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Politica economica

Punteggio max 33, non serve 18 nel parziale per accedere al completamento. Il parziale da due punti
bonus. (Argomento nuovo MERITO, non c’è nelle lezioni registrate- trattato in un convegno
organizzato in classe il 5 maggio)

Lez intro
Approfondimenti dell’organizzazione della politica economica, cioè il ruolo dello stato nell’economia.
Storicamente l’economia viene interpretata come un sistema astratto, con un ciclo naturale. Con
questo ciclo lo stato ha un ruolo di interferenza / cooperazione.
Il modo in cui il governo politico regola il mercato contribuisce al suo funzionamento.
Lo stato sociale esiste perché da sola un’economia di mercato produce esiti subottimali.
Il tema del merito riguarda il fatto che gli economisti considerano come criterio di efficienza i
rendimenti monetari o produttive.
L’Economista Ramsey ha introdotto il concetto che ha più senso tassare i soggetti che non hanno
reazioni. Ci si chiede se tassando di più un reddito molto alto, possa avere delle conseguenze
negative sulla produttività di quel soggetto.
La seconda parte del corso si occupa di temi Macro, Sempre osservati da un punto di vista
individuale.

Parte 1

Teoria normativa della politica economica (cap 1)


Questione gas: la Cina compra il gas dalla Russia, siccome la Russia non lo vende più all’Europa la
Cina avrà un eccesso di offerta e la Russia un calo di domanda.
“La politica economica è quella parte della scienza economica che studia una comunità riguardo -
all’individuazione dei fini
- Al modo di perseguire tali fini
- All’esito dell’intervento
Il filo conduttore è costituito dall’individuazione esplicita dei conflitti.
La coscienza dell’esistenza del conflitto è un elemento chiave per comprendere il funzionamento
dell’agire economico e il ruolo della politica economica. È una scienza?
- Concerne fatti reali ✔
- Riguarda classi generali di fenomeni ✔
- Assicura l’estraneità dello scienziato ai fatti ❌
- Consente la ripetibilità degli esperimenti ❌
L’economia non è una scienza, ma segue il metodo scientifico attraverso
• Osservazione dei fatti
• Individuazione di regolarità
• Individuazione di fatti stilizzati
• Elaborazione di un modello
• Valutazione del modello (per fini prescrittivi/normativi, previsivi, descrittivi/positivi)
La comunità è un aggregato di soggetti.
In ogni modello utilizzabile a fini della politica economica è necessario che figurino almeno due
categorie di soggetti:
1. I privati: individui che perseguono i propri obiettivi individuali; talvolta ci si riferisce ai privati
anche come ai cittadini. N.B. vi può essere conflitto tra i fini perseguiti dai privati
2. Le autorità di politica economica (o policy-maker)
La concezione dell’autorità di politica economica differisce a seconda delle impostazioni teoriche
seguite da diverse scuole:
1. Secondo la teoria tradizionale, derivante anche dall’economia del benessere, l’autorità di
politica economica (o policy-maker) è un’entità che non ha una propria personalità, ma è
semplicemente un aggregatore delle preferenze individuali.
2. Secondo la scuola delle public choice, i policy-maker non sono entità astratte, ma uomini in
carne ed ossa che perseguono obiettivi propri, che possono avere poco a che fare con gli
obiettivi degli individui che costituiscono la comunità. Secondo questa linea di pensiero è
quindi fisiologico che vi siano conflitti fra gli obiettivi perseguiti dai policy-maker e gli obiettivi
degli individuali che costituiscono la comunità.
Nella visione tradizionale, il policy-maker può essere visto come:
- Un unicum
- Un insieme di entità
Secondo questa concezione, il policy-maker può essere articolato:
a) A seconda delle competenze sui fini.
1. Allocation bureau: l’ufficio che persegue obiettivi di efficienza microeconomica dei mercati
2. Stabilization bureau: ufficio che persegue obiettivi di natura macroeconomica
3. Redistribution bureau: ufficio che si occupa degli interventi volti a realizzare la
redistribuzione del reddito
b) Articolazioni territoriali: ci sonno i policy-maker di livello nazionale e di livello territoriale più
limitato
c) Articolazioni funzionali: si deve distinguere tra i politici, che devono individuare i fini e le azioni
da intraprendere per raggiungerli, e i burocratici, che mettono in atto le misura individuate dai
politici.
Secondo la linea di pensiero della scuola public-choice è fisiologico che vi siano conflitti fra gli
obiettivi perseguiti dai policy-maker e gli obiettivi delgi individui che costituiscono la comunità. I
policy-makers sono individui con le proprie preferenze. Inoltre, secondo la scuola della political
economy, ci sono relazioni di interdipendenza strategica fra:
- Cittadini - cittadini
- Cittadini - policy-makers
- Policy-makers - policy-makers
Il conseguimento dei fini può essere svolto in diversi modi:
- Intervento vs. no-intervento (fiducia o meno nelle capacità di autorealizzazione dei fini da
parte del sistema economico)
- È possibile raggiungere il fine?
1. Teoria della controllabilità
2. Visioni radicali
- Conflitto tra strumenti alternativi di politica economica.
La modalità con cui raggiungere certi fini è riassunta nella ricetta di politica economica.
Attuata quest’ultima si osservano gli effetti.
Ci può essere conflitto tra obiettivi previsti e obiettivi realizzati nel caso di:
- Errori nel set informativo iniziale
- Errori di fatto nell’attuazione:
1. Tempi
2. Dimensione
Oppure ci può essere una modifica delle condizioni.
Il modello fornisce la descrizione semplificata della realtà: i pregi di un modello sono la semplicità e
la coerenza logica interna (l’uso della matematica assicura di non produrre risultati in conflitto con
l’ipotesi di partenza).
Nella scienza economica vi è conflitto tra modelli alternativi e si discrimina in base alla capacità di
spiegare i fatti.
Scienza: qualsiasi sistema di conoscenza che riguarda il mondo fisico e i suoi fenomeni e che implica
osservazioni imparziali e sperimentazioni sistematiche. In generale, una scienza implica la ricerca di
conoscenze che riguardano la verità generali o le operazioni delle leggi fondamentali.
Metodo scientifico: un processo circolare un metodo di procedura che ha caratterizzato le scienze
naturali fin dal XVII secolo, consistente nell’osservazione sistematica, nella misurazione e
nell’esperimento, nonché nella formulazione, verifica e modifica di ipotesi.
È una struttura analitica che ci permette, partendo da alcune congetture, di investigare nei nessi
causali e fare delle previsioni. Ne può essere data una lettura di tipo:
- Positivo: se l'obiettivo è avere una descrizione delle relazioni che intercorrono nella realtà. Il
mondo così com’è. È parte di un’analisi descrittiva e sono verificabili;
- Normativo: se l'obiettivo è quello di sapere che cosa è possibile fare, al fine di ottenere un
risultato. Impatto sul benessere collettivo derivanti dagli equilibri economici che si determinano.
Analizzano la desiderabilità delle politiche e i suoi effetti. In un modello troviamo delle variabili
che sono legate tra di loro. Le leggi che legano le variabili sono delle relazioni formali, per essere
precisi riguardo le previsioni del modello.

Un modello dà la rappresentazione semplificata della realtà. Le grandezze rilevanti sono colte da


variabili. Le leggi che legano le variabili sono rappresentate da relazioni. All’interno di un modello
figurano:

Nei modelli tipicamente ci sono quattro categorie di relazioni:


1. Relazioni Tecniche: riguardano
• la funzione di produzione (identifica la tecnologia, es:Cobb-Douglas) e
• funzione di utilità (identifica un ordinamento delle preferenze), sono fondamentali perché ci
permettono di identificare le relazioni comportamentali. [Perché non si introducono nelle funzioni
di utilità dei principi altruisti? ‘Non è dalla benevolenza del macellaio che noi otterremo il nostro
pasto’- Smith, tutti diventano produttivi per soddisfare bisogni individuali e da questa produttività
deriva l’efficienza dell’intero sistema economico. Un’altra questione è capire come la politica
economica favorisce degli equilibri in cui anche se le persone non si comportano in maniera
altruista, si generano comunque dei benefici collettivi. Ci sono anche dei casi in cui
comportamenti espressamente altruistici (ec del terzo settore) generano delle conseguenze,
infatti esistono studi che dimostrano una tendenza degli individui a cooperare]. Bisogna anche
considerare che gli individui sono mediamente avversi al rischio - la matematica dimostra che se
una funzione di utilità è concava, questa incorpora l’avversione al rischio.
2. Relazioni Comportamentali: descrivono il comportamento degli individui
• Q =f(P;...)=a-bP funzione di domanda, deriva dalla funzione di utilità di chi domanda i beni, la
funzione di utilità quindi è cruciale
• L=f(w,...) funzione di offerta di lavoro, deriva sempre dalla funzione di utilità; le famiglie traggono
utilità dal consumo di un paniere di beni e dal consumo di tempo libero.
3. Relazioni Di Equilibrio: come l’imposizione dell’eguaglianza tra quantità domandata e quantità
offerta
• (equilibrio di mercato singolo)
• D = Y (equilibrio macroeconomico, comporta che tutti i mercati siano in equilibrio, tutti gli agenti
una volta fatta la propria scelta, tenendo conto di tutte le variabili esogene, non hanno motivo
di cambiarla)
4. Relazioni Definitorie: servono per definire una grandezza
• D = C + I + G + X - M (domanda aggregata)

4.1. Relazioni Definitorie Istituzionali: (sottogruppo di quelle definitorie) riguardano i vincoli del
governo, sono equazioni definitorie relative a grandezze istituzionali
• BS = T- G (bilancio dello stato)
• BC = X – M (bilancia commerciale)

Equivalenza di Barrow-Ricardo: Se oggi il governo abbassa le tasse (cioè emette debito), il valore
attuale delle imposte non cambia . C’è una relazione tra il vincolo di bilancio del governo, quello delle
famiglie. Se oggi emetti debito, il governo dovrà aumentare le imposte in futuro. Allora il consumo
delle famiglie non risponde alla riduzione delle imposte, perché si aspettano un aumento delle
imposte futuro. In realtà un anziano oggi non si preoccupa di una riduzione delle tasse attuali, perché
l’aumento futuro non lo riguarderà.

All’interno del modello troviamo poi:


- parametri tecnici: derivano dal modo in cui si produce, tendenza a considerare esogeno la
tecnologia
- Parametri comportamentali: riflettono l’esistenza di preferenze, definiscono gli incentivi degli
agenti
- Variabili endogene: il cui valore viene spiegato all’interno del modello
- variabili esogene: il cui valore viene assunto come dato e non viene spiegato all’interno del
modello. Queste esistono perché:
• Possono catturare dei fenomeni rilevanti non economici, sono eventi che possono influenzare
l’economia di un paese, non vengono spiegate dal modello ma sono assunti come dati
(terremoti, pandemia)
• Variabili pre-determinate: sono variabili che per un orizzonte di breve-medio termine non si
possono cambiare, oppure si possono cambiare in un modo non prevedibile
• Esigenza di concentrarsi su uno specifico aspetto: non analizza il comportamento delle altre
variabili che potrebbero influenzare il sistema economico ma mi concentro su aspetti specifici

La distribuzione esogena/endogena delle variabili dipende dall’obiettivo e dalla lettura del modello.
Ciò che in una lettura positiva (descrittiva) del modello è esogeno, può diventare endogeno in una
lettura prescrittiva del modello e viceversa.
Moltiplicatore fiscale: mi dice come risponde il prodotto ad una politica espansiva, mi definisce la
variazione percentuale di un prodotto per un certo periodo.

Il modello può avere due tipi di forma:


• Strutturale: è dato dall’insieme delle equazioni che lo compongono e che rappresentano le
relazioni di struttura del sistema economico che legano variabili endogene con altre variabili
endogene ed esogene. Le equazioni esprimono le relazioni che intercorrono tra tutte le variabili
considerate; Forma strutturale
y1= g1 (y2,y3,……….ym, x1,x2,………xn)
Y2=g2 (y1,y3,……….ym, x1,x2,………xn)
y2=g2 (y1,y3,………. ym, x1,x2,………xn)

• Ridotta: quando viene riscritto in modo che ciascuna variabile endogena risulti funzione
soltanto di variabili esogene. Il modello sarà quindi costituito da un numero di equazioni pari al
numero di variabili endogene.
La forma ridotta è la soluzione del modello: Endogene:
y1, y2,…….ym
Esogene: x1, x2,……..xn

Forma ridotta
Y1=f1(x1,x2…….xn ) Y2=f2(x1,x2,….xn)
Ym=f(x1,x2…..xn)
Dato un modello in forma strutturale è sempre possibile scriverlo in forma ridotta, inoltre è sempre
possibile considerarne l’approssimazione lineare (espansione in serie di Taylor).
Y1 = a11 * x1 + a12* x2 + …… + a1n*xn
Y2 = a21 * x1 + a22* x2 + …… + a2n*xn

Obbiettivi collettivi (cap 2)

La teoria della politica economica vuole individuare, tra le variabili, obiettivi e strumenti.
Per obiettivo di politica economica si intende un traguardo o un fine dell’azione dell’autorità di
politica economica.
Variabili obiettivo della politica economica: variabili alle quali il policy maker attribuisce valori obiettivo
che intende realizzare. Se ho degli obbiettivi, gli strumenti che uso che realizzarli sono variabili
endogene, essi devono poter essere modificati e controllati secondo le necessità. Possiamo avere:
• Obiettivi fissi: traguardi numerici prefissati per ogni determinato obiettivo, quando l’autorità di
politica economica mira a raggiungere un valore puntuale di una certa variabile.
• Obiettivi flessibili: quando l’autorità di politica economica mira a raggiungere il massimo o il
minimo valore possibile di una funzione (ci si pone un problema di massimizzazione o di
minimizzazione). Strettamente connesso al meccanismo delle funzioni di utilità, funzione obiettivo
da rendere massima o minima.
Tipicamente la strategia di perseguire obiettivi fissi è impraticabile.

STRUMENTI DI POLITICA ECONOMICA


Lo strumento è quella variabile del nostro modello che il policy maker può controllare, deve essere
efficace ovvero dati gli obiettivi deve permettere di conseguirli, viene usata dal policy maker come
leva per raggiungere un fine.
Requisiti che deve avere una variabile strumento di politica economica: (es offerta di moneta)
• Controllabilità: deve essere controllabile dall’autorità di politica economica; • Impermeabilità dal
contesto: deve essere sufficientemente isolata dall’influsso di elementi fuori dal controllo
dell’autorità;
• Efficacia: deve essere efficace sugli obiettivi che l’autorità si pone (osservare che sensibilità o
elasticità sia diversa da zero) .

OBIETTIVI FISSI NEL MODELLO


L’autorità di politica economica può porsi, nel caso di obiettivi fissi, fino a un massimo di M obiettivi,
uno per ogni variabile endogena.
Indichiamo con (Y1*, Y2*,..., Ym1*) i valori che l'autorità si pone come obiettivi e vediamo di stabilire
se e come essi possano essere raggiunti.

Un sottoinsieme di variabili endogene è un obiettivo di politica economica.

Se noi abbiamo degli obiettivi, gli strumenti diventano le variabili endogene del modello; quando mi
occupo di politica economica, partendo dal presupposto che i policy maker hanno degli obiettivi fissi,
le variabili endogene diventano esogene, so che devo raggiungere quell’obiettivo e quindi muovo gli
strumenti che diventano endogeni rispetto a quegli obiettivi; si ribalta l’approccio.

Possiamo avere tre casi di risoluzione:


1. Sistema Perfettamente Identificato (m1 = n1): il numero degli obiettivi è uguale al numero
degli strumenti (numero equazioni uguale numero variabili), possiamo raggiungere
perfettamente gli obiettivi, non ci sono dilemmi, c’è una sola soluzione;
2. Sistema Sotto Determinato (m1 < n1): il numero degli obiettivi è minore del numero degli
strumenti (numero equazioni minore numero variabili), ci sono infinite soluzioni, si avranno quindi
più gradi di libertà per scegliere quale strada percorrere tra le infinite che consentono di
raggiungere gli obiettivi fissati; il sistema non è univocamente determinato;
3. Sistema Non Risolvibile (m1 > n1): il numero degli obiettivi è maggiore del numero degli
strumenti (numero equazioni maggiore numero variabili), gli obiettivi non sono tutti raggiungibili.
Nella realtà spesso è così
Per risolvere questo sistema possiamo:
- Lasciare perdere alcuni obiettivi
- Cercare di costruire o inventare nuovi strumenti
- Abbandonare gli obiettivi fissi e perseguirne uno flessibile

Questi tre casi possono essere condensati nel Teorema Di Timbergen: dato un modello di politica
economica con obiettivi fissi, condizione necessaria affinché esso sia controllabile è che il numero
di strumenti sia almeno pari al numero di obiettivi.

Quando il numero degli strumenti è troppo basso rispetto al numero degli obiettivi bisogna adottare
un approccio diverso, bisogna abbandonare l’idea degli obiettivi fissi in quanto non ci posso arrivare,
si passa ad obiettivi flessibili e si ha quindi più flessibilità nelle scelte.

OBBIETTIVI FLESSIBILI

Struttura dell’economia: Y= A x X (matrice)


La matrice A dei parametri non è invariante alle politiche economiche.

La teoria di Ricardo dice che le famiglie ottimizzano le proprie scelte sulla base di un vincolo di
bilancio intertemporale ovvero alle famiglie, nelle relazioni con lo stato, interessa il valore attuale
delle imposte che devono pagare; se questo non varia, le famiglie non cambiano comportamento.
Ipotizzo di avere certi moltiplicatori fiscali (es. quando le imposte scendono, il prodotto aumenta
poiché aumenta la domanda di consumo)
Il policy maker con la propria funzione definisce i propri obiettivi di consumo e inflazione oppure
decide di ridurre le imposte e le alza domani oppure in futuro riduce le spese (per rispettare il
bilancio).
La critica di Lucas data la struttura dell’economia y=Ax, la matrice A dei parametri non è invariante
alle politiche economiche. Le politiche economiche fanno variare i parametri comportamentali, cioè
la struttura.
Es: la risposta della disoccupazione all’inflazione dipende dal fatto che questa sia attesa, o che sia
una sorpresa.
Es: gli effetti di una riduzione delle imposte potranno essere diversi se sono concepiti come
permanenti o temporanei. Lucas dice che pur ipotizzando la stessa riduzione delle imposte, la
risposta dei consumi sarà diversa poiché, data la premessa ricardiana, le minori imposte oggi
compensate da un aumento domani non modificano il vincolo di bilancio intertemporale delle famiglie
(la risposta dei consumi è 0).
Se però la riduzione delle imposte è compensata dalla premessa di una riduzione di spesa pubblica,
in futuro le famiglie saranno spinte a consumare di più.
Supponiamo che la struttura dell’economia sia stata ottenuta stimando il comportamento delle
famiglie in un periodo precedente e in tale periodo le variazioni delle imposte erano associabili a
variazioni permanenti della spesa (ogni volta che cambiano le imposte cambia il vincolo di bilancio
delle famiglie). Se il governo fa la stessa cosa la struttura economica non varia e rimane Y= A x X
Se invece il governo decide di abbassare le imposte ma domani le alza (si crea incertezza e le
famiglie non rischiano quindi non consumano, i comportamenti sono endogeni al contesto ovvero
alle scelte di politica economica) Y= A x X non funziona più.
Lucas ha avanzato questa critica negli anni 70 quando le banche centrali cercavano di controllare
l’inflazione ma avevano anche degli obiettivi di livello della disoccupazione o di decrescita della
produzione; in alcuni momenti promettevano di voler raggiungere un certo livello di disoccupazione
e allo stesso tempo di voler tenere basso il tasso di inflazione.
Questi annunci non impattavano sul comportamento degli attori, era come se il sistema non credesse
all’annuncio della politica monetaria, il motivo secondo Lucas era che le banche centrali avevano
anche un obiettivo di disoccupazione troppo ambizioso dato il contesto del sistema. Pertanto,
secondo la critica di Lucas, la politica economica ha sì effetto sulle variabili economiche, ma in un
modo che non può essere previsto sulla base dei comportamenti osservati nel passato. Di
conseguenza, la conclusione a cui perviene Lucas è che sia meglio, per l'autorità di politica
economica, astenersi da interventi attivi, proprio perché l'esito del loro intervento è sempre
imprevedibile.
Alla base, gli agenti privati e le autorità di politica economica sono legati da interdipendenza
strategica: il comportamento ottimale degli uni dipende dal comportamento degli altri, e non può
essere descritto con relazioni funzionali in cui i parametri comportamentali di un agente restano
invariati rispetto ai comportamenti degli altri. A seguito della critica di Lucas, la teoria della politica
economica ha iniziato a fare ampio ricorso a strumenti di analisi derivati dalla teoria dei giochi.
Questa nuova impostazione e talvolta indicata come “nuova teoria della politica economica”.

