Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Punteggio max 33, non serve 18 nel parziale per accedere al completamento. Il parziale da due punti
bonus. (Argomento nuovo MERITO, non c’è nelle lezioni registrate- trattato in un convegno
organizzato in classe il 5 maggio)
Lez intro
Approfondimenti dell’organizzazione della politica economica, cioè il ruolo dello stato nell’economia.
Storicamente l’economia viene interpretata come un sistema astratto, con un ciclo naturale. Con
questo ciclo lo stato ha un ruolo di interferenza / cooperazione.
Il modo in cui il governo politico regola il mercato contribuisce al suo funzionamento.
Lo stato sociale esiste perché da sola un’economia di mercato produce esiti subottimali.
Il tema del merito riguarda il fatto che gli economisti considerano come criterio di efficienza i
rendimenti monetari o produttive.
L’Economista Ramsey ha introdotto il concetto che ha più senso tassare i soggetti che non hanno
reazioni. Ci si chiede se tassando di più un reddito molto alto, possa avere delle conseguenze
negative sulla produttività di quel soggetto.
La seconda parte del corso si occupa di temi Macro, Sempre osservati da un punto di vista
individuale.
Parte 1
4.1. Relazioni Definitorie Istituzionali: (sottogruppo di quelle definitorie) riguardano i vincoli del
governo, sono equazioni definitorie relative a grandezze istituzionali
• BS = T- G (bilancio dello stato)
• BC = X – M (bilancia commerciale)
Equivalenza di Barrow-Ricardo: Se oggi il governo abbassa le tasse (cioè emette debito), il valore
attuale delle imposte non cambia . C’è una relazione tra il vincolo di bilancio del governo, quello delle
famiglie. Se oggi emetti debito, il governo dovrà aumentare le imposte in futuro. Allora il consumo
delle famiglie non risponde alla riduzione delle imposte, perché si aspettano un aumento delle
imposte futuro. In realtà un anziano oggi non si preoccupa di una riduzione delle tasse attuali, perché
l’aumento futuro non lo riguarderà.
La distribuzione esogena/endogena delle variabili dipende dall’obiettivo e dalla lettura del modello.
Ciò che in una lettura positiva (descrittiva) del modello è esogeno, può diventare endogeno in una
lettura prescrittiva del modello e viceversa.
Moltiplicatore fiscale: mi dice come risponde il prodotto ad una politica espansiva, mi definisce la
variazione percentuale di un prodotto per un certo periodo.
• Ridotta: quando viene riscritto in modo che ciascuna variabile endogena risulti funzione
soltanto di variabili esogene. Il modello sarà quindi costituito da un numero di equazioni pari al
numero di variabili endogene.
La forma ridotta è la soluzione del modello: Endogene:
y1, y2,…….ym
Esogene: x1, x2,……..xn
Forma ridotta
Y1=f1(x1,x2…….xn ) Y2=f2(x1,x2,….xn)
Ym=f(x1,x2…..xn)
Dato un modello in forma strutturale è sempre possibile scriverlo in forma ridotta, inoltre è sempre
possibile considerarne l’approssimazione lineare (espansione in serie di Taylor).
Y1 = a11 * x1 + a12* x2 + …… + a1n*xn
Y2 = a21 * x1 + a22* x2 + …… + a2n*xn
La teoria della politica economica vuole individuare, tra le variabili, obiettivi e strumenti.
Per obiettivo di politica economica si intende un traguardo o un fine dell’azione dell’autorità di
politica economica.
Variabili obiettivo della politica economica: variabili alle quali il policy maker attribuisce valori obiettivo
che intende realizzare. Se ho degli obbiettivi, gli strumenti che uso che realizzarli sono variabili
endogene, essi devono poter essere modificati e controllati secondo le necessità. Possiamo avere:
• Obiettivi fissi: traguardi numerici prefissati per ogni determinato obiettivo, quando l’autorità di
politica economica mira a raggiungere un valore puntuale di una certa variabile.
• Obiettivi flessibili: quando l’autorità di politica economica mira a raggiungere il massimo o il
minimo valore possibile di una funzione (ci si pone un problema di massimizzazione o di
minimizzazione). Strettamente connesso al meccanismo delle funzioni di utilità, funzione obiettivo
da rendere massima o minima.
Tipicamente la strategia di perseguire obiettivi fissi è impraticabile.
Se noi abbiamo degli obiettivi, gli strumenti diventano le variabili endogene del modello; quando mi
occupo di politica economica, partendo dal presupposto che i policy maker hanno degli obiettivi fissi,
le variabili endogene diventano esogene, so che devo raggiungere quell’obiettivo e quindi muovo gli
strumenti che diventano endogeni rispetto a quegli obiettivi; si ribalta l’approccio.
Questi tre casi possono essere condensati nel Teorema Di Timbergen: dato un modello di politica
economica con obiettivi fissi, condizione necessaria affinché esso sia controllabile è che il numero
di strumenti sia almeno pari al numero di obiettivi.
Quando il numero degli strumenti è troppo basso rispetto al numero degli obiettivi bisogna adottare
un approccio diverso, bisogna abbandonare l’idea degli obiettivi fissi in quanto non ci posso arrivare,
si passa ad obiettivi flessibili e si ha quindi più flessibilità nelle scelte.
OBBIETTIVI FLESSIBILI
La teoria di Ricardo dice che le famiglie ottimizzano le proprie scelte sulla base di un vincolo di
bilancio intertemporale ovvero alle famiglie, nelle relazioni con lo stato, interessa il valore attuale
delle imposte che devono pagare; se questo non varia, le famiglie non cambiano comportamento.
Ipotizzo di avere certi moltiplicatori fiscali (es. quando le imposte scendono, il prodotto aumenta
poiché aumenta la domanda di consumo)
Il policy maker con la propria funzione definisce i propri obiettivi di consumo e inflazione oppure
decide di ridurre le imposte e le alza domani oppure in futuro riduce le spese (per rispettare il
bilancio).
La critica di Lucas data la struttura dell’economia y=Ax, la matrice A dei parametri non è invariante
alle politiche economiche. Le politiche economiche fanno variare i parametri comportamentali, cioè
la struttura.
Es: la risposta della disoccupazione all’inflazione dipende dal fatto che questa sia attesa, o che sia
una sorpresa.
Es: gli effetti di una riduzione delle imposte potranno essere diversi se sono concepiti come
permanenti o temporanei. Lucas dice che pur ipotizzando la stessa riduzione delle imposte, la
risposta dei consumi sarà diversa poiché, data la premessa ricardiana, le minori imposte oggi
compensate da un aumento domani non modificano il vincolo di bilancio intertemporale delle famiglie
(la risposta dei consumi è 0).
Se però la riduzione delle imposte è compensata dalla premessa di una riduzione di spesa pubblica,
in futuro le famiglie saranno spinte a consumare di più.
Supponiamo che la struttura dell’economia sia stata ottenuta stimando il comportamento delle
famiglie in un periodo precedente e in tale periodo le variazioni delle imposte erano associabili a
variazioni permanenti della spesa (ogni volta che cambiano le imposte cambia il vincolo di bilancio
delle famiglie). Se il governo fa la stessa cosa la struttura economica non varia e rimane Y= A x X
Se invece il governo decide di abbassare le imposte ma domani le alza (si crea incertezza e le
famiglie non rischiano quindi non consumano, i comportamenti sono endogeni al contesto ovvero
alle scelte di politica economica) Y= A x X non funziona più.
Lucas ha avanzato questa critica negli anni 70 quando le banche centrali cercavano di controllare
l’inflazione ma avevano anche degli obiettivi di livello della disoccupazione o di decrescita della
produzione; in alcuni momenti promettevano di voler raggiungere un certo livello di disoccupazione
e allo stesso tempo di voler tenere basso il tasso di inflazione.
Questi annunci non impattavano sul comportamento degli attori, era come se il sistema non credesse
all’annuncio della politica monetaria, il motivo secondo Lucas era che le banche centrali avevano
anche un obiettivo di disoccupazione troppo ambizioso dato il contesto del sistema. Pertanto,
secondo la critica di Lucas, la politica economica ha sì effetto sulle variabili economiche, ma in un
modo che non può essere previsto sulla base dei comportamenti osservati nel passato. Di
conseguenza, la conclusione a cui perviene Lucas è che sia meglio, per l'autorità di politica
economica, astenersi da interventi attivi, proprio perché l'esito del loro intervento è sempre
imprevedibile.
Alla base, gli agenti privati e le autorità di politica economica sono legati da interdipendenza
strategica: il comportamento ottimale degli uni dipende dal comportamento degli altri, e non può
essere descritto con relazioni funzionali in cui i parametri comportamentali di un agente restano
invariati rispetto ai comportamenti degli altri. A seguito della critica di Lucas, la teoria della politica
economica ha iniziato a fare ampio ricorso a strumenti di analisi derivati dalla teoria dei giochi.
Questa nuova impostazione e talvolta indicata come “nuova teoria della politica economica”.
Visione liberale più estrema, nella società ho n individui, questi individui hanno delle funzioni di
preferenza, il benessere sociale è definito dall’aggregazione delle funzioni di preferenza individuali,
sommo le funzioni di utilità.
È facile fornire una rappresentazione grafica: si può ricavare una mappa di curve, ciascuna associata
a un dato livello di benessere sociale, linee di livello chiamate curve di isobenessere (curva che
contiene tutte le combinazioni di utilità dei due individui a cui è associato il medesimo benessere
sociale). Il tasso di sostituzione dei due livelli di utilità è costante e =1.
Lo stato non deve intervenire nelle relazioni tra gli individui purché queste relazioni non siano in
contrasto con un principio di efficienza collettiva.
Abbiamo bisogno di un intervento dello stato per tutto quello che fa funzionare i
mercati.
Ci sono delle allocazioni che spostano la retta di indifferenza in alto a destra,
queste aumentano il benessere però il policy maker è indifferente al fatto di
collocarsi su una funzione di indifferenza più alta.
Pigou propone poi una funzione di social welfare, benessere sociale, un po’ più
articolata e ammette la possibilità che nell’aggregazione delle preferenze ci siano
pesi diversi, questi pesi sono però indefiniti.
Questa funzione, nel caso di una società con due individui si riduce all'espressione:
Oppure: meritano più attenzione (cioè un peso maggiore) le esigenze di quelle persone che stanno
"peggio"
La variabile U cresce infinitamente nel tempo, se definisco il log di una variabile che cresce
indefinitamente nel tempo, so che il log cresce meno della variabile. La funzione è concava, il logU
aumenta meno di U.
Quindi se l’utilità individuale ha un certo tasso di crescita, l’utilità collettiva sulla base di quella
individuale cresce meno che proporzionalmente. Questo tipo di aggregazione privilegia gruppi
specifici.
CROSS SECTION: suddivisione in un certo punto nel tempo della società riguardo le posizioni
individuali, l’economia cresce nel tempo ma in ciascuna unità di tempo il livello del consumo
aggregato si distribuisce in consumo individuale.
Se considero l’utilità degli individui in un certo punto nel tempo, e uso il log dell’utilità individuale
come principio aggregatore, il peso delle utilità grandi si traduce in qualcosa di relativamente meno
grande se io prendo il logaritmo; schiaccio il contributo delle utilità grandi all’utilità collettiva rispetto
al contributo delle utilità piccole.
Secondo Bentham se io tolgo alla famiglia ricca per dare alla famiglia povera nella stessa misura,
dal punto di vista delle utilità collettive non cambia nulla, secondo il principio che non devo entrare
nelle scelte individuali.
Secondo Pigou invece (prendendo un criterio individualista), togliere a un ricco per dare ad un povero
nella stessa misura, è benefico dal punto di vista collettivo perché è ritenuto benefico limitare la
dispersione dell’utilità (che può essere vista come avversione alla diseguaglianza)
Curve di isobenessere con solo due individui, basate su una funzione di massimizzazione del
benessere sociale che incorpora una preferenza per la redistribuzione.
Lui si preoccupa di problemi redistribuivi, suggerisce una visione con un forte riferimento alle
esigenze di equità, si preoccupa in via esclusiva del benessere di chi sta peggio. ‘Noi siamo
indifferenti a tutte le allocazioni che non cambiano il benessere di chi sta peggio’. È un aspetto
normativo.
Nel grafico noi ci occupiamo solo di chi si posiziona nel punto A, (che ottiene minimo benessere), chi
si posiziona su B (maggiore benessere) non viene considerato, almeno fino a quando la posizione
di A migliora .
Redistribuiamo l’utilità finché possiamo, mi preoccupo di raggiungere un livello minimo o comunque
sostenibile di utilità per gli agenti più svantaggiati e poi lascio la società libera di produrre il massimo,
evolva e produca ricchezza come crede, sono indifferente. Dato il vincolo alla redistribuzione delle
risorse, attraverso le politiche economiche, io massimizzo il benessere di chi è svantaggiato
Se il sistema scolastico funziona male perché non ci sono abbastanza risorse, e non si vuole tassare
la popolazione, allora il capitale umano di una fascia della popolazione smette di crescere. Allora il
fatto di avere una concentrazione della ricchezza comporta una riduzione dell’efficienza e una
perdita di potenziale. C’è un trade off tra efficienza e equità.
Ci sono anche dei motivi per cui alcuni mercati non funzionano (salute e istruzione)
Questa ricerca fu aperta da Kennet Arrow. È una ricerca con dimostrazione matematica molto
complessa. Abbiamo un sistema di preferenze individuali che devono definire degli ordinamenti (A
preferito a B, B preferito a C…)
- Pi indica strettamente preferito a… quando avviene ‘A Pi Z’ significa che l’individuo i preferisce A
piuttosto che Z.
- Ii indica indifferenza. A Ii Z. ‘L’individuo i è indifferente a A piuttosto che Z’.
- Ri indica «almeno tanto preferito quanto», preferenza debole. Quando A Ri Z ‘A non è mai inferiore
a Z per i, quindi il soggetto può preferire A o essere indifferente’.
Sulla base delle preferenze individuali, definiamo una scala equivalente di preferenze sociali
(Preferenze sociali P, I, R).
La relazione R assomma in sé i due casi di indifferenza e di stretta preferenza (e per questo viene
talvolta denominata come relazione sociale di preferenza debole, con questo indicando che esprime
preferenza o indifferenza).
Differenza tra liberismo e liberalismo. In passato le due concezioni andavano di pari passo, in
temi moderni si sono separate.
Il liberalismo è una disciplina filosofica che prevede l’esistenza di una sfera di diritti individuali
preservati dall’ordinamento sociale, che interviene nella soluzione delle situazioni conflittuali
(Voltarie- la mia libertà finisce dove inizia la tua) servono dei limiti per capire cosa si può o non si
può fare. In sfera economica significa preservare la libertà di azione individuale, nell’ambito di questo
principio. Così ci opponiamo all’abuso di una posizione dominante (es contro il monopolio, a volte
però il monopolio è naturale)
Il liberismo nasce come applicazione dell’approccio di libertà individuale in ambito economico. Cioè
una situazione in cui permettiamo la liberazione dell’impresa. Se ipotizziamo che i mercati siano
perfettamente concorrenziali, il liberismo impedisce le deviazioni della concorrenza perfetta.
Significa anche non imporre alle persone un tasso di risparmio.
La situazione è diventata controversa quando ci siamo accorti che liberalizzare alcuni mercati precari
determina degli esiti distorsivi.
Es: l’università prima era totalmente gratuita però molti studenti non sceglievano un indirizzo che
massimizzava la loro utilità e quella della società. Allora hanno introdotto delle tasse, affinché gli
studenti fossero portati a scegliere il corso socialmente più efficiente e li incentiva a finire gli studi in
tempo. Successivamente lo stato ha introdotto dei prestiti per gli studenti che non possono
permettersi la retta. Questa inversione ha prodotto grossi rischi finanziari.
Es: violazione del principio liberale attraverso le scritte e le tasse per disincentivare l’uso di tabacco,
perché in realtà i consumatori di tabacco sono soggetti a una dipendenza
Teoria delle votazioni
La scelta collettiva deve risultare da una votazione, nella quale ciascun individuo è chiamato a
esprimere la sua preferenza; il problema si traduce nell'individuare le regole (o criteri) per stabilire la
scelta sociale, sulla base del risultato della votazione.
Sono infatti possibili diverse regole.
- L'unanimità: non c’è conflitto, ma se si richiedere l’unanimità può accadere di non trovare
soluzioni.
- La maggioranza, che può essere richiesta in diversi tipi, con diversi quorum. Aumentare il quorum
serve a tutelare i diritti delle minoranze, ma più si alza il quorum, più diventa difficile trovare una
situazione.
• Quando accade che anche soltanto una di queste cinque condizioni non sia soddisfatta (cioè, nel
mondo reale, sempre) -> fallimento microeconomico del mercato.
• In altre parole, il mercato, lasciato a sé stante, produce esiti rispetto ai quali tutti potrebbero stare
meglio.
L’intervento della politica economica, in quanto azione portatrice di efficienza paretiana
Quando non sono soddisfatti tutti i postulati alla base del modello teorico di perfetta concorrenza, i
singoli individui, lasciati liberi di agire secondo il principio della propria massima utilità, mettono in
atto comportamenti tali che di norma generano allocazioni inefficienti.
In questo caso, è richiesto un intervento esterno al mercato, per garantire il realizzarsi di
un’allocazione efficiente.
La misura dell’efficienza su un mercato singolo
Sul mercato di ogni bene sono presenti due categorie di soggetti: C (consumatori), O (offerenti,
imprese). Una valutazione sociale del benessere su tale mercato richiede di valutare il benessere di
entrambe le categorie di operatori coinvolti.
Benessere sociale
Deve simultaneamente considerare il benessere di offerenti e domandanti, perciò, possiamo contare
su due misure:
Definiamo efficiente in senso allocativo, la configurazione di mercato che rende massimo il
benessere sociale. L’efficienza allocativa rappresenta sicuramente un obiettivo della politica
economica.
L'allocazione che rende massimo il benessere sociale su un dato mercato è quella in corrispondenza
della quale il prezzo del bene eguaglia il suo costo marginale di produzione; nel caso di un mercato
di perfetta concorrenza questa condizione equivale all'eguaglianza tra prezzo di domanda e costo
d’offerta.
1) Perseguire il reddito di pieno impiego delle risorse produttive. Se vi fossero fattori produttivi
disponibili e non impiegati, l'economia non si troverebbe sulla frontiera delle possibilità produttive
e quindi non si configurerebbe una situazione Pareto-inefficiente. Perseguire una situazione in
cui l'aumento dei prezzi è pari a zero, o almeno limitato (inflazione nulla o limitata). L’inflazione
comporta un costo per il sistema economico: un basso tasso di inflazione sembra essere una
condizione necessaria (anche se non sufficiente) per avere una buona performance di crescita
2) Limitare le distorsioni dell’inflazione (inflazione nulla o limitata). Il costo che deriva da
un’inflazione instabile è legato al fatto che se i prezzi non si aggiustano tutti nello stesso tempo,
i prezzi relativi continuano a cambiare. È importante Avere una bilancia dei pagamenti in
pareggio. Se la bilancia è in deficit significa che l'economia sta consumando più di quanto
produce, cioè sta vivendo secondo standard che non si può permettere. Se invece la bilancia dei
pagamenti è in surplus, allora l'economia consuma meno delle sue potenzialità, e affluiscono
risorse dall'estero. Eccesso di offerta di moneta -> Inflazione, Eccesso di domanda di moneta ->
apprezzamento della moneta nei confronti delle valute straniere.
3) Perseguire una crescita economica col massimo tasso possibile, compatibilmente col fatto che
la crescita stessa sia sostenibile nel tempo. (Rivedere questione della politica anticiclica)
4) La stabilizzazione del debito pubblico in rapporto al PIL. Trasferimento intergenerazionale di
risorse e di distorsioni dovute alle imposte del debito era il problema cruciale dell’economia
italiana prima del covid. Se abbiamo un alto debito dobbiamo pagare il servizio del debito.
Supponiamo di essere in un’economia chiusa: se il governo fa debito usa le imposte per risanare
il debito. Se le imposte sono distorsive, il costo del debito si alza a causa di queste distorsioni.
Un governo che fa Default non sa come trovare un accordo per riparare il debito (cioè non ripaga
i creditori), anche questo è un modo per tassare, perché non pagando i creditori è come imporgli
una tassa. Il rischio di default si traduce in un premio per il rischio, che si traduce in imposte
distorsive.
Parte 2
Il potere di mercato (cap 6)
Una deviazione di una situazione di efficienza che richiede l’intervento di politica economica riguarda
le economie di mercato.
Efficienza allocativa del monopolio: mercato nel quale un bene sia servito da una sola impresa
(monopolista), che persegue la massimizzazione del suo profitto.
La teoria canonica del monopolio assume che:
• L'impresa percepisca come dato il comportamento dei consumatori (funzione di domanda
inversa: P=P(Q));
• L’impresa assuma come data la tecnologia di produzione a sua disposizione (funzione di
costo: c=c(q));
• L'impresa presente sul mercato non tenga in alcun conto il comportamento di altre imprese
estranee al mercato.
Dato che ci si trova, per ipotesi, in condizioni di monopolio, la quantità prodotta dalla singola impresa,
q, coincide con la quantità complessivamente immessa sul mercato, Q perciò vale q=Q.
La funzione obiettivo dell’impresa monopolista, è MASSIMIZZARE: π=Q P(Q) - c(Q).
Nel caso del monopolio il potere di mercato è massimo.
Ottimo: ricavo marginale = costo marginale . π =RIC(Q) -c(Q).
Il prezzo è una funzione della quantità , in concorrenza perfetta però l’impresa non percepisce la
presenza di elasticità del prezzo rispetto alla quantità che offre.
Dimostrazione: calcolando la derivata del profitto rispetto a Q e ponendola = 0 otteniamo :
Condizione di prim’ordine: La coppia (QM, PM), cioè la scelta ottimale per l’impresa monopolista,
non garantisce l’efficienza allocativa, poiché la quantità prodotta non è quella che eguaglia il prezzo
al costo marginale.
• Questo accade perché il monopolista internalizza gli effetti
di una variazione di offerta sul prezzo di equilibrio.
• In perfetta concorrenza non accade
Inefficienza allocativa:
La presenza di inefficienza allocativa nel punto di ottimo per l’impresa monopolista è talvolta illustrata
anche facendo notare la presenza di una perdita netta di monopolio.
Infatti, il benessere sociale sarebbe maggiore in perfetta concorrenza rispetto al monopolio.
L’inefficienza allocativa associata al monopolio rappresenta la base teorica di tutte le politiche
economiche che tendono a contrastare il formarsi di posizioni di monopolio.
Data la curva di domanda di mercato inversa, è possibile tracciare la curva di ricavo marginale. La quan5tà oBmale da
produrre per l'impresa monopolista è quella che si trova in
corrispondenza dell’intersezione tra ricavo marginale e costo
marginale (punto E). A questa quan5tà, Qm, corrisponde il prezzo
Pm, leggibile sulla curva di domanda (punto M).
Si può verificare immediatamente che la coppia (Qm, Pm), cioè la
scelta oBmale per l'impresa monopolista, non garan5sce l'efficienza
alloca5va, poiché la quan5tà prodoMa non è quella che eguaglia il
prezzo al costo marginale.
