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SOCIOLOGIA DEI MERCATI

Sociologia economica analizza l’interdipendenza tra fenomeni sociali e fenomeni economici (es. tasso di
disoccupazione femminile, fenomeno sociali che influisce fenomeno economico)

Analizzare i mercati da una prospettiva sociologica:

-mercati come istituzioni (prospettiva istituzionale)


Istituzioni in sociologia indica tutti i modelli dotati di cogenza normativa, modelli di comportamento
che esercitano influenza sugli individui. Possiamo adottare:

- Approccio macro es. il contesto regolativo (organismi di natura pubblica, compare pezzi
di società, o società di paesi diversi)

- Approccio micro es. norme sociali e schemi interpretativi condivisi dagli attori (azioni
individuali, come le norme sociali influenzano i singoli individui)

-mercati come reti (prospettiva strutturale, reti di relazioni)

-Approccio meso es. i legami e le relazioni (metà strada tra macro e micro, importanza al
radicamento relazionale delle azioni economiche e degli attori che agiscono dei mercati,
embeddness)

-Mercati come costruzioni sociali

Non sono esclusivi (non si deve adottare uno ed escludere l’altro), la sociologica economica in tempi recenti
punta verso l’integrazione di tutti questi elementi.

Economia neoclassica Sociologia economica


L’attività economica Processo di allocazione razionale Attività volta alla ricerca dei
di risorse scarse mezzi id sussistenza (Sombart-
Polanyi)
L’azione economica Perseguimento razionale Azione economica come azione
dell’interesse individuale sociale influenzata dalle
(utilitarismo e atomismo) istituzioni e dalla relazione con
altri attori
Le regole Mercato concorrenziale Mercato
(differenza principale) Istituzioni sociali
Come avviene l’allocazione delle Istituzioni politiche
risorse?
Il metodo Metodo analitico-deduttivo e Metodo induttivo
normativo Indagini storico-empiriche
Teoria a elevata generalizzazione Teorie a medio raggio

Regolazione dell’economia

Economia neoclassica: le risorse vengono allocate secondo le regole di mercato


Sociologia economica: esistono forme diverse di regolazione dell’economia, parte regole di mercato, parte
seguono dimensioni sociali o politiche.
Per approfondire questo punto possiamo rifarci ai contribuiti di Polanyi, individua 3 forme di regolazione
dei rapporti tra economia e società (come le risorse vengono distribuite)

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 Modalità attraverso cui le attività economiche vengono coordinate, le risorse disponibili vengono
allocate e i conflitti- reali o potenziali- tra le parti vengono prevenuti, composti e risolti
Forme di integrazione tra economia e società
 “Fallacità economicistica”: rischio di estensione dei principi di regolazione propri di liberalismo
(scambio di mercato) ad altre forme di regolazione degli scambi economici. (Polanyi ci richiama al
fatto che rischiamo di concentrarci troppo sulle regole del mercato)
 3 forme di integrazione dei rapporti economia e società: reciprocità, ridistribuzione, scambio di
mercato (in passato più importanti dello scambio di mercato, non è detto che esso sarà sempre
prevalente)

Karl Polanyi (1886-1964)

 La grande trasformazione (1944)  Il mercato come unico mezzo di allocazione delle risorse ha
fallito e che si sta avviando una grande trasformazione che vede il tornare in auge di altre
forme di integrazione.
 Analisi della crisi istituzionale del capitalismo liberale e del passaggio a un nuovo assetto con
intervento crescente dello stato nell’economia per garantire protezione e coesione sociale
 Economia come processo istituzionalizzato di interazione tra attori

1.LA RECIPROCITA’

Si definisce in piccoli gruppi, speso parentela o prossimità (villaggio, paese), all’interno si affermano scambi
sostenuti da norme sociali non fanno riferimento alle regole di mercato. Es. Io non mi prendo cura dei
familiari non mi aspetto soldi in cambio. E’ molto diffuso in società primitive e oggi diffuso in condizione di
prossimità.

 Forme non economiche di scambio


 Norme sociali condivise di reciprocità
 Istituzioni di sostegno e sanzione: gruppi parentali e di prossimità
 Indebitamento reciproco positivo: scambio asincrono e non equivalente (io faccio qualcosa per gli
altri e viceversa, ma non c’è contabilità stretta, ma ho un’aspettativa diffusa se avrò bisogno di
qualcosa)
 Scambio di beni relazionali
 Tre tipi di reciprocità (economia del dono):
o Reciprocità incondizionata: fa sì che io faccia qualcosa per altri in qualsiasi caso, si esercita
anche quando si sa che non si riceverà nulla in cambio;
o Reciprocità cauta: non metto in atto per primo, ma se qualcuno lo fa allora avvio dinamiche
di scambio;
o Reciprocità coraggiosa: sono io a fare qualcosa per gli altri, con aspettativa più o meno
diffusa che qualcun altro farà qualcosa per me;

2. LA REDISTRIBUZIONE

Forma più complessa, richiede l’esistenza di un centro politico che può assumere diverse forme, ci sono
diverse cellule periferiche che producono risorse che vengono convogliate verso il centro che a sua volta le
ridistribuisce ai singoli. Basata su rapporti verticali e asimmetrici. Il modo in cui sono ridistribuite può essere
più o meno egualitario. Ha bisogno di più istituzioni politiche, anche a livello amministrativo. In passato
utilizzata nei grandi imperi dell’antichità, antico egitto, impero romano, feudalesimo, ma non è scomparsa
oggi si trovano nelle economie sviluppate come tassazione.

 Produzione e allocazione delle risorse (prestazioni lavorative comprese) gestita da autorità centrale
 Rapporti asimmetrici, potere coercitivo e consenso
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 Istituzioni di sostegno e sanzione: istituzioni politiche
 Organizzazione statuale e centralizzazione amministrativa
 Economie avanzate: tassazione e spesa pubblica (prelevare risorse distribuite tra la popolazione,
convogliarle verso il centro e poi redistribuirle per mitigare la disuguaglianza)
 Beni pubblici standardizzati

3.LO SCAMBIO DI MERCATO

Prevalente solo nel 19esimo secolo, capitalismo mercantile già dal 1400 ma il fatto che l’incontro tra
domanda e offerta sia il meccanismo regolatore anche della produzione si afferma dopo.

 Commercio con prezzi regolati dall’incontro di domanda e offerta


 Istituzioni di sostegno e sanzioni: mercati autoregolati (funzionano da soli, no fattori politici e
sociali)
 Proprietà privata dei mezzi di produzione, lavoro salariato, commerciabilità dei fattori produttivi
 Beni escludibili ed equivalenti (se si incontra domanda e offerta ci può essere lo scambio, altrimenti
non avviene)
 Postulato della libertà decisionale e lavoro
 Presupposti istituzionali di denaro e enforcement dei contratti (“elementi non contrattuali del
contratto” di Durkheim) per funzionare ha bisogno di elementi di cui magari non ci accorgiamo es.
bene per denaro, ci fidiamo del fatto che tra tot tempo questo denaro possiamo usarlo per
acquistare un bene o servizio, ci fidiamo grazie a istituzioni che lo garantiscono.

Forme di integrazione dell’economia

 Sono forme complementari e non alternative (mix), ce ne può essere una prevalente
 Tensione tra libertà individuale e protezione sociale
 Il “doppio movimento” e meccanismi di “autodifesa della società” (una delle forme prende troppo
spazio, le altre reagiscono e cercano di assumere e regolare più forme di allocazione)
 Le “merci fittizie”: la terra, il denaro, il lavoro (questi beni non sono vere merci, se esse sono
regolate secondo la legge della domanda e dell’offerta c’è un’autodifesa della società, cioè forme di
regolazione basata sulla red e reciprocità tendono a prendere maggiore spazio, mette a rischio la
protezione sociale. Trattare il lavoro come una merce qualcosa fa venire meno la protezione
sociale. Diffusioni di debiti, crisi del 2008, denaro come merce, acquistare denaro attraverso debiti
 Attualità di Polanyi
 Sharing economy tra deregolamentazione (mercato senza regole) e nuove forme collaborative (per
allargare la reciprocità)

LA REGOLAZIONE KEYNESIANA (capitolo 3)


 Confutazione della legge di Say secondo cui “l’offerta aggregata crea da sé la propria domanda”
 Ruolo dello stato nello stimolo alla domanda aggiuntiva attraverso spesa pubblica in disavanzo
(deficit spending):
-Intervento diretto sulla domanda nel settore privato
-Intervento indiretto sulla domanda nel settore pubblico
(interventi redistributivi, aumentando occupazione pubblica – propensione al consumo)
 Dal keynesismo di breve periodo al keynesismo della crescita allo stato sociale keynesiano

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Tra l’800 e il 900 la forma prevale te di regolazione era stata lo scambio di mercato, dopo la crisi del 1929 i
mercati crollano, anni 30 difficili dal punto di vista economica e quindi si innesta un contro movimento
ovvero le forme che erano residuali di regolazione, in particolare la redistribuzione, guadagnano un po’ di
spazio a scapito dello scambio. Ruolo più forte dello stato, che sottrae dei settori considerati di interesse
pubblico al mercato, come l’istruzione, la sanità, le pensioni. Questa è la “grande trasformazione” che
concretamente assume la forma di un modello di regolazione economico e sociale che viene chiamato stato
sociale keynesiano. Si afferma nei paesi con economia avanzata dalla fine della seconda guerra mondiale
per circa 25/30 anni ed entra in crisi negli anni 70.

Lo stato sociale keynesiano:

Per sostenere la ripresa dell’economia dopo la seconda guerra mondiale, vengono varate alcune politiche
molto importanti: piano di aiuti statunitensi all’Europa, che comprende la cancellazione di una parte
consistente dei debiti degli alleati e del cosiddetto “piano Marshall”: flussi di aiuti finanziari.

KEYNES per garantire il pieno impiego dei mezzi di produzione, compreso il lavoro, quindi per garantire un
contenimento della disoccupazione, è opportuno agire sulla domanda. Lo stato deve intervenire anche in
condizioni di temporaneo deficit pubblico, anche spendendo soldi che non possiede, indebitandosi. Perché:
Aumento domanda, aumento produzione, aumento investimenti, occupazione e permette di uscire dalle
crisi economiche.

Nel breve periodo funziona perché: persone hanno soldi attraverso stipendio nel pubblico impiego o
sussidio, risultato cresce la domanda aggregata, che porta a maggiore produzione, a più lavoratori e quindi
a un aumento della base fiscale, aumenta il gettito fiscale che compensa la spesa pubblica che era stata
sostenuta.

Acquisto di beni di
consumo e di
investimento sul
mercato (intervento
diretto a sostegno Aumento produttività in imprese
della domanda nel private (costi minori, maggiori
privato investimenti, ristrutturazione impianti)

Aumento salari nel settore Crescita massa


Spesa pubblica (in disavanzo)
privato salariale

Aumento capacità Nuova


aggregata di consumo domanda

Spesa assistenziale e in
Crescita Crescita
ammortizzatori sociali
profitti occupazionale
(intervento indiretto)
Aumento occupazione
pubblica (intervento indiretto) Sviluppo base fiscale

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Politiche di sostegno alla domanda

• Keynesismo debole

• Intervento pubblico mirato a stabilizzare il ciclo economico, favorire lo sviluppo, sostegno


continuativo della crescita economica senza eccessivi investimenti nelle politiche sociali

• Politiche economiche stop and go: manovre espansive e manovre recessive. Esempio: Stati
Uniti

• Keynesismo forte

• Intervento pubblico mirato a piena occupazione, crescita economica e diffusione politiche


di welfare (garantire tutele, sicurezze, rete sociale) Es: paesi scandinavi. Tendenzialmente
paesi caratterizzati da:

• Sindacati forti e centralizzati (protezione dei lavoratori, dialogare in modo efficace)

• Relazioni industriali istituzionalizzate

• Governi a presenza stabile di forze di sinistra

• Pianificazione dirigista dell’economia

• Pianificazione per obiettivi (in alcuni settori privati) (es. Francia)

• Intervento diretto attraverso imprese pubbliche (energia, telecomunicazioni) (es. Italia)

Stato sociale keynesiano (anni 50-70): intervento statale di tipo redistributivo, che ha due obiettivi
sostenere la crescita economica nel lungo periodo e garantire sicurezza e tutele ai suoi cittadini attraverso
estese politiche di welfare.

Programmi di protezione sociale

Perché si diffondono in maniera così importante nel secondo dopo guerra

• Domanda di «diritti di cittadinanza» proveniente dalle classi subalterne (richiesta dei cittadini, ho
diritto di essere tutelato da una serie di rischi, e da una serie di servizi)

• Mobilitazione  organizzazioni politiche di lavoratori e forze di ispirazione cattolica

• Teoria neomarxista dello stato: esigenze funzionali di riproduzione del capitalismo (i governi
promuovono le politiche di welfare per accrescere il loro consenso politico, concedono diritti
sociali, investimento funzionale alla riproduzione del capitalismo, una forza lavora istruita e sana è
una forza lavoro più efficiente e che può costare meno)

• Investimenti sociali  + produttività del capitale

• Consumi sociali  - costi di riproduzione del lavoro

Regimi idealtipici di welfare


Esping-Andersen ha individuato inizialmente due dimensioni di variazione rilevanti:

• Mercificazione/demercificazione: livello di garanzia del diritto di reddito indipendentemente dalla


partecipazione al mercato del lavoro (necessità di mettere in vendita il proprio lavoro per ottenere
garanzia).Aavremo paesi ad alta mercificazione dove è molto importante lavorare per essere
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protetti socialmente, e a bassa mercificazione dove essere inseriti nel mercato del lavoro non conta
così tanto

• Stratificazione/destratificazione: livello di attenuazione delle differenze tra posizioni socio-


economiche diverse (quanto l’intervento pubblico diminuisce o no le disuguaglianze, ad alta
stratificazione con tanta disuguaglianza e tendenzialmente questi sono paesi a keynesismo debole,
e viceversa.