L'economia del benessere (cap 3)


(in inglese, welfare-economics) è la branca della scienza economica che si occupa di fornire criteri
per valutare socialmente (e quindi ordinare) allocazioni alternative.
La politica economica, infatti, cambia l’allocazione delle risorse, crea delle allocazioni alternative.
Le scelte pubbliche prese per soddisfare le preferenze individuali sicuramente finiranno per
esprimere l’ideologia di un dittatore o di un gruppo dominante, l’alternativa a questo è la democrazia
rappresentativa attraverso il voto. Anche il voto però sicuramente andrà ad escludere le esigenze di
alcuni.
Il problema della politica economica è massimizzare una funzione di benessere sociale soggetta a
dei vincoli (tecnologia, il funzionamento dei mercati).
L'economia del benessere studia anche quali giudizi di valore (ideologici) siano impliciti in ciascun
possibile ordinamento sociale di allocazioni diverse.
C’è una distinzione tra giudizi di valore, che sono tipici degli individui e attengono alla sfera della
libertà individuale e quello che la politica economica può fare.
È molto importante definire il confine tra le due aree, quella della scelta individuale e quella della
scelta collettiva che in qualche modo interferisce con la scelta individuale.
In questo contesto il termine ideologico non ha una connotazione negativa, ha a che vedere con dei
giudizi di valore rispetto a cui un economista e la politica economica non hanno nulla da dire.
Abbiamo assistito ad un’evoluzione dell’impostazione che gli economisti hanno adottato rispetto a
come condurre la politica economica.
L’economia del benessere è composta da diverse linee di ricerca:
1. Vecchia economia del benessere: che riprende in modo estremo l’impostazione liberale cioè
fondamentalmente un’economia di mercato è un’economia nella quale le scelte individuali sono
libere fatti salvi i vincoli di bilancio.
2. Nuova economia del benessere: fondata da Kenneth Arrow, dimostra l’incoerenza
dell’approccio basato sull’aggregazione delle preferenze con i principi liberali. Arrow riesce a
dimostrare che il rispetto di tutti i principi liberali, tradotto in aggregazione delle preferenze, è
impossibile, a meno che ci sia un dittatore. Le decisioni puramente liberali sono impossibili come
criterio universale per tutte le decisioni, è necessario adottare un meccanismo basato sul
conferimento del potere ad un decisore. Dimostra l’insussistenza dei requisiti dell’approccio
liberale per definire la politica economica. Il risultato della nuova economia del benessere è che
ci vuole un meccanismo di formazione delle scelte che non sia basato sulla semplice
aggregazione di preferenze ma richiede formazione di votazioni, perché ci possono essere
condizioni tali per cui la sfera della libertà individuale delle scelte economiche viene toccata, è
quindi impossibile preservare uno spazio minimo individuale per certe decisioni.
3. La terza linea di studi ritiene che la scelta sociale sia da attribuire all'esito di votazioni, e pertanto
dà luogo alla "teoria delle votazioni". Da qui in poi gli economisti iniziano a dedicarsi alle scienze
politiche, con l’occhio all’allocazione di risorse che sono scarse.
4. Scuola delle public choices (delle scelte collettive): fa riferimento ad una radice culturale molto
profonda nella cultura degli stati uniti, è una cultura che vede lo stato come un potenziale
oppressore delle libertà individuali, si preoccupa di analizzare il comportamento di chi produce
politica economica sulla base degli interessi materiali di chi effettivamente prende le decisioni. I
rappresentanti degli enti collettivi perseguono fini propri, che hanno poco a che fare con gli
obiettivi individuali.

FUNZIONE DI BENESSERE SOCIALE DI BENTHAM


Bentham, a metà dell’800, aveva suggerito che il benessere di una SW UUU
UN
collettività fosse la somma del benessere dei singoli individui. “Funzione liberale”, stessa importa a
tutti gli individui.

Visione liberale più estrema, nella società ho n individui, questi individui hanno delle funzioni di
preferenza, il benessere sociale è definito dall’aggregazione delle funzioni di preferenza individuali,
sommo le funzioni di utilità.
È facile fornire una rappresentazione grafica: si può ricavare una mappa di curve, ciascuna associata
a un dato livello di benessere sociale, linee di livello chiamate curve di isobenessere (curva che
contiene tutte le combinazioni di utilità dei due individui a cui è associato il medesimo benessere
sociale). Il tasso di sostituzione dei due livelli di utilità è costante e =1.
Lo stato non deve intervenire nelle relazioni tra gli individui purché queste relazioni non siano in
contrasto con un principio di efficienza collettiva.
Abbiamo bisogno di un intervento dello stato per tutto quello che fa funzionare i
mercati.
Ci sono delle allocazioni che spostano la retta di indifferenza in alto a destra,
queste aumentano il benessere però il policy maker è indifferente al fatto di
collocarsi su una funzione di indifferenza più alta.

CRITERIO INDIVIDUALISTA DI PIGOU


La paternità dell’economia del benessere è attribuita a Pigou (“Welfare Economics”, 1920), il quale
propose il primo criterio di valutazione (criterio individualista), richiamando una precedente
formulazione dell’economista e filosofo Bentham.
Il criterio individualista stabilisce che l’indicatore del benessere sociale, cioè il valore di una funzione
di utilità collettiva, deve dipendere dalle utilità dei componenti della collettività.
Se gli individui 1, 2, ...i, ...N di una collettività conseguono utilità U1, U2, ...Ui, ...Un, allora la funzione
di benessere sociale dipenderà dalle utilità di tutti questi individui.

Pigou propone poi una funzione di social welfare, benessere sociale, un po’ più
articolata e ammette la possibilità che nell’aggregazione delle preferenze ci siano
pesi diversi, questi pesi sono però indefiniti.

Questa funzione, nel caso di una società con due individui si riduce all'espressione:

Oppure: meritano più attenzione (cioè un peso maggiore) le esigenze di quelle persone che stanno
"peggio"
La variabile U cresce infinitamente nel tempo, se definisco il log di una variabile che cresce
indefinitamente nel tempo, so che il log cresce meno della variabile. La funzione è concava, il logU
aumenta meno di U.
Quindi se l’utilità individuale ha un certo tasso di crescita, l’utilità collettiva sulla base di quella
individuale cresce meno che proporzionalmente. Questo tipo di aggregazione privilegia gruppi
specifici.

CROSS SECTION: suddivisione in un certo punto nel tempo della società riguardo le posizioni
individuali, l’economia cresce nel tempo ma in ciascuna unità di tempo il livello del consumo
aggregato si distribuisce in consumo individuale.
Se considero l’utilità degli individui in un certo punto nel tempo, e uso il log dell’utilità individuale
come principio aggregatore, il peso delle utilità grandi si traduce in qualcosa di relativamente meno
grande se io prendo il logaritmo; schiaccio il contributo delle utilità grandi all’utilità collettiva rispetto
al contributo delle utilità piccole.

Secondo Bentham se io tolgo alla famiglia ricca per dare alla famiglia povera nella stessa misura,
dal punto di vista delle utilità collettive non cambia nulla, secondo il principio che non devo entrare
nelle scelte individuali.

Secondo Pigou invece (prendendo un criterio individualista), togliere a un ricco per dare ad un povero
nella stessa misura, è benefico dal punto di vista collettivo perché è ritenuto benefico limitare la
dispersione dell’utilità (che può essere vista come avversione alla diseguaglianza)

Curve di isobenessere con solo due individui, basate su una funzione di massimizzazione del
benessere sociale che incorpora una preferenza per la redistribuzione.

Vediamo la commistione di due aspetti


1. Aspetto tecnico: impatto sulla funzione obbiettivo
2. Criterio preesistente: ‘non mi interessa cosa preferiscono gli individui’, ma
decido come aggregarle sulla base di un criterio in cui io, tecnico economista
prendo come dato.

Funzione di benessere sociale di Rawls:


Costruisce una funzione di preferenza che è l’opposto della funzione di preferenza di Bentham.

Lui si preoccupa di problemi redistribuivi, suggerisce una visione con un forte riferimento alle
esigenze di equità, si preoccupa in via esclusiva del benessere di chi sta peggio. ‘Noi siamo
indifferenti a tutte le allocazioni che non cambiano il benessere di chi sta peggio’. È un aspetto
normativo.
Nel grafico noi ci occupiamo solo di chi si posiziona nel punto A, (che ottiene minimo benessere), chi
si posiziona su B (maggiore benessere) non viene considerato, almeno fino a quando la posizione
di A migliora .
Redistribuiamo l’utilità finché possiamo, mi preoccupo di raggiungere un livello minimo o comunque
sostenibile di utilità per gli agenti più svantaggiati e poi lascio la società libera di produrre il massimo,
evolva e produca ricchezza come crede, sono indifferente. Dato il vincolo alla redistribuzione delle
risorse, attraverso le politiche economiche, io massimizzo il benessere di chi è svantaggiato
Se il sistema scolastico funziona male perché non ci sono abbastanza risorse, e non si vuole tassare
la popolazione, allora il capitale umano di una fascia della popolazione smette di crescere. Allora il
fatto di avere una concentrazione della ricchezza comporta una riduzione dell’efficienza e una
perdita di potenziale. C’è un trade off tra efficienza e equità.
Ci sono anche dei motivi per cui alcuni mercati non funzionano (salute e istruzione)

FUNZIONE DI BENESSERE SOCIALE SI NIETZSCHE


Il caso concettualmente opposto è quello per cui si ipotizza che il benessere sociale debba coincidere
con l’utilità dell’individuo che sta meglio.
Funzione del benessere sociale di Nietzche:
SW = max {U1, U2, ...Ui, ...UN}

Massimizzare la funzione di benessere sociale alla Nietzche equivale a massimizzare l’utilità


dell’individuo che sta meglio.
L’impostazione utilitaristica, a prescindere da quale specifica forma funzionale si assuma per
rappresentare la funzione di benessere sociale, richiede che sia possibile misurare e confrontare
l’utilità dei diversi individui appartenenti alla collettività. Questa ipotesi è contestata da Pareto,
secondo cui l’utilità non è una grandezza misurabile, e quindi neppure confrontabile fra diversi
individui.
RIASSUMENDO
Funzione di benessere sociale:
• Alla Bentham: la funzione di benessere sociale è la somma delle u5lità degli individui.
• Alla Rawls: la funzione di benessere sociale è pari all’u5lità dell’individuo che sta peggio.
• Alla Nietzche: la funzione di benessere sociale coincide con il livello di u5lità dell’individuo che sta meglio
Criterio paretiano essenziale per capire quando arriviamo a una
situazione efficiente
- X si preferisce e Y se tutti i soggetti di X stanno almeno non-peggio di Y, e almeno uno sta meglio
di Y.
- Uno stato del mondo S1 sarà un ottimo paretiano rispetto a S2 quando tutti gli individui sono
concordi nell’ affermare che preferiscono S1 a S2.

Il criterio, evidentemente, si basa sul concetto di ottimo paretiano: un’allocazione; infatti, è un


ottimo paretiano (o è "Pareto-efficiente"), quando è impossibile trovare un'allocazione differente in
cui almeno un individuo stia strettamente meglio e ciascuno degli altri stiano almeno non peggio.
Io non voglio far stare nessuno peggio ma qualcuno meglio.
La preferenza deve essere stretta per almeno un individuo, il criterio paretiano richiede l’unanimità
di valutazione

Pro: è molto semplice


Contro: conduce a una soluzione chiara quando i confronti si presentano come ovvi, mentre è
inconcludente nei casi più frequenti ed interessanti.
La principale ragione per cui gli economisti sono interessati a valutare la pareto-efficienza delle
allocazioni è un’altra: esiste una corrispondenza tra gli equilibri concorrenziali e le allocazioni pareto-
efficienti? Inoltre, si evidenziano le soluzioni efficienti vs quelle redistributive.
L’approccio paretiano permette di capire quali politiche interferiscono con l’efficienza per ottenere la
redistribuzione e quali non lo fanno.
Allocazione di EEG:
Analizziamo congiuntamente il sistema dei mercati, definiti come un sistema di prezzi relativi e di
quantità domandate e offerte. Siamo in condizione di EEG quando - ogni consumatore, date le sue
preferenze e dotazioni, fronteggia dei prezzi che assume come dati e domanda quantità di beni per
massimizzare la sua utilità
- Ogni impresa produce beni utilizzando input secondo una tecnologia, essa fronteggia prezzi che
considera dati, essa esprime la domanda di fattori produzione e l’offerta di output in modo da
massimizzare i propri profitti
- Sul mercato di ogni bene si realizza l’equilibrio, cioè la somma delle quantità domandata risulta
uguale alla somma delle quantità offerta

Una situazione siffatta


- non sempre esiste
- Non sempre è stabile
- Non sempre è unica

Primo teorema fondamentale dell’economia del benessere: ogni allocazione di equilibrio


economico generale di perfetta concorrenza è un ottimo paretiano.
Interpretazione politica di questo teorema: difesa del meccanismo di libero mercato capace, sotto
determinate condizioni, di garantire il raggiungimento dell'efficienza paretiana

Condizioni di validità del primo teorema fondamentale dell’economia del benessere


1. Ciascun soggetto non può, col proprio comportamento, modificare i prezzi prevalenti, ossia non
possono esistere mercati non concorrenziali.
2. L'utilità di ogni individuo deve dipendere unicamente dai livelli di consumo da egli effettuato, ossia
non possono esistere esternalità propriamente dette e anche esternalità reciproche che danno
luogo a situazioni di interdipendenza strategica. (La teoria dei giochi è ‘nemica’ dell’EEG)
3. Debbono essere chiaramente definiti i diritti di proprietà dei beni, ossia non possono esistere
beni pubblici o quasi-pubblici.
4. Devono esistere i mercati per tutti i beni esistenti, ossia, ciascun bene può essere scambiato
(ipotesi di “completezza dei mercati”).
5. L’informazione deve essere completa e simmetrica (tutti gli elementi rilevanti devono essere noti
a ogni individuo).

Secondo teorema fondamentale dell’economia del benessere


“Ogni allocazione Pareto-efficiente - nella quale si consumano e producono quantità positive di tutti
i beni, e in presenza di preferenze e tecnologie "ben conformate"- può essere raggiunta da
un'economia di libero scambio, a patto di redistribuire appropriatamente le dotazioni iniziali”.

La responsabilità dell'iniquità distributiva non è imputabile al meccanismo istituzionale del libero


scambio ma alla allocazione iniziale delle risorse.

I due agenti O1 e O2, raggiungono possibili equilibri nei


punti di tangenza delle diverse curve di indifferenza. (Il
punto A è un equilibrio ‘ingiusto, perché conferisce
poco a O1 e tanto a O2).
Il 2° Teorema fondamentale dell’economia del
benessere assicura che il mantenimento del libero
mercato, corretto con un'appropriata redistribuzione
iniziale delle risorse, consente di pervenire ad
un'allocazione che - oltre ad essere Pareto efficiente (in
virtù del primo teorema) – è anche equa.

Il contenuto "operativo" di tale teorema è però problematico:


- bisognerebbe conoscere esattamente la struttura di preferenza di tutti i soggetti
- non si vede perché tale redistribuzione non possa portare direttamente sull'allocazione finale

la ‘nuova economia del benessere’ (cap 4)


Aperta da Kenneth Arrow, non può essere basata su un meccanismo di formazione delle scelte
basato sull’aggregazione delle preferenze.
È la ricerca dell’analisi della sostenibilità dell’attuazione delle preferenze individuali.
Le scelte pubbliche, basate su una funzione di scelta sociale che riflette le preferenze individuali,
non possono non esprimere l’ideologia di un dittatore, se noi siamo l’aggregazione delle preferenze
non possiamo non esprimere l’ideologia di un gruppo dominante. L’alternativa è votare. È una analisi
che riconosce il valore della democrazia. Ma anche l’esito del voto va per forza a ridurre la voce delle
minoranze. L’economista considera le preferenze come un dato, le aggrega secondo alcuni principi,
e cerca un modo di realizzare le preferenze, considerando i vincoli presenti (spesso di tipo
tecnologici).
La società definisce una funzione di preferenza collettiva, è compito della politica economica di
massimizzare l’utilità della funzione, considerandone i vincoli.
La politica economica è un insieme di scelte effettuate in un contesto in cui non vi è alternativa
all’esistenza di un conflitto. E la soluzione ai problemi conflittuali che ‘lascia contenti tutti’ si restringe
a dei casi che non sono rilevanti dal punto di vista positivo. La storia dimostra che è impossibile
accontentare tutti, a meno che non si ricorra a un dittatore. (In realtà la figura di dittatore è un modo
per rappresentare un gruppo sociale).

Questa ricerca fu aperta da Kennet Arrow. È una ricerca con dimostrazione matematica molto
complessa. Abbiamo un sistema di preferenze individuali che devono definire degli ordinamenti (A
preferito a B, B preferito a C…)
- Pi indica strettamente preferito a… quando avviene ‘A Pi Z’ significa che l’individuo i preferisce A
piuttosto che Z.
- Ii indica indifferenza. A Ii Z. ‘L’individuo i è indifferente a A piuttosto che Z’.
- Ri indica «almeno tanto preferito quanto», preferenza debole. Quando A Ri Z ‘A non è mai inferiore
a Z per i, quindi il soggetto può preferire A o essere indifferente’.
Sulla base delle preferenze individuali, definiamo una scala equivalente di preferenze sociali
(Preferenze sociali P, I, R).
La relazione R assomma in sé i due casi di indifferenza e di stretta preferenza (e per questo viene
talvolta denominata come relazione sociale di preferenza debole, con questo indicando che esprime
preferenza o indifferenza).

Assiomi che devono essere soddisfatti da R


• Dominio universale: la società deve esprimere un giudizio collettivo su ogni configurazione
possibile
• Completezza: Per ogni alternativa deve poter essere possibile un giudizio sociale, ovvero xRy o
yRx o entrambe, in quest’ultimo caso abbiamo indifferenza.
• Transitività : se xRy e se yRz, allora xRz
• Rispondenza al principio di Pareto: : se x Ri y per ogni individuo i , allora xRy
• Indipendenza dalle alternative irrilevanti: se mi concentro su x e y non devo cambiare la scelta
se accade qualcosa a una generica variabile z che non c’è nell’insieme.
• Non dittatorialità: per consentire la costruzione liberale. non deve esistere un solo individuo per
cui, dato il suo ordinamento xR(i)y, allora debba valere xRy a prescindere dagli altri ordinamenti
individuali

Teorema di impossibilità di Arrow


Nonostante le ipotesi siano tutte accettabili, Non esiste nessun sistema di preferenza sociale che
soddisfi simultaneamente tutti i requisiti, ossia:
se valgono i postulati, cioè se la funzione di scelta sociale è completa, transitiva, rispondente al
principio di Pareto, allora necessariamente deve esistere un dittatore.
Questa è la contraddizione insita nella vecchia teoria del benessere.
Un modello di conduzione della politica economica basata sulla semplice aggregazione delle
preferenze è dittatoriale. Altrimenti noi abbiamo una politica ec basata su scelte ideologiche, cioè gli
individui possono essere portatori di visioni diverse, bisogna decidere quali visioni adottare. Si evince
che non esiste una risposta tecnocratica ai problemi della società.

