei consumatori, di una libera scelta.
La “new economy” si serve di regole chiare per garantire il funzionamento del mercato e
politiche di controllo antitrust per colpire posizioni dominanti.
Quella che Thurow chiama “creazione di un ambiente imprenditoriale dinamico e dotato
di spinta di crescita” è alla base della nuova economia della conoscenza.
Max Weber dice che in Europa manca il riconoscimento sociale del successo e della
ricchezza vissuti come peccati e non come meriti. Questo atteggiamento scoraggia
l’iniziativa privata.
L’economia del mercato trova una sua ratio nello spingere gli imprenditori allo sviluppo
senza cullarsi di un passaggio prestigioso basato sui beni materiali, ma inadeguato alla
richiesta di conoscenza e innovazione.
I pensatori classici, come Adam Smith, hanno avuto attenzione alle relazioni tra decisione
di produzione e scambio delle imprese e delle famiglie, e di scelte di coloro che hanno il
potere.
L’approccio neoclassico riconosce l’importanza delle regole per consentire ai bisogni
individuali di realizzarsi al meglio.
Keynes ebbe il pregio di dimostrare come le imperfezioni del funzionamento dei mercati
creano la regola, piuttosto che l’eccezione. Ciò fu il presupposto per il diffondersi delle
politiche attive con l’obbiettivo di conseguire il benessere sociale attraverso la
pianificazione.
Accanto a ciò non si può non ricordare la legge di causalità. Russel si batteva contro la
causalità come Wittgenstein, che nel “Tractatus”, scriveva non essere possibile inferire gli
eventi del futuro da quelli presenti.
Hume aveva tentato di eliminare in modo radicale il nodo gordiano della causalità: causa
ed effetto sono relazioni che non percepiamo nelle azioni, esse sono costruzioni del nostro
intelletto indispensabile. Questa riduzione di Hume incappa nelle congiunzioni costanti di
fenomeni che non esemplificano relazioni causali.
Ciò, riportato in economia, consiste nel considerare il mercato come il luogo degli scambi
dei beni, che sono atti razionali, retti da principi della massimizzazione del risultato che
caratterizzano l’homo oeconomicus. Egli agisce con azioni logiche studiate
dell’economia con una razionalità, spinta dall’utilità, ricompense.
Il mercato offre un processo dialettico che qualifica l’alternativa tra regola come
proposizione e regola come precetto senza pretese di prevalenza della prospettiva
economica su un’altra prospettiva. I concetti di liberalità e solidarietà, l’uno fondamentale
come dovere di non recare danno all’altro, l’altro espressione della socialità della persona.

1.1 Le uniformità dell’atteggiamento umano


La differenza metodologica tra scienze naturali e scienze storico-sociali non consiste nella
presenza o meno di un sapere nomologico, ma nella diversa funzione che questo adempie.
Per le scienze naturali il sapere nomologico rappresenta il termine della ricerca, mentre
per le scienze storico-sociali esso ha una funzione strumentale perché spiega il carattere
specifico dei vari fenomeni. La ricerca sociologica, con Weber, assume come oggetto i
modi tipici in cui si presenta l’agire sociale dell’uomo. L’atteggiamento è qualsiasi specie
di agire dell’uomo che prende posizione di fronte ad un certo oggetto, ma
l’atteggiamento rilevante è l’agire sociale. Compito della sociologia “comprendente”
diventa quello dell’elaborazione dei tipi ideali di atteggiamento, delle forme di agire
sociale che possono essere riscontrate nel comportamento degli individui.

1.2 La relazione sociale


La relazione sociale per Simmel è l’agire di un individuo nei confronti di un altro
individuo o di più individui. La relazione deve essere:

 Reciproca: deve influenzare entrambi i soggetti. Io sono influenzato da te e tu sei


influenzato da me;
 Prevedibile: significa che il modo di comportarsi delle persone che sono in relazione
tra loro è prevedibile nel senso che le persone tendono a comportarsi sempre nella
stessa maniera. Anche se dovessero cambiare i membri della relazione, se
l’atteggiamento rimane invariato, anche la relazione può continuare anche con
persone diverse, se invece cambia l’atteggiamento, la relazione è destinata a finire.

Weber ha individuato vari tipi di relazioni sociali:

 Comunità: è una relazione sociale nella quale i membri si sentono di appartenere


sulla base di valori e tradizioni comuni;
 Associazione: relazione sociale che si basa su interessi e obiettivi comuni da
perseguire;
 Famiglia: relazione sociale basata sulla nascita;
 Gruppo sociale: relazione sociale chiusa la cui esistenza è garantita da alcuni
individui che ne costituiscono l’apparato amministrativo. Es. azienda.
1.3 L’individualità nel capitalismo moderno
La società capitalista tende a diventare individualistica e ciò significa che il capitalista è
interessato più al benessere proprio che a quello degli altri e della comunità a cui
appartiene.

Razionalizzazione della società moderna significa che sempre più l’agire umano tende a
basarsi sulla convenienza personale. L’uomo si chiude come in una “gabbia di acciaio” in
cui tutto ciò che è importante è il guadagno. Le “gabbie di acciaio” sono i beni esteriori per
Weber. Inoltre la razionalizzazione è anche l’agire solo dal punto di vista razionale,
eliminando completamente i sentimenti e le passioni.

Modi di agire nei confronti degli altri:


 Etica della fratellanza: l’aiuto reciproco tra le persone; chi è in difficoltà viene
aiutato dagli altri secondo la logica dell’oggi hai bisogno tu, ma domani potrei aver
bisogno io. Questa è la vecchia visione del mondo. È il modello antico di
un’economia rurale.
 Etica nell’economia moderna: non ti vedo come un fratello ma come “un altro” la
cui sorte mi è completamente indifferente. Questo atteggiamento è tipico della
società industriale.
1.4 Rapporto dell’uomo-persona con i valori
Weber riconosce nella molteplicità dei valori una caratteristica della modernità e
abbandona il presupposto della validità incondizionata dei valori. Definisce una nuova
interpretazione della relazione dell’uomo con i valori: il suo rapporto con i valori risulta
caratterizzato in base ad una scelta. Ne deriva che il riferimento ai valori non offre più
all’agire umano una garanzia di validità incondizionata. Cade così la trascendenza
ontologica dei valori e resta una trascendenza normativa, che ne designa l’irriducibilità
all’esistenza di fatto. È proprio l’economia liberale nella sua celebrazione dell’individuo e
dei suoi valori a preparare la morte di esso e la sua sostituzione con quella maschera, la
persona, che rappresenta la sua valenza economica. A ciò che resta dell’individuo si
concede la “sfera del privato” distinguendo, in economia, pubblico e privato.
1.5 Il fatto sociale totale: Marcel Mauss
Mauss fu un assertore dell’unità del fatto sociale totale nel definire il fattore sociale come
realtà; ma il sociale è reale solo se integrato in un sistema. Il fatto totale deve incarnarsi in
un’esperienza individuale da due punti di vista: in una storia individuale e in ciò che si
potrebbe chiamare antropologia, un sistema di interpretazione che renda conto di tutti gli
aspetti. Il fatto sociale totale ha un carattere tridimensionale: dimensione sociologica,
storica, fisio-psicologica. Mauss vide l’individuo come un tutto indecomponibile, nel quale
i vari elementi sono in mutua interrelazione e che si pone nei confronti della società in un
rapporto di complementarietà. La struttura sociale segna la sua impronta sugli individui
attraverso l’educazione dei bisogni e delle attività corporali. Nella “teoria generale della
magia e altri saggi”, egli si preoccupò di definire il concetto di persona, osservando persino i
clan, in cui esiste un determinato numero di nomi che indicano un ruolo. Da qui Mauss
pensa che un grandissimo numero di società è arrivato alla nozione di personaggio, di
ruolo che l’individuo esercita nella quotidianità. È a Roma che si trovano tracce
dell’esistenza di cerimonie di clan, di gruppi di soggetti che godevano di diritti e privilegi,
nonché l’uso di maschere di cui si adornano gli attori in base al nome che portavano. Si
ebbe la concessione di diritti di cittadinanza a tutti gli uomini liberi che usufruirono della
persona civile. C’era l’usanza che ogni cittadino doveva avere il praenomen (indicava
l’ordine di nascita), nomen (veniva dalla gens a cui apparteneva) e il cognomen
(soprannome). La base metafisica che mancava al concetto di persona viene dal
Cristianesimo, da cui viene posta l’unità della persona, l’unità della Chiesa, in rapporto
all’unità di Dio. Fino al concilio di Trento si susseguono polemiche e dubbi sulla natura
dell’anima individuale. Il Rinascimento e Cartesio rivolgono l’attenzione al pensiero: da
qui la massima “Cogito ergo sum” (penso quindi sono); Spinoza accetta l’idea
dell’immortalità dell’anima, l’immortalità dell’anima poetica. L’evoluzione di concetto di
persona in Hume si rivoluzionò perché nell’anima ci sono stati di coscienza, percezioni;
esitava di fronte alla nozione dell’io come categoria fondamentale della coscienza. Con
Kant la persona prende una forma precisa; egli pose il problema insistente nel sapere se
l’io fosse una categoria. Kant aveva fatto della coscienza individuale, del carattere sacro
della persona, la condizione della ragion pratica. Fu Fichte a farne la categoria dell’”io”,
condizione della coscienza e della scienza, della ragion pura.

Capitolo secondo
Il comportamento razionale
2.1 Il concetto di razionalità
La razionalità, con i suoi meriti e demeriti, è al centro del modo di essere e di agire
dell’uomo.
La letteratura è piena di contrapposizione tra la ragione del cuore e quella del cervello con
Pascal.
Un obiettivo è razionale quando il comportamento è coerente rispetto ad un dato insieme
di credenze e obiettivi.
L’homo oeconomicus personifica la capacità di raggiungere in modo efficiente un obiettivo e
può anche puntare al raggiungimento di obiettivi etici.
Un comportamento razionale può essere subordinato al raggiungimento di obiettivi
irrazionali. L’importante è identificare qual è l’obiettivo da raggiungere e il bene che si
vuole conseguire.
È difficile distinguere cosa è razionale e cosa non lo è all’interno delle preferenze, che sono
definite come la disposizione a scegliere una cosa, anziché un’altra; l’evoluzione ha
installato nell’essere umano la capacità di scegliere come meccanismo di sopravvivenza e
sono quindi dette razionali quelle scelte che rientrano nel meccanismo evolutivo,
favorendo la sopravvivenza.
Massimizzare un risultato non significa raggiungerlo, ma ottenere il massimo grado di
soddisfazione possibile.
In economia è tutto make or buy ed esiste un costo; costo vivo, quando si tratta di beni di
prima necessità, costi di opportunità quando si acquista una cosa rinunciando ad un’altra. È
razionale quel determinato comportamento che consente di accrescere l’utilità del bene e
produrlo fino a quando il rendimento è maggiore del costo.
Nel mondo reale fatto di situazioni finite:
 I rendimenti sono decrescenti per quantità successive di beni acquisiti;
 I costi sono crescenti in misura proporzionale alle quantità prodotte.
I fini umani definiscono cosa è e cosa non produrre e intervengono nel corso della
produzione.

2.2 La Teoria dei Giochi


La teoria dei modelli è utilizzata per interpretare la realtà:
1) Modello stimolo-risposta: ogni atto è visto come reazione all’azione di un altro
individuo;
2) Modelli linguistici: il comportamento viene retto da regole analoghe a quella della
grammatica linguistica;
3) Modello motore: operano in funzione di uno scopo ed è oggetto di correzione
fondati su feedback di apprendimento;
4) La teoria dei giochi: azione finalizzata al conseguimento e allo scambio di premi.
Al centro delle formulazioni teoriche è l’uomo razionale; lo sviluppo dei computer ha dato
un impulso alle simulazioni del comportamento dell’uomo razionale. Ha grande rilevanza
l’analisi dell’uomo iporazionale (soggetto a razionalità limitata), considerato come modello
comportamentale più realistico.
La teoria dei giochi fu inventata da John von Neumann e Oskar Morgenstern nel 1994,
facendo uscire il comportamento razionale dei giocatori; la teoria prevede diverse
combinazioni di gioco:
 One-Person games: giochi ad un solo giocatore, che non prevedono l’analisi
dell’interazione tra più soggetti;
 Two-Person games: riguarda l’analisi delle scelte strategiche ottimali di due
giocatori;
 Zero-sum games: si tratta di giochi a conflitto totale, in quanto ciò che un soggetto
guadagna un altro perde. Ciò impedisce strategie cooperative;
 Giochi di informazione perfetta: si tratta di giochi predeterminati;
 Giochi di informazione imperfetta: il gioco punta al conseguimento dei saddle
points (i punti di equilibrio del sistema) e quando essi non sono presenti la
soluzione consiste in strategie miste fondate sulla preconoscenza.
 Non-zero sum game: le ricompense dei giocatori sono variabili e non per forza ciò
che un soggetto guadagna l’altro perde, vi è la possibilità di strategie cooperative;
 Giochi cooperativi: la comunicazione ha molto rilevanza in questo tipo di giochi,
più coincidono gli interessi dei giocatori e più vantaggiosa diventa la
comunicazione tra di loro. Questo gioco prevede il soddisfacimento di quattro
condizioni:
1) La soluzione deve essere indipendente dalla valutazione data ai due giocatori;
2) Peggior risultato agendo individualmente;
3) Soluzione non è influenzata da varianti minori.
 Giochi non cooperativi (concorsi): il dilemma del prigioniero rappresenta la chiave
di comprensione del comportamento non-cooperativo.
 N-person games: riguardano l’analisi delle scelte strategiche ottimali di n giocatori;
le tecniche sono analoghe a quelle dei giochi per due giocatori.
In giochi in cui è consentito collaborare, si possono determinare coalizioni tra giocatori.
Ogni coalizione è superadditiva, nel senso che più coalizioni possono associarsi in una
grande coalizione, il cui valore sia almeno pari al valore delle singole coalizioni che lo
compongono.
La difficoltà sta nel far nascere il gioco cooperativo la prima volta, una volta partito tende
a riaffermare la sua validità di volta in volta, creando una credibilità del giocatore.

Capitolo terzo
Storia dell’idea di mercato
Qualunque organizzazione che abbia come scopo mettere in contatto tra loro venditori e
compratori è un mercato o fa parte di un mercato.
Il concetto di mercato nasce nell’età del mercantilismo con i fisiocratici.
Il concetto di mercato non nasce tanto per uno stimolo al commerciare, quanto più che altro
in seguito alla libertà economica o alla sua mancanza, alla concessione di esercitare
quell’istinto o alla sua proibizione.

