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POLITICA ECONOMICA

PARTE 1
CAP.1 “LA POLITICA ECONOMICA E IL CONFLITTO”
1.1 Che cos’è la politica economica
La politica economica è quella parte della scienza economica che studia una comunità, riguardo all’individuazione dei
fini, al modo di perseguire tali fini, e all’esito dell’eventuale intervento.

1.2 I fini di una comunità


Per comunità si intende un insieme di individui, ciascuno con le proprie preferenze e i propri obiettivi, eventualmente
in conflitto.

La teoria delle scelte collettive è una teoria che studia se e come sia possibile individuare obiettivi per una comunità, a
partire dalle preferenze degli individui che la costituiscono, e che relazioni esistano tra le preferenze individuali e
collettive. Chi ha l’onere di rappresentare un ente composto da più unità costituenti, però, non sempre riesce ad
aggregarne e rappresentarne in modo appropriato gli obiettivi. In alcune circostanze, può sorgere un conflitto tra gli
obiettivi individuali e l’obiettivo aggregato dell’ente collettivo.

Nella politica economica viene data ampia attenzione all’esistenza di conflitti e alla loro gestione; Vedremo, ad
esempio, conflitti fra obiettivi individuali e collettivi, obiettivi di politica economica, fra intervento e non-intervento…
La politica economica, pertanto, prima ancora di preoccuparsi di evitare che vengano selezionati obiettivi
contradditori, studia la gestione dei conflitti tra gli obiettivi che ci si è assegnati.

1.3 Il perseguimento dei fini


Individuati i fini, la politica economica esamina i possibili modi per perseguirli. Una prima valutazione va fatta in merito
alla necessità di intervento vs. non-intervento (fiducia o meno nelle capacità di “autorealizzazione” dei fini da parte
del sistema economico). La parte della politica economica che studia se sia possibile raggiungere i fini assegnati
riguarda la teoria della controllabilità, che studia le condizioni che devono essere soddisfatte affinché sia raggiungibile
il fine che l’ente collettivo si è posto data la struttura dell’economia.

La modalità con cui raggiungere certi fini è riassunta nella ricetta di politica economica, dove vengono annunciati sia
gli obiettivi che si intendono realizzare, sia gli strumenti da utilizzare. In numerose occasioni, le strade per raggiungere
un risultato possono essere molteplici e occorre quindi individuare un criterio utile per capire quale sia la strada
preferibile -> si deve risolvere un conflitto tra strumenti impiegabili.

1.4 Il risultato dell’azione della politica economica


A seguito dell’intervento di politica economica suggerito dalla “ricetta”, si conseguiranno alcuni risultati. Può tuttavia
succedere che si verifichino risultati diversi da quelli che si erano prospettati in principio. Bisogna dunque
comprendere le ragioni del conflitto tra obiettivi previsti e obiettivi realizzati. Per spiegare il conflitto tra obiettivi e
desiderati obiettivi realizzate si possono avanzare numerose ipotesi, tra cui l’inadeguatezza del set informativo relativo
all'effettiva situazione di partenza, la mancata realizzazione degli interventi pianificati, errori nella tempistica o nelle
dimensioni degli interventi, variazioni delle condizioni ambientali…La politica economica esamina queste possibili
evenienze.

1.5 I soggetti della politica economica


La realtà è costituita da una pluralità di soggetti e risulta quindi irriducibile in uno schema che ne dia una
rappresentazione totale. In ogni modello utilizzabile a fini di politica economica è necessario che figurino almeno due
categorie di soggetti:

- I privati, ossia gli individui che perseguono i propri obiettivi individuali (ad esempio, i consumatori, ma anche
le imprese); talvolta, ci si riferisce ai privati anche come ai cittadini.
- Le Autorità di politica economica (o policy-maker), soggetti ai quali spetta l’individuazione dei fini di politica
economica e delle ricette da attuare. La concezione dell’autorità di politica economica, differisce fortemente,
a seconda delle impostazioni teoriche seguite da diverse scuole:
1. Secondo la teoria tradizionale della politica economica -derivante anche dall’economia del benessere–
l’Autorità di politica economica – o policy-maker- è un’entità che non ha una propria personalità, ma è
semplicemente un aggregatore delle preferenze individuali. L’autorità si limita ad osservare le preferenze
degli individui, a stabilire un fine di politica economica e a decidere se e come intervenire per realizzarlo.
Nella visione tradizionale, il policy-marker, può essere visto come un unicum oppure come un insieme di
entità, inoltre può essere articolato:
A) A seconda delle competenze sui fini (esempio: il modello dei tre bureau di Musgrave, 1959):
Allocation bureau (l’ufficio che persegue obiettivi di efficienza microeconomica dei mercati),
Stabilization bureau (l’ufficio che persegue obietti di natura macroeconomica (ma ora si parla di
crescita)), Redistribution bureau (l’ufficio che si occupa degli interventi volti a realizzare la
redistribuzione del reddito.
B) Articolazioni territoriali: ci sono infatti policy-maker di livello nazionale di livello territoriale più
limitato (regionale, comunale, ecc.).
C) Articolazioni funzionali: in particolare si deve distinguere, sotto questo profilo, tra i politici (che
debbono individuare i fini e le eventuali azioni da intraprendere per raggiungerli) e i burocrati (che
debbono operativamente mettere in atto le misure individuate dai politici). Possono esistere conflitti
tra le aggregazioni operate ai diversi livelli).
2. Secondo la scuola delle “public choice”, i policy-maker non sono entità astratte, ma uomini in carne ed
ossa, che perseguono quindi obiettivi propri, che possono avere poco a che fare con gli obiettivi degli
individui che costituiscono la comunità. Secondo questa linea di pensiero è quindi fisiologico che vi siano
conflitti fra gli obiettivi perseguiti dai policy-maker e gli obiettivi degli individui che costituiscono la
comunità. Inoltre, ci sono relazioni di interdipendenza strategica fra: • Cittadini-cittadini, • Cittadini –
policy-makers, • policy-makers - policy-makers.

CAP.3 “I FONDAMENTI DELL’ECONOMIA DEL BENESSERE”


3.1 Che cos’è l’economia del benessere
L'economia del benessere (welfare-economics) è la branca della scienza economica che si occupa di fornire criteri per
valutare socialmente (e quindi ordinare) allocazioni alternative, studiando anche quali giudizi di valore ideologici siano
impliciti in ciascun possibile ordinamento sociale di allocazioni diverse. L’interazione tra i molteplici soggetti che
operano in un sistema economico può dar luogo a diverse configurazioni. La configurazione finale, a cui l’interagire
degli agenti (privati e pubblici) di luogo, dipende non solo dalle preferenze dei singoli, ma anche dalle risorse iniziali,
dalle regole a cui si uniforma il comportamento dei soggetti, nonché dalle scelte operate dalle autorità pubbliche. Nel
funzionamento di un sistema complesso quale una società, si presenta l’insorgere di diversi ordini di conflitto.