Paradosso dell’amante di Lady Chatterley


L’amante di Lady Chatterly è un libro scritto del 1926, ha ottenuto il diritto di pubblicazione in Gran
Bretagna solo nel 1960. Tocca un tema divisivo, cioè se pubblicare o meno trattazioni che riguardano
la vita sessuale delle persone.
Bisogna capire se si può risolvere il problema della pubblicazione o meno del volume attraverso
l’aggregazione delle preferenze, rispettando un principio liberale minimo (cioè: per ogni individuo
esiste una scelta per cui la preferenza individuale coincide con la preferenza sociale). Conflitto tra
principio della Pareto-rispondenza e principio di liberalismo di minima (noto anche come teorema di
impossibilità del liberale paretiano)
Se tizio vuole dormire a pancia in su… chi siamo noi per digli se è giusto o sbagliato .
Nella nostra società abbiamo deciso che se uno vuole leggere un libro, sono solo fatti suoi. Il
problema è: possiamo arrivare a questa conclusione attraverso un ordinamento delle preferenze
sempre? Ci possono essere ordinamento di preferenze che però non risolvono il problema e violano
il principio di pareto.
La questione non è se è bene o male pubblicare il libro , ma capire se aggregando le preferenze è
possibile esprimere un ordinamento tale per cui si pubblica o no, o si decide chi lo legge, e si arriva
a questa conclusione applicando il principio della transitività, il rispetto della pareto efficienza , e
rispetto il principio di minima (principio liberale).

Per il puritano se nessuno legge il libro è


meglio del fatto che lo legga solo lui.
Ed è meglio che lo legga il puritano piuttosto
che il libertino. Infatti preferisce leggere per
sapere di cosa parla, per poi opporsi alla
sua pubblicazione.
Per il libertino l’opzione peggiore è che il
libro non venga pubblicato
Date le preferenze individuali descritte a
sinistra, secondo il liberalismo di minima
dando la scelta al libertino preferirebbe L a
O (principio di minima liberale). (Se vuole
se lo legge, sennò no) ‘dormo a pancia in
su’.
Dando la scelta al bigotto sceglierebbe O,
quindi otteniamo che per il suo principio di
liberalismo di minima è non fare niente. Alla
fine abbiamo L P O (per il libertino ), e
O P B (per bigotto). Applicando
Transitività=>L P B
Viola il principio paretiano.

Lettura sintetica di questa linea di ricerca


Le scelte pubbliche -basate su una funzione di scelta sociale rispondente alle preferenze
individuali- non possono non esprimere l'ideologia di un dittatore (o di un'oligarchia).
Ogni scelta sociale esprime necessariamente un'ideologia.
Paradossalmente per fare una politica economica applicando il principio paretiano, non possiamo
essere liberali nonostante pareto fosse un convinto liberale.
Quello che conta per gli economisti è il tipo di effetti esterni che si determinano. Il libro è portatore di
conoscenza, è da qui che nasce il problema. Quando diventa accessibile, lo è per tutti. Questo
paradosso indica una delle radici del fallimento di mercato.

Differenza tra liberismo e liberalismo. In passato le due concezioni andavano di pari passo, in
temi moderni si sono separate.
Il liberalismo è una disciplina filosofica che prevede l’esistenza di una sfera di diritti individuali
preservati dall’ordinamento sociale, che interviene nella soluzione delle situazioni conflittuali
(Voltarie- la mia libertà finisce dove inizia la tua) servono dei limiti per capire cosa si può o non si
può fare. In sfera economica significa preservare la libertà di azione individuale, nell’ambito di questo
principio. Così ci opponiamo all’abuso di una posizione dominante (es contro il monopolio, a volte
però il monopolio è naturale)
Il liberismo nasce come applicazione dell’approccio di libertà individuale in ambito economico. Cioè
una situazione in cui permettiamo la liberazione dell’impresa. Se ipotizziamo che i mercati siano
perfettamente concorrenziali, il liberismo impedisce le deviazioni della concorrenza perfetta.
Significa anche non imporre alle persone un tasso di risparmio.
La situazione è diventata controversa quando ci siamo accorti che liberalizzare alcuni mercati precari
determina degli esiti distorsivi.
Es: l’università prima era totalmente gratuita però molti studenti non sceglievano un indirizzo che
massimizzava la loro utilità e quella della società. Allora hanno introdotto delle tasse, affinché gli
studenti fossero portati a scegliere il corso socialmente più efficiente e li incentiva a finire gli studi in
tempo. Successivamente lo stato ha introdotto dei prestiti per gli studenti che non possono
permettersi la retta. Questa inversione ha prodotto grossi rischi finanziari.
Es: violazione del principio liberale attraverso le scritte e le tasse per disincentivare l’uso di tabacco,
perché in realtà i consumatori di tabacco sono soggetti a una dipendenza
Teoria delle votazioni
La scelta collettiva deve risultare da una votazione, nella quale ciascun individuo è chiamato a
esprimere la sua preferenza; il problema si traduce nell'individuare le regole (o criteri) per stabilire la
scelta sociale, sulla base del risultato della votazione.
Sono infatti possibili diverse regole.
- L'unanimità: non c’è conflitto, ma se si richiedere l’unanimità può accadere di non trovare
soluzioni.
- La maggioranza, che può essere richiesta in diversi tipi, con diversi quorum. Aumentare il quorum
serve a tutelare i diritti delle minoranze, ma più si alza il quorum, più diventa difficile trovare una
situazione.

Obbiettivi micro e macroeconomici (cap 5)


Noi trattiamo la funzione di utilità come data. Tratteremo di una serie di questioni, tra cui la
redistribuzione dei redditi.
Discuteremo di soluzioni di politica economica che producono maggiore efficienza.
Fallimento microeconomico del meccanismo di mercato
Le "precondizioni" per la validità del 1°TFEB (ogni allocazione di equilibrio generale è efficiente
nel senso di Pareto) sono:
1. assenza di potere di mercato,
2. assenza di esternalità (e di interdipendenza strategica).
3. Diritti di proprietà ben definiti
4. Completezza dei mercati:
5. Completezza e simmetria dell'informazione
Questione dei mercati incompleti: mercato dei bidoni di Hakerloff, il sistema dei mercati può essere
incompleto perché non vale il punto 5 , i venditori conoscono lo stato della loro auto meglio di quanto
possano saperlo i compratori. Così i compratori di auto usate possono comprare sia una buona auto,
sia un bidone (all’apparenza funzionante ma che nasconde problematiche). Il risultato è che non
essendo possibile attribuire una mappatura biunivoca tra qualità e prezzo, le auto di buona qualità
genereranno un aumento di benessere per il compratore e una perdita di benessere per il venditore,
il contrario per le auto di cattiva qualità. I compratori accettano il rischio insito in questi mercati. È
anche possibile che il mercato non nasca, se i consumatori sono molto avversi al rischio e
l’asimmetria informativa è troppo alta. Questo fatto, dunque, viola il principio di completezza dei
mercati. Se noi potessimo distribuire l’informazione il mercato dei bidoni non si creerebbe, perché
ogni auto sarebbe venduta al prezzo più ‘giusto’.

• Quando accade che anche soltanto una di queste cinque condizioni non sia soddisfatta (cioè, nel
mondo reale, sempre) -> fallimento microeconomico del mercato.
• In altre parole, il mercato, lasciato a sé stante, produce esiti rispetto ai quali tutti potrebbero stare
meglio.
L’intervento della politica economica, in quanto azione portatrice di efficienza paretiana
Quando non sono soddisfatti tutti i postulati alla base del modello teorico di perfetta concorrenza, i
singoli individui, lasciati liberi di agire secondo il principio della propria massima utilità, mettono in
atto comportamenti tali che di norma generano allocazioni inefficienti.
In questo caso, è richiesto un intervento esterno al mercato, per garantire il realizzarsi di
un’allocazione efficiente.
La misura dell’efficienza su un mercato singolo
Sul mercato di ogni bene sono presenti due categorie di soggetti: C (consumatori), O (offerenti,
imprese). Una valutazione sociale del benessere su tale mercato richiede di valutare il benessere di
entrambe le categorie di operatori coinvolti.

Benessere dei consumatori


L’indicatore quantificabile di più largo utilizzo è il surplus netto dei consumatori. Esso ci esprime
una misura monetaria dell’utilità che i consumatori traggono per il fatto che pagano un bene ad un
prezzo che risulta inferiore a quello a cui sarebbero stati disposti a pagarlo.
Consideriamo una curva di domanda, che indica qual è a una certa quantità il prezzo che indica il
consumatore al margine indifferenze tra acquistare o no. L’equilibrio si raggiunge quando il prezzo
che lo rende indifferente è uguale al prezzo di mercato, così non c’è incentivo per il consumatore a
consumare di più, e non c’è incentivo per le imprese ad alzare il prezzo. Il surplus del consumatore
è la somma di tutti i benefici. (Nel grafico è un triangolo).

Benessere degli offerenti


Dal punto di vista di O il beneficio è il profitto, ma in assenza di potere di mercato, cioè in perfetta
concorrenza, usiamo il concetto di surplus del produttore: curva di offerta inclinata positivamente,
l’equilibrio c’è quando il prezzo è uguale al costo marginale Due sono gli indicatori di più largo utilizzo:
- Un primo indicatore è dato ovviamente dal profitto d’impresa (o, nell’aggregato, dalla somma dei
profitti conseguiti dalle imprese): π = RIC - CT
- Se ci troviamo in un contesto di perfetta concorrenza, nel quale è perciò definita la curva di offerta
di mercato, può essere utilizzato il surplus dei produttori quale misura monetaria dell’utilità di
essi.

Benessere sociale
Deve simultaneamente considerare il benessere di offerenti e domandanti, perciò, possiamo contare
su due misure:
Definiamo efficiente in senso allocativo, la configurazione di mercato che rende massimo il
benessere sociale. L’efficienza allocativa rappresenta sicuramente un obiettivo della politica
economica.
L'allocazione che rende massimo il benessere sociale su un dato mercato è quella in corrispondenza
della quale il prezzo del bene eguaglia il suo costo marginale di produzione; nel caso di un mercato
di perfetta concorrenza questa condizione equivale all'eguaglianza tra prezzo di domanda e costo
d’offerta.

Il teorema del second-best di Lipsey-Lancaster


Si consideri il caso in cui il sistema economico non è in condizioni di Pareto-efficienza poiché non
vale su tutti i mercati l'uguaglianza tra prezzo del bene e suo costo marginale di produzione; in questa
situazione, non è necessariamente vero che il benessere sociale è una funzione crescente del
numero dei mercati sui quali è soddisfatta l'eguaglianza tra prezzo e costo marginale.
In altre parole, quando l'efficienza Paretiana non è garantita, il numero dei mercati che comunque
mostrano efficienza allocativa non è un buon indicatore del benessere sociale complessivo.
Dimostrazione: considero imprese oligopolistiche generano esternalità ambientali negative… è bene
introdurre maggiore concorrenza?
Primo problema: generano profitti, noi vogliamo portare il prezzi vicino al costo marginale attraverso
azioni di politica economica
- agire sulla struttura del mercato, tolgo barriere all’ingresso per raggiungere condizione di
concorrenza perfetta. Ma se le imprese per operare in modo efficiente devono essere molto
grandi, il mercato può sopportare la presenza solo di poche imprese. (Es ferrovie, solo poche
imprese possono entrare nel mercato)
- Potrei indurre le imprese a produrre di più , sussidiando la produzione e tassando i profitti, così si
raggiungere una situazione simile alla concorrenza perfetta, almeno per i consumatori,
- Le imprese però hanno esternalità negative (es mercati di auto), io voglio davvero sostenere un
aumento le auto in circolazione? L’inefficienza del mercato oligopolistico, che riduce l’offerta, in
realtà produce un risultato positivo per l’ambiente
Esiste un problema principale-agente tra azionisti e manager di una banca (i manager spesso
prendono rischi eccessivi). I debitori devono cofinanziare gli investimenti . È un bene aumentare i
LTV ratios (‘loan to value’= credito)? Non necessariamente.

Correzione dell'esito di mercato per motivi di ideologia esterna


L’intervento pubblico si può giustificare, nella realtà, anche quando nel mercato si giunge ad un esito
che, pur essendo efficiente in senso allocativo, è "insoddisfacente" sulla base di valutazioni
aprioristiche. Possiamo avere un conflitto tra valutazione di efficienza economica e valutazione di
opportunità sociale e politica.
Obiettivo del policy-maker: determinare un prezzo di equilibrio maggiore
In generale gli interventi di politica economica a livello micro passano attraverso:
- pavimenti al prezzo: una norma amministrativa che fissa un livello minimo per il prezzo;
- interventi diretti sulle quantità, quali ad esempio l'imposizione di un limite massimo alla quantità
offerta (con la corrispondente individuazione di quote di produzione per ciascuna delle imprese
presenti sul mercato) oppure l'imposizione di un limite minimo alla quantità da consumare; es
limite alla pesca del tonno nel mediterraneo nel periodo dell’accoppiamento, in questi mesi però
la pesca fuori dal mediterraneo è avvantaggiata.
- interventi indiretti sulle quantità, come ad esempio un sostegno della domanda tramite campagne
pubblicitarie;
- interventi indiretti sulle quantità domandate o offerte, tramite la revisione delle imposte (in
concreto, un abbassamento dell'imposta o la concessione di un sussidio, da prevedere a favore
dei produttori o dei consumatori).
Tutti questi interventi di politica economica però comportano un costo.
Bisogna valutare se il costo comportato è maggiore o minore del beneficio apportato (ovviamente il
beneficio può essere misurato dall'indicatore SW).
La scelta tra uno strumento di politica economica di intervento diretto (sulle quantità) e uno strumento
di intervento indiretto (come può essere la correzione dei prezzi che porta gli agenti a modificare le
loro decisioni sulle quantità) deve valutare la efficacia (cioè la possibilità di raggiungere il risultato) e
anche la efficienza (cioè il rapporto tra il beneficio conseguito e il costo comportato).
Il principio della tassazione ottima dovrebbe portare l’attenzione sulla modalità della tassazione.
Infatti se tassiamo per rendere meno efficiente il sistema, bisogna sottrarre al consumo la perdita di
produzione che deriva dalla minore efficienza del sistema. Cioè la tassazione non deve distorcere
troppo il sistema economico. Tassare significa non consumare tutto ciò che si produce, senza ridurre
l’efficienza della produzione.
Le imposte omogenee sul valore aggiunto hanno effetti sulla quantità di bene domandata (es tassare
meno frutta, tassare di più tabacco).
Preso come dato di fatto il costo del finanziamento dei beni pubblici, il problema della scelta ottima
delle imposte riguarda l’identificazione di una struttura delle imposte che limita le distorsioni che si
impongono all’economia.
Le imposte impattano sull’efficienza nella misura in cui la domanda è elastica rispetto alla variazione
di prezzo generata dall’imposta. L’imposta sul valore aggiunto, apparentemente neutra, cambia la
struttura della domanda relativa di beni.
Es se l’obbiettivo è ridurre l’inquinamento, l’Unione europea ha scelto come approccio il divieto di
vendita di motori a combustione di petrolio entro il 2030, così che le imprese abbiano il tempo di
adattare la tecnologia. Perché non hanno scelto di tassare maggiormente la benzina? Perché la
domanda è molto rigida (gli individui la comprano anche se costa molto, infatti le accise sulla benzina
sono il modo più facile per lo stato di aumentare le entrate), e quindi gli individui continuerebbero a
inquinare (sarebbe una scelta efficiente ma non efficace)

Teorema di poole e weitzman


In condizioni di certezza, l'intervento diretto tramite un vincolo sulle quantità conduce allo stesso
risultato dell’intervento indiretto tramite un’imposizione sui prezzi.
Circa l'efficienza, invece, non è possibile stabilire una volta per tutte quale tipo di intervento sia
maggiormente conveniente.

La redistribuzione delle risorse: Legami tra efficienza ed equità


Negli Stati moderni (ricchi e democratici) sono caratterizzati da una cospicua redistribuzione delle
risorse. Nei paesi scandinavi la redistribuzione è fortissima.
Se la società non vuole la diseguaglianza, lo stato deve intervenire attraverso le imposte. Con la
redistribuzione non sottraiamo ai consumi delle risorse (come nei beni pubblici), ma tassiamo i più
ricchi per aiutare i più poveri. Serve una tassazione progressiva, che distorce la produzione e il
rendimento del lavoro. Il prezzo dell’equivalente è dato dalla perdita di produzione associato alla
perdita di efficienza del sistema. In questo caso c’è un trade off tra efficienza ed equità.
Vi è chi sostiene che vi sia un conflitto (trade-off negativo) tra efficienza ed equità: le allocazioni
eque non potrebbero essere efficienti, poiché:
1. la redistribuzione necessaria per raggiungerle è costosa e quindi sottrae risorse disponibili;
2. la redistribuzione penalizza proprio chi è maggiormente capace di generare nuove ricchezze
(toglie risorse a chi ha le potenzialità di investire in capitale umano) e quindi, la società nel suo
complesso sarebbe più povera dopo avere messo in atto politiche di ridistribuzione, rispetto a
come sarebbe senza la ridistribuzione.
Al contrario vi è chi ritiene che efficienza ed equità siano complementari: non vi può essere
speranza, nei fatti, di raggiungere una configurazione efficiente se non è garantito un minimo di
equità, ossia se non si evitano situazioni inaccettabilmente inique. Mano mano che aumenta il
fabbisogno di capitale umano data la complessità della tecnologia, tanto più grande deve essere il
ruolo di intermediazione per assicurare i livelli di educazione.
Ci sono situazioni in cui si determina perdita di efficienza quando in condizioni di grande
diseguaglianza, o in casi di povertà. In questi casi diventa più difficile amministrare la sicurezza.
(Negli USA c’era un dibattito sulla necessità di investire per costruire più carceri o più scuole). C’è
chi pensa che la povertà sia il vero problema, non la disuguaglianza. La diseguaglianza può essere
un effetto della molla che produce miglioramenti dal punto di vista dell’efficienza.

Prospettive di valutazione della distribuzione del reddito


1. distribuzione personale del reddito
2. distribuzione funzionale del reddito
3. geografica (o regionale) del reddito
4. distribuzione settoriale del reddito

Politiche redistributive come categoria a sé; tuttavia:


- interazioni tra politiche micro-economiche e redistributive;
- interazioni tra politiche macro-economiche e redistributive

Gli obiettivi macroeconomici


Il fondamento dell’azione della politica macroeconomia è che anche in ambito macroeconomico
possono verificarsi fallimenti del sistema di mercato, ossia situazioni nelle quali il libero agire dei
soggetti determina configurazioni che Possono essere giudicate inefficienti. In questo caso, vi è
spazio per un’azione della politica economica che permette di raggiungere situazioni Paretoefficienti
altrimenti irrealizzabili. Obbiettivi macroeconomici:

1) Perseguire il reddito di pieno impiego delle risorse produttive. Se vi fossero fattori produttivi
disponibili e non impiegati, l'economia non si troverebbe sulla frontiera delle possibilità produttive
e quindi non si configurerebbe una situazione Pareto-inefficiente. Perseguire una situazione in
cui l'aumento dei prezzi è pari a zero, o almeno limitato (inflazione nulla o limitata). L’inflazione
comporta un costo per il sistema economico: un basso tasso di inflazione sembra essere una
condizione necessaria (anche se non sufficiente) per avere una buona performance di crescita
2) Limitare le distorsioni dell’inflazione (inflazione nulla o limitata). Il costo che deriva da
un’inflazione instabile è legato al fatto che se i prezzi non si aggiustano tutti nello stesso tempo,
i prezzi relativi continuano a cambiare. È importante Avere una bilancia dei pagamenti in
pareggio. Se la bilancia è in deficit significa che l'economia sta consumando più di quanto
produce, cioè sta vivendo secondo standard che non si può permettere. Se invece la bilancia dei
pagamenti è in surplus, allora l'economia consuma meno delle sue potenzialità, e affluiscono
risorse dall'estero. Eccesso di offerta di moneta -> Inflazione, Eccesso di domanda di moneta ->
apprezzamento della moneta nei confronti delle valute straniere.
3) Perseguire una crescita economica col massimo tasso possibile, compatibilmente col fatto che
la crescita stessa sia sostenibile nel tempo. (Rivedere questione della politica anticiclica)
4) La stabilizzazione del debito pubblico in rapporto al PIL. Trasferimento intergenerazionale di
risorse e di distorsioni dovute alle imposte del debito era il problema cruciale dell’economia
italiana prima del covid. Se abbiamo un alto debito dobbiamo pagare il servizio del debito.
Supponiamo di essere in un’economia chiusa: se il governo fa debito usa le imposte per risanare
il debito. Se le imposte sono distorsive, il costo del debito si alza a causa di queste distorsioni.
Un governo che fa Default non sa come trovare un accordo per riparare il debito (cioè non ripaga
i creditori), anche questo è un modo per tassare, perché non pagando i creditori è come imporgli
una tassa. Il rischio di default si traduce in un premio per il rischio, che si traduce in imposte
distorsive.