3.1 Dall’età antica al secolo dei Lumi


Nell’età medievale la concessione di esercitare il mercato era per pochi e questo ha fatto sì
che alcuni elementi dominassero le domande, i prezzi, le offerte, i profitti, gli attori sociali
stessi nell’esercizio dei loro ruoli.
Per Cournot con mercato deve intendersi intere regioni dove si compra e si vende e non solo
particolari piazze.
Per Marshall più il mercato è perfetto e più i prezzi di un certo bene sono uniformi in tutte
le piazze dove si fa mercato.
Aristotele fu il primo ad occuparsi di crematistica o scienza che studia la ricchezza; la
crematistica naturale è il commercio, la crematistica non naturale è l’usura.
3.2 I classici
In Smith si trova già il concetto di equilibrio tra domanda e offerta al prezzo di mercato.
Quindi in situazione di equilibrio la produzione offre le merci che la domanda richiede,
vengono scelti i metodi produttivi più efficienti e le merci vengono vendute al prezzo più
basso.
Questo però crea produttori poveri e consumatori felici (le imperfezioni di mercato, come
ad esempio il barare nel gioco, saranno poi gli elementi che renderanno il mercato
equilibrato).
Negli anni ’90 sono stare inserite le regole di funzionamento del mercato, volto a
neutralizzare gli interessi del capitalismo; questo insieme, alla nascita delle tecnologie, ha
contribuito a creare una concorrenza virtuale.
Questo ha portato non solo all’abbattimento dei prezzi, ma anche ad un innalzamento dei
prodotti e dei servizi, anche alla riduzione dei cash flore per quelle aziende che non siano
in posizione di market-makers.
La concorrenza si configura come una modalità di scontro indiretto, una lotta regolata, in
cui gli attori mettono in campo il loro potere. I soggetti dovrebbero competere per
raggiungere obiettivi migliori.
Tuttavia la realtà economica è condizionata da posizione di potere; gli attori socio-
economici tentano sempre di più di mantenere la propria posizione competitiva attraverso
il potere sociale e politico piuttosto che attraverso la qualità dei prodotti.
Il mercato necessita perciò di leggi che lo regolino. Il mercato però non è puro: sempre
pervaso di fatti e meccanismi politici, culturali, comunicativi e perciò non può garantire
l’efficienza come sostenuto dalla teoria neoclassica.
Ricardo, Malthus e John Stuart Mill si concentrarono soprattutto sui meccanismi
distributivi e sulla propensione rispettiva al consumo e al risparmio della rendita, del
profitto e del salario. Da Smith a Ricardo si passa da mettere da parte la rendita in quanto
merce non riproducibile e a considerare il salario come una quantità più o meno fissa in
base a criteri che riflettevano tendenze e situazioni storiche.

3.3 I marginalisti
Con il marginalismo si assiste ad un’evoluzione fondamentale, in particolar modo
nell’ambito della teoria del valore: in sostanza nell’impostazione classica e marxista, per
esempio, è la quantità di lavoro che definisce il valore di un prodotto; invece in base
all’impostazione marginalista, il valore del prodotto riflette il grado di soddisfazione
soggettiva che i consumatori attribuiscono ai diversi prodotti. La soddisfazione, o “utilità”,
tenderà a diminuire con il consumo di ogni unità aggiuntiva dello stesso bene.
Dal 1840 al 1873 ci fu un periodo in Europa che fu caratterizzato da una rapida espansione
economica in quasi tutti i paesi europei e del Nord America. Questo processo risultò
favorito da alcuni importanti mutamenti come nelle tecniche di trasporto e nella
comunicazione. Si consolidò inoltre la forma organizzativa della società per azioni che
divenne lo strumento tramite il quale una società poteva controllare molteplici capitali.
Parallelamente si verificò una crescita del mercato di capitali organizzati.
La crescita industriale si accompagnò ad un incremento di concentrazione del capitale e
del potere industriale, questo portò alcune volte ad una concorrenza aggressiva e selettiva,
mentre altre volte collusioni, fusioni o cartelli.
L’economia capitalista assunse così la forma di un sistema dominato solo da grandi
imprese. Le relazioni sociali ed i rapporti tra gli individui assunsero una forma gerarchica
e burocratizzata. Anche se l’obiettivo restò quello della massimizzazione del profitto
mutarono i metodi per conseguirlo: nacque la nuova scienza del management (in
economia aziendale, il processo di direzione di un’azienda) ed emerse la figura del
manager.
Con il resto dell’economia la grande impresa si trovò in posizione non diversa da quella in
cui si trovava il piccolo capitalista individuale nei decenni precedenti. Nasceva così la
“rivoluzione marginalista”.
Una caratteristica che accomuna i padri fondatori è la loro adesione alla teoria
utilitaristica. Per Jevons nella Theory: “il problema economico può essere formulato come
segue: dato: una certa popolazione con vari bisogni e poteri di produzione, in possesso di
certe terre e di altre fonti di materia; da determinare: il modo di impiegare il lavoro meglio
atto a rendere massima l’utilità del prodotto”.
Un’importante trasformazione avviene per quanto riguarda i soggetti economici,
scompaiono infatti di scena i soggetti collettivi, le classi sociali, i corpi politici che invece i
mercantilisti, i classici e Marx avevano posto al primo piano. I soggetti primari in
economia, quindi, a parità di sforzo, sono quelli più elementari (dimostrare l’utilità delle
organizzazioni più complesse rispetto a quelle più elementari).
Marshall: corpo politico=> interessi di tutta la nazione; interessi politici=> solo una parte
della nazione. Quindi non più economia politica ma scienza economica.
La teoria economica assurge poi a legge universale. Assimilata l’economia alle scienze
naturali e alla fisica in particolare, le leggi economiche vengono ad assumere fatalmente
quel carattere assoluto e obiettivo che si attribuisce alle leggi di natura.
Così mentre il riduzionismo individualista aveva portato all’eliminazione delle classi
sociali, il riduzionismo antistoricista portò all’eliminazione delle relazioni sociali.
I marginalisti liberarono la microeconomia, intesa come teoria delle scelte individuali
razionali, dalla macroeconomia classica, antecedendola a questa. In economia la teoria
macroeconomica (o semplicemente macroeconomia) è un ramo dell’economia politica che,
diversamente dalla microeconomia che studia i comportamenti dei singoli operatori
economici, studia invece il sistema economico a livello aggregato.
L’analisi marginalista ruota intorno a punti chiave: soggettivismo, utilità, scambio,
equilibrio, prezzi-qualità.
Soggettivismo: per Walras l’economia è formata da una pluralità di soggetti che sono
presenti sul mercato, come consumatori o come produttori di servizi o ancora come
imprenditori. Il processo economico nasce dall’incontro di questi soggetti nel mercato: i
servizi produttivi sono trasformati in beni i quali sono acquistati da altri imprenditori che
se ne servono a scopi produttivi o dai consumatori finali. Questi ultimi sono coloro che
hanno fornito servizi produttivi e che acquistano i beni prodotti dagli imprenditori,
spendendo il reddito che hanno ricevuto in cambio di servizi produttivi. In questa
rappresentazione non vi è idea della classe sociale.
Per Walras vi sono due gruppi di individui tra loro differenziati: quello dei consumatori e
quello degli imprenditori, la differenza tra loro è basata sulla diversità delle decisioni che
essi sono chiamati a prendere. Le decisioni che il consumatore prende non derivano dal
tipo di reddito, ma dal volume di quest’ultimo: che il reddito di un individuo derivi di
80% da lavoro e per il 20% da capitale, non fa la differenza.
“Soddisfare i nostri bisogni al massimo col minimo sforzo, vale a dire massimizzare il
piacere, è il problema dell’economia”. In questo senso il padre del marginalismo è
Bentham.
Leon Walras diede il maggior contributo all’idea di scambio con la sua teoria
dell’equilibrio economico generale. In economia la teoria dell’equilibrio economico
generale è una branca della microeconomia, che ha per obiettivo quello di spiegare la
determinazione congiunta delle scelte di produzione e di consumo e dei prezzi nell’intera
economia. L’approccio adottato dalla teoria dell’equilibrio economico generale è di tipo
botton-up; in altre parole, la teoria deriva le sue conclusioni sulla base delle scelte di agenti
individuali (consumatori, imprese) che operano in ciascun mercato.
Affinchè i soggetti, mediante gli scambi, realizzino una ottimizzazione delle rispettive
utilità, è necessario che prezzi e quantità siano in equilibro.
Il problema centrale della teoria di Walras è di mostrare come gli scambi volontari tra
individui bene informati, ognuno conosce i termini delle proprie scelte, auto interessati,
ognuno pensa per sé, ognuno segue un comportamento massimizzante, conducano ad
un’organizzazione sistematica della produzione e della distribuzione del reddito che è
efficiente e reciprocamente benefica.
L’unica forma ammessa di interazione sociale è quella che si realizza nel mercato per
mezzo dello scambio volontario.
Per dare conto del fatto che le azioni dei soggetti individuali vengono coordinate dal
mercato, bisogna dimostrare che esistono dei prezzi determinati in modo tale da rendere
vantaggiose a ciascun individuo proprio quelle attività e iniziative che soddisfano in modo
efficiente i suoi bisogni. La teoria dei prezzi è perciò al centro dell’equilibrio economico
generale. I prezzi sono la cosa attraverso la quale si compiono le scelte, i prezzi sono poi
dipendenti dalle scelte. Inoltre tra prezzi di beni e prezzi di fattori c’è una relazione. Il
prezzo di un bene è uno degli elementi che determinano il prezzo di domanda di un
fattore usato per produrlo. Tra il confronto di prezzo di domanda e prezzo di offerta del
fattore si ricava il prezzo di mercato, il quale influisce sul prezzo di mercato di esso e
prima ancora sul prezzo di offerta. Questo insieme di relazioni sono tali che la posizione di
maggiore interesse che ciascun agente persegue con le proprie scelte è compatibile con le
posizioni di massimo interesse perseguite da tutti gli altri agenti.
Per ottenere un tale risultato è solo necessario conoscere gli input, le dotazioni iniziali di
risorse, le preferenze dei consumatori e le tecniche disponibili.
I principi di Menger affermavano che era nodale il giudizio del consumatore circa l’utilità
dei beni atti a soddisfare i suoi bisogni (per gli autori classici il valore era essenzialmente
governato dai costi passati).
Per costo effettivo si viene ad intendere il costo opportunità. Il costo opportunità in
economia è il costo derivante dal mancato sfruttamento di un’opportunità concessa al
soggetto economico. Quantitativamente, il costo opportunità è il valore della migliore
alternativa tralasciata. In altri termini, il costo opportunità è il sacrificio che un operatore
economico deve compiere per effettuare una scelta economica. L’alternativa a cui si deve
rinunciare quando si effettua una scelta economica è detta costo opportunità (opportunity
cost). ad esempio, quando una persona inizia a lavorare, rinuncia ad una parte del proprio
tempo libero al fine di ottenere un reddito economico; il tempo libero rappresenta il costo
opportunità della scelta.
Salari, profitti e rendite dipendono dalle domande e dai prezzi di beni di consumo e
quindi sono determinati dall’utilità.

3.4 Il Novecento: Pareto, Weber e Simmel


Uno dei concetti fondamentali è quello della concorrenza vista come elemento importante
del mercato, per far sì che si possa mantenere una propria posizione sociale e di potere.
Pareto aveva già affermato che gli attori sociali cedono spesso alla tentazione di preservare
la propria posizione attraverso il potere sociale e politico, piuttosto che attraverso la
migliore qualità dei prodotti ed il miglior prezzo. Scriveva Pareto che coloro che
difendevano il libero scambio hanno di solito, almeno implicitamente, considerato i bassi
prezzi come un bene per la popolazione, mentre coloro che difendevano la protezione, li
consideravano come un male.
Si fece un passo avanti nella via scientifica quando si potè dimostrare che la protezione ha
per conseguenza diretta una distruzione della ricchezza. Nel sistema economico esiste una
tendenza più o meno latente che spinge gli interessi ad interferire sulle regole e sulle
condizioni del rischio, mettendo in discussione l’impiego del potere da parte degli attori
sociali, gli esiti a cui questa messa in discussione conduce e gli strumenti messi in campo
per perseguire questi obiettivi. Queste considerazioni mettono in discussione la capacità
del mercato di auto sostenersi e della concorrenza di autoriprodursi senza un apparato
giuridico e normativo di sostegno.
Già Weber aveva affermato che potere economico e politico non possono essere
nettamente distinguibili così è insostenibile che il diritto possa essere esterno al sistema di
interessi che va ad incidere sull’economia.
La concorrenza è una modalità di scontro indiretto, una lotta regolata, in cui gli attori
mettono in campo la loro capacità d’azione. I concorrenti non dovrebbero usare le loro
risorse di potere uno contro l’altro, ma dovrebbero lavorare per migliorare i risultati.
Il perseguimento dei propri interessi passa anche attraverso l’esercizio del potere che
tende a modificare il campo d’azione dei concorrenti; basti pensare alla possibilità di
entrare sui mercati. Si tratta di una tendenza che esprime non solo il desiderio degli attori
economici di consolidare la propria situazione, ma anche di agire in un campo strutturato.
Si vengono a creare 3 implicazioni analitiche:
1. Pretesa del mercato di autosostenersi infondata. Senza legge e senza un’autorità
politica esterna che la imponga è difficile che la concorrenza si autoproduca. Il
mercato è un’istituzione centrale e al contempo artificiale: non c’è mercato puro da
contrapporre ai meccanismi politici, ma c’è piuttosto una continua e pervasiva
interpretazione tra mercato e politica. La rilevanza dell’economia sulla vita sociale è
tale che ci si deve aspettare una continua interazione tra interessi economici e
politici; questo crea alcuni problemi.
2. Il potere che si forma sul mercato è instabile e suscettibile di cambiare la propria
natura e trasformarsi in qualche cosa di diverso. Max Weber distingueva due forme
di dominio: nel primo caso il potere deriva direttamente dal possesso di beni o
capacità che è possibile scambiare sul mercato, mentre nel secondo caso siamo di
fronte ad un dovere di obbedienza, indipendentemente dalle ragioni o dalle
motivazioni individuali. Weber afferma perciò che “dominio è la situazione in cui la
volontà manifestata di colui che comanda è in grado di influenzare la condotta di
uno o più e di fatto lo influenza in modo tale che il suo comportamento in una
misura rilevante si realizzi come se colui che è comandato abbia fatto del comando
la massima della propria condotta per il suo stesso bene.”
3. Il mercato di per sé non garantisce l’efficienza.
Una società che lascia ad attori dotati di una razionalità di mercato la libertà di
agire a loro piacimento, non riesce ad utilizzare in modo ottimale il proprio
potenziale produttivo e finisce per avere un rendimento economico peggiore di
quello possibile. Questo perché l’attore economico si trova ad operare di fronte a
molte tentazioni e ciò determina il fatto che non è portato ad adottare i
comportamenti più vantaggiosi nel lungo termine. L’introduzione di vincoli di tipo
istituzionale svolge così un ruolo importante, in quanto controbilancia gli
irrigidimenti e le lentezze che un sistema di concorrenza imperfetta crea al proprio
interno.
Il costituirsi di un potere autonomo e diverso rispetto a quello economico non è solo
condizione per il mantenimento delle regole della concorrenza, ma può essere un
fattore capace di aiutare il sistema delle imprese a raggiungere livelli superiori di
efficienza, lasciando aperto il problema di chi costruisce il mercato.