• Familizzazione/defamilizzazione: livello di dipendenza o indipendenza dell’individuo dalla famiglia


(aggiunta successivamente, quanto il benessere e protezione dell’individuo sono legate
all’appartenenza della sua famiglia)

Si possono distinguere 3 tipi di welfare (Esping-Andersen), nella realtà possiamo avere forme meno
nette e più ibride:

1. Modello residuale / liberale


2. Modello istituzionale-redistributivo / socialdemocratico
Modello remunerativo / conservatore-corporativo

1. Modello residuale / liberale


Stati Uniti, Australia, Regno Unito (inizialmente il welfare era molto più universalistico, progressivamente
meno generoso)

Sistema che costa poco allo stato ma che protegge poco gli individui (sanità USA

• Protezione sociale pubblica per fasce limitate della popolazione (che non è aiutata in nessun altro
modo)

• Programmi sociali poco estesi e poco generosi

• Impegno di spesa contenuto

• Prevalenza di trasferimenti monetari

• Incoraggiamento al ricorso al mercato come risposta ai rischi sociali

• Obblighi familiari parziali (famiglia nucleare, solo verso discendenti)

• Alta mercificazione (conta lavorare)

• Alta stratificazione (tante disuguaglianze)

• Media familizzazione (es. assicuraizone sanitaria associata a posizioni di lavoro buoni estesa ai
familiari)

2.Modello socialdemocratico
Paesi scandinavi

• Protezione sociale pubblica su base universalistica (garantisce le coperture dei rischi a tutti i
cittadini, copertura ampi)

• Programmi sociali estesi

• Impegno di spesa consistente e finanziato per via fiscale

• Prevalenza di erogazione di servizi (assistenza domiciliare direttamente dallo stato,lavoro pubblico)


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• Limitazione del ricorso al mercato come risposta ai rischi sociali

• Obblighi familiari minimi (non si è tenuti a badare dei familiari)

• Bassa mercificazione

• Bassa stratificazione

• Bassa familizzazione

3.Modello conservatore-corporativo
Germania, Austria, Paesi Bassi, Francia

• Protezione sociale pubblica su base occupazionale (lavoratori hanno accesso a forme di


assicurazione dai rischi differenziate, es. pensione)

• Programmi sociali di media estensione

• Impegno di spesa finanziato per via contributiva

• Rilievo dell’appartenenza a categorie socioprofessionali (assicurazioni nazionali obbligatorie)

• Prevalenza di trasferimenti monetari (pochi servizi direttamente erogati)

• Obblighi familiari parziali (famiglia nucleare, verso ascendenti e discendenti)

• Medio-bassa mercificazione

• Medio-bassa stratificazione

• Media familizzazione

L’Italia viene inizialmente inserita da Espin-anders in quest’ultimo modello, però successivamente ci si è


accorti che i paesi dell’area mediterranea (Italia, Spagna, Portogallo) si distinguono per il ruolo importante
della famiglia (diffusione del radicamento della religione cattolica e tradizionale divisone dei compiti di
cura). E’ un modello con un’alta familizzazione, obblighi familiari estesi alla famiglia allargata

Modelli di welfare

Mercificazione Stratificazione Familizzazione


Regime liberale Alta Alta Media
Regime Bassa Bassa Bassa
socialdemocratico
Regime conservatore- Medio-alta Medio-alta Media
corporativo
Regime mediterraneo Medio-alta Medio-alta Alta

Crisi degli anni Settanta

• Aumento dell’inflazione
Stagflazione
• Aumento della disoccupazione

• Diminuzione dei tassi di crescita

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• Aumento del conflitto industriale (sindacati e le organizzazioni di imprenditori)

Fattori strutturali di lungo periodo


Fattori congiunturali
Effetti perversi della regolazione keynesiana

Fattori di crisi anni Settanta

Fattori strutturali di lungo periodo:

 Saturazione dei mercati della produzione di massa (Lo stato sociale keynesiano stimola
direttamente e indirettamente la domanda per sostenere la crescita, ma dalla metà degli anni 60 la
domanda interna inizia a diminuire. Tutti ormai hanno elettrodomestici, mercato saturo)
 Aumento della concorrenza dei paesi di nuova industrializzazione (alcuni paesi, in particolare
asiatici, diventano molto competitivi nella produzione di beni di massa. “capitalismo asiatico”)

Fattori congiunturali:

 Crisi energetica del 1973, paesi arabi esportatori del petrolio (opec) decidono di sostenere Egitto e
Siria contro Israele costituendo un cartello con l’obiettivo di far aumentare il prezzo del petrolio.
 Abbandono del sistema di cambi fissi e svalutazione del dollaro, 1971 US fine accordi Bretton-
Woods che avevano stabilizzato i sistemi dei cambi, abbondare lo standard aureo

Effetti negativi e non previsti del keynesismo:

-Conseguenze piena occupazione

 Livello microeconomico di analisi


 Classe operaia forte che esprime rivendicazioni retributive e di riconoscimento sociale e politico
 Riorganizzazione del lavoro in fabbrica
 Ripresa del conflitto industriale
 Rafforzamento delle organizzazioni sindacali

 Crescita dei salari che alimenta l’inflazione

-Mancato controllo spesa pubblica (secondo Keynes utilizzata nel breve periodo, nello stato sociale viene
usata nel lungo periodo per finanziare la crescita)

 Livello macroeconomico di analisi


 Estensione dei diritti di cittadinanza (cittadini chiedono estensioni dei diritti, sussidi, pensioni)
 Spesa pubblica come strumento di costruzione del consenso da parte della classe politica
 Pressione crescente da parte di gruppi di interesse
 Crescita incrementale della spesa

 Spesa sociale pubblica che alimenta l’inflazione

La nuova political economy comparata (negli anni 70)

 Perché lo stato sociale keynesiano entra in crisi?


 Quali risposte danno le diverse economie avanzate a questa crisi?
 Quale è il ruolo dei fattori politici nello sviluppo, nella crisi e nelle risposte alla crisi dello stato
sociale keynesiano?

Domande sulla regolazione politica delle attività economiche

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Le origini dell’inflazione

 Approccio monetarista (tipo neoclassico)


• Inflazione come esito dell’incapacità dei governi di controllare l’offerta di moneta,
adeguamento di imprese e sindacati alle aspettative inflazionistiche

• Fattori istituzionali esogeni (esterni alla sfera economica), c’è inflazione perché i governi
non riescono a limitare la loro spesa, perché ricevono delle pressioni politiche da imprese e
sindacati per continuare a spendere. Se il governo smettesse di regolare l’economia,
lasciando spazio al mercato, tutto torna in equilibrio anche se con minor occupazione.

 Approcci nuova political economy

• Azione dei governi, delle imprese e dei sindacati come elemento centrale da spiegare

• Fattori istituzionali endogeni

1. Political economy delle teorie neoutilitarie

2. Political economy della sociologia economica

1.Inflazione e teorie neoutilitarie

teoria delle scelte pubbliche, cerca di capire come vengono prese le scelte politiche con un ragionamento
economico alla politca

• Applicazione dei principi economici neoclassici alla sfera politica e delle politiche  Teoria delle
scelte pubbliche

• Analisi del ciclo politico-elettorale

• Massimizzazione dell’utilità nel momento elettorale: due attori razionali che cercano di
massimizzare la propria funzione di utilità

Politici  Consenso e possibilità di rielezione

Elettori  Benessere individuale

Modello di Brittan:
• Tempo T: politiche espansive di sostegno alla produzione e occupazione (aumento spesa
pubblica per sostenere la crescita economica)
• Tempo T1: inflazione derivante dalle politiche espansive (situazione migliore durante elez)
• Tempo T2: azione sindacale per aumento retribuzioni a seguito del decurtamento del reddito
reale (effetti negativi di quella spesa pubblica, aumento disoccupazione e aumento inflazione)

2.Inflazione e sociologia economica

Perchè gli attori sociali richiedono spesa pubblica?

Inflazione come espressione monetaria del conflitto distributivo (Goldthorpe, sociologo che studia come i
gruppi sociali nel mercato del lavoro si collocano e perché questo posizionamento viene considerato
legittimo)

Inflazione come manifestazione di un conflitto di tipo distributivo, che ha a che fare con la distribuzione
delle risorse economiche tra i diversi gruppi sociali. Classe operaia manifesta una domanda crescente di

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miglioramento del reddito che è alla base dell’inflazione. Perchè da un certo momento la classe operai
chiede un maggiore reddito e prima lo faceva meno?

• Delegittimazione delle disuguaglianze sociali, le disuguaglianze erano più accettate, più


normali, le grandi trasformazioni del 900 cambiano questo assetto

• Aumento dell’urbanizzazione e mobilità

• Passaggio da rapporti di reciprocità a strumentali (logica di scambio)

• Cambiamento negli assetti di potere a favore del lavoro organizzato

• Demercificazione a seguito di protezione sociale e piena occupazione, individui


meno dipendenti dal mercato di lavoro, portano avanti rivendicazioni

 Formazione di una estesa e matura classe operaia (di seconda generazione)

 Organizzazione della rappresentanza del lavoro

Inflazione e sociologia economica

Analisi socialmente e spazialmente situata, attenta alle caratteristiche e agli orientamenti degli attori e al
contesto in cui avvengono i fenomeni. Analisi comparata mettendo a confronto contesti diversi (nuova
political economy comparata). La political economy identifica i fattori che possono influenzare domanda e
offerta

Determinanti sociali della domanda (richieste dei cittadini) della società:

 Fattori culturali: legittimazione disuguaglianze (come sono accettate nei diversi contesti)
 Fattori istituzionali: caratteristiche dei sistemi di rappresentanza (come funzionano i sindacati e i
partiti)

Determinanti sociali dell’offerta dei governi:

 Fattori culturali: orientamento politico-valoriale dei governi, più o meno sensibili


 Fattori istituzionali: caratteristiche del sistema politico

Modello di Brittan funziona MA funzionerà diversamente nei diversi paesi in base alle regole interne, i
partiti ecc..

Inflazione come conseguenza dell’incapacità del sistema di rappresentanza di gerarchizzare le


diverse domande e di tenere sotto controllo il conflitto distributivo tra i diversi gruppi

Più inflazione nei paesi a keynesismo debole o a keynesismo forte? Keynesismo forte paesi con maggiore
spesa pubblica ma in realtà si osserva una correlazione tra frammentazione del sistema socio-politico e
inflazione dall’altra, aver speso in modo poco coordinato, privilegi a singoli gruppi sociali. I paesi che hanno
mostrato le performance peggiori in termini di inflazione e occupazione con alti livelli di conflitto sociale
negli anni 70 sono in particolare Regno Unito, Stati Uniti e Italia.

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Il sistema di rappresentanza degli interessi

Forme di organizzazione collettiva nel mondo del lavoro, quindi sindacati e alle associazioni imprenditoriali.
La concentrazione fa riferimento all’non/esistenza di un monopolio di rappresentanza, pochi sindacati
grandi (lavoratori anche molto diversi tra loro) o tanti piccoli sindacati (rappresentanza e interessi specifici)

La centralizzazione ci dice come sono organizzate al loro interno le organizzazioni di rappresentazione degli
interessi e come sono i loro rapporti tra loro, bassa centralizzazione diversi sindacati poco coordinati tra
loro, sia tra chi rappresenta diversi settori sia chi rappresenta gli stessi

Non sono indipendenti tra di loro. Due modelli distinti:

 Pluralismo

• Organizzazione degli interessi:

• Basso grado di concentrazione delle organizzazioni

• Basso grado di centralizzazione delle organizzazioni

• Processo di decisione politica basato sulla pressione

 Neocorporativismo (controllano meglio l’inflazione)

• Organizzazione degli interessi:

• Alto grado di concentrazione delle organizzazioni

• Alto grado di centralizzazione delle organizzazioni

• Processo di decisione politica basato sulla concertazione

Processo di decisione politica

 Concertazione (sistema coordinato di dialogo bidirezionale che coinvolge 3 attori, governi,


sindacati e le associazioni imprenditoriali, portatori di esigente magari in contrasto)
Organizzazioni di rappresentanza degli interessi
(dei lavoratori e delle imprese)
Politiche economiche e
sociali

Governo

 Politica di pressione (promuovere interessi specifici, lobbying, esito molto frammentato, accolte
singole richieste senza visione complessiva unitaria)

Organizzazioni di rappresentanza degli interessi


(dei lavoratori e delle imprese)

Politiche economiche e
sociali
m Governo

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Successo del neocorporativismo

Perché le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori negli assetti neocorporativi scelgono la


moderazione salariale (e non il conflitto sociale)?
? Politiche del lavoro
Scambio politico consenso - vantaggi Politiche fiscali
Politiche sociali

Condizioni per lo scambio politico (Pizzorno):

Dinamica che si verifica quando i governi sono nella condizione di poter distribuire dei vantaggi e a loro
volta i sindacati sono nella condizione di concedere consenso politico ai governi. I sindacati possono
scegliere la via della moderazione salariale. Le condizioni:

 Offerta di potere politico (ai sindacati) da parte dei governi


 Autonomia dei rappresentanti rispetto ai rappresentati (non troppa concorrenza tra sindacati
diversi)
 Assenza di concorrenza da parte di organizzazioni rivali (autonomia dei vertici sindacati
relativamente indipendenti dai lavoratori)
Modello neocorporativo (centralizzazione + concentrazione)

I sindacati accettano di mettere da parte le rivendicazioni salariali in cambio di un clima maggiormente


favorevole al mondo del lavoro e ai lavoratori, vantaggi: politiche pubbliche che comprendano un insieme
id interventi di varia natura che possono migliorare le condizioni di lavoro (orario, sicurezza, assicurazione)

Tipi di neocorporativismo

 Neocorporativismo con organizzazioni forti (Austria e paesi scandinavi)


Attori che partecipano al processo di decisione politica sono caratterizzati da autorevolezza e forte
stabilità nel tempo, è possibile sviluppare forme di dialogo permanente tra le parti.

• Sindacati concentrati e centralizzati (pochi molto rappresentativi e autorevoli)

• Organizzazioni imprenditoriali concentrate e centralizzate (poche associazioni di


rappresentanza coordinati)

• Governi pro-labour stabili (a favore del lavoro, governano per un lungo lasso di tempo,
orientamento socialista o social-democratico)

 Neocorporativismo con organizzazioni deboli (Paesi Bassi, Belgio, Svizzera)


Diversi sindacati cercano di ottenere condizioni particolarmente favorevoli per i propri iscritti

• Sindacati meno concentrati ma centralizzati (più numerosi dipendono dalla storia ma tanto
coordinamento

• Org. imprenditoriali meno concentrate ma centralizzate

 Neocorporativismo instabile (Italia, UK)


Difficile per il governo coinvolgere i sindacati, spesso i governi non hanno uno spiccato
orientamento a favore del mondo del lavoro e per questo si scontrano con i sindacati. In Italia i
sindacati sono organizzati in grandi confederazioni (CGL, CISL, UIL) e che sono suddivise in
federazioni settoriali. Recentemente nascita di organizzazioni sindacali più frammentati, più vicine
al modello pluralista, gruppi molto specifici.

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• Sindacati concentrati ma poco centralizzati (che si mettono in concorrenza)

• Tentativo di contenere la conflittualità sociale attraverso la concertazione

Il declino del neocorporativismo

Alcune forme permangono in diversi paesi ma alla fine degli anni 70 (soprattutto nella realtà anglosassone)
inizia una risposta diversa alla crisi  esperimento neoliberale (il contrario della grande trasformazione di polanyi)
ridimensionamento dell’intervento dell’attore pubblico per dare maggiore spazio al mercato. Nei paesi con
neocorporativismo diminuiscono le politiche che si applicano a tutti o a grandi fasce e aumentano accordi di tipo
decentrato, validità per settore, luogo, o singola azienda.