Schumpeter: il monopolio può garantire una crescita economica più rapida della perfetta
concorrenza. Il modello del monopolio prende in considerazione la tecnologia e le preferenze dei
consumatori. L tecnologia è presa come esogena, casuale. (Non c’è una fase economica della
tecnologia)
• Innovazione alla base del processo di crescita. Le imprese devono innovare. Per l’economista
neoclassico basta costruire il mercato dell’innovazione, basato sul credito.
• Il finanziamento degli investimenti in ricerca è costoso e gli
intermediari finanziari sono piuttosto restii a finanziare progetti il cui
rendimento atteso è soggetto a grande rischio. Il mercato
finanziario sottopone all’impresa a dei vincoli per motivi legati
all’informazione incompleta
• Perciò, il principale canale di finanziamento degli investimenti
in ricerca è l’auto-finanziamento. Occorre che l’impresa prenda le
risorse da fondi propri. L’impresa deve generare dei profitti che co-
finanziano dei nuovi investimenti, quindi i profitti producono
innovazioni che migliorano l’efficienza dell’economia.
• Le imprese in monopolio conseguono profitti più elevati rispetto al caso della perfetta concorrenza,
quindi possono impiegare risorse maggiori per finanziare la ricerca generando così maggiori
scoperte e maggiori innovazioni e garantendo una crescita più veloce.
• L’ ambizione di poter costruire un monopolio e di godere delle rendite monopolistiche spinge le
imprese a fare ricerca.
La presenza di monopoli, perciò, è benefica per la crescita di lungo periodo, sia perché spinge le
imprese a investire in ricerca, sia perché consente alle imprese di potere contare su adeguate
risorse.
Arrow: Contestò l'idea che i monopoli potessero essere efficienti in senso dinamico e cercò di
dimostrare come la concorrenza non solo garantisca l'efficienza statica, ma anche un tasso di
crescita economica più elevato rispetto a quello associato a situazioni di monopolio.
•Chi gode di rendite monopolistiche, non ha incentivo a compiere ricerca e sviluppo (e quindi non
genera crescita).
•I monopoli sono tipicamente associati a situazioni nelle quali le informazioni sulla tecnologia sono
protette da brevetti e quindi circolano in modo difficoltoso, rallentando il processo di crescita
che invece si basa sulla possibilità di usare, conoscere e migliorare le tecnologie delle imprese
presenti.
Queste opposte posizioni hanno dato vita a un lungo dibattito noto come il conflitto Schumpeter
contro Arrow, volto a stabilire se si investa di più in ricerca e sviluppo in quei settori in cui prevalgono
situazioni di monopolio (Schumpeter) oppure in quelli dove prevalgono condizioni concorrenziali
(Arrow). La questione è da considerarsi ancora aperta (NB: il monopolio produce sicuramente
un’allocazione inefficiente in senso statico (o allocativo), mentre è ancora da chiarire se generi
efficienza dinamica). La visione arrowiana dell’inefficienza dinamica del monopolio è stata utilizzata
anche per spiegare i fallimenti macroeconomici nella crescita.
L’equilibrio si ha quando entrambe le imprese scelgono delle quantità produttive che le collocano
sulla loro funzione di reazione, cioè fanno ‘l’ottimo’ dato quello che fa l’altra impresa.
Il cartello
accordo tra le imprese che modifica l’allocazione di mercato per generare profitti. Si configura come
accordo di cartello ogni intesa tra imprese volto a modificare l’allocazione di mercato in favore delle
imprese stesse e a danno dei consumatori, solitamente tali accordi prevedono una diminuzione delle
quantità immesse sul mercato, in modo da determinare un incremento del prezzo; provocando così
una situazione di inefficienza allocativa.
Inoltre, i cartelli tendono ad essere instabili poiché una volta raggiunto l’accordo, ogni impresa ha
incentivo a tradire tale accordo, posto che le altre imprese rimangano fedeli al patto.
La concorrenzialità
Abbiamo visto che ogni qualvolta l’impresa gode di un potere di mercato, si giunge ad allocazioni
inefficienti sotto il profilo allocativo. Tale distorsione allocativa può comunque essere più o meno
pronunciata.
Quindi possiamo dire che un mercato può essere più o meno concorrenziale. Per valutare il grado
di concentrazione di un mercato, bisogna prima definire i confini di tale mercato e quindi valutare la
sostituibilità fra i beni prodotti dalle diverse imprese.
Aumentare la sostituibilità tra prodotti, se possibile, rappresenta un’azione pro-concorrenziale.
L’aumento di sostituibilità si può perseguire in diversi modi
- attraverso la diffusione di standard tecnologici ampiamente utilizzati;
- cercando di cambiare i gusti dei consumatori;
- riducendo i costi di trasporto per rendere efficace la concorrenza di imprese localizzate lontano
dal mercato di riferimento
- Evitando che le imprese impongano standard tecnologici tali da eliminare l’effetto di concorrenti
che non possono adottare quegli standard.
Sequenza delle azioni che può compiere la politica economica per regolamentare i mercati, noi
analizziamo il monopolio
Se il policy-maker NON tollera il monopolio, si ha la liberalizzazione del mercato
Se il policy-maker tollera il monopolio, dispone di due vie per controllarlo: –
statalizzare l’impresa:
• Se l'impresa monopolista guadagna profitti positivi, si può ritenere più giusto che questi vadano
alla collettività, cioè ad un'impresa pubblica che poi li verserà al suo "azionista", lo Stato, che
li utilizzerà con finalità "sociali".
• Si può ritenere che la proprietà pubblica consenta all'impresa monopolista di non comportarsi
in modo da rendere massimo il profitto, bensì in modo da rendere massimo il benessere
sociale; se il mercato è in condizioni di monopolio naturale ciò implicherà profitti d'impresa
negativi, ma la proprietà pubblica renderà possibile coprire con entrate dalla fiscalità generale
le perdite operative dell'impresa monopolista che punta al massimo benessere sociale.
– influenzare i comportamenti dell’impresa monopolista privata
• Si può regolamentare la quantità.
• Si può regolamentare il prezzo:
- regola del price-cap o price-cap dinamico: Δpi= Δp-X
- limite superiore al tasso di rendimento del capitale
• Si può generare una concorrenza per il monopolio (Demsetz)
• Prima del price cap Si individuava un tasso di rendimento normale cui l’impresa aveva diritto.
Si riducevano gli incentivi dell’impresa - all’innovazione di processo (perché l’impresa avrebbe
comunque conseguito il rendimento stabilito dal regolatore)
- alla minimizzazione dei costi di produzione
• Con il price cap si prende il tasso di inflazione, misurato dall'Indice dei prezzi al consumo e si
sottraggono i risparmi di efficienza previsti X.
• qualsiasi risparmio al di sopra del tasso previsto X può essere trasferito agli azionisti, almeno fino
alla successiva revisione dei limiti di prezzo (di solito ogni cinque anni)
In presenza di SUNK COST, politiche tariffarie che permettono di chiudere in pareggio. Per risolvere
il problema della gestione mantenendo la regola del costo marginale esistono due possibilità (con
intervento statale)
- Perdita a carico dello stato e finanziamento tramite il ricorso alle imposte a somma fissa (lump
sum tax). Con questa imposta non si introducono distorsioni nell’ utilizzazione delle risorse (non
si modificano i prezzi relativi). Il ricorso alle imposte sul reddito potrebbe avere l’effetto di
scoraggiare l’offerta di lavoro. es autostrada del sole costruita tramite un investimento pubblico
(autostrade italiane era statale). Anche la BREMI (Brescia-Milano) è stata costruita con
finanziamento statale, in questo caso però tutte le previsioni di transito si sono rivelate sbagliate,
cioè non passava nessuno, allora è intervenuto lo stato a ripianare le perdite. Ma quando lo stato
presta una garanzia implicita di questo tipo, la valutazione dei costi - benefici cambia e non
funziona più la concorrenza del mercato.
- Tariffa a due parti: particolare tariffa pubblica che si forma dalla somma di due componenti:
componente fissa (Pagamento di un prezzo iniziale per acquisire il diritto ad acquistare un
prodotto) + componente variabile ( gli utenti poi pagano un ulteriore prezzo per ciascuna unità
addizionale del prodotto che intendono consumare). Fissare il prezzo a livello di costi marginali a
richiedere ai consumatori il pagamento di una somma fissa, indipendente dal consumo del bene
o servizio. (Tariffe applicare da società telefoniche o elettriche). Quando viene utilizzata una tariffa
a due parti un’impresa deve poter impedire la rivendita (es Netflix), in caso contrario un cliente
potrebbe pagare la sua quota fissa e acquistare tutta la produzione per poi rivenderla agli altri
consumatori. es: La prima parte della tariffa che da diritto ad entrare nel club degli utenti, la
seconda parte della tariffa da diritto ad usare il bene, tipicamente l’idea è che con la tariffa a più
parti, tipicamente ho un grado di libertà in più e posso costringere la società regolata ad offrire un
costo pari al suo costo marginale, quindi l’utente paga il prezzo marginale, quindi se abbiamo in
sunk cost lo possiamo regolare così. Ad esempio le palestre tipicamente danno un costo di
accesso, ma poi alcuni servizi sono a pagamento, infatti la società che gestisce la palestra sa che
una parte dei suoi clienti vuole determinati e servizi e un'altra parte no, quindi offre servizi che
tengono conto della distribuzione dei suoi clienti, in modo da poter sfruttare il massimo dei suoi
profitti.
se vogliamo che l’impresa chiuda in pareggio senza il sussidio dello Stato e senza applicare una
tariffa a due parti allora dobbiamo accettare una produzione inferiore a quella ottimale da un punto
di vista allocativo. Opzioni tariffarie a disposizione:
- Prezzo fissato a livello del costo medio: ‘strumento rozzo’. una pratica che le imprese fanno,
significa che sapendo di avere di fronte dei consumatori con preferenze diverse, offrono dei menù
su cui i consumatori possono scegliere, in quanto l’impresa non conosce i consumatori che volta
per volta si presentano, ma consce la loro distribuzione
- Discriminazione dei prezzi: lo stesso prodotto (o sue versioni leggermente differenziale ) viene
venduto a prezzi differenti a seconda della categoria di clienti. Prezzo Ramsey: prezzi
regolamentanti che massimizzano il benessere del consumatore a condizione che i ricavi coprano
i costi. Per massimizzare una funzione di benessere sociale, con il vincolo di un profitto non
negativo per l’impresa, la tariffa ottimale di un monopolista monoprodotto segue la regola delle
elasticità inverse: la tariffa sarà più elevata per i servizi che presentano un’elasticità più rigida e
viceversa. Segue il principio di estrarre il massimo plus valore da ogni tipo di cliente. Nel grafico
le due curve di domande si incontrano nel punto in cui il prezzo è uguale al costo marginale.
Yardstick competition
Questo tipo di regolamentazione introduce una Forma indiretta di concorrenza tra imprese che
operano in condizioni di monopolio locale. La strategia della Yardstick regulation si basa sulla
opportunità di effettuare un monitoraggio ed un confronto dei costi, dei livelli qualitativi dei servizi e
così via, tra imprese che operano nello stesso settore. I regolatori non possiedono informazioni
accurate sul livello di efficenza di costo raggiunto dalle imprese che devono regolamentare per fare
fronte a questo deficit di informazione, il metodo della Yardstick competition suggerisce di impiegare
i dati riferiti ad altre imprese per costruire una sorta di metro di misura. Questo strumento si applica
ai Monopoli naturali locali.
Questo è un approccio che riconosce un vincolo di insufficienza di informazioni e si preoccupa di far
funzionare il mercato attraverso la competizione. Ma quando abbiamo un monopolio naturale, questo
meccanismo della competizione non può funzionare e allora bisogna andare a cercare di misurare
l’efficienza di un monopolista locale, infatti il principio del yardstick competition si applica ad un
monopolio naturale locale -> vuol dire che ci sono altre imprese monopoliste simili, io economista,
vado a guardare quello che succede nella media del settore, in questo modo stimolo delle funzioni
di produzione che misurano l’efficienza media del sistema e il monopolista locale mi deve spiegare
perché la sua funzione di costo medio è diversa da quella degli altri (è questo l’approccio, siccome
non riusciamo ad usare lo strumento della concorrenza, dobbiamo entrare nel sistema produttivo
dell’impresa, non riusciamo a farlo direttamente e lo faremo attraverso il meccanismo delle yardstick
competition).
Possibile strumento: stima econometrica di una funzione di costo. Sono Fattori esplicativi che non
possono essere influenzati dall’impresa.
Concorrenza per il mercato
Uno strumento di regolamentazione che può essere utilizzato dallo stato per raggiungere situazioni
di efficienza allocativa e quindi estrarre la rendita del monopolista è quello di introdurre la
concorrenza per il mercato.
Le attività di produzione di servizi pubblici vengono affidate in concessione (tramite politiche di
competitive tendering e contracting-out) a imprese pubbliche o private che acquistano il diritto di
esercitarle secondo criteri e modalità che massimizzano il benessere collettivo e che sono definiti
dallo stato.
Si aggiudica la concessione l’impresa che offre le migliori condizioni in termini di prezzo e qualità:
politica del prezzo fissato a livello del costo medio.
Asta multi stadio
1. Selezione dei soggetti ritenuti adeguati sulla base di criteri reputazionali e di requisiti di carattere
tecnico-finanziario. Questi tipi di selezione consentono di utilizzare le informazioni storiche per
costruire una valutazione circa l’affidabilità economico-finanziaria del soggetto. Trattandosi di
informazioni storiche la capacità dei soggetti di riportare informazioni false è limitata.
2. Ulteriore selezione sulla base di criteri tecnico-qualitativi. Questo tipo di informazioni si
riferiscono sia all’esperienza passata (es attività tecniche similari condotte nel passato) sia a
quella futura (es Buisiness plan per l’attività in questione). Il problema informativo si pone rispetto
al secondo tipo. 3. Asta sulla base del prezzo
A partire dagli anni ’80 hanno avuto luogo due differenti processi, che hanno portato i Paesi europei
a rivedere la logica del proprio modello, e ad aderire al modello americano con:
- Un cospicuo ridimensionamento dell’azione dello stato nell’economia. Le politiche di
partecipazione statale in Italia fanno un sacco di perdite, allora si adottano le politiche di
privatizzazioni , riducendo il ruolo dello stato nell’economia
- Processi di liberalizzazione e privatizzazione del mercato. Coinvolge tutta l’Europa occidentale,
soprattutto l’Italia.
Il TRATTATO DI ROMA del 1957, con gli art. 81, 85, 86 e 92 rappresenta il primo atto di normativa
antitrust dei Paesi Europei
In Italia, La Legge n°287 del 1990 crea l’ autorità garante della concorrenza e del mercato, la quale
vigila su tutti i mercati.
Accanto all’autorità garante della concorrenza e del mercato in Italia, operano le Autorità di settore
che ha il compito di vigilare sui comportamenti delle imprese che operano in specifici settori
Sia il Trattato di Roma sia la Legge italiana riprendono punti dello Sherman Act
Rispetto all’Autorità antitrust, che ha il compito di tutelare la libertà di concorrenza in tutti i settori, e
su tutto il territorio nazionale, le varie Authority hanno compiti più specifici e/o ambiti di intervento
maggiormente circoscritti. (es. l’Autorità per l’energia elettrica e gas, l’Autorità di vigilanza sui fondi
pensione, l’Autorità garante per gli appalti, ecc...)
Norme del Trattato di Roma (riprese dallo Sherman Act e poi riprese nella l. 287/90)
• (art. 81 Trattato di Roma): Sono vietate tutte le pratiche che limitano la concorrenza, e in particolare:
- concordare prezzi;
- concordare di limitare la produzione;
- spartirsi i mercati di sbocco o di approvvigionamento;
- applicare condizioni dissimili a transazioni equivalenti;
- condizionare la conclusione di accordi a clausole irrilevanti
• (art. 85 Trattato di Roma): Sono previste deroghe per le intese fra le imprese che vanno a vantaggio
dei consumatori Esempi:
- RJV (ricerca)
- Miglioramenti tecnologici
- Miglioramenti delle reti distributive ...
(art. 92 Trattato di Roma): Divieto di AIUTO DI STATO ad imprese, tali che falsano la libera
concorrenza.
La competenza è dell’Unione Europea (esercitata dal Commissario alla Concorrenza , della
Commissione Europea) se le intese sono fra imprese di Stati diversi oppure il fatturato della(e)
impresa(e) coinvolta è superiore a un certo ammontare.
Teoria della cattura: le imprese di un’industria desiderano essere regolamentare perché confidano
nella possibilità di catturare i regolatori governativi (convincendoli, comprendendoli minacciandoli) in
modo tale che questi ultimi perseguano gli interessi delle imprese.
Generalizzazione di questa teoria: in generale si ipotizza che i vari gruppi di interesse (le imprese, i
consumatori o altre associazioni) sono in grado di catturare e di influenzare l’ente di
regolamentazione.
In generale, i gruppi di interesse che sono organizzati meglio o che vengono maggiormente colpiti
dalla normativa spendono di più per tentare di promuovere i propri interessi, influenzando leggi e
organismi di regolazione.
Caratteristiche di un’autorità di regolamentazione efficace:
- indipendenza dalle imprese e dall’autorità politica
- Risorse finanziarie e di personale adeguate
- Possibilità di raccogliere tutte le informazioni
- Regolatore e membri della commissione altamente qualificati
Con liberalizzazione Si intende l’ingresso di nuove imprese sui mercati serviti dai monopolisti Con
privatizzazione Si intende il passaggio di proprietà (parziale o in toto) da soggetti pubblici a soggetti
privati.
Le privatizzazioni non sono più un argomento rilevante in Italia perché gran parte del patrimonio in
termini di imprese dello stato è stato privatizzato e in effetti in questi ultimi anni c’è stata una
riconsiderazione del processo di liberalizzazione e privatizzazione, in quanto si è trattato di azioni
che sono state necessarie per poter entrare nell’unione europea. C’è stata una riconsiderazione
perché la liberalizzazione e la privatizzazione in Italia sono avvenute quasi simultaneamente
cedendo imprese pubbliche a private e abbiamo anche liberalizzato i mercati.
Se si ha un’impresa dominante che è poco regolamentata e questa impresa dominante può anche
essere trasferita dal pubblico al privato, stiamo probabilmente trasferendo un monopolio dal pubblico
al privato, e questa non è una buona idea. Il problema è che se privatizziamo e contemporaneamente
liberalizziamo il mercato, i profitti del monopolista crollano e questo può essere un problema per lo
stato, questo fu un tipo di discussione che venne fatta a quei tempi. Le privatizzazioni in teoria
avrebbero dovuto funzionare con questa logica, cioè metti all’asta un’impresa, devi anche
preoccuparti di capire se l’impresa gestirà il mercato in un modo coerente con l’interesse collettivo
oppure no.
La storia delle privatizzazioni in Italia, è alla fine una storia di fallimento, in quanto le imprese che
sono diventate private attraverso il processo di privatizzazione, non hanno avuto un buon successo
economico. Le abbiamo vendute ad un prezzo basso a volte, per il semplice fatto che dovevamo
sbrigarci a vendere perché avevamo un bene superiore da acquisire che era l’ingresso nell’unione
monetaria, dato che le abbiamo vendute, se c’è concorrenza o comunque se altre imprese tramite
la concorrenza se le mangiano, non è più un nostro problema, questo è vero fino ad un certo punto.
Infatti se abbiamo delle imprese grandi, e queste imprese hanno anche un capitale sociale, cioè
occupano lavoratori qualificati, ma le imprese perdono valore perché gestite in modo predatorio,
quello che succede è che la capacità di guadagnare reddito cade, la capacità di produrre reddito
cade e si generano conseguenze a livello sociale che sono molto forti, cioè il realtà il modo in cui si
procede per le commissioni, dovrebbe essere simile al modo in cui si procede per le privatizzazioni,
ma allora non fu fatto, perché le privatizzazioni vennero decise sotto questa urgenza di liberarsi di
queste imprese, ecco perché alla fine furono scelti dei capitalisti che ne fecero un uso predatorio.
Un esempio di impresa di cui si fece solo un uso predatorio è telecom-tim. Telecom-tim, fu usata
solo per gravarla di debiti e poi attraverso il controllo crociato le risorse andarono ad altre imprese.
Società autostrade è un altro esempio di uso predatorio, infatti furono garantiti dei profitti
monopolistici ad un privato e lo stato avrebbe potuto ripetutamente modificare quelli accordi, ma non
lo fece. Il crollo del ponte Morandi, definisce quelli che sono i costi che si determinano quando il
potere monopolistico privato è tutelato.
Le due opzioni presentano ovvi pro e contro:
Se la privatizzazione precede la liberalizzazione, l’impresa pubblica potrà essere venduta ai privati
a prezzo maggiore perché il privato agirà all’inizio su un mercato nel quale non vi sono concorrenti.
Dall’alto lato, questa opzione consegna il mercato a un monopolio privato con le inefficienze
allocative che ne conseguono.
I processi di liberalizzazione e privatizzazione possono avvenire in due modi diversi: -
Strategia del gradualismo
- Strategia della doccia fredda
L’esperienza concreta non ha fornito risposte conclusive su quale delle due sia da giudicare migliore.
Il processo di privatizzazione in Italia è stato fallimentare, le imprese privatizzate non hanno avuto
un buon risvolto economico (es autostrade, è stato venduto un monopolio al privato, quindi non era
più incentivato a innovare - ha portato alle conseguenze disastrose del ponte Morandi).
Cap 8 le esternalità
La presenza di esternalità determina un classico fallimento del mercato. Anche in un contesto che
approssima la perfetta concorrenza, il sistema di mercato risulta inefficiente.
La questione delle esternalità è divenuta centrale di recente, la questione infatti non è presa in
considerazione dagli economisti classici (Marx e Ricardo ecc). Questa mancanza ha portato
l’ecosistema ai livelli irreversibili che conosciamo.
Si definisce esternalità l'effetto che il comportamento di un agente esercita direttamente sul risultato
di un altro agente.
Pseudo-esternalità, invece, il comportamento di uno più individui si ripercuote sui risultati di altri
individui, modificando il sistema di prezzi prevalenti.
Nel caso di esternalità la valutazione dei costi e dei benefici che dà il singolo individuo differisce dalla
valutazione dei costi e benefici operata a livello di società nel suo complesso:
Se in un sistema economico dove ciascuno sia lasciato libero di perseguire la sua massima utilità,
esistono esternalità, allora tipicamente il comportamento ottimale del singolo individuo (e la somma
di tutti i comportamenti individualmente ottimali dei singoli agenti) non produce l’esito migliore dal
punto di vista sociale.
Questo meccanismo di generazione delle scelte collettive, attraverso l’interazione decentrata degli
individui, fallisce perché viene meno il principio della completezza dei mercati. Dove non c’è un
mercato questo meccanismo non esiste per definizione.
Quando c’è conflitto tra ottimo individuale e ottimo sociale -> serve un intervento di politica
economica.
Due individui [w= welfare, xA= quantità di bene x scelto da A, bA= beneficio che va ad A quando
sceglie X, cA= costo del bene X]
- A , che sceglie (xA) -> wA(xA)= bA (xA)- cA(xA)
- B sceglie xB, ma subisce l’effetto delle scelte di A ->wB (xB,xA) = bB(xB)- cB(xB,xA).
L’impatto della scelta xA, sul costo che B sostiene per consumare XB è positiva. Quindi è una
esternalità negativa .