3.5 Mercato, potere e società


La natura istituzionale del mercato rende difficile isolare questo importante elemento della
vita sociale dal contesto circostante. Mercato e non mercato coesistono, in tutti i sistemi
possibili.
Il mercato è un meccanismo ottimale di raccolta e trasmissione di informazioni essenziali
al coordinamento dell’attività di migliaia di milioni di individui diversi. Le informazioni
sono diffuse, disperse, possedute separatamente dai singoli, si modificano continuamente
e non possono essere simultaneamente note ad un qualsivoglia centro decisionale. Il
mercato è messo a confronto con il sistema elettorale, altro sistema che registra le
preferenze. Nel mercato il consumatore ha la possibilità di valutare l’esistenza dell’errore,
mentre tale possibilità è più rara per il singolo elettore.
Popper ha insegnato che dovremmo sempre vivere in una società imperfetta. Questo non
solo perché anche gli uomini migliori sono molto perfetti né perché commettiamo spesso
errori, dovuti alla limitatezza delle nostre conoscenze.

3.6 Simmel e la socievolezza


La società è il luogo astratto nel quale gli individui agiscono. La catena di azioni-reazioni
dà vita a quell’unione linguistica, culturale, sociale della quale la società si nutre.
Per società Simmel intende degli individui che si trovino in reciprocità d’azione e
costituiscano un’unità permanente o passeggera.
La società esiste anche dove gli interessi sono diversi, nei gruppi che si formano e poi si
sciolgono, nei singoli che si incontrano senza conoscersi. L’importante è che ci sia
reciprocità, cioè che si sia consapevoli di vivere secondo gli stessi modelli, di operare
insieme per un fine comune e che tutto questo si può raggiungere o si è raggiunto con gli
altri.
L’interazione è un fatto naturale: la società è un fatto naturale, non ha confini definiti o
invalicabili; essa esiste dove c’è presenza umana, dove gli uomini si riconoscono affini
perché hanno le stesse esigenze, gli stessi bisogni che devono essere soddisfatti.
Nell’antichità la società veniva a stabilirsi solo per scopi familiari o protettivi; oggi la
società è sempre formata dalla partecipazione di più soggetti, ma questi si muovono anche
affinchè le loro necessità siano soddisfatte.
Simmel parla di socievolezza come luogo di scambio, come forma pura di relazione; nella
società moderna è impensabile un legame sociale svincolato da scopi.
L’unità sociale non significa essere uguali in tutto, è sufficiente condividere i valori
essenziali che le istituzioni richiedono per interagire e capire di far parte della stessa
comunità.
L’individuo esprime le sue esigenze perché è sicuro che gli altri lo aiuteranno nel
conseguirle, si sente perciò un essere socializzato. L’individuo avverte, nello stesso tempo,
indispensabile possedere un atteggiamento comunque individuale che lo discosti in alcuni
momenti della sua vita dal caos sociale e gli dia la possibilità di sentirsi realizzato anche
come singoli tra i singoli. Società ed individuo costituiscono i due termini antagonistici,
ma anche inseparabili e reciproci. Il loro antagonismo viene studiato da Kant; lo chiama
l’insocievole socievolezza degli uomini, la loro naturale tendenza ad aggregarsi, congiunta con
una generale avversione che minaccia continuamente di disunire questo aggregato. Il
riconoscimento razionale degli altri trasforma l’individuo in persona, in un soggetto di
relazioni, investito di un ruolo morale e giuridico e provvisto di uno status sociale.
La società umana risulta composta da un raggruppamento di persone unite fra loro per il
perseguimento di un fine comune e legate da un complesso di diritti e doveri che trovano
corrispondenza in ogni associato e rendano stabile e durevole l’unione economica.
L’individuo deve capire che l’altro è parte del suo mondo; per questo l’unione non è solo
fisica, ma anche psicologica.
La società moderna rende sempre più difficili le relazioni in quanto richiede agli individui
di velocizzare i tempi delle loro relazioni e moltiplica i bisogni da soddisfare.
Le esigenze degli individui seguono il continuo e frenetico sviluppo della società:
cambiano o si trasformano così velocemente che spesso l’uomo non riesce a soddisfarle e si
sente frustato, come inadatto a questo tipo di vita; altre volte ricerca, nel rapporto con gli
altri, la soluzione per risolvere o esaudire i suoi desideri, allora inizia ad interagire con una
quantità impressionante di persone. Parallelamente a questo modo, Simmel sottolinea che
l’uomo tende, per quanto è possibile, a cercare l’unicità e la particolarizzazione per
conservare la propria esistenza. L’individuo ritrova nella società il suo essere di per sé,
quel modo di percepirsi come unico e solo in grado di occupare il posto che la società ha
riservato per lui.
3.7 Il mercato e la metropoli
Sempre Simmel sottolinea l’importanza del denaro per l’interazione degli individui
come metro di misura dell’agire umano.
Nel 1900 Simmel pubblica la sua opera Filosofia del denaro dove descrive lo sviluppo del
concetto di denaro dall’antichità ad oggi, da semplice baratto, che aveva come oggetti i
prodotti naturali, ai mezzi di pagamento moderni, quali carte di credito, assegni, ma
soprattutto come si è trasformato il valore concettuale del denaro. Il denaro nella cultura
moderna riveste un’importanza che non ha eguali: è l’etichetta che contraddistingue il
povero dal ricco, la società industriale da quella non sviluppata, il benessere sociale dalla
povertà.
Il rapporto sociale è anche una questione fisica (nelle città sovraffollate si vive in molti,
dividendo uno spazio ristretto). È anche una questione psicologica come ricerca dell’altro
ed è anche un problema ambientale, di essere e sentirsi vicino all’altro. Simmel indica non
la città, ma la metropoli come spazio in cui avvengono le relazioni. La metropoli è la
conseguenza strutturale, materiale dell’enorme miglioramento sociale, ma soprattutto
economico. In occidente il livello di vita si è ottimizzato, lo scambio della moneta si è
intensificato; dall’altra parte lo sviluppo economico ha inciso sulle interazioni o comunque
sul modo di confrontarsi con gli altri. I rapporti sociali sono diventati simili al valore che si
dà al denaro: la ricchezza ha abituato l’attore sociale ad essere oggetto di molteplici
messaggi che devono essere recepiti anche a costo di sacrificare la qualità del rapporto.
Questa caratteristica riguarda soprattutto il fatto che non c’è più posto per i sentimenti
genuini. Nella società moderna la metropoli crea le condizioni psicologiche attraverso le
quali il soggetto sviluppa capacità mentali molto forti, c’è indifferenza e diffidenza verso
l’altro, visto come un individuo nel quale non fare pieno affidamento. Gli uomini
interagiscono, ma erigono una barriera invisibile che li mette nelle condizioni di non
lasciarsi coinvolgere troppo nelle relazioni.
L’economia di mercato e il dominio dell’intelletto sono strettamente connessi, ambedue
partecipano ad un orientamento utilitaristico nella considerazione degli uomini e delle
cose. Gli uomini sono portati ad unirsi all’altro per assumere un linguaggio verbale e un
comportamento consono alla vita tecnologica, fatta di fini da perseguire, di rapporti
superficiali, di bisogni da soddisfare. In questa società il denaro trova la sua collocazione
ideale. Il simbolo per eccellenza della ricchezza è oggi uno strumento che ha la capacità di
spersonalizzare l’individuo, renderlo razionale nelle sue scelte, freddo e distante nei
legami, abile nel prendere decisioni che contribuiscano alla realizzazione delle necessità
più diverse. Il soggetto rischia di considerare il denaro come fine ultimo del suo agire. In
una società ipertecnologica la moneta ha acquistato un valore non solo sul piano umano: il
valore di una cosa esiste solo nell’atto dello scambio, quando due stime personali,
incontrandosi, danno luogo a quell’azione sociale detta transazione. La complessità
sociale trasforma le reazioni semplici in scambi monetari che hanno come fine ultimo un
maggior guadagno. La moneta acquista sempre più valore anche come parametro di
valutazione. L’uomo moderno è letteralmente invaso dalle informazioni che riceve in ogni
momento da sminuire i rapporti sociali, questo porta ad un appiattimento sociale che si
registra appunto nei rapporti sociali. In questa condizione l’uomo non è in grado di
esprimere quella creatività che serve per opporsi alle forme nelle quali è costretto. Lo
spirito dell’individuo perciò si trasforma: nessun oggetto merita più considerazione di un
altro, tutto passa senza lasciare traccia nel soggetto; questo stato d’animo è fedelmente
riflesso nell’economia monetaria e nella sua completa interiorizzazione. Simmel parla
appunto di uomo blasè, frutto di una società industriale e della moneta che livella tutti gli
appartenenti a determinati status.
Blasè è qualunque soggetto che vive e agisce come se fosse il punto di riferimento di tutti
gli input che la società invia. L’individuo è così assuefatto alle forze che lo circondano da
non opporre alcuna resistenza alla società che lo plasma. Questo strumento livellatore
svuota le cose dalla loro essenza. Nei confronti del denaro si è tutti uguali se il soggetto
non attribuisce il giusto valore al denaro come mezzo non come fine. In questo caso
l’uomo si muove senza alcun riguardo personale, ma conformandosi agli altri e il denaro
si rivela essere il sistema di rappresentare una relazione invisibile per tramite di un
soggetto visibile, la moneta palpabile, il biglietto di banca o l’assegno. Il denaro, se infatti
da un lato rende possibile la pluralità di dipendenze economiche e sociali, dall’altro
conduce alla rimozione dell’elemento personale dei rapporti umani; esso crea
un’oggettività spettrale. Questo modo di interagire è simile al processo alla base della
divisione del lavoro. Lo sviluppo industriale comporta la divisione del lavoro e quindi una
maggiore specializzazione degli individui. La specializzazione mette l’attore sociale nelle
condizioni di essere l’unico in grado di poter eseguire un determinato lavoro, questo lo
rende sicuro delle proprie mansioni, ma lo allontana dagli altri, nella formazione e nella
vendita di prodotti. Il prodotto è perciò il risultato di più soggetti che svolgono lavori
diversi ma che, fondamentalmente, dipendono l’un l’altro per completare il proprio
lavoro; si crea quindi una coscienza sociale. In realtà ciò che sta prendendo e acquistando
una vita autonoma è proprio il prodotto finito che il soggetto ha creato, che non conserva
nulla di personale del produttore. Si parla così della tragedia della cultura che in questo
caso scaturisce dal concetto di denaro e dal suo valore. Il soggetto allontana da sé la sua
realtà interna per potersene riappropriare ad un livello più alto di auto-realizzazione, ma
il rapporto di scambio si materializza in oggetto e diventa sempre più difficile il
riavvicinamento. L’oggettivazione allontana, così, l’oggetto dal soggetto. Il denaro
allontana l’oggetto dall’uomo e ne fa un entità separata, indifferente.
L’uomo agisce alla continua ricerca di questo oggetto che non gli appartiene più. La
volontà del soggetto di andare alla ricerca di ciò che desidera, trasforma la vita in un
continuo ruotare attorno alla mera soddisfazione dei desideri e per questo provoca nuovi
sentimenti: l'angoscia per quello che si vuole ma non si ha, la brama di possesso che rende
gli uomini diffidenti gli uni dagli altri per paura che chi ci sta di fronte possa essere un
nemico, il nervosismo collettivo che scaturisce da quell’ansia che la cultura moderna
provoca. Il denaro rappresenta la duplice costituzione della società; è simbolo di
movimento, di trasformazione. Senza uno scambio monetario diffuso non si può parlare di
società.
Il denaro si presenta in modo tale da determinare la stabilità dei rapporti, perché è dotato
di quell’oggettività per la quale tutti coloro che entrano in contatto sono considerati
uguali. Il denaro ha quindi il potere di un’oggettività che si ripercuote negli scambi sociali,
nei quali si è simili e porta solo un susseguirsi di scambi volti ad aumentare la quantità di
denaro stesso in proprio possesso, favorendo l’aumentata capacità di dimenticare il valore
intrinseco delle cose. Nel pensiero Simmeliano soltanto il recupero della propria centralità
può restituire al soggetto la facoltà di decidere sul proprio avvenire.
Nella società moderna è il denaro che fissa i ruoli e le funzioni, ecco perché è così difficile
per l’uomo liberarsi dal concetto economico.
Il denaro rappresenta, così, uno dei fattori di conflitto nell’età moderna perché, se
unisce l’idea dell’integrazione economica tra i soggetti, è anche il motivo delle
differenze sociali che creano squilibri proprio nei legami tra questi. Lo scambio
attraverso il denaro rappresenta il più grande progresso funzionale della civiltà, perché la
soggettività tace e soltanto gli oggetti entrano in gioco nello scambio ed il loro valore è
espresso in denaro.