 Nuove forme di organizzazione produttiva (maggiore flessibilità, collaborazione tra aziende,


delocalizzazione di parte di produzione)
• Declino della classe operaia di grande fabbrica (classe operaia facile da rappresentare, da
manifattura a servizi ecc)
• Frammentazione degli interessi del lavoro
• Indebolimento sindacale (meno concentrazione, meno centralizzazione)
 Maggiori vincoli alla spesa pubblica (i governi hanno meno liberta di spesa)
• Peso crescente della spesa sociale
 Invecchiamento della popolazione (allungamento vita)
 Miglioramento cure sanitarie (molte malattie possono essere curate)
 Riduzione anni di lavoro
• Crescente integrazione dei mercati finanziari (integrazione dei mercati, per mantenere gli
investimenti i paesi ricevono pressioni per mantenere i conti in ordine, contenere deficit e
debito pubblico)
Negli anni 80 vengono meno le condizioni di scambio politico che prima era in atto

Scambio politico: meno domanda, meno offerta


Maggiore differenziazione economica e politica

Mercato, decreto, accordo

Terzo tipo di regolazione politica dell’economia : Pianificazione dirigista dell’economia, tipico in francia e
giappone. Stato individua settori strategici per la crescita e facendo investimenti mirati in essi. Il welfare è
di modello corporativo-conservativo con aspetti di universalismo (sanità e istruzione)

Mercato (pluralismo) Decreto Accordo


(neocorporativismo)
Organizzazione degli interessi Debole Debole Forte
Assetto politico Pluralista Diviso Organizzato
Dimensione ideologica Società civile Stato Stato sociale

Decreto, sindacati deboli non hanno capacità di influenzare le decisioni del governo, esiste un legame forte
tra stato e associazioni degli imprenditori ma il governo è autonomo rispetto alle loro pressioni. Stato
decide quali richieste accogliere, contenendo l’inflazione e decidendo autonomamente dove investire in
economia, influenzando le imprese

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 Elevata autonomia dei governi dalla pressione degli interessi
 Isolamento delle istituzioni pubbliche nel processo di decisione pubblica
 Burocrazia efficiente orientata a politiche dirigistiche
 Stretto rapporto tra stato e industrie
 Politiche regolative in campo economico (vs redistributive in campo sociale)

Il modello fordista e la flessibilità

 Integrazione verticale (fasi svolte nell’azienda) delle aziende


 Produzione di beni standardizzati in grande quantità
 Organizzazione del lavoro tayloristica (grandi masse di manodopera non specializzata)

Fattori strutturali e congiunturali di crisi (anni 70): Cambiamenti nel mercato: (da gruppi sociali che si stanno
affermando, la classe media)
 Saturazione dei mercati dei beni di massa
 Concorrenza paesi nuova industrializzazione  Nuovi stili di vita e di consumo
 Crisi energetica  Domanda diversificata di beni di qualità
 Abbandono sistema dei cambi fissi
Cambiamenti nella tecnologia:

 Nuove tecnologie elettroniche applicate ai macchinari


(programmabili)
 Abbassamento costi di produzione flessibile
Due modelli contrapposti?

 Domande di beni strutturalmente non standardizzati/standardizzabili (anche nel durante il


fordismo)
• Macchinari produttivi (grandi macchinari fordisti), beni di qualità, beni soggetti alla
variabilità dei gusti (abbigliamento, tessile, mobili)
 Quota di domanda instabile (piccole medie imprese a cui delegare parte della produzione
aggiuntiva, margine per affrontare le fluttuazioni della domanda)
 Penetrazione differenziata nei contesti nazionali
 Strategie “neofordiste”: produzione flessibile di massa (su larga scala ma che produce bene
leggermente differenziati) e neotaylorismo informatizzato
 Strategie di multinazionalizzazione: vantaggi competitivi dai paesi economicamente meno
sviluppati (delocalizzazione)

Pluralizzazione dei modelli produttivi

I distretti industriali

Modello della specializzazione flessibile caratterizza le piccole medie imprese, già presente durante il
fordismo ma che si afferma negli anni 70/80, capace di rispondere meglio alle condizioni di contesto (che
sono cambiante). Anche la grande imprese verticalmente integrata introduce nuovi elementi di flessibilità.
Modello produttivo basato su macchinari programmabili che permettono di personalizzare il prodotto
creando beni non standardizzati, è necessaria una manodopera specializzata. Distretti industriali: aree
territoriali circoscritte con un tessuto imprenditoriali fatto di piccole medie imprese che producono beni
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dello stesso settore. Output finale del distretto: singolo prodotto o gamma di prodotti nello stesso settore.
Le diverse imprese vi partecipano occupandosi di fasi diverse del ciclo produttivo.

 Da forma residuale del passato a modello produttivo di successo. Due caratteristiche:


 Divisibilità processo produttivo: specializzazione aziendale per fasi o componenti
 Variabilità quantitativa e qualitativa della domanda (modificare in tempi brevi la produzione)
 Settori:
• Tradizionali (abbigliamento, calzature, tessile, arredamento)
• Avanzati (metalmeccanica, macchine utensili, elettronica, informatica)

Sud italia distretti alimentari, di più recente formazione. Maggiore densità di distretti nordest e centro

La terza Italia renaldo Bagnasco, sociologo italiano, libro “Le tre Italie” identifica fattori sociali che hanno
favorito la crescita di questo modello produttivo in quelle aree e non altrove. Idea che ci siano altre “due
italie”, nord-ovest modello della grande impresa (triangolo industriale) e il sud dove lo sviluppo industriale
era limitato.

 Sistemi locali di piccole e medie imprese (Aree limitate, comuni vicini agli altri)
 Specializzazione settoriale e integrazione tra aziende (ogni impresa si specializza in una fase)
 Mercato del lavoro integrato (imprese attive nello stesso settore, collaborano)
 Aziende “capofila” con rapporti diretti con il mercato (avviano rapporti dio subfornitura con altre
imprese, capofila coordina l’intero processo produttivo, smista le fasi) Risorse a servizio del
 Processo produttivo garantito da rapporti di cooperazione interaziendale (vicine distretto
 Economie estreme alle singole aziende ma interne all’area di specializzazione produttiva
• Fattori materiali: manodopera specializzata, servizi e infrastrutture collettive (beni competitivi
per la collettività, creati in modo coordinato)
• Fattori immateriali (atmosfera industriale, saper fare diffuso): risorse cognitive sedimentate,
fattori culturali e istituzionali

Le origini dei distretti industriali

Fattori istituzionali (per lo sviluppo di un distretto industriale):

 Rete di piccoli e medi centri con tradizioni artigiane e commerciali diffuse (abituati a rapporti di
scambio, hanno sviluppato capacità imprenditoriali)
 Risorse di imprenditorialità
 Rapporti di produzione in agricoltura (perché struttura del lavoro flessibile)
 Mezzadria (intera famiglia lavorava un podere, e si divideva il raccolto) e piccola proprietà
contadina
 Subculture politiche territoriali (movimenti cattolici, socialisti e comunisti) (identità che insistono
molto sulla cooperazione)
 Tessuto fiduciario e azione politica locale (riproduzione nel tempo di un tessuto fiduciario
esteso)

La cooperazione nei distretti

 Cooperazione tra aziende, tra lavoratori e imprenditori, tra aziende ed enti locali (capofila collabora
con il subfornitore del distretto, senza cercare il prezzo migliore altrove)
 Rapporti di subfornitura tra concorrenzialità e cooperazione
dall’utilità a breve termine ai vantaggi a lungo termine
 Flessibilità lavorativa, coinvolgimento diretto dei lavoratori, mobilità (lavoratori decidono di
avviare e un’attività in proprio, mettendo a frutto le competenze)
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 Beni collettivi per la competitività (imprese e governo collaborano in modo organizzato per dotare
il distretto di servizi essenziali)
• Formazione professionale
• Marketing e promozione delle esportazioni
• Smaltimento rifiuti industriali
 Costruzione sociale del mercato: scambio di mercato, reciprocità, redistribuzione

Anni 90 crisi del modello distrettuale, scenario di crisi internazionale, globalizzazione dei mercati

I distretti industriali nel mondo

Tratti comuni delle esperienze distrettuali:

sostituto funzionale: fattori culturali o sociali che svolgono una funzione equivalente tra loro, nel mondo
non ci sono gli stessi fattori italiani ma altri che hanno svolto le stesse funzioni.

 Dimensione cognitiva
• Origine: (saper fare diffuso) tradizionali artigianali e/o istituzioni di ricerca pubbliche o
private (US, parco tecnologico dell’università di stanford che ha ospitato le prime aziende
della silicon valley)
• Riproduzione: istituzioni e servizi dedicati all’innovazione (come superare la crisi anni 90)
 Dimensione normativa
• Origine: innervamento in una comunità locale con forte identità (matrice politica, religiosa,
appartenenza territoriale)
• Riproduzione: passaggio da lavoro dipendente a lavoro autonomo (e viceversa) e/o
relazioni industriali istituzionalizzata a carattere cooperativo (mantenere buone relazioni,
no tensioni)

E le grandi imprese?

 Riorganizzazione del processo produttivo (ideazione-produzione): decentramento dell’autorità


(cambiamento interno, impresa fordista molto gerarchica, decentramento aumenta la flessibilità e
quindi di rispondere prontamente al mercato)

 Riorganizzazione del lavoro: lavoratori qualificati direttamente coinvolti nel processo produttivo
(produzione just in time) (modello toyotista, coinvolgimento più intenso dei lavoratori, produzione
segue la domanda)

 Riorganizzazione della catena di subfornitura: accordi di collaborazione e spinta a «stare sul


mercato» (imprese fordista verticalmente integrata, ma limita la flessibilità, imprese decidono di
compare dall’esterno, ci si può rivolgere a subfornitori esterni qualificati, oppure subfornitori
molto competitivi sui prezzi)

 Maggiore embeddedness nell’ambiente socio-istituzionale

• Giappone: azienda come comunità, impiego a vita, incentivi retributivi legati all’andamento
d’impresa

• Germania: relazioni industriali a livello aziendale, istituzioni di formazione professionale


(ruolo cooperativo dei sindacati)

Es. capo unico ma di tanti colori, produzione di massa ma flessibile (variante colore) , modello inventato da
Benetton, prima ciascun capo era prodotto utilizzando un filato già colorato, Benetton ha avuto l’idea di
produrre capi in colore neutro e colorarli in una fase successiva.
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Ricerca di maggiore flessibilità e produzione diversificata (personalizzazione e adattamento al mercato)

Reti di piccole medie imprese: rapporti prolungativi collaborazione, legami informali non definiti da
contrattivi, consuetudine e fiducia
Grande impresa: coinvolgimento di aziende esterne come subfornitori, impresa rete (nodo centrale e un
insieme di relazioni con nodi più piccoli), relazioni formalizzate

Fordismo: impresa influenza il mercato e non viceversa


Post: impresa deve adattarsi e rispondere al mercato, fare leva sulle caratteristiche del contesto specifico

Via alta e via bassa alla flessibilità

 La via alta alla flessibilità (made in italy, ricerca, modernizzazione di tecniche) non producono a
basso costo, tendono a mantenere in loco le produzioni, lavoratori qualificati

• Produzione diversificata di qualità, dinamismo, innovazione, condizioni di lavoro favorevoli

 La via bassa alla flessibilità, ricerca vantaggio competitivo nel prezzo, non si investe in qualità o in
innovazione, ridurre costo del lavoro delocalizzandolo

• Produzione di bassa qualità, competizione sul prezzo, condizioni di lavoro poco favorevoli,
ricorso all’economia sommersa (lavoro nero o grigio, evasione fiscale)

 Via alta e via bassa: due mondi distinti? Breve termine più efficace la via bassa che da vantaggi
immediati, nel medio e lungo periodo rischia di trasformarsi in una trappola, qualcuno produrrà a
costi ancora più bassi

 Vincoli al perseguimento degli interessi a breve termine e produzione di beni collettivi per la
competitività

 Le «rigidità flessibili» di Ronald Dore


Costruzione di un sistema dove ci siano dei vincoli che impediscono il perseguimento esclusivo del
vantaggio nel breve periodo (via bassa) sulla fiscalità e lavoro ma al tempo stesso forniti servizi per
supportare la flessibilità e favorire gli investimenti che danno frutto nel medio lungo periodo (politiche
pubbliche come formazione, sostegno all’impego)

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La via informale alla flessibilità

Economia informale (modalità per perseguire la via bassa, irregolarità fiscali, condizioni di lavoro): attività
economiche parzialmente o totalmente invisibili per la contabilità nazionale.

Metodi di produzione Prodotti Orientamento al mercato


Economia formale legali legali sì
Economia informale:
• Sommersa Illegali legali sì
• Criminale illegali illegali sì
• Domestica- legali legali no
comunitaria

Economia formale: i metodi di produzione e i beni sono legali, riconosciuti e normati, i beni sono prodotti
per essere venduti nel mercato

Economia sommersa: i beni e servizi prodotti sono legali e finiscono nel mercato, ma i metodi sono illegali
(azienda che evade)
Economia criminale: beni e metodi illegali ma venduti sul mercato illegale (produzione di sostanze
stupefacenti) confini che cambiano di paese in paese, ma anche nel tempo
Economia domestica-comunitaria (autoproduzione), metodi e beni leciti, non producono per vendere ma
per loro stessi (orti, cucinare a casa, volontariato)

L’economia informale

 Formale e informale: una definizione fluida e per contrapposizione


 L’economia informale nei paesi in via di sviluppo e nei paesi a economia avanzata

ISTAT stima economia sommersa e criminale pesano tra il 12 e il13% del PIL annuo italiano. L’economia
nascosta fa la parte del “leone”, non è presente nella tabella l’economia domestica che secondo altre stime
è una componente che pesa tantissimo.

Il peso dell’economia informale

Lo spazio complessivo dell’economia informale nei paesi ad economia avanzata tende a rimanere stabile
del tempo, ma le variabili camminano: alcune attività diventano economia informale e viceversa. Il 900 e
nel secondo dopoguerra è stato segnato da un forte passaggio dall’informità alla formalità economica.
Molti servizi, parte dell’economia domestica, sono diventati dell’economia formale (es. pane fatto in casa ≠
panetteria, prendersi cura dei malati ≠ RSA). Al contempo vediamo un passaggio dal formale all’informale,
in modo prevalente a seguito della crisi degli anni ’70 fino ad arrivare alla crisi del 2007-2008; durante la
fase di crisi le attività gestite dall’economia formale ricadono nell’economia informale.

Che cosa succede negli anni ’70? Crisi del sistema di protezione sociale => trasformazione dell’assetto
produttivo da fordismo a post-fordismo. L’avvento del post-fossimo può aprire a forme diffuse di economia
informale anche nei paesi avanzati dovuta alla ricerca di maggiore flessibilità. Allo stesso tempo abbiamo
visto che quando la competizione aumenta, si esasperano le condizioni di flessibilità e si cercano vantaggi
immediati portando alla diffusione di pratiche di economia sommersa.