L’economia del benessere è composta da diverse linee di ricerca:

1 Vecchia economia del benessere: ha tentato di costruire funzioni di benessere sociale, cioè di utilità
collettiva, partendo dalle utilità degli individui che compongono la società.
2 Nuova economia del benessere: ha cercato di individuare una serie di criteri da richiedere alla funzione di
benessere sociale e ha poi studiato come può e deve essere fatta una funzione di benessere sociale per
rispondere a tali quesiti (impostazione assiomatica della funzione di benessere sociale ripresa
dall’impostazione assiomatica della teoria del consumo).
3 “Teoria delle votazioni”: la scelta sociale è da attribuire all’esito di votazioni.
4 Scuola delle “public choices”: i rappresentanti degli enti collettivi perseguono fini propri, che hanno poco a
che fare con gli obiettivi individuali.

3.2 Le impostazioni individualiste della vecchia economia del benessere


La paternità dell’economia del benessere è attribuita a Pigou (“Welfare Economics”, 1920), il quale propose il primo
criterio di valutazione (criterio individualista), richiamando una precedente formulazione dell’economista e filosofo
Bentham.

Il criterio individualista stabilisce che l’indicatore del benessere sociale, cioè il valore di una funzione di utilità
collettiva, deve dipendere dalle utilità dei componenti della collettività. Se gli individui 1, 2, ...i, …N di una collettività
conseguono utilità U₁, U₂, …Uᵢ, …UꞐ, allora la funzione di benessere sociale dipenderà dalle utilità di tutti questi
individui.

SW  f U 1 , U 2 ,..., U i ,...U N 

Bentham, già dalla metà dell’800, aveva suggerito che il benessere di una collettività fosse la somma del benessere dei
singoli individui. Funzione di benessere sociale di Bentham:

SW  i 1U i  U 1  U 2  ...  U N
N

Nel caso particolare di una società formata da due individui, la funzione del benessere sociale di Bentham può essere
scritta come SW= U₁ + U₂, ed è facile fornire una rappresentazione grafica: si può ricavare una mappa di curve,
ciascuna associata a un dato livello di benessere sociale -> linee di livello chiamate curve di isobenessere (curva che
contiene tutte le combinazioni di utilità dei due individui a cui è associato il medesimo benessere sociale.

Dal punto di vista di scelta sociale, è preferibile l’allocazione che giace sulla curva più elevata possibile di isobenessere
-> un progetto che modifica le allocazioni tra gli individui è da giudicarsi positivo per la collettività se genera un
incremento della somma delle utilità individuali, in modo che il nuovo SW risulti maggiore di quello precedente ->
utilità dell’individuo 1 risulta un perfetto sostituto dell’utilità dell’individuo 2.

Uno dei primi casi da prendere in considerazione può essere quello per cui i due (o più) individui non pesino allo
stesso modo nella costruzione dell’indice di benessere sociale (uno dei due individui pesi di più rispetto all’altro). Ciò
richiede l’inserimento di coefficienti di ponderazione differenti per ciascuna delle utilità individuali che concorrono al
benessere sociale.

dove le αᵢ rappresentano i “pesi”.

A uno dei due individui si attribuisce un peso maggiore nella costruzione dell’indice di benessere sociale. La scelta di
quale debba essere l'individuo, o la categoria di individui, le cui utilità riceverà un'importanza maggiore rispecchia
l'ideologia, ossia un particolare insieme di valori e credenze, di chi costruisce indicatore di benessere sociale.

Altrimenti, è possibile ritenere che il peso debba essere differente in ragione del criterio secondo cui meritano più
attenzione (cioè un peso maggiore) le esigenze delle persone che stanno “peggio”. Analiticamente, i livelli di utilità
sociale entrano nella funzione di benessere sociale secondo una funzione crescente concava (e non più lineare) ->
l’utilità dei diversi individui non sono perfette sostitute. Si ipotizza che la società sia disponibile ad accettare un
decremento dell’utilità di un individuo in favore dell’incremento dell’utilità di un altro individuo (a parità di benessere
sociale), ma non sia disposta a cambiare queste due variazioni a un rapporto costante. Un caso estremo dell’ipotesi
secondo cui meritano maggiore considerazione gli individui che stanno peggio corrisponde alla funzione di benessere
sociale di Rawls:

Tale funzione sta a significare che il livello dell’indicatore del benessere sociale coincide con il minimo valore delle U
dei singoli individui, cioè con il livello di utilità dell’individuo che sta peggio. Con la funzione di benessere sociale di
Rawls si ipotizza che la valutazione del benessere sociale debba essere fatta unicamente in riferimento alla persona
che sta peggio e che sia da giudicarsi positiva ogni ri-allocazione di risorse che migliora l’utilità di chi sta peggio.

Il caso concettualmente opposto è quello per cui si ipotizza che il benessere sociale debba coincidere con l’utilità
dell’individuo che sta meglio. Funzione del benessere sociale di Nietzche:

SW = max {U₁, U₂, …Uᵢ, …UN}


Massimizzare la funzione di benessere sociale alla Nietzche equivale a massimizzare l’utilità dell’individuo che sta
meglio.

L’impostazione utilitaristica, a prescindere da quale specifica forma funzionale si assuma per rappresentare la funzione
di benessere sociale, richiede che sia possibile misurare e confrontare l’utilità dei diversi individui appartenenti alla
collettività. Questa ipotesi è contestata da Pareto, secondo cui l’utilità non è una grandezza misurabile, e quindi
neppure confrontabile fra diversi individui.

RIASSUMENDO
Funzione di benessere sociale:
- Alla Bentham: la funzione di benessere sociale è la somma delle utilità degli individui.
- Alla Rawls: la funzione di benessere sociale è pari all’utilità dell’individuo che sta peggio.
- Alla Nietzche: la funzione di benessere sociale coincide con il livello di utilità dell’individuo che sta meglio.

3.3. Il criterio paretiano


Secondo il criterio paretiano, una configurazione X è preferibile a una configurazione Y, se tutti i soggetti nello stato X
stanno almeno non-peggio che nello stato Y e almeno un soggetto sta strettamente meglio (la preferenza stretta per
almeno un individuo). Il criterio, evidentemente, si basa sul concetto di ottimo paretiano: un'allocazione, infatti è un
ottimo paretiano (o è "Pareto-efficiente"), quando è impossibile trovare un'allocazione differente in cui almeno un
individuo stia strettamente meglio e ciascuno degli altri stiano almeno non peggio.

Il criterio paretiano richiede l’unanimità di valutazione: uno stato del mondo S1 sarà un ottimo paretiano rispetto a S2
(e quindi S1 sarà socialmente preferibile a S2, secondo il criterio di Pareto), quando tutti gli individui sono concordi
nell'affermare che preferiscono S1 a S2.

Una situazione Pareto-inefficiente (rispetto alla quale è possibile che tutti si trovino in situazione non peggiore e
almeno uno in situazione strettamente migliore) è da evitare, qualsiasi intervento pubblico volto a spostare
l’economia da situazioni Pareto-inefficienti a situazioni Pareto-efficienti.

Criterio paretiano:
- PRO: è molto semplice da capire e applicare.