3.8 La sociazione
La socializzazione è il mezzo con il quale gli individui dotati della possibilità di associarsi
realizzano una società, un raggruppamento. Lo studio della SOCIAZIONE nella vita
quotidiana fornisce la consapevolezza che la costruzione sociale rende possibile parlare di
società. Infatti le forme di socializzazione corrispondono a situazioni nelle quali gli
orientamenti sociali reciproci si attualizzano, affinchè le forme possano funzionare.
Simmel intende argomentare la sociazione come il concetto generale di associazione,
qualcosa di conoscitivo: la coscienza di associarsi o di essere associati, un sapere più che
un conoscere. Il concetto e la forma della socializzazione si spiegano e si comprendono
laddove gli uomini sono in reciprocità d’azione e costituiscono un’unità permanente o
episodica. Le forme della socializzazione costituiscono una tavola di materie; le categorie
che danno forma all’esistere sono la fiducia, l’amore, la riconoscenza, la fedeltà, come
maniere di praticare e vivere le situazioni sociali. La società è il risultato della sociazione
con una spiegazione in termini sociali che diviene un circolo vizioso. La società è il
risultato precario e in divenire, in instabile equilibrio di tutte le forme di socializzazione.
Nel 1901 Simmel scrive un breve saggio Sulla psicologia del pudore. In generale il pudore
significa la vergogna nel mostrare le parti intime del corpo o dell’animo. Per Simmel
pudore è la vergogna che proviamo quando perdiamo la nostra soggettività, ossia il
tentativo di mantenere la propria soggettività; significa una vigilanza sui confini della
nostra apertura/chiusura nei confronti dell’altro, fino a che punto vogliamo che l’altro ci
conosca veramente. Il mio mondo interiore deve rimanere soltanto mio e non lo devo
condividere completamente con gli altri.
Per società quindi Simmel non intende solamente l’insieme complesso degli individui e
dei gruppi uniti in una stessa comunità politica. Egli vede una società dovunque degli
individui trovino in reciprocità d’azione e costituiscano un’unità permanente o
passeggera.
Capitolo quarto
Il concetto di persona, valore sociologico e non meramente
economico
Il termine latino “persona” indicava la maschera portata dagli attori, considerata
appartenenza ed atteggiata ad uno stato d’animo. Più tardi passò a rappresentare
l’incarico affidato all’attore che doveva rappresentarlo. Tuttavia il concetto di persona,
come lo intende la filosofia, era ancora estraneo al mondo greco perché mancavano alcune
note essenziali del significato stesso della parola, come ad esempio razionalità, libertà o
responsabilità ecc.
Successivamente la filosofia dotta traduce il termine persona dal valore estetico di
maschera alla categoria morale del ruolo svolto. Nonostante ciò il concetto di persona si
determina soltanto a partire dal Cristianesimo, il quale attribuì la personalità non solo
all’uomo, ma anche a Dio (tre persone in una, unica e divina). La persona con il passare
del tempo assume un carattere ipostatico (di sostanza), secondo cui la persona è ciò che è
per mezzo delle sue operazioni e porge su di sé una propria manifestazione che lo
distingue dagli altri di sua stessa natura (S. Giovanni Damasceno); e un carattere di
relazione che comprende il sapersi relazionare con se stessi e con gli altri. La persona è
dunque caratterizzata da razionalità, unità, identità, relazione, inseità, dignità, libertà
(Kant). Secondo Locke la persona è un essere intelligente e pensante che possiede la
ragione e la riflessione e può considerare se stesso. Leibnitz è d’accordo con Kant, ma
insiste anche sulla fisicità della persona, oltre l’identità morale. La persona non va confusa
con l’anima o con la coscienza: uno schiavo non è persona perché non ha la possibilità di
agire sul proprio corpo. La persona infatti è data solo dove è dato un poter fare per
mezzo del corpo, che non si fonda solo sul ricordo delle sensazioni, ma precede l’agire
effettivo. L’UOMO E’ PERSONA IN QUANTO E’ DEFINITO DALLE SUE RELAZIONI
CON GLI ALTRI.

4.1 Pareto
Avversario delle filosofie umanitarie, Pareto è fustigatore del sistema democratico e
dimostra che solo una minoranza di persone ha la possibilità di comandare e la capacità di
farsi ubbidire. Viene accusato di dissacrare alcuni valori fondamentali sui quali si basano
le società. Il punto cardine della sua riflessione è il concetto di sistema, legato al concetto
di struttura e funzione. Secondo Pareto inoltre l’economia pura non può dirci cosa esiste o
cosa non esiste, perché basata su un numero di astrazioni dalla realtà. Egli afferma che
solo la scienza dà all’uomo i mezzi e la sicurezza di agire. Vuole infatti dimostrare che lo
sviluppo della società si compie secondo leggi fisse. Il pensiero di Pareto si consolida
quando le strutture della società europea e italiana subirono un grosso sconvolgimento.
Però la visione meccanicistica di Pareto non si applicò bene alla realtà, in quanto egli non
riusciva a spiegarsela. Egli oscilla per questo tra ideale e reale. Le sue esperienze di politica
pratica, non andate a buon fine, convincono Pareto che il mondo è cattivo e che il potere è
corruzione. Egli viene considerato dai suoi contemporanei come insopportabile
predicatore solitario. I suoi studi si occupano di economia pura e di sociologia, sulla quale
investirà il meglio delle sue forze. Egli studiava economia perché aveva bisogno di logica e
ordine, ma allo stesso tempo si dedicava al socialismo perché in esso intravedeva una
carica rinnovatrice, un modello ed un esempio. L’economia pura di Pareto studia l’homo
oeconomicus, cioè colui che desidera il massimo con il minimo sforzo. Secondo lui l’uomo
lasciato libero troverà modo di fare i suoi interessi e quelli degli altri, ma molto spesso
accade che nonostante questo, l’uomo stesso agisce in modo differente e dunque Pareto se
ne domanda la causa, iniziando a riflettere sul comportamento dell’uomo e sul perché
delle sue azioni. Egli afferma che la società si trova in uno stato di equilibrio dinamico,
secondo cui il movimento modifica lentamente la società. Questo movimento è chiamato
EVOLUZIONE. L’evoluzione sociale è una delle più grandi scoperte dell’epoca di Pareto.
Secondo lui la società forma un tutto omogeneo, benchè sia composta da individui tutti
eterogenei. L’altra componente del pensiero di Pareto si imbatte su un naturalismo:
nonostante l’uomo fosse coinvolto da passioni e sentimenti mutevoli, al di sopra di esso
sono presenti leggi di natura che rappresentano quello che è, che deve essere e che non
cambierà mai. Le azioni degli uomini dunque, secondo Pareto, sono raggruppate in tre
classi:

1. Azioni che procurano piacere all’uomo;


2. Azioni che procurano condizione di salute, sviluppo del corso e intelligenza;
3. Azioni che procurano tutte queste condizioni a tutto un aggregato e aiutano ad
assicurarne la riproduzione.

Lo studio di queste classi costituisce l’oggetto della scienza sociale. Il fatto sociale per
Pareto deve essere studiato su due punti di vista: dal punto di vista dell’evoluzione storica
(diacronico) e da un punto di vista sincronico. Secondo Pareto l’uomo, benchè opera
secondo motivi logici, vuole legare logicamente le sue azioni a certi principi, al fine di
giustificare ogni sua azione. In questo modo l’uomo, con le proprie affermazioni, inganna
se stesso e gli altri. Da ciò si deduce che il ragionamento, nell’intelletto umano, viene
ritenuto meno importante del sentimento. La conclusione del percorso di ricerca di Pareto
afferma che lo studio della storia e della politica si fonda sul riconoscimento
dell’astrattezza e inconsistenza pratica dei sogni giovanili. Il nucleo centrale dell’opera di
Pareto è la teoria delle azioni nelle quali prevalgono gli istinti, le passioni e i sentimenti,
chiamati residui, che hanno un’esistenza soggettiva, legata a come gli individui li
generano e li animano. Negli “scritti sociologici minori” Pareto afferma che le azioni
dell’uomo hanno origine non dal ragionamento logico, ma dal sentimento: questo avviene
quando si tratta di azioni non economiche, per le quali invece avviene il contrario. Nello
studio “l’individuale e il sociale”, Pareto nota che l’individuo non potrà mai essere studiato
solo come tale, ma sempre in relazione alla società in cui vive, perché nessun uomo è mai
vissuto isolato e mai sarà possibile farcelo vivere. Per Pareto la storia è un accadere
meccanico, qualcosa di immobile che fa sì che l’uomo, a parte certe eccezioni, sia sempre se
stesso: LA SPECIE PUO’ MUTARE, MA L’INDIVIDUO MUTA POCHISSIMO. Questo
pessimismo scettico di Pareto si fonda d’ora in poi sulla dottrina del sentimento. Nel
manuale di economia politica, i primi due capitoli trattano dell’uomo e del suo egoismo: se
l’uomo non avesse un minimo di benevolenza, la società non potrebbe sussistere. Gli
uomini che sono felici desiderano che lo siano anche i propri simili e nulla è più bello e
rispettabile, anche se c’è il rischio di poter esagerare e di conseguenza guastare senza
volerlo la felicità del prossimo. RESIDUI, DERIVAZIONI, INTERESSE ED
ETEROGENEITA’ SOCIALE compongono il sistema sociale. Tali variabili sono in
continuo rapporto di azione e reazione e determinano il movimento della società. Il
movimento continuo forma, secondo Pareto, la “circolazione delle èlites”. Nel periodo del
dopoguerra Pareto si inizia ad occupare di azione politica e si domanda cosa spinge gli
uomini ad agire politicamente, come nasce, si sviluppa e muore il potere politico. Negli
scritti minori Pareto mostra l’immagine di una società alla ricerca della propria
comprensione. Pareto si rende conto che la democrazia non è più matrice dell’insieme
delle scelte politiche, ma un sistema in cui il conflitto sociale, lo sfruttamento e il dominio
di una classe, sono quasi inevitabili.

4.2 Simmel e il concetto di “Wechselwirkung”


Simmel basa i suoi studi sull’universale interazione e compenetrazione di tutti i fenomeni.
Egli utilizza il concetto di WECHSELWIRKUNG per esprimere la sua sociologia: questo
termine si articola in un’analisi di corrispondenze che sussistono tra gli elementi della
costellazione della modernità. Secondo Simmel la società sarà possibile solo nel momento
in cui più individui che hanno contenuti individuali mossi oggettivamente e non in
relazione all’azione reciproca con altri, non possono creare una società. Tale definizione è
riportata anche nel libro “il conflitto della cultura moderna”, secondo cui viene definita
società ovunque c’è azione reciproca tra più individui. Questa reciprocità nasce da impulsi
o scopi che fanno in modo che l’uomo riceva delle influenze dagli altri uomini, grazie alle
quali si costituisce di tutti gli uomini un’unità. Una forma di interazione è il dominio che si
basa soprattutto su atteggiamenti interiori: il desiderio che l’uomo ha di essere dominato e
dominare=> costante reciprocità del rapporto. Nel rapporto di dominio ci sono dei limiti
nel momento in cui subentra violenza fisica o volontà di sovrastare l’altro. La società per
Simmel è anche “sociazione”, ovvero il processo attraverso cui una forma di azioni
reciproche si consolida nel tempo e quindi ogni relazione è importante per la
formazione del contesto sociale (azione reciproca=> scambiarsi uno sguardo o salutarsi).
In ognuno di queste azioni ciò che uno fa ha influenza nell’altro. La società è il risultato di
una sedimentazione nel tempo di forme di azione reciproche. L’individuo è il centro di
una rete fitta di relazioni e la società è la somma di tutte le reti di relazione. Individui e
società sono indispensabili l’uno per l’altro. Individuo e società sublimano solo nel
momento della socievolezza, in quanto associarsi diventa un valore ed uno scopo in sé e si
distacca dalla realtà dei singoli individui. Gli individui non sono atomi della società, ma
un costrutto metodologico, considerato parte di qualche unità più ampia. La totalità
dell’individuo non si esaurisce solo per il ruolo sociale che ricopre, l’individuo è qualcosa
di più, poiché la sua vita ha inizio da un centro autonomo non propriamente riconducibile
alla posizione occupata nelle cerchie sociali. Differenziazione sociale però non significa
impossibilità di leggi sociologiche comuni: la legalità naturale è propria di ogni individuo
sociale. Simmel ha una nuova concezione di individuo: egli è essere in evoluzione, capace
di ridefinire la propria identità. Il problema dell’individuo è quando le responsabilità
sociali vanno a creare una scomposizione della personalità. La libertà individuale cresce
con l’espandersi della società, più piccola è la società, meno libertà spetta all’individuo. Di
conseguenza però la piccola cerchia, essendo qualcosa di individuale proprio perché è
piccola, si separa da quella più grande e all’interno di essa gli individui saranno molto
meno “individuali”, ma più uniti. Estendendosi, la cerchia più ampia non soffoca ne
sopprime le cerchie minori: i rapporti esistenti nella prima, saranno nettamente diversi da
quelli di cerchia minore e individui. L’ostacolo più serio della realizzazione di uguaglianza
è la PLEONESSIA, ovvero la sete di potere da parte del singolo. La pleonessia ha effetti di
rottura della concordia perché accompagnata da negligenza verso i doveri del bene
comune. Il pletorico vive in una realtà sfuggente, mai in sintonia con la società. Simmel
delinea i contorni di due forme fondate su ambiti culturali differenti: individualismo
dell’uguaglianza e della differenza. Le due linee sono distinte in primis per i tempi storici.
La prima è considerata propria del XVIII secolo, in cui l’uomo si batte per l’uguaglianza
tra individui, rimuovendo gli ostacoli sociali e i privilegi che si oppongono al suo
sviluppo. Tale concetto di uguaglianza costituisce secondo Simmel la prima volontà di
autoaffermazione dell’individuo. Questa volontà porta gli stessi individui a volersi
distinguere gli uni dagli altri: dal precario equilibrio di uguaglianza nasce la forma più
radicale di individualismo, che si oppone al concetto stesso di uguaglianza. Simmel, in
uno dei primi saggi dedicati all’individualismo, osserva che il senso dell’esistenza umana
si basa sull’individualismo e nella diversità di ognuno, perdendo così il valore
dell’uguaglianza: rimane solo l’io dell’egoismo, privo di legge e contrasto. L’essenza
dell’individuo non consiste solo nella differenza specifica, ma costituisce piuttosto
un’unità vitale nella quale si intrecciano e cooperano gli elementi comparabili e non, che lo
compongono. L’individuo è l’uomo intero, non ciò che rimane quando da questo si toglie
quello che condivide con gli altri. L’individuo è più che uomo, tuttavia contiene in sé la
comune umanità.