La crisi dei sistemi di welfare porta a ritorno all’economia informale familiare (ridomesticiazzione) es. se
chiudono gli asili nidi pubblici, da un lato si sviluppa un mercato privato e dall’altro ci si può rivolgere alle
proprie reti familiari. La ripresa delle attività informali di cura può essere collegata all’esigenza di nuovi tipi
di bisogni meno codificabili con cui è più difficili rispondere con offerte statalizzati; queste situazioni fanno
emergere delle esigenze di assistenza non necessariamente standard (orari inconsueti, poche ore) e l’attore
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pubblico non risponde in maniera adeguata, per questo ci si risolvere al settore privato pagando i servizi di
cui si ha bisogno oppure si cerca il tipo di aiuto all’interno delle proprie reti familiari o parentali. Spesso il
mercato non è un opzione perseguibile dalle famiglie perché spesso i servizi di cura sono molto cari; sono
servizi ad alta intensità di lavoro e in margini di aumento dell’efficienza in ottica di riduzione dei costi sono
limitati. Sono dei servizi che avvengono in compresenza; un operatore con 1\2 utenti e il lavoro stesso
consiste a questa compresenza (essere lì in quel momento) ed è difficile renderli economicamente più
favorevoli perché c’è una relazione stretta tra chi eroga il servizio e chi ne beneficia. Questa caratteristica
che servizi di cura (noncomprimibile il costo) è chiamata in letteratura malattia dei costi di Baumol è indica
che oltre a una certa soglia i costi di questo tipo di servizi non sono comprimibili. In assenza dell’azione
dell’attore pubblico si ricercano sul mercato delle forme di assistenza basate sull’economia sommersa
(pagare in nero la babysitter). Il problema oltre ad essere etico, è un problema dell’attore pubblico che non
riesce a sopperire. I problemi sono sul come regolarizzare questi lavori.

 Economia informale  Economia formale


o Beni materiali: dall’autoproduzione al mercato
o Servizi: dalla reciprocità ai sistemi di welfare
 Economia formale  Economia informale
o Trasformazioni nel modello produttivo
Economia sommersa  Adattamento dei lavoratori alle difficoltà occupazionali

Economia  Ricerca di flessibilità nell’uso e nel costo del lavoro da parte delle imprese
domestica- o Crisi del sistema di protezione sociale
comunitaria  Adattamento alla ridotta protezione pubblica
 Emersione di bisogni sociali non standardizzati
o Costo dei servizi di manutenzione e cura sul mercato

L’economia sommersa

La domanda di economia sommersa

 Frammentazione e variabilità dei mercati


 Decentramento e delocalizzazione produttiva
 Ricerca di flessibilità nell’uso e nel costo del lavoro

L’offerta di economia sommersa

 Difficoltà occupazionali
 Riduzione dei benefici di protezione sociale

Ma l’incontro tra domanda e offerta è mediato da fattori


istituzionali!

Economia sommersa e contesto

Elementi che influenzano la diffusione dell’economia sommersa:

 Struttura produttiva diffusa e attività autonome (più economia sommersa nei contesti dove
c’è una maggiore frammentazione del tessuto produttivo in piccole e medie imprese)
 Grado di regolazione delle attività economiche (Se da un lato le norme sono troppo lasche,
questo può essere un incentivo all’economia sommersa; dall’altro lato un sistema
eccessivamente rigido, in contrato tra loro, può favorire l’informalità)
 Efficacia delle strutture di controllo

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 Reti di relazioni fiduciarie (es. senza contratto devo fidarmi del mio datore di lavoro e il
datore si fida che il lavoratore si presenti a lavoro - entrambi non hanno modo di rivalersi.
Accezione negativa della fiducia; fluidificante sociale che sostiene delle pratiche illegali). La
fiducia funziona in alternativa alla mancanza di altre possibilità.
 Vincoli alla mobilità ascendente (al di fuori del lavoro autonomo)

I fattori istituzionali possono contrastare il fenomeno:


- Efficacia delle strutture di controllo
- Semplicità della burocratizzazione (film)
- Controlli rigorosi sul rispetto delle norme

Dall’illecito al legale (e ritorno): la regolazione della cannabis light in Italia

La definizione di economia criminale o illegale è una definizione che di solito cambia nel tempo e nello
spazio. Un mercato è illegale a partire dal bene che viene prodotto ed erogato, il quale metodo di
produzione sarà illegale per forza. Chi decide se un prodotto è illegale oppure no? Le norme, che possono
cambiare da paese a paese (es. vendita armi USA). Il quadro normativo che decide cosa è lecito e cosa no
può cambiare nel corso del tempo (es. proibizionismo).

I confini tra economia legale ed illegale sono in primo luogo una questione di regolamentazione e di
contesto istituzionale; se cambia il contesto possono cambiare le regole e può cambiare la visione di quali
andamenti rispettano le norme e quali no.

Nel corso del tempo diversi paesi si sono mossi verso una progressiva legalizzazione e de-criminalizzazione
dei prodotti stupefacenti dei prodotti derivati dalla cannabis. Se un prodotto è legale fa parte dell’economia
formale e può essere vendono al pari di qualsiasi altro bene. Se la produzione di un bene è decriminalizzato
significa che il bene in sé è illecito, ma questi illeciti non vengono perseguiti o perseguiti in modo molto
blando e non seguono sanzioni.

 Progressiva legalizzazione e/o decriminalizzazione (Alcuni paesi hanno scelto la strada della
legalizzazione e della decriminalizzazione. Perché si decide di procedere in una direzione o in
un’altra? Possiamo immaginare che un decisore politico che si trova davanti alla scelta e sia privo di
pregiudizi valuti la questione in termini di costi e benefici rispetto agli scenari.)

Benefici:

Innanzitutto rendere legale un mercato significa renderlo soggetto a una serie di controlli e di vincoli a cui il
mercato legale si sottrae; questo vale anche sulle verifiche che si fanno sul prodotto e sul processo di
produzione - in parte a tutela del lavoratori - ma soprattutto a tutela dei consumatori che sanno di accedere
a un prodotto che rispetta certi parametri certificati. Le analisi che vengono fatte sui derivati della canapa
vendute in Italia attraverso canali illegali mostrano che molto spesso ci sono contaminazioni con altri
sostanze (anche nocive). Questi problemi, comprando nel mercato illegale, sono incontrollabili. Un secondo
aspetto da considerare è di tipo economico; sia in termini di competivitià e di conseguenza della
competizione sul prezzo (mercato lecito più concorrenziale), sia per quanto riguarda gli introiti che lo stato
può ottenere attraverso la fiscalità. Trasformare un mercato illecito in un mercato legale significa poterlo
tassare ed aumentare il gettito fiscale (spesso succede che quando si legalizzano determinati mercati come
quello della cannabis una parte emerge e un’altra rimane

 Mercato più competitivo, più trasparente e più controllato


 Effetti sulle entrate fiscali: aumento del gettito
 Meno profitto per i gruppi criminali e minori costi per le agenzie di contrasto

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Costi:

 Aumento dei consumatori (effetto attrazione)


 Possibile aumento dei costi sanitari
 Costi della regolamentazione

Analisi costi-benefici

 Legislazione sulla canapa industriale che apre (involontariamente?) al mercato legale (Dicembre
2016) Questa norma contiene al suo interno un elenco di varietà di canapa caratterizzate da un
basso livello di THC. Nella norma che intende utilizzarsi di uso industriale non è specificato quali
parti della pianta si possano utilizzare. Per un errore e vaghezza della norma a partire
dall’approvazione della legge si apre uno spazio per la produzione legale per la cosiddetta cannabis
light, per uno ricreativo con basso THC e alto CBD (principio rilassante). È uno spazio incerto perché
la norma nella sua pubblicazione comporta contrasti con la norma generale sugli stupefacenti.
- A partire dall primavera 2017 alcuni produttori per uso industriale iniziano a trasformare le
infiorescenze e commercializzare cannabis light aprendo dei punti vendita dedicati e ,poi vedendo
che questo mercato non era perseguito dalle autorità, rivendendo la cannabis ad altri negozi. Su
questo c’è un aspetto interessante sulla rilevanza del contesto e sul fatto che certi fenomeni sono
radicati nel loro contesto.
 Inizio vendita di infiorescenze di C-light (basso THC, alto CBD). Commercializzazione: 1500 punti
vendita nel territorio nazionale; circa 10.000 persone impiegate in questo mondo. Alcuni esercenti
vengono però perseguitati secondo il testo unico. È un quadro però non pienamente chiaro. La
corte di cassazione allora vieta questi prodotti a meno che non siano privi di efficacia droganti e
questo pronunciamento chiude lo spazio legale che si era creato. C’è un ulteriore sentenza della
coorte che sancisce la vicità della coltivazione domestica della cannabis light; con questa sentenza
si evidenza che ad essere perseguito non è il consumo ma è la commercializzazione.
Sentenza Corte di Cassazione maggio 2019: divieto di commercializzazione di cannabis light
 Sentenza Corte di Cassazione dicembre 2019: permessa la coltivazione domestica a uso personale

Effetti della legalizzazione di C-light


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 Contrazione del 12% circa della quantità di marijuana confiscata dalle agenzie di contrasto per ogni
punto vendita autorizzato (pari a 6,5 kg)
 Prodotti correlati: -37 piante illegali confiscate per provincia, -8% hashish per punto vendita
presente
 Riduzione profitto criminalità organizzata: -160/270 milioni di euro all’anno (mercato marijuana)
 Effetto sostituzione da prodotti high-THC a prodotti low-THC?

Questa vicenda è interessante perché evidenza il nesso tra quadro normativo italiano e mercati. Tutto
questo succede come effetto imprevisto di norme poco preciso e di pronunciamenti su come queste
norme devono essere interpretati. Il periodo di sostanziale legalizzazione della cannabis light dura dal
2017 al 2019 è una finestra troppo breve per vederne gli effetti. Quello che si è osservato è una
diminuzione dei sequestri della cannabis di origine illecita (almeno in parte contrazione mercato
illegale). Ed è stata stimata una verosimile riduzione del mercato illegale. Una questione aperta è
quella del mercato legale e mercato illegale. Sono uno completamente sostitutivo dell’altro? O sono
mercati separati con consumatori diversi? I due mercati vendono anche prodotti parzialmente diversi.

La sharing economy

 Un problema di definizione: sharing, platform, gig


 La caratteristiche della «sharing» economy:
Finora abbiamo tratto delle modalità produttive e in quest’ottica la sharing economy ha come
caratteristica l’uso della tecnologia con un cambiamento epocale dell logica stessa dello scambio
economico. Si assiste una tendenza generale, dove il fine dello scambio economico smette di essere
il passaggio di proprietà di un bene, ma diventa la possibilità d’accesso a questo bene. Io
consumatore non mi faccio più a questo bene per diventarne proprietario, ma il mio obiettivo è
quello di potervi accedere. L’idea è in sé è interessante e può vedere ricadute estremamente
positive: si diminuisce la produzione, migliore ridistribuzione, si favoriscono le relazione sociale tra
gli utenti, si tratta di un cambiamento che risponde a diverse esigenze. (non acquisizione di
proprietà di un bene, ma la possibilità di accesso a questo bene; pago per utilizzare qualcosa, non
per diventarne proprietario.)
 La sharing economy come innovazione sociale: riallocare le risorse sottoutilizzate per favorirne l’uso
 Le difficoltà di regolazione della sharing economy: fiscalità, tutele dei lavoratori, sicurezza degli
utenti

Ci sono però alcuni problemi che nascono nella realtà di queste idee; perché nel concreto non vediamo
una diffusione di reti tra pari, perché queste forme dal punto di vista organizzativo sono difficilmente
perseguibili soprattutto su larga scala. Quello che osserviamo è l’emergere di piattaforme tecnologiche
che assumano una posizione di sostanziale monopolio; e queste piattaforme tecnologiche utilizzano
questa posizione di forza che riescono ad avere nel mercato a loro vantaggio. In che modo prende
forma questo vantaggio? - da un lato le società più attive in questa nuova dorma di economia
sviluppano la capacità di sfruttare le differenze nella regolamentazione fiscale dei diversi paesi per
sottrarre una parte dei loro utili alla tassazione. Il fatto che si tratti di piattaforme tecnologica favorisce
ancora di più la fuga al fisco. Oltre a questo ci sono anche margini d’ambiguità degli utenti che
scambiano beni attraverso le piattaforme (es. aribnb offre appartamenti ma non paga tasse su questi
appartamenti perché essa è solo l’intermezzo. Questa questione riprende il rapporto tra economia
informale e formale; siamo all’interno di una zona “grigia” in cui c’è un’incertezza. - Dall’altro lato
queste nuove forme mettono in tensione altri aspetti come il funzionamento del welfare e la
rappresentanza degli interessi dei lavoratori. Si va verso il superamento dello statu di lavoratore
indipendente e la diffusione di nuove forme che però sono poco garantiti (es. diritti del lavoro - rider).

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La stessa organizzazione della rappresentanza dei rider è complicata dal rapporto individuale, le forma
classiche di rappresentanza tendono a non funzionare.