- DIFETTI: conduce ad una soluzione chiara quando i confronti si presentano come ovvi, mentre è inconcludente nei
casi più frequenti ed interessanti.

La principale ragione per cui gli economisti sono interessati a valutare la Pareto-efficienza delle allocazioni è però
un'altra: esiste una corrispondenza tra gli equilibri concorrenziali e le allocazioni Pareto-efficienti.

RIASSUMENDO
Criterio paretiano di benessere sociale:
Un’allocazione sociale A è preferibile a un’altra allocazione B se, e soltanto se, tutti gli individui stanno almeno
altrettanto bene in A rispetto a B e almeno un individuo sta strettamente meglio in nell’allocazione A.
Cioè, affinché A sia socialmente preferibile a B, secondo il criterio paretiano, nessun individuo deve preferire B ad A e
almeno un individuo deve preferire A a B.

3.4 Il primo teorema fondamentale dell’economia del benessere


Nel 1951, Arrow e Debreu enunciarono il primo teorema fondamentale dell’economia del benessere secondo cui
ogni allocazione di equilibrio economico generale di perfetta concorrenza è un ottimo paretiano.

Un’allocazione di equilibrio economico generale è un insieme di prezzi e di quantità domandate e offerte che
soddisfano simultaneamente tutte le seguenti condizioni:

- Ogni consumatore, caratterizzato da una struttura di preferenze e da un insieme di determinate dotazioni,


fronteggia prezzi che assume come dati e domanda una quantità di beni tale da rendere massima la propria
utilità (nel rispetto del vincolo di bilancio).
- Ogni impresa produce beni utilizzando input secondo la tecnologia data, essa fronteggia prezzi che considera
dati, esprime la domanda di fattori produttivi e offre output in modo da massimizzare i propri profitti (nel
rispetto dei vincoli tecnologici).
- Sul mercato di ogni bene si realizza l’equilibrio (somma QD = somma QO)

A prescindere dai tre problemi dell’equilibrio economico generale (problema dell’esistenza dell’equilibrio economico
generale, problema della stabilità dell’equilibrio economico generale, problema dell’unicità), il primo teorema
fondamentale dell’economia del benessere assicura l’impossibilità di muoversi da un’allocazione ottima in senso
paretiano senza che almeno un individuo veda peggiorato il proprio risultato.

Ricordando che l’economia di libero mercato si basa sulla sovranità degli operatori economici (consumatori e
imprese), entrambi i soggetti protagonisti sul mercato possono massimizzare le proprie funzioni obiettivo e il
meccanismo di libero mercato, nel momento in cui produce un’allocazione di equilibrio, la produce efficiente.
Lettura politica del teorema: difesa del meccanismo di libero mercato, capace, sotto determinate condizioni, di
garantire il raggiungimento dell’efficienza paretiana. In condizioni di libera concorrenza non si dà alcun motivo di
intervento pubblico.

La validità di questo teorema è soggetta al verificarsi di precise condizioni:

1. Ciascun soggetto si comporta da price-taker (non può, con il proprio comportamento, modificare i prezzi) ->
escludiamo l’esistenza di mercati non concorrenziali;
2. L’utilità di ogni individuo deve dipendere unicamente dai livelli dei suoi consumi -> escludiamo che decisioni
di consumo (o produzione) di un individuo incidano sull’utilità di altri ed escludiamo esternalità che
darebbero luogo a situazioni di interdipendenza strategica;
3. Debbono essere chiaramente definiti i diritti di proprietà dei beni, quindi i beni esistenti debbono essere
privati -> escludiamo beni pubblici/quasi pubblici/misti,
4. Devono esistere mercati per tutti i beni esistenti (ciascun bene può essere scambiato) -> completezza dei
mercati;
5. L’informazione deve essere completa e simmetrica.
Quando non sono rispettate queste condizioni (in lettura economica, considerato un fallimento di mercato) non vale il
primo teorema dell’economia del benessere e quindi l’allocazione determinata dal libero mercato non è Pareto-
efficiente. In questi casi può essere necessario un intervento esterno.

Una seconda considerazione riguarda la relazione tra efficienza ed equità.


Assumiamo che siano soddisfatte le condizioni (1) e (4) e che quindi il libero
mercato generi un’allocazione Pareto-efficiente. Il fatto che l’allocazione sia
efficienze non significa che sia desiderabile. Dallo studio della scatola di
Edgeworth, è noto come un punto A descrive un’allocazione efficiente in
senso paretiano, ma poco convincente sotto il profilo dell’equità distributiva
(la maggior parte dei beni esistenti è posseduta dall' individuo 2, mentre
l'individuo 1 gode di un livello molto basso di utilità). La relazione tra equità
ed efficienza viene trattata nel secondo teorema fondamentale
dell’economia del benessere.

3.5 Il secondo teorema fondamentale dell’economia del benessere


Il secondo teorema fondamentale dell’economia del benessere afferma che ogni allocazione Pareto-efficiente – nella
quale si consumano e producono quantità positive di tutti i beni, e in presenza di preferenze e tecnologie ben
conformate – può essere raggiunta da un’economia di libero scambio, a patto di redistribuire appropriatamente le
dotazioni iniziali. La responsabilità dell’iniquità distributiva non è, dunque, imputabile al meccanismo istituzionale del
libero scambio, ma all’allocazione iniziale delle risorse. Per raggiungere qualsivoglia punto efficiente ed equo, non è
necessario rinunciare all’istituzione del libero scambio, ma è sufficiente procedere a una redistribuzione iniziale delle
risorse.

Il contenuto operativo di tale teorema è però “problematico”:

- Una volta individuato un punto efficiente ed equo dei beni, per poter procedere alla redistribuzione iniziale
appropriata delle risorse, bisognerebbe conoscere esattamente la struttura di preferenza di tutti i soggetti
(mappa delle curve di indifferenza di tutti i consumatori -> economia di puro scambio) e la mappa degli
isoquanti (nel caso di economia con produzione).
- non si vede perché tale redistribuzione non possa portare direttamente sull'allocazione finale, piuttosto che a
una differente distribuzione iniziale.

Tuttavia, l’interpretazione che viene data al secondo teorema è quella che riconosce l’efficienza e l’equità come due
obiettivi distinti: l’efficienza può essere raggiunta dall’economia di mercato senza bisogno di alcun intervento esogeno,
l’equità non può essere garantita dal libero scambio ma deve essere perseguita con interventi esogeni.