4.3 Il concetto di scambio in J. Ortega y Gasset


Ortega oppone al razionalismo metafisico-scientifico una ragione vitale, che si manifesta
nel fare attraverso la concretezza storica delle situazioni. Ortega intende la relazione come
scambio, definendola commercio sociale e già nel 1930 prende consapevolezza che la
dimensione dell’uomo è diventata mondiale: l’assente diventa presente e il lontano
diventa vicino. Scambio e relazione costituiscono i temi delle opere più importanti di
Ortega, infatti in “L’uomo e la gente” egli definisce la relazione come commercio sociale. Nel
rapporto sociale i soggetti devono considerare che non sono gli unici e che debbono
relazionarsi con altri soggetti pronti a giudicarli. L’altro uomo attira l’attenzione del
soggetto che, preoccupato dei giudizi altrui, agisce in maniera condizionata. Il corpo
dell’altro è un semaforo che ci invia segnali di ciò che succede nel dentro dell’altro uomo.
La vera vita, quella propria di ognuno, è strettamente legata al soggetto unico. Il problema
del condizionamento è però costante: l’uomo potrebbe vivere la propria vita pienamente,
solo se non si lasciasse influenzare dagli altri uomini. Egli deve saper spostarsi dalla
prospettiva come uomo in società all’altra prospettiva come uomo autentico e ritirato in
solitudine. Questa infatti filtra nell’anima e la modella. Nel momento in cui l’uomo entra
in contatto con l’altro, perde la sua autenticità: all’uomo farebbe comodo vivere in
solitudine. Fortunatamente tra i molteplici soggetti esistono delle caratteristiche generali
che rendono possibile la relazione e la reciprocità. L’altro uomo è il solo essere la cui
azione sia capace di rispondermi, tanto quanto io sono capace di rispondere a lui. Gli
uomini hanno delle caratteristiche comuni che permettono loro di rapportarsi, anche se la
relazione condiziona la realtà e ne rende difficile la percezione. Fin dalla nascita l’io si
relaziona con altri soggetti, i quali sono i primi a venire a contatto con l’io stesso, dunque
prima ancora di prendere coscienza di se stessi, si conosce l’altro e proprio per questo ogni
uomo a modo suo è altruista. Con questo termine però si intende qualcosa che precede la
bontà: non si parla ancora di relazione sociale, perché non si realizza ancora nessun atto
concreto. Ortega introduce il termine nostroismo, che indica il fatto di esserci
reciprocamente: in questo caso si ha la prima realtà sociale. Egli parla più volte di
relazione come commercio, che significa esistenza di uno scambio: nella misura in cui
viviamo e la realtà siamo “noi” (io e l’altro), ci andiamo a conoscere. L’altro si distingue
quindi da tutti gli ALTRI differenti da lui e io con le buone o le cattive inizio a
relazionarmici. Grazie al cosiddetto commercio, il soggetto arriva ad individuare nell’altro
un uomo particolare e non più uno qualsiasi. Quando la conoscenza è più approfondita, si
ha una situazione di intimità, dunque l’altro mi diventa prossimo e inconfondibile: diventa
TU. L’uomo prima di essere animale psicologico, è animale sociologico e vive in un
sistema di usi sociali che esercitano su di lui una pressione incisiva. Il mio essere è l’ultimo
ad apparire: prima scopriamo gli altri, poi facciamo uno sforzo per ritrovare la nostra
persona. Quando, entrando in relazione con l’altro, il mio essere non è autentico, e dunque
parlo in base a ciò che la società vorrebbe che dicessi, la mia personalità si strugge. Ortega
ritiene che parte della nostra vita si compone di cose che facciamo non per il gusto di farle,
ma perché lo fa la gente che ci costringe ad azioni umane che provengono da essa e non da
noi. La gente fa ciò che è abitudine, è tutti e nessuno in particolare. La società è
conservatrice e ostile nei confronti della novità. Gli individui possono essere creatori, ma
la società blocca tale creatività. La gente non potrà mai essere agente di cambiamento:
l’individuo perde se stesso nella società. Il soggetto che agisce è prigioniero di
comportamenti standard imposti meccanicamente dalla società, è condizionato dall’uso.
Per tornare padrone della propria vita, l’uomo è costretto a svincolarsi dagli usi, processo
non troppo facile. Quando si vuole fare o smettere di fare qualcosa, non si può, perché di
fronte a noi si leva un potere più forte del nostro, IL POTERE SOCIALE. Tanto forte è la
pressione esercitata, che spesso la gente non si pone il problema di distinguersi dalla
massa, ma si illude che quel che pensa possa essere idea unica e propria. La maggioranza
delle idee non sono razionali, ma usi che si articolano gli uni agli altri: LA SOCIETA’ E’
UN INSIEME DI USI. Ortega non esclude mai la possibilità di mutamento, egli definisce
infatti l’uomo, storico. Ciò che preoccupa Ortega è l’irruzione dell’uomo-massa, la cui vita
è priva di programma e corre alla deriva, sebbene le sue possibilità siano enormi.
Nell’opera “La ribellione delle masse” si avverte una forte sensibilità della mondializzazione,
l’accrescimento del mondo consiste nell’abbracciare più cose. Ogni cosa è tutto ciò che si
può desiderare, è attività vitale: non è facile immaginare un oggetto che non esiste nel
mercato, nè è possibile che l’uomo immagini ciò che non si trova in vendita. Noi viviamo
nel mondo, ciò nel contenuto delle nostre possibilità vitali. L’uomo avvalendosi della
tecnologia, si sente più forte, anche se Ortega avverte che tale situazione non è semplice
come sembra, perché gli uomini provano sentimenti contrastanti: l’uomo domina tutte le
cose, ma non è padrone di se stesso, si sente smarrito nella sua stessa abbondanza. La vita
di questo periodo è la più problematica che ci sia mai stata. La circostanza e la decisione
sono i due elementi fondamentali di cui si compone la vita. La circostanza è ciò che ci è
dato e imposto, essa costituisce il mondo, che non si sceglie ma ci si trova ed è
incommutabile. L’uomo di oggi fugge dai pensieri che destano preoccupazione, rendendo
giustificato anche l’errore; percepisce segni di crisi, ma finge di non avvertirli. Ortega parla
di uomo-massa, secondo cui l’uomo non è se stesso, ma diventa omologazione della
società in cui vive.

4.4 Il rapporto tra economia e sociologia nell’analisi dei fenomeni


I cambiamenti culturali dell’800-900 e la crisi del positivismo si ripercuotono nell’ambito
delle scienze sociali.
A ciò si affianca il pensiero di Nietzsche, da cui emerge la consapevolezza che il
Positivismo non è in grado di comprendere la complessità del reale. La polemica si rivolge
contro un mondo che ha rimosso gli aspetti irrazionali, passionali per aderire alla scienza
che vuole dare l’illusione di sapere tutto.
La certezza del Positivismo viene scossa dalla diffusione della psicoanalisi. Freud mette in
discussione le vecchie certezze e introduce il dubbio nel mondo sicuro. Si impone
all’attenzione un soggetto che non è il padrone delle proprie azioni.
L’individuo non agisce solo in relazione ad un ragionamento logico, ma è spinto all’azione
da impulsi, sentimenti, istinti. Per questo l’economia non può ragionare da sola, ma deve
dialogare con altre scienze.
La riflessione di Pareto si basa sulla convinzione che i fenomeni economici e sociali siano
correlati. Dalla riflessione di Pareto emerge un soggetto attivo che decide di partecipare al
processo di scambio solo se risulta per lui vantaggioso; l’ofelimità indica il vantaggio che il
soggetto ottiene nello scambio. Nel Manuale di economia politica Pareto definisce l’ofelimità
come ciò che è utile al soggetto da un punto di vista economico.
Anche Max Weber considera riduttivo lo studio del solo aspetto economico dei fenomeni e
dimostra ne L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (1905) che la genesi del capitalismo
non si può ricondurre a motivazioni di carattere economico. Nella sua forma attuale il
capitalismo si è sviluppato sulla base di premesse economiche e culturali del mondo
occidentale. Le caratteristiche del capitalismo occidentale si identificano con un’attività
orientata al guadagno, in cui si sviluppa un’organizzazione del lavoro attraverso la
separazione dell’amministrazione domestica dell’azienda. Il capitalismo, nella visione del
sociologo tedesco, si fonda su valori che trovano le radici nell’etica protestante, in cui il
guadagno ed il successo economico sono da considerare segni della predestinazione
divina. Quindi lo studio dell’economia non basta per rendere conto dei fenomeni
economici, in quanto deve considerare come oggetto un soggetto che agisce in base alla
propria natura. L’emergere di un attore sociale delle proprie scelte, è evidente nelle
riflessioni della Scuola Austriaca, che forniscono un’analisi del fenomeno economico
partendo da considerazioni inerenti l’individuo. Gli studi di Merger e Bohm-Bawerk
mostrano che lo scambio è necessario alla società per la soddisfazione dei bisogni
dell’individuo, che secondo Merger, sentono naturali impulsi alla soddisfazione dei propri
bisogni e con i mezzi a disposizione tentano di ridurre lo stato di disagio dettato dal
bisogno. Il processo di scambio è un’azione volontaria del soggetto per soddisfare delle
necessità. La volontà del soggetto emerge nell’attribuzione di un valore alla merce di
scambio. Il valore si divide in valore d’uso (se è impiegato direttamente per soddisfare il
bisogno) e valore di scambio (se è impiegato in modo diretto per ottenere ciò di cui si ha
bisogno tramite lo scambio) e la valutazione del valore d’uso e di scambio è fondamentale
perché un soggetto possa decidere se tenere un bene per sé o scambiarlo; il ruolo del
soggetto è quindi attivo.
La prospettiva di Merger viene ripresa da Bohm-Bawerk: “Lo schema guida è la teoria dei
beni, per cui la qualifica di bene economico è soggetta all’esistenza di un bisogno, alla
qualità oggettiva della cosa a soddisfarlo.”
L’uomo tende così alla propria felicità. Bohm-Bawerk sostiene che noi chiamiamo beni i
mezzi di soddisfazione idonei ai bisogni umani e distingue un valore soggettivo dal valore
oggettivo a seconda che si consideri l’importanza di bene per un soggetto o l’attitudine di
un bene al conseguimento di un risultato esteriore oggettivo (legna ha potere calorifico x,
rispetto a pellet, ma se un soggetto ha solo la stufa a legna per lui diventa valore xxxxx).
Il problema del valore è di grande importanza per lo scambio, dato che se solo viene
stimato il valore di un bene si può decidere di scambiarlo o meno.
Simmel concepisce l’uomo come un animale che pratica lo scambio, un animale oggettivo
che attribuisce un valore al mondo. La caratteristica dell’oggettività consiste nella capacità
di attribuire un senso al mondo con una valutazione.
Il valore è caratterizzato dal fatto che il soggetto arriva a questo rapporto soltanto al
prezzo di una rinuncia.
Lo scambio rappresenta la concretizzazione del processo valutativo e si basa sulla
misurazione reciproca degli oggetti. Lo scambio è possibile solo dove esiste proprietà
privata e si realizza grazie all’uso del denaro, in cui trova la sua espressione l’oggettività
della valutazione.
Non sempre è necessaria la persona come soggetto di scambio, per esempio, nel caso delle
merci, si vende o si acquista senza considerare la soggettività della persona con cui si fa lo
scambio.
L’interconnessione tra economia e sociologia è determinante nelle opere di Von Mises, in
cui lo studio dell’attore sociale diventa PRASSEOLOGIA, teoria dell’azione umana, nella
misura in cui questa era attuata da ciò che era descritto come motivo del profitto. Mises ha
compiuto una rivoluzione, trasformando la teoria economica dei prezzi in una teoria della
scelta umana. Essa costituisce la base della ricerca economica, dal momento che si occupa
di azione umana. La prasseologia identifica il proprio oggetto di studio in un individuo
che agisce per rimuovere un’insoddisfazione secondo un ragionamento logico. Ogni
azione razionale è in primo luogo un’azione individuale. L’azione ha lo scopo di sostituire
uno stato di cose più soddisfacente con uno meno soddisfacente. La prasseologia si occupa
di analizzare i mezzi che i soggetti scelgono di utilizzare per raggiungere gli scopi. La
ricerca studia i rapporti mezzi-fini che sono soggettivi e differiscono in ogni persona. La
prasseologia pone al centro l’individuo e l’analisi dei fenomeni economici viene affrontata
da Mises ponendo al centro della propria analisi l’azione individuale. Ciò emerge nello
studio del mercato, in quanto il soggetto che determina l’andamento del fenomeno è
l’individuo con le sue scelte. il fine della gestione del mercato è la realizzazione di un
profitto. Gli individui attuano una mutua cooperazione in vista di un utile personale:
“l’economia di mercato è il sistema sociale della divisione del lavoro e della proprietà
privata dei mezzi di produzione”. È importante anche il ruolo attivo del soggetto per
capire come il mercato sia influenzato dall’individuo. Nel mercato libero si attua, ad opera
del consumatore, una selezione alla quale l’imprenditore deve far fronte per non uscire
dalla scena economica. L’imprenditore è sottoposto a vincoli e viene controllato dal
mercato. Secondo Mises il mercato si autoregola. Nello sviluppo di tutto ciò ha un ruolo
determinante la ragione umana che è un sistema che cambia di continuo sulla base della
libertà e dell’imprevedibilità dell’azione. I fenomeni, però, sono anche determinati da
cause non controllabili, ma nel mercato è difficile renderle note e misurabili.
Il mercato, secondo Von Hayek, è un luogo di scambio di merci e informazioni e utilizza le
conoscenze di molte persone, permettendo una produzione più efficiente di quanto possa
essere la pianificazione centralizzata. Quest’ultima basa la propria argomentazione sul
controllo per la salvaguardia dell’uguaglianza nella società e Hayek critica chi sostiene ciò,
dato che l’uguaglianza delle norme generali è l’unico tipo di uguaglianza che contribuisce
alla libertà. Lo Stato ha un ruolo fondamentale per supportare la proprietà privata e
tutelare le libertà fondamentali, ma è determinante anche per la salvaguardia della
concorrenza che si basa sull’uso delle diverse conoscenze e costituisce il mezzo più efficace
per la produzione economica. Il suo scopo non è pianificare la vita, come accade per la
pianificazione centralizzata: la libertà economica è la premessa necessaria di ogni altro tipo
di libertà. La pianificazione centralizzata consiste nel fatto che i problemi economici
devono essere risolti dalla comunità, invece che dall’individuo; ciò implica che anche la
comunità deve decidere l’importanza relativa delle diverse necessità.