L'esternalità determina inefficienza sociale delle scelte individualmente ottimali - 2
Soluzione ottimale per A: (=> beneficio marginale = costo marginale)
La prima delle due condizioni di ottimo dà: B' (A,xA) - C' (A,xA) - C' (B,xA) = 0 mentre
la seconda dà: b' (B,xB)- c' (B,xB) = 0
La quantità xA ottimale per la società può essere interpretata in due modi alternativi: B'
(A,xA) - C' (A,xA) = C’ (B,xA)
Oppure: b' (A,xA) = c' (A,xA) + c' (B,xA)
L'ammontare di xA socialmente ottimale è minore dell'ammontare di xA individualmente ottimale per
l'agente A.
PRO: Il concetto di tassa pigouviana è semplice e intuitivo e segue il ‘polluter pays principle’; il
funzionamento garantisce il raggiungimento dell’ottimo sociale mediante meccanismi di mercato e
per la scelta spontanea dell’ inquinante il quale finisce per sostenere i costi che provoca. Sembra
essere un’applicazione ideale per il teorema di Coase.
- lo stato è detentore dei diritti di proprietà sul bene inquinato.
- Lo stato rappresenta gli inquinanti, cioè negozia con l’inquinante accettando un prezzo solo se
superiore a Cm(Q)
- I negozianti stabiliranno di cedere diritti corrispondenti alla quantità Qs al prezzo t*.
- La transazione prevede la cessione dei diritti per un controvalore (t* x Qs)
CONTRO: Asimmetria informativa: bisogna conoscere con esattezza Cm(Q). L’inquinante sa quale
è la sua vera Bm(Q) mentre lo stato non è adeguamente informato. Alcune imprese potrebbero far
risultare un Bm(Q) inferiore a quello reale per avere meno tasse. Rischi di sopra tassazione: anche
ammettendo che i diritti di proprietà spettino allo Stato e che questo sia in grado di individuare Q e
t* e che valga il polluter pays principle, la tassa pigouviana fa si che :
1. La tassa sottrae all’inquinatore più dell’esternalità pareto-irrilevante. Il pagamento del diritto
comporta anche un effetto redistributivo a danno dell’inquinatore.
2. La tassa si applica anche al livello di capacità di assorbimento Q0 generando una tassazione
inopportuna per bassi valori di Q.
In realtà la tassa pigouviana sul consumo di energia è negativa, malgrado le accise e le varie imposte
la tassa è negativa. Tutti i crediti di imposta che facilitano la ‘vita’ degli autotrasportatori in realtà
provocano danno all’ambiente. (Es: cappotto delle case )
• Alternativa alla tassa: sussidio per astenersi dalla produzione dell'esternalità negativa. Questo
strumento è ritenuto “poco felice” perché:
- il sussidio per astenersi dalla produzione di esternalità negative richiede un costo
finanziario al policy-maker (e non un'entrata come l’imposta);
- sembra più discutibile sotto il profilo dell'equità (perché mai dare sovvenzioni a chi produce
esternalità negative?);
- spingerebbe gli agenti che generano le esternalità a dichiarare una quantità "gonfiata" di
produzione individualmente ottimale, al fine di percepire più elevati sussidi;
- potrebbe richiamare sul mercato del bene, nel lungo periodo, un numero di imprese
maggiore rispetto a quello che sarebbe efficiente.
• Creazione di mercati (Coase) per lo scambio di effetti esterni: Il sistema di mercato porta ad una
situazione di inefficienza, in presenza di esternalità, poiché non esiste un mercato in cui gli agenti
possano scambiarsi (pagando e incassando somme monetarie) gli effetti delle esternalità. È
l’assenza di un mercato a determinare il fallimento del meccanismo di mercato!
Il teorema di Coase
1. Se si è in presenza di esternalità
2. Se le parti coinvolte sono in grado di contrattare liberamente (ossia se i costi di transazione sono
nulli).
3. Se la configurazione socialmente efficiente esiste ed è unica.
ALLORA
La creazione di un mercato per lo scambio dei diritti a generare effetti esterni conduce gli individui a
produrre (o consumare) il bene che genera l'esternalità in quantità esattamente uguale a quella che
massimizza il benessere sociale.
Inoltre, in questo caso, l'ammontare di effetto esterno scambiato sul mercato, pari a quello
socialmente ottimale, è indipendente dal modo in cui sono attribuiti inizialmente i diritti di proprietà.
Se valgono le condizioni (i) e (ii) ma, in luogo della (iii) vale che :
4. l'allocazione che massimizza il benessere sociale non è unica, allora l'attribuzione iniziale dei
diritti di proprietà è rilevante sull'esito finale raggiunto dalle contrattazioni degli agenti. L'esistenza
di un mercato in cui scambiare i diritti a esercitare l'esternalità conduce gli individui ottimizzanti
a replicare l'ottimo sociale.
Il teorema di Coase e’ alla base del protocollo di Kyoto.
Esempio:
Consideriamo come bene ambientale (E) la qualità dell’aria nell’area di Roma. L’industria petrolifera
(I P) produce combustibile (bene Q) provocando scadimento della qualità dell’aria (diminuisce E).
I P produrrà la quantità Q che massimizza i suoi profitti; E si riduce con l’aumentare della quantità di
combustibile prodotto.
La funzione di beneficio netto provato B(Q) è il profitto dell’impresa (dato da ricavi- costi di mercato).
La funzione di B(Q) cresce meno se diminuisce Q e/o per diminuzione del prezzo di vendita . Quanto
è ottimale produrre dal punto di vista privato? Il livello ottimale sarà B(Q) massimo. BM(Q) è detto
beneficio netto marginale (privato).
Il livello di Qs <Qp identifica il livello sociale efficiente di produzione del bene privato e di consumo
del bene pubblico, è dato da: B(Q)- C(Q)
La soluzione non è obbligatoriamente una sola. Se si decide per un’allocazione dei diritti alle
imprese, questa può impedire ad altre imprese di entrare nel mercato.
Come raggiungerlo?
- l’impresa usa il bene pubblico producendo un costo che non sostiene (esternalità negativa) dal
momento che il bene stesso non è né rivale né escludibile quindi non vi è il mercato che faccia
pagare all’impresa C(Q).
- Il teorema di coase evidenzia in modo immediato la relazione tra ruolo allocativo del mercato è
assegnazione dei diritti di proprietà. Esso sostiene che una volta assegnati i diritti di proprietà
sui beni pubblici, il mercato quale luogo per scambiare tali diritti ripristina l’impiego socialmente
efficiente degli stessi beni pubblici.
Supponiamo che i diritti di proprietà sulla qualità di aria siano assegnati alla cittadinanza. Si
avrà perciò Q>0 solo se l’impresa paga la cittadinanza per accettare di vendere parte della qualità
di aria E. La curva Cm(Q) rappresenta il prezzo minimo richiesto per poter accettare una ulteriore
riduzione della qualità E;
la curva Bm(Q) rappresenta la quantità massima che l’impresa sarà disposta a pagare per avere
una unità in più di produzione
Lo scambio di concretizzerà quando Bm(Q)=Cm(Q) giacché nessun altro livello comporta un
miglioramento del benessere di entrambi i contraenti: Qs è quindi il livello di produzione contrattato
(scambiato).
Supponiamo invece che i diritti di proprietà sulla qualità di aria-acqua siano assegnati all’impresa,
si avrà perciò Q<Qp solo se l’impresa viene convinta (pagata) dalla cittadinanza a ridurre la
produzione cioè ad accettare di vendere parte di qualità di aria.
La curva Cm(Q) rappresenta il prezzo massimo che la cittadinanza è disposta a pagare per avere
un’unità in meno di produzione. La cerva Bm(Q) rappresenta il prezzo
minimo che l’impresa sarà disposta ad accettare. Lo scambio si
concretizzerà quando Bm(Q)=Cm(Q) giacché nessun altro livello
comporta un miglioramento del benessere di entrambi i contraenti: Qs è
quindi il livello di produzione contrattato (scambiato).
Lo scambio avviene con esito efficiente indipendentemente
dall’attribuzione di diritti di proprietà iniziale, purché questo ci sia,
cambia la distribuzione dei benefici.
Vantaggi
• Incentivi a innovare
• Aiuta a identificare il prezzo di mercato dell’inquinamento
• Si basa sulla definizione del Massimo livello di inquinamento ammissibile (l’offerta totale di diritti è
data dal policy-maker)
• I proventi si possono usare a vantaggio dell’ambiente
Svantaggi
• Il prezzo dei diritti potrebbe essere troppo basso creando pochi incentive a innovare
• Rischio di cattura del policy-maker dagli interessi delle industrie
inquinanti
• Il monitoraggio della coerenza tra inquinamento prodotto e diritti
posseduti è costoso e difficile
Sussidi all’inquinatore
Anche se può apparire strano, il caso in cui si ricorre ai sussidi in
proporzione alla riduzione dell’inquinamento può essere considerato
come quello in cui i diritti di proprietà sull’ambiente sono assegnati a chi
inquina; questi devono essere compensati se si vuole ridurre
l’inquinamento. Il sussidio sulle emissioni abbattute costituisce un ricavo
per l’impresa che lo riceve, essa pertanto determinerà il livello di
inquinamento che le conviene produrre, o simmetricamente il livello di
disinquinamento che le conviene attuare, in modo da massimizzare il proprio beneficio netto, ovvero
il ricavo che riceve come sussidio al netto dei costi di abbattimento.
È facile dimostrare che l’impresa troverà conveniente disinquinare fino al punto in cui il sussidio
unitario è uguale al costo marginale di abbattimento.
Il sussidio alle riduzioni di inquinamento è a volte sostenuto da motivazioni di natura politica: intanto
è sempre più gradito ricevere un sussidio che pagare un’imposta; inoltre in talune circostanze una
politica di sussidi può nascere dalla opportunità di permettere la conservazione di posti di lavoro in
un certo territorio.
Questa considerazione, che ha un peso politico ed elettorale rilevante, è però assai poco
soddisfacente da un punto di vista economico. Una distorsione derivante dal sussidio risulta dalla
necessità di finanziarlo con altre imposte di natura ambientale , finirebbero per provocare ulteriori
distorsioni nell’equilibrio complessivo.
Possiamo concludere che imposte e sussidi non vanno necessariamente visti come strumenti di
politica ambientale tra loro contrapposti.
Nulla vieta ad esempio che possano essere concepiti schemi combinanti le imposte con sussidi: ad
esempio potrebbe essere utilizzati per sussidiare un indennizzo agli inquinanti o per finanziare la
ricerca scientifica e tecnologica volta alla riduzione dell’inquinamento.
Esternalità positive di Consumo
Si producono se il consumo di un bene produce effetti su terze parti non coinvolte. Esempio:
EDUCAZIONE SCOLASTICA. (Trickel down society).
- Migliore educazione alza il reddito e consente di pagare tasse più alte -> maggior contributo al
bilancio, si possono erogare più servizi.
- Minor bisogno di sostegni pubblici
- Capacità di usare tecnologie che beneficiano persone meno scolarizzate
L’obbligo amministrativo (di istruzione) è un modo in cui lo stato tutela i giovani. (Situazioni in cui o
il reddito o la forma mentis dei genitori non consentono al minore di frequentare le scuole, allora
interviene lo stato introducendo l’obbligo).
- MPB >MSB:
- Il mercato produce una quantità socialmente subottimale di educazione
La natura di bene pubblico non ha nulla a che vedere col fatto che venga prodotto o offerto da enti
pubblici; un bene pubblico può essere prodotto sia dallo stato, sia da privati.
I diritti di proprietà non sono esattamente definibili, in quanto l’utilizzo è aperto a tutti e non è
possibile che qualcuno lo utilizzi anche senza pagarlo (fenomeno di free-riding); allora risulterà
non-conveniente produrlo, ma tutti potrebbero stare meglio se il bene fosse prodotto, e ciascuno si
impegnasse a pagarne in parte il costo di produzione; ecco perché la produzione di beni pubblici è
affidata a Enti pubblici che possono far ricadere sulla fiscalità generale i costi di produzione.
Il fatto che i vantaggi derivanti da beni pubblici siano indivisibili implica che ciascun individuo
consuma il medesimo ammontare di bene pubblico; occorre quindi valutare quanto bene pubblico
produrre per garantire l’efficienza allocativa e come ripartire i costi di produzione.
- Se decidete di sì, pagate $200/(num cittadini paganti), e tutti gli X cittadini coinvolti beneficeranno
l’equivalente di $200/X dalla vista dell’aiuola
- Se decidete di no, pagate zero e il beneficio dipende dalle scelte degli altri
Nash vs efficienza
• L’equilibrio di Nash prevede che nessuno finanzi, ma è paretoinefficiente.
• L’equilibrio efficiente vorrebbe che tutti contribuissero.
• Ma nessuno internalizza i benefici altrui compiendo la propria scelta
• L’equilibrio di Nash è una buona approssimazione ai comportamenti delle persone?
Per rispondere alla domanda “quanto bene pubblico produrre per garantire l’efficienza allocativa”,
occorre che sia soddisfatta la:
Condizione di Samuelson
In presenza di bene pubblico, la condizione di efficienza allocativa richiede di eguagliare il saggio
marginale di trasformazione tra bene pubblico e bene privato (ossia il prezzo relativo del bene
pubblico in termini di bene privato) alla somma dei saggi marginali di sostituzione tra bene pubblico
e bene privato degli n individui presenti (condizione di Samuelson). In termini formali, deve valere:
dove indica il saggio marginale di sostituzione (in valore assoluto) tra bene pubblico e bene
privato per l’individuo i, mentre p indica il prezzo relativo del bene pubblico in termini di bene privato,
ossia il saggio marginale di trasformazione del bene pubblico in bene privato.
L’IMPOSTAZIONE DI LINDHAL
Per rispondere alla domanda “come ripartire i costi di produzione”, bisogna far riferimento a Lindhal
che suggerisce di impostare il problema delle decisioni di produzione e finanziamento dei beni
pubblici nel modo seguente: dapprima vanno trovate le domande ottimali degli individui, in funzione
degli schemi di contribuzione proposti, e in una seconda fase, si risolve il problema trovando lo
schema di contribuzione che renda soddisfatte la definizione di bene pubblico (i cui benefici sono
indivisibili) e quella di fattibilità dell’allocazione.
Meccanismi di rivelazione delle preferenze individuali
• Intervista diretta: non attendibile per il free-riding.
• Asta alla Vickrey: si aggiudica un bene colui che ha fatto l’offerta più alta (fra un insieme di offerte
simultanee), ma al prezzo pari all’offerta immediatamente inferiore; in questo modo, ciascuno non
ha incentivo a proporre meno di quanto sarebbe effettivamente disposto a pagare, perché così
facendo non abbasserebbe quanto davvero pagherà, mentre abbasserebbe la probabilità di
vincere l’asta.
• Meccanismo di Clarke Groves: ciascun soggetto che usufruisce di un bene pubblico paga la
differenza tra il costo marginale di produzione e la somma delle valutazioni di tutti gli altri; così
facendo il contributo di un dato individuo non dipende dalla sua dichiarazione, ma dalla
dichiarazione di tutti gli altri.
• Ricavare l’informazione con metodi statistici applicati a risposte fornite ad interviste o questionari
(metodo di valutazione contingente, metodo della cojoint analysis, ecc.): questi metodi permettono
di stabilire se e quanto sia efficiente spendere per garantire i servizi derivanti da un bene pubblico.
The tragedy of the commons: Esempio che illustra il sovra-utilizzo privato dei common goods
• Nel medioevo le greggi (possedute da private) pascolavano su terreni pubblici (proprietà comune).
La crescita della popolazione favorisce la crescita delle greggi, ma nessuno si è preoccupato di
aumentare la produttività della terra per generare nutrimenti delle greggi. L’erba scarseggia per
carenza di pascoli, quindi le greggi sono state macellate e anche la popolazione umana è diminuita
perché era diminuito il cibo.
Gli incentivi privati e quelli sociali sono diversi (uso eccessivo impedisce riproducibilità dell’erba)?
Questo dipende da esternalità negative (se il mio gregge consuma erba il problema è degli altri
proprietari, se la consumano gli altri greggi ne avrò meno io -> nonostante questa evidenza non ci
sono incentivi ad aumentare la produttività della terra). Trascurare l’esternalità induce a consume
eccessivamente la terra
Soluzioni al problema
• Tassare l’uso della terra (ai ricchi va meglio)
• Regolare l’uso della terra
• Asta per l’uso della terra (I ricchi di nuovo..)
• Dividere la terra comune tra gli utenti (si internalizza l’uso)
Ci sono problemi distributivi - Perché i soggetti più ricchi sono i soli che possono pagare, però i
proventi possono essere riallocati a chi è escluso dall’uso del bene comune per la tariffa o la
privatizzazione.
Esempi importanti
- Acqua ed aria puliti
• Esternalità negativa: inquinamento
• Soluzione: regolazione o tasse
- Strade
• Esternalità negativa: congestione
• Soluzione: pedaggi o tassa sulla benzina
Ricapitoliamo
• Beni rivali e beni escludibili, I mercati funzionano meglio per I beni privati
• Esempi di beni pubblici: fuochi d’artificio, la difesa nazionale, la ricerca scientifica di base.
• I beni pubblici sono soggetti a problem del free rider.
• O governi forniscono I beni pubblici sulla base dell’analisi costi-benefici sociali
• Le risorse comuni sono rivali nel consumo ma non escludibili
• L’uso privato di risorse comuni genera esternalità negative (troppo uso).
• I governi usano metodi diversi per correggere l’esternalità (regolazione, tasse correttive,
attribuzione di diritti di proprietà)
2. Azzardo morale
Se invece la differenza fra gli insiemi informativi insorge dopo che il contratto è stato siglato, ci si
trova di fronte a situazioni di azzardo morale o rischio morale, in inglese moral hazard (la traduzione
italiana più appropriata, probabilmente, è quella di comportamento sleale), espressione con cui si fa
riferimento a situazioni in cui un soggetto cambia i propri comportamenti dopo avere siglato un
contratto:
- casi di azioni nascoste (hidden action)
- casi di informazione nascosta (hidden information).
Per limitare l’inefficienza comportata dal fallimento del mercato legato al moral hazard, è possibile
individuare schemi di contratto appositi che inducano l’agente a comportarsi in modo non
opportunistico (per esempio, la franchigia nel contratto di assicurazione o una compartecipazione
agli utili d’impresa nel caso del lavoratore. Il sistema delle franchigie permette di abbassare i costi
delle assicurazioni, ma aumenta endogenamente i rischi).
I contratti di debito contribuiscono a risolvere un problema di azzardo morale
I problemi in questo caso dipendono da:
1. Separazione tra proprietà (degli azionisti) e gestione (dei manager)
2. Problema Principale (azionista) – agente (manager). I Manager
agiscono nel proprio interesse e non in quello degli azionisti.
Parte 3
Sull’asse delle ascisse indico l’accumulo della popolazione, a 0 non consideri nessuno, a 10
considero il 10% più povero della pop, a 90 considero il 90% più povero della pop. ‘Più povero’
significa che ordino le persone per la crescente ricchezza.
Sulle ordinate ho la quota del totale dei redditi di un paese, di cui si appropria la percentuale più
povera della pop. (Guardare la curva rossa, il 50% della pop di appropria del 10% circa della
ricchezza).
La linea verde è la bisettrice, è una misura di quello che succede alla
percentuale della popolazione quando non c’è dispersione dei redditi (cioè se tutti guadagnassero
allo stesso modo).
Quanto più la linea rossa di allontana dalla verde, tanto maggiore è la diseguaglianza. Esse si
intersecano a 0 e a 100 per definizione.
La quota dei redditi da lavoro è scesa nei paesi occidentali a seguito degli anni 70. Ci si chiede il
motivo, in parte perché sono aumentati i redditi da lavoro autonomo, che sono difficili da distinguere
dal capitale, ma non è l’unico motivo. (Analisi con Cobb-Douglas, i mark-up sono aumentati).
Il legame tra distribuzione personale del reddito e distribuzione funzionale del reddito
Non deve sfuggire che l’andamento della distribuzione personale dei redditi è legata all’andamento
della distribuzione funzionale del reddito. Infatti, dato che il ventaglio delle retribuzioni del lavoro è
più ristretto del ventaglio delle remunerazioni del capitale, nei periodi in cui il lavoro acquisisce quote
distributive maggiori, la distribuzione personale del reddito diventa più equa, mentre nei periodi in
cui aumenta la quota distributiva del capitale e si restringe quella del lavoro, aumenta la iniquità nella
distribuzione personale dei redditi.
Si nota la differenza tra gli indici che considerano i redditi da capitale e i redditi da
lavoro.
Approfondimento Italia: c’è una tendenza di aumenti della diseguaglianza (aumenta indice di gini)
venendo verso tempi odierni. La polarizzazione diventa ancora maggiore se si considerano guadagni
annuali, anziché quelli settimanali. Questa differenza spiega perché la discontinuità aumenta le
differenze di reddito.
I working poors sono coloro che hanno un salario inferiore al 60 % della mediana, tra i lavoratori a
tempo pieno sono tra 6-8%, e la tendenza all’aumento è limitata. Invece tra i lavoratori discontinui la
disuguaglianza aumenta moltissimo (16%). La dispersione da redditi da lavoro è generata da lavori
precari.
Negli anni 70 la percentuale dei working rich è aumentata moltissimo, poi si è stagionata.
Uno dei motivi della polarizzazione del mercato del lavoro è il progresso tecnico, che aumenta la
produttività dei lavoratori che hanno maggiore livello di educazione rispetto agli altri.
L’Italia ha un ruolo forte di riduzione della diseguaglianza grazie ai trasferimenti pensionistici, mentre
gli altri trasferimenti sociali hanno un impatto limitato sulla riduzione della diseguaglianza. In
Danimarca per esempio il sistema pensionistico e i trasferimenti sociali limitano moltissimo la
diseguaglianza.
Il grafico mostra la crescita dello stato sociale , in media, nelle diverse aree di Intervento (salute,
istruzione, pensioni, trasferimenti ecc) e per area geografica.
Questa visione si scontra con la teoria economica standard: Lo stato sociale vs la teoria economica
standard
Teoria standard: lo stato sociale è assente e gli individui razionali badano a se stessi utilizzando i
mercati
• Genitori o giovani si indebitano per pagare la propria educazione
• I lavoratori risparmiano per la pensione. Il lavoro non è una merce, ma un asset, inoltre sostituire
un lavoratore è costoso. Ciò genera delle rendite potenziali, infatti lo schema per definire i salari è
di contrattazione, in cui conta il ‘potere delle parti’.
• I mercati offrono assicurazioni sanitarie private
• Gli individui possono indebitarsi in caso di shock avversi al reddito
La pensione non è solo il rendimento del capitale che l’individuo ha
investito, c’è una componente stocastica, perché le persone che vanno in pensione non sanno
quanto vivranno. Perché ogni lavoratore non si mette via da solo le risorse da utilizzare in vecchiaia?
Perché sono i lavoratori di oggi a pagare i pensionati? Perché una casa la paghiamo da soli ma la
pensione no?
EDUCAZIONE
L’educazione è cruciale per la crescita di lungo periodo, con importanti esternalità (se ne parlerà
ancora).
L’educazione di massa (primaria e secondaria) è sempre finanziata dallo stato. A tutti si assicura
educazione di base. L’educazione superiore attraverso università pubbliche è un motore cruciale di
mobilità sociale
Si riconosce la dimensione sociale (non individuale) delle scelte formative
Fallimenti delle privatizzazioni: il debito studentesco diventa facilmente insostenibile;
comportamento predatorio istituzioni scolastiche.