 Una sharing economy sempre meno «sharing»:


• Professionalizzazione dei servizi (esperienze che nascono come idea di condivisione fra pari
resa possibile dalla intermediazione di una piattaforma; ma la piattaforma assume un ruolo
più consistente diventando l’agente economico principale della transazione, anche
sostituendo la rete tra pari e favorendo l’ingresso di ulteriori attori economici che non sono
i singoli, ma vere e proprie società. A questa crescente professionalizzazione corrisponde
un secondo tratto)
• Intermediazione dei servizi (la sharing economy nasce come economia orizzontale che
vuole direttamente mettere in contato le persone creando delle reti e ponendosi in una
relazione tra pari. La piattaforma dovrebbe essere uno strumento che favorisce la
disintermediazione, cadano una serie di intermediari perché l’aspetto da valorizzare è la
relazione diretta tra pari. Quello che si osserva è esattamente il contrario e i livelli di
intermediazione tendono a crescere; e gli utilizzatori sviluppa una relazione con la
piattaforma e attraverso la piattaforma entrano a contatto con una agenzia che sfavorisce
l’intermediazione. L’idea iniziale era “vado a dormire a casa di qualcuno, questo mi
permette di risparmiare, ma anche di conoscere un abitante della città”. Questo doveva
avere un valore relazione e non solo monetario, spesso non vado in una casa abitata, ma
accedo a un servizio abitativo al pari di un hotel. Il car-pooling mantiene ancora la
mediazione diretta e non si assista alla professionalizzazione.)
• Dimensione strumentale vs dimensione relazionale
 Il primato dell’orizzontalità: dalla reciprocità al mercato
 Quale spazio per la verticalità? Ripensare la redistribuzione nella sharing economy (I fenomeni che
facciamo rientrare sotto la sharing economy sono di tipo orizzontale e di verificano tra attori sullo
stesso piano. La reciprocità è una caratteristica sia di Polani, sia del mercato, dove lo scambio
economico avviene tra soggetti che si collocano sullo stesso piano (es. mercato - attori economici
decidono liberamente se procedere oppure no allo scambio). Nella sharing economia abbiamo
questo elemento di orizzontalità che rimane stabile, ma nel tempo osserviamo uno scivolamento
dalla esperienza di sharing economy più vicine alla logica delle reciprocità, in cui la dimensione
strumentale viene meno, arriviamo alla diffusione di una logica più orientata al mercato
(dimensione economica predominante).
Quale spazio per la verticalità? Ripensare la redistribuzione nella sharing economy)

Alcune definizioni

 Sharing economy: forma di organizzazione economica fondata sulla condivisione peer-to-peer di


risorse (questa è una etichetta con una eccezione estremamente positiva, mano a mano si sono
diffusi nuovi termini che tendevano a metterli in evidenza sono anche cambiati i termini)
 Platform economy: forma di organizzazione economica mediata dall’utilizzo di piattaforme
tecnologiche di tipo transazionale (il fatto che questa piattaforma sia un vero e proprio attore
economico e si ribalti l’idea iniziale, ma in molti casi è la piattaforma che si fa azienda e ha interessi
economici specifici facendo leva sui singoli)
 Gig economy: forma di organizzazione economica che fa ricorso al lavoro on demand di figure
professionali non inquadrate come dipendenti (questo termine metta in evidenza come il successo
di queste piattaforme si basi sull’uso di lavoro su richiesta, erogato da soggetti che non hanno lo
status di lavoratori dipendenti, e per questo esclusi da una serie di tutele. In questo senso, in
queste forme molto nuove di organizzazione economica, ritroviamo i meccanismi di quella che

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abbiamo chiamato la via bassa alla flessibilità che ha come obiettivo quello di comprimere il costo
al lavoro)

Varietà dei modelli di organizzazione economica

Nuova political economy comparata si focalizza sul livello macro, sul funzionamento di un intero paese,
comparto… e questo è il modo con cui abbiamo analizzato i modelli di welfare e di rappresentanza degli
interessi.
Questi approcci si soffermano più sull’azione individuale, micro, e che si soffermano sul livello meso, che
guarda alle relazioni tra gli attori e come queste relazioni ci aiutino a capire i comportamenti. Questa teoria
nasce da un’insoddisfazione per le spiegazioni riguardanti tutti i cambiamenti che abbiamo raccontato dal
fordismo al post-fordismo; si sente la necessità di andare più in profondità.

 Analisi delle istituzioni economiche a livello micro


 Dalla ricerca empirica (modelli produttivi flessibili) al dibattito teorico: i limiti dell’impresa

Quali elementi guidano la scelta delle imprese di effettuare alcune transazioni


all’interno (gerarchia) e altre all’esterno (mercato)?
 Inadeguatezza della spiegazione tecnologica
 La risposta dell’economia:
o Il neoistituzionalismo economico
 La risposta della sociologia
o La nuova sociologia economica
o Il neoistituzionalismo sociologico

La domanda fondamentale che ci si pone è: in base a cosa un’azienda decide di affidarsi alla gerarchia, per
alcune funzioni, e al mercato, per altre funzioni? L’economia neoclassica risponde che determina dalla
tecnologie a disposizione. Ad un certo punto nasce però la necessità di andare più a fondo; a partire dagli
anni ’70 alcuni economisti incominciano a trovare questa risposta un po’ insoddisfacente, e cercano di
fornire una risposta più complessa che tenga conto di una serie di fattori istituzionali e in questo modo
questi economisti danno vita a un nuovo approccio dell’economia che viene chiamato neoistituaizoanlismo
economico. Il termine deriva dal guardare all’impresa come un’istituzione, il contributo principale del
neoistituzioanlismo economico è una riflessione sui costi di transazione che viene sviluppata da Oliver
Williamson=> Economia dei Costi di Transazione (ECT).

Neoistituzionalismo economico

 I confini dell’impresa e la natura contrattuale delle istituzioni economiche: mercato, gerarchie,


forme di collaborazione
 I costi di transizione e la teoria dell’impresa di Ronald Coase (1937)
 Perché non tutte le transazioni avvengono sul mercato? Perchè l’intera produzione non viene
effettuata all’interno dell’impresa?
 I costi della gerarchia: deresponsabilizzazione, conflitti interni, burocratizzazione
 Confronto tra costo d’uso del mercato e costo d’uso dell’impresa per ciascuna transizione
 Confini dell’impresa come scelta razionale della soluzione istituzionale più efficace

L’economia dei costi di transazione di Oliver Williamson

O. Williamson riprende l’idea dei costi di transazione da un economista istituzionalizza degli anni ’30,
secondo cui, per capire come funziona un’impresa bisogna considerare anche l’ambiente istituzionale in cui
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l’impresa è immersa e le relazioni che questa impresa ha con altri attori economici. Williamson riprende
questa idea per teorizzare che la scelta di un’impresa di gestire certe transazioni via mercato, comprandole
e prendendole dall’esterno, ed altre, via gerarchia, svolgendole dall’interno, dipende da una valutazione
che viene fatta circa i costi che sono associati a ciascuna di queste scelte. Questi costi dipendono da
condizioni date e da condizioni che cambiano dal contesto istituzionale in cui ci si trova. È importante avere
chiaro che rivolgersi al mercato ha dei costi, perché quando si decide di non produrre direttamente un
certo pezzo, bisogna trovare “qualcun altro” in grado e possibilitato a produrre quel prezzo, stipulare un
contratto, definire le clausole… ci sono tutte una serie di dettagli importanti da definire nel momento in cui
si sceglie la via del mercato, e la loro definizione può essere molto costosa in termini di tempo e di risorse
economiche. Tutto questo fa parte dei costi di transazione. Dati questi costi ci si chiede allora perché
bisognerebbe andare sul mercato? Non è meglio lo schema fordista? O. Williamson dice che anche
produrre all’interno della fabbrica ha dei costi; sono i costi di gerarchia. Perché per quanto possiamo
pensare a una grande azienda come un tutt’uno in realtà al suo interno è composta in diversi reparti che si
occupano di funzioni diverse; quindi anche all’interno della grande azienda è necessario coordinare attori
diversi. Inoltre possono verificarsi delle difficoltà specifiche dei costi, ad esempio con le forme di
deresponsabilizzazione. Possono esserci dei conflitti interni, determinati da una distribuzione interna del
potere, questo può rendere più difficile la collaborazione interna all’azienda.

Come si decide allora quale funzioni tenere all’interno e quali all’esterno? Come si definiscono i confini
dell’impresa post-fordista?

Bisognerebbe fare una valutazione ad hoc per ogni funzione, per ogni transazione e valutare caso per caso
quali sono i costi di gerarchia e quali sono i costi di transazione e decidere cosa svolgere all’interno e cosa
all’esterno. A partire da questa valutazione si possono definire i confini dell’impresa. Chiaramente questa
operazione di valutazione sistematica dei costi di transazione e di gerarchia è abbastanza complessa, per
questo motivo l’economia dei costi di transazione identifica una serie di elementi di carattere abbastanza
generale di cui è opportuno tenere conto per stabilire i confini dell’impresa tra le scelta della gerarchia e la
scelta del mercato

Comprendere i costi di transazione (e la decisione degli attori economici):

 Fattori ambientali: incertezze e dipendenza


sono quei fattori che hanno a che fare con le caratteristiche della transazione che stiamo
considerando. Es. siamo un’impresa che deve decidere se produrre il bullone all’interno
dell’impresa o all’esterno. Quali elementi dobbiamo considerare?
o Specificità delle risorse: grado di specializzazione degli investimenti di una transazione; Gli
elementi ambientali riguardano la specificità delle risorse che devono essere mobilitate per
quella particolare produzione e la frequenza della transazione; se per fare un bullone
servono delle competenze molto particolari è meglio fare il bullone internamente. Se
invece si tratta di un prezzo semplice che tutti possono produrre ha senso comprarlo
all’esterno.
o Frequenza degli scambi. Allo stesso modo se il bullone è un pezzo fondamentale e me ne
serve in modo continuativo (alta frequenza); mi conviene fare da me. Se invece mi serve
solo ogni tanto può essere più conveniente comprarlo sul mercato
 Fattori umani
o Razionalità limitata: scelta razionale che tiene in considerazione i limiti conoscitivi e
cognitivi umani (H. Simon) Noi sappiamo che nell’economia neoclassica due assunti
fondamentali sono: la razionalità degli attori e l’asimmetria informativa (cioè il fatto che
tutti i soggetti coinvolti hanno a disposizione le stesse informazioni tendenzialmente
complete rispetto allo scenario in cui si muovano e che questi attori si comportano in
25
modo razionale, cioè orientano la propria azione secondo i principi di razionalità.
Williamson ci dice che non è esattamente così e che gli attori agiscono in situazioni di
razionalità limitata, cioè gli attori non dispongono davvero di tutte le informazioni che
sarebbero necessarie e anche se avessero tutte queste informazioni non sarebbero
comunque in grado di elaborare tutti gli scenari possibili a partire da queste informazioni,
di valutare i costi e i rischi e poi di decidere di conseguenza. Quello che accade
concretamente è che ci si limita a valutare quali sono le opzioni più probabili e si ragiona
su quelle.
o Opportunismo: la dinamica principale-agente
Un altro elemento è che gli attori in assenza di vincoli o sanzioni, tenteranno di sfruttare
l’esistenza di limiti alla razionalità e la mancanza di informazioni complete della
controparte per cercare di trarre un vantaggio personale concerto (opportunismo).
L’opportunismo di queste situazioni viene identificato come la dinamica principale-agente.

La dinamica principale-agente

Si verifica ogni volta che noi, principale, dobbiamo incaricare qualcuno di fare qualcosa al nostro posto,
agente; ma cosa succede? L’agente ha maggiore informazioni di noi, che siamo il principale, rispetto alla
cosa da fare, al servizio da fornirci, a quanto costa, al fatto che si tratti di un buon servizio oppure no; quindi
c’è un’asimmetria informativa tra principale e agente, che configura un vantaggio all’agente a discapito del
principale.

 Contratto di agenzia in base al quale un attore (principale) incarica un altro attore (agente) di
ricoprire per suo conto una data mansione, delegando potere all’agente in condizioni di
asimmetria informativa
 Rischi non eliminabili:
o Opportunismo ex ante (selezione avversa) quando l’agente per farsi scegliere utilizza una
serie di informazioni che io non ho modo di verificare. Ad esempio mi dice che il suo
preventivo è più caro, ma solo perché usa materiali migliori, ma questa cosa non posso
verificarla prima. La consapevolezza di queste dinamiche ha una serie di effetti negativi sul
mercato, questo è stato studiato proprio in relazione al mercato delle auto usate. Nel
mercato delle auto usate, i principali che sanno di rischiare di prendersi un bidone saranno
meno disponibili a pagare un prezzo equo e cercheranno sempre di pagare meno. Questo
costituisce un incentivo per gli agenti a vendere auto meno buone, perché da parte dei
principali c’è meno disponibilità a pagare e questo fa si che sia più conveniente vendere dei
bidoni per gli agenti => questa dinamica tende a degradare il mercato (selezione avversa).
o Opportunismo ex post (azzardo morale) io ho già selezionato il mio agente e lui approfitta
delle maggiori informazioni che ha rispetto a me per trarre un vantaggio. Un altro
fenomeno studiato, che ha a che fare con l’opportunismo, è l’azzardo morale ovvero i
soggetti assumono più rischi se sanno che non ne pagheranno le conseguenze, perché i
contratti stipulati non prevedono che siano loro ad essere responsabili di queste
conseguenze eventuali. Ad esempio se noleggi un auto e l’assicurazione ti protegge da
eventuali danni, io sarò più predisposto a guidare in modo poco prudente, in questo caso
abbiamo una dinamica di opportunismo ex post.
 Costi di agenzia:Come facciamo a tutelarci da questi rischi? Necessitiamo una serie di contro
misure, che hanno bisogno di costi:
o Costi di incentivazione: es. salari fissi + retribuzione variabile per aumentare l’incentivo
o Costi di sorveglianza: verificare che l’agente faccia quello che gli ho richiesto come
l’abbiamo richiesto

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o Costi di obbligazione: es. definizione di un contratto molto preciso. Comprendono i costi
che dobbiamo sostenere se gli obblighi stabiliti vengono meno; ad esempio il mio agente
non rispetta il contratto e io gli faccio causa

Meccanismi di governo efficiente delle transazioni

Tutte queste dinamiche che sono i fattori umani, non si verificano però sempre e con la stessa intensità, ma
dipendono dai fattori ambientali che abbiamo detto prima. In alcuni casi opportunismo e razionalità
limitata saranno contenuti, cioè ci sarà meno spazio, e in altri casi questi costi rischiano di essere così
elevati che è meglio scegliere la strada della gerarchia, cioè tenere quella fase della produzione all’interno
dell’azienda. Come si distribuiscono le seguenti opzioni?