Parte 2
Il potere di mercato (cap 6)
Una deviazione di una situazione di efficienza che richiede l’intervento di politica economica riguarda
le economie di mercato.
Efficienza allocativa del monopolio: mercato nel quale un bene sia servito da una sola impresa
(monopolista), che persegue la massimizzazione del suo profitto.
La teoria canonica del monopolio assume che:
• L'impresa percepisca come dato il comportamento dei consumatori (funzione di domanda
inversa: P=P(Q));
• L’impresa assuma come data la tecnologia di produzione a sua disposizione (funzione di
costo: c=c(q));
• L'impresa presente sul mercato non tenga in alcun conto il comportamento di altre imprese
estranee al mercato.

Dato che ci si trova, per ipotesi, in condizioni di monopolio, la quantità prodotta dalla singola impresa,
q, coincide con la quantità complessivamente immessa sul mercato, Q perciò vale q=Q.
La funzione obiettivo dell’impresa monopolista, è MASSIMIZZARE: π=Q P(Q) - c(Q).
Nel caso del monopolio il potere di mercato è massimo.
Ottimo: ricavo marginale = costo marginale . π =RIC(Q) -c(Q).
Il prezzo è una funzione della quantità , in concorrenza perfetta però l’impresa non percepisce la
presenza di elasticità del prezzo rispetto alla quantità che offre.
Dimostrazione: calcolando la derivata del profitto rispetto a Q e ponendola = 0 otteniamo :

Condizione di prim’ordine: La coppia (QM, PM), cioè la scelta ottimale per l’impresa monopolista,
non garantisce l’efficienza allocativa, poiché la quantità prodotta non è quella che eguaglia il prezzo
al costo marginale.
• Questo accade perché il monopolista internalizza gli effetti
di una variazione di offerta sul prezzo di equilibrio.
• In perfetta concorrenza non accade

L’impresa vende finché il costo è uguale al ricavo marginale


(profitti=0).
Se invece internalizza il fatto che i ricavi scendono, l’imprese
prende a riferimento la curva del ricavo marginale (R’(Q))
L’area B in concorrenza perfetta so traduce in beneficio per
consumatori
Area A passa dal produttore al consumatore
Area C è una misura del surplus del produttore.
Passare da M a SW implica un aumenti dell’efficienza allocativa (surplus dei consumatori e del
produttore).

Inefficienza allocativa:
La presenza di inefficienza allocativa nel punto di ottimo per l’impresa monopolista è talvolta illustrata
anche facendo notare la presenza di una perdita netta di monopolio.
Infatti, il benessere sociale sarebbe maggiore in perfetta concorrenza rispetto al monopolio.
L’inefficienza allocativa associata al monopolio rappresenta la base teorica di tutte le politiche
economiche che tendono a contrastare il formarsi di posizioni di monopolio.
Data la curva di domanda di mercato inversa, è possibile tracciare la curva di ricavo marginale. La quan5tà oBmale da
produrre per l'impresa monopolista è quella che si trova in
corrispondenza dell’intersezione tra ricavo marginale e costo
marginale (punto E). A questa quan5tà, Qm, corrisponde il prezzo
Pm, leggibile sulla curva di domanda (punto M).
Si può verificare immediatamente che la coppia (Qm, Pm), cioè la
scelta oBmale per l'impresa monopolista, non garan5sce l'efficienza
alloca5va, poiché la quan5tà prodoMa non è quella che eguaglia il
prezzo al costo marginale.

La quantità efficiente (la quantità del bene che consente al


mercato in questione di trovarsi in una situazione di
efficienza allocativa) è nel punto SW all'intersezione tra la curva di domanda e la curva di costo
marginale. Se l'impresa si comportasse come se fosse in condizioni di concorrenza perfetta,
sceglierebbe esattamente questo punto.
Talvolta si illustra l'inefficienza allocativa che si determina in corrispondenza del punto di ottimo per
l'impresa monopolista sottolineando la perdita netta di monopolio, ossia il raggiungimento,
all'interno del monopolio, di un livello di benessere sociale inferiore a quello che si potrebbe ottenere
in condizioni di concorrenza perfetta.
Il passaggio da M a SW comporta, per i consumatori, un incremento dei surplus pari a (+ A + B), e
per l'impresa una perdita pari all'area A e un incremento pari all'area C. Nel complesso, quindi, la
variazione di beneficio per l'impresa è pari a (- A + C). Il guadagno netto di benessere per la società
è dato da (+ A + B – A +C) = (+B +C).
La perdita netta, o secca, di monopolio è proprio la differenza tra benessere sociale massimo (che
si ottiene in condizioni di perfetta concorrenza) e benessere sociale di monopolio. L'area del
triangoloide (+B +C) rappresenta appunto la perdita netta di monopolio.

Perché esistono i monopoli?


Monopolio naturale: La presenza del monopolio non è da addebitare al comportamento
dell’impresa monopolista, ma alla configurazione oggettiva del mercato (cioè alla dimensione della
domanda e dei costi di produzione) che rende impossibile che più di un’impresa possa ottenere
profitti positivi.
In aggiunta, si definisce monopolio naturale quella situazione nella quale, in corrispondenza della
quantità che eguaglia il prezzo al costo marginale, il profitto d’impresa è negativo.
Possiamo per esempio avere un monopolio naturale di auto Ford in USA, se l’impresa Ford è
proprietaria di tutti i concessionari degli USA e li obbliga a vendere solo auto Ford, allora interviene
l’Antitrust per riportare la concorrenza.
Sul fatto che il monopolio determini inefficienza allocativa non vi sono dubbi. Tuttavia, c'è chi ritiene
che il monopolio, pur deleterio in situazioni statiche, possa risultare efficiente passando a valutare
l'economia in termini dinamici. Possiamo definire efficiente in senso dinamico una situazione in cui
è impossibile aumentare l'indicatore di benessere di tutte le generazioni, presenti e future; in tale
accezione, dunque, l'efficienza dinamica altro non è che un’estensione del concetto di Pareto-
efficienza.

Vedere differenza fra sunkcost e investimenti

Schumpeter: il monopolio può garantire una crescita economica più rapida della perfetta
concorrenza. Il modello del monopolio prende in considerazione la tecnologia e le preferenze dei
consumatori. L tecnologia è presa come esogena, casuale. (Non c’è una fase economica della
tecnologia)
• Innovazione alla base del processo di crescita. Le imprese devono innovare. Per l’economista
neoclassico basta costruire il mercato dell’innovazione, basato sul credito.
• Il finanziamento degli investimenti in ricerca è costoso e gli
intermediari finanziari sono piuttosto restii a finanziare progetti il cui
rendimento atteso è soggetto a grande rischio. Il mercato
finanziario sottopone all’impresa a dei vincoli per motivi legati
all’informazione incompleta
• Perciò, il principale canale di finanziamento degli investimenti
in ricerca è l’auto-finanziamento. Occorre che l’impresa prenda le
risorse da fondi propri. L’impresa deve generare dei profitti che co-
finanziano dei nuovi investimenti, quindi i profitti producono
innovazioni che migliorano l’efficienza dell’economia.
• Le imprese in monopolio conseguono profitti più elevati rispetto al caso della perfetta concorrenza,
quindi possono impiegare risorse maggiori per finanziare la ricerca generando così maggiori
scoperte e maggiori innovazioni e garantendo una crescita più veloce.
• L’ ambizione di poter costruire un monopolio e di godere delle rendite monopolistiche spinge le
imprese a fare ricerca.
La presenza di monopoli, perciò, è benefica per la crescita di lungo periodo, sia perché spinge le
imprese a investire in ricerca, sia perché consente alle imprese di potere contare su adeguate
risorse.
Arrow: Contestò l'idea che i monopoli potessero essere efficienti in senso dinamico e cercò di
dimostrare come la concorrenza non solo garantisca l'efficienza statica, ma anche un tasso di
crescita economica più elevato rispetto a quello associato a situazioni di monopolio.
•Chi gode di rendite monopolistiche, non ha incentivo a compiere ricerca e sviluppo (e quindi non
genera crescita).
•I monopoli sono tipicamente associati a situazioni nelle quali le informazioni sulla tecnologia sono
protette da brevetti e quindi circolano in modo difficoltoso, rallentando il processo di crescita
che invece si basa sulla possibilità di usare, conoscere e migliorare le tecnologie delle imprese
presenti.
Queste opposte posizioni hanno dato vita a un lungo dibattito noto come il conflitto Schumpeter
contro Arrow, volto a stabilire se si investa di più in ricerca e sviluppo in quei settori in cui prevalgono
situazioni di monopolio (Schumpeter) oppure in quelli dove prevalgono condizioni concorrenziali
(Arrow). La questione è da considerarsi ancora aperta (NB: il monopolio produce sicuramente
un’allocazione inefficiente in senso statico (o allocativo), mentre è ancora da chiarire se generi
efficienza dinamica). La visione arrowiana dell’inefficienza dinamica del monopolio è stata utilizzata
anche per spiegare i fallimenti macroeconomici nella crescita.

Teoria dei mercati contendibili (contestable markets)


Se l’entrata e l’uscita delle imprese, su un certo mercato, sono senza costi – cioè tutte le imprese
possono entrare e uscire senza sostenere costi irrecuperabili (sunk- costs)– allora anche dove vi
fosse un monopolio, il monopolista non potrebbe praticare un prezzo maggiore del costo medio,
perché se lo facesse, allora esisterebbero possibilità di profitto per potenziali entranti, cioè sarebbe
sempre possibile per qualche impresa entrare nel mercato e vendere ad un prezzo più basso di
quello praticato dal monopolista e quindi uscire dal mercato avendo avuto un profitto positivo; questo
è un meccanismo di “mordi e fuggi” (“hit and run”).
Modello del Monopolista pazzo: sa che i i suoi profitti potrebbero essere erosi da nuove imprese che
entrano nel mercato, ma le nuove imprese devono avere la promessa di ottenere dei profitti per
entrare nel mercato. Allora il monopolista quando vede la possibilità
di un nuovo entrante, abbassa i prezzi e di conseguenza abbatte i
profitti anche per il potenziale entrante, così che abbandoni il
progetto e si dedichi ad altro.

Oligopolio alla Cournot


La regola di comportamento ottimale dell’oligopolista, in equilibrio,
prevede che risulti soddisfatta la relazione dove è la quota di mercato dell’impresa i e indica
l’elasticità della domanda al prezzo). L’oligopolio alla Cournot genera un’inefficienza statica, perché
il prezzo ottimo per l'impresa è diverso dal costo marginale di produzione.
Oligopolio alla Cournot, caratterizzato da poche imprese che vendono un bene omogeneo e da
una forte interdipendenza strategica; infatti, la decisione di produzione di ogni impresa incide sulla
quantità complessiva presente sul mercato, la quale a sua volta incide sul prezzo e quindi sui profitti
da praticare anziché la quantità da produrre;

La condizione di prim’ordine è la derivata dei profitti rispetto alla quantità

L’equilibrio si ha quando entrambe le imprese scelgono delle quantità produttive che le collocano
sulla loro funzione di reazione, cioè fanno ‘l’ottimo’ dato quello che fa l’altra impresa.

Oligopolio alla Bertrand


La variabile di scelta delle imprese è il prezzo da praticare, anziché la quantità da produrre.
In questo caso l’esito è diverso. Infatti se tutte le imprese hanno la stessa struttura dei costi, potrebbe
esservi una situazione di equilibrio nel caso in cui si stabilisse il prezzo pari al costo marginale;
pertanto se le imprese concorrono nei prezzi (e inoltre sono identiche e producono un bene
omogeneo), allora è sufficiente che sul mercato siano presenti anche solo due sole imprese, per
replicare l'allocazione di perfetta concorrenza (paradosso di Bertrand).
Se, invece, tutte le imprese producono beni omogenei ma non hanno la stessa struttura dei costi,
l’impresa con i costi più bassi potrà accaparrarsi l’intero mercato.

Il cartello
accordo tra le imprese che modifica l’allocazione di mercato per generare profitti. Si configura come
accordo di cartello ogni intesa tra imprese volto a modificare l’allocazione di mercato in favore delle
imprese stesse e a danno dei consumatori, solitamente tali accordi prevedono una diminuzione delle
quantità immesse sul mercato, in modo da determinare un incremento del prezzo; provocando così
una situazione di inefficienza allocativa.
Inoltre, i cartelli tendono ad essere instabili poiché una volta raggiunto l’accordo, ogni impresa ha
incentivo a tradire tale accordo, posto che le altre imprese rimangano fedeli al patto.
La concorrenzialità
Abbiamo visto che ogni qualvolta l’impresa gode di un potere di mercato, si giunge ad allocazioni
inefficienti sotto il profilo allocativo. Tale distorsione allocativa può comunque essere più o meno
pronunciata.
Quindi possiamo dire che un mercato può essere più o meno concorrenziale. Per valutare il grado
di concentrazione di un mercato, bisogna prima definire i confini di tale mercato e quindi valutare la
sostituibilità fra i beni prodotti dalle diverse imprese.
Aumentare la sostituibilità tra prodotti, se possibile, rappresenta un’azione pro-concorrenziale.
L’aumento di sostituibilità si può perseguire in diversi modi
- attraverso la diffusione di standard tecnologici ampiamente utilizzati;
- cercando di cambiare i gusti dei consumatori;
- riducendo i costi di trasporto per rendere efficace la concorrenza di imprese localizzate lontano
dal mercato di riferimento
- Evitando che le imprese impongano standard tecnologici tali da eliminare l’effetto di concorrenti
che non possono adottare quegli standard.

Una volta definiti i confini del mercato i criteri di concorrenzialità sono:


1. numero delle imprese esistenti, ma tale criterio per diversi motivi non è attendibile.
2. grado di concentrazione; un’impresa è concentrata se un numero piccolo di imprese serve
un’ampia posizione della domanda; maggiore è la concentrazione, più elevato sarà
l’allontanamento dall’efficienza allocativa.
3. L’indice maggiormente adoperato è quello di Eherfindall, (valutazione della struttura dei mercati
a monte e a valle) definito come la somma dei quadrati delle quote di mercato,
4. l’indice di rapporto di concentrazione di ordine K; esso è dato dalla somma delle quote di
mercato delle K imprese maggiori che servono un dato mercato.
5. barriere all’entrata e dalla struttura dei mercati a monte o a valle. Questo fattore è legato
fortemente ai costi fissi.

Sequenza delle azioni che può compiere la politica economica per regolamentare i mercati, noi
analizziamo il monopolio
Se il policy-maker NON tollera il monopolio, si ha la liberalizzazione del mercato
Se il policy-maker tollera il monopolio, dispone di due vie per controllarlo: –
statalizzare l’impresa:
• Se l'impresa monopolista guadagna profitti positivi, si può ritenere più giusto che questi vadano
alla collettività, cioè ad un'impresa pubblica che poi li verserà al suo "azionista", lo Stato, che
li utilizzerà con finalità "sociali".
• Si può ritenere che la proprietà pubblica consenta all'impresa monopolista di non comportarsi
in modo da rendere massimo il profitto, bensì in modo da rendere massimo il benessere
sociale; se il mercato è in condizioni di monopolio naturale ciò implicherà profitti d'impresa
negativi, ma la proprietà pubblica renderà possibile coprire con entrate dalla fiscalità generale
le perdite operative dell'impresa monopolista che punta al massimo benessere sociale.
– influenzare i comportamenti dell’impresa monopolista privata
• Si può regolamentare la quantità.
• Si può regolamentare il prezzo:
- regola del price-cap o price-cap dinamico: Δpi= Δp-X
- limite superiore al tasso di rendimento del capitale
• Si può generare una concorrenza per il monopolio (Demsetz)
• Prima del price cap Si individuava un tasso di rendimento normale cui l’impresa aveva diritto.
Si riducevano gli incentivi dell’impresa - all’innovazione di processo (perché l’impresa avrebbe
comunque conseguito il rendimento stabilito dal regolatore)
- alla minimizzazione dei costi di produzione
• Con il price cap si prende il tasso di inflazione, misurato dall'Indice dei prezzi al consumo e si
sottraggono i risparmi di efficienza previsti X.
• qualsiasi risparmio al di sopra del tasso previsto X può essere trasferito agli azionisti, almeno fino
alla successiva revisione dei limiti di prezzo (di solito ogni cinque anni)

Influenzare i comportamenti dell’impresa monopolista privata: Demsetz


• Questo modello prevede che il gestore di determinati servizi sia selezionato a seguito di procedura
concorrenziale (asta). Es società che gestiscono i trasporti nelle città- la tendenza di molti comuni
è stata di scorporare la gestione dei trasporti dal resto dell’amministrazione pubblica (per questioni
organizzative)
• Si passa così da un monopolio temporalmente indeterminato ad un monopolio temporalmente
determinato. Questo tipo di contrattazioni entrano in conflitto con i sindacati , perché non è stabilita
per contratto la percentuale vada a loro beneficio.
• l'operatore pubblico deve contestualmente stabilire quale debba essere la durata ottimale della
concessione. Le concessioni balneari in Italia. Se la durata è troppo breve, gli incentivi
all’investimento si riducono perché non c’è tempo di recuperare i costi, discorso opposto se la
durata è troppo lunga.

Approfondimenti sulle politiche tariffarie


Le politiche tariffarie di imprese pubbliche o private che operano in una situazione di monopolio
naturale sono influenzate da molti fattori:
- grado di contendibilità del mercato
- Monopolio naturale monoprodotto o multiprodotto
- Elasticità delle differenti curve di domanda (caso multiprodotto) - Tipo di regolamentazione

In presenza di SUNK COST, politiche tariffarie che permettono di chiudere in pareggio. Per risolvere
il problema della gestione mantenendo la regola del costo marginale esistono due possibilità (con
intervento statale)
- Perdita a carico dello stato e finanziamento tramite il ricorso alle imposte a somma fissa (lump
sum tax). Con questa imposta non si introducono distorsioni nell’ utilizzazione delle risorse (non
si modificano i prezzi relativi). Il ricorso alle imposte sul reddito potrebbe avere l’effetto di
scoraggiare l’offerta di lavoro. es autostrada del sole costruita tramite un investimento pubblico
(autostrade italiane era statale). Anche la BREMI (Brescia-Milano) è stata costruita con
finanziamento statale, in questo caso però tutte le previsioni di transito si sono rivelate sbagliate,
cioè non passava nessuno, allora è intervenuto lo stato a ripianare le perdite. Ma quando lo stato
presta una garanzia implicita di questo tipo, la valutazione dei costi - benefici cambia e non
funziona più la concorrenza del mercato.
- Tariffa a due parti: particolare tariffa pubblica che si forma dalla somma di due componenti:
componente fissa (Pagamento di un prezzo iniziale per acquisire il diritto ad acquistare un
prodotto) + componente variabile ( gli utenti poi pagano un ulteriore prezzo per ciascuna unità
addizionale del prodotto che intendono consumare). Fissare il prezzo a livello di costi marginali a
richiedere ai consumatori il pagamento di una somma fissa, indipendente dal consumo del bene
o servizio. (Tariffe applicare da società telefoniche o elettriche). Quando viene utilizzata una tariffa
a due parti un’impresa deve poter impedire la rivendita (es Netflix), in caso contrario un cliente
potrebbe pagare la sua quota fissa e acquistare tutta la produzione per poi rivenderla agli altri
consumatori. es: La prima parte della tariffa che da diritto ad entrare nel club degli utenti, la
seconda parte della tariffa da diritto ad usare il bene, tipicamente l’idea è che con la tariffa a più
parti, tipicamente ho un grado di libertà in più e posso costringere la società regolata ad offrire un
costo pari al suo costo marginale, quindi l’utente paga il prezzo marginale, quindi se abbiamo in
sunk cost lo possiamo regolare così. Ad esempio le palestre tipicamente danno un costo di
accesso, ma poi alcuni servizi sono a pagamento, infatti la società che gestisce la palestra sa che
una parte dei suoi clienti vuole determinati e servizi e un'altra parte no, quindi offre servizi che
tengono conto della distribuzione dei suoi clienti, in modo da poter sfruttare il massimo dei suoi
profitti.
se vogliamo che l’impresa chiuda in pareggio senza il sussidio dello Stato e senza applicare una
tariffa a due parti allora dobbiamo accettare una produzione inferiore a quella ottimale da un punto
di vista allocativo. Opzioni tariffarie a disposizione:
- Prezzo fissato a livello del costo medio: ‘strumento rozzo’. una pratica che le imprese fanno,
significa che sapendo di avere di fronte dei consumatori con preferenze diverse, offrono dei menù
su cui i consumatori possono scegliere, in quanto l’impresa non conosce i consumatori che volta
per volta si presentano, ma consce la loro distribuzione
- Discriminazione dei prezzi: lo stesso prodotto (o sue versioni leggermente differenziale ) viene
venduto a prezzi differenti a seconda della categoria di clienti. Prezzo Ramsey: prezzi
regolamentanti che massimizzano il benessere del consumatore a condizione che i ricavi coprano
i costi. Per massimizzare una funzione di benessere sociale, con il vincolo di un profitto non
negativo per l’impresa, la tariffa ottimale di un monopolista monoprodotto segue la regola delle
elasticità inverse: la tariffa sarà più elevata per i servizi che presentano un’elasticità più rigida e
viceversa. Segue il principio di estrarre il massimo plus valore da ogni tipo di cliente. Nel grafico
le due curve di domande si incontrano nel punto in cui il prezzo è uguale al costo marginale.