CURE MEDICHE
• Tutti I paesi avanzati, salvo USA, forniscono assicurazione sanitaria universale (in realtà solo
alcuni servizi sono universali, es fisioterapia no). Ciò è associato a un costo della sanità più alto
negli Stati Uniti che in Europa. C’è una ‘trappola’ dello status
quo, è difficile trovare consenso per un sistema che è
globalmente più efficiente - una grande parte degli elettori
che vota (ricchi) non vede benefici legati a un passaggio a
un sistema universale (non siamo abbastanza altruisti)
• I costi della sanità sono finanziati primariamente attraverso
la tassazione (altrimenti le cure sarebbero inaccessibili ai
poveri, limitazione dovuta a costi fissi assicurazioni
mediche)
SUPPORTO AL REDDITO
• Programmi a favore di gruppi specifici (disoccupati, DSA,
Poveri anziani, bimbi poveri)
• Tipicamente sostegno all’abitazione e all’alimentazione
• Programmi di formazione al lavoro e inserimento sociale
SISTEMI PENSIONISTICI
• Gli anziani perdono abilità e quindi redditi da lavoro.
• Gli individui, soprattutto se poveri, non riescono a risparmiare adeguatamente; ciò giustifica un
intervento statale per garantire livelli minimi di sussistenza agli ex lavoratori .
• Si istituiscono schemi obbligatori di risparmio finanziati attraverso contributi sociali, imposte e
risparmi individuali obbligatori.
• Ampia redistribuzione dei redditi tra generazioni
Negli usa hanno cominciato a introdurre il sistema pensionistico pagando i veterani della guerra su
secessione, perché spesso erano diventati inabili al lavoro. Anche in Francia c’è la tendenza a ridurre
la quantità di occupati di età >65 anni.
Negli usa questa tendenza si ferma a partire dagli anni 80, questo dipende dal cambiamento del tipo
di lavoro (meno sforzo fisico e più capitale umano). Anche oggi l’età pensionabile si sta alzando.
La Francia occupa in spesa sociale una percentuale alta del pil rispetto ad altri paesi.
L’Italia , salvo
le pensioni,
investe poco
per abbattere
la povertà.
Composizione della spesa sociale in Italia:
- 50%: vecchiaia , 216 miliardi a carattere
previdenziale, 7mil a caratt assistenziale.
- 20% sanità: 105 mil (= 9 per acquisti di
farmaci, 65 per sanità pubblica e 31 per
assistenza di operatori privati) -
7 % per famiglia, 24 miliardi
- 5% disoccupazione 19 miliardi per Naspi
- 2% esclusione sociale, 3 miliardi per spesa
dei comuni, social card, residenze popolari ecc
L’impatto sulla partecipazione al mercato del lavoro: in un’economia in cui il tasso di partecipazione
è basso, significa che molte persone non lavorano (in Italia è 65% , molto basso - il 35% non
partecipa ) quindi possono percepire un reddito di basic income , e c’è il rischio che la percentuale
della popolazione attiva diminuisca ancora di più, incentivata da questo reddito (come reddito di
cittadinanza). Il solo modo per evitare l’effetto depressivo su questo tasso di partecipazione è
esplicare un’effettiva condizionalità del sostegno al reddito.
Ma la condizionalità effettiva del sostegno del reddito implica la disponibilità di un know-how
semplificato e di una rete capillare di servizi efficienti .
Condizionalità:
La complessa architettura del reddito di cittadinanza, oltre alle misure di contrasto alla povertà, alla
disuguaglianza e all'inclusione sociale, prevede una serie di interventi di politiche attive per il lavoro.
L'obiettivo è quello di creare le condizioni che permettano l'attivazione del beneficiario, ovvero dei
componenti il nucleo famigliare, accompagnandoli in un percorso che porti all'inserimento o al
reinserimento lavorativo. In questa logica la fruizione del beneficiario è subordinata a misure di
condizionalità, a partire dalla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro (Did), colloqui di
orientamento, partecipazione a corsi di formazione, svolgimento di attività utili alla comunità, fino alla
accettazione di una offerta di lavoro "congrua".
Obblighi:
1. Patto per il lavoro: famiglie attivabili con percorsi lavorativi sono inviate ai centri per l'impiego per
la presa in carico
2. Patto per l'inclusione sociale: famiglie che presentano la multidimensionalità del bisogno legati
alla condizione di povertà economica e sociale sono indirizzate ai Comuni per la presa in carico
dei servizi sociali.
Il beneficiario è tenuto ad offrire sia nel patto per lavoro che nel patto per l'inclusione sociale, la
partecipazione a progetti utili alla collettività previste nell'ambito di progetti a titolarità dei Comuni di
residenza (gli ambiti sono i più disparati: culturale, artistico, sociale, ambientale) in misura non
inferiore ad otto ore e non superiore a 16.
Le famiglie che percepiscono direttamente il beneficio e che sono escluse da obblighi sono quelle
composte da persone già occupate, oppure che si trovano in condizioni di inoccupabilità, come i
minorenni, i pensionati che ricevono RdC, i beneficiari della Pensione di cittadinanza, chi ha più di
65 anni, i soggetti disabili o chi frequenta un regolare corso di studi/formazione, o chi nella
famiglia si prende cura di bambini con meno di 3 anni o con disabilità grave.
Obblighi in capo al beneficiario in età lavorativa
- Iscriversi e recarsi almeno due volte al mese presso il centro per l’impiego;
- Disponibilità e ricerca attiva di lavoro, sostenimento del colloquio di orientamento, frequenza a
percorsi di inserimento e formazione, partecipazione a progetti civici a livello comunale; Perdita
del beneficio:
- Violazione degli obblighi assunti;
- Sostenimento di più di tre colloqui di selezione con palese volontà di ottenere esito negativo;
- Rifiuto di più di tre proposte congrue di impiego;
- Recesso senza giusta causa dal contratto di lavoro per due volte nel corso dell’anno solare
Le critiche OCSE
• rischio di abusi nella percezione (falsi divorzi, disincentivo a cercare un lavoro), ma gli abusi ci
sono anche tra gli evasori del fisco e non per questo smettiamo di tassare.
• non adeguato per le famiglie più numerose, che sono più esposte al rischio povertà.
• Da importo del sussidio previsto i criteri di ammissibilità “forti disincentivi per i membri delle famiglie
a basso reddito ad entrare nel mondo del lavoro o ad accrescere il reddito lavorando più ore”.
Le proposte OCSE
• Sussidi ai lavoratori e un reddito minimo garantito a un livello moderato stimolerebbero
l’occupazione e ridurrebbero la povertà
• Abbassare e ridurre progressivamente nel tempo le prestazioni del Reddito di Cittadinanza e
introdurre un sussidio per i lavoratori occupati a basso reddito per incoraggiare i beneficiari a
cercare un impiego nel settore formale. I problemi sono la volontà politica di voler risolvere questi
disagi, e la macchina amministrativa, cioè l’effettiva distribuzione del reddito (in Italia è altamente
inefficiente)
• Migliorare e rafforzare i centri per l’impiego (Navigator?)
• Estensione dei voucher formativi già esistenti ai beneficiari del reddito di cittadinanza
• Cooperazione tra centri per l’impiego e i programmi di assistenza sociale dei comuni
LA SPESA PREVIDENZIALE
Tipi di pensioni:
1. Hanno diritto alla pensione di vecchiaia le persone che hanno cessato l’attività lavorativa per
limiti di età
2. mentre si parla di pensionamento anticipato (fino alla riforma Fornero si parlava di pensioni di
anzianità) per i trattamenti attribuiti a lavoratori che hanno raggiunto un certo numero di anni di
contribuzione.
3. Le pensioni di invalidità sono destinate alle persone che sono state vittima di un incidente per
cui non sono più in grado di svolgere l’attività che assicurava loro un reddito.
4. Le pensioni per i superstiti vanno a coloro che, anche se non hanno svolto un’attività lavorativa,
sono stati legati da vincoli familiari a lavoratori che sono deceduti.
5. Le pensioni sociali sono invece per le persone che sono prive di mezzi di sostentamento,
indipendentemente dal fatto che abbiano lavorato o meno.
Le prime due categorie di pensioni assolvono alla funzione che abbiamo detto previdenziale/
assicurativa (fa parte di un patto tra generazioni, cioè i lavoratori di oggi pagano per i pensionati di
oggi), mentre le altre possono essere considerate forme di intervento assistenziale.
Cenni storici
Le prime prestazioni sociali sono state erogate, in Italia e nel resto dell’Europa, dalle mutue
(=pensioni) create dalle singole categorie di lavoratori.
Con la diffusione dell’industria e con la formazione della classe operaia il sistema previdenziale è
progressivamente diventato obbligatorio e gestito da istituti pubblici.
In ritardo rispetto al resto dell’Europa, le pensioni di invalidità e vecchiaia sono state istituite per la
prima volta nel nostro paese nel 1864, per i soli impiegati dipendenti dello Stato.
Nel 1919 questi istituti sono stati resi obbligatori anche per gli operai dipendenti privati e solo nel
1939 sono state introdotte, a favore di questi stessi lavoratori, le pensioni per i superstiti.
Tra gli anni ’50 e ’60 la previdenza obbligatoria è stata estesa a tutte le categorie di lavoratori
(artigiani, commercianti ecc....) e alla fine degli anni ’70 sono state introdotte le pensioni sociali. La
crescita della spesa sociale che si è registrata fino alla fine degli anni ’70 si spiega con la progressiva
estensione degli interventi.
Mentre le ragioni dei disavanzi crescenti che si sono verificati nel corso degli anni ’80 e ’90 sono da
ricondurre al metodo di finanziamento degli enti previdenziali, all’andamento macroeconomico e
all’evolversi della struttura della popolazione.
Si è così formato un consistente debito previdenziale, ossia è diventata sempre più significativa la
differenza tra il valore attuale delle prestazioni previdenziali che lo Stato si è impegnato a pagare e
il valore attuale dei contributi sociali che verranno versati.
Con il prioritario intento di contenere la spesa, il sistema previdenziale italiano è stato radicalmente
modificato con le riforme Amato (d.lgvo 503/92) e Dini (L. 335/95). Successivi interventi su questa
materia sono stati fatti sotto il primo Governo Prodi (art. 59, L. 449/97) e con il secondo Governo
Berlusconi (L. 243/2004). Nel biennio 2009- 2011 sono stati adottati ulteriori provvedimenti destinati
a contenere la spesa pensionistica nel breve periodo. Infine, una modifica sostanziale della materia
è stata adottata dal primo Governo Monti (articolo 24, legge 214/2011) con la cosiddetta riforma
Fornero.
La tendenza demografica fa si che gli anziani sono sempre minori dei giovani, così che la spesa
delle pensioni si distribuisca tra più lavoratori.
Il patto tra generazioni permette di beneficiare sia dell’aumento della produttività sia dell’aumento
della popolazione.
- Con il sistema a capitalizzazione invece:
Dal semplice confronto delle equazioni che indicano la pensione pro capite nei due sistemi, si può
notare che, a parità di aliquota contributiva c, i due sistemi si equivalgono soltanto se il tasso di
interesse è pari alla somma del tasso di crescita della produttività e del tasso di crescita degli
occupati, approssimato per eccesso di m · n.
I sistemi pensionistici si possono distinguere anche a seconda del criterio utilizzato per definire
l’ammontare della pensione, che può essere calcolata facendo riferimento, alternativamente,
all’ammontare del salario del lavoratore o ai contributi versati.
- Nel primo caso, si parla di sistema retributivo e il salario considerato per definire la pensione
può essere quello dell’ultimo periodo dell’attività lavorativa o una media di quanto guadagnato
nell’intera vita lavorativa. Indipendentemente dalle modalità di calcolo, l’idea alla base del sistema
retributivo è quella che lo Stato assicuri al pensionato il mantenimento, nel secondo periodo della
sua vita, di uno standard di consumi simile a quello goduto durante il periodo in cui lavorava.
- Nel secondo caso il sistema contributivo e l’intervento pubblico mira a vincolare i singoli a un
risparmio forzoso in vista del periodo di inattività. Il tasso di remunerazione del capitale risparmiato
non è quello di mercato, come accade nei sistemi a capitalizzazione, ma è definito dalla legge a
priori.
In Italia, fino agli inizi degli anni ’90, il sistema previdenziale era a ripartizione di tipo retributivo e
caratterizzato non solo da un imponente debito previdenziale, ma anche da marcate differenziazioni
di trattamento tra categorie di lavoratori (dipendenti e autonomi) e tra settori dell’economia (industria,
agricoltura e servizi). Inoltre, per un lungo periodo di tempo, è stato fatto un uso distorto di alcune
prestazioni: le pensioni di anzianità e quelle di invalidità sono state utilizzate al posto dei sussidi alla
disoccupazione per gestire le fasi negative del ciclo economico e i processi di trasformazione della
produzione (c’era la pratica dei pre-pensionamenti in caso di crisi aziendali).
Dal punto di vista distributivo, l’ammontare della spesa previdenziale è tale per cui gli effetti sulla
distribuzione del reddito sono senza dubbio pari a quelli prodotti con il sistema tributario.
In termini generali, possiamo dire che tutti i sistemi pensionistici pubblici si basano su un qualche
patto tra generazioni e che l’aspetto più delicato delle riforme è proprio il fatto che va ridefinito questo
accordo tra lavoratori e anziani e il ruolo dello Stato come garante di tale patto.
C è una tassa sul salario, quindi il salario netto si riduce e di conseguenza l’offerta di lavoro si riduce.
Oppure devono aumentare i salari lordi, e ciò riduce la domanda di lavoro.
• il rapporto tra pensione pro capite e salario al netto dei contributi costante
Abbiamo 2 periodi in cui l'individuo riceve due dotazioni (I0 e I1). Poi abbiamo le
scelte di consumo al tempo 0 sulle ascisse e le scelte di consumo effeBvo al tempo 1
sull'asse delle ordinate. Le persone aMraverso l'accesso al mercato finanziario
possono far deviare il proprio consumo corrente, indebitandosi o risparmiando.
L'eccesso di consumo nel primo periodo deve essere compensato da un risparmio
nel secondo periodo, e viceversa.
Se l'individuo decide di risparmiare nel breve periodo si colloca sul punto E1. Se
esiste un programma di previdenza sociale, gli individui sanno che riceveranno
un rendimento nel secondo periodo (quando saranno vecchi). Nella misura in cui
il sistema pensionis5co non produce rendimen5 diversi da quelli che si possono
oMenere dall'accumulazione privata, abbiamo semplicemente una sos5tuzione
(al risparmio privato si sos5tuisce un risparmio forzoso, aMraverso l'intervento
pubblico) ma il risultato finale non cambierà. Il meccanismo si determina nella
misura in cui il tasso di interesse deve essere uguale. In questo caso è semplice
capire cosa succede. Quando il rendimento che si può oMenere contribuendo ad
un sistema pensionis5co pubblico è pari al tasso di rendimento che il risparmio
può oMenere nel mercato, abbiamo una situazione di indifferenza: i risparmi
priva5 vengono sos5tui5 dal sistema pensionis5co, e l'individuo si trova sempre
nella sua posizione E1.
Gli aspetti problematici del sistema pensionistico italiano prima delle riforme degli anni '90
1. Ampio ricorso alle pensioni di anzianità (le c.d. baby pensioni).
2. Uso improprio delle pensioni di invalidità.
3. Differenze marcate (per prestazioni assicurate e contributi richiesti) tra categorie, settori,
lavoratori dipendenti e autonomi (la c.d. “giungla contributiva”).
4. Era un sistema a ripartizione, di tipo retributivo e con un tasso di sostituzione fisso (la
pensione era una quota fissa di una media delle retribuzioni degli ultimi anni di lavoro).
Poiché il tasso di crescita della popolazione e quello della produttività sono oggi fortemente
ridotti, rispetto ai valori assunti negli anni ’70, poteva essere tenuto in equilibrio solo
aumentando l’aliquota contributiva
Con questo sistema di finanziamento e di patto tra generazioni, il tasso di sostituzione tra pensione
e retribuzione è fisso (1° tipologia).
LA RIFORMA AMATO
Con la riforma Amato è stata aumentata l’età (da 60 a 65 anni per gli uomini, da 55 a 60 anni per le
donne) per avere diritto alla pensione di vecchiaia (per la quale è necessario aver contribuito per
almeno 20 anni) o aver lavorato almeno 35 anni per avere la pensione di anzianità. Inoltre, sono stati
modificati sia i criteri di determinazione della retribuzione pensionabile sia i criteri di indicizzazione,
questi ultimi non più riferiti ai salari ma ai prezzi.
In particolare, è stato stabilito che la pensione fosse calcolata moltiplicando una percentuale (detta
tasso di rendimento) per la cosiddetta retribuzione pensionabile. Il tasso di rendimento era pari al
2% per ciascun anno di contribuzione, variando così da un minimo del 40%, per coloro che avevano
raggiunto i requisiti anagrafici e i 20 anni di contributi necessari ad avere la pensione di vecchiaia, a
un massimo dell’80%, per chi aveva 40 anni di contributi.
La retribuzione pensionabile era una media delle retribuzioni imponibili di tutti gli anni in cui il
lavoratore aveva contribuito, riferite a tutta la vita lavorativa, potendo escludere dalla media quelle
inferiori del 20%, a condizione che non superassero un quinto delle retribuzioni considerate.
Nel fare questa media le retribuzioni, percepite in anni diversi, erano rese omogenee nel tempo con
un calcolo di capitalizzazione che teneva conto del tasso di inflazione aumentato dell’1% per ogni
anno. La nuova disciplina pensionistica è stata allora applicata a chi era entrato nel mercato del
lavoro nel 1994, non ha interessato coloro che all’epoca erano già pensionati e solo modestamente
coloro che erano già in attività.
LA RIFORMA DINI
La riforma Dini ha trasformato il sistema pensionistico italiano da sistema a ripartizione di tipo
retributivo a sistema a ripartizione contributivo, ed era previsto che si applicasse integralmente a
coloro che sono entrati nel mercato del lavoro a partire dal 1996.
Per coloro che al 1° gennaio 1996 erano già entrati nel mercato del lavoro ma avevano meno di 18
anni di contribuzione è stato applicato il sistema pro-rata, per cui una parte della pensione viene
calcolata con il sistema retributivo e una parte con il sistema contributivo (per questo spesso si parla
anche di sistema misto). Per coloro che avevano più di 18 anni di contribuzione al 31 dicembre 1995
si continuava ad applicare il regime definito dalla legge Amato. Questa distinzione tra generazioni di
lavoratori in base all’anno di ingresso nel mercato del lavoro ha rilevanti implicazioni di tipo
distributivo ed è stata recentemente modificata dalla riforma Fornero
Con il regime Dini la pensione è calcolata moltiplicando il montante contributivo, ottenuto applicando
l’aliquota del 33% alle retribuzioni, per un saggio pari alla media mobile quinquennale del tasso di
variazione del PIL nominale. Questo ammontare è moltiplicato per un coefficiente, detto di
trasformazione, che serve a garantire l’uguaglianza tra monte contributivo e monte pensioni e varia
a seconda dell’età del pensionamento: la pensione è tanto più alta quanto più anziano è il pensionato
e, quindi, quanto più è bassa la sua speranza di vita. Il coefficiente di trasformazione, diminuendo
l’importo delle pensioni al diminuire dell’età del pensionamento ha automaticamente disincentivato
le pensioni di anzianità.
LA RIFORMA FORNERO
La riforma Fornero (articolo 24, legge 214/2011) ha apportato modifiche sostanziali al sistema
pensionistico modificando i requisiti di accesso, il meccanismo del calcolo degli assegni, dei
coefficienti di trasformazione nonché di alcune aliquote contributive. Tutte queste misure hanno il
duplice obiettivo di ridurre la spesa e di migliorare l’equità tra generazioni rispetto al sistema
introdotto dalla riforma Dini
A proposito dei requisiti di accesso la legislazione vigente prevede due canali di accesso al
pensionamento: il pensionamento di vecchiaia e quello anticipato. Possono accedere al
pensionamento di vecchiaia coloro che abbiano almeno 20 anni di contributi e un’età anagrafica che
nel 2020 sarà uguale per tutti e pari a 67 anni. Il pensionamento anticipato richiede una minore età
anagrafica ma ha requisiti contributivi più stringenti (per gli uomini: 42 anni e 3 mesi; per le donne,
41 anni e 3 mesi).
Il calcolo degli assegni avverrà con metodo contributivo uguale per tutti a partire dal 1° gennaio 2012.
Ciò significa che anche per coloro che avevano più di 18 anni di anzianità lavorativa nel 1995 si
applica il sistema misto, in cui la pensione è calcolata con il metodo retributivo fino al 2011 e con
quello contributivo dal 2012.
La riforma Fornero ha incontrato numerose difficoltà dovute all’insufficienza di risorse previste per
tutelare le aspettative dei cosiddetti «esodati». Rientrano in questa categoria sia i soggetti prossimi
al raggiungimento dei requisiti pensionistici al momento dell’adozione della nuova normativa, sia
quelli da poco fuoriusciti dal mercato del lavoro. In particolare, per questi ultimi si è reso necessario
applicare la normativa previgente, e prevedere specifiche risorse finanziarie, perché l’uscita dal
mercato del lavoro era avvenuta nell’aspettativa della maturazione del diritto alla pensione.
Nel quadro delineato dalla riforma Fornero, la legge di Bilancio 2017 (L. 232/2016) ha introdotto delle
misure sperimentali con l’obiettivo di rendere più flessibile l’uscita dal mercato del lavoro e al
contempo fronteggiare eventuali situazioni di disagio che questa scelta potrebbe comportare. In tal
senso, sono misure che si situano al confine tra previdenza e assistenza. In particolare, dal 1°
maggio 2017 sono entrati in funzione i cosiddetti Anticipi Pensionistici (APE)
gli scenari di valutazione
Per valutare la sostenibilità macroeconomica del nuovo sistema dopo la riforma Dini, si riprenda la
formula che definisce la pensione pro capite in un sistema a ripartizione. Se ne deriva che:
• la pensione pro capite e la spesa pensionistica aumentano al crescere del tasso di
crescita del PIL;
• a differenza del sistema retributivo, gli squilibri finanziari non si possono correggere
aumentando l’aliquota contributiva, perché una tale manovra causerebbe un aumento
della pensione pro capite. Questo è un pregio, perché se ci fosse convenienza ad
aumentare l’aliquota, provvedimenti in questa direzione scoraggerebbero il lavoro,
aumentando la differenza tra salario lordo e netto, o meglio scoraggerebbero il lavoro
regolare;
• si tratta comunque di un sistema a ripartizione, quindi soggetto al rischio demografico:
se la popolazione non cresce, un numero ridotto di lavoratori deve sostenere una spesa
per pensioni sempre più onerosa
• A proposito degli aspetti distributivi, il processo di riforma iniziato con i provvedimenti del
Governo Amato aveva scaricato gran parte dell’onere del riequilibrio dei conti sulle nuove
generazioni, ossia su coloro che agli inizi degli anni ’90 avevano appena cominciato a
lavorare o che hanno cominciato a lavorare in questo decennio
• Su questo aspetto la riforma Fornero prevede una ripartizione dell’onere della correzione
dei conti pubblici più equilibrata dal punto di vista generazionale: gli incentivi a
posticipare il pensionamento sono stati estesi a tutte le generazioni di lavoratori e
comporteranno un aumento generalizzato dell’età di quiescenza, con conseguente
aumento dell’assegno medio, oggi meno diseguale tra generazione presenti e future
Andamento del tasso di sostituzione lordo secondo la normativa vigente e quella precedente la riforma
QUOTA 100
Si tratta di una riforma pensionistica che agevola l’accesso alla prestazione previdenziale,
allargandone le maglie fino a includere i lavoratori la cui età, sommata agli anni di lavoro dia il
risultato di 100 (ma con dei vincoli minimi, 62 anni di età e almeno 38 di contributi). Tutela
lavoratori anziani – Indebolisce legge Fornero
L'ipotesi di partenza è che il prepensionamento dei lavoratori si tradurrebbe automaticamente in
nuova occupazione giovanile. La maggior parte dell'evidenza empirica punta verso un effetto non
significativo sull'occupazione giovanile nel lungo periodo, mentre degli effetti positivi possono
verificarsi nel breve periodo e in situazioni di mercato del lavoro particolarmente rigido, nelle fasi in
cui il sistema economico adegua la composizione della sua forza lavoro al nuovo impianto
previdenziale. In Italia nel 2019 tasso di rimpiazzo= 42%!!!!!