 Mercato (classico o con arbitraggio)


 Forme di collaborazione intermedie (relational contracting)
 Gerarchia (impresa)

 Se le risorse utilizzate, non sono specifiche, la scelta migliore per l’azienda è il mercato; perché
l’azienda deve approvvigionarsi di una risorsa standard (facile da produrre, prodotta da molti)
quindi il prezzo di mercato è buono, questi produttori hanno economie di scala che la singola
azienda non potrebbe raggiugnere, in questo caso i costi di transazione associati al mercato sono
bassi e c’è poso spazio per i fattori umani. Il mercato può essere una buona scelta anche per
investimenti misti, almeno se questi sono occasionali: mi serve ogni tanto un componente
particolare (ma non troppo), non mi conviene che me lo produca all’interno, ma in questo caso c’è
maggiore spazio per l’opportunismo.
 Le aziende da cui compro possono approfittare che io cerco un pezzo non così comune e non ne
conosco i costi di produzione; quindi l’agente può comportarsi in modo opportunistico. In un caso
come questo conviene comunque affidarsi al mercato, ma è necessario qualche “correttivo”: una
terza parte => un arbitro. Qualcuno che faccia da mediatore e che faccia i miei interessi, potrei
assumere un professionista, che svolga il ruolo di mediatore per controllare i miei interessi. In
questo caso, per limitare i costi di transizione, sostengono dei costi d’agenzia: in particolare
sostengono dei costi di sorveglianza; scelgo il mercato con il coinvolgimento di una terza parte =>
se in presenza di transazioni occasionali (ma le risorse utilizzate sono più specifiche) possiamo
decidere di perseguire la via del mercato con arbitraggio oppure posso farmi da solo il pezzo (lo
svantaggio è che si tratta di un pezzo che non mi serve sempre, quindi devo fare un investimento
specifico per produrre qualcosa che non mi serve sempre). La prima opzione è più rischiosa, ma più
economica e la seconda più semplice, ma potrebbe essere più costosa. Se invece le transazioni
sono più ricorrenti, quindi investimenti specifici, ma transazioni ricorrenti; la cosa migliore è farlo
via gerarchia (produrselo in casa). Rimane ancora un caso: quello in cui le transazioni sono
ricorrenti, ma il livello di specificità degli investimenti necessari per la produzione è intermedio (non
è generico, ma neanche specifico). In questo caso sia la gerarchia, sia il mercato puro possono
risultare insoddisfacenti, per cui è opportuno cercare delle strutture di governo intermedie; in
questo caso si collabora con l’esterno con altre aziende, ma lo si fa all’interno di un quadro definito

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da accordi di media e lunga durata. In questo modo l’azienda si tutela dai rischi associati ai fattori
umani tenendo sotto controllo i costi di transazione perché definisce insieme alle altre aziende
coinvolte le modalità di interazione e scambio e queste modalità valgono per un periodo lungo:
cioè si formalizzano un qualche tipo di accordo che poi dura nel tempo. Questa modalità ci aiuta a
spiegare l’emergere delle forme reticolari. Sono proprio le forme reticolari che costituiscono una
modalità intermedia fra gerarchia e mercato => chiamate da Williamson Relations Contract

La critica al neoistituzionalismo economico

 Fattori umani (razionalità limitata e opportunismo) come tratti psicologici immodificabili


atomismo (idea di Williamson che i fattori umani siano dei tratti psicologici immodificabili.
Secondo la sociologia economia in realtà questi fattori sono modificabili e dipendono infatti dal
contesto . I fattori umani per la sociologia economica non sono dati, ma sono una costruzione
sociale che dipendono dal contesto)
 Istituzioni (economiche) come esito razionale della ricerca di soluzione efficienti utilitarismo
 Perché assetti organizzativi poco efficienti si riproducono nel tempo?
 Perché in contesti diversi si osservano forme di organizzazione economica differenziate?
 Radicamento sociale dell’azione economica (embeddedness)

L’economia dei costi di transazione presente una scelta tra mercato, gerarchia e forme intermedie, quasi
come una scelta che le imprese possono fare a tavolino. Quindi la forma dell’impressa, i confini, sono l’esito
di un processo razionale di valutazione che viene fatta da parte degli attori. Questa visione però sottovaluta
il ruolo di altri fattori, che invece da una prospettiva di sociologia economica sono importanti, è una visione
che non ci spiega come mai troviamo delle forme organizzative inefficienti che comunque si continuano a
riprodursi. Secondo l’economia dei nostri di transazione o dovrebbero seguire i criteri che abbiamo visto
oppure dovrebbero scomparire perché inefficienti. E l’economia dei costi di transizione non ci spiega
neppure come mai nella realtà c’è una certa differenziazione tra le forme di organizzazione delle impese e
delle istituzioni che osserviamo. Se esistono criteri chiari di scelta tutti dovrebbero seguire la stessa forma,
ma nella realtà non è così

La Nuova Sociologia Economica

Qui dobbiamo fare una precisazione, riaspetto all’organizzazione del manuale, nel manuale questi due
approcci vengono riassunti in un unico paragrafo, dove al suo interno vengono distinti: approccio
strutturale e neoistituaizoanlismo. In realtà è molto più comune riferirsi all’approccio strutturale con il
termine = nuova sociologia economica. Di solito quando si parla di nuova sociologia economia non si
comprende il neoistituzioanlismo sociologico.

Approccio strutturale: l’azione è influenzata dalla collocazione degli attori nelle reti di relazioni sociali

L’approccio strutturale pone al centro dell’analisi il ruolo delle reti dei rapporti, dei legami che esistono
tra i diversi attor. La nuova sociologia economica nasce da una certa insoddisfazione della sociologia
economia rispetto all’economia dei costi di transazione di Williamson, che aveva fatto molti passi avanti
nell’analizzare l’azione economica, ma che presentava due grandi limiti:
- Evidenzia molto tratti psicologici individuali, trascurando il peso di fattori sociali
- A partire dall’analisi di Williamson sembra emergere una sorta di determinismo nella forma che le imprese
assumono; cioè dati certi tipi di investimenti e una certa frequenza nelle transazioni, le imprese
assumeranno una forma piuttosto che un’altra: stabiliranno i loro confini in un punto piuttosto che in un
altro. La forma di impresa viene vista come l’esito di un processo razionale orientato all’efficienza, nella
realtà osserviamo una proliferazione di forme di impresa diverse, molte di queste tutt’altro che efficienti da
un punto di vista economico, ma continuano ad esistere e a riprodursi nel tempo.

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“il mio approccio alla sociologia economica sii basa su due assunti fondamentali:

1. L’azione è sempre socialmente situata e non può essere spiegata unicamente in riferimento a
motivazioni individuali;
2. Le istituzioni sociali non sorgono automaticamente in qualche forma inevitabile, ma sono piuttosto
socialmente costruite “
Mark Granovetter

La nuova sociologia economica prende le distanze dall’economia dei costi di transazione cercando di
elaborare una nuova teoria dell’azione: è il modo che spiega come e perché i soggetti agiscono in un certo
modo. Questa elabora una nuova teoria dell’azione che pone al centro il ruolo dei fattori sociali, in
particolare il ruolo delle relazioni sociali. Il fondatore della nuova sociologia economica è il sociologo Mark
Granovetter e in quello che è il manifesto della nuova sociologia economica Granovetter afferma che
l’azione economia è sempre socialmente situata: significa che per capire come ci comportiamo non
dobbiamo guardare solo alle nostre caratteristiche individuali, ma dobbiamo guardare al sistema di
relazioni di cui facciamo parte. Quello che possiamo o non possiamo fare, dipende dai legami che abbiamo
con gli altri soggetti e come loro reagiscono, o come noi pensiamo loro possano reagire

La teoria dell’azione nella NSE

Granovetter parte dalla considerazione che economia e sociologia propongono due diverse teorie
dell’azione in contrasto fra di loro:
- Homo aeconomicus = fa riferimento all’azione razionale che agisce per massimizzare il proprio interesse
- Homo sociologicus = fa riferimento all’attore che viene immaginato da Parson, è un attore la cui azione è
orientata dalle norme che ha acquisito nel corso del tempo e che ha interiorizzato nella fase di
socializzazione (da bambino e da ragazzo); una volta introiettate quelle norme anche in età adulta l’homo
sociologicus tenderà a rapportarsi di conseguenza a meno che non sia un soggetto deviante.

A Granovetter questo due rappresentazioni non convincono e le critica entrambe:


- Economica = visione ipo-socializzata; cioè conta solo l’individuo quello che l’individuo fa, mentre quello
che ha incontro e i legami non contano nulla
- Sociologica = visione iper-socializzata; cioè la socializzazione conta troppo e quasi diventa deterministica.
Nella realtà spesso le cose non funzionano in questo modo.

La critica a Williamson

 I confini dell’impresa dipendono (anche) dall’influenza autonoma delle reti di relazioni sociali
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 Anche transazioni complesse possono avvenire via mercato se c’è copertura relazionale
abbassamento costi di transazione
 Transazioni semplici via mercato possono generare/rafforzare reti di relazioni sociali
 Anche il modello gerarchico ha bisogno di condizioni relazionali favorevoli

 MA.. l’effetto delle reti di relazioni sociali non è sempre positivo

In realtà queste due visioni ricadono nello stesso problema => l’atomismo. L’individuo si comporta come un
atomo nella sua azione orientato solo da quello che ha dentro di sé, il perseguimento del proprio interesse
da un lato e il perseguimento delle norme che ha interiorizzato dall’altro. Ma in entrambi i casi tutto ciò che
c’è intorno sparisce. Granovetter dice invece l’attore è radicato, e questo radicamento nel contesto
influenza le nostre azioni complete. Il concetto di radicamento è il concetto centrale della nuova sociologia
economica = embedded nelle reti sociali

Secondo Williamson i distretti industriali che tendono a fare produzioni molto specifiche, o non dovrebbero
proprio esistere e dovremo trovare la grande impresa che fa tutto al suo interno per evitare i costi di
transazione, oppure nella migliore delle ipotesi i distretti industriali dovrebbero ricadere nel caso del
relational contracted cioè dovrebbero esistere tra le diverse piccole medie imprese del distretto una serie
di accordi formalizzati. Quello che di solito osserviamo è un’assenza di questi accordi, ma nonostante
questa assenza le norme funzionano; com’è possibile? È possibile perché le reti di relazioni esistenti dentro
le quali circola la fiducia reciproca forniscono quella che possiamo definire copertura sociale alle
transazioni => non c’è bisogno di limitare contratti alle transazioni, perché l’opportunismo viene limitato
dall’assenza di fiducia tra le parti. Questa fiducia deriva da una conoscenza reciproca; e anche dal fatto che
le reti di relazioni sono in grado di applicare delle sanzioni informali (es. perdita della fiducia). Le reti sociali
sono spesso capaci di generare nuova fiducia, per cui se ho uno scambio via mercato con un fornitore mi
trovo bene, nel tempo tenderò sempre a rivolgermi a lui, ad avere fiducia in lui, anche se per lo stesso
scambio potrei scegliere in una platea più ampia di fornitori (magari anche più economici). La relazione di
scambio puramente economico può essere la base per una relazione sociale e a sua volta essa può avere
conseguenze economiche. L’esistenza di relazioni sociali può contribuire ad abbassare i costi e facilitare le
transazioni interne. Le relazioni sociali non sono però solo qualcosa di positivo, bisogna tenere a mente che
anche fenomeni negativi si basano sull’esistenza di reti di relazioni sociali (corruzione); le reti di relazioni
sociali sono dei canali che collegano l’individuo e possono spostarsi da un attore a un altro sia
positivamente o negativamente .

Il capitale sociale

Il capitale sociale come l’insieme delle relazioni che un attore individuale o collettivo ha in un certo
momento. In questo senso il capitale sociale è una risorsa individuale (forma ed estensione specifica, che
varia nel tempo). L’idea di base è che le relazioni siano una risorsa; patrimonio relazionale. Il capiate sociale
è individuale, riguarda le singole persone, e gli attori possono utilizzarla per raggiugere il proprio scopo. Gli
attori possono utilizzarla in modo più o meno congruente.

 Approccio micro-relazionale: l’insieme delle relazioni sociale di cui un soggetto (individuale o


collettivo) dispone in un determinato momento (capitale sociale come risorse individuale,
Bourdieu, Coleman) Il termine capitale sociale è stato utilizzato dal sociologo P. Bourdieu, che l’ha
associato a due tipi di capitali: il capitale economico e il capitale cultuale (quello che sappiamo).
Secondo Bourdieu tende ad esserci una relazione positiva nei confronti di questi tre tipi di capitali.
Rispetto a questo uso che ne fa Bourdieu; Coleman sottolinea che anche se si tratta di una risorsa
individuale il capitale sociale ha un valore che è collettivo, perché riguarda le reti che creiamo con

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altri soggetti (quasi indipendente dall’esistenza e dall’orientamento di altri individui) perché è
nostro, ma ci pone in relazione con gli altri. Molto più spesso però il capitale sociale è un
sottoprodotto di altre attività; noi non agiamo per sviluppare capitale sociale, ma semplicemente
vivendo la nostra vita entriamo in relazione con altre persone, testiamo unirete sociale e queste
relazioni scopriremo ci serviranno per raggiugere un qualche obiettivo che non abbiamo neppure in
mente. Questa declinazione ci porta verso una concezione per cui il capitale non è degli individui,
ma dei contesti. Alcuni autori come R. Pattern quando parlano di capitale sociale intendono
l’esistenza in un dato territorio di una cultura che favorisce la cooperazione e che deriva dalla storia
di quel territorio; quindi in qualche modo slegata dagli individui.
 Approccio macro-relazionale: l’insieme degli elementi di un sistema sociale che possono migliorare
l’efficienza della società nel suo insieme, facilitando l’azione coordinata degli individui (capitale
sociale come dotazione aggregata, Fukuyama, Putnam)

Il concetto di capitale sociale declinato in questo modo viene criticato perché fa riferimento al passato
(troppo lontano). Cosa manca? Non si interroga su quello che è successo nel frattempo, quale ruolo hanno
avuto le istituzioni e le politiche sociali del territorio? Da un lato quindi ci viene prestato il destino dei
territori come se fosse scritto ed impossibile da cambiare. Si trascura il fatto che in realtà molti
cambiamenti si sono prodotti nel frattempo: perché i contesti sono per definizione in divenire sono
pacdependenc, cioè le caratteristiche dipendenti dal passato, ma questo non determina per forza il
presente e il futuro. Le istituzioni presenti possono modificare le cose. Il secondo problema con questa
accezione macro proporzionale è che se intendiamo il capitale sociale come una accezione del territorio a
sviluppare reti e fiducia, quello che stiamo facendo è che vediamo il capitale sociale solo positivamente. Le
relazioni sociali possono essere utilizzate in modo diverse; a seconda delle esigenze e del contesto. Es.
mafie = uno degli elementi di forza delle mafie consiste nella capacità che hanno le mafie di sfruttare il
capitale sociale (relazioni sociale) per raggiungere i propri scopi. Quindi in questo caso le mafie hanno
bisogno di capitale sociale. Allo stesso modo se pensiamo che le mafie siano un sottoprodotto di una
cultura chiusa e non orientata dal benessere collettivo, come ci spieghiamo la grandissima diffusione al
nord di gruppi mafiosi? In quel nord dove c’è una dotazione di capitale sociale importante? Rispetto a
queste questioni la prospettiva macro-relazionale di Putman risulta poco soddisfacente. Mentre se
adottiamo quella micro-relazione di Coleman il quadro diventa più convince. A questa prospettiva si rifà il
principale contributo empirico di Granovetter; la sua ricerca più importante, che indaga il ruolo delle
relazioni all’interno del mercato del lavoro. Questa ricerca ci aiuta a capire quanto e come contano i legami
sociali per trovare lavoro.

Il radicamento nelle reti sociali

Due dimensioni del radicamento:

 Relazionale: effetti diretti sull’azione economica individuale


 Strutturale: effetti indiretti sull’azione economica individuale

Interazione tra radicamento relazionale e strutturale:

 Reti, fiducia, norme: tanto più le reti sono dense, tanto più è elevato il grado di fiducia tra gli attori
e tanto più è probabile che le norme siano condivise e rispettate (ma pericolo confidence racket)
 Legami forti e deboli, omofilia e informazione
 Buchi strutturali e broker relazionali (Burt)

Getting a Job: la forza dei legami deboli

La ricerca più importante di M. Granovetter è stata condotta a metà degli anni ’70 e ha come oggetto di
studio il ruolo delle relazioni personali all’interno del mercato del lavoro nel momento in cui si è alla ricerca
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di una nuova occupazione. L’obiettivo principale di Granovetter è di capire quali sono le risorse che gli
individui impiegano per arrivare a informazioni circa nuove opportunità lavorative; quali canali utilizzano e
quali portano a un risultato più efficace. Granovetter parte da una ricognizione ampia, relativa al “come si
viene a conoscenza di nuove opportunità occupazionali” ed evidenzia il fatto che trovare un nuovo lavoro
dipenda in realtà da una serie di fattori e si tratta di una serie di fattori che dal punto di vista analitico si
collocano su livelli diversi.