CAP.4 “L’INDIVIDUAZIONE DEGLI OBIETTIVI COLLETTIVI SECONDO LA “NUOVA” ECONOMIA DEL


BENESSERE”
4.1 Introduzione
Illustreremo tre differenti approcci allo studio dell’individuazione degli obiettivi collettivi.
Il primo impatto è noto come ‘nuova economia del benessere’ e prende le mosse dal programma di ricerca avviato da
Arrow, che propose di applicare alle scelte sociali l’impostazione assiomatica che Pareto aveva utilizzato, mezzo secolo
prima, per descrivere le scelte di un agente singolo (impostazione assiomatica delle scelte sociali) -> studia il processo
di individuazione dei fini di una collettività sulla base di assiomi ritenuti desiderabili e, in seguito, tenta di individuare le
regole di aggregazione delle preferenze individuali che soddisfino gli assiomi imposti.
La seconda impostazione della ‘teoria delle votazioni’ (individuazione dei fini della collettività basata sull’esito di
esplicite votazioni) studia le proprietà di differenti regole di votazione e le loro implicazioni sui risultati delle scelte
dell’ente collettivo.
Il terzo sistema della scuola delle ‘public choices’ sostiene che chi rappresenta una comunità persegue di fatto
obiettivi propri, spesso poco attinenti agli obiettivi individuali dei membri che costituiscono la comunità -> possibile
conflitto tra obiettivi individuali e obiettivi realmente perseguiti dagli organi del governo dell’ente collettivo.
4.2 La nuova economia del benessere
La nuova economia del benessere (aperta da Arrow) è un’impostazione che procede per via assiomatica; si
individuano assiomi che si ritengono auspicabili e si studia se una funzione di scelta sociale riesca a rispettare tutti gli
assiomi individuati. Indichiamo con i simboli: R -> la relazione “almeno tanto preferito socialmente quanto”, P -> la
relazione “strettamente preferito socialmente a”, I -> la relazione sociale di indifferenza. La relazione R, pertanto,
assomma in sé in due casi di indifferenza e di stretta preferenza e per questo viene talvolta denominata come
relazione sociale di preferenza debole, con questo indicando che esprime preferenza o indifferenza. Se scriviamo xRy
intendiamo dire che x è debolmente preferita a y dalla società (cioè x è migliore o indifferente rispetto a y).

La teoria delle scelte sociali di Arrow si basa sulla relazione R. Gli assiomi che Arrow ritiene opportuno richiedere alla
relazione sociale R sono:

- Dominio universale: la società deve esprimere un giudizio collettivo su ogni configurazione possibile.
- Completezza: Per ogni alternativa deve poter essere possibile un giudizio sociale, ovvero xRy o yRx o
entrambe, in quest’ultimo caso abbiamo indifferenza.
- Transitività: Se xRy e yRz. Allora xRz.
- Rispondenza al principio di Pareto: se xR(i)y per ogni individuo (i) allora xRy.
- Indipendenza dalle alternative irrilevanti: se le preferenze individuali di ogni individuo rimangono inalterate
circa opzioni appartenenti a un certo sottoinsieme, allora la preferenza sociale relativa al sottoinsieme deve
rimanere invariata.
- Non-dittatorialità: non deve esistere un solo individuo per cui, dato il suo ordinamento xR(i)y, allora debba
valere xRy a prescindere dagli altri ordinamenti individuali.

Arrow, nel noto teorema di impossibilità, dimostra che non esiste alcuna funzione di scelta sociale in grado di
soddisfare simultaneamente i sei assiomi sopra elencati. Il teorema stabilisce che è impossibile costruire una funzione
di scelta sociale aggregando le preferenze individuali in modo coerente e rispettoso; Statuisce un conflitto fra i principi
di razionalità e di coerenza, inglobati nei sei assiomi sopra elencati.

Se valgono i postulati (i)-(iv), cioè se la funzione di scelta sociale è completa, transitiva, rispondente al principio di
Pareto, allora necessariamente deve esistere un dittatore.

Il Conflitto tra principio della Pareto-rispondenza e principio di liberalismo di minima (noto anche come teorema di
impossibilità del liberale paretiano) è illustrato tramite il Paradosso di Lady Chatterley (vedi libro e slide).

Le scelte pubbliche - basate su una funzione di scelta sociale rispondente alle preferenze individuali - non possono non
esprimere l'ideologia di un dittatore. È allora importante essere consapevoli del fatto che ogni scelta sociale esprime
necessariamente un'ideologia.

4.3 La teoria delle votazioni: un cenno


Nella teoria delle votazioni si immagina che la scelta collettiva deve risultare da una votazione, nella quale ciascun
individuo è chiamato a esprimere la sua preferenza; il problema si traduce nell'individuare le regole (o criteri) per
stabilire la scelta sociale, sulla base del risultato della votazione. Regola dell’unanimità e regola della maggioranza.

4.3.1 L’unanimità
L’unanimità salvaguarda la libertà individuale: una scelta sarà attuata socialmente, infatti, solo nel caso in cui tutti si
trovino d'accordo. Una scelta è adottata se, e solo se, rappresenta un miglioramento paretiano. Viceversa, se la
collettività si trova già su una configurazione Pareto- efficiente non potrà più muoversi da tale condizione, perché ogni
movimento implica che almeno un individuo peggiorerà la propria situazione e quindi non voterà a favore di alcun
cambiamento, destinato quindi a rimanere inespresso: a tale proposito, si parla di dittatura dello status quo.
Le decisioni prese con la regola dell'unanimità e la procedura ordinaria (ossia la procedura in base alla quale le opzioni
vengono posti in votazione sequenzialmente) godono di tre proprietà:

- La dipendenza dal sentiero seguito (path dependence), ossia l'esito finale di un processo di scelta dipende
dall' ordine in cui sono esaminate le diverse opzioni;
- La tirannia dello status quo, ovvero una volta raggiunta un’allocazione Pareto-efficiente non è possibile
allontanarsene;
- La manipolabilità dell’esito sia da parte di chi decide l’ordine delle votazioni sia da parte dei votanti (che
possono votare in modo insincero).

Inoltre, l’unanimità come regola di decisione richiede di norma processi decisionali lunghi e spesso condanna
all’immobilità.

4.3.2 La maggioranza
Quando si adotta la regola della maggioranza, bisogna preventivamente stabilire il quorum di voti da raggiungere
affinché un’opzione sia approvata. Ovviamente, il quorum da richiedere affinché un’opzione sia socialmente
approvata non può essere inferiore al 50% dei voti validamente espressi. Nella scelta del quorum da richiedere
bisogna tenere conto di due opposte esigenze:

- Quanto più elevato è il quorum richiesto per l’approvazione di un’opzione, tanto più costosi saranno gli sforzi
richiesti per raggiungerlo;
- Quanto maggiore è il quorum, tanto minore sarà la disutilità legata ai casi di dissenso individuale.

Maggioranza assoluta: per l’approvazione di un’opzione è richiesto il raggiungimento di voti espressi del 50% + uno.
Maggioranza semplice: richiede di ottenere almeno un voto in più rispetto a tutte le altre opzioni messe in votazione.

ASPETTI POSITIVI ASPETTI NEGATIVI


- Teorema di May-> la regola della maggioranza rispetta - L’ordinamento di preferenza sociale non è transitivo.
i seguenti requisiti: dominio universale, anonimità (ogni - Se è consentito pronunciarsi solo sulla scelta adottata
individuo è trattato in modo simmetrico rispetto agli e le alternative sono più di due può risultare vincente la
altri), neutralità (invertendo le preferenze di ogni proposta ritenuta peggiore dal maggior numero di
individuo risulta invertita anche la preferenza sociale persone.
raggiunta con il voto a maggioranza), risposta positiva - Se gli ordinamenti individuali rispondono ad alcune
alle preferenze individuali. caratteristiche, allora risulterà decisiva la preferenza di
- La regola di maggioranza consente di minimizzare il uno specifico elettore.
valore della probabilità che la preferenza individuale sia
in dissenso con la decisione presa.