Parte 4
Modelli di crescita
MODELLO DI SOLOW: ESTENSIONI
Il punto principale di questo capitolo è: una crescita sostenuta richiede il progresso
tecnologico. Il progresso tecnologico dipende sia dall’innovazione sia dalle istituzioni.
Il problema è capire l'organizzazione della società, per capire poi come si creano le decisioni.
Il grafico (in prospettiva storica, dall’Anno Mille) ci dice che la crescita è un fenomeno relativamente
recente, solo con la rivoluzione industriale inizia il processo di crescita.
Inoltre, vediamo (in grafico) che la crescita non è inoltre equamente distribuita. In africa avviene una
decrescita, ma anche altri paesi hanno avuto tassi di crescita negativi in 40 anni (non solo in Africa).
In altri paesi crescita spettacolare oltre il 7% (concentrati primariamente in Asia, ma con la notevole
eccezione del Botswana). I paesi più ricchi si collocano in posizioni intermedie.
Il fatto che vi siano diversi tassi di crescita si può spiegare in 2 modi:
1. i paesi più poveri crescono più rapidamente anche importando tecnologie dai paesi
avanzati;
2. oppure gli stessi paesi più poveri non hanno importato tecnologie perché non riescono a
sviluppare capitale umano, infrastrutture e istituzioni (non convergenza).
I paesi poveri nel 1960 sono altamente dispersi, quindi non si può parlare di convergenza per
l’economia globale (se prendiamo gli ultimi sessant’anni).
Però se noi guardiamo i grandi paesi europei abbiamo una evidenza di convergenza. Il Regno Unito
cominciò la rivoluzione industriale a fine 1700, possedeva una ricchezza superiore agli altri paesi
europei (nel 1860 produceva moltissima innovazione; la Scozia, contribuiva moltissimo allo sviluppo
delle scienze). La Germania e la Francia arrivano a convergere prima della Seconda guerra
mondiale. L’Italia rimane indietro, la vera convergenza si ha dopo la Seconda guerra mondiale. Cosa
è successo dopo gli anni 50? Si costruisce un mercato europeo che consente all’Italia di incentivare
il processo di crescita. Il grande beneficio è stato per l’Italia più che per qualunque altro paese.
Anche altri paesi hanno avuto una dinamica di ripresa (Spagna e portogallo):
dopo la Seconda guerra mondiale non entrano subito nel mercato europeo,
solo alla fine riesce a crescere notevolmente. Eviden5 segni di convergenza
anche tra gli sta5 degli sta5 uni5: hanno in comune il mercato, la poli5ca
monetaria, regole comuni per il commercio estero... Per soMoinsiemi
abbiamo convergenza: vi sono grandi differenze nei tassi di crescita
nazionali, e non osserviamo nessuna convergenza nell'economia globale.
Vi sono 3 ragioni per cui il prodotto pro-capite (misura del benessere) aumenta:
Il prodotto pro-capite cresce perché la popolazione in età attiva aumenta (sul totale della
popolazione), oppure perché lavora più ore, oppure perché si aumenta l'efficienza della
produzione (si accumula capitale). Un aumento dell'istruzione obbligatoria diminuisce il prodotto
(effetto di breve periodo negativo) ma nel tempo potrebbe aumentare la produttività per ora lavorata
(effetto di lungo periodo positivo, che compensa l’effetto negativo). Se la popolazione invecchia, si
riduce la percentuale di persone in età attiva. Approssimativamente la crescita del GDP pro-capite
si scompone nella crescita della produttività (produttività del lavoro), nella crescita dello sforzo
(quante ore lavorano le persone attive) e dalla variazione della partecipazione al mercato del lavoro.
Cosa determina la produttività del lavoro: accumulazione di capitale (macchinari, impianti e
stabilimenti), ma anche cambiamenti tecnici, nuove tecnologie, e organizzativi, accumulazione di
capitale umano.
Ci concentriamo su progresso tecnologico, che permette di generare più produzione a parità di
capitale lavoro.
Il progresso tecnologico può manifestarsi in diversi modi:
• generare più produzione a parità di capitale e lavoro;
• consentire una produzione di migliore qualità;
• portare alla realizzazione di nuovi prodotti;
• ampliare la gamma dei prodotti disponibili.
Supponiamo che beni di investimento e beni di consumo siano prodotti con la medesima tecnologia,
così Pk(t)=1, quindi il costo d'uso del capitale in t diventa:
Riassumendo:
le imprese domandano capitale fino a quando il rendimento marginale del capitale è uguale al tasso
di rendimento lordo di mercato del capitale, e in questo mercato gli investimenti sono uguali ai
risparmi (la flessibilità del tasso di interesse nel mercato finanziario fa sì che I=S).
𝑀𝑃𝐾(𝑡 + 1) = 𝑟(𝑡 + 1) + 𝛿 𝐼(𝑡) = 𝑆(𝑡)
Quindi il tasso di interesse in questo modello ha un ruolo centrale, serve a far muovere gli
investimenti. Noi abbiamo ottenuto il modello semplice tolto la risposta di S a R: in linea di principio,
se il tasso di interesse aumenta, i risparmi aumentano (i risparmi rispondono al tasso di interesse).
Il prodotto marginale del capitale (profitto marginale dell'investimento) al tempo (t+1) è uguale al
rendimento lordo del capitale al tempo t. Lo stesso risultato si ottiene dall'uguaglianza tra risparmio
(in t) ed investimento (in t).
Allo stesso modo, le imprese domandano lavoro fino a quando la produttività del lavoro è uguale al
salario in termini reali (che si paga sul mercato del lavoro); c’è un rendimento del capitale, che
dipende dal tasso di interesse che si paga alle banche e ad un deprezzamento del capitale che
determina la domanda di investimento.
MPL(t)=w(t)
MPK(t)=R(t)
Ridefinendo il modello in variazioni nel tempo continuo:
Il capitale varia nel tempo in una misura pari alla differenza tra l'incremento di capitale (dato
dall'investimento lordo I) e il suo decremento (dato da δK(t), ovvero il deprezzamento subito dal
capitale, il suo consumo dovuto alla produzione). Poiché si ipotizza che il risparmio sia uguale
all'investimento, si può scrivere anche come differenza tra risparmio e deprezzamento. Quando gli
investimenti o i risparmi sono superiori al deprezzamento del capitale si riesce ad accumulare
capitale. La condizione per cui lo stock di capitale non cambia è quella in cui l’investimento copre lo
stock di capitale consumato.
Il risparmio lo possiamo anche scrivere come sY(t), dove s è il tasso di risparmio. La variazione dello
stock di capitale dipende dalla differenza tra i risparmi e il deprezzamento del capitale. Poiché
abbiamo una funzione di produzione 𝑌(𝑡) = 𝐹(𝐾(𝑡), 𝐴(𝑡), 𝐿(𝑡)), definisco A(t) come efficienza del lavoro
(progresso tecnologico, che adesso è in funzione del tempo) e poi dipende da L(t) che è la quantità
di lavoro; inserendo la funzione di produzione nella equazione dinamica del capitale: si ottiene
l'equazione dinamica di equilibrio del capitale 𝐾 = 𝑠𝐹(𝐾, 𝐴𝐿) − 𝛿𝐾.
La dinamica del capitale dipende dalla produzione (più produzione ho più risparmi e investimenti
ho), dal tasso di risparmio (più grande è il tasso di risparmio più accumulo capitale, perché ho più
risorse per gli investimenti) e dipende negativamente dal deprezzamento del capitale.
Il tasso di crescita proporzionale del capitale detrendizzato dipende dal tasso di crescita dello stock di
capitale in termini proporzionali ma dipende anche (negativamente) dalla crescita di A e di L (perché
sto utilizzando 𝑘𝑡 ). La crescita di 𝑘𝑡 dipenderà positivamente dalla crescita di K (che nella formula di
𝑘𝑡 si trova al numeratore) e negativamente dalla crescita di AL (che si trovano
al denominatore).
La dinamica del capitale per unità di lavoro effettivo è uguale ai risparmi per il prodotto in unità di
lavoro effettivo meno il break-even investment. Per mantenere stabile il capitale bisogna mettere da
parte il capitale consumato nel processo produttivo. In realtà quando guardiamo il modello
macroeconomico le cose sono più complicate, perché cresce la popolazione: se cresce la
popolazione, per avere un prodotto pro-capite costante abbiamo bisogno di mettere da parte il
capitale; altrimenti i nuovi non hanno abbastanza capitale, quindi si diluisce il prodotto pro-capite che
quindi scenderà. Per avere break-even (capitale pro-capite costante con crescita della popolazione)
dobbiamo aumentare i risparmi. Quindi break-even investment definisce il totale dei risparmi che
dobbiamo avere per mantenere costante lo stock di capitale. Per adesso abbiamo guardato a tre
aspetti:
1. Il capitale si deprezza, dobbiamo ricostituirlo, quindi abbiamo bisogno di risparmi (se no
oggi siamo apparentemente ricchi e domani saremo poveri).
2. Abbiamo crescita della popolazione, dobbiamo aumentare ulteriormente i risparmi, perché
altrimenti domani saremo più poveri di oggi, in quanto non avremo dato abbastanza capitale
alle nuove generazioni.
3. gA fa riferimento al fatto che voglio analizzare delle variabili che sono prive di trend,
quindi questo già cattura una caratteristica del sentiero di crescita bilanciata. Se noi fossimo
in una situazione in cui la conoscenza continua a crescere e il capitale non crescesse, di
fatto il capitale tenderebbe a zero rispetto alla crescita del prodotto. Non possiamo avere
una crescita bilanciata (non abbiamo equilibrio). Per avere il capitale per unità di lavoro
efficiente costante devo avere abbastanza capitale da un periodo all’altro per tenere in
relazione la crescita del capitale con la crescita della conoscenza. Altrimenti ho una funzione
di produzione in cui il capitale non cresce.
Quindi devo trattare una relazione in cui la dinamica del capitale in unità di lavoro efficiente è
spiegata come differenza in ogni unità di tempo tra i risparmi in unità di lavoro efficiente e il breakeven
investment, cioè quell’ammontare di risparmi che compensa il fatto che abbiamo deprezzamento del
capitale, crescita della popolazione (dobbiamo dare anche ai nuovi venuti il capitale che dobbiamo
dare a tutti gli altri) e poi una crescita del capitale per tenere il passo con l’aumento della conoscenza.
Domande cui vogliamo rispondere utilizzando il modello:
1. Cosa succederà in stato stazionario al capitale in unità di efficienza?
2. E al prodotto in unità di efficienza?
3. E ai salari e ai tassi di interesse?
Sull’asse y abbiamo il prodoMo in unità di lavoro efficiente (senza un trend: quindi se 𝑦̃𝑡
dovesse avere un valore costante significa che Y cresce in misura pari alla somma dei
tassi di crescita della popolazione e della conoscenza).
Sulle x abbiamo il capitale per unità di lavoro efficiente. La linea traMeggiata è la
funzione di produzione. Poi abbiamo i risparmi che stanno sempre soMo la funzione di
produzione.
La reMa rosa è la reMa del break-even investment, che vincola il modello ad avere uno stato
stazionario: quando l’economia comincia a produrre, il prodoMo aumenta più del break-even
investment (quando il capitale è scarso rispeMo al lavoro normalizzato per l’efficienza, succede
che la produBvità del capitale è molto alta, quindi mi aspeMo che la produzione aumen5 più di
quanto aumen5 il break-even investment. Ma se questo accade, avremo una accumulazione di
capitale, perché i risparmi – reMa verde – sono superiori al break-even investment, quindi
abbiamo un eccesso di capitale). L’aumento del capitale fa scendere la produBvità marginale del
capitale, fa scendere il tasso di interesse e si con5nua così. Finché la curva verde sta sopra la reMa
fucsia, l’economia cresce in unità di lavoro efficiente. Poi si arriva al punto di BGP, il punto di stato
stazionario in cui il capitale in unità di lavoro efficiente non aumenta più, perché i risparmi
servono esaMamente a compensare il break-even investment, ovvero a compensare il
deprezzamento del capitale nel processo produBvo, servono a meMere da parte lo stock di
capitale che abbiamo raggiunto qui per le nuove generazioni, serve a compensare la crescita
della tecnologia quindi a mantenere il capitale in equilibrio con la crescita della conoscenza, e
quindi a mantenere costante il capitale in unità di lavoro efficiente.
L’equazione dinamica del capitale, dal punto di vista grafico è data dalla differenza tra la curva dei
risparmi e la retta del break-even investment.
È rappresentata quindi da questa equazione dinamica:
Si oBene quindi che il tasso di variazione proporzionale del capitale in unità di lavoro efficiente (è
una variabile stazionaria nel lungo periodo) è pari a s per il prodoMo medio del capitale meno il
coefficiente angolare della reMa del break-even investment.
Le reMe tangen5 sono la produBvità marginale del capitale: scegliendo la funzione
di produzione, per un certo stock di capitale, noi sappiamo quanto è la produBvità
marginale del capitale (di quanto aumenta il prodoMo con una variazione
infinitesima dello stock di capitale). Quello che si vede è che man mano che
aumenta lo stock di capitale, l’inclinazione della tangente con5nua a scendere
(fruMo della concavità della funzione di produzione: ci sono dei rendimen5
marginali della funzione di produzione man mano che accumuliamo capitale per
unità di lavoro efficien5).
La curva rossa rappresenta il modo in cui cresce il capitale, ipo5zzando la reMa verde
come sen5ero di crescita bilanciata. Il paese ha una economia piccola, nel senso che
ha poco capitale, ma ha la stessa tecnologia dei paesi più sviluppa5:
quindi deve solo accumulare capitale; più rapidamente lo accumula e più rapidamente
converge (è un modello semplicis5co). Nella realtà ci possono essere molte più
complicazioni.
Man mano che il capitale si accumula nel corso del tempo, la crescita del capitale in
unità di lavoro efficiente tende a zero (perché si va verso lo stato stazionario)
𝛼
Quindi alla fine abbiamo che il prodotto in unità di lavoro efficiente è: 𝑦̃ 𝑡 = (𝑘 𝑡 ) , 0 < α < 1
Partendo da uno stock di capitale basso, rispetto al sentiero di crescita bilanciata di y, avendo noi il
capitale basso, abbiamo inizialmente un prodotto basso. Ma così come il capitale converge, anche
il prodotto converge al suo valore di stato stazionario. L’economia del mondo reale inizialmente ha
una crescita del prodotto più rapida di quella che si osserva nel sentiero di crescita bilanciata (perché
sta accumulando capitale più velocemente). Poi piano piano il tasso di crescita rallenta e raggiunge
il livello del tasso di crescita bilanciato.
Il salario in questo modello è definito dalla produttività marginale del lavoro, è un mercato
concorrenziale e il prodotto marginale del lavoro è dato dalla derivata della funzione di produzione
rispetto ad L. Il salario per unità di lavoro è contraddistinto da un tasso di variazione percentuale
(sulla base di questa formula in basso a destra) che è uguale al tasso di variazione percentuale del
prodotto per unità di lavoro.
Il salario reale è una frazione costante del prodotto per lavoratore.
Cosa succede al tasso di rendimento del capitale? In questo sistema la crescita della conoscenza
determina la crescita di stock di capitale pro-capite. Lo stock di capitale pro-capite determina la
crescita della produttività del lavoro insieme alla crescita della conoscenza. Fin qui possiamo
spiegare la crescita dei salari. Ma la crescita del capitale pro-capite determina la caduta della
produttività marginale del capitale: il tasso di rendimento netto del capitale (uguale alla produttività
marginale del capitale meno 𝛿). Facendo la derivata della funzione di produzione rispetto al lavoro,
ottengo che è uguale alla produttività marginale del capitale (derivata del prodotto rispetto allo stock
di capitale) meno 𝛿. Il capitale per unità di lavoro efficiente, man mano che aumenta, produce una
riduzione della produttività marginale (è sempre positiva, ma diminuisce all’aumentare di k tilde). Ma
quando k tilde raggiunge lo stato stazionario noi abbiamo lo stato stazionario del tasso di rendimento
del capitale. Quindi il tasso di rendimento del capitale, in questo modello, in stato stazionario, è una
costante, non cresce come il salario. La quota dei redditi da capitale è costante nel modello perché,
per un tasso di interesse costante, aumenta lo stock di capitale (esattamente come aumenta il
prodotto).
Il tasso reale CADE fino a quando aumenta il capitale in unità efficien5 di lavoro
Il livello di investimento necessario per mantenere un dato livello di capitale per unità di lavoro
effettivo è dato da: 𝐼 = (𝛿 + 𝑔𝐴 + 𝑔𝑁)𝐾
In modo più preciso, l'ammontare di investimento per unità di lavoro
La dinamica del capitale per unità di lavoro effettivo e del prodotto per unità di lavoro effettivo Per
(K/AN) , il prodotto per unità di lavoro effettivo è pari alla distanza AB. L’investimento è dato da AC.
L’ammontare di investimento richiesto per mantenere quel livello di capitale per unità di lavoro
effettivo è pari ad AD.
Poiché l’investimento eccede quanto richiesto, per mantenere costante il livello di capitale per unità
di lavoro effettivo K/AN aumenta.
Partendo da (K/AN) , l’economia si muove verso destra, con un livello crescente di capitale per per
unità di lavoro effettivo. In stato stazionario, il capitale e il prodotto per unità di lavoro effettivo sono
costanti e pari rispettivamente a (K/AN) e (Y/AN) .
0 0
In stato stazionario, il tasso di crescita della produzione è uguale al tasso di progresso tecnologico
(gA) più il tasso di crescita della popolazione(gN). Sia (gA) (gN) non dipendono dal tasso di
risparmio.
Di conseguenza, il tasso di crescita della produzione è indipendente dal tasso di risparmio. In stato
stazionario il prodotto per lavoratore cresce al tasso di progresso tecnologico.
𝛼 1−𝛼 (1−𝛼)𝑙𝑛𝑁
𝑌=𝑧𝐾 𝑁 ⇒𝑙𝑛𝑌=𝑙𝑛𝑧+𝛼𝑙𝑛𝐾+
z è una misura del progresso tecnico; nel modello teorico avevamo A elevato a (1-α). Calcolo la
differenza tra il logaritmo di Y in t+1 e in t: ln𝑌 −ln𝑌 =ln𝑧 −ln𝑧 +𝛼(ln𝐾 −ln𝐾)+(1−𝛼)(ln𝑁 −ln𝑁)
Tutte queste variabili sono individuabili con particolari calcoli statistici. Questa contabilità della
crescita non tiene conto di un fattore importante che è il capitale umano, tratta le ore lavorate come
unica misura del fattore lavoro (in realtà il lavoro si potrebbe misurare anche dal lato della qualità).
Ma noi potremmo aggiustare questa relazione anche per tenere conto dell'accumulazione
di capitale umano. Il capitale umano tipicamente si misura con indici di scolarità.
La variabile z in realtà non si osserva, la differenza tra il logaritmo di Y e logaritmo di K e di N è data
da una variabile non osservata. Per quanto riguarda i parametri α e 1-α, se uso come punto di
riferimento la funzione Cobb-Douglas, io so che α è la misura della quota dei redditi da capitale in
un paese. Quindi cerco di capire se è confermato dai dati se questa quota rimane grossomodo
costante. A quel punto, siccome varia normalmente tra il 30 e il 40%, mi basta osservare i dati ed è
relativamente facile attribuire un valore ad α.
La variabile z non è osservata, ma noi la possiamo facilmente trattare come un residuo (infatti è
definita come residuo di Solow), perché dal modello di Solow poi diventa facile interpretare z e
soprattutto diventa facile interpretare il tutto in tassi di crescita (ovvero nelle differenze
logaritmiche).
Noi possiamo dire che concettualmente il tasso di crescita del prodotto nazionale è spiegato
dall'accumulazione di conoscenza (spiegata dal residuo di Solow, che non necessariamente è la
misura della tecnologia). Poi abbiamo che una parte della crescita è spiegata dall'accumulazione di
capitale, in proporzione al parametro α, e una parte di crescita è spiegata dall'accumulazione di
lavoro in proporzione al parametro 1-α. Qui abbiamo, come detto in precedenza, trascurato
l'accumulazione di capitale umano. Posto che la crescita è spiegata in questo modo, siccome non
osserviamo z ma solo le altre variabili, possiamo ottenere dall'osservazione delle altre variabili
(nell'ipotesi che possiamo fare rispetto al valore del parametro α) questa variabile non osservata
come il residuo di Solow. In realtà dovrebbe essere corretto per l'accumulazione di capitale umano,
però una volta fatto non cambierebbe la logica.
IL TFP
TFP (total factor productivity) spiega gran parte delle differenze di GDP per lavoratore. Un paese
può essere relativamente inefficiente perché:
• Usa tecnologie che non sono sulla frontiera tecnologica
• Usa la tecnologia efficiente in modo inefficiente, il lavoro può essere usato in modo
inefficiente, l’organizzazione delle imprese (qualità dei manager) può essere inefficiente, la
burocrazia può essere un ostacolo, I mercati possono funzionare male, le politiche possono
essere di cattiva qualità.
Nel contesto della contabilità della crescita, quando io guardo al livello del prodotto posso dire che il
livello di z dipende dall'efficienza del sistema e dal livello di conoscenza incorporato nei processi
produttivi. Posso produrre relativamente poco perché spreco gran parte dei fattori produttivi in attività
improduttive (cattiva qualità del management, inefficienza della burocrazia...) ho il lavoro qualificato
ma non lo uso bene... quando parlo della crescita conta come evolve il concetto di efficienza: la
qualità del management, l'inefficienza della burocrazia, sono variabili che variano poco nel tempo.
Mentre il progresso tecnico continua a variare.
Però esiste una relazione: è possibile che una inefficienza rallenti la crescita del progresso tecnico
incorporato. Quindi l'inefficienza impatta per via diretta sul livello di z molto di più di quanto non
impatti sul tasso di crescita di z; però indirettamente l'inefficienza del sistema può indurre a
incorporare relativamente poco gli effetti della crescita potenziale della conoscenza.