Come si viene a conoscenza di nuove opportunità occupazionali?

 Flussi tra occupazioni e turnover (macro)


 Motivazioni socio-psicologiche (micro)
 Ruolo delle relazioni informali (meso)

Risultati empirici:

 I legami deboli contano più di quelli forti


 Le catene di trasmissione dell’informazione sono brevi
 La maggioranza delle persone che ha cambiate occupazione non stava cercando un nuovo posto
 L’effetto della rete di relazioni sociali varia a seconda di condizioni specifiche

Per analizzare questi aspetti Granovetter individua un campione di persone che negli ultimi 5 anni hanno
cambiato lavoro e gli intervista per capire quali canali hanno utilizzato e da quali canali è arrivata
l’informazione giusta per trovare un nuovo lavoro. Cosa emerge?
1) Il primo risultato è che nella maggior parte dei casi l’informazione non è arrivata da canali ufficiali (es.
centro per l’impiego) o da canali anonimi (es. annunci sui giornali); ma l’informazione giusta è arrivata nella
maggior parte dei casi dai legami personali (cerchia di persone degli intervistati). Questo risultato è molto
importante; potremo riassumerlo dicendo che nel mercato del lavoro contano più le relazioni personali
rispetto ai canali ufficiali e anonimi.
2) Il secondo risultato è ancora più importante. Tra i contatti personali che si sono rilevati determinati per
acquisire l’informazione che ha portato al nuovo lavoro hanno contato decisamente di più le semplici
conoscenze rispetto ai rapporti di amicizia più profondi.

Questo risultato a prima vista sembra essere quasi paradossale; es. io sto cercando lavoro e ne parlo con le
persone che conosco (amici, familiari) saranno motivati ad aiutarmi (faranno ad attenzione e cercheranno
di raccogliere delle informazioni su nuove opportunità). Ciò nonostante l’informazione giusta mi arriverà da
qualcuno con cui ho un legame debole (es. giornalaio, amico di un amico).

Granovetter osserva che le catene di trasmissione dell’informazione che si è rilavata cruciale per cambiare
lavoro sono in genere delle catene brevi (cammini brevi). Questo significa che l’informazione non ha fatto
un percorso lungo; tendenzialmente anche se l’informazione è arrivata da un contatto debole era un
informazione che non aveva fatto tanta strada (più diretta). La maggior parte delle persone che ha
cambiato lavoro, soprattutto quelle persone che con questo cambiamento hanno migliorato molto la loro
posizione lavorativa e hanno trovato l’informazione giusta per loro, non erano persone che stavano
cercando attivamente un lavoro. Nella maggior parte dei casi non riguarda persone con un lavoro, ma
persone che hanno già un lavoro.

Nel mercato del lavoro i legami deboli contano, ma contano a certe condizioni, non dobbiamo presupporre
che le relazioni abbiano un effetto costante, che funzionino sempre e sempre nello stesso modo in tutte le
condizioni. Come sempre accade conta il contesto, altrimenti cadremo nel determinismo. Granovetter nel
suo lavoro intervista uomini bianchi di classe media che tendenzialmente non erano alla ricerca spasmodica
di un lavoro, quindi i suoi risultati devono essere letti tendono conto della specificità del suo campione.

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Aspetti relazionali e strutturali

• Legami deboli: legami a bassa intensità emotiva e/o che connettono attori con una bassa frequenza
di interazione; Per quanto riguarda l’interazione può essere sia bassa (un ex compagno di scuola),
ma anche di legami con persone con cui ho una interazione quotidiana o quasi, ma il rapporto non
va oltre a una certa soglia

• Legami forti: legami ad alta intensità emotiva e/o che connettono attori con un’alta frequenza di
interazione; sono dei legami caratterizzati da un’alta frequenza di frequentazione (non è scontato -
lontananza dalla famiglia, continuo ad essere legami forti)

• La triade impossibile:

Nel corso del tempo la rete di relazioni si modifiche (università, amici di amici, legami che si perdono).
La rete sociale di ciascuno di noi cambia in modo diverso nell’arco del tempo, però ci dice l’approccio
strutturale ci sono alcuni principi base che tendiamo a vedere sempre all’opera; cioè le reti o alcune
porzioni di reti tengono ad evolversi verso una certa struttura piuttosto che verso un’altra. Un principio
base che vediamo all’opera nelle reti sociali è la cosiddetta chiusura triadica (triade impossibile) che è
stata studiata da Granovetter. Significa che se due persone hanno un amico in comune è molto
probabile che a un certo punto diventano amiche (o conoscenti) anche loro. Per capire come funzione
guardiamo il disegno

1) Soggetto giallo ha un legame forte\debole con il soggetto rosso e ha un legame debole con il soggetto
verde. Questa è una prima configurazione possibile, può rimanere così nel tempo: non è detto che verde e
rosso ad un certo punto si incontrino, proprio perché almeno uno dei due legami è un legame debole.
2) Triade chiusa; giallo, verde e rosso si conoscono tutti tra di loro e i loro legami, che possono essere di
vario tipo possono essere legami forti e in alcuni casi legami deboli. Può essere una triade familiare o di
amicizia stretta (tutti legami forti), ma può essere una triade di semplici conoscenti o uno e uno.
3) La terza secondo Granovetter è la configurazione che non possiamo mai avere; si tratta di una Triade
aperta ed è il caso in cui giallo ha un legame forte sia con rosso che con verde. Granovetter ci dice che
questa configurazione è impossibile e tenderà a diventare una triade chiusa e tenderà a stringersi un
legame tra verde e rosso. Questo principio ci dice sostanzialmente che questa triade aperta diventerà una
triade chiusa.

Possiamo rintracciare tre diverse ragioni per cui è facile che nel terzo caso rosso e verde strigano un
legame:
1) Opportunità: è facile che si creino delle situazioni per cui rosso e verde si incontrino (es. cena, uscita…)
2) Punti in comune: anche se non si conoscono hanno in comune l’amicizia con il soggetto giallo. Rosso e
verde anche se non si conoscono tra loro sanno di potersi fidare perché implicitamente lo fanno già con
l’amicizia di giallo (es. verde cerca un fornitore e chiede consiglio a giallo e giallo gli parla di rosso che può
produrre proprio quel pezzo. Verde si fiderà di rosso proprio perché è stato messo in contato tramite giallo.
In questo caso l’intermediazione internazionale di giallo funzionerà come un fluidificante del mercato,
rendendo la transazione più facile)
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3) Incentivi: entrambi le parte abbiano degli incentivi a far funzionare i rapporti. Se rosso e verde non sono
amici e non vogliono diventarlo questa potrebbe essere una stress molto grande per giallo, che dovrebbe
condividere il suo tempo fra i due (es. fidanzata\migliore amico). Se invece rosso e verde si vogliono
frequentare avranno degli incentivi a sviluppare un minimo di rapporto, perché in questo modo non
dovranno competere per accaparrarsi in modo esclusivo il tempo di giallo e potranno fare una serie di cose
insieme.

Da cosa dipende la «forza dei legami deboli»?

 Aspetti sostanziali

• Accesso a informazioni nuove e non ridondanti

 Aspetti strutturali

Immaginiamo adesso di essere YOU, da dove è più probabile che arrivi l’informazione che mi serva? Se c’è
un informazione utile che circola da parte dei legami forti probabilmente già la conosco; perché dal
momento che tutti sono collegati con tutti se c’è un informazione utile che circola in questa parte della rete
tendenzialmente già la conosco perché sono all’interno di una rete in cui le informazioni che ci sono
circolano facilmente. Attraverso legami forti circolano informazioni ridondanti. Attraverso i legami deboli
riesco a legarmi a un reticolo in cui altrimenti non crei accesso e se c’è un’informazione utile in quel reticolo
può arrivarmi solo tramite questo tipo ti legami. I legami forti tendono a chiudere il soggetto all’interno del
reticolo, mentre i legami deboli tendono ad aprirlo all’interno del retilo, cioè permettono al soggetto di
connettersi con punti anche molto distanti, e di poter attingere da li delle informazioni che altrimenti non
avrebbe mai incrociato. Questo sostanzialmente è il motivo per cui all’interno di alcuni mercati del lavoro i
legami deboli risultano più utili dei legami forti.

Quello che si è osservato è che la configurazione migliore è un mix tra legami forti e legami deboli. I legami
forti funzionano bene per gestire le produzione dei mercati flessibili, ma a lungo andare i legami forti
rischiano di essere un po’ asfittici e non permettere di stare al passo con mercati che cambiano
costantemente. Dall’altra parte i legami deboli sono quelli più instabili su cui si può contare meno, ma sono
quelli che servono per venire in contatto con nuove opportunità e con l’innovazione poiché ci mettono in
contatto con esperienze diverse dalle nostre.

«Ci si potrebbe aspettare che i legami forti siano quelli maggiormente motivati ad aiutarci e passarci delle
informazioni, ma la struttura sociale prevale sulle motivazioni individuali. Coloro ai quali siamo
debolmente connessi è più probabile che si muovano in circoli differenti dai nostri e abbiano quindi accesso
a informazioni differenti da quelle che abbiamo noi.
[…] In molti casi il contatto era qualcuno solo marginalmente incluso nella rete dei contatti attuali, e
comunque appartenenti alla rete professionale».
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[Granovetter 1973]

Strumentalità relazionale

• Utilizzo di legami deboli in modo strumentale


«Quasi il 30% dei casi esaminati in questa ricerca aveva dichiarato di non aver mai svolto nessuna ricerca
attiva […]. Altre evidenze empiriche mostrano che in alcuni luoghi e alcuni periodi storici queste percentuali
possono essere assai più alte. Ben il 49% dei maschi intervistati a Tokyo da Watanabe aveva negato di aver
cercato attivamente l’impiego conseguito e questa proporzione saliva al 63,8% per i dirigenti e al 60,2 per i
soggetti che percepivano le retribuzioni più alte»

[Granovetter 1995]
• Creazione di legami deboli in modo strumentale

«Il mio lavoro sui flussi di informazione ha evidenziato come sia spesso fuorviante pensare all’acquisizione di
informazione come risultato di investimenti in contatti. […] Le reazioni positive di Alter sono effettivamente
remunerative solo se Alter non ha il sospetto che Ego agisce in vista di una remunerazione. […] Il desiderio di
un’approvazione genuina e l’attenzione che si esercita a questo fine pongono seri limiti alla manipolazione
strategica delle relazioni interpersonali»
[Granovetter 2000]

La catene di informazione

 Chi cerca attivamente lavoro si affida maggiormente a canali formali e legami forti: giovani,
lavoratori «super-mobili» o «immobili» che sono privi di una rete professionale; disoccupati
maggiormente disponibili ad accettare «cattivi lavori»
 I legami deboli veicolano maggiormente informazioni su «buoni lavori»
 Le catene corte di trasmissione dell’informazione sono più efficaci perché comportano un doppio
vantaggio: temporale e reputazionale
 La discriminazione omosociale e le azioni positive (affirmative actions)

Perché le persone che trovano lavoro non lo stavo cercando? Abbiamo detto che Granovetter intervista
uomini bianchi di classe media che si muovono in un contesto specifico. Chi ha trovato un nuovo lavoro non
lo stava cercando attivamente; questo richiama che il capitale sociale è il prodotto di altre attività ed è
difficile crearlo ad hoc. Se abbiamo la percezione che qualcuno cerca di conoscerci, perché vuole ottenere
qualcosa da noi, la relazione tende a non decollare. Al contrario spesso siamo gratificati nel fare qualcosa
per qualcuno, se questo fare qualcosa lo percepiamo come un atto spontaneo (es. una persona ci parla di
un problema e cerchiamo di aiutarli). La creazione di legami non funziona molto e il loro utilizzo non ci aiuta
a raggiungere il loro scopo. Le situazioni che si concretizzano meglio lo fanno in modo spontaneo e casuale
Una seconda parte della spiegazione è che lavoratori diversi usano canali diversi e anche che i diversi canali
veicolano informazioni diverse. Il primo circuito è popolato da coloro che stanno cercando in modo serio
lavoro e voglio rientrare nel mercato del lavoro ci sono: disoccupati, lavoratori immobili (che se perdono il
lavoro rimangono spiazzati), lavoratori super-mobili (fanno un lavoro stagionale e cambiano spesso lavoro)
e poi ci sono coloro che cercano di entrare per la prima volta nel mercato del lavoro o le donne (entrate
tardi o uscite presto a causa dei figli). Quest’ultimi lavoratori sono persone che per motivi diversi sono tutte
prive di una rete professionale; non hanno una serie di conoscenze nel loro ambito professionale e quindi
avere persone che possono aiutarle a trovare lavoro. Da un lato queste persone sono molto motivate, ma
dall’altra parte hanno poche persone (poche risorse) che possono aiutarle a trovare persone. Queste
persone quindi si rivolgeranno più spesso a legami forti (spesso tendono a metterci in contatto con legami
simili a quelli dei nostri contesti forti, legandoci al nostro contesto di origine) e legami informali (come certi
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per l’impiego, annunci).
I legami deboli chiamano in causa un circuito diverso, dove più facilmente circolano informazioni che
provengono da contesti lontani dal nostro e queste sono informazioni che nessuno dei legami prossimi a
noi sono riusciti ad “accaparrarsi”; si tratta di informazioni per lavori buoni, ma non adatti a tutti (servono
delle competenze specifiche perché altrimenti se fossero più generiche le informazioni verrebbero utilizzate
nella cerchia dei legami forti e non uscirebbe all’esterno).

Le notizie sui buoni posti di lavoro non fanno tanta strada:


- Le informazioni sui buoni lavori sono rare e si consumano non appena qualcuno viene assunto
l’informazione perde il suo valore
- Le catene brevi funzionano meglio perché i soggetti coinvolti possono presentare direttamente il
candidato e fornirgli in questo modo un vantaggio.

Queste catene sono omofile o omosociali; sono catene che propongono individui che si somigliano tra di
loro, le persone che si somigliano tendono a conoscersi. Il rischio è che le informazioni che circolano tra
reticoli di persone simili. Le catene informale coinvolgono persone che si assomigliano fra di loro e si
cercano di fare azioni positive (quote rosa, quote di assunzioni per minoranze etniche) per evitare una
discriminazione sociale. Se ci spostiamo dal mercato del lavoro, che interessa individui di classe media, a un
mercato del lavoro, di individui di classe diverse; noteremo delle variazioni.

• E il mercato del lavoro italiano?