- Peak-load pricing (discriminazione intertemporale del prezzo): la domanda di energia varia


notevolmente nel corso delle 24 ore, si può distinguere una domanda delle ore di punta è una
domanda delle ore fuori punta. Se usiamo l’elettricità tra le 17-19 costa di più che utilizzarla nella
fascia 21-23. Questo andamento della domanda impone alle aziende elettriche di avere una
capacità produttiva tale da soddisfare la domanda delle ore di punta. Durante le ore dove la
domanda è bassa parte dei generatori non viene utilizzata è quindi si ha capacità in eccesso.
Normalmente l’azienda elettrica utilizzerà per la produzione di punta i generatori meno efficienti,
quindi caratterizzati da costi marginali più elevati. A questo punto la soluzione è adottare il peak-
load pricing, che è una forma di discriminazione dei prezzi, secondo cui
a quelli che domandano energia quando siamo nel picco, richiedo un
prezzo più elevato e giustifico questo sulla base del diverso costo
marginale di erogazione. Perché se adottassi una politica di erogazione
pari al costo medio della giornata, avrei un esito non efficiente. Fissando
il prezzo dell’energia elettrica al livello del costo medio di produzione al
consumatore non viene indicato il reale problema economico ed il
problema dell’ottimizzazione non viene risolto. Il peak load pricing può
risolvere questo problema. Esso consiste nel separare i consumatori in
diverse classi, ognuna caratterizzata da differenti funzioni di domanda
applicando prezzi diversi in diversi periodi di tempo. Anche nel contesto
autostradale potrebbe essere applicata questa strategia (in realtà non
la usano). In questo caso non c’è una differenza del costo marginale,
però l’utilizzo cambia nel tempo.
- Combinazione della tariffa a due parti con il peak-load pricing e la
discriminazione

Yardstick competition
Questo tipo di regolamentazione introduce una Forma indiretta di concorrenza tra imprese che
operano in condizioni di monopolio locale. La strategia della Yardstick regulation si basa sulla
opportunità di effettuare un monitoraggio ed un confronto dei costi, dei livelli qualitativi dei servizi e
così via, tra imprese che operano nello stesso settore. I regolatori non possiedono informazioni
accurate sul livello di efficenza di costo raggiunto dalle imprese che devono regolamentare per fare
fronte a questo deficit di informazione, il metodo della Yardstick competition suggerisce di impiegare
i dati riferiti ad altre imprese per costruire una sorta di metro di misura. Questo strumento si applica
ai Monopoli naturali locali.
Questo è un approccio che riconosce un vincolo di insufficienza di informazioni e si preoccupa di far
funzionare il mercato attraverso la competizione. Ma quando abbiamo un monopolio naturale, questo
meccanismo della competizione non può funzionare e allora bisogna andare a cercare di misurare
l’efficienza di un monopolista locale, infatti il principio del yardstick competition si applica ad un
monopolio naturale locale -> vuol dire che ci sono altre imprese monopoliste simili, io economista,
vado a guardare quello che succede nella media del settore, in questo modo stimolo delle funzioni
di produzione che misurano l’efficienza media del sistema e il monopolista locale mi deve spiegare
perché la sua funzione di costo medio è diversa da quella degli altri (è questo l’approccio, siccome
non riusciamo ad usare lo strumento della concorrenza, dobbiamo entrare nel sistema produttivo
dell’impresa, non riusciamo a farlo direttamente e lo faremo attraverso il meccanismo delle yardstick
competition).
Possibile strumento: stima econometrica di una funzione di costo. Sono Fattori esplicativi che non
possono essere influenzati dall’impresa.
Concorrenza per il mercato
Uno strumento di regolamentazione che può essere utilizzato dallo stato per raggiungere situazioni
di efficienza allocativa e quindi estrarre la rendita del monopolista è quello di introdurre la
concorrenza per il mercato.
Le attività di produzione di servizi pubblici vengono affidate in concessione (tramite politiche di
competitive tendering e contracting-out) a imprese pubbliche o private che acquistano il diritto di
esercitarle secondo criteri e modalità che massimizzano il benessere collettivo e che sono definiti
dallo stato.
Si aggiudica la concessione l’impresa che offre le migliori condizioni in termini di prezzo e qualità:
politica del prezzo fissato a livello del costo medio.
Asta multi stadio
1. Selezione dei soggetti ritenuti adeguati sulla base di criteri reputazionali e di requisiti di carattere
tecnico-finanziario. Questi tipi di selezione consentono di utilizzare le informazioni storiche per
costruire una valutazione circa l’affidabilità economico-finanziaria del soggetto. Trattandosi di
informazioni storiche la capacità dei soggetti di riportare informazioni false è limitata.
2. Ulteriore selezione sulla base di criteri tecnico-qualitativi. Questo tipo di informazioni si
riferiscono sia all’esperienza passata (es attività tecniche similari condotte nel passato) sia a
quella futura (es Buisiness plan per l’attività in questione). Il problema informativo si pone rispetto
al secondo tipo. 3. Asta sulla base del prezzo

le politiche anti-trust (cap 7)


Le politiche antitrust rappresentano l’insieme delle norme e delle azioni di politica economica messe
in atto al fine di impedire i comportamenti delle imprese che non rappresentano la libera concorrenza
e che porterebbero quindi a un’indesiderata inefficienza nelle allocazioni di mercato.
L’oggetto della politica e della normativa antitrust consiste:
1. Nel combattere accordi e intese fra imprese, volti a restringere la concorrenza
2. Nel combattere gli abusi esercitati da chi occupa posizioni dominanti (es. pratiche di
discriminazioni dei prezzi, istituzioni di barriere all’entrata ecc...)
3. Nell’impedire acquisizioni e fusioni di imprese che portino a concentrazioni industriali.
Le imprese massimizzano i profitti, cioè spingono al minimo i costi e aumentano il loro potere di
mercato nei confronti dei consumatori. Per raggiungere questo obbiettivi devono innovare i prodotti.
Da questo vediamo il beneficio della concorrenza, e le autorità antitrust si impegnano ad assicurarla.
Hanno come obbiettivo il benessere del consumatore. Noi non vogliamo situazioni in cui le imprese
possono abusare della loro capacità di ottenere profitti.
Le politiche antitrust, non nascono per impedire ad un’impresa di creare monopolio, ma nascono per
impedire che questo monopolio diventi duraturo.

Introduzione di norme antitrust


• U.S.A.: 1890 Sherman Act, già c’era una economia di mercato
• Europa (Trattato di Roma, 1957). Il trattato di Roma ha a che vedere con l’affermazione di
principi che tutelano la concorrenza tra vari paesi, ma nei diversi paesi si è agito con grosso
ritardo. Fino alla seconda guerra mondiale la nozione di mercato e di concorrenza non era
affermata. I totalitarismi e il colbertismo francese hanno fermato il libero scambio.
• Germania: 1958
• U.K.: 1968
• Francia: 1977
• Italia: 1990 (legge 287). Fase in cui si sta valutando una maggiore integrazione europea , la
completezza e competitività del mercato unico ha reso indispensabile un’autorità per la
concorrenza nazionale.
Diverse tempistiche:
USA
- Industrializzazione più avanzata (?)
- Concentrazioni rilevanti
- Economia grande, ma relativamente chiusa al commercio internazionale. Non era soggetta alla
concorrenza attuale, dovuta alla globalizzazione.
- Stato come arbitro (concezione storica): cioè lo stato sorveglia il mercato dall’esterno attraverso
l’attuazione delle normative antitrust. È una tendenza storica, la costituzione politica e economica
degli stati uniti sono costruite con un presupposto, cioè che l’azione pubblica è inevitabile in alcuni
ambiti, ma questa azione pubblica oltre ad essere ben definita, deve avere dei bilanciamenti a
tutela della libertà individuale che è una libertà politica e economica (in un paese come gli stati
uniti diventa più facile avere un’autorità antitrust EUROPA:
- Minori concentrazioni nel tessuto industriale
- Maggiore integrazione commerciale (International trade come garante della concorrenza)
- Lo stato come giocatore, cioè lo stato interviene direttamente sul mercato. Si ritiene non
necessaria una normativa antitrust. Lo stato ha un ruolo molto più forte, è un capitalismo diverso,
in cui lo stato interagisce con le imprese, c’è una partnership, in molti ambiti, tra l’operatore
pubblico e gli attori privati, ciò è in antitesi del ruolo dello stato come arbitro, questa tendenza
sopravvive fino alla fine degli anni ’80)

A partire dagli anni ’80 hanno avuto luogo due differenti processi, che hanno portato i Paesi europei
a rivedere la logica del proprio modello, e ad aderire al modello americano con:
- Un cospicuo ridimensionamento dell’azione dello stato nell’economia. Le politiche di
partecipazione statale in Italia fanno un sacco di perdite, allora si adottano le politiche di
privatizzazioni , riducendo il ruolo dello stato nell’economia
- Processi di liberalizzazione e privatizzazione del mercato. Coinvolge tutta l’Europa occidentale,
soprattutto l’Italia.

ESPERIENZA AMERICANA- 1890 – Sherman Antitrust Act


La Sherman Antitrust Act è diviso in due parti.
- Nella prima si statuisce che sono vietate le collusioni (combinations), nella forma di accordi e
contratti, tra le imprese a scapito dell’interesse pubblico;
- Nella seconda si vieta ogni forma di monopolizzazione
Lo Sherman Antitrust Act risultò poco efficace nel combattere il formarsi di monopoli. Altre
normative:
- 1914 il Clayton Act: che cerva di aumentare il potere nel limitare i monopoli
- 1938 il Federal Trade Commission Act (istituzione di una Autorità Governativa garante della
concorrenza con il compito di tutelare i consumatori). Ha poteri specifici ed è un’autorità più forte
di quella dello scherman act.

Il TRATTATO DI ROMA del 1957, con gli art. 81, 85, 86 e 92 rappresenta il primo atto di normativa
antitrust dei Paesi Europei
In Italia, La Legge n°287 del 1990 crea l’ autorità garante della concorrenza e del mercato, la quale
vigila su tutti i mercati.
Accanto all’autorità garante della concorrenza e del mercato in Italia, operano le Autorità di settore
che ha il compito di vigilare sui comportamenti delle imprese che operano in specifici settori
Sia il Trattato di Roma sia la Legge italiana riprendono punti dello Sherman Act
Rispetto all’Autorità antitrust, che ha il compito di tutelare la libertà di concorrenza in tutti i settori, e
su tutto il territorio nazionale, le varie Authority hanno compiti più specifici e/o ambiti di intervento
maggiormente circoscritti. (es. l’Autorità per l’energia elettrica e gas, l’Autorità di vigilanza sui fondi
pensione, l’Autorità garante per gli appalti, ecc...)

Norme del Trattato di Roma (riprese dallo Sherman Act e poi riprese nella l. 287/90)
• (art. 81 Trattato di Roma): Sono vietate tutte le pratiche che limitano la concorrenza, e in particolare:
- concordare prezzi;
- concordare di limitare la produzione;
- spartirsi i mercati di sbocco o di approvvigionamento;
- applicare condizioni dissimili a transazioni equivalenti;
- condizionare la conclusione di accordi a clausole irrilevanti

• (art. 85 Trattato di Roma): Sono previste deroghe per le intese fra le imprese che vanno a vantaggio
dei consumatori Esempi:
- RJV (ricerca)
- Miglioramenti tecnologici
- Miglioramenti delle reti distributive ...

• (art. 86 Trattato di Roma): Divieto di SFRUTTAMENTO DI POSIZIONE DOMINANTE Esempi:


- Discriminazioni di prezzo
- Imposizione di vendite congiunte
- Clausole di esclusiva
- Pratiche di prezzi predatori: (io impresa abbasso il prezzo, butto fuori i concorrenti e mi godo il
mercato da monopolista)

(art. 92 Trattato di Roma): Divieto di AIUTO DI STATO ad imprese, tali che falsano la libera
concorrenza.
La competenza è dell’Unione Europea (esercitata dal Commissario alla Concorrenza , della
Commissione Europea) se le intese sono fra imprese di Stati diversi oppure il fatturato della(e)
impresa(e) coinvolta è superiore a un certo ammontare.

TRATTATO DI ROMA E NORMATIVE NAZIONALI


La competenza dell’unione Europea è esclusiva sulle intese fra imprese di stati diversi e anche se
le imprese coinvolte sono molto grandi, cioè hanno un fatturato superiore ad un certo ammontare.
Esiste comunque un problema di tutela della concorrenza all’interno dei singoli stati per cui ci sono
le autorità di antitrust nazionali, per tutti i mercati e per tutte interrelazioni che sono di dimensioni
limitate rispetto a quello che è oggetto dell’autorità garante della concorrenza.

Modus operandi dell’autorità antitrust


In Italia è desumibile dalla lettura delle sentenze nei Bollettini
1. Individuazione del mercato rilevante (elementi merceologici, geografici, e di sostituibilità fra
prodotti)
2. Rilevazione della struttura di mercato (numero imprese, quote di mercato, barriere all’entrata,
integrazione verticale)
3. Verifica delle intese oppure dell’abuso di posizione dominante

Costi e benefici delle autorità antirust:


Nonostante la grande popolarità che ha circondato la creazione delle Autorità negli Anni Ottanta e
Novanta, non bisogna scordare
• i costi di funzionamento,
• i conflitti di competenze
• i rischi di “cattura” dei vigilanti: è stata sviluppata una teoria economica all’università di Chicago e
il primo rappresentante è Stigler, che ha mostrato che in realtà alle imprese non dispiace essere
regolate, questo viene spiegato attraverso la teoria della cattura e la teoria dei gruppi di interesse.
Accanto alle giustificazioni normative della regolamentazione vi sono altre ipotesi teoriche sulla
genesi di quest’ultima: teoria della cattura e la teoria dei gruppi di interessi.
Queste teorie sono state sviluppate da alcuni economisti di Chicago (il premio Nobel Stigler in primis)
dopo aver constatato che gran parte delle regolamentazioni hanno un effetto perverso in quanto,
limitando l’accesso di nuove imprese ai settori regolamentati, garantiscono notevoli benefici alle
società già presenti sul mercato.

Teoria della cattura: le imprese di un’industria desiderano essere regolamentare perché confidano
nella possibilità di catturare i regolatori governativi (convincendoli, comprendendoli minacciandoli) in
modo tale che questi ultimi perseguano gli interessi delle imprese.
Generalizzazione di questa teoria: in generale si ipotizza che i vari gruppi di interesse (le imprese, i
consumatori o altre associazioni) sono in grado di catturare e di influenzare l’ente di
regolamentazione.
In generale, i gruppi di interesse che sono organizzati meglio o che vengono maggiormente colpiti
dalla normativa spendono di più per tentare di promuovere i propri interessi, influenzando leggi e
organismi di regolazione.
Caratteristiche di un’autorità di regolamentazione efficace:
- indipendenza dalle imprese e dall’autorità politica
- Risorse finanziarie e di personale adeguate
- Possibilità di raccogliere tutte le informazioni
- Regolatore e membri della commissione altamente qualificati

Con liberalizzazione Si intende l’ingresso di nuove imprese sui mercati serviti dai monopolisti Con
privatizzazione Si intende il passaggio di proprietà (parziale o in toto) da soggetti pubblici a soggetti
privati.
Le privatizzazioni non sono più un argomento rilevante in Italia perché gran parte del patrimonio in
termini di imprese dello stato è stato privatizzato e in effetti in questi ultimi anni c’è stata una
riconsiderazione del processo di liberalizzazione e privatizzazione, in quanto si è trattato di azioni
che sono state necessarie per poter entrare nell’unione europea. C’è stata una riconsiderazione
perché la liberalizzazione e la privatizzazione in Italia sono avvenute quasi simultaneamente
cedendo imprese pubbliche a private e abbiamo anche liberalizzato i mercati.
Se si ha un’impresa dominante che è poco regolamentata e questa impresa dominante può anche
essere trasferita dal pubblico al privato, stiamo probabilmente trasferendo un monopolio dal pubblico
al privato, e questa non è una buona idea. Il problema è che se privatizziamo e contemporaneamente
liberalizziamo il mercato, i profitti del monopolista crollano e questo può essere un problema per lo
stato, questo fu un tipo di discussione che venne fatta a quei tempi. Le privatizzazioni in teoria
avrebbero dovuto funzionare con questa logica, cioè metti all’asta un’impresa, devi anche
preoccuparti di capire se l’impresa gestirà il mercato in un modo coerente con l’interesse collettivo
oppure no.
La storia delle privatizzazioni in Italia, è alla fine una storia di fallimento, in quanto le imprese che
sono diventate private attraverso il processo di privatizzazione, non hanno avuto un buon successo
economico. Le abbiamo vendute ad un prezzo basso a volte, per il semplice fatto che dovevamo
sbrigarci a vendere perché avevamo un bene superiore da acquisire che era l’ingresso nell’unione
monetaria, dato che le abbiamo vendute, se c’è concorrenza o comunque se altre imprese tramite
la concorrenza se le mangiano, non è più un nostro problema, questo è vero fino ad un certo punto.
Infatti se abbiamo delle imprese grandi, e queste imprese hanno anche un capitale sociale, cioè
occupano lavoratori qualificati, ma le imprese perdono valore perché gestite in modo predatorio,
quello che succede è che la capacità di guadagnare reddito cade, la capacità di produrre reddito
cade e si generano conseguenze a livello sociale che sono molto forti, cioè il realtà il modo in cui si
procede per le commissioni, dovrebbe essere simile al modo in cui si procede per le privatizzazioni,
ma allora non fu fatto, perché le privatizzazioni vennero decise sotto questa urgenza di liberarsi di
queste imprese, ecco perché alla fine furono scelti dei capitalisti che ne fecero un uso predatorio.
Un esempio di impresa di cui si fece solo un uso predatorio è telecom-tim. Telecom-tim, fu usata
solo per gravarla di debiti e poi attraverso il controllo crociato le risorse andarono ad altre imprese.
Società autostrade è un altro esempio di uso predatorio, infatti furono garantiti dei profitti
monopolistici ad un privato e lo stato avrebbe potuto ripetutamente modificare quelli accordi, ma non
lo fece. Il crollo del ponte Morandi, definisce quelli che sono i costi che si determinano quando il
potere monopolistico privato è tutelato.
Le due opzioni presentano ovvi pro e contro:
Se la privatizzazione precede la liberalizzazione, l’impresa pubblica potrà essere venduta ai privati
a prezzo maggiore perché il privato agirà all’inizio su un mercato nel quale non vi sono concorrenti.
Dall’alto lato, questa opzione consegna il mercato a un monopolio privato con le inefficienze
allocative che ne conseguono.
I processi di liberalizzazione e privatizzazione possono avvenire in due modi diversi: -
Strategia del gradualismo
- Strategia della doccia fredda
L’esperienza concreta non ha fornito risposte conclusive su quale delle due sia da giudicare migliore.
Il processo di privatizzazione in Italia è stato fallimentare, le imprese privatizzate non hanno avuto
un buon risvolto economico (es autostrade, è stato venduto un monopolio al privato, quindi non era
più incentivato a innovare - ha portato alle conseguenze disastrose del ponte Morandi).