Le determinanti socioeconomiche e tecno-manageriali della TFP sono
- L’efficienza socioeconomica dipende dalle istituzioni, regole del gioco, e dalle politiche
- Tecnologia e management; quali tecnologie si usano, come si usano, come sono organizzate
le imprese
LE DETERMINANTI DEL PROGRESSO TECNOLOGICO
La maggior parte del progresso tecnologico è il risultato dell’attività di ricerca e sviluppo (R&S) svolta
dalle imprese. In molti paesi avanzati la spesa in ricerca e sviluppo ricopre tra il 2 e il 3% del Pil. Uno
dei grandi limiti del modello di Solow è che il modello non tratta in modo soddisfacente le attività di
ricerca e sviluppo, che nei fatti risultano endogene al sistema produttivo.
INNOVAZIONE VS IMITAZIONE
Risulta rilevante compiere la distinzione tra crescita per innovazione e crescita per imitazione.
Per sostenere la crescita economica, i paesi avanzati devono innovare.
I paesi più poveri possono invece limitarsi a imitare per crescere, in quanto ancora lontani dalla
frontiera tecnologica. Ciò spiega perché alcuni paesi tecnologicamente meno avanzati abbiano una
legislazione insufficiente in termini di brevetti.
La crescita economica è determinata da numerosi fattori. Tra questi, le istituzioni svolgono un ruolo
chiave. Quando gli economisti parlano di istituzioni, si riferiscono principalmente alla protezione del
diritto di proprietà. Se per esempio i diritti di proprietà sono fortemente tutelati, gli individui sono
maggiormente incentivati a investire in capitale e tecnologia. In concreto, “protezione dei diritti di
proprietà” significa: un buon sistema politico, un buon sistema giudiziario, leggi contro l’insider
trading, leggi che proteggano i brevetti, leggi antitrust, apertura al commercio internazionale,
educazione e allocazione dei talenti (conviene lavorare in uno studio notarile o in una società di
biotecnologie? Stabilità politica? Accesso all’istruzione?)
IL TASSO DI CONVERGENZA
Convergenza: tendenza delle economie povere a crescere più rapidamente delle economie ricche.
È implicito nel modello di Solow, ma non è nei dati. Il fatto di avere lo stato stazionario nel modello
implica che si converga lì. Lo stato stazionario è una situazione in cui l'economia cresce con un tasso
di crescita bilanciato. Chi sta convergendo a quello stato stazionario deve crescere più velocemente,
e la velocità della crescita è dovuta ad una maggior accumulazione di capitale. La crescita dei poveri
deve essere più rapida dei paesi ricchi (anche se nella maggior parte dei casi non avviene).
Convergenza condizionata: ogni economia converge verso il proprio stato stazionario, determinato
dai propri tassi di risparmio e di crescita della popolazione. Vi possono essere differenze tra i paesi
che sono esogene, il modello è silente su queste cose. Se vi sono queste differenze gli stati
stazionari sono diversi anche se le tecnologie incorporate sono identiche. È una complicazione che
il modello di Solow può facilmente incorporare.
Nella realtà, anche quando si osserva una convergenza fra i paesi, questa è molto lenta rispetto a
quanto si osserverebbe con una semplice parametrizzazione del modello di Solow. Il modello
neoclassico prevede un tasso di convergenza più veloce rispetto alle stime ottenute in molti studi.
IL CAPITALE
Un punto di partenza può essere cambiare il concetto di capitale:
Tradizionalmente il capitale veniva inteso come lo stock di attrezzature e strutture (immobili,
capannoni, macchine). Il rendimento del capitale era dato dal profitto ricevuto dal proprietario delle
attrezzature.
Oggi il concetto di capitale è cambiato: una parte dei benefici che derivano dall'accumulazione del
capitale potrebbero derivare non solo dalle azioni che i proprietari del capitale mettono in atto, le loro
scelte di accumulazione individuali, ma anche da altro.
Il rendimento del capitale non è completamente internalizzato dal suo proprietario, è un tentativo di
andare oltre al modello neoclassico.
Questo ha a che vedere con il concetto di bene pubblico della conoscenza. Se l'accumulazione di
capitale comporta che si incorpori conoscenza nei nuovi beni capitali, ci possono essere poi delle
𝑎
esternalità. Supponiamo che una impresa individuale abbia una f di produzione: 𝑌𝑖 = 𝜃𝐾 𝑖 (dove θ
è un parametro che l'impresa prende come un dato, è la capacità del sistema di accumulare
capitale).
Inoltre, a causa dell'esternalità sul capitale, la tecnologia disponibile per ogni impresa è determinata
dal livello medio del capitale. Quindi la capacità di produzione è possibile che non sia interamente
competenza imprenditoriale interna, ma sia una funzione del livello medio accumulato nell'economia
che incorpora certe conoscenze.
𝑏
Più capitale c'è nell'economia, più produttivo è il capitale che io, imprenditore, sto usando: 𝜃 = 𝐾
Aumentando lo stock di capitale, si contribuisce ad aumentare l'efficienza media del sistema e non
mi approprio di tutti i benefici, perché non riesco ad internalizzare tutti i benefici.
Se aggrego attraverso tutte le imprese (come si fa nel modello di Solow) arrivo ad avere una
𝑎+𝑏 funzione
di produzione aggregata in cui ho aggregato il capitale, e avrò: 𝑌 = 𝐾
Il problema è che qui abbiamo un’esternalità derivante dall’accumulazione di capitale, perché i
proprietari delle imprese percepiscono una produttività marginale del capitale che dipende da A, non
da a+b. Si parla di esternalità positiva , fa si che la produzione (offerta) privata di capitale è troppo
bassa per il benessere collettivo.
L'appropriabilità dei rendimenti del capitale dipende dal parametro a: l'impresa accumula capitale e
domanda capitale fino a quando il prodotto marginale del capitale è uguale al rendimento che
l'impresa deve pagare sul mercato per i prestiti e i finanziamenti che ottiene più il deprezzamento
del capitale.
Ma per pagare il capitale l'impresa sostanzialmente si occupa dell'effetto di a: la produttività
𝑎−1
marginale del capitale per la singola impresa è 𝑀𝑃𝐾𝑖 = 𝑎𝜃𝐾
𝑎+𝑏−1
Mentre dal punto di vista sociale, il prodotto marginale del capitale è: 𝑀𝑃𝐾 = (𝑎 + 𝑏)𝐾
Questa è l'essenza della natura di bene pubblico dell'accumulazione di capitale. Quindi a parità di
capitale le imprese si muovono con una produttività marginale del capitale percepita pari a
𝑎−1
𝑎𝜃𝐾
E le scelte di investimento sono tali da produrre una accumulazione di capitale che sarebbe troppo
bassa rispetto a quella socialmente desiderabile, come sempre avviene quando vi è produzione
privata di beni pubblici con esternalità positive. Si accumula capitale che incorpora conoscenze e
quindi si genera conoscenza come esternalità positiva e quindi la domanda privata di capitale è
troppo bassa, rispetto a quella che sarebbe socialmente efficiente. Avere più capitale è benefico dal
punto di vista sociale.
Un punto importante è che se noi usiamo questo ragionamento, la natura di bene pubblico
dell'accumulazione di capitale è limitata all'interno dei paesi o dei gruppi di paesi (importante l'idea
di mercato unico e integrazione economica). E questo spiega la presenza di differenze tra i paesi.
Può essere che il problema che limita la natura di bene pubblico sia l'insieme delle regole che
generano le scelte: magari la conoscenza sarebbe teoricamente accessibile, ma gli incentivi per
potersene appropriare sono distorti, e quindi l'economia non può crescere.
IL CAPITALE UMANO
In passato si faceva riferimento solo al concetto di capitale fisico (macchinari, impianti...). In realtà il
capitale umano rappresenta una delle più importanti forme di acquisizione di abilità e capacità
produttiva. C'è complementarità tra aumento del capitale fisico e sviluppo del capitale umano. Il
capitale umano richiede istruzione e formazione professionale, ovvero l'applicazione dell'istruzione
a singoli contesti.
Se usiamo il modello neoclassico tradizionale sottostimiamo la quota di capitale; ci sono degli studi
della ricerca economica che sono andati a misurare l'effettiva dimensione dello stock di capitale
umano, e in effetti le differenze negli standard di vita tra i paesi ricchi e quelli poveri possono essere
spiegate non solo dalla differenza di accumulazione di capitale fisico ma anche dalla differenza di
accumulazione del capitale umano.
Se i paesi differiscono nella capacità di accumulare capitale umano (es consumo di educazione,
bene soggetto a esternalità - domanda privata troppo bassa) , possono avere diversi modi di
accumulare capitale.
Teoria della crescita endogena
Negli studi più recenti, si è cercato di sviluppare modelli di crescita persistente evitando l’assunzione
del progresso tecnologico esogeno.
Un primo stadio dell'analisi si può raggiungere utilizzando la cosiddetta funzione di produzione Y=AK
Il modello AK
Dal punto di vista matematico, se ipotizziamo che i rendimenti derivanti di scala dall'accumulazione
del capitale procapite non sono decrescenti usciamo dalla trappola del modello di Solow. Ipotizzando
ciò, alla fine ci troviamo con una situazione in cui potremmo avere dei rendimenti di scala crescenti:
se questa è l'ipotesi che facciamo quando analizziamo il comportamento delle singole imprese, viene
meno l'ipotesi di mercato concorrenziale. In questo caso la produttività aumenta all'aumentare della
scala, quindi se qualche impresa guadagna un vantaggio competitivo sulle altre, spiazza i
concorrenti. Se adottiamo in modo meccanico questo approccio, alla fine una sola impresa
guadagna tutto il mercato. Inizialmente non si riusciva a trattare bene questo problema. In realtà,
utilizzando il concetto di esternalità si può trattare questo problema, ma lo vediamo dopo.
𝛼=1⇒𝑌=𝐴𝐾 e 𝑀𝑃 =𝐴
Quindi il modello AK genera una crescita anche se A è costante: nel nostro modello di Solow
l'equilibrio in stato stazionario non c'è più, ma se abbiamo che 𝑠𝐴 > 𝛿 + 𝑛 (ovvero i risparmi
crescono di più del BREAK- EVEN investment), il reddito crescerà sempre, anche senza
l'assunzione del progresso tecnologico esogeno.
Per avere crescita indefinita nel tempo, anche se A non cresce (dove A è il parametro che definisce
la conoscenza), i risparmi restano comunque superiori del break-even investment, e quindi
l'economia continua a crescere. Basta avere sufficiente risparmio. Quindi il tasso di risparmio
genera crescita. Potremmo ipotizzare che l'esternalità positiva α=a+b, porti i rendimenti marginali
dell'accumulazione del capitale a costanti (anche questo va sottoposto a verifica). Se b è abbastanza
grande, (a+b) può arrivare ad 1, quindi arrivo ad avere un modello AK. Il modello AK ci dice che
possiamo uscire dai vincoli del modello di Solow se arriviamo ad avere una produzione in cui la
produttività marginale del capitale non diminuisce quando aumenta l'intensità del capitale.
In realtà la letteratura sulla crescita endogena è andata oltre a questo semplice approccio: abbiamo
modelli con più di un settore di produzione; un settore che produce beni e servizi (per il consumo e
accumulazione di capitale) e un altro che produce innovazioni nella tecnologia. Un altro sviluppo
riguarda la costruzione di modelli in cui si va a fondo sulle decisioni microeconomiche che producono
conoscenza.
𝑑𝐴𝑡/ 𝑑𝑡 = 𝑔𝐴𝑡
I paesi follower hanno una capacità di sviluppare tecnologia con un coefficiente pari a 𝜆𝑗
(pensiamo agli USA e all'india, oppure al Messico: essi sviluppano tecnologia e poi possono imitare).
La crescita della conoscenza del paese dipende dalla conoscenza presente nel paese e dal gap
presente rispetto ai paesi leader (𝐴𝑡 − 𝐴𝑗𝑡 è il gap: il livello di conoscenza nel periodo t prodotto nel
paese leader e il livello di conoscenza prodotta dal paese j nello stesso periodo t).
Sappiamo inoltre che la conoscenza è tutelata dai brevetti (è un bene pubblico all'interno dei paesi,
ma il suo trasferimento è limitato).
Che vincoli abbiamo? 𝜎 deve essere positivo: quanto più il paese j è lontano dalla frontiera, tanto più
tende 𝑗 a crescere (catching up, riprende l'idea di Solow con la differenza che la conoscenza non
viene acquisita istantaneamente, ma si tende a recuperare). L'altro coefficiente importante è la
capacità di sviluppare conoscenza autonomamente, λj, che è minore di g, perché il paese leader
crea autonomamente conoscenza ad un tasso più rapido (il leader non copia da nessuno per
definizione, perché cresce più velocemente degli altri; gli altri paesi hanno una minor capacità di
accumulare conoscenza autonomamente nel tempo ma possono imitare). 𝜎 è la capacità di imitare
(la conoscenza del paese j cresce in relazione al gap), mentre 𝜆 è la capacità autonoma di crescere.
Questa condizione ha una soluzione che non vediamo analiticamente: il paese leader cresce al tasso
g; il paese j (imitatore) cresce ad un tasso g, ma ad un livello di conoscenza che è proporzionale al
paese leader, e il coefficiente di proporzionalità è soggetto a delle condizioni: se λj = g, i due paesi
sarebbero identici come capacità di produrre conoscenza, e avrebbero lo stesso livello di
conoscenza procapite, a prescindere dal fatto che uno parta prima o dopo. Se la capacità autonoma
di produrre conoscenza λj < g, a quel punto il livello della conoscenza Ajt è più piccolo del livello di
conoscenza del paese leader (At).
In stato stazionario non c'è convergenza nella capacità di sviluppare tecnologia nel proprio paese
(la tecnologia disponibile del paese non è la stessa).
- In stato stazionario il paese leader cresce al tasso g
- La soluzione matematica mostra che in stato stazionario
Grafico: rapporto tra i due livelli tecnologici dei paesi a mano a mano che ci si avvicina allo
stato stazionario.
Se il paese parte tardi, non aumenta soltanto lo stock di capitale (a differenza del modello di
solow, dove ciò che è importante è solo l'accumulazione di capitale) ma in questo modello è
anche il livello della conoscenza del paese follower che piano piano si avvicina al paese
leader arrivando ad un rapporto costante tra Aj e A nello stato stazionario. Nel grafico qui
soMo quindi, 𝜎𝑗 / 𝜎𝑗+𝑔−𝜆𝑗 , ovvero il rapporto tra Ajt+ e At, è uguale a 0.8 (data la
parametrizzazione). Il paese ha un 𝜆𝑗 < 𝑔, ma imita, quindi alla fine converge ad un rapporto di 0.8 (la convergenza può essere un
rapporto abbastanza lento). Imitando compensa il faMo di essere meno innovatore.
Questo modello dice: se il paese è un imitatore, e parte da un livello basso, acquisirà conoscenze
imitando esattamente come accumula capitale più rapidamente del paese in stato stazionario fino a
convergere al livello di crescita.
La differenza tra il modello di Romer e il modello di Solow è che nel modello di Romer si converge
allo stesso livello di crescita dello stato stazionario (con livelli di conoscenza, e quindi di reddito
procapite, differenti). Con il modello di Solow si converge allo stesso livello della conoscenza (che
per definizione è un bene comune accessibile a tutti) e con un medesimo livello di reddito procapite.
Questo è un modello che incorporando il meccanismo economico che porta alla produzione di
conoscenza, giustifica il fatto che i paesi hanno livelli di reddito pro capite diversi; ma spiega anche
la dinamica non solo del reddito ma anche della conoscenza, quando i paesi partono sfavoriti.
Nel modello di Solow la conoscenza è semplicemente un bene comune, qui la conoscenza è
parzialmente un bene comune (un paese produce conoscenza, e poi questa conoscenza può essere
acquisita da altri ma nel frattempo il paese leader continua ad innovare, quindi questo processo si
riproduce nel tempo).
E il modello dice che quando il gap è molto forte, il paese che è in ritardo riesce a colmare gran parte
della differenza, cioè il processo di acquisizione della conoscenza del paese imitatore è più rapido
del processo di creazione della conoscenza del paese leader; ma giunti al livello di stato stazionario
in cui il tasso di creazione della conoscenza del paese leader e follower sono uguali si e le differenze
sono cristallizzate. Questo è il meccanismo che ci permette di capire perché alcuni paesi sono
penalizzati. Tecnicamente, se un paese non riesce ad imitare e non è un buon creatore di
conoscenza, rimane un paese poverissimo dal punto di vista del TFP. Ci sono alcuni paesi in Africa
contraddistinti da un 𝜎 molto modesto e da un 𝜆 molto modesto. Sebbene la tecnologia sia
formalmente disponibile, non sono in grado di acquisirla nei processi produttivi. Il modello non dice
perché, ma ci dice dove guardare (le ragioni per cui il paese non cresce sono ... e rimane povero
rispetto agli altri)
I miracoli della crescita
Il modello può anche generare situazioni in cui un paese può modificare in modo permanente la sua
posizione relativa.
Una squadra può diventare grande stabilmente se si dota di risorse finanziarie sufficienti ad acquisire
i giocatori migliori, questo rende importante una squadra nel medio-lungo termine. Se applichiamo
questo concetto ai paesi...
Pensiamo nel secondo dopoguerra c'è una accelerazione importante nel processo di creazione di
conoscenza e cambia la struttura produttiva negli stati uniti. L’America che si specializza nella
produzione di conoscenza: questo accade perché molti intellettuali si sono spostati lì, così da attrarre
ricercatori in tutto il mondo: se un sistema attrae ricercatori è in grado di rafforzare il settore che
produce conoscenza. Poi bisogna che esistano altre caratteristiche dell'economia tali per cui la
conoscenza si trasmette alle imprese (non è spiegato dal modello), applicandole nel processo
produttivo. È possibile che cambino le gerarchie? Il modello dice che teoricamente potrebbe farlo.
Un paese che aumenta la sua capacità di imitazione, per definizione sarà per sempre un imitatore.
Ma ipotizzando la situazione di un paese che diventando un migliore imitatore diventa anche il
migliore nella produzione di conoscenza, attraverso politiche di
investimenti (per investimenti si intende proprio una modifica degli assetti istituzionali).
Prima la leadership della produzione della conoscenza era il regno unito (oltre ad essere più forte
nella produzione di conoscenze era anche più forte nella capacità di trasferirla alle imprese). Questo
crea i presupposti per una predominanza tecnologica (che poi è anche militare). Poi accade che la
leadership tecnologica è passata agli Stati Uniti: la realtà che questi processi non sono scolpiti nel
marmo, quindi è anche possibile che un paese declini nel tempo. E la Gran Bretagna non è declinata
perché ha perso le colonie: è il fatto di aver perso il ruolo di leadership ad averle fatto perdere le
colonie.
Dalla metà degli anni 80 abbiamo una rinascita dell'economia della Gran Bretagna: dovuto in parte
al governo della Thatcher ma anche ai massicci investimenti in capitale umano e conoscenza,
implementati dal Labour Party successivamente.
Il modello permette anche di dire qualcosa riguardo a cosa succede se si diventa più bravi a
apprendere (se per esempio si passasse da 𝜎𝑗 = 0.005 a 𝜎𝑗 = 0.04, 𝜎𝑗 aumenta di quasi 10 volte).
Abbiamo una situazione iniziale in cui la crescita è quasi piatta; al cambio di 𝜎𝑗 abbiamo un
incremento notevole della crescita). Non è facile da quantificare 𝜎𝑗...
Se un paese riesce ad accrescere il suo parametro sigma attraverso un incremento degli investimenti
in educazione o attraverso politiche che migliorano la capacità di usare la tecnologia (investimenti in
banda larga, digitalizzazione...)
Un messaggio importante è che per molti paesi il problema non è la capacità di sviluppare tecnologie
nuove bensì aumentare la capacità di apprendimento.
Cosa succede se si aumenta la capacità di apprendere? Improvvisamente, cambiando sigma si
cresce notevolmente. Il modello può dirlo anche quantitativamente, ma questo è un modello che dice
cosa ci si può aspettare, non fa previsioni accurate. Ovviamente è difficile stabilire cosa determina
l'aumento di sigma.
Crescita e istituzioni
Le imprese sono istituzioni economiche, delle entità organizzative in cui i rapporti interni hanno
caratteristiche gerarchiche, non di mercato. La prestazione dell'attività lavorativa non si caratterizza
come la vendita di un bene: la qualità dell'attività lavorativa è mossa da incentivi e dalle regole. Ci
sono istituzioni economiche che regolano i mercati... queste cose accadono perché esistono dei
costi di transazione (i comportamenti non sono totalmente identificabili, la realtà è diversa, i costi di
transazione hanno un ruolo predominante nella società). Le istituzioni economiche regolano i
mercati, incorporano le imprese. Poi abbiamo i corpi intermedi... le relazioni degli individui sono
regolate da elementi che non sono identificate con le canoniche relazioni di mercato.
Le istituzioni che abbiamo finora considerato erano quelle relative al funzionamento corretto del
mercato. Poi, parlando di equità, abbiamo detto che servono istituzioni che prescrivano come
redistribuire le risorse. Abbiamo detto che l'equità serve anche a promuovere la crescita nella misura
in cui garantisce le opportunità di accesso a chi avrebbe il merito. Abbiamo anche visto che maggiore
è la tutela dei diritti di proprietà, o quanto più basso è il rischio di espropriazione, tanto maggiore è
la crescita economica. Poi abbiamo anche guardato al problema della mobilità sociale, che
anch'essa dipende dalle istituzioni. Però non ci siamo mai posti la domanda del perché le istituzioni
siano importanti, o come si formano le istituzioni. Questa domanda si collega anche a perché in
alcuni paesi le istituzioni permettono che una cosa accade e in altri non accade? È un problema
tecnico governare il paese? Abbiamo bisogno di tecnici al governo? È colpa dei politici se una società
è inefficiente e non riesce a far crescere il TFP?
Rodrick (2000, sulla p. web del corso) identifica complessivamente 5 istituzioni fondamentali per il
funzionamento del sistema economico:
Nel tempo si è sviluppato tra gli economisti un dibattito relativamente al ruolo delle istituzioni di
questo tipo. Rodrick identifica 5 istituzioni:
1. I diritti di proprietà (e di controllo delle imprese): possiamo avere un sistema che stabilisce
bene i diritti di proprietà ma che controllano poco le imprese, non si adottano le pratiche più
efficienti (quindi le imprese non prendono decisioni in modo efficiente);
2. Le istituzioni che regolamentano i mercati (es: l’antitrust, statuto dei lavoratori, ...). Il
liberismo inteso come laissez-faire della cultura francese dell'Ottocento che cosa produce?
Secondo alcuni l'assenza di questo liberismo ha prodotto un aumento del potere
monopolistico; secondo altri questo liberismo ha prodotto i monopoli, perché abbiamo avuto
un forte punto 1 (diritti di proprietà) e un debole punto 2 (regolamentazione dei mercati).
Come insegna Schumpeter, la tendenza intrinseca del meccanismo competitivo e innovativo
produce monopoli, e poi a quel punto ci deve essere una pressione concorrenziale che li
sgretola: senza questa fase due il sistema diventa statico;
3. Le istituzioni che consentono la stabilità macroeconomica (es: le banche centrali, la
politica fiscale);
4. Le istituzioni che provvedono a fornire l’assicurazione sociale (es: sistemi di welfare,
famiglia, le politiche di tutela della famiglia);
5. Le istituzioni che consentono la risoluzione pacifica delle controversie all’interno di un
paese (es: il sistema di leggi, i tribunali, il Parlamento - cioè allocazione monopolistica e
regolamentata dell’uso della forza)
Qui sta la descrizione di un paese potenzialmente florido.