Il mercato del lavoro italiano

• Le reti di relazioni con cui si trova lavoro sono prevalentemente fondate su legami forti

• Il ricorso a legami forti cresce al crescere dello status sociale

• Bassa mobilità occupazionale: i posti di lavoro sono «beni scarsi e durevoli»  allocazione su base
fiduciaria

• Quantità o qualità delle relazioni? Estensione della rete vs. status sociale della contact person

 Il capitale sociale è una risorsa distribuita in modo diseguale tra classi sociali e tende a riprodurre
vantaggi ascritti delle persone con status elevato

 Quali interventi pubblici? Politiche attive di incontro tra domanda e offerta di lavoro

I risultati dicono che nel caos italiano contano moltissimo i legami forti, e che il ricorso a quest’ultimo è
tendenzialmente più diffuso tra le classi sociali elevate. Questa differenza tra USA e Italia dipende dal fatto
che il mercato del lavoro italiano è molto meno mobile, le persone non cambiano spesso lavoro, le aziende
stesse cercano di evitare di avere un ricambio frequente. Questo fa si che lo stock disponibile tende ad
essere più ridotto. Nel nostro paese c’è una relativa scarsità di posizioni lavorative al confronto degli USA.
Un datore di lavoro ha una risorsa scarsa di posizione lavorativa da offrire, il datore pensa che sia molto
importante assumere qualcuno di cui si fida, perché è una risorsa importante. Tendenzialmente o assumo
qualcuno che conosco personalmente o di cui mi fido molto, più buono sarà il posto che deve assegnare più
conta il legame. Il datore di lavoro:
- Alloca su base fiduciaria
- Alloca su brevi termini tramite per tutelarsi rispetto al rischio di avere qualcuno con cui non si trova bene.
Nel caso italiano non conta quindi quanto sia estesa la rete, ma piuttosto lo status della persona che può
diventare la mia contact person che può introdurmi nel giusto mercato. Serve una rete non tanto estesa,
ma che mi possa introdurre nel mercato giusto. Questo problema è un problema in termini di distribuzione
dell’opportunità; perché le nostre reti sono omosociali: persone che hanno il nostro stesso grado sociale e

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in questo modo si riproduce un vantaggio o uno svantaggio di classe (es. giovane laureata figlia di operai:
più complicato trovare un lavoro corrispondente al suo titolo di studio rispetto al suo compagno laureato
figlio di laureati). La situazione appena descritta è peggiorata, perché il mercato del lavoro italiano è poco
mobile, l’idea del “il sogno americano” restituisce l’idea del fatto che il passaggio da un lavoro all’altro nel
mercato statunitense è possibile ed è vista come un certo dinamismo della persona, in Italia questo non è
possibile; alcune ricerche hanno dimostrato la trappola dei cattivi lavori ovvero la posizione del nostro
primo lavoro ci impedisce di raggiungere posizioni migliori da quelle di cui siamo partiti anche se abbiamo
un titolo di studi che ci consente una posizione migliore. Le ricerche condotte dimostrano che in questo
primo lavoro si rimane intrappolati ed è difficile migliorare la posizione, perché c’è un effetto marchio.
Bisognerebbe aspettare una scelta migliore, e rifiutare la prima opportunità, il problema è che non tutti
possono permettersi l’attesa.

Per cercare di ovviare a questa situazione sarebbero opportuni una serie di interventi pubblici: politiche
attive di incontro tra domanda e offerta di lavoro. Cioè il sostegno di una serie di canali informali che
aiutano l’incontro di domanda e offerta cangiandolo da questi meccanismi di tipo personalistico. La brutta
notizia è che nel nostro paese le politiche attive (centri per l’impiego, percorsi di formazione) sono una nota
abbastanza dolente.

Il neoistituzionalismo sociologico

In questa parte di lezioni siamo partiti chiedendoci perché le imprese hanno la forma che hanno, perché i
consigli di un’impresa si definiscono in un certo modo. E abbiamo visto la risposta del neoistituzioanlismo
economico, che si accontenta di dire che dipende dal tipo di risorse e dalla frequenza degli scambi che
vengono attivati. Le risposte della sociologia:
- Nuova sociologia economica
- Neoistuzionalismo sociologico
Entrambi si interrogano sulla forma dell’impresa, ma nella loro analisi ci forniscono una serie di risposte che
vanno al di là della questione puntuale. Questi approcci di fatto ci forniscono una vera e propria teoria
dell’azione: ci spiegano quali sono i fattori che contano nel definire le azioni e l’orientamento degli attori
individuali collettivi. La domanda è: in che modo si definiscono gli interessi, gli obiettivi, le credenze e in che
modo gli individui perseguono concretamente questi interessi? Che risorse usano concretamente?
A definire gli interessi e le modalità con cui gli attori possono perseguire i loro interessi sono le reti di
relazione sociale: cioè il capitale sociale degli attori stessi. Secondo Granovetter il fattore più significativo
oda considerare è l’embedness strutturale cioè il radicamento degli attori nelle loro reti sociali.

Approccio neoistituzionalista: influenza autonoma dei fattori culturali

Il neoistituzioanlismo sociologico si focalizza invece sui fattori culturali e sul loro ruolo autonomo, cioè
indipendente dal resto nel definire gli interessi e il perseguimento degli interessi. Ai sociologici
neoistituzionalisti il concetto di radicamento di Granovetter piace, ma quello che fanno è estenderlo, cioè
farlo diventare un concetto multidirezionale, dicono che siamo influenzati anche da altri fattori: di tipo
cognitivo, di tipo culturale, di tipo politico (in senso molto ampio - forme di potere). Il radicamento smette
di essere quindi solo strutturale. Ciascuno di noi è influenzato dalle reti sociali e da altri elementi che
condividiamo con gli altri che possono cambiare dalle relazioni di potere.

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Radici del neoistituzionalismo sociologico

• Nuova sociologia economica


 Concetto di embeddedness

• Critica al neoistituzionalismo economico


 Organizzazioni come somma di azioni razionali

• «Vecchio» istituzionalismo (Selznick 1949)


 Organizzazioni come organismi sociali non unitari

• Etnometodologia (Harold Garfinkel 1967)


 Esperimenti di rottura e mappe cognitive. Si evidenzia che esistono tutte una serie di azioni
alternative possibili, però noi molto spesso non le prendiamo in considerazione perché non fanno
parte d quello che noi abbiamo imparato come “appropriato”, anzi rimaniamo scioccate

«Il neoistituzionalismo [sociologico] assume come punto di partenza la sorprendente omogeneità di


procedure e di accordi che si osserva nel mondo del lavoro, nelle scuole, negli stati e nelle grandi imprese
[…].
La caratteristica costante e ripetitiva di gran parte della vita organizzata si può spiegare non solo in
riferimento ad attori individuali che tendono alla massimizzazione, ma anche e soprattutto in un’ottica che
colga la persistenza delle pratiche sia nella loro caratteristica di essere date per scontate, sia nella loro
capacità di riprodursi in strutture che in qualche misura si autosostengono».
[Powell e DiMaggio 1991]

Il neoistituzionalismo sociologico utilizza questo concetto delle regole unitarie lo trasla dai singolo individui
al funzionamento delle istituzioni. Nel fare questo abbandona l’idea del neoistituzionalismo economico per
cui la forma assunta dalle imprese sia l’esito di un processo di valutazione razionale. Quello che fa il
neoistituzionalismo sociologico è di interpretare la forma delle istituzioni come l’esito di una serie di
processi che hanno a che fare principalmente con l’applicazione di regole routinarie (che in sé possono
anche essere poco razionali), ma che lo diventano nella loro applicazione. Le istituiti tendono ad avere una
certa inerzia, faticano a cambiare. Il cambiamento è tanto più difficile tanto più una certa procedura viene
fatta fra pari. Es. se tutti preparano un esame in un modo tutti saranno intenzionati a preparalo nello stesso
modo - stessa cosa succede con le istituzioni.

Istituzioni e regole

Per capire come mai le istituzione, ma anche gli individui, tendono ad agire in modo simile ed ad
assomigliarsi secondo il neoistituaizoanlismo sociologico dobbiamo introdurre una distinzione tra le diverse
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regole che gli attori normalmente seguono. Il neo-isitituzionalismo sociologico rifacendosi a altre tradizioni
di ricerca e di analisi individua tre tipi di regole:

• Regole regolative (sanzioni): sistema di incentivi costruiti intenzionalmente per normare pratiche
già esistenti. le regole come normalmente le intendiamo, un sistema di incentivi postivi e negativi
(sanzioni). Questo sistema di incentivi orienta il nostro comportamento e orienta il comportamento
delle istituzioni.
 Precetti religiosi, leggi statali

• Regole costitutive (schemi cognitivi): modelli interpretativi e repertori di azione condivisi che
definiscono la logica della situazione e il ruolo di ogni attore. regole che di fatto costituiscono una
pratica che prima non esisteva. Es. regole dei giochi; esiste perché molte persone lo praticano,
senza quelle regole il gioco non esisterebbe o sarebbe diverso. Queste regole definiscono i confini
di senso di un oggetto sociale. Se rimaniamo dentro questi confini il gioco ha un senso condiviso per
tutti. Se usciamo da questi confini il gioco perde di senso
 Regole dei giochi

• Regole normative (obblighi morali): norme sociali, valori e concezioni relativi a ciò che è
appropriato in una data situazione. Non hanno bisogno di sanzioni esterne per essere rispettate, la
loro stessa esistenza fa si che ci sia una pressione sugli individui, perché infrangere le regole
normative può avere sanzioni sociali forti.
 Logica dell’appropriatezza

Es. calcio Regole costitutive => numero giocatori, minuti, tempi… regole che definiscono che cos’è il calcio
Regole regolative => sono le regole che fa rispettare l’arbitro Regole normative => FairPlay => es. buttare
fuori la palla se un giocatore si infortuna, se non lo faccio nessuno può dirmi nulla formalmente, ma se non
lo faccio avrò sanzioni sociali

Il campo organizzativo

Dal punto dei neoistituzionalista per capire al pieno le istituzioni dobbiamo considerare non solo le regole
costitutive e regolative, ma anche le regole normative che fanno si che ciascun soggetto orienti il proprio
comportamento.
Qual è il perimetro entro il quale si stabiliscono le norme sociali?
Per rispondere a questa domanda [Powell e DiMaggio] introducono il concetto di campo organizzativo che
è una porzione di spazio istituzionale costituito da organizzazioni (ma possono esserci attori di altro tipo)
che si riconosco in modo reciproco

Qual è il perimetro entro il quale si stabiliscono le norme sociali?

«Un campo organizzativo è un insieme di organizzazioni che, considerate complessivamente, costituiscono


un’area riconosciuta di vita istituzionale: fornitori chiave, consumatori di risorse e prodotti, agenzie di
controllo e altre organizzazioni che producono prodotti o servizi simili» [Powell e DiMaggio 1991].

Implicazioni del concetto di campo organizzativo:

• L’analisi di un cambiamento organizzativo è l’analisi del ruolo svolto da tutti gli attori del campo in
cui il cambiamento avviene

• L’analisi di un cambiamento organizzativo comporta la ricostruzione dell’intera porzione di società


in cui il cambiamento avviene

• Si attenua la distinzione tra organizzazioni che subiscono pressioni e altre che le esercitano

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L’isomorfismo istituzionale

Isomorfismo istituzionale: omogeneità di assetti organizzativi e modelli di comportamento all’interno di


uno stesso campo organizzativo

Secondo il neoistituzioanlismo le associazioni tendono ad assomigliarsi e ad adottare un comportamento


simile tra loro. Questa somiglianza viene definita isomorfismo istituzionale: che molto semplicemente vuol
dire che le istituzioni, intese in senso ampio, all’interno di un certo campo organizzativo tendono a
comportarsi nello stesso modo (isomorfo = stessa forma). Da cosa dipende l’isomorfismo istituzionale? Il
neoistituzionalismo economico ci direbbe che dipende dal fatto che sono state selezionate solo le istruzioni
più efficienti. Le altre hanno perso questa competizione e hanno smesso di esistere. Quello sociologico:

• Isomorfismo coercitivo: vincoli cogenti determinati da regolazione pubblica o altre pressioni


esterne (costrizione) le istituzioni si assomigliano perché devono sottostare alle stesse regole - es.
una serie di norme a livello nazionale, questo tende a livellare in qualche modo le diversità che si
potrebbero osservare introducendo una serie di elementi uguali

• Isomorfismo normativo: standard professionali di comportamento dotati di elevata legittimità


(convinzione) In modo più specifico non riguarda solo comportamenti o modelli sanzionatili
socialmente, ma riguarda la convinzione che le cose debbano essere fatto in un certo modo, che un
certo modello organizzativo sia più appropriato. Si tratta di condizioni che derivano da comunità
professionali che sono interne al campo organizzativo, che sono dotate di un’elevata legittimità e a
cui questo luogo di identificare i modelli più appropriati è riconosciuto dalle altre organizzazioni.
Alcuni neoistituzionalisti in relazione a queste convinzioni parlano di miti istituzionalizzati, sono
delle credenze che a un certo punto diventano dei veri e propri miti anche un po’ sganciati dalla
realtà, ma che che sono così potenti da fare si che gli attori coinvolti li facciano proprio ritenendo
che quello scelto sia proprio l’unico modo giusto di fare le cose. L’orientamento dei mercati
finanziari da parte delle imprese in anni recenti è stato influenzato dal fatto che una nuova
generazione di manager si sono formati su questi principi (rilevanza aspetto finanziario) all’interno
di alcune agenzie formative, che sono particolarmente riconosciute nel campo del mercato es.
università Bocconi.

• Isomorfismo mimetico: imitazione di modelli e comportamenti dotati di maggiore legittimità


all’interno del campo organizzativo (incertezza). situazioni dominate da una forte incertezza in cui è
necessario decidere quale modello di comportamento adottare, ma non si hanno elementi
sufficienti per determinare quale possa essere la scelta migliore. In questo caso le organizzazioni
tenderanno ad organizzarsi in modo mimetico (copiare quello che fa la maggioranza) per capire
come mai questo avviene facciamo un esempio sugli individui => immaginiamo che dobbiate
pepare un esame e ci siano modalità diverse per prepararlo. Bisogna scegliere quale modalità
adottare. I NEOISTITUZIONALISTI ci dicono che seguirete la maggioranza e coloro che ritenete più
titolati (compagni con media più alta).

«Le posizioni, le politiche, i programmi e le procedure delle organizzazioni moderne sono imposte in gran
parte dall’opinione pubblica, dal giudizio di importanti portatori di interessi nei confronti
dell’organizzazione, dalle conoscenze legittimate attraverso il sistema scolastico, dal prestigio sociale, dalle
leggi e dalle definizioni di negligenza e prudenza usate dai tribunali.
Questi elementi della struttura formale sono manifestazione di possenti regole istituzionali che fungono da
miti altamente razionalizzati, vincolanti per particolari organizzazioni».
[Meyer e Rowan 1977]

L’isomorfismo tutela dei rischi, ma comporta una serie di costi che rischia di frenare l’innovazione.

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