4.5 Il mercato nel mondo contemporaneo


La parola “mercato” deriva dal latino “mercatus” che significa “commercio, traffico”. Il
sostantivo deriva da “mercari”: comprare, acquistare. In senso geografico come luogo
dove avvengono le contrattazioni per la vendita; in senso economico il mercato viene
definito come il momento dello scambio generalizzato di beni e servizi. Per estensione il
mercato identifica anche il prezzo corrente di una merce, o il prezzo a cui un prodotto si
vende o si acquista.
Nel mercato la formazione dei prezzi è un problema legato alla forma di scambio in cui
avvengono le contrattazioni: si può parlare di forme perfette e imperfette a seconda
dell’omogeneità del prodotto e della trasparenza del mercato; inoltre si distinguono forme
aperte e chiuse (da parte della domanda e dell’offerta), a seconda della possibilità per gli
operatori di introdursi nel mercato o di uscirne. Ma la classificazione più importante è
quella che divide i mercati secondo il grado di concorrenza: si va dalla concorrenza
perfetta al monopolio.
Prendendo le parole di Jevons; “il mercato era una piazza pubblica di città ove si trovano
esposti per la vendita derrate ed altri oggetti. La parola è stata poi generalizzata a
designare ogni gruppo di persone che si trovino in intime relazioni di affari e negoziano
ampiamente in qualsiasi merce”.
Il tema della comunicazione è importante nel mercato: prima di contrarre lo scambio si
raccolgono notizie sulla domanda e sull’offerta della merce, sulle probabili variazioni
dei prezzi o cambiamenti. Lo scopo di queste informazioni è quello di conseguire la
massima conoscenza sulle condizioni del commercio; a ciò subentra anche il discorso
psicologico e pubblicitario.
All’evoluzione del mercato si è delineato il ruolo professionale dell’operatore di marketing,
che trasforma le case produttrici in soggetti di predizioni sul modo in cui il mercato
reagirà ad uno stimolo, affidando poi al mercato la verifica della validità della predizione.

Nella ricerca ci si avvale di varie tecniche: indagini esplorative, allo scopo di definire le
opportunità più significative che il mercato offre; indagini descrittive, volte a rilevare il
modo in cui è percepito il prodotto; indagini causali volte a scoprire le correlazioni tra le
caratteristiche dei prodotti presenti sul mercato e le caratteristiche psicologiche dei
consumatori.
Il mercato va analizzato anche rispetto al tema del liberalismo, nato come la dottrina che si
assume la difesa e la realizzazione della libertà in campo politico, si è sviluppato nell’età
moderna anche se, nel corso della storia, la sua concezione originaria ha subito numerose
modifiche. Nel Novecento si sono articolati tre filoni di studio, che rappresentano risposte
e sfide nuove alla storia: la riflessione sul totalitarismo con Popper, riflessione sul welfare
state in relazione agli studi di Von Hayek (“Hayek difende le ragioni del mercato e della
libera iniziativa, scorgendo nella libertà economica il presupposto di ogni altra libertà”) e
la società avanzata di Rawls, di natura kantiana (due principi: attuabile solo se c’è tutela
delle libertà fondamentali, che devono essere uguali per tutti, il secondo è di tener
d’occhio la condizione dei meno avvantaggiati).
In genere le scienze sociali forniscono le definizioni di mercato nelle riflessioni relative al
“Capitalismo”, inteso come il sistema economico che si fonda sulla proprietà privata dei
mezzi di produzione; sulla libertà di perseguire un guadagno attraverso il mercato. E il
mercato viene considerato in relazione al problema dell’accumulazione. L’accumulo di
capitale si ottiene nel sistema del libero mercato grazie all’esclusione delle aziende
concorrenti che non sono in grado di competere con i loro prodotti.
Il sistema in cui vige la libertà economica è regolata dall’andamento del denaro che, con i
suoi comportamenti connessi al consumo, al risparmio, determina la produzione ed il
mercato.

4.6 Mercato e globalizzazione


Il concetto di mercato è storicamente legato all’idea dello spazio in termini fisici. La sua
importanza moderna risale alle origini dell’industrializzazione. Antonio Baldassarre, in
Globalizzazione contro democrazia scrive: “per millenni il mercato è stato definito come il
luogo fisico, la fiera dove venivano coloro che vendevano merci e coloro che
acquistavano”. Con il tempo è passato ad indicare una rete di rapporti o un insieme
regolato nel quale gli individui, perseguendo i loro fini utilitaristici, scambiano prodotti o
servizi. Il mercato è quindi il luogo di scambio delle merci in cui si realizza un ordine
razionale, un Kosmos.
L’azione razionale dei singoli esige organizzazioni in cui l’individuo possa agire,
organizzazioni identificabili con entità del mercato, del potere e dello Stato. Ma il potere è
una relazione sociale: abilita gli uni, disabilitando gli altri e un paese che tenti di impedire
che i lavoratori si impoveriscano, rischia di far perdere loro il lavoro.
Il mercato è un’istituzione nata grazie a determinate riforme istituzionali e operante in
base a norme giuridiche che lo regolano, è un locus artificialis, prodotto dall’opera
dell’uomo.
Ciò che distingue il mercato da uno scambio anarchico è la stipulazione di un accordo tra i
contraenti. Esiste un livello minimo di norme giuridiche necessarie al mercato, dato
dall’osservazione media da parte degli operatori del principio giuridico pacta servanda
sunt, del principio che gli impegni presi vanno mantenuti.
Il mercato è presente solo dove è garantito un certo livello di ricchezza e che risulta
distribuito fra un numero elevato di soggetti.
Baldassarre afferma che l’economia di mercato si basa sul libero scambio e sulla divisione
del lavoro, effettuato da soggetti specializzati nella realizzazione di una particolare
attività; esso esige che le persone che condividono gli effetti possono godere di libertà,
senza le quali il mercato non potrebbe esistere. Infatti il mercato costituisce la base delle
libertà, dal momento che esige il loro rispetto per poter funzionare e in più costituisce il
fondamento della democrazia.
La riflessione di Baldassarre investe anche i nuovi tipi di mercato, nati soprattutto in
seguito alla “rivoluzione informatica”; il “mercato cibernetico” ad esempio, che consiste
nello scambio effettuato tramite internet: basta abbonarsi alla rete, navigare alla ricerca di
partners e prodotti e promettere la propria prestazione. La caratteristica fondamentale di
questo mercato è la mancanza di limiti giuridici; la forma del contratto è totalmente libera.
Il mercato cibernetico non è identificabile in nessun luogo geografico, dato che si basa sul
rapporto virtuale. Il mercato è coinvolto nei grandi cambiamenti che investono la società
attuale e il mondo globalizzato.
Il fenomeno della globalizzazione riguarda una particolare azione umana ed indica la
crescente interconnessione di regioni diverse del mondo, un processo che genera forme
complesse di interazione.
Thompson identifica le radici della globalizzazione nello sviluppo delle reti commerciali,
nel tardo medioevo e nella prima modernità: “prima di allora gli scambi commerciali
erano di tipo locale, gli affari a lunga distanza erano rari”.
La critica mossa da Baldassarre consiste nel fatto di analizzare un fenomeno nuovo per la
storia con gli occhi del passato. Per la maggior parte degli analisti, la globalizzazione
esprime una forma di internazionalizzazione e un’interdipendenza tra le varie nazioni:
esprime qualcosa che c’è sempre stato. Questa lettura pretende di valutare il presente con
gli occhi del passato. In realtà, la globalizzazione trova la sua espressione nella rete, che è
caratterizzata dalla mancanza di un luogo reale di riferimento. Tutte le forme di
comunicazione sociale e le transazioni che si svolgono in rete appaiono fenomeni di a-
localismo (indifferenza rispetto ai luoghi). Il fenomeno di a-localismo viene affrontato da
Giddens che scrive: “le nazioni occidentali conservano un’influenza sugli affari mondiali
maggiore rispetto a quella dei paesi poveri.” Nell’analisi di Giddens i mezzi di
comunicazione sono considerati non solo in relazione alle possibilità comunicative che
aprono. La complessità e l’ingovernabilità della globalizzazione emergono dal pensiero di
Baumann che afferma che la globalizzazione è un evento incontrollabile, contrapposto
all’universalizzazione che presuppone una linea guida, uno scopo. Invece la
globalizzazione è un processo fuori controllo, senza un progetto specifico. L’uomo si trova
immerso in una realtà complessa, rappresentata dal “villaggio globale”; l’uomo lascia
l’urbs, per rientrare nel Kosmos. La società globale esprime un accentuato dinamismo, che
può dar luogo a profonde rotture dell’equilibrio generale. Alla domanda sul governo, si
risponde che il ruolo tradizionale della politica di dirigere le attività della vita collettiva,
diventa uno scopo impossibile. Nei confronti dell’economia o globalizzazione non sussiste
alcuna autorità pubblica. L’economia e la “società civile” fanno riferimento a regole e
discipline che sorpassano il potere dello Stato e lo mettono in una posizione subordinata,
in quanto sfuggono al suo controllo. La funzione che viene svolta a livello statale dalle
istituzioni politiche è richiesta al mercato stesso, che viene configurato come meccanismo
di auto-regolazione e auto-controllo. Ciò significa che il mercato crea una cittadinanza
diseguale e produce una diseguale ripartizione delle risorse e dei poteri.
Per rispondere alla “domanda di governo” si è sviluppato un nuovo fenomeno che
Baldassarre riassume in due tipi di organizzazione: le istituzioni che sono composte dagli
Stati più forti e hanno compiti di decisione, e le istituzioni che agiscono secondo
paradigmi di azione tecnico-economici. Al primo gruppo appartengono i G8 con lo scopo
di sviluppare un coordinamento paritario della politica internazionale (ONU); al secondo
il Consiglio di sicurezza dell’ONU, la banca mondiale, il fondo monetario internazionale.
Alcune critiche vedono nel G8 e le altre istituzioni, un “proto-governo mondiale
capitalista”; Baldassarre afferma che si prendono accordi generali ai quali gli Stati sono
liberi di non attenersi. Ma la globalizzazione è un fenomeno non regolato da norme
precise e non governabile.
Huntington ne Lo scontro delle civiltà inquadra il fenomeno in un’altra prospettiva: “la
civiltà è una cultura su larga scala, è una totalità dinamica in cui si riscontra identità
culturale”. Egli lascia aperta la possibilità di una modernizzazione delle varie società,
senza una loro occidentalizzazione. “Le società non occidentali possono modernizzarsi e
l’hanno fatto senza abbandonare la propria cultura e senza adottare in blocco valori”.
L’interazione tramite la rete si basa su una completa anarchia, dal momento in cui gli
individui connessi ad essa godono di una libertà senza regole. Il mondo di internet appare
come un universo anarchico in cui non è possibile imporre delle norme e dei controlli.
I comandamenti della globalizzazione sono: liberalizzazione, creazione di un mercato
unico, realizzazione di una grande “piazza” globale, deregolarizzazione in base alla quale
lo Stato deve cedere il suo potere all’impresa, privatizzazione e innovazione tecnologica,
competitività e apertura delle frontiere. I mercati globali infatti hanno l’effetto di rendere
meno costosi i prodotti, aumentare la disuguaglianza e i conflitti tra sviluppo e ambiente.

4.7 La legge individuale: caratteri di oggettività e universalità


Simmel recupera il contenuto della diversità, facendo un confronto con Stirner. In esso la
debolezza della concezione radicale dell’io era stata riposta per un lato nell’enfatizzazione
dell’egoismo a spese del legame sociale, dall’altro lato nel fatto che l’io veniva svuotato di
ogni contenuto.
Occorreva dunque riconoscere lo sviluppo dell’io, che era sorretto da una legge
individuale, la quale domina fino all’ultimo il pensiero di Simmel. Questa legge si oppone
alla legge di Kant e all’inconsistenza dell’io di Stirner, libero di prendere e negare le
proprie oggettivazioni, orientato verso il consumo. Il principio della legge individuale
costituisce un vincolo da cui non si può evadere.
Il dover essere di un individuo è una categoria primaria, coordinata all’essere e il luogo di
produzione del dovere è la totalità dell’io vivente. La logica della legge individuale rifiuta
un giudizio portato sulle singole azioni isolate dalle vite individuali di cui fanno parte.
L’uomo “completamente morale” può fare a meno della legge: in lui la legge è fin dal
principio una cosa sola con la sua realtà psicologico-pratica.
Il dover essere, in collegamento con la vita individuale, continua a possedere quei caratteri
di oggettività e universalità che gli sono stati attribuiti dalla morale razionalistica.
L’oggettività non costituisce solo il termine dell’agire etico, ma anche il contesto storico
sociale in cui si può definire il Sollen individuale. L’oggettività esprime il fatto che la
doverosità di un’azione deriva dall’essere di un individuo, anziché dalla volontà.
L’universalità può essere rivendicata dalla legge individuale e non rappresenta che un
altro lato dell’oggettività. La validità di questa legge è indipendente dal fatto che
l’individuo la riconosca o meno. La complessità del carattere individuale, che sia costituito
da istanze orientate diversamente, non permette di stabilire a priori quale di esse debba
essere soddisfatta.
L’espressionismo, che esalta la soggettività, riconosce che la vita sia un fluire incessante,
una produzione di forme in cui questo fluire si fissa; si tratta di forme, di relazioni, idee,
istituzioni.
Le chances non previste della vita sono, secondo Simmel ciò che nella modernità formano
il senso. Ne Il conflitto della cultura moderna, “noi tutti siamo frammenti non solo dell’uomo,
ma anche di noi stessi, e nella Filosofia del denaro sullo stesso tema: “la coscienza di essere
un soggetto è essa stessa oggettivazione”. Proprio in questo consiste il fenomeno
originario della forma della personalità dello spirito. Bisogna fare la distinzione tra spirito
soggettivo e oggettivo. Lo spirito oggettivo è la cultura oggettiva nei prodotti dell’uomo
(enciclopedie). Lo spirito soggettivo si manifesta nella cultura di un uomo o una donna.
Un aspetto specifico della tragedia della modernità consiste, per Simmel, nella
sproporzione fra questi due poli dello spirito. Che le cose siano più colte e gli uomini
sempre meno, significa che la società moderna dispone di un sapere che sovrasta la
capacità di elaborazione di ogni individuo. Il conflitto in un individuo nasce dal fatto che
egli si trova in più sfere sociali, caratterizzate da particolari esigenze. Il conflitto dei doveri
è il prodotto di un’evoluzione, dell’interesse dell’individuo a forme più varie e in
sviluppo. Per questa via il conflitto diviene la scuola in cui si forma l’io, e quanto più
unitariamente vogliamo formare l’io, tanto più sarà ricco di conflitti. Il conflitto è la forma
in cui l’io si forma e si contrappone al mondo.