Se guardiamo al panorama internazionale, i singoli stati sono caratterizzati da istituzioni molto
diverse. Come nascono ed evolvono le istituzioni? E la domanda connessa è che istituzioni diverse
danno diversi livelli di prosperità dei paesi? Chi ha iniziato questa letteratura è Douglass North.
L’uscita di Uk da UE deriva dal rifiuto di aderire ad istituzioni comuni.
Le istituzioni secondo Douglass North, premio Nobel per l’economia nel 1993
“Le istituzioni riducono il tasso di incertezza creando delle regolarità nella vita di tutti i giorni. Sono
una guida per i rapporti sociali e quando vogliamo salutare gli amici per strada, guidare
un’automobile, mangiare un’arancia, chiedere un prestito, seppellire i nostri morti, fare un affare o
qualsiasi altra cosa sappiamo come comportarci (o possiamo impararlo facilmente)” (North, 1990 e
1994)
Tre ingredienti importanti per definire le istituzioni:
• Vincoli formali (insieme di tutti i regolamenti, leggi, costituzioni) .
• Vincoli informali (sono norme di comportamento, codici di condotta adottati socialmente,
molto importanti). Abbiamo un sistema regolatorio e legislativo che privilegia i vincoli formali
a quelli informali. Nel mondo anglosassone il bilanciamento è diverso (vige il principio della
common law, basato sul consenso). Nei paesi non sviluppati occupano un grosso spazio
• Imposizione o applicazione della legge (enforcement)
Insieme determinano la struttura degli incentivi cui sono soggetti individui, famiglie e imprese.
3a) Alcune istituzioni, inefficienti in un mercato concorrenziale, possono essere migliorative del
benessere in un mercato non concorrenziale.
Esempio: Regan prese di mira il sindacato dei controllori di volo, che avevano un potere
monopolistico con cui tutelavano i propri redditi, includendo una rendita monopolistica, ma
contribuivano a limitare lo sviluppo del settore aeroportuale. Lui quindi li licenziò tutti e poi li riassunse
senza potere contrattuale. Questo fu uno spartiacque delle relazioni sindacali, accelerò un processo
di declino del potere dei sindacati degli stati uniti. In Gran Bretagna successe qualcosa di simile
nell'ambito di un processo generale di ridisegno delle garanzie dello stato sociale, cercando di
riportare gli incentivi all'interno. L'elemento dominante della discussione era abolire le rendite
monopolistiche ed andare verso un mercato perfettamente concorrenziale. Ma se siamo in situazioni
in cui i lavoratori sono esposti al rischio e non possono fare i consumption smoothing (indebitarsi per
assicurarsi contro i rischi, ottenere un prestito dal mercato dei capitali in caso di disoccupazione,
così da poter cercare un nuovo lavoro), se questo non può funzionare bisogna sostituire, per avere
un sistema efficiente, questo meccanismo di mercato che non funziona per problemi di costi di
transazione, di selezione avversa e di azzardo morale, con altre forme di second-best. Altrimenti si
generano perdite di benessere sui lavoratori molto forti: non lavorando, oltre a stare peggio, perdono
skill e tutto il sistema ne risente. Nel tempo, si stanno rivalutando i corpi intermedi (come i sindacati)
senza che qualunque posizione che da potere
monopolistico sia auspicabile, è un problema di second best e ci sono dei trade off.
Ad esempio, in presenza di avversione al rischio dei lavoratori e di mercati dei capitali incompleti,
sistemi di protezione del lavoro (EPL-i sindacati) e sussidi di disoccupazione permettono di
assicurare i lavoratori contro le fluttuazioni di reddito e di mantenere costante il consumo
(consumption smoothing).
Questo elemento assicurativo però interagisce con il comportamento rent-seeking determinando
comportamenti opportunistici (es: disincentiva la ricerca di lavoro) e comprimendo il salario con
possibili effetti negativi sull’occupazione (Il risultato finale dipende quindi anche dall’effettivo disegno
delle istituzioni. Nell’esempio: ammissibilità, durata, entità del sussidio)
Nb: le istituzioni vanno considerate nel loro insieme. Non è un problema di avere istituzioni che
tutelino i diritti di proprietà, anche se questa carenza in alcuni paesi spiega tantissimo dei differenziali
di livello pro capite. Ma le istituzioni hanno una dimensione e ruolo più complesso. Una delle
implicazioni di questo approccio, applicata alla questione della crescita dei paesi, è la cosiddetta
letteratura sui tipi di capitalismo (o varieties of capitalism). Rodrick parla appunto di questo: abbiamo
27 paesi OCSE che sono i più ricchi. Primo, questi 27 trenta anni fa erano 12 ora, ma alcuni paesi
hanno raggiunto la convergenza e sono entrati nell'OCSE. Ma questi 27 hanno delle istituzioni e
meccanismi dei livelli di mercato e delle caratteristiche istituzionali, ad esempio, che riguardano i
corpi intermedi che sono molto diversi, hanno sistemi legali diversi. Questi paesi che hanno strutture
istituzionali di mercato molto diverse tra di loro, hanno raggiunto livelli di sviluppo economico
comparabili. Come è possibile, come interpretiamo noi queste differenze?
È una letteratura molto importante, a cavallo con altre discipline che spiega il problema della crescita
e dello sviluppo.
Torniamo alla crescita. Perché alcuni paesi sono più poveri di altri?
• Solow: Diversa accumulazione dei fattori (es: reddito pro capite, risparmio, preferenze, TFP
esogena)
• Romer (1986): risorse all’innovazione (ma ancora alla fine ruolo di preferenze/fattori che creano
le idee, allocazione di risorse che fa sì che ci sia più crescita). Non spiega quante risorse si
allocano a produrre ricerca e innovazione ma può identificare trade off ottimi dal punto di vista
sociale. Non spiega perché paesi hanno ruolo di leader e follower.
• Secondo North e Thomas (1973) questi fattori (innovazione, economica di scala, accumulazione
del capitale) SONO le cause APPROSSIMATE della crescita, i sintomi della crescita, non sono la
causa FONDAMENTALE. Secondo N-T la spiegazione fondamentale della diversità nella crescita
sono le ISTITUZIONI. Ricordiamo come North definisce le Istituzioni: “Institutions are the rules of
the game in a society or, more formally, are the humanly devised constraints that shape human
interaction.” “In consequence they structure incentives in human exchange, whether political,
social, or economic.”
LE ISTITUZIONI ECONOMICHE
Il modo con cui gli esseri umani decidono di organizzare le loro società determina se le società e
prosperano o meno.
Idea che risale ai classici: Adam Smith, Stuart Mill. Definiti dei grandi pensatori, perché hanno dei
modelli in testa ma non li esplicitano, quindi non sono soggetti alla disciplina dei modelli. Gli
economisti, con la rivoluzione neoclassica del 900, cominciano ad usare i modelli (idea del rasoio di
Occam: tolgo dal fenomeno quello che è irrilevante per arrivare alle cause essenziali).
• L'idea che servano le istituzioni, la tutela dei diritti di proprietà, uguaglianza di fronte alla legge,
questi sono già presenti nel loro pensiero.
• Le società hanno successo se vi sono delle buone istituzioni economiche.
• Cosa definisce delle ‘buone’ istituzioni economiche?
- I diritti di proprietà devono essere applicati e devono valere per un ampio spettro della popolazione
così che tutti abbiano incentivo a partecipare all’attività economica
- Uguaglianza di opportunità e uguaglianza di fronte alla legge
Questi elementi determinano degli incentivi affinché si creino e migliorino i mercati. Quindi i diversi
mercati sono a loro volta il risultato di diversi sistemi di diritti di proprietà
Putnam (1993) The Prosperous Community: Social Capital and Public Life
In analogia con le definizioni di capitale fisico e umano, input produttivi che accrescono la produttività
individuale, il “capitale sociale” identifica caratteristiche dell’organizzazione sociale (network, norme,
fiducia collettiva) che facilitano il coordinamento delle azioni individuale e incoraggiano la
cooperazione nel comune interesse delle persone. Il capitale sociale accresce I benefici
dell’investimento in capitale fisico e umano (TFP???)
Acemoglu, D., Johnson, S., & Robinson, J. A. (2005). Institutions as a fundamental cause of long-
run growth. Handbook of economic growth, 1, 385-472.
1. Presenta un’evidenza empirica selezionata che mostra come diverse istituzioni CAUSANO
diversi livelli di prosperità
2. Introduce una struttura logica che spiega perché le istituzioni economiche variano tra paesi
L’argomentazione
Sebbene fattori culturali e geografici possano essere rilevanti per la prosperità dei diversi paesi, il
fattore chiave è costituito dalle istituzioni che determinano tecnicamente il potenziale di crescita e la
distribuzione del reddito tra i diversi gruppi.
Questo approccio pone un nesso inscindibile tra la crescita di lungo periodo e la distribuzione del
reddito. Si ribalta la visione tradizionale, per cui si ricercano soluzioni Pareto-efficienti e poi ci si
occupa di distirbuzione del reddito.
Come se la distribuzione del reddito fosse legata a qualcosa che è connesso al senso di equità o in
generale ad una sostenibilità del sistema non meglio definita. È una idea di Keynes che le politiche
macroeconomiche di stabilizzazione fossero una esigenza imprescindibile per preservare l'economia
di mercato nel contesto politico del conflitto con la Russia sovietica. Noi abbiamo un sistema
efficiente, ma questo sistema, delle diseguaglianze sociali che possono non essere sostenibili, quindi
lo temperiamo.
Si identifica una potenziale dicotomia e tensione tra l'efficienza e l'equità, e vede l'equità come un
vincolo al fine di conseguire la sostenibilità politica di una economia di mercato e capitalistica. Il
conflitto distributivo è preesistente alla costruzione delle istituzioni e quindi alla definizione del
potenziale di crescita del paese. Questo nuovo approccio è consapevole dei contributi del filone
paretiano... quindi ne tiene conto e lo assume.
Quindi l'impossibilità di impegnarsi a un insieme di comportamenti una volta ottenuto un certo assetto
istituzionale fa sì che i conflitti distributivi rendano impossibile ottenere consenso in merito alle
riforme istituzionali.
In questo contesto la commitment technology può essere definita come un insieme di vincoli cui è
soggetta la discrezionalità di chi detiene il potere. Ad esempio, negli USA il presidente ha molti poteri
discrezionali in politica estera, ma non può nominare il presidente della banca centrale senza
l'assenso di una commissione del senato, deve negoziare il budget fiscale con decisioni di spesa e
tassazione con Camera e Senato, ed è normale che la sua parte politica non abbia la maggioranza
in una delle due.
A fronte dei poteri in politica estera, il presidente può essere soggetto a impeachment. Inoltre, la
Corte Suprema ha un ruolo di bilanciamento del potere presidenziale. Quindi la possibilità di estrarre
rendite a beneficio della propria parte politica è limitata. Confronti questa situazione con le dittature
di molti PVS negli ultimi decenni, oppure con la Russia di Putin, dove pure si tengono elezioni.
La commitment technology è identificata da quell'insieme di regole e vincoli che negli USA (e nelle
democrazie occidentali) chi viene eletto non può comunque modificare. Questa commitment
technology determina il diverso funzionamento delle istituzioni politiche e la scelta di istituzioni
economiche e l'adozione di politiche economiche più efficienti
1. Trovare una fonte di variazione esogena delle istituzioni economiche (che non si determini
contemporaneamente alle istituzioni economiche) e che non sia contemporaneamente una
fonte diretta di variazione del reddito. In econometria questa cosa si chiama ricerca dello
strumento econometrico.
2. Esperimento naturale, andare alla ricerca di situazioni in cui ci sono dei cambiamenti esogeni
che cambiano le istituzioni ma che non hanno impatto diretto sul reddito.
Esempio: Corea del Nord vs Corea del Sud. È un esperimento naturale che si applica alla questione
della cultura, perché le due Coree hanno condiviso la stessa storia e le stesse istituzioni fino al 1948.
Successivamente le istituzioni economiche sono radicalmente diverse, ma le radici sono le stesse,
e sicuramente la cultura non poteva essere segmentata essendo il paese una monarchia secolare
(rivale storico del Giappone e ha storia paragonabile a quella del Giappone, ben distinta dal punto
di vista culturale ma unitaria al suo interno). Dal 48 si ha la separazione, che non cancella la cultura,
ma distrugge l'unitarietà delle istituzioni: il sud della corea rimane una economia di mercato (pur
distinta nelle sue forme rispetto alle economie di mercato occidentali, con un forte intervento dello
stato), mentre al nord prevale una economia di tipo sovietico (non di mercato). I risultati sono
abbastanza banali: la corea del sud raggiunge il livello di reddito pro capite dell’Italia (e la supera).
In corea del nord il livello del reddito pro capite ha stagnato ed è anche diminuito, è un paese
soggetto a carestie frequenti. È un esperimento naturale perché è accaduto, non è stato identificato
attraverso una analisi statistica. La cultura può essere un elemento centrale.
Anche la rivoluzione cinese ha visto una lotta interna, dove la parte che ha perso (capitalista) si è
ritirata a Taiwan, e li sono diventati una potenza mondiale. Quindi due ‘popoli’ , una cultura , una
storia uguale, ma istituzioni diverse, una con economia di mercato, una comunista con Mao. E si
generano due meccanismi di sviluppo molto diversi.
Si possono comparare queste situazioni alla Russia di oggi, un paese con tradizione imperiale, e
anche adesso prende una direzione rivolta alla dittatura.
La colonizzazione europea come esperimento naturale
Esempio su maggiori dimensioni: esperienza colonialista europea che trasformò le istituzioni dei
paesi conquistati. Lo osserviamo utilizzando l'econometria.
Attraverso il colonialismo abbiamo paesi che si sviluppano moltissimo (USA e Australia) e altri che
non riescono a svilupparsi (Messico, Perù...). Ad una analisi che non segue questo approccio uno
potrebbe dire che il Messico non cresce perché in Messico abbiamo una cultura molto diversa dalla
cultura protestante che domina negli Stati Uniti, è una congettura legittima che va dibattuta. È
impossibile fare un contro fattuale, dire attraverso qualche simulazione statistica cosa sarebbe
accaduto alle colonie se non ci fosse stata la colonizzazione. Al momento del colonialismo, il
colonialismo è possibile perché la differenza tecnologica è enorme, abbiamo una occupazione dei
territori.
Il vincolo all'occupazione di territori dipende quasi esclusivamente, se prescindiamo dalle fasi iniziali
della conquista dell'impero Maya o Azteco o del Perù, quasi mai abbiamo delle vere e proprie guerre.
E comunque queste guerre rappresentavano un impegno limitato per le nazioni (lo sforzo era portare
i soldati); con un po' di soldati erano assolutamente in grado di vincere le guerre proprio perché
dotati di tecnologie diverse.
Alcuni paesi sono cresciuti enormemente utilizzando il sistema dell'economia di mercato; ci sono
paesi che sono cresciuti ma non così tanto (come il Cile); ci sono paesi che per una certa fase sono
diventati ricchissimi partecipando all'economia di mercato e successivamente sono ritornati poveri
(Argentina, nel 1910 gli italiani emigravano in massa dal veneto in Argentina, che era il quinto paese
più ricco del mondo). L'esperienza colonialista accade e cambia totalmente la storia di questi paesi:
quello che possiamo dire è che rispetto alla situazione pre coloniale, il colonialismo genera una
accelerazione drastica della crescita economica di alcuni paesi, mentre in altri no: è cultura e
geografia oppure le istituzioni?
Perché la colonizzazione europea? Evento di portata storica che cambiò le istituzioni e le fortune di
molti paesi. Consente di “controllare” per fattori quali geografia ecologia, clima e cultura. A parità di
questi fattori, apparentemente i coloni Europei scelsero istituzioni molto diverse tra loro. Colonie in
Nordamerica governate in modo diverso rispetto all'india. A questo punto il problema è riuscire a
trovare un fattore misurabile statisticamente che ci permette di identificare una correlazione statistica
delle istituzioni senza avere un impatto diretto sul reddito.
Abbiamo un nuovo strumento quando questo strumento è correlato con il regressore ma non è
correlato con il residuo che si ottiene in una relazione di regressione tra la variabile dipendente (il
reddito) e il regressore che vogliamo strumentare (le istituzioni).
Noi sappiamo che c'è una correlazione tra reddito e istituzioni, ma sospettiamo che ci sia la
possibilità di variabili omesse e la possibilità che ci sia causalità inversa. Allora andiamo alla ricerca
di una variabile che sia correlata con le istituzioni. Dopodiché vogliamo che questa variabile correlata
con le istituzioni non sia correlata con il reddito. Il modo migliore per catturare questa cosa è
verificare che la variabile strumento non sia correlata con il residuo della regressione tra il reddito e
le istituzioni: perché se lo strumento è correlato con le istituzioni e le istituzioni sono correlate con il
reddito, in qualche modo lo strumento sarà correlato con il reddito (nella misura in cui spiega le
istituzioni). Quello che non vogliamo è che abbia un effetto ulteriore, aggiuntivo, rispetto alla sua
capacità di spiegare le istituzioni. Quindi si fa la regressione tra istituzioni e reddito e si verifica che
lo strumento non sia correlato con il residuo di quella regressione. Perché se è correlato con
istituzioni e anche con il residuo, questo significa che non è un buon strumento. Perché non misura
solo un effetto, ma ne cattura anche altri.
Lo strumento econometrico che sono riusciti andare a ricostruire è il settler mortality rate (tasso di
mortalità dei coloni), quanto morivano le persone al momento della colonizzazione. Questo tasso di
mortalità non può essere endogeno (non è che i coloni andavano nei posti peggiori), i coloni
arrivavano (popolazione uniforme dal punto di vista sanitario) e si ammalavano. È sicuramente
esogeno rispetto alle istituzioni che si sono create: non c'erano istituzioni, non c'era la capacità di
produrre reddito, non era ovvia l'aspettativa di reddito individuale (solo ex post possiamo dire che
negli Stati Uniti il reddito individuale è alto). Questo settler mortality rate non è connesso al reddito
prodotto successivamente. Perché Settler Mortality rate?
Settler mortality rate influenza le decisioni dei coloni: a parità di reddito atteso, se la mortalità è alta
i coloni non progettano insediamenti di lungo periodo e scelgono istituzioni politicoeconomiche
estrattive, massimizzano l’appropriazione delle risorse a discapito della crescita di lungo periodo.
Gli spagnoli trovano regni abbastanza sviluppati e città funzionanti ma le distruggono: privilegiano
l'estrazione di risorse, non cercano di costruire una società che produca ricchezza, difficilmente i
coloni spagnoli diventano agricoltori, diventano magari latifondisti, capi militari, hanno ruoli di
governo che servono ad appropriarsi delle risorse naturali, non si preoccupano della loro forza lavoro
che si trova in condizioni di schiavitù. Con mortalità bassa, progettano insediamenti di lungo periodo
e questo implica che si scelgano istituzioni che favoriscono la crescita.
Una idea connessa è che il fatto che i coloni avessero lo stesso livello di ricchezza (inizialmente) ha
fatto sì che non ci fossero conflitti sulla distribuzione del reddito e sono andati alla ricerca di istituzioni
più efficienti dal punto di vista economico. Ma il vero punto è che fondamentalmente non è che i
coloni messicani (i conquistadores) fossero diversi, ma il tipo di approccio perseguito non fu quello
di costruire un sistema economico autonomo, ma fu la ricerca di miniere e l'esportazione di prodotti
agricoli. I commerci erano importanti ma non nella misura in cui lo sono oggi. Si ricercava una diversa
prospettiva di vita.
Storicamente fu possibile costruire con l'episodio coloniale certe istituzioni perché c'erano certi
incentivi a pianificare nel lungo periodo una situazione duratura di crescita economica nel paese.
Quando gli incentivi non erano a pianificare una prospettiva individuale, o famigliare, o di
discendenza del paese le istituzioni tendevano ad essere estrattive.
Il progetto dei britannici in india era tornare a casa ricchi, il progetto degli spagnoli in Sudamerica
era identico. Il progetto dei colonizzatori britannici e francesi in Nordamerica e Oceania non era
tornare a casa ricchi.
Tutti i paesi che erano poveri nel 1950 erano praticamente tutti non democratici. Molti di questi paesi
sono evoluti non solo dal punto di vista della crescita del prodotto, ma anche dal punto di vista della
evoluzione delle istituzioni democratiche (sviluppate successivamente a significative riforme
economiche). Questo è un problema se noi pensiamo che la democrazia debba essere prodromica
rispetto allo sviluppo economico. Non è un problema dal punto di vista della teoria delle élite: le élite
ad un certo punto mettono in piedi delle istituzioni che possono produrre degli esiti efficienti senza
produrre democrazia politica.
D'altra parte, nell’Inghilterra vittoriana la democrazia era lontanissima rispetto al concetto di
democrazia che abbiamo oggi. Non è detto che bisogna partire dalla costruzione di democrazia:
l'esperienza successiva al secondo dopoguerra ci racconta una storia diversa. E lo vediamo anche
statisticamente.
Un esempio è la situazione del Cile negli anni '70 e il colpo di stato. Attualmente è una delle
democrazie più robuste e una delle maggiori economie del Sudamerica. Prima degli anni 70 vi era
una democrazia debolissima che non era associata ad istituzioni economiche efficienti, e conflitti
redistributivi feroci. C'era una divisione che non è mediata dalle istituzioni, diventa un colpo di stato
e pone la fine della democrazia. Ma questa fase è contraddistinta da alcune riforme economiche
che, quando il regime di Pinochet collassa, hanno posto le premesse per i successivi sviluppi.
Un'altra questione è il Sudafrica: Nelson Mandela attuò un processo di riconciliazione nazionale
basato sull'ammissione delle colpe, che ha avuto lo scopo di limitare questo conflitto sulle risorse.
Confrontando il Sudafrica con lo Zimbabwe, quest'ultimo è stato caratterizzato da un cambio della
classe dirigente, per cui da una classe dirigente di bianchi spogliatori delle risorse (pur con
competenze economiche) si è passati ad una classe dirigente di africani neri, i quali hanno meno
competenze economiche ma hanno lo stesso comportamento estrattivo.
Mandela ha posto le premesse per uno sviluppo istituzionale che fosse non di tipo estrattivo: la
convivenza ha significato andare alla ricerca di istituzioni non estrattive.
Il rallentamento della crescita del TFP è connesso al tipo di istituzioni? Da un certo punto di vista
uno potrebbe dire che gli stati uniti hanno ribaltato certe tendenze: quando si è concessa l'istruzione
agli afroamericani, la produttività è aumentata tantissimo (sono state le istituzioni ad averlo fatto). Al
momento abbiamo una segmentazione fortissima, il premio salariale è fortissimo. Però esistono studi
che affermano come lo skill premium salariale sia una condizione necessaria per l'efficienza, perché
lo skill premium induce le persone ad acquisire istruzione. Peccato che dobbiamo calare questo
principio nel contesto di mercato: il mercato fornisce risorse a chi è in grado di dare delle garanzie.