4.4 La scuola della political economy


La scuola delle public choices vede il governo come il prodotto dei gruppi di pressione a cui poi questi deve
rispondere. I gruppi di pressione influenzano le decisioni dei policy maker (soggetti astratti che istituzionalmente
rappresentano una comunità e ne perseguono i fini) non solo attraverso le elezioni, ma anche attraverso relazioni
personali, campagne di opinione, attività di vera e propria corruzione etc. Gli appartenenti alla scuola delle public
choices ritenevano che lo scopo della teoria della politica economica doveva essere solo quello di capire il reale
comportamento dei gruppi di pressione e dei governi, piuttosto che quello di elaborare una teoria della
rappresentanza degli obiettivi e dell’azione della politica economica, in palese conflitto con l’evidenza dei concreti
comportamenti attuati. Inoltre, sostenevano una posizione di “non-intervento”.

CAP.5 “GLI OBIETTIVI MICRO E MACROECONOMICI”


5.1 Introduzione
Nella realtà, l’azione concreta della politica economica cerca di perseguire simultaneamente tre finalità
(microeconomiche, redistributive e macroeconomiche), facendole anche interagire tra di loro. Quando vengono meno
le precondizioni dei teoremi fondamentali dell’economia del benessere, il meccanismo di mercato può generare
inefficienze. Definiremo con precisione cosa sia l’inefficienza e come la politica economica debba comportarsi in
merito all’obiettivo dell’efficienza allocativa (situazione nella quale, sul mercato, è massimizzata la somma del
benessere di tutti gli individui rilevanti), analizzando inoltre le caratteristiche delle finalità redistributive e conducendo
alcune considerazioni sugli obiettivi di natura sistematica (o macro-economia).
5.2 Il “fallimento” microeconomico del meccanismo di mercato
Il modello teorico dell'equilibrio economico generale si basa su cinque postulati (obiettivi di politica macroeconomica:
obiettivi sistematici che si può porre il policy maker). Il soddisfacimento di queste cinque condizioni è necessario e
sufficiente per poter concludere che valga il primo teorema fondamentale dell’economica del benessere, e cioè che
ogni allocazione di equilibrio generale sia efficiente in senso paretiano.

1- La prima condizione riguarda i prezzi, che devono essere percepiti da ogni operatore come dati: ogni
operatore non è in grado di modificare i prezzi prevalenti sui mercati -> situazione di assenza di potere di
mercato e le imprese e i consumatori sono price taker. (caso molto raro)
2- La seconda condizione prevede che l’utilità di ogni agente dipenda dalle variabili di scelta di quest’ultimo e
non dai comportamenti degli altri agenti (es. l’utilità dei singoli individui dipende solo da quanto loro stessi
consumano e non anche da quanto consumano gli altri). Nel mondo reale è molto raro che si verifichi tale
condizione, soprattutto a causa delle esternalità (situazione in cui l’operato di un agente si ripercuote
sull’esito conseguito da un altro agente) -> assenza di esternalità e interdipendenza strategica.
3- La terza condizione riguarda il diritto di proprietà. Vi sono beni sui quali il diritto di proprietà non è definito
(es. l’aria pulita), altri che sono consumabili da più persone contemporaneamente (es. i beni pubblici) ->
diritti di proprietà ben definiti.
4- Il quarto postulato richiede che esistano dei mercati per tutti i beni e quindi che ciascun bene possa essere
scambiato su un mercato. Ciò che richiede questo assunto è che esistano mercati non solo a pronti (per beni
esistenti), ma anche a termine (per beni che verranno prodotti in futuro) -> completezza dei mercati.
5- L’ultima condizione riguarda l’informazione che dovrebbe essere completa e distribuita uniformemente a
tutti gli operatori -> completezza e simmetria dell’informazione.

Se anche solo una di queste condizioni non è soddisfatta, viene a meno la validità del primo TFEB, pertanto non è
assicurato che il sistema di mercato conduca ad allocazioni Pareto-efficienti -> casi in cui si deve parlare di fallimento
microeconomico del mercato.

Il fallimento microeconomico del mercato implica che il meccanismo di mercato, lasciato a sé, produce esiti rispetto ai
quali tutti potrebbero stare meglio: quando non sono soddisfatti tutti i postulati alla base del modello teorico di
perfetta concorrenza, i singoli individui, lasciati liberi di agire secondo il principio della propria massima utilità,
mettono in atto comportamenti tali che generano allocazioni socialmente inefficienti. In tali situazioni, per garantire il
realizzarsi di un’allocazione efficiente, è necessario un intervento esterno al mercato -> la politica economica può
intervenire in quanto portatrice di efficienza paretiana. Il punto su cui si verifica un conflitto tra diverse concezioni
economiche è la valutazione circa l’effettiva capacità dell’azione di politica economica di condurre all’efficienza
paretiana: solo alcuni economisti giudicano essenziale e benefico l’intervento della politica economica, mentre altri
preferiscono sottolineare i possibili fallimenti dell’intervento pubblico.

5.3 La misura dell’efficienza su un mercato singolo


I due teoremi fondamentali dell’economia del benessere si riferiscono alle allocazioni di equilibrio economico
generale. Su qualsiasi mercato operano due categorie di soggetti: chi domanda i beni (C) e chi li offre (O). Per valutare
il benessere dell’intera società in un mercato contraddistinto da tali caratteristiche bisogna valutare il benessere di cui
godono entrambe queste categorie.

Per quel che riguarda il benessere dei consumatori, l’indicatore quantificabile di più largo utilizzo è il surplus netto dei
consumatori, che esprime una misura monetaria dell’utilità che i consumatori traggono dal pagare un bene a un
prezzo inferiore rispetto a quello che sarebbero stati disposti a pagare.

Per quanto attiene il calcolo benessere degli offerenti, si utilizzano principalmente due indicatori: il profitto d’impresa
e il surplus dei produttori. Nel caso del profitto d’impresa, si tratta di sommare i profitti conseguiti dalle imprese,
secondo la formula:

Qualunque sia la forma di mercato (sia che le imprese operino in concorrenza perfetta o in regimi non concorrenziali),
questo indicatore si rivela appropriato. Quando ci si trova in un contesto di perfetta concorrenza, nel quale è definita
la curva di mercato (ossia la curva che associa a ogni possibile livello del prezzo di un bene l’ammontare ottimale del
bene offerto dalle imprese), si può ricorrere al surplus dei produttori che, analogamente con il caso del consumo, fa
notare che vi saranno imprese che sarebbero state disposte a vendere il bene anche a prezzo più basso. La differenza
tra il prezzo prevalente sul mercato e il prezzo a cui un venditore sarebbe disposto a vendere il bene rappresenta una
misura monetaria dell’utilità netta (surplus) di questo venditore.