Capitolo quinto
Il concetto di mercato dall’economia alla sociologia
I nessi disciplinari tra sociologia, economia, etica, psicologia e storia sembrano costituire il
percorso più originale per la comprensione e la critica nel senso popperiano della
selezione della complessità del mercato oggi. I profondi cambiamenti culturali che si
sviluppano tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento provocano una
rivoluzione nella visione del mondo e dell’individuo e a questo si aggiunge anche la crisi
del Positivismo. Si affiancano, inoltre, al campo scientifico le riflessioni delle scienze
umane. La certezza e la profonda fiducia diffusa dal Positivismo viene scossa anche in
seguito al diffondersi di una scienza che rivoluziona gli studi psicologici: la PSICANALISI.
Lo studio di Freud mette in discussione le vecchie certezze, introduce il dubbio nel mondo
sicuro che fino ad allora era stato considerato la mente umana, considera un soggetto che
non è padrone delle sue azioni. La crisi dei fondamenti lascia un uomo isolato nella realtà,
rendendo il soggetto individuale e al tempo stesso l’unico riferimento negli studi
scientifici. Anche in campo economico la nuova prospettiva di ricerca assume una portata
rilevante. L’individuo è spinto all’azione da impulsi soggettivi, irrazionali e per questo
non totalmente prevedibili. Per tali ragioni l’economia da sola non può rendere conto dei
fenomeni nella loro completezza e deve dialogare con altre scienze, come la sociologia, che
consentono un’analisi dell’individuo in ogni suo aspetto. Un fenomeno come il mercato
deve essere analizzato, considerando le variabili che lo determinano da un punto di vista
economico, sociale, culturale e psicologico. La riflessione di Pareto si basa sulla
convinzione che i fenomeni economici e sociali siano fortemente correlati. L’economia ha
un proprio oggetto di studio, ma affinchè la sua analisi sia completa ed esaustiva, deve
stabilire un dialogo con le altre scienze.
Lo studio dell’economia non è sufficiente per rendere conto dei fenomeni economici,
soprattutto perché l’economia è frutto del comportamento umano e come tale deve
considerare come oggetto del proprio studio un soggetto che agisce in base alla propria
natura. Gli studi di Menger e Bohm-Bawerk mostrano che lo scambio è necessario alla
società per la soddisfazione dei bisogni dell’individuo. Menger nel 1871 in Principi di
economia politica apre con lo studio della teoria dei bisogni, dal momento che i bisogni
dell’uomo sono il punto di partenza di ogni indagine economica. Secondo Menger le cose
che sono in grado di soddisfare i bisogni umani sono per l’economia cose utili. Se la cosa
utile è riconosciuta come tale ed è disponibile, noi la chiamiamo un bene; per l’economia i
beni sono dunque cose giudicate adatte a soddisfare i bisogni umani e disponibili per
questo scopo. Si ricorre al processo dello scambio, perché questo consente ai soggetti di
impossessarsi dei beni di cui necessitano. Lo scambio si configura così come un processo
mediante il quale i soggetti tentano, con un passaggio di proprietà dei beni, di
soddisfare i propri bisogni. Anche dalla riflessione di Pareto emerge un soggetto attivo,
che decide di partecipare al processo di scambio solo se questo risulta per lui vantaggioso.
Pareto parla di ofelimità per indicare ciò che è utile al soggetto da un punto di vista
economico. L’ofelimità è un valore importante, perché da essa dipende la decisione dei
soggetti di partecipare allo scambio.
L’interconnessione tra economia e sociologia è resa ancora più importante nelle opere di
Von Mises, in cui lo studio economico diventa PRASSEOLOGIA, teoria dell’azione umana.
Trasformando la teoria economica dei prezzi in una teoria generale della scelta umana, si
determina la nascita di una nuova scienza che ha il suo fulcro nell’azione umana: la
prasseologia.
La scelta determina tutte le decisioni umane. La prasseologia, sulla base di questo, si
occupa dell’individuo, unico elemento che agisce sulla base di un ragionamento. Di
conseguenza, l’analisi dei fenomeni economici è affrontata da Mises ponendo al centro
della propria analisi l’azione individuale. Gli unici fattori che indirizzano il mercato e ne
determinano i prezzi sono le azioni intenzionali d’individui. Non c’è nessun automatismo:
ci sono solo individui che mirano consapevolmente a scopi scelti e che deliberatamente
ricorrono a mezzi precisi per raggiungere questi fini.
La proprietà privata è definita come un diritto di natura. C’è da questo punto di vista
un’enorme differenza tra l’uomo e gli animali, privi di ragione. L’animale non governa se
stesso, ma è guidato e governato dalla natura. Ben diversa è la natura dell’uomo. Siccome
egli possiede nella pienezza la vita sensitiva, anche a lui è dato, almeno quanto agli altri
animali, di usufruire di beni fisici e corporei. Il gran privilegio dell’uomo è però
l’intelligenza, ossia la ragione. Bisogna riconoscere all’uomo non soltanto la facoltà
generale di usare delle cose esterne, ma il diritto stabile e perpetuo di possederle.
L’istituzione della proprietà privata è riconosciuta come confacente alla natura dell’uomo
e alla pacifica convivenza sociale, fondamentale per l’autonomia e lo sviluppo della
persona. È così evidenziata l’importanza del lavoro quale espressione immediata della
persona nei confronti del capitale e come attitudine alla responsabilità, alla dignità e alla
personalità. A distanza di quasi cento anni, Giovanni Paolo II, così come Leone X, afferma
che il lavoro è la caratteristica essenziale che distingue l’uomo dalle altre creature. La
capacità di conoscere tempestivamente i bisogni degli altri uomini è anche questo una
fonte di ricchezza nell’odierna società. Così come era stato per Pareto, anche per il
pontefice la formazione di imprenditori efficienti e consapevoli della loro responsabilità
diviene un prerequisito indispensabile. La principale risorsa dell’uomo, insieme con la
terra, è l’uomo stesso e la sua intelligenza che fa scoprire le potenzialità produttive della
terra e le multiformi modalità con cui i bisogni umani possono essere soddisfatti. La
moderna economia di impresa comporta aspetti positivi, la cui radice è la libertà della
persona, che si esprime in campo economico come in tanti altri campi. L’economia è un
settore della multiforme attività umana e in essa, come in ogni altro campo, vale il diritto
alla libertà, come il dovere di fare un uso responsabile di essa. Il fattore decisivo della
produzione è sempre più l’uomo stesso e cioè la sua capacità di conoscenza, che viene in
luce mediante il sapere scientifico, la sua capacità di organizzazione solidale, la sua
capacità di intuire e soddisfare il bisogno dell’altro. Mediante il suo lavoro l’uomo si
impegna non solo per se stesso, ma anche per gli altri e con gli altri. Egli inoltre collabora
al lavoro degli altri, che operano nella stessa azienda e al lavoro dei fornitori o al consumo
dei clienti in una catena di solidarietà che si estende progressivamente. Michael Novak,
nell’esaminare i suoi otto argomenti sulla moralità del mercato, al quarto punto pone
quello “della crescente immaterialità di ciò che la gente desidera comprare”. Kenneth
Adams avverte l’imminenza di una svolta nelle preferenze dei consumatori. Quanto al
profitto, esso è indicatore del buon andamento dell’azienda. Il profitto è un regolatore
della vita dell’azienda, ma non è l’unico; ad esso va aggiunta la considerazione di altri
fattori umani che a lungo periodo sono almeno ugualmente essenziali per la vita
dell’impresa. Si apre così il problema dell’analisi del rapporto tra etica ed economia. Il
mercato non sembra essere più argomento di dibattito dopo la dissoluzione delle
economie pianificate dei paesi dell’Est europeo ed il conseguente caos economico e
politico. La capacità del mercato di porre in relazione persone che tra loro non hanno
nessun tipo di legame preesistente, comporta che i soggetti coinvolti nello scambio si
adeguino al rispetto di alcune regole fondamentali (responsabilità, impegno, rinuncia
all’inganno e alla violenza). La libertà individuale identifica nell’imprenditore uno dei
punti di forza, più idee costituiscono una ricchezza.
Durkheim, sociologo francese, fu attratto dal Positivismo e dalle scienze esatte i cui metodi
volle estendere alle scienze sociali e convinto assertore della necessità di una sociologia
concepita come scienza empirica ed esatta. L’orientamento centrale era quello di ristabilire
l’ordine messo in crisi dalla Rivoluzione Francese. Durkheim intese la società come una
realtà sui generis, che non poteva essere ridotta alla somma delle sue parti, sebbene senza
queste ultime esso non sarebbe nulla. Così riunendosi, attraverso legami durevoli, gli
uomini formano un essere nuovo che ha natura e sue specifiche leggi: è l’essere sociale.
Durkheim riconobbe nella solidarietà sociale un valore maggiore di quello del singolo a
cui quest’ultimo si doveva sottomettere. Nella sociologia di Durkheim c’è una scontata
corrispondenza tra sociale e reale: il sociale è sempre logico. L’autonomia e la progettualità
umana vengono in tal modo cancellate, mentre acquista importanza il sociale.
L’impersonalità e la stabilità divengono le caratteristiche delle norme collettive, ma viene a
mancare la possibilità di creatività per l’individuo. Durkheim affermava che l’elemento
centrale per ogni società è la solidarietà. La solidarietà meccanica è caratteristica delle
società semplici o comunità in cui la divisione del lavoro è minima e la coscienza collettiva
prevale su quella individuale. La solidarietà meccanica è premessa necessaria per lo
sviluppo nelle civiltà borghesi industriali del tipo di solidarietà organica. L’aumento della
popolazione ha comportato l’instaurarsi di maggiori possibilità di interazione e a loro
volta il superamento della società fondata sulla somiglianza delle funzioni e la necessità
della divisione del lavoro. L’impresa viene definita dalle più recenti teorizzazioni
sociologiche come un sistema in continua ed incessante interazione con la società in cui è
inserita. L’impresa, una associazione di uomini stretti da rapporti contrattuali sociali e
politici, sfugge quella visione diffusa che riduce l’azienda a semplice apparato economico
ed è identificabile come un’organizzazione guidata da una razionalità strumentale (il
perseguimento del profitto), ma pure un’associazione di uomini uniti sia da rapporti
contrattuali, sia da rapporti di status. L’organizzazione del lavoro infatti è un’attività
economica, ma anche e soprattutto, un’attività sociale.
La scuola di Francoforte, nella concezione della vita sociale, economica, politica
denominata “teoria critica della società”, denunciò la riduzione della vita umana e
scambio di mercato. Agli albori del Novecento numerosi sociologi hanno ritenuto che la
sociologia fosse nata in concomitanza con gli eventi e le trasformazioni della rivoluzione
industriale. Le analisi e gli studi della sociologia al suo nascere sono stati incentrati nel
campo strettamente economico e rivestiti di forme sociali. I fautori dell’individualismo
liberale affermavano che l’imprenditore è un homo astractus, sono le relazioni sociali che
lo contestualizzano nello spazio e nel tempo. L’uomo appare nella sociologia
essenzialmente come oggetto, come attore di un sistema sociale, come prodotto delle
strutture e delle situazioni, in quanto visto in un’ottica del tutto scientifica; la sociologia è
infatti scienza scientifica.
Capitolo sesto
I flussi e lo scambio
6.1 Il concetto di scambio in Pitrim A. Sorokin
L’incontro tra uomini diversi con idee diverse è un momento fecondo d’interazione di
elementi, in cui con lo scambio si ha un qualcosa di nuovo. Scambio ed interazione fanno
da base alla realtà e soddisfano le esigenze dell’uomo. Così nasce il mercato. Il rapporto tra
uomini, città e mercato riconfigura l’aspetto multidirezionale: senza gli scambi, città e
mercati non sarebbero nati. Jevons definisce il mercato, affermando che in origine era una
piazza pubblica in cui vi era la vendita di oggetti. La parola poi è stata utilizzata per
indicare un gruppo di persone che sono in intime relazioni e negoziano merce. Il sociologo
americano di origine ucraina Sorokin vede la mobilità come condizione necessaria per
favorire gli scambi e gli incontri. Sorokin nasce a Turya, un piccolo villaggio della Russia
del nord nel 1889. Il padre, dopo la morte della madre, comincia a bere e, dopo aver
picchiato violentemente il fratello di Pitrim, viene abbandonato dai figli. Nel 1905 Sorokin
aderisce al partito socialista rivoluzionario, ma viene arrestato; una volta rilasciato, trova
lavoro come precettore a Pietroburgo e riesce a farsi ammettere ad una scuola serale per
completare gli studi. La vocazione per la sociologia nasce quando si iscrive all’Istituto
psico-neurologico diretto da Kovalevsky. Nel 1913 pubblica la prima opera Prestuplenie i
kora, podvig i nagrada; l’anno successivo legge il Trattato generale di sociologia di Pareto. Nel
congresso del partito socialrivoluzionario si schiera con la fazione di destra e fonda il
giornale Il Volia Naroda. Nel 1920 pubblica la dissertazione di dottorato Sistema soziologii,
che viene attaccata dalla stampa comunista; nel 1925 arriva The sociology of Revolution e nel
1927 social mobility. A lui viene affidato l’organizzazione del dipartimento di sociologia ad
Harvard, fino ad arrivare ad essere il presidente della Società Internazionale per lo Studio
Comparato delle Civiltà nel 1962, e nel 1965 è presidente dell’American sociological
Association; tre anni dopo muore.