Quello che succede negli Stati Uniti è che le risorse vanno a chi le ha, quindi il premio salariale si
autoalimenta. Questo problema può essere risolto solo dall'istruzione pubblica che però ha il difetto
di non distinguere tra chi è più talentuoso e meno talentuoso. Quindi le istituzioni rallentano, ma
questo non vuol dire che il funzionamento di fatto delle istituzioni rallenti la crescita della produttività
UNA PROSPETTIVA STORICA PER L'ECONOMIA ITALIANA
Adottiamo il principio della questione della dinamica della produttività totale dei fattori e della
riallocazione settoriale delle risorse nel tempo. Cerchiamo di capire come mai la crescita è divenuta
così lenta. Il residuo di Solow ha avuto un andamento
negativo.
GRAFICO: analisi storica. Linea piaMa blu definisce il riferimento gli usa. In ordinata
abbiamo l'output per ora lavorata rispeMo agli sta5 uni5. Il periodo va dal 1950 al 2017.
Un paese che si colloca al 100% è un paese che ha lo stesso livello di produBvità del
lavoro degli sta5 uni5. C'è una tendenza alla convergenza, ci sono paesi che vanno sopra
(aMenzione non sto parlando di reddito pro capite, sto parlando di prodoMo per ora
lavorata). Tipicamente in Europa lavora meno gente che negli Sta5 Uni5 però il lavoro è
più produBvo. Il caso italico è dato dalla linea viola. Quindi c'è una tendenza di lungo
periodo verso la convergenza negli anni '70 (addiriMura si superano gli USA ma poi si
scende).
Questo è un dato colpisce: l’Italia è un paese che ha un tasso di partecipazione al mercato del lavoro basso rispeMo agli sta5 uni5, ma alla fine ha
anche una produBvità per ora lavorata che è caduta, da un certo momento in poi una tendenza non solo alla convergenza ma anche a superare la
produBvità del lavoro degli sta5 uni5 viene ribaltata. Questa tendenza ha luogo a par5re dalla metà degli anni 90. Stesso periodo in cui
paradossalmente in Italia il tasso di partecipazione al mercato del lavoro inizia a salire. Questo meccanismo è ancora più forte in spagna, dove
l'incremento della partecipazione al mercato del lavoro è for5ssimo
GRAFICO: qui abbiamo una analisi nel tempo della crescita del prodoMo pro capite.
Questa crescita è scomposta in componente della crescita del reddito procapite
dovuta alla produBvità del lavoro e all'aumento del tasso di partecipazione al
mercato del lavoro. Andando lontano negli anni, siamo in una situazione in cui il
prodoMo cresce, accelerando fino all'inizio della Prima guerra mondiale. Nel primo
dopoguerra è comprensibile una con5nua crescita, dovuta alla necessità di
ricostruire il capitale fisico distruMo ma anche la forza lavoro. La popolazione
riprende a crescere, la gente lavora di più ed è naturale un aumento della crescita.
Il periodo post Seconda guerra mondiale è il periodo della ricostruzione ma anche
del "miracolo economico": crescita della produBvità del lavoro fenomenale e anche
un aumento della partecipazione al mercato
. del lavoro.
Tra il 2008 e il 2013 c'è una caduta della partecipazione al mercato del lavoro che
determina la caduta del reddito pro capite. Abbiamo 2 crisi di natura finanziaria a cui si
somma sostanzialmente una poli5ca fiscale che da dopo il 2009 tende ad essere
restriBva per l'esistenza di problemi connessi all'accumulazione di debito.
La caduta di domanda fa sì che meno gente lavori e la gente non va ad ingrossare la
disoccupazione ma esce direMamente dal mercato del lavoro. In aggiunta però abbiamo
anche una caduta della produBvità del lavoro. È un fenomeno stridente: cade la
domanda, cade tan5ssimo l'occupazione e la partecipazione al mercato del lavoro;
eppure, il lavoro occupato diventa meno produBvo. La produBvità scende perché
l'occupazione scende di meno rispeMo a quanto scenda il prodoMo, pur in presenza di
una situazione dras5ca di riduzione del lavoro effeBvamente presente nel mercato.
Dopodichè una parte della mancata partecipazione al mercato del lavoro viene
riassorbita negli anni successivi.
Pensiamo ad una fase di accelerazione della crescita fino al 2013. abbiamo un periodo
che segnala crescita in parte per compensare la distruzione della guerra e l'epidemia di
spagnola. Poi abbiamo una lenta crescita connessa anche al problema della stagnazione
globale e alla forma del sistema capitalis5co in aMo in quel periodo. Dopodichè
abbiamo il periodo della grandissima espansione, che ci porta ad avere un lavoro più
produBvo che negli sta5 uni5.
FTE= Full Time Equivalent (employment): quantità di lavoro equivalente all'occupazione di pieno
impiego (con una definizione nozionale di ore lavorate per giorno che è circa 8). Attualmente si
possono avere occupati con 1 ora di lavoro a settimana .
.
GRAFICO di riallocazione settoriale: possiamo vedere le quote di lavoro (dove il lavoro è aggregato
in termini di valore equivalente, correggiamo il numero di occupati per quanto interrompano la loro
prestazione lavorativa durante la settimana...). Guardiamo a come si distribuisce tutto questo per i
settori: agricoltura, industria, servizi privati, servizi pubblici. Grande trasformazione che accelera
proprio nel periodo di massima crescita della produttività dal 1951, poi nel 71 inizia a rallentare: il
passaggio dall'agricoltura agli altri fattori si associa a un aumento della produttività del lavoro. Quindi
la riallocazione settoriale produce l'aumento della produttività del lavoro; poi non sappiamo se questo
aumento viene conseguito perché si opera in settori che hanno una TFP più alta, oppure si opera in
settori con intensità di capitale più alta e il lavoro è più produttivo. Per capire bene bisogna guardare
direttamente la TFP. Non si fa riferimento al meccanismo di riallocazione settoriale: potrebbe essere
che la produttività in agricoltura aumenti più della domanda, quindi questo genera automaticamente
espulsione dei lavoratori. Bisogna poi vedere dove si vanno a ricollocare i lavoratori: se si spostano
verso un settore a bassa crescita della produttività del lavoro rimane comunque un problema, perché
abbiamo una riallocazione settoriale ma non è che questo produca un aumento medio della
produttività del lavoro. Quando dall'agricoltura sono passati all'industria, quello era un settore ad alta
produttività del lavoro. La grande crescita dei servizi è un meccanismo che contraddistingue tutti i
paesi sviluppati: il problema è andare a vedere fino a che punto questa crescita dei servizi è stata
una crescita produttiva come in altri paesi. Gordon diceva che i servizi negli stati uniti sono più
produttivi rispetto ai servizi europei. In parte questo è dovuto proprio allo stile di vita degli europei e
alla storia (great boxes per vendere, mentre noi abbiamo bellissimi negozi non solo in Italia). Però
parlava anche dell'evidenza di diversa produttività dei servizi classici come "il dettaglio" tra sud
Europa e nord Europa.
I mercati ambulanti sono un chiaro esempio di come si crea un circuito perverso con un equilibrio
caratterizzato da bassa produttività. La produttività di un ambulante nel 2021 non è diversa dalla
produttività di un ambulante negli anni '70. abbiamo uno sviluppo dei supermercati, ma abbiamo
ancora questi mercati ambulanti. In altri paesi è un mercato di piccolissima nicchia. Un elemento
importante (di natura istituzionale) riguarda l'evasione fiscale. Le istituzioni di fatto funzionano in
modo tale da non affrontare questo problema. Viene spesso osservato che il mercato ambulante,
con i prezzi relativamente bassi che riesce ad applicare consente di tutelare il potere di acquisto
reale delle fasce più povere della popolazione. Questo è un perfetto ciclo perverso: abbiamo
allocazione di risorse con gli spazi pubblici che vengono dedicati, le risorse per la pulizia, senza che
vengano pagati correttamente come sarebbero pagati da un supermercato. D’altra parte, i
meccanismi di messa a bando di queste postazioni evidentemente risentono dell'esigenza di
ottenere un consenso sociale. Questo tipo di allocazione delle risorse è associato ad una
stagnazione della produttività: da una parte uno fa l'ambulante perché non ha alternative,
dall'altra parte le istituzioni lo proteggono poiché rispondo al consenso sociale.
Sostanziale stabilità nel settore dei servizi pubblici dagli anni '80.
GRAFICO: l'industria ha un aumento importante delle costruzioni e una
flessione nell'ambito del manifaMuriero classico. Le Pubblic U5li5es
(acqua, gas...) hanno avuto un loro aumento. È una tendenza che non ha
par5colari risvol5 di interesse
Riassumendo
Fino al 1938 un paese povero era arretrato. Una grande fase di catching-up, chiamata anche l'età
dell'oro: la crescita generava ottimismo, in realtà era una fase transitoria, di passaggio da una relativa
arretratezza a una situazione di convergenza al livello dei paesi più ricchi (è stato un passaggio
comune ad altri paesi).
La riallocazione settoriale è finita, tende a finire dopo il 1973 (è inutile vagheggiare il ritorno agli anni
'60, perché gli anni '60 sono stati così favorevoli in quanto è stato possibile fare una riallocazione del
lavoro. Noi oggi viviamo in un mondo in cui la crescita della produttività si ha in alcuni settori e non
in altri, e in generale la crescita della produttività dei servizi è più lenta della crescita della produttività
della manifattura - stesso discorso per quanto riguarda la TFP). Questo è un tema comune a tutti i
paesi sviluppati: è il futuro dell'economia.
Il problema italiano è molto più grave, perché addirittura abbiamo una dinamica negativa della TFP,
cosa che in altri paesi non c'è. Quindi il problema è: ci sono dei fattori strutturali in Italia che sono
assolutamente rilevanti.
È importante fare una analisi settoriale: senza l'analisi settoriale non riusciamo a capire perché l’Italia
era un paese arretrato, e uno dei meccanismi riguarda il fatto che l'agricoltura aveva un basso livello
di produttività. La fase della crescita accelerata dopo il '45 è anche una fase in cui la crescita della
produttività in agricoltura diventa molto rapida (addirittura supera la crescita della produttività in
manifattura, questo perché vi è una interdipendenza tra i due settori: l'agricoltura utilizza le macchine
che sono prodotte dalla manifattura).
Però l'età dell'oro è la fase in cui si sviluppa l'industria. Quindi dobbiamo tornare all'industria? Non
si può replicare quello accaduto nel tempo. Noi siamo la seconda manifattura in Europa, dopo la
Germania, ma non è questo il punto: il punto è avere lavoro produttivo. Ci sono servizi finanziari che
hanno una produttività altissima, settori biomedicali, la ricerca... e noi non li abbiamo.
Ci sono paesi poveri che hanno una specializzazione manifatturiera che sta crescendo, perché i
paesi sviluppati stanno spostando lì le attività manifatturiere a minor valore aggiunto. Perché la
crescita della produttività in altri settori rende impossibile per le attività manifatturiere meno
produttive pagare dei salari alti. Questo è il meccanismo che produce la delocalizzazione, non è la
concorrenza sleale. Si mette in moto un meccanismo per cui c'è la crescita della produttività in alcuni
settori, più rapida che in altri, e questi altri settori semplicemente perdono peso, le produzioni si
spostano e i paesi ricchi diventano esportatori di altri prodotti (tipicamente esportano servizi
produttivi, creazione di conoscenza, e importano prodotti manufatti a basso valore aggiunto). Non è
vero che un paese ad alto reddito deve essere un paese con tanti prodotti manufatti.
Importante: la trasformazione strutturale ha portato una crescita rapida, si passa dall'agricoltura alla
manifattura e le tecniche di manifattura sono ad alta produttività, la partecipazione al mercato unico
ci consente di acquisire le tecniche, le tecnologie e di vendere i prodotti. Quindi questo si può fare.
Ma poi cosa succede dentro l'industria, cosa succede dentro i servizi verso cui una parte dei
lavoratori agricoli si sono spostati? Se non abbiamo dei productivity drivers dentro il settore, non
andiamo avanti. Questo è quello che succede prevalentemente nel settore dei servizi in Italia.
In Italia riguardo alla manifattura c'è stata una riallocazione settoriale all'interno del settore, tra
sottosettori; l'industria manifatturiera è sempre più meccanica e sempre meno tessile. È molto meno
automobilistica, nel senso di produrre prodotti finiti, ma è molto più componentistica. Questo ha
consentito una discreta crescita della produttività nel settore manifatturiero. Ma nei servizi questo
non è accaduto. Poi l’Italia non ha sviluppato altri settori della manifattura (come la chimica). Produce
prodotti farmaceutici, ma è un produttore di serie B, non produce i brevetti, assembla.
Altro punto: il fatto che le cose siano andate così male dal 93 è fondamentalmente un problema di
crescita praticamente inesistente della produttività nel settore dei servizi.
Motivi per spiegare il rallentamento della produttività
• Scarsità di investimenti pubblici e privati (le infrastrutture pubbliche non sono ad un livello
buono, mediamente)
• Lento tasso di adozione dell'ICT soprattutto nei servizi.
• Limitata diffusione delle tecnologie dalle imprese ad alta produttività alle imprese a bassa
produttività
• Allocazione inefficiente degli input produttivi, attraverso le imprese nei settori:
prendiamo un settore chiamiamolo "prodotti tessili". Prendiamo una azienda di prodotti tessili
nei pressi di Como: abbiamo che la sua produttività è altissima, la qualità delle tecnologie è
di punta, ricerca e sviluppo di punta. Prendiamo una industria che fa prodotti tessili in
provincia di Napoli: c'è una differenza di uso di tecnologie, intensità di capitale e di capitale
umano spaventosa, eppure sopravvivono nello stesso mercato. Sempre più gli economisti
vanno a guardare a queste misure di dispersione della produttività delle imprese come
misura dell'inefficienza. Perché le risorse dovrebbero andare dove le imprese sono più
produttive. E il funzionamento dell'economia di mercato è misurato da questo. Il fatto che le
risorse non si spostino (dipende dal modo in cui sono organizzate le istituzioni, dalla
frammentazione territoriale, dal fatto che siano due mercati diversi...) è un indice
dell'inefficienza. In Gran Bretagna non sarebbero due mercati diversi. Quello che si vede è
che i paesi in cui vi è minore dispersione all'interno dei settori, il livello di prodotto pro capite
medio è più alto, l'efficienza delle imprese è mediamente più alta...
• Weak competition: l’Italia è un paese in cui la frammentazione gioca un ruolo nel consentire
la sopravvivenza delle imprese più deboli. È particolarmente rilevante nei settori più
regolamentati, però è un tema generale nella scarsità di competizione nei servizi (connesso
alla possibilità dell'evasione fiscale ---> economia informale: economia in cui il sistema delle
regole è diverso da quello dell'economia ufficiale). Se l'economia informale e l'evasione
fiscale prosperano nei settori a bassa produttività, il fatto di avere un equilibrio politico,
istituzionale ed economico per cui questi settori non sono soggetti a riforme, rallenta la
crescita della produttività.
Lavoro che punta a discutere sul fatto che il management di impresa fa sì che in un paese come
l'Italia tende a generare una inefficienza nell'uso delle tecnologie più moderne, che hanno
consentito l'incremento di produttività con la terza rivoluzione industriale.
L’Italia sulla terza rivoluzione industriale rimane indietro per una complementarità negativa tra il
modo in cui il suo management è organizzato e questa forma di progresso tecnico. Questa è l'idea
(c'è un tentativo di dare uno strato empirico per dare valore alla tesi). Il grafico è molto suggestivo
(in Italia abbiamo una stagnazione del prodotto per ora lavorata, mentre continua a crescere anche
se non troppo velocemente in stati uniti dove la dinamica è più favorevole, Francia e Germania). La
variazione logaritmica del prodotto per ora lavorata a prezzi costanti dal 96 al 2006 in 4 componenti:
la crescita della TFP e il contributo alla crescita del prodotto per ora lavorata del capitale con
caratteristiche ICT e con caratteristiche NON-ICT. Data una certa crescita del prodotto per ora
lavorata quali sono stati i contributi della TFP del capitale ICT e del capitale NON-ICT, e il
cambiamento della composizione del lavoro (se il lavoro migliora nella sua qualità questo aumenta
la produttività)?
Abbiamo la distribuzione dei paesi OCSE (non tuB, quelli più ricchi). La linea nera con5nua
è la dinamica del prodoMo per ora lavorata cumulata in 10 anni (di quanto è cresciuto il
prodoMo per ora lavorata in 10 anni). In Italia la TFP è nega5va, probabilmente è dovuta a
un cambiamento nella composizione seMoriale del prodoMo nel paese che è sfavorevole:
andiamo verso seMori in cui se riusciamo ad aumentare il prodoMo, la produBvità
aumenta; ma aumenta perché ci riallochiamo usando più capitale umano, ma l'efficienza
scende. È un effeMo di composizione seMoriale sfavorevole, e non è una buona cosa. Il
quadro della situazione italiana è abbastanza deprimente.
Qui abbiamo un grafico più semplice che è la distribuzione della meritocrazia a livello delle imprese:
Si hanno 5 classi di merito, e l'istogramma indica la frequenza. Se guardiamo l'Italia si vede che la
classe di merito più bassa ha un peso molto maggiore rispetto alle altre in relazione agli altri paesi.
Le imprese eccellenti sono sempre una minoranza in tutti questi paesi, però diciamo che il modo in
cui le classi basse si caratterizzano per essere importanti sono la classe 0 soprattutto (e questo
riguarda specialmente l’Italia). Questi sono fattori che non vengono tipicamente studiati e che non
vengono discussi nel nostro dibattito economico-politico.
Questo anche perché c'è una tendenza tra gli economisti a riflettere sul fatto che in un sistema
competitivo vale il "survival of the fittest", quindi la competizione mette a posto gli imprenditori. E
quindi noi non dobbiamo preoccuparci di questo, ma di dare gli incentivi giusti agli imprenditori.
Quindi per qualche motivo gli economisti tendono a credere che questi incentivi implicitamente si
distribuiscano facilmente (dobbiamo tassarli poco e metterli in un mercato possibilmente competitivo,
nel senso che abbiamo l'antitrust che funziona e finisce lì). La realtà è che non finisce lì, perché
molte imprese lavorano in settori che non sono necessariamente aperti alla concorrenza
internazionale (tutto il settore dei beni non commerciati internazionalmente non ha la pressione
diretta che deriva dall'essere esposti alla concorrenza del mercato europeo o globale). In secondo
luogo, il fatto è che le imprese possono essere piccole nella misura in cui sono poco esposte alla
concorrenza da altri paesi competono sostanzialmente tra di loro e sono simili, ciò porta il mercato
automaticamente a risolvere problemi di scarsa o inefficiente governance.
Il contributo che Pellegrino e Zingales danno però è anche quello di dire che il problema è che dato
il
- contesto istituzionale del nostro paese
- modo in cui vengono regolate le successioni
- modo in cui il sistema giuridico regola la governance delle imprese e ammette certi funzionamenti
- il fatto che da noi il capitale di rischio conta poco (conta molto il prestito bancario)
- il fatto che noi storicamente abbiamo un sistema bancario che alla fine si è rivelato un fallimento
devastante (un sistema basato sulle banche locali, sulla banca di relazione)
- il modo in cui il capitale viene canalizzato alle imprese ne determina gli incentivi.
È l'intero sistema, il sistema giudiziario, il sistema delle relazioni tra le imprese che producono beni
e le imprese finanziarie, che favorisce esiti di questo tipo.
Questo grafico anche è interessante, mostra che le misure di efficienza delle imprese (tenendo conto
di dove sono le sedi centrali delle imprese) è correlato molto bene con gli indici generali di
meritocrazia (asse delle ordinate, meritocrazia nelle scuole, nelle università, nel sistema di selezione
degli impiegati pubblici...) del paese. Esiste una correlazione significativa, non perfetta ma
importante. Queste sono questioni non irrilevanti. La Svezia è un paese che tassa moltissimo, la
quantità di produzione intermediata dallo stato è altissima, eppure è un paese che ha un indicatore
di meritocrazia a livello di imprese (asse delle ascisse) e nel paese (asse delle ordinate) che è
altissimo, e non è diverso da quello degli USA.
GRAFICO: altra misura di efficienza nei paesi OECD, e di nuovo l’Italia non è certo
messa bene: c'è un Sud (Italia, Portogallo, Spagna e Grecia).
GRAFICO: complementare a quello che fanno vedere Pellegrini-Zingales. Prima del 1995
la relazione tra il management score e la crescita della produttività non c'era
Tra il 1995 e il 2008 si manifesta questo fenomeno della rivoluzione tecnologica e succedono
2 cose:
1. Skill buyers: il progresso tecnico aumenta molto i salari di quelli che hanno skill e
non aumenta (anzi, riduce) i salari reali in molti casi di quelli che di skill non ne hanno.
E questo è un problema di diseguaglianza assai rilevante
2. Se le imprese hanno certi standard qualitativi, c'è una complementarità tra gli
standard qualitativi delle imprese e la crescita della produttività indotta dall'adozione
delle nuove tecnologie. Se lo score è basso, l'impatto sulla produttività non si vede.
Italia, Spagna e Portogallo sono messi male.
La loro idea è che l'arrivo dell'IT revolution amplifica la divisione nord-sud attraverso 3 canali:
• La produttività: il management efficiente e IT sono complementi. Uno aumenta
l'altro, dove però c'è l'idea che il management è cruciale. Dunque, le imprese del sud
che non avevano un buon management, anche quando hanno adottato l'IT hanno
avuto minori benefici; ci sono minori incentivi a adottare IT perché non si sa cosa
farsene. Tutto questo produce un gap di produttività
• L'occupazione: IT aumenta la quota di occupazione delle imprese che hanno un
management formale (non basate sul management dei proprietari). Un punto
essenziale dell'efficienza di un sistema di mercato è che non fai il manager perché
sei ricco; se sei ricco fai il rentier. Le imprese del sud di fatto, prima che questa
rivoluzione prendesse veramente piede, avevano una efficienza comparabile
nell'uso delle tecnologie tradizionali. Con il nord non c'erano enormi differenze: è un
po' come se ci fosse una competenza "first specific", l'impresa ha certe tecnologie e
questa competenza si tramanda anche attraverso la proprietà familiare. Ma quando
l'ICT comporta cambiamento organizzativo, questo arriva dall'esterno, bisognerebbe
assumere personale esterno che soppianterebbe il ruolo del management familiare
perché ICT richiede la riorganizzazione dell'impresa, non richiede di far lavorare gli
operai e le maestranze in modo diverso, si cambia il modo in cui l'impresa si
relaziona con i mercati... in passato bastava cambiare un macchinario e fornire le
istruzioni agli operai.
• I salari: abbiamo uno svantaggio in termini di occupazione e in termini di redditi; le
imprese più efficienti, con un management più efficiente, sono meno presenti nel
sud. Questo è un effetto di composizione che è anche importante. Inoltre, il fatto che
ci sia meno domanda di ICT significa che ci sia meno domanda di highskill workers;
quindi chi è formato se ne va.
Loro poi alla fine lo calibrano questo modello (scelgono una serie di parametri per descrivere
le caratteristiche strutturali dell'economia), e questo modello spiega più di 1/3 della
divergenza del sistema italiano da quello tedesco, mentre spiega benissimo la divergenza
del portogallo (81%). La divergenza dipende dal fatto che le imprese che non hanno un buon
management hanno minori guadagni di produttività dall'adottare nuove tecnologie. Poi
sostengono che l'emigrazione in quanto tale non ha avuto un grande effetto sulla produttività
totale dei paesi.