Per stimare il benessere sociale, che deve tener conto in maniera simultanea del benessere di offerenti e domandanti,
perciò, si può fare affidamento su due misure: la somma tra surplus dei consumatori e profitti delle imprese, SW₁, che
può essere utilizzata per qualsiasi regime di mercato; la somma del surplus dei consumatori e del surplus dei
produttori, SW₂, definibile solo in regime di perfetta concorrenza.

Definiamo “efficiente in senso allocativo” la configurazione di mercato che rende massimo il benessere sociale. Poiché
SW₁ e SW₂ differiscono fra loro per una costante (ossia la somma dei costi fissi delle imprese operanti), scegliere come
indicatore da massimizzare SW₁ o SW₂ è del tutto indifferente. L’efficienza allocativa rappresenta sicuramente un
obiettivo della politica economica.

Si dimostra che l’allocazione che rende massimo il benessere sociale su un dato mercato è quella in corrispondenza
della quale il prezzo del bene eguaglia il suo costo marginale di produzione; nel caso di un mercato di perfetta
concorrenza, questa condizione equivale all’eguaglianza tra prezzo di domanda e prezzo dell’offerta, ossia al punto di
equilibrio del mercato.

Es. Se il prezzo è superiore al costo marginale: conviene espandere la produzione, perché il vantaggio che trae il
consumatore (misurato nel prezzo che è disposto a pagare) è superiore al costo richiesto al produttore per generare
l’unità addizionale del bene (ossia il costo marginale).

Se il prezzo è inferiore al costo marginale: conviene contrarre la produzione, poiché la riduzione del beneficio per i
consumatori è più bassa del decremento di costo di cui gode chi produce il bene. L’unico punto in cui non si può
aumentare il beneficio della società è esattamente il punto in cui il prezzo eguaglia il costo marginale di produzione.

5.4 L’approccio di equilibrio generale e l’approccio di equilibrio parziale: il teorema del second-best di
Lipsey-Lancaster
Se valgono i teoremi fondamentali dell'economia del benessere, sul mercato di ogni bene è realizzata l'eguaglianza tra
costo marginale di produzione e prezzo del bene (p=c). La violazione di questa condizione implica che vi è inefficienza
allocativa e che l’allocazione del sistema economico nel suo complesso può non essere Pareto-efficiente. Tuttavia, non
è detto che quel sistema economico in cui è violata l’eguaglianza tra prezzo e costo marginale in un numero più
elevato di mercati sia più lontano dall’efficienza complessiva. Questo è, in sostanza, quanto afferma il Teorema del
secondo ottimo (second-best theorem) di Lipsey e Lancaster.

Teorema del secondo ottimo:


Si consideri il caso in cui il sistema economico non è in condizioni di Pareto-efficienza poiché non vale su tutti i
mercati l'uguaglianza tra prezzo del bene e suo costo marginale di produzione; in questa situazione, non è
necessariamente vero che il benessere sociale è una funzione crescente del numero dei mercati sui quali è
soddisfatta l'eguaglianza tra prezzo e costo marginale.
In altre parole, quando l'efficienza Paretiana non è garantita, il numero dei mercati che comunque mostrano efficienza
allocativa non è un buon indicatore del benessere sociale complessivo.

Non è vero che una situazione nella quale il prezzo diverge dal costo marginale in un solo mercato sia preferibile a una
situazione in cui tale divergenza ha luogo in un numero maggiore di mercati.

5.5 La correzione dell’esito di mercato per motivi di ideologia esterna


Abbiamo attribuito molta importanza al concetto di efficienza allocativa, perché il suo venir meno rappresenta
un’ovvia ragione a favore dell’intervento di politica economica. Tuttavia, il raggiungimento dell’efficienza allocativa
non è l'unica giustificazione dell’esistenza di politiche microeconomiche: il fallimento microeconomico del mercato
non è una condizione necessaria per motivare l'intervento pubblico dei policy maker in ambito microeconomico.

Nel mondo reale, l'intervento pubblico può avere una sua logica anche quando nel mercato si giunge a un esito che,
pur essendo efficiente in senso allocativo, è insoddisfacente per quanto attiene valutazioni aprioristiche (di ordine
ideologico). Ad esempio, se in un mercato l’equilibrio esiste, è stabile ed è unico, un intervento pubblico potrebbe
servire qualora il prezzo fosse giudicato troppo basso e quindi iniquo per alcune classi sociali, anche se la
configurazione fosse efficiente in senso allocativo. Il cuore della questione, dunque, è costruito intorno a un conflitto
tra valutazioni di efficienza economica e valutazioni di opportunità sociale politica (non è affatto detto che è un policy
maker privilegi il campo costruito costituito dalle motivazioni economiche).

L’obiettivo del policy-maker è quello di determinare un prezzo di equilibrio maggiore tramite i seguenti strumenti:

1- Pavimenti al prezzo (una norma amministrativa che fissa un livello minimo per il prezzo);
2- Interventi diretti sulle quantità, quali ad esempio l'imposizione di un limite massimo alla quantità offerta
(con la corrispondente individuazione di quote di produzione per ciascuna delle imprese presenti sul
mercato) oppure l'imposizione di un limite minimo alla quantità da consumare;
3- Interventi indiretti sulle quantità, come ad esempio un sostegno della domanda tramite campagne
pubblicitarie;
4- Interventi indiretti sulle quantità domandate o offerte, tramite la revisione delle imposte (in concreto, un
abbassamento dell'imposta o la concessione di un sussidio, da prevedere a favore dei produttori o dei
consumatori).

A tutti questi interventi di politica economica, però, è legato un costo e occorre quindi valutare se quest'ultimo sia
maggiore o minore del beneficio apportato (beneficio misurato dall’indicatore SW). La scelta tra uno strumento di
politica economica di intervento diretto (sulle quantità) e uno indiretto (come può essere la correzione dei prezzi che
porta gli agenti a modificare le loro decisioni sulle quantità) chiama in gioco valutazione riguardanti l'efficacia (cioè la
possibilità di raggiungere il risultato) e anche l'efficienza (cioè il rapporto tra il beneficio conseguito il costo
comportato).

Teorema di Poole e Weitzman:


In condizioni di certezza, l'intervento diretto tramite un vincolo sulle quantità conduce allo stesso risultato
dell’intervento indiretto tramite un’imposizione sui prezzi. Circa l'efficienza, invece, non è possibile stabilire una
volta per tutte quale tipo di intervento sia maggiormente conveniente.

5.6 L’efficienza statica e l’efficienza dinamica


L’efficienza dinamica non è univoca:

- Efficienza economica in senso paretiano: Estensione del concetto di efficienza paretiana al caso in cui si
considerino generazioni di agenti che si susseguono nel tempo -> un’allocazione è definita efficiente in senso
dinamico se non è possibile migliorare il benessere di una generazione, senza al contempo peggiorare il
benessere di almeno una delle generazioni, presenti o future.
- Una seconda accezione di efficienza dinamica consiste nel definire efficiente in senso dinamico una
configurazione che massimizza il tasso di crescita di una variabile ritenuta rilevante (es. Tasso di crescita della
produzione, il tasso di crescita dell’indicatore di benessere sociale).