Cap 8 le esternalità
La presenza di esternalità determina un classico fallimento del mercato. Anche in un contesto che
approssima la perfetta concorrenza, il sistema di mercato risulta inefficiente.
La questione delle esternalità è divenuta centrale di recente, la questione infatti non è presa in
considerazione dagli economisti classici (Marx e Ricardo ecc). Questa mancanza ha portato
l’ecosistema ai livelli irreversibili che conosciamo.
Si definisce esternalità l'effetto che il comportamento di un agente esercita direttamente sul risultato
di un altro agente.
Pseudo-esternalità, invece, il comportamento di uno più individui si ripercuote sui risultati di altri
individui, modificando il sistema di prezzi prevalenti.

• Le esternalità possono riguardare attività di consumo oppure attività di produzione e possono


essere positive (economie esterne) o negative (diseconomie esterne).
• Chi subisce l'esternalità si vede arrecare un vantaggio (nel caso di esternalità positiva) o uno
svantaggio (nel caso di esternalità negativa), senza che per questo paghi alcunché (o riceva alcun
indennizzo);
• Le esternalità non danno luogo ad alcuno scambio di mercato e non hanno perciò un prezzo, né
hanno effetto sul sistema dei prezzi. In presenza di esternalità il mercato non nasce, perché non
c’è l’incentivo del prezzo a supportare lo scambio.
E possono aver luogo in:
• Attività di consumo [esempio: fumo della sigaretta “A” che arreca fastidio a “B”
(negativa); “A” cura il suo prato procurando piacere visivo a chi passa (positivo)].
• Attività di produzione [esempio: l’inquinamento (negativo); l’occupazione (positivo)].

Nel caso di esternalità la valutazione dei costi e dei benefici che dà il singolo individuo differisce dalla
valutazione dei costi e benefici operata a livello di società nel suo complesso:
Se in un sistema economico dove ciascuno sia lasciato libero di perseguire la sua massima utilità,
esistono esternalità, allora tipicamente il comportamento ottimale del singolo individuo (e la somma
di tutti i comportamenti individualmente ottimali dei singoli agenti) non produce l’esito migliore dal
punto di vista sociale.
Questo meccanismo di generazione delle scelte collettive, attraverso l’interazione decentrata degli
individui, fallisce perché viene meno il principio della completezza dei mercati. Dove non c’è un
mercato questo meccanismo non esiste per definizione.
Quando c’è conflitto tra ottimo individuale e ottimo sociale -> serve un intervento di politica
economica.
Due individui [w= welfare, xA= quantità di bene x scelto da A, bA= beneficio che va ad A quando
sceglie X, cA= costo del bene X]
- A , che sceglie (xA) -> wA(xA)= bA (xA)- cA(xA)
- B sceglie xB, ma subisce l’effetto delle scelte di A ->wB (xB,xA) = bB(xB)- cB(xB,xA).
L’impatto della scelta xA, sul costo che B sostiene per consumare XB è positiva. Quindi è una
esternalità negativa .
L'esternalità determina inefficienza sociale delle scelte individualmente ottimali - 2
Soluzione ottimale per A: (=> beneficio marginale = costo marginale)

Soluzione ottimale per B


Definizione di benessere sociale:
SW = wA(.)+ wB(.)= bA(xA) - cA(xA)+ bB(xB) - cB(xB,xA).
In questa equazione Il benessere sociale è la somma dei benesseri individuali.
Massimizzazione del benessere sociale

La prima delle due condizioni di ottimo dà: B' (A,xA) - C' (A,xA) - C' (B,xA) = 0 mentre
la seconda dà: b' (B,xB)- c' (B,xB) = 0
La quantità xA ottimale per la società può essere interpretata in due modi alternativi: B'
(A,xA) - C' (A,xA) = C’ (B,xA)
Oppure: b' (A,xA) = c' (A,xA) + c' (B,xA)
L'ammontare di xA socialmente ottimale è minore dell'ammontare di xA individualmente ottimale per
l'agente A.

Vie di uscita dall’inefficienza del mercato nel caso di esternalità


• Imposizione di vincoli sulle quantità (Regolazione): Vincoli sulle quantità rappresentano interventi
diretti dell'Autorità di politica economica che limita la libertà di scelta del singolo agente. Si tratta
di una “violenza” rispetto alla logica della libertà, giustificata dal fatto di incrementare il benessere
sociale. Per fissare il vincolo sulla quantità in modo appropriato (ossia per massimizzare
effettivamente il benessere sociale), l'Autorità di politica economica deve conoscere con esattezza
le funzioni di beneficio lordo e di costo di tutti gli individui coinvolti.
Es: Regolazione di industrie inquinanti:
- Monitoraggio dei livelli inquinanti d’impresa, può essere costoso e complesso.
- Penalizzazioni: devono essere adeguate per non essere ignorate
- Applicazione delle restrizioni: Richiede capacità politica
• Introduzione di appropriate tasse (per esternalità negative) o sussidi (esternalità positive): L'idea
è quella di fare inglobare - internalizzare - nella valutazione individuale, gli effetti esterni esercitati:
- se il comportamento di A, che esercita un'esternalità negativa su B, viene tassato, allora
nella valutazione dei costi individuali, l'agente A terrà in conto un costo aggiuntivo,
rappresentato dall'imposta. L’ottimo si raggiunge (algebricamente) se B(xA)= C’(xA), cioè
se il beneficio è uguale al costo marginale.
- Se l'imposta pigouviana (Arthur Pigou) è pari al danno marginale arrecato agli altri
individui, allora il comportamento individualmente ottimale di chi esercita l'esternalità –in
presenza dell'imposta– replica esattamente l'ottimo sociale.
Approfondimento Tassa Pigouviana
La tassa riduce Bm(Q) di un livello t per ogni livello di Q. Perciò Bm(Q)t=Bm(Q)-t
Quando t è fissato esattamente al valore del costo marginale sociale, cioè Cm(Qs) si ha la tassa
pigouviana ottimale (t*), perché induce il privato a produrre il livello socialmente ottimo: tutta
l’esternalità pareto-rilevante è internalizzata In effetti la tassa dovrebbe essere fissata così:
- individuare il livello di inquinamento ottimo Qs
- Calcolare il costo sociale relativo Cm(Qs)
- Fissare la tassa t=Cm(Qs)
Lo stato rileva un gettito fiscale (t* x Qs) che può ridistribuire alla collettività per compensare quella
esternalità negativa non eliminata in quanto pareto-irrilevante.

PRO: Il concetto di tassa pigouviana è semplice e intuitivo e segue il ‘polluter pays principle’; il
funzionamento garantisce il raggiungimento dell’ottimo sociale mediante meccanismi di mercato e
per la scelta spontanea dell’ inquinante il quale finisce per sostenere i costi che provoca. Sembra
essere un’applicazione ideale per il teorema di Coase.
- lo stato è detentore dei diritti di proprietà sul bene inquinato.
- Lo stato rappresenta gli inquinanti, cioè negozia con l’inquinante accettando un prezzo solo se
superiore a Cm(Q)
- I negozianti stabiliranno di cedere diritti corrispondenti alla quantità Qs al prezzo t*.
- La transazione prevede la cessione dei diritti per un controvalore (t* x Qs)

CONTRO: Asimmetria informativa: bisogna conoscere con esattezza Cm(Q). L’inquinante sa quale
è la sua vera Bm(Q) mentre lo stato non è adeguamente informato. Alcune imprese potrebbero far
risultare un Bm(Q) inferiore a quello reale per avere meno tasse. Rischi di sopra tassazione: anche
ammettendo che i diritti di proprietà spettino allo Stato e che questo sia in grado di individuare Q e
t* e che valga il polluter pays principle, la tassa pigouviana fa si che :
1. La tassa sottrae all’inquinatore più dell’esternalità pareto-irrilevante. Il pagamento del diritto
comporta anche un effetto redistributivo a danno dell’inquinatore.
2. La tassa si applica anche al livello di capacità di assorbimento Q0 generando una tassazione
inopportuna per bassi valori di Q.

In realtà la tassa pigouviana sul consumo di energia è negativa, malgrado le accise e le varie imposte
la tassa è negativa. Tutti i crediti di imposta che facilitano la ‘vita’ degli autotrasportatori in realtà
provocano danno all’ambiente. (Es: cappotto delle case )
• Alternativa alla tassa: sussidio per astenersi dalla produzione dell'esternalità negativa. Questo
strumento è ritenuto “poco felice” perché:
- il sussidio per astenersi dalla produzione di esternalità negative richiede un costo
finanziario al policy-maker (e non un'entrata come l’imposta);
- sembra più discutibile sotto il profilo dell'equità (perché mai dare sovvenzioni a chi produce
esternalità negative?);
- spingerebbe gli agenti che generano le esternalità a dichiarare una quantità "gonfiata" di
produzione individualmente ottimale, al fine di percepire più elevati sussidi;
- potrebbe richiamare sul mercato del bene, nel lungo periodo, un numero di imprese
maggiore rispetto a quello che sarebbe efficiente.
• Creazione di mercati (Coase) per lo scambio di effetti esterni: Il sistema di mercato porta ad una
situazione di inefficienza, in presenza di esternalità, poiché non esiste un mercato in cui gli agenti
possano scambiarsi (pagando e incassando somme monetarie) gli effetti delle esternalità. È
l’assenza di un mercato a determinare il fallimento del meccanismo di mercato!
Il teorema di Coase
1. Se si è in presenza di esternalità
2. Se le parti coinvolte sono in grado di contrattare liberamente (ossia se i costi di transazione sono
nulli).
3. Se la configurazione socialmente efficiente esiste ed è unica.
ALLORA
La creazione di un mercato per lo scambio dei diritti a generare effetti esterni conduce gli individui a
produrre (o consumare) il bene che genera l'esternalità in quantità esattamente uguale a quella che
massimizza il benessere sociale.
Inoltre, in questo caso, l'ammontare di effetto esterno scambiato sul mercato, pari a quello
socialmente ottimale, è indipendente dal modo in cui sono attribuiti inizialmente i diritti di proprietà.
Se valgono le condizioni (i) e (ii) ma, in luogo della (iii) vale che :
4. l'allocazione che massimizza il benessere sociale non è unica, allora l'attribuzione iniziale dei
diritti di proprietà è rilevante sull'esito finale raggiunto dalle contrattazioni degli agenti. L'esistenza
di un mercato in cui scambiare i diritti a esercitare l'esternalità conduce gli individui ottimizzanti
a replicare l'ottimo sociale.
Il teorema di Coase e’ alla base del protocollo di Kyoto.

Esempio:
Consideriamo come bene ambientale (E) la qualità dell’aria nell’area di Roma. L’industria petrolifera
(I P) produce combustibile (bene Q) provocando scadimento della qualità dell’aria (diminuisce E).
I P produrrà la quantità Q che massimizza i suoi profitti; E si riduce con l’aumentare della quantità di
combustibile prodotto.
La funzione di beneficio netto provato B(Q) è il profitto dell’impresa (dato da ricavi- costi di mercato).
La funzione di B(Q) cresce meno se diminuisce Q e/o per diminuzione del prezzo di vendita . Quanto
è ottimale produrre dal punto di vista privato? Il livello ottimale sarà B(Q) massimo. BM(Q) è detto
beneficio netto marginale (privato).
Il livello di Qs <Qp identifica il livello sociale efficiente di produzione del bene privato e di consumo
del bene pubblico, è dato da: B(Q)- C(Q)

La soluzione non è obbligatoriamente una sola. Se si decide per un’allocazione dei diritti alle
imprese, questa può impedire ad altre imprese di entrare nel mercato.

Come raggiungerlo?
- l’impresa usa il bene pubblico producendo un costo che non sostiene (esternalità negativa) dal
momento che il bene stesso non è né rivale né escludibile quindi non vi è il mercato che faccia
pagare all’impresa C(Q).
- Il teorema di coase evidenzia in modo immediato la relazione tra ruolo allocativo del mercato è
assegnazione dei diritti di proprietà. Esso sostiene che una volta assegnati i diritti di proprietà
sui beni pubblici, il mercato quale luogo per scambiare tali diritti ripristina l’impiego socialmente
efficiente degli stessi beni pubblici.

Supponiamo che i diritti di proprietà sulla qualità di aria siano assegnati alla cittadinanza. Si
avrà perciò Q>0 solo se l’impresa paga la cittadinanza per accettare di vendere parte della qualità
di aria E. La curva Cm(Q) rappresenta il prezzo minimo richiesto per poter accettare una ulteriore
riduzione della qualità E;
la curva Bm(Q) rappresenta la quantità massima che l’impresa sarà disposta a pagare per avere
una unità in più di produzione
Lo scambio di concretizzerà quando Bm(Q)=Cm(Q) giacché nessun altro livello comporta un
miglioramento del benessere di entrambi i contraenti: Qs è quindi il livello di produzione contrattato
(scambiato).

Supponiamo invece che i diritti di proprietà sulla qualità di aria-acqua siano assegnati all’impresa,
si avrà perciò Q<Qp solo se l’impresa viene convinta (pagata) dalla cittadinanza a ridurre la
produzione cioè ad accettare di vendere parte di qualità di aria.
La curva Cm(Q) rappresenta il prezzo massimo che la cittadinanza è disposta a pagare per avere
un’unità in meno di produzione. La cerva Bm(Q) rappresenta il prezzo
minimo che l’impresa sarà disposta ad accettare. Lo scambio si
concretizzerà quando Bm(Q)=Cm(Q) giacché nessun altro livello
comporta un miglioramento del benessere di entrambi i contraenti: Qs è
quindi il livello di produzione contrattato (scambiato).
Lo scambio avviene con esito efficiente indipendentemente
dall’attribuzione di diritti di proprietà iniziale, purché questo ci sia,
cambia la distribuzione dei benefici.

Il teorema di Coase di compone di due parti:


1. In presenza di esternalità, si verifica un fallimento di mercato (esso non è in gradi di collocare le
risorse in modo ottimale), lo scambio volontario può tornare ad essere efficiente solo se al bene
pubblico vengono assegnati i diritti di proprietà.
2. Lo scambio volontario avviene con lo stesso esito efficiente,
indipendentemente dall’attribuzione dei diritti di proprietà iniziale, purché
questo ci sia. Cambia la distribuzione dei benefici.

Complicazioni nell’applicazione del teorema di Coase


- nella realtà non si possono escludere effetti di reddito (spostamenti di B(Q)
e C(Q) per effetto del trasferimento di diritti di proprietà). Con effetti di
reddito, lo scambio volontario tra soggetti garantisce sempre il
raggiungimento del livello efficiente, ma questo cambia a seconda
dell’allocazione iniziale dei diritti.
- Non ci dice come debbano essere effettuate le transazioni (scambio dei diritti) dal momento che
riguardano beni pubblici (free riding)
- Non ci dice come concretamente è possibile valutare i beni ambientali o il costi associato ad una
loro riduzione , dal momento che non esiste un mercato che ne fissa il prezzo (problema del valore
dei beni ambientali-naturali).

Critiche al teorema di Coase


Non tanto per la sua coerenza logica, quanto piuttosto per la sua realizzabilità concreta.
1. la creazione di un mercato è tutt'altro che non- costosa;
2. l'attribuzione iniziale dei diritti di proprietà è un'attività che è assolutamente discrezionale e che
comporta effetti distributivi notevoli, dato che pone alcuni soggetti in posizioni di monopolio;
3. non è detto che effettivamente gli individui siano poi disposti a scambiare questi diritti

Approfondimento: Mercato dei diritti di inquinamento


1. Il policy-maker emette I diritti di inquinamento (anche all’asta)
2. Le imprese decidono quanto inquinare e commerciano il surplus/deficit di permessi.
3. L’offerta è fissa nel medio termine, quindi la domanda definisce il prezzo di mercato dei diritti.
4. Le imprese hanno un incentivo a innovare (per non dover più comprare i permessi) diventando
+ efficienti (il prezzo dei diritti definisce il valore delle innovazioni)

Vantaggi
• Incentivi a innovare
• Aiuta a identificare il prezzo di mercato dell’inquinamento
• Si basa sulla definizione del Massimo livello di inquinamento ammissibile (l’offerta totale di diritti è
data dal policy-maker)
• I proventi si possono usare a vantaggio dell’ambiente
Svantaggi
• Il prezzo dei diritti potrebbe essere troppo basso creando pochi incentive a innovare
• Rischio di cattura del policy-maker dagli interessi delle industrie
inquinanti
• Il monitoraggio della coerenza tra inquinamento prodotto e diritti
posseduti è costoso e difficile

Sussidi all’inquinatore
Anche se può apparire strano, il caso in cui si ricorre ai sussidi in
proporzione alla riduzione dell’inquinamento può essere considerato
come quello in cui i diritti di proprietà sull’ambiente sono assegnati a chi
inquina; questi devono essere compensati se si vuole ridurre
l’inquinamento. Il sussidio sulle emissioni abbattute costituisce un ricavo
per l’impresa che lo riceve, essa pertanto determinerà il livello di
inquinamento che le conviene produrre, o simmetricamente il livello di
disinquinamento che le conviene attuare, in modo da massimizzare il proprio beneficio netto, ovvero
il ricavo che riceve come sussidio al netto dei costi di abbattimento.
È facile dimostrare che l’impresa troverà conveniente disinquinare fino al punto in cui il sussidio
unitario è uguale al costo marginale di abbattimento.
Il sussidio alle riduzioni di inquinamento è a volte sostenuto da motivazioni di natura politica: intanto
è sempre più gradito ricevere un sussidio che pagare un’imposta; inoltre in talune circostanze una
politica di sussidi può nascere dalla opportunità di permettere la conservazione di posti di lavoro in
un certo territorio.
Questa considerazione, che ha un peso politico ed elettorale rilevante, è però assai poco
soddisfacente da un punto di vista economico. Una distorsione derivante dal sussidio risulta dalla
necessità di finanziarlo con altre imposte di natura ambientale , finirebbero per provocare ulteriori
distorsioni nell’equilibrio complessivo.
Possiamo concludere che imposte e sussidi non vanno necessariamente visti come strumenti di
politica ambientale tra loro contrapposti.
Nulla vieta ad esempio che possano essere concepiti schemi combinanti le imposte con sussidi: ad
esempio potrebbe essere utilizzati per sussidiare un indennizzo agli inquinanti o per finanziare la
ricerca scientifica e tecnologica volta alla riduzione dell’inquinamento.
Esternalità positive di Consumo
Si producono se il consumo di un bene produce effetti su terze parti non coinvolte. Esempio:
EDUCAZIONE SCOLASTICA. (Trickel down society).
- Migliore educazione alza il reddito e consente di pagare tasse più alte -> maggior contributo al
bilancio, si possono erogare più servizi.
- Minor bisogno di sostegni pubblici
- Capacità di usare tecnologie che beneficiano persone meno scolarizzate
L’obbligo amministrativo (di istruzione) è un modo in cui lo stato tutela i giovani. (Situazioni in cui o
il reddito o la forma mentis dei genitori non consentono al minore di frequentare le scuole, allora
interviene lo stato introducendo l’obbligo).

- MPB >MSB:
- Il mercato produce una quantità socialmente subottimale di educazione

Cap 10 i beni pubblici


Un bene pubblico è un bene che gode simultaneamente di due caratteristiche: - è non rivale nel
consumo -> può essere consumato contemporaneamente da più soggetti. “Una volta fornito, le
risorse addizionali necessarie per garantirne il consumo a un individuo addizionale ammontano a
zero.”
- è non escludibile -> non è possibile (o non è conveniente) escludere alcuno dal suo consumo, una
volta che il bene sia stato prodotto. “Impedire a qualcuno di consumare il bene è estremamente
costoso o fisicamente impossibile”

La natura di bene pubblico non ha nulla a che vedere col fatto che venga prodotto o offerto da enti
pubblici; un bene pubblico può essere prodotto sia dallo stato, sia da privati.

Esempi di beni pubblici:


• Ricerca di base
• Programmi di limitazione della povertà
• Strade ad accesso libero non congestionate
• Ratings dei ristoranti (in città o paesi diversi)
• Esibizioni di fuochi d’artificio
Free-riding
• Gli individui che massimizzano la loro utilità individuale, e lo fanno in modo razionale, trovano
conveniente consumare il servizio o il bene pubblico senza pagarlo;
• ma allora risulta non-conveniente produrlo e si perviene ad una situazione nella quale il bene
pubblico non viene prodotto né consumato.. l’esito dell’ incentivo a fare free riding è che non si
offre il bene pubblico.
Se i beni pubblici vengono scambiati sul mercato, essi danno luogo a configurazioni di equilibrio
inefficienti in senso allocativo.