6.2 Lo scambio e la mobilità


Sorokin in La mobilità sociale, pubblicata nel 1927, spiega l’importanza che assume
l’incontro di idee diverse. Una società mobile offre molte più occasioni di combinazioni
fortunate, che non una società statica, in quanto in una società di primo tipo le persone
sono più mobili e mutevoli. In questa società il flusso delle invenzioni sarà maggiore e
tenderà ad aumentare con l’aumento della mobilità. L’incontro di idee è determinato
dall’incontro di più uomini anche con le merci, ciò grazie alla mobilità. Il passaggio di un
individuo da una posizione sociale ad un’altra avviene in rapporto alla stratificazione
sociale, in 3 grandi tipi di stratificazione: economica, politica e professionale, intrecciate tra
di loro. La mobilità aumenta con l’avvento della società moderna: industrializzazione,
urbanizzazione, diffondersi del liberismo economico e liberalismo politico. Gli
spostamenti degli uomini sono importanti per realizzare l’incontro di idee e scambi; il
periodo in cui ha luogo uno scambio intenso di diverse persone è caratterizzato da una
reciproca fecondazione di idee, dall’intensificazione della vita intellettuale e dall’intensa
creazione di nuovi valori economici, religiosi, scientifici, estetici e morali. La classe
dirigente, i commercianti, clero, intellettuali viaggiano e sono più esposti alle culture delle
diverse idee; la mobilità favorisce la prosperità economica. Sokorin cita Pareto, il quale
dice: “Quando le classi che sono separate, ad un tratto si mescolano, e più generalmente,
quando la circolazione delle classi che ristagnava acquista una notevole intensità. Si
osserva quasi sempre un aumento nella prosperità intellettuale, economica, politica.”
Sokorin, però, accusa la mobilità di favorire la degenerazione morale e di indebolire la
rigidità di molte abitudini necessarie, provocando l’indebolimento dell’ordine sociale. La
rigidità di una società immobile è un grande fattore di stabilizzazione; essendo la
posizione sociale di ogni individuo predeterminata prima della nascita, gli individui
accettano questa predeterminazione come una specie di necessità. Una situazione diversa
si verifica in una società mobile, i cui membri non hanno la mentalità della
predestinazione e tentano di salire.
Sokorin analizza le direzioni delle correnti dei valori culturali che non sono mai
unidirezionali, ma quasi sempre bidirezionali. Il carattere e la natura degli oggetti culturali
dipendono da varie circostanze. In periodi di declino dei centri urbani, il contenuto delle
correnti può cambiare: le correnti provenienti da questi centri possono portare oggetti e
valori che vengono accolti nei centri di destinazione come materiale grezzo, mentre il
contenuto della corrente opposta può essere considerato come finito. In questi periodi,
secondo la terminologia di Tarde, i centri urbani e i paesi più civili iniziano ad “imitare” la
cultura dei centri rurali, così la classe inferiore diventa più potente dell’altra. Nel momento
in cui si ha un’interazione, le parti interessate rimangono influenzate dal rapporto stesso:
c’è reciprocità, dalla quale si origina qualcosa di nuovo come lo scambio di merci. Il tipo di
valori che penetrano per primi dipende dal tipo di agenti umani che vengono per primi a
contatto con l’altra cultura. La seconda uniformità che si riscontra in questo campo
consiste che in due culture i valori più congeniali di una cultura tendono per primi a
penetrare prima dei valori non congeniali. Lo scambio, anche dei valori, acquista un
enorme valore e non solo un dare e ricevere, in quanto i soggetti li diffondono. L’incontro
e lo scambio costituiscono il primo passo verso la creazione di città e di mercati che
permettono all’uomo di conoscere altre realtà, quindi di spostarsi/mobilitarsi. Esistono
due tipi principali di mobilità sociale, quella orizzontale e quella verticale. Per mobilità
orizzontale si intende il passaggio di un individuo da un gruppo sociale ad un altro
situato allo stesso livello; per mobilità verticale si intendono le relazioni implicite nel
passaggio di un individuo da uno strato sociale ad un altro, che può essere ascendente o
discendente. Il commercio, ad esempio, offre un’opportunità per realizzare quei passaggi
ambiti in una società mobile; lo scambio commerciale può soddisfare l’esigenza di favorire
l’ascesa sociale di numerose famiglie. Questi scambi si realizzano attraverso il mercato
(mercari=acquistare, comperare, trafficare). Nato negli incontri tra gli uomini, costituisce il
punto dove incontrarsi, è il luogo fisico dove avvengono gli scambi. Gli uomini,
interagendo, formano un sistema e solo essi con le loro relazioni possono dar vita a
cambiamenti sostanziali; il tipo di relazione condiziona il sistema e la società=> la società
mobile progredisce più rapidamente di una società immobile. Nell’opera Principles of Rural
Urban Sociology di Sorokin e Zimmerman, si sostiene che le comunità urbane sono nate dal
commercio e dallo scambio, ma siccome non sono mai state auto-sufficienti, scambi,
interazioni costituiscono l’anima stessa della città e fanno sì che la maggioranza della
popolazione interagisca con gruppi sparsi su una vastissima area e nelle più diverse
località.

6.3 I canali di comunicazione nell’ambiente urbano


I mezzi di comunicazione e l’intensità del traffico sono fondamentali per la trasmissione di
oggetti-valori, in una realtà caratterizzata da mobilità risulta più facile favorire gli scambi.
Nell’analisi di Sokorin non esiste una regolarità nella diffusione di elementi culturali, ma
tutto dipende dall’intensità dei traffici, dall’agibilità delle vie di comunicazione. Sokorin
sostiene che la popolazione urbana è più mobile di quella rurale, in cui relazione, scambi e
reciprocità costituiscono i tratti fondamentali delle attività urbane. Chi si dedica ad esse si
avvale di vie di comunicazioni che riducono le distanze, anche se spesso le relazioni sono
impersonali, causali e di breve durata. Nelle popolazioni rurali c’è più omogeneità per le
caratteristiche psico-fisiche rispetto all’eterogeneità di quella urbana. In città, però, è più
facile l’ascesa sociale, ma anche il declino, perché c’è il rischio, le persone tentano, cosa che
in campagna non succede. L’eterogeneità come caratteristica sociale della società urbana
viene valutata da Max Weber in Economia e società, dà allo scambio un ruolo di primaria
importanza e afferma che si può parlare di “città” solo se esiste uno scambio di beni
regolare. Ogni città è un luogo di mercato, cioè possiede un mercato locale come centro
economico dell’insediamento, e questo è il punto comune a tutte le città; però solo il
criterio della dimensione non basta, serve anche la funzione economica, secondo la quale
gli abitanti di una città traggono un reddito dalle attività industriali. Weber affronta anche
il terzo criterio, ovvero la dimensione politico-amministrativa, la cui prima caratteristica si
trova nella città come luogo di fortezza e guarnigione. La caratteristica sociologica più
importante è l’esistenza di un’appartenenza comune, “non ogni città in senso economico,
né ogni fortezza sottoposta in senso politico-amministrativo ad un diritto speciale degli
abitanti, costituiva un ‘comune’”.

Capitolo settimo
Lo scambio oggi
Le nuove tecnologie (NICT: New Information and Communication Tecnologies) introducono
cambiamenti sostanziali, favorendo gli incontri e riducendo gli spazi e i tempi. Le NICT
modificano il mercato, partendo dalla definizione di Max Weber: “l’associazione di una
pluralità di soggetti sul mercato è l’archetipo di ogni agire sociale razionale”. Sul fronte
sociologico il mercato rappresenta un insieme e una successione di associazioni razionali.
Il mercato è un processo di costruzione sociale, in cui i soggetti si associano in una
relazione di scambio che devono rinnovare. I soggetti e i beni devono circolare
liberamente come le informazioni; è su queste condizioni che si fonda il mercato e per
poterle soddisfare è necessaria un’istituzionalizzazione del mercato con un interesse a
diversi livelli. A livello culturale, il mercato deve essere oggetto di una valutazione morale
positiva; per l'organizzazione sociale necessita di rapporti strutturati per facilitare
l’incontro di persone, beni e informazioni; a livello psichico si richiede ai soggetti che
trovino gratificante l’agire razionale, rispetto allo scopo. I traffici del mercato si
intensificano grazie alle nuove tecnologie (NICT), in quanto riducono gli spazi, abbassano
i costi delle transazioni procurati dalla distanza. Tutto ciò è possibile grazie alla Rete
Mondiale che connette “computer servitori”; il mercato diventa mercato elettronico, in cui
l’oggetto di scambio può essere convertito in oggetto digitale. Il denaro si trasforma in bit
nella memoria del computer e permette lo sviluppo di un mercato elettronico di capitali.
Nel cyber-mercato è il cliente che dice al produttore quello che deve fabbricare. Ciò è stato
contribuito anche dalla globalizzazione, che negli ultimi anni del Novecento ha permesso
al mercato di ricoprire l’intero pianeta. I rapporti fra Stato e mercato sono molto stretti, in
quanto il primo contribuisce alla creazione del secondo come alla sua limitazione o
distruzione, ma sono anche cambiati, in quanto i confini delle economie nazionali non
sono più identificabili a causa della globalizzazione dell’economia. L’idea del limite, del
confine non appartiene più a questa realtà; il cyber-mercato non ha limiti. L’unica
possibilità di stabilire una regola o un diritto per le transazioni del world wide web è quello
di riprodurre l’antica Lex Mercatoria, diritto convenzionale medievale con mercati che
stabiliscono, nell’atto dello scambio, le regole da rispettare. Nella Rete Globale chi viola
una norma non subisce una pena; il cyber-mercato si presenta così come una realtà
precaria priva di una autorità.

7.1 Lo scambio e il rischio


Il concetto di rischio nasce intorno al XVI/XVII secolo quando gli esploratori occidentali
cominciarono l’avventura nel mondo. Il rischio è il motore che muove una società legata
allo scambio, che guarda al futuro calcolandone i profitti e le perdite. Mentre in passato
l’uomo si preoccupava del rischio esterno, della natura, ora si preoccupa del rischio
costruito, quello derivato dall’agire umano. Il rischio necessita di una disciplina senza
dimenticare che esso è l’impulso dell’economia e delle innovazioni; l’avvento delle NICT
implica il cambiamento del rapporto spazio/tempo in una fase liquida dell’epoca
moderna. I fluidi viaggiano continuamente e non possono essere fermati facilmente. La
straordinaria mobilità dei fluidi è ciò che li associa all’idea di leggerezza. Mezzi di mobilità
sempre più veloci permettono di conquistare rapidamente i nuovi territori; il territorio è la
vera ossessione dell’uomo moderno. Tutto cambia soprattutto con il capitalismo software
e della modernità leggera; lo spazio diventa irrilevante, attraversabile all’istante, e la
parola chiave diventa “Istantaneità”, ovvero assenza di tempo come fattore dell’evento.
Nella post modernità il tentativo di accelerare la velocità di movimento ha raggiunto il suo
punto massimo, il potere diventa extraterritoriale. Il profitto scaturisce dalla velocità di
circolazione; la disintegrazione sociale è condizione e risultato della nuova tecnica del
potere, che utilizza come arma il disimpegno e la fuga. A ciò si collega il concetto di
mobilità di Sorokin, in quanto con l’avvento delle nuove tecnologie della comunicazione si
rende palese una nuova transazione. Se la modernità si contraddistingue per una
maggiore mobilità fisica rispetto al passato, il momento attuale si caratterizza per una
maggiore fluidità. Quest’ultimo punto tocca molti aspetti della vita umana, dalle relazioni
personali, all’attività lavorativa.

7.2 Da Ortega a Sorokin


Con lo sviluppo dei mezzi di trasporto vi è uno sviluppo dei mezzi di comunicazione che
permettono l’intensificarsi dei contatti e i prodotti dei media circolano nell’”arena
internazionale”. Ortega definisce l’uomo del Novecento un uomo-massa, barbaro
moderno, specializzato in un settore, ma privo di cultura. È un “Naturmensch”, un
primitivo che vive nella sua civiltà come fosse natura. Le nuove tecnologie ci sono e per
l’uomo sono uno strumento da utilizzare senza chiedersi l’origine o le conseguenze che
possono dare. L’uomo vive il presente senza indagare il come e il perché della civiltà,
senza guardare il futuro, perché ciò che fa paura deve essere allontanato. A questo
proposito i concetti di mobilità e di scambio subiscono dei cambiamenti; Sokorin intende
la mobilità orizzontale come spostamento fisico, è consapevole che conta la capacità di
raggiungere un luogo, occorrono buone condizioni delle vie di transito e mezzi di
comunicazione efficienti, che hanno liberato la mobilità dai vincoli spazio-temporali. Il
rischio è la perdita di una vera vocazione nelle molteplici possibilità e di informazioni che
producono smarrimento. Questa è la riflessione che nasce dall’espressione “Runway
World” di Giddens: le intense trasformazioni riguardano l’intero globo, in cui l’uomo si
trova catapultato in un nuovo, più che ordine, disordine. L’idea di globalizzazione
richiama il carattere indeterminato e ingovernabile degli affari mondiali, fa pensare
all’assenza di un centro. Globalizzazione è un termine che fino agli inizi degli anni Ottanta
non era usato, quindi sembrerebbe venuto dal nulla per diffondersi dappertutto. In più
essa non si lega solo al fattore economico, ma anche alla cultura, politica e la sua diffusione
è resa possibile dai sistemi di comunicazione elettronica, sviluppatesi dalla fine degli anni
settanta. Hold e McGrew individuano una linea di confine tra i “globalisti”, che
considerano la globalizzazione come uno sviluppo reale e gli “scettici”, che la considerano
una costruzione ideologica dal carattere esplicativo. I primi danno importanza
all’organizzazione delle produzioni e mercati, gli altri puntano l’attenzione sulla
deregulation finanziaria e sulla crescita dei mercati finanziari globali. L’istituzione dello
Stato-nazione sta cambiando: le nazioni devono ripensare le loro identità, visti i confini
sempre più labili. Secondo Bauman, nell’epoca moderna la nazione era l’altra faccia dello
Stato, mentre ora in una modernità liquida, questo legame non esiste più. Ci si sta
liberando sempre di più della tradizione, che non comporta sempre conseguenze positive,
facendo provare spesso ansia, la quale porta gli uomini ad essere dipendenti di attività
quali ginnastica, cibo, sesso. La società attuale può trovare un autosostentamento,
perdendo il legame con l’economia e costituendosi su fondamenti quali i cicli locali,
regionali o globali dati da un’unica risorsa: il sapere che diventa la guida della società, in
quanto i fattori di produzione perdono valore. Il nuovo regime globale è costituito da due
componenti: la prima è quella statal-nazionale che si modifica a causa del dissolvimento
della territorialità; la seconda è quella regionale che segue la logica di un’economia
globalizzata. Questa nuova forma di società coincide con la società del sapere.

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