5.7 La redistribuzione delle risorse


Anche se i due teoremi fondamentali dell’economia del benessere stabiliscono una sorta di separazione tra efficienza
ed equità (il mercato assicura l’efficienza; l’intervento pubblico deve realizzare l’equità), è verosimile che tra le due
categorie concettuali esistano dei legami.

Vi è chi sostiene che vi sia un conflitto (trade-off negativo) tra efficienza ed equità: le allocazioni eque non
potrebbero essere efficienti, poiché:

(i) La redistribuzione necessaria per raggiungerle è costosa e quindi sottrae risorse disponibili;
(ii) La redistribuzione penalizza proprio chi è maggiormente capace di generare nuove ricchezze e quindi, la
società nel suo complesso sarebbe più povera dopo avere messo in atto politiche di ridistribuzione,
rispetto a come sarebbe senza la ridistribuzione.

Al contrario vi è chi ritiene che efficienza ed equità siano complementari: non vi può essere speranza, nei fatti, di
raggiungere una configurazione efficiente se non è garantito un minimo di equità -> L'equità stessa è configurabile
come una condizione per realizzare nei fatti l'efficienza; senza equità, gli operatori esclusi non sono motivati a
partecipare a scambi Pareto-efficienti che pure sarebbero vantaggiosi per loro.

A seconda della prospettiva che si adotta, si parlerà di:

- distribuzione personale del reddito: si valuta come il reddito è distribuito tra le unità che compongono una
comunità;
- distribuzione funzionale del reddito: si valuta come la produzione viene ripartita fra i fattori produttivi o le
classi sociali;
- distribuzione geografica (o regionale) del reddito: si valuta come il reddito si suddivide fra le aree geografiche
che compongono una comunità;
- distribuzione settoriale del reddito: si esamina la suddivisione del reddito fra i diversi settori che
compongono l'economia.

Le politiche che perseguono la redistribuzione delle risorse - politiche redistributive - si configurano come una
categoria di politiche a sé stanti, che comprendano sia aspetti tipicamente microeconomici si aspetti più propriamente
macroeconomici.

5.8 Gli obiettivi macroeconomici e le loro relazioni con gli interventi microeconomici
Il fondamento dell’azione della politica macroeconomia è che anche in ambito macroeconomico possono verificarsi
fallimenti del sistema di mercato, ossia situazioni nelle quali il libero agire dei soggetti determina configurazioni che
possono essere giudicate inefficienti. In questo caso, vi è spazio per un’azione della politica economica che permette di
raggiungere situazioni Pareto-efficienti altrimenti irrealizzabili.

Gli obiettivi di efficienza perseguiti in ambito macroeconomico sono:

1. Perseguire il reddito di pieno impiego delle risorse produttive. Se vi fossero fattori produttivi disponibili e non
impiegati, l'economia non si troverebbe sulla frontiera delle possibilità produttive e quindi non si
configurerebbe una situazione Pareto-inefficiente.
2. Perseguire una situazione in cui l'aumento dei prezzi è pari a zero, o almeno limitato (inflazione nulla o
limitata). L’inflazione comporta un costo per il sistema economico: un basso tasso di inflazione sembra essere
una condizione necessaria (anche se non sufficiente) per avere una buona performance di crescita.
3. Perseguire l'equilibrio nei conti con l'estero: avere una bilancia dei pagamenti in pareggio. Se la bilancia è in
deficit significa che l'economia sta consumando più di quanto produce, cioè sta vivendo secondo standard
che non si può permettere. Se invece la bilancia dei pagamenti è in surplus, allora l'economia consuma meno
delle sue potenzialità, e affluiscono risorse dall'estero. Eccesso di offerta di moneta -> Inflazione, Eccesso di
domanda di moneta -> apprezzamento della moneta nei confronti delle valute straniere.
4. Perseguire una crescita economica col massimo tasso possibile, compatibilmente col fatto che la crescita
stessa sia sostenibile nel tempo.
5. La stabilizzazione del debito pubblico in rapporto al PIL. Trasferimento intergenerazionale di risorse e di
distorsioni dovute alle imposte.

Obiettivi microeconomici: Obiettivi che l'autorità di politica economica si pone in ambito allocativo; tipicamente,
massimizzazione del benessere sociale su un dato mercato.
CAP.2 “LA TEORIA NORMATIVA DELLA POLITICA ECONOMICA”
2.1 L’uso dei modelli in economia
L’economia politica non è una scienza in senso stretto, tuttavia cerca di seguire un metodo scientifico. Seguire un
metodo scientifico significa avviare l'investigazione economica dall'osservazione di fenomeni reali, concentrarsi su
accadimenti regolari, tentare di focalizzarsi su fatti stilizzati, che andranno spiegati secondo un modello la cui
attendibilità verrà valutata tramite il controllo dell’affidabilità delle previsioni fornite.

Un modello è una rappresentazione semplificata della realtà; ne può essere data una lettura di tipo:

- Positivo se l'obiettivo è avere una descrizione delle relazioni che intercorrono nella realtà.
- Normativo se l'obiettivo è quello di sapere che cosa è possibile fare, al fine di ottenere un risultato.

2.2 Le caratteristiche di un modello

2.2.1 Le relazioni
Le relazioni che intercorrono tra gli elementi del modello possono essere illustrate in modo discorsivo o facendo
ricorso a delle equazioni. Gli elementi di interesse sono in genere rappresentati da variabili, ossia da grandezze,
possibilmente osservabili e misurabili. Possiamo distinguere quattro categorie di relazioni:

- Relazioni tecniche -> comprende tipi di equazioni che descrivono la tecnologia o le preferenze degli individui
(funzioni di produzione, funzione di utilità);
- Relazioni comportamentali -> descrivono il comportamento degli individui (funzioni di domanda, offerta di
mercato);
- Relazioni di equilibrio -> come l’imposizione dell’eguaglianza tra quantità domandata e quantità offerta
(equilibrio di mercato singolo, equilibrio macroeconomico);
- Relazioni di definizione -> servono per definire una grandezza (domanda aggregata);
- Relazioni definitorie “istituzionali” (sottogruppo di quelle prima) -> equazioni definitorie relative a grandezze
istituzionali (bilancio dello stato, bilancia commerciale);

2.2.2 Le variabili esogene e le variabili endogene


In ogni modello figurano di norma sia variabili endogene (variabili il cui valore viene spiegato dall’interno del
modello), sia variabili esogene (variabili il cui valore viene assunto come dato e non viene spiegato all’interno del
modello). La natura delle variabili dipende dalla lettura che viene data di un modello: ciò che è endogeno in una
lettura positiva del modello, diventa esogeno in una lettura normativa dello stesso modello.