I diritti di proprietà non sono esattamente definibili, in quanto l’utilizzo è aperto a tutti e non è
possibile che qualcuno lo utilizzi anche senza pagarlo (fenomeno di free-riding); allora risulterà
non-conveniente produrlo, ma tutti potrebbero stare meglio se il bene fosse prodotto, e ciascuno si
impegnasse a pagarne in parte il costo di produzione; ecco perché la produzione di beni pubblici è
affidata a Enti pubblici che possono far ricadere sulla fiscalità generale i costi di produzione.

Il fatto che i vantaggi derivanti da beni pubblici siano indivisibili implica che ciascun individuo
consuma il medesimo ammontare di bene pubblico; occorre quindi valutare quanto bene pubblico
produrre per garantire l’efficienza allocativa e come ripartire i costi di produzione.

L’inefficienza allocativa del bene pubblico: Il gioco


della contribuzione al bene pubblico tra l'individuo i e
l'individuo j. (i numeri indicano i pay-off dei due
individui).

COMPORTAMENTO INDIVIDUALMENTE OTTIMALE: Esito Pareto-inefficiente;


COMPORTAMENTO PARETO EFFICIENTE: Individualmente non-ottimale Esempio: Potete
decidere, con X cittadini, se contribuire o meno a finanziare un’aiuola fiorita in città

- Se decidete di sì, pagate $200/(num cittadini paganti), e tutti gli X cittadini coinvolti beneficeranno
l’equivalente di $200/X dalla vista dell’aiuola
- Se decidete di no, pagate zero e il beneficio dipende dalle scelte degli altri
Nash vs efficienza
• L’equilibrio di Nash prevede che nessuno finanzi, ma è paretoinefficiente.
• L’equilibrio efficiente vorrebbe che tutti contribuissero.
• Ma nessuno internalizza i benefici altrui compiendo la propria scelta
• L’equilibrio di Nash è una buona approssimazione ai comportamenti delle persone?

Proviamo con un esperimento di fornitura privata di beni pubblici


- Un gruppo di N persone si incontra in una stanza
- Ciascuno riceve del denaro
- Ciascuno può donare a un fondo comune e ogni donazione individuale viene accompagnata da
un contributo al fondo di chi organizza l’esperimento.
- I ricavi totali del fondo sono redistribuiti equamente tra I presenti
- Se una sola persona dona, questa persona riceverà alla fine meno
della sua donazione iniziale Risultati tipici - Le persone tendono a
contribuire il 50% delle risorse necessarie per fornire il bene
pubblico. C’è un incentivo a donare
- Se il gioco si ripete le donazioni scendono
- I comportamenti sono più cooperativi se le implicazioni dei
comportamenti sono spiegate meglio
- Le donazioni scendono se il loro costo-opportunità sale.
• “Warm-glow”
- Ci sono persone che hanno una preferenza intrinseca per contribuire
al benessere collettivo

Produzione efficiente di bene pubblico


I due punti fondamentali a cui bisogna dare risposta, nel caso di beni
pubblici, sono:
- quanto bene pubblico produrre, per garantire l'efficienza allocativa;
- come ripartire i costi di produzione.

Per rispondere alla domanda “quanto bene pubblico produrre per garantire l’efficienza allocativa”,
occorre che sia soddisfatta la:
Condizione di Samuelson
In presenza di bene pubblico, la condizione di efficienza allocativa richiede di eguagliare il saggio
marginale di trasformazione tra bene pubblico e bene privato (ossia il prezzo relativo del bene
pubblico in termini di bene privato) alla somma dei saggi marginali di sostituzione tra bene pubblico
e bene privato degli n individui presenti (condizione di Samuelson). In termini formali, deve valere:
dove indica il saggio marginale di sostituzione (in valore assoluto) tra bene pubblico e bene
privato per l’individuo i, mentre p indica il prezzo relativo del bene pubblico in termini di bene privato,
ossia il saggio marginale di trasformazione del bene pubblico in bene privato.

Esempio di beni pubblici Fuochi d’artificio


25 persone potrebbero pagare per una esibizione al mare
Domanda individuale inversa
• P=2–0.08Q
• MC (costo marginale) per produrre i fuochi è 10
• Nessuno pagherebbe individualmente il costo di esibizione dei fuochi (10- 2 =
8>0). Non c’è spazio per una domanda individuale, costa troppo.
• Il beneficio dei fuochi non è escludibile
• MB (beneficio marginale) pubblico è la somma dei MB privati P = 25 x (2 –
0.08 Q) = 50 – 2Q. Condizione in cui tutti contribuiscono.
• P=10
• Q=20

L’IMPOSTAZIONE DI LINDHAL
Per rispondere alla domanda “come ripartire i costi di produzione”, bisogna far riferimento a Lindhal
che suggerisce di impostare il problema delle decisioni di produzione e finanziamento dei beni
pubblici nel modo seguente: dapprima vanno trovate le domande ottimali degli individui, in funzione
degli schemi di contribuzione proposti, e in una seconda fase, si risolve il problema trovando lo
schema di contribuzione che renda soddisfatte la definizione di bene pubblico (i cui benefici sono
indivisibili) e quella di fattibilità dell’allocazione.
Meccanismi di rivelazione delle preferenze individuali
• Intervista diretta: non attendibile per il free-riding.
• Asta alla Vickrey: si aggiudica un bene colui che ha fatto l’offerta più alta (fra un insieme di offerte
simultanee), ma al prezzo pari all’offerta immediatamente inferiore; in questo modo, ciascuno non
ha incentivo a proporre meno di quanto sarebbe effettivamente disposto a pagare, perché così
facendo non abbasserebbe quanto davvero pagherà, mentre abbasserebbe la probabilità di
vincere l’asta.
• Meccanismo di Clarke Groves: ciascun soggetto che usufruisce di un bene pubblico paga la
differenza tra il costo marginale di produzione e la somma delle valutazioni di tutti gli altri; così
facendo il contributo di un dato individuo non dipende dalla sua dichiarazione, ma dalla
dichiarazione di tutti gli altri.
• Ricavare l’informazione con metodi statistici applicati a risposte fornite ad interviste o questionari
(metodo di valutazione contingente, metodo della cojoint analysis, ecc.): questi metodi permettono
di stabilire se e quanto sia efficiente spendere per garantire i servizi derivanti da un bene pubblico.

Utilizzo di pedaggi per beni pubblici escludibili (ponti, strade)

Beni pubblici (common goods)


Per common-good intendiamo un bene che è non-escludibile ma rivale, ossia un bene il cui consumo
è aperto a tutti, ma il cui stock viene progressivamente ridotto a causa della rivalità nel consumo.
(Es aria)
Esempi concreti possono essere le erbe di un pascolo pubblico o anche le risorse ittiche di un lago.
Chiunque può andare a pascolare o a pescare, ma l’erba (o il pesce) mangiato da un soggetto non
può essere più mangiato da alcun altro.
E’ intuitivo che in questo caso l’individuo sarà portato a consumare il bene, senza preoccuparsi di
quanto fanno gli altri e tuttavia nel momento in cui tutti procedono a consumare il bene, il consumo
risulterà eccessivo rispetto all'ammontare che massimizza il benessere sociale. Il consumo è
eccessivo perché Non si internalizza una rivalità del consumo, questo succede perché non è
presente un prezzo. Nei beni privati (escludibili) il prezzo permette di internalizzare la rivalità.

The tragedy of the commons: Esempio che illustra il sovra-utilizzo privato dei common goods
• Nel medioevo le greggi (possedute da private) pascolavano su terreni pubblici (proprietà comune).
La crescita della popolazione favorisce la crescita delle greggi, ma nessuno si è preoccupato di
aumentare la produttività della terra per generare nutrimenti delle greggi. L’erba scarseggia per
carenza di pascoli, quindi le greggi sono state macellate e anche la popolazione umana è diminuita
perché era diminuito il cibo.
Gli incentivi privati e quelli sociali sono diversi (uso eccessivo impedisce riproducibilità dell’erba)?
Questo dipende da esternalità negative (se il mio gregge consuma erba il problema è degli altri
proprietari, se la consumano gli altri greggi ne avrò meno io -> nonostante questa evidenza non ci
sono incentivi ad aumentare la produttività della terra). Trascurare l’esternalità induce a consume
eccessivamente la terra

Soluzioni al problema
• Tassare l’uso della terra (ai ricchi va meglio)
• Regolare l’uso della terra
• Asta per l’uso della terra (I ricchi di nuovo..)
• Dividere la terra comune tra gli utenti (si internalizza l’uso)
Ci sono problemi distributivi - Perché i soggetti più ricchi sono i soli che possono pagare, però i
proventi possono essere riallocati a chi è escluso dall’uso del bene comune per la tariffa o la
privatizzazione.

Esempi importanti
- Acqua ed aria puliti
• Esternalità negativa: inquinamento
• Soluzione: regolazione o tasse
- Strade
• Esternalità negativa: congestione
• Soluzione: pedaggi o tassa sulla benzina

Beni comuni, risorse limitate: Pesci, Balene, animali selvaggi Oceani


• Licenze di sfruttamento
• Limiti alle stagioni di caccia e pesca
• Limiti inferiori alle dimensioni del pescato e superiori alla quantità di animali uccisi (e I funghi?) on
size of fish
“Basta Spam Pubblicitario!”
– Spam non è escludibile
– Spam è rivale: Più imprese lo praticano meno è efficace.
Quindi è un bene pubblico e ne subiamo TROPPO!

Ricapitoliamo
• Beni rivali e beni escludibili, I mercati funzionano meglio per I beni privati
• Esempi di beni pubblici: fuochi d’artificio, la difesa nazionale, la ricerca scientifica di base.
• I beni pubblici sono soggetti a problem del free rider.
• O governi forniscono I beni pubblici sulla base dell’analisi costi-benefici sociali
• Le risorse comuni sono rivali nel consumo ma non escludibili
• L’uso privato di risorse comuni genera esternalità negative (troppo uso).
• I governi usano metodi diversi per correggere l’esternalità (regolazione, tasse correttive,
attribuzione di diritti di proprietà)

Cap 11 beni di merito e di demerito e asimmetrie informative


I beni di merito o demerito sono quelli per cui il policy maker ritiene giustificato limitare la libertà di
scelta individuale riguardo il consumo o la produzione, poiché crede che gli individui abbiano
informazioni limitate o distorte circa i reali costi e benefici individuali comportati dalla loro produzione
o dal loro consumo.
• Un bene di merito è un bene per il quale il policy maker ritiene appropriato imporre un consumo
positivo (o comunque superiore rispetto a quello che l’individuo riterrebbe ottimale);
• un bene è di demerito, se il policy maker ritiene appropriato imporre un volume di consumo nullo
(o comunque inferiore rispetto a quello ritenuto ottimale dagli individui).
La natura meritoria (o demeritoria) di un bene implica che si limiti la sovranità del consumatore (o
del produttore), in nome di una migliore informazione (e capacità di valutazione) detenuta da enti
che stanno al di sopra dell’individuo (posizione criticata dai liberisti).
Tuttavia, appellarsi alla natura meritoria o demeritoria di un bene rappresenta spesso l’extrema ratio
per poter richiedere l’intervento di politica economica quando non si hanno argomentazioni più
convincenti.
Es beni di merito, obbligo scolastico: viene giustificato, è socialmente accettato che bambini e
ragazzi (fino a 16 anni) siamo obbligati a frequentare la scuola. Lo stato interferisce con le scelte
individuali di famiglie e imprese, quando queste prendono decisioni che non massimizzano l’utilità
della società. C’è una esternalità positiva che deriva dalla scolarità. Lo stato ha scelto la via
dell’obbligo, anziché degli incentivi, perché una popolazione scolarizzata e istruita partecipa più
attivamente alla vita economica, ha meno bisogno di sussidi perché sarà meno probabilmente in
condizioni di povertà, quindi lo stato può investire e impiegare le risorse in modo diverso e per
obbiettivi più ‘alti’. La domanda di educazione delle famiglie è un fatto privato, dipende da costi e
benefici.
Nei paesi in via di sviluppo la bassa scolarità è un problema drammatico, ci sono casi in cui le scuole
‘pagano’ i bambini (o offrono il pasto) quando si presentano a scuola, quindi scelgono la via
dell’incentivo. Questi paesi non soffrono il problema dei sussidi perché la maggior parte delle famiglie
sono molto povere, quindi l’incentivo funziona quasi sempre. In Italia non funzionerebbe perché il
reddito pro capite è molto più alto e quindi gli incentivi andrebbero misurati sulle diverse situazioni.
Inoltre lo schema di incentivi è molto più costoso.
Es beni di demerito, proibizionismo: alcuni artisti hanno costruito la loro carriera in parallelo con
l’uso di droghe e sostanze psicotiche. Alcuni di questi soggetti hanno avuto successo, vite
abbastanza lunghe. Allora perché le consideriamo beni di demerito? Il principio della libertà
individuale, che produce anche risultati personali di successo, in questi casi viene sorpassato dai
criteri usati per valutare i costi/benefici dell’azione collettiva. Siamo anche consapevoli che ci sono
fette di popolazione che possono convivere con l’uso di droghe senza creare esternalità, però lo
stato interviene ugualmente.
Si verifica un caso di asimmetria informativa ogni volta che i soggetti coinvolti in scambi economici
dispongono di insiemi di informazioni differenti.
Tutti i principi fondamentali dell’economia del benessere prevedono l’assenza di asimmetrie
informative. Le asimmetrie informative sono all’origine dei fallimenti del mercato; in altre parole, le
allocazioni derivanti da scambi che avvengono con informazione asimmetrica sono di norma
Pareto-inefficienti.
La classificazione delle asimmetrie informative
1. Selezione avversa
Se l’asimmetria informativa è precedente rispetto alla conclusione dei contratti (e alla realizzazione
degli scambi), si viene a determinare una situazione che è detta di “selezione avversa” (adverse
selection). Si è in presenza di selezione avversa quando uno dei contraenti possiede un insieme
informativo differente rispetto all’altro. Chi possiede maggiori informazioni potrà adottare
comportamenti che sono individualmente vantaggiosi, ma che condurranno al fallimento del
meccanismo di mercato per quanto riguarda il raggiungimento di allocazioni efficienti. In alcuni casi,
la selezione avversa risulta nella scomparsa del mercato. Due possibili strategie d’intervento:
• si può cercare di rendere più facilmente osservabile la qualità del bene posto sul mercato, in
modo da ridurre l’asimmetria;
• si può cercare di fare in modo che l’acquirente che ha comprato un prodotto che si rivela diverso
da quel che si attendeva ottenga un indennizzo.
Es: l’obbiettivo dei bandi di gara è evitare la selezione avversa.
Un Semplice modello di selezione avversa: nel mercato delle auto usate, modello dei bidoni.
Modello creato da Akerlof nel 1970. (Premio Nobel per questo). Definito anche modello dei “bidoni”,
auto usate di scarsa qualità. Prima della vendita (prima delle firma del contratto) il venditore ha
informazione privata in merito alla qualità dell’auto. È il caso in cui una macchina che presenta un
difetto interno viene venduta ad un compratore che non ne è a conoscenza, perché essa in superficie
sembra ‘in ordine’. Esiste anche il problema per cui il mercato può non nascere.
Vedremo che questa informazione privata determina selezione avversa
Indice crescente di qualità dell’auto = 0<k<1
Ogni evento di qualità ha la stessa probabilità (k è equidistribuito sul supporto [0,1]). Compratori e
venditori sono neutrali al rischio (per semplicità).
Un compratore valuta “b*k” un’auto di qualità “k”. Un venditore valuta “s*k” un’auto di qualità “k.
“s” e “b” sono numeri, Assumiamo che “b”>”s”.
Per ciascuna auto di qualità k:
• il compratore è disposto a pagare fino a b*k
• Il venditore è disposto a vendere se otterrà almeno s*k
• La condizione “b”>”s” assicura che in assenza di asimmetrie informative ci sia un mercato
potenziale per ogni auto.
• Il prezzo di vendita dipenderà per ciascuna auto dal potere negoziale delle due parti.
Cosa succederà in presenza di informazione privata? Assumiamo che il prezzo di mercato delle auto
sia “P” (le differenze di qualità sono I.P. e non consentono di differenziare I prezzi secondo la qualità).
Chi venderà auto? Coloro che valutano l’auto meno di P:s*k<P, Ovvero: 0<k<(P/s).
• I compratori sanno che la qualità delle auto sarà compresa tra 0 e P/s e sanno che ogni possibile
tipo di qualità k ha uguale probabilità
• Il valore atteso di k sarà (P/s+0)/2=P/(2s). I compratori saranno disponibili a pagare b*P/(2s). Le
transazioni potranno avvenire solo se I compratori saranno disposti a pagare un ammontare
superiore a P:
• b*P/(2s)>P, ovvero, b>2s
Perché questo mercato possa esistere la disponibilità a pagare dei compratori deve essere + che
doppia rispetto alla disponibilità a vendere. La distribuzione di probabilità della qualità dell’auto
identifica il rapporto di equilibrio tra b e s. Con avversione al rischio dei compratori I requisiti
diventano + stringenti!

2. Azzardo morale
Se invece la differenza fra gli insiemi informativi insorge dopo che il contratto è stato siglato, ci si
trova di fronte a situazioni di azzardo morale o rischio morale, in inglese moral hazard (la traduzione
italiana più appropriata, probabilmente, è quella di comportamento sleale), espressione con cui si fa
riferimento a situazioni in cui un soggetto cambia i propri comportamenti dopo avere siglato un
contratto:
- casi di azioni nascoste (hidden action)
- casi di informazione nascosta (hidden information).

Per limitare l’inefficienza comportata dal fallimento del mercato legato al moral hazard, è possibile
individuare schemi di contratto appositi che inducano l’agente a comportarsi in modo non
opportunistico (per esempio, la franchigia nel contratto di assicurazione o una compartecipazione
agli utili d’impresa nel caso del lavoratore. Il sistema delle franchigie permette di abbassare i costi
delle assicurazioni, ma aumenta endogenamente i rischi).
I contratti di debito contribuiscono a risolvere un problema di azzardo morale
I problemi in questo caso dipendono da:
1. Separazione tra proprietà (degli azionisti) e gestione (dei manager)
2. Problema Principale (azionista) – agente (manager). I Manager
agiscono nel proprio interesse e non in quello degli azionisti.

Es: Supponete di finanziare il 90% di una gelateria come comproprietari


($9,000). L’altro proprietario fornisce i restanti $1,000 e lavorerà come
manager. Il pieno impegno del manager produrrà per ipotesi $50,000
di profitti, di cui vi toccheranno pro-quota $45,000.
Voi non potete controllare fisicamente il lavoro del manager. Il manager invece di lavorare duramente
potrebbe prendersela comoda, dimezzando i profitti. Se il minor sforzo vale per il manager + dei
$2500 persi, siete nei guai! Voi (fornitori di capitali) perderete 22500$, senza nessuna
compensazione per la perdita di profitti. La differenza è che il manager guadagna meno ma lavora
anche meno.