I motivi che portano a prendere in considerazione variabili esogene sono diversi:

- Fenomeni rilevanti non-economici -> un modello economico non spiega e assume come date (esogene), es. le
condizioni atmosferiche;
- Variabili predeterminate -> es. valori passati delle variabili;
- Esigenza di concentrarsi su uno specifico aspetto -> arrivati a un certo grado di sviluppo del modello non si
può fare altrimenti se non riconoscere che alcune variabili debbono essere trattate come provenienti
dall’esterno

La distinzione tra variabile endogena e variabile esogena non è fissata una volta per tutte: ciò che è endogeno in un
modello, può essere esogeno in un altro modello. Inoltre, la politica economica - essendo interessata a proposizioni
normative piuttosto che positive - sistematicamente tratta come esogeno ciò che una lettura positiva del modello
interpreta come endogeno, e viceversa.

2.2.3 La forma strutturale e la forma ridotta del modello


La forma strutturale di un modello è data dall’insieme delle equazioni che lo compongono e che esprimono le
relazioni che intercorrono tra tutte le variabili considerate. In un’equazione del modello scritto in forma strutturale
compaiono sia variabili endogene sia variabili esogene.
Il modello è in forma ridotta quando viene riscritto in modo che ciascuna variabile endogena risulti funzione soltanto
di variabili esogene. Il modello sarà quindi costituito da un numero di equazioni pari al numero di variabili endogene.

2.3 Gli obiettivi e gli strumenti


La teoria della politica economica vuole individuare, tra le variabili, obiettivi e strumenti. Per “obiettivo di politica
economica” si intende un traguardo o un fine dell’azione dell’autorità di politica economica. Variabili obiettivo della
politica economica -> variabili alle quali il policy maker attribuisce valori obiettivo che intende realizzare.

L’obiettivo dell’azione di politica economica può essere:

- Fisso -> quando l’autorità di politica economica mira a raggiungere un valore puntuale di una certa variabile.
- Flessibile -> quando l’autorità di politica economica mira a raggiungere il massimo o il minimo valore possibile
di una funzione (ci si pone un problema di massimizzazione o di minimizzazione).

Gli obiettivi, sia fissi che flessibili, si devono confrontare con la struttura dell’economia, descritta da un modello.

Per “strumento di politica economica” intendiamo una variabile che viene usata dal policy maker come leva per
raggiungere un fine. Requisiti che deve avere una variabile strumento di politica economica:

- Controllabilità -> deve essere controllabile dall’autorità di politica economica;


- Impermeabilità dal contesto -> deve essere sufficientemente isolata dall’influsso di elementi fuori dal
controllo dell’autorità;
- Efficacia -> deve essere efficacie sugli obiettivi che l’autorità si pone (osservare che sensibilità o elasticità sia
diversa da zero)

2.4 Gli obiettivi fissi nel modello formale di economia politica


L’autorità di politica economica può porsi, nel caso di obiettivi fissi, fino a un massimo di m obiettivi, uno per ogni
variabile endogena. Indichiamo con (Y1*, Y2*,…, Ym1*) i valori che l'autorità si pone come obiettivi e vediamo di
stabilire se e come essi possano essere raggiunti.

Variabili Y I valori sono esogeni

Dipendono dalle variabili X L’autorità di politica economica cerca di stabilire quali valori debbano
j assumere le x per poter aggiungere i valori Y*

La politica economica trasforma in esogene variabili che nel modello positivo sono endogene e in endogene variabili
che nel modello positivo sono esogene.

In termini di rappresentazione algebrica, se abbiamo come fine quello di raggiungere determinati valori per un
numero m₁ di variabili obiettivo e utilizziamo un numero n₁ di strumenti, dovremmo risolvere un sistema di m₁
equazioni in n₁ incognite. 3 Possibili casi di risoluzione:

- m₁ = n₁: sistema determinato e controllabile (esiste una e una sola soluzione) -> numero di strumenti
esattamente pari al numero degli obiettivi -> dal pov della politica economica avremo da assegnare a ogni
variabile utilizzata come strumento uno e un solo valore puntuale, coerente con il raggiungimento dei valori
puntuali che costituiscono gli obiettivi delle y;
- m₁ < n₁: sistema sottodeterminato con infinite soluzioni -> ridondanza di strumenti -> dal pov della politica
economica saremo in presenza di più strumenti che obiettivi, quindi si avranno più gradi di libertà per
scegliere quale strada percorrere tra le infinite che consentono di raggiungere gli obiettivi fissati;
- m₁ > n₁: sistema non risolvibile, ci sono più equazioni che variabili -> dal pov della politica economica ci si
trova in una situazione in cui vi sono più obiettivi che strumenti -> modello di politica economica non è
controllabile -> gli obiettivi non sono tutti raggiungibili.

Tre linee di condotta:

- Lasciare perdere alcuni obiettivi;


- Cercare di costruire o inventare nuovi strumenti;
- Abbandonare gli obiettivi fissi e perseguirne uno flessibile.
Teorema di Tinbergen (La regola aurea della politica economica):
Dato un modello di politica economica con obiettivi fissi, condizione necessaria affinché esso sia
controllabile è che IL NUMERO DI STRUMENTI SIA ALMENO PARI AL NUMERO DI OBIETTIVI.

2.5 L’obiettivo flessibile

2.6 La critica di Lucas


L’idea che la possibilità, per la politica economica, di raggiungere i suoi obiettivi possa essere valutata guardando alla
risolvibilità di un sistema di equazioni matematiche è stata radicalmente contestata da Lucas. La critica di Lucas (1976)
si riallaccia alla visione secondo cui gli individui utilizzano tutte le informazioni a loro disposizione e le elaborano in
modo razionale al fine di decidere quale sia il comportamento ottimale da intraprendere. Secondo Lucas, nel
momento stesso nel quale un'azione di politica economica viene messa in atto, muta il quadro nel quale gli individui
privati si muovono, e - di conseguenza - possono mutare i criteri comportamentali degli individui.

La Critica di Lucas sostiene che nel momento in cui cambia l'imposizione (o qualsiasi altra variabile di politica
economica), si modifica la regola comportamentale che gli individui adottano nel prendere le loro decisioni, cioè
variano in parametri di comportamento o le forme funzionali che descrivono i comportamenti. Se il policy maker
prende la propria decisione sulla base dei valori stimati dei parametri comportamentali, compie un errore logico, per
via del fatto che i valori effettivi di parametri cambieranno, proprio a seguito dell'azione di politica economica.

Pertanto, secondo la critica di Lucas, la politica economica ha sì effetto sulle variabili economiche, ma in un modo che
non può essere previsto sulla base dei comportamenti osservati nel passato. Di conseguenza, la conclusione cui
perviene Lucas è che sia meglio, per l'autorità di politica economica, astenersi da interventi attivi, proprio perché
l'esito del loro intervento è sempre imprevedibile.

Alla base, gli agenti privati e le autorità di politica economica sono legati da interdipendenza strategica: il
comportamento ottimale degli uni dipende dal comportamento degli altri, e non può essere descritto con relazioni
funzionali in cui i parametri comportamentali di un agente restano invariati rispetto ai comportamenti degli altri. A
seguito della critica di Luca, la teoria della politica economica ha iniziato a fare ampio ricorso a strumenti di analisi
derivati dalla teoria dei giochi. Questa nuova impostazione e talvolta indicata come “nuova teoria della politica
economica”.

FINE PARTE 1

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