Come incentivare il manager? Strumenti per ridurre il problema Principale- Agente:


Contratto di debito invece di comproprietà: il manager si appropria di tutto ciò che eccede il servizio
del debito: incentivo a lavorare sodo.
Regolazione del governo per far accrescere l’informazione.
Problemi di azzardo morale in caso di contratti di debito:
• Il contratto di debito può indurre il debitore a trascurare il rischio dei progetti.
• È utile che il manager imprenditore impegni risorse proprie per limitare il rischio di fallimento
• È utile istituire (politica economica) costi di fallimento

Il problema Principale-agente nelle banche richiede


regolamentazione finanziaria
Il mercato propone una soluzione, ma è subottimale.
Allora si potrebbero istituire dei costi di bancarotta (come nel
medioevo) dove si può finire anche in prigione per debiti. Negli
USA è più facile ottenere credito, perché il meccanismo
consente di diversificare il rischio. Le società finanziarie
possono diversificare investendolo su molti piccoli imprenditori,
così però sono esposte a più rischi, infatti è più probabile avere
crisi finanziarie in
USA. Questa tradizione è possibile anche perché c’è una
maggiore ‘cultura finanziaria’. Assicurazione sanitaria privata
• Il premio si paga in cambio dell’assicurazione contro eventi sanitari avversi
• L’assicurazione viene pagata se il Valore Atteso della compensazione non è inferiore al premio.
Avversione al rischio:
Consideriamo un individuo, Se non si ammala ha un reddito di 50000, se si ammala ha un reddito di
20000. Il reddito atteso è uguale a (20000x prob di ammalarsi)+ (50000x prob di non ammalarsi)=
47000
L’utilità è il logaritmo del reddito e da luogo a una f concava.
U se si ammala = A
U se non si ammala= B
Se l’individuo non si ammala la sua U è =C (compreso tra A e B).
Se invece l’individuo non è soggetto a rischi, e ha un reddito di 47000, con questa f di utilità , la sua
utilità d sarebbe in D, maggiore di C.
In questo caso l’assicurazione consente di aumentare il benessere, purché il premio non sia troppo
alto.

Perché l’intervento del governo?


• Informazione asimmetrica: gli individui (ma non gli assicuratori) conoscono la propria salute)
• Si determina un problema di selezione avversa: solo gli individui “molto” malati si assicurano
(Mercato dei bidoni!)
• Il mercato assicurativo viene regolato
• Dall’altro lato, se viene data agli assicuratori la possibilità di indagare la salute dei clienti, potrebbe
succedere che assicurino solo gli individui sani.

Le soluzioni di politica economica ai fallimenti del mercato dovuti ad asimmetria informativa


L’intervento pubblico deve avere come finalità ultima quella di rendere l’informazione un bene
pubblico, ossia fare in modo che ogni elemento informativo sia non-rivale e non-escludibile. I limiti:
l’informazione è un bene costoso da produrre, se si rende l’informazione un bene pubblico, non la
produce più nessuno.
- certificazioni obbligatorie, che possono riguardare le competenze personali e professionali degli
agenti (per esempio, per l’esercizio di determinate professioni) oppure la qualità dei prodotti
venduti (certificazioni di prodotto) o, ancora, l’organizzazione del processo produttivo
(certificazione del sistema di qualità);
- standard qualitativi minimi da rispettare;
- obbligo a rendere pubbliche specifiche informazioni (per esempio, la composizione degli
ingredienti negli alimenti venduti);
- adozione obbligatoria, in alcuni casi, di forme assicurative

Parte 3

Cap 12 la distribuzione del reddito


Questo capitolo tratta temi tra cui:
- Come il reddito si distribuisce all’interno di un sistema economico.
- Qual è la relazione fra la distribuzione del reddito e il benessere di una comunità.
Esistono diverse prospettive sotto le quali valutare la distribuzione del reddito.
- Distribuzione personale del reddito
- Distribuzione funzionale del reddito: la quota del reddito che viene prodotta che viene appropriata
da chi presta lavoro e quella appropriata da chi presta capitale
- Analisi sociale: analizzando le soglie della povertà (arbitrarie)
- Distribuzione del reddito geografica (o spaziale)
- Distribuzione del reddito settoriale
La diseguaglianza può pregiudicare la crescita di un sistema economico. Noi dobbiamo preoccuparci
se un individuo con molte potenzialità e abilità non può svilupparle per ragioni economiche, o perché
non ha accesso all’istruzione. Queste ‘barriere all’entrata’ fungono da limiti all’economia. Fino a che
punto dobbiamo occuparci della disuguaglianza? Noi viviamo in una fase storica in cui c’è una
crescente preoccupazione per livellare le disuguaglianze. Per alcuni studiosi la disuguaglianza non
è considerata come elemento da eliminare, l’importante è che ci sia la condizione di mobilità sociale
sufficiente a permettere a chi se lo merita di emergere.

La distribuzione personale del reddito: misure dell’equità distributiva


Due problemi preliminari:
1. Quale variabile? (Reddito / Consumo / Ricchezza ...)
2. Quale unità? (Persona / Famiglia)
Soluzione adottata: l’individuo, tenendo in considerazione i possibili diversi contesti familiari in cui è
inserito. Si distingue tra adulti e non adulti. Si usano le Scale di equivalenza (Reddito pro-capite per
adulto – equivalente)
• Secondo la scala composta dall’OCSE, ogni adulto aggiuntivo in una famiglia è equivalente a 0,7
adulti, e ogni minorenne aggiuntivo è pari a 0,5 adulti; un nucleo familiare composto da più individui
ripartisce i costi fissi più di quanto può fare un nucleo composto da una sola persona. Pertanto, in
questa scala, una famiglia composta da due adulti e due bambini corrisponderebbe ad un famiglia
che, pur essendo di quattro persone, è composta da 2,7 (=1+0,7+0,5+0,5) adultiequivalenti.

Misure statistiche della dispersione


• Gli indicatori di dispersione, o variazione, esprimono quanto una distribuzione è dispersa intorno
alla sua media.
• Tra essi figurano, ad esempio, la
varianza (var), lo scarto quadratico
medio (sqm), e lo scostamento
medio assoluto dalla media (smam).
• Un altro indicatore di dispersione
ampiamente utilizzato è il “rapporto
percentilico” = si prendono i
percettori di reddito, supponiamo che
la scala vada da 0 a 100, e usiamo dei decili, cioè dividiamo i
precettori di reddito in gruppi, ognuno
dei quali contiene 10% della scala. Una misura della
diseguaglianza può essere il rapporto tra il reddito medio nel
decile più alto e quello medio del decile più basso.
• Dalla tabella vediamo che la
dispersione è al minimo nei paesi
scandinavi e al massimo negli USA.
Misure statistiche della concentrazione
• Gli indicatori di concentrazione
forniscono una misura di quanta parte di un carattere misurabile sia
posseduto da una data frazione della popolazione: sono indicatori
che tengono conto di tutta la distribuzione:
- Curva di Lorenz: si considera il gruppo di soggetti da esaminare,
ordinati in modo crescente rispetto al reddito personale, calcolare le
distribuzioni cumulate del reddito ottenendo così una curva che, in
caso di distribuzione egualitaria, coincide con la bisettrice che taglia in due parti uguali il I°
quadrante e avente angolo di 45°. Ovviamente, quanto più la curva di Lorenz si allontana dalla
bisettrice, tanto meno equamente il reddito è distribuito);
- Indice di Gini: è un indicatore statistico di concentrazione che varia per costruzione tra 0 (minima
concentrazione) e 1 (massima concentrazione) ed è usato per misurare l'iniquità distributiva,
tipicamente del reddito della ricchezza; A valori via via più elevati corrispondono situazioni
caratterizzate da una maggiore concentrazione (e quindi da una minore equità distributiva).
L’indice di Gini definisce il rapporto che sta tra l’area A e l’area A + B, tanto è maggiore il rapporto
tanto è maggiore la diseguaglianza. I paesi in via di sviluppo (es India) hanno indice di Gini
maggiore dei paesi sviluppati.

Sull’asse delle ascisse indico l’accumulo della popolazione, a 0 non consideri nessuno, a 10
considero il 10% più povero della pop, a 90 considero il 90% più povero della pop. ‘Più povero’
significa che ordino le persone per la crescente ricchezza.
Sulle ordinate ho la quota del totale dei redditi di un paese, di cui si appropria la percentuale più
povera della pop. (Guardare la curva rossa, il 50% della pop di appropria del 10% circa della
ricchezza).
La linea verde è la bisettrice, è una misura di quello che succede alla
percentuale della popolazione quando non c’è dispersione dei redditi (cioè se tutti guadagnassero
allo stesso modo).
Quanto più la linea rossa di allontana dalla verde, tanto maggiore è la diseguaglianza. Esse si
intersecano a 0 e a 100 per definizione.

La distribuzione funzionale del reddito


si concentra su come il reddito si distribuisce fra i fattori produttivi che hanno concorso a produrlo
(capitale, lavoro).
Conoscere gli andamenti degli indicatori di distribuzione del reddito è importante, perché questi
indicatori sono legati alle performance economiche complessive
Detta αL la quota del reddito che va a remunerare il fattore lavoro (o, per brevità, quota distributiva
del fattore lavoro), essa è:

W è il salario (nominale) medio delle unità di lavoro


N è il numero complessivo di unità di lavoro -> (sicchè WN è il monte delle remunerazioni del fattore
lavoro, in termini nominali)
P è il livello generale dei prezzi -> y indica la produzione reale (sicché Py è il PIL in termini nominali)

La quota dei redditi da lavoro è scesa nei paesi occidentali a seguito degli anni 70. Ci si chiede il
motivo, in parte perché sono aumentati i redditi da lavoro autonomo, che sono difficili da distinguere
dal capitale, ma non è l’unico motivo. (Analisi con Cobb-Douglas, i mark-up sono aumentati).

Il legame tra distribuzione personale del reddito e distribuzione funzionale del reddito
Non deve sfuggire che l’andamento della distribuzione personale dei redditi è legata all’andamento
della distribuzione funzionale del reddito. Infatti, dato che il ventaglio delle retribuzioni del lavoro è
più ristretto del ventaglio delle remunerazioni del capitale, nei periodi in cui il lavoro acquisisce quote
distributive maggiori, la distribuzione personale del reddito diventa più equa, mentre nei periodi in
cui aumenta la quota distributiva del capitale e si restringe quella del lavoro, aumenta la iniquità nella
distribuzione personale dei redditi.

Si nota la differenza tra gli indici che considerano i redditi da capitale e i redditi da
lavoro.

Approfondimento USA: il top 1% della popolazione nel 2015 ha la stessa quota di


reddito che aveva nel 1915 (belle epoque), si è tornati a una situazione di alta
disuguaglianza. Si è verificata una polarizzazione importante delle ricchezze, il top
59% ha ridotto molto la quota di ricchezza posseduta, me tra il top 1% l’ha
aumentata (quasi raddoppiata ) dagli anni 80 a oggi.

Approfondimento Italia: c’è una tendenza di aumenti della diseguaglianza (aumenta indice di gini)
venendo verso tempi odierni. La polarizzazione diventa ancora maggiore se si considerano guadagni
annuali, anziché quelli settimanali. Questa differenza spiega perché la discontinuità aumenta le
differenze di reddito.
I working poors sono coloro che hanno un salario inferiore al 60 % della mediana, tra i lavoratori a
tempo pieno sono tra 6-8%, e la tendenza all’aumento è limitata. Invece tra i lavoratori discontinui la
disuguaglianza aumenta moltissimo (16%). La dispersione da redditi da lavoro è generata da lavori
precari.
Negli anni 70 la percentuale dei working rich è aumentata moltissimo, poi si è stagionata.
Uno dei motivi della polarizzazione del mercato del lavoro è il progresso tecnico, che aumenta la
produttività dei lavoratori che hanno maggiore livello di educazione rispetto agli altri.
L’Italia ha un ruolo forte di riduzione della diseguaglianza grazie ai trasferimenti pensionistici, mentre
gli altri trasferimenti sociali hanno un impatto limitato sulla riduzione della diseguaglianza. In
Danimarca per esempio il sistema pensionistico e i trasferimenti sociali limitano moltissimo la
diseguaglianza.

La curva di Kuznets, è un economista che ha studiato la relazione tra diseguaglianza e reddito.


Paesi con reddito medio molto basso mostrano indici di disuguaglianza bassi;
• mano a mano che si considerano Paesi con reddito medio più elevato, aumenta anche l’indicatore
di disuguaglianza;
• arrivati a un certo punto, però, il segno della relazione si capovolge, e considerando i successivi
Paesi, via via più ricchi, a redditi medi via via
crescenti corrispondono indicatori di disuguaglianza via via minore.
Questa evidenza è riferita alla variazione fra Paesi dei redditi e della disuguaglianza distributiva. Tale
evidenza essa può essere estesa alla variazione nel tempo di queste due grandezze: l’aumento dei
livelli del reddito (cioè la crescita economica) dapprima comporta un’aumento delle disuguaglianza,
ma oltre un certo livello di reddito, un’ulteriore crescita economica comporta una riduzione delle
disuguaglianze.
Il nesso inverso-> l’effetto della diseguaglianza sulla performance di crescita è stato indagato
assai più di recente.
• A parità di altre cose, si trova una correlazione negativa e significativa tra la diseguaglianza e la
successiva performance di crescita: ad esempio, l’indice di Gini in un anno di partenza, il 1960,
risulta negativamente correlato col successivo tasso di crescita del PIL pro-capite, ad esempio nel
trentennio 1960-90
• In questo senso, un’alta iniquità distributiva sembra avere un impatto negativo sulla successiva
performance di crescita di un Paese.
Concetti e indicatori di povertà
La povertà è una condizione di una fascia (più o meno ampia) di popolazione che vive in
condizioni particolarmente disagiate. Esistono due differenti accezioni di povertà:
- POVERTÀ ASSOLUTA (secondo le convenzioni internazionali, si intende "povero in senso
assoluto" colui il quale può contare su un reddito giornaliero non superiore a 1 dollaro - valore del
1991)
- POVERTÀ RELATIVA: La condizione di povero dipende non soltanto dal reddito individuale, ma
dal contesto nel quale il reddito è percepito.
• Per prima cosa, pertanto, è doveroso riferirsi al reddito individuale equivalente (corretto, cioè,
per mezzo di una scala equivalente).
• Inoltre, il reddito va confrontato con quello della comunità cui la famiglia appartiene.
• Si definisce pertanto "povero in senso relativo" quell’individuo il cui reddito equivalente è
inferiore rispetto al 50% del reddito individuale medio (oppure, in alternativa, quello mediano)
della comunità di riferimento.
• Pertanto, la linea della povertà relativa non corrisponde ad un valore costante (né nel tempo
né nello spazio), ma varia da contesto a contesto.

Il legame teorico fra distribuzione del reddito e benessere sociale


A parità di reddito medio, come varia il benessere sociale al variare del modo in cui il reddito è
distribuito tra i diversi individui?

Teorema di Atkinson (1970)


Se ogni individuo ha funzione di utilità crescente e concava nel livello del proprio reddito e se
l'ammontare di reddito complessivamente disponibile in una comunità non dipende dal modo in cui
è distribuito, allora una distribuzione più equa del reddito è associata ad un più elevato livello di
benessere sociale.
Perché è discutibile che l’ammontare complessivo di reddito distribuito sia indipendente da come è
distribuito?
• Primo, la redistribuzione è costosa: nel momento in cui si opera un trasferimento di reddito, non è
detto che tutto il reddito sottratto a chi è più ricco effettivamente giunga a chi è più povero
("metafora del secchio bucato", suggerita da Okun)
• Secondo, le politiche di ridistribuzione vanno a colpire chi ha maggiore reddito e pertanto
disincentivano la produzione del reddito proprio da parte di chi ha maggiore capacità nel generarlo.
• In sostanza, vi è conflitto tra gli studiosi, circa la plausibilità delle ipotesi su cui il teorema di Atkinson
si basa, e quindi non vi può essere neppure unanimità sulla relazione che sussiste tra distribuzione
personale del reddito e benessere sociale.

Le politiche economiche di redistribuzione


Quando si utilizza il termine “politiche di redistribuzione del reddito” si fa riferimento alle politiche che
hanno come primario ed esplicito obiettivo la redistribuzione personale del reddito (o dei consumi),
fra i soggetti di una comunità.
Le politiche di redistribuzione del reddito sono praticabili
- In modo diretto: procedendo a espliciti trasferimenti di reddito fra individui diversi
- in modo indiretto: fornendo beni e servizi a individui diversi che pagheranno prezzi diversi per il
consumo di questi beni.

Disegno progressivo dell’imposizione fiscale


Un’imposizione fiscale progressiva se l’aliquota media di imposizione (cioè la percentuale di reddito
che deve essere versato in imposte) è crescente nel livello di reddito; cioè, a redditi via via crescenti
corrispondono percentuali di imposte da pagare via via maggiori.
Esistono alcuni modi per misurare il grado di progressività di un sistema fiscale. Le misure possono
essere di tipo “locale” (quando si valuta la progressività in corrispondenza di uno specifico valore del
reddito) oppure “globale” (quando si valuta la progressività in riferimento all’intero disegno delle
aliquote fiscali).
Passando a valutare la progressività del sistema fiscale nella sua globalità, il modo più ovvio di
ottenere indicazioni è quello di paragonare le distribuzioni del reddito lordo e di quello netto; quanto
più progressivo è il sistema fiscale, tanto maggiore sarà il guadagno di equità distributiva, ottenuto
passando dai redditi lordi a quelli netti.
Imposizione fiscale proporzionale, l’aliquota di imposizione è la stessa per tutti gli individui e non
dipende dal livello del reddito individuale;
Imposizione fiscale regressiva, l’aliquota di imposta decresce all’aumentare del reddito. Tipico
esempio è l’imposta a somma fissa.

Welfare state (cap 13)


Insieme di interventi che forniscono assicurazioni contro i rischi alle
persone, e al tempo stesso ridistribuiscono i redditi.
Lo stato sociale è l’insieme degli istituti messi in atto dallo stato, allorché
interviene in economia, per promuovere la qualità della vita dei cittadini,
in particolare per combattere le povertà dovute a
cause generali o specifiche (malattie invalidità, vecchiaia, disoccupazione
ecc..)
In prospettiva storica, Paper di Saez
• La dimensione del governo (percentuale di risorse intermediate) è <10%
GDP e finanzia I beni pubblici “Regalian” (Difesa, Giustizia, amm.
pubblica), non lo stato sociale
• Il supporto ai bisognosi ricade su famiglia e istituzioni religiose (‘la
fertilità è un’assicurazione contro i rischi’, è importante per la vivacità di
un paese). Nei paesi sviluppati, con lo stato sociale il supporto delle
istituzioni religiose perde di importanza.
• Nel 20° secolo abbiamo educazione di massa, sistemi pensionistici,
sanità pubblica, sostegno ai redditi, l’intervento pubblico copre < 30%
del pil, nei paesi scandinavi ancora di più.
Se le persone si sentono protette da un’assicurazione contro i rischi, allora sono più portate a fare
investimenti rischiosi

Il grafico mostra la crescita dello stato sociale , in media, nelle diverse aree di Intervento (salute,
istruzione, pensioni, trasferimenti ecc) e per area geografica.

Questa visione si scontra con la teoria economica standard: Lo stato sociale vs la teoria economica
standard
Teoria standard: lo stato sociale è assente e gli individui razionali badano a se stessi utilizzando i
mercati
• Genitori o giovani si indebitano per pagare la propria educazione
• I lavoratori risparmiano per la pensione. Il lavoro non è una merce, ma un asset, inoltre sostituire
un lavoratore è costoso. Ciò genera delle rendite potenziali, infatti lo schema per definire i salari è
di contrattazione, in cui conta il ‘potere delle parti’.
• I mercati offrono assicurazioni sanitarie private
• Gli individui possono indebitarsi in caso di shock avversi al reddito
La pensione non è solo il rendimento del capitale che l’individuo ha
investito, c’è una componente stocastica, perché le persone che vanno in pensione non sanno
quanto vivranno. Perché ogni lavoratore non si mette via da solo le risorse da utilizzare in vecchiaia?
Perché sono i lavoratori di oggi a pagare i pensionati? Perché una casa la paghiamo da soli ma la
pensione no?

EDUCAZIONE
L’educazione è cruciale per la crescita di lungo periodo, con importanti esternalità (se ne parlerà
ancora).
L’educazione di massa (primaria e secondaria) è sempre finanziata dallo stato. A tutti si assicura
educazione di base. L’educazione superiore attraverso università pubbliche è un motore cruciale di
mobilità sociale
Si riconosce la dimensione sociale (non individuale) delle scelte formative
Fallimenti delle privatizzazioni: il debito studentesco diventa facilmente insostenibile;
comportamento predatorio istituzioni scolastiche.

CURE MEDICHE
• Tutti I paesi avanzati, salvo USA, forniscono assicurazione sanitaria universale (in realtà solo
alcuni servizi sono universali, es fisioterapia no). Ciò è associato a un costo della sanità più alto
negli Stati Uniti che in Europa. C’è una ‘trappola’ dello status
quo, è difficile trovare consenso per un sistema che è
globalmente più efficiente - una grande parte degli elettori
che vota (ricchi) non vede benefici legati a un passaggio a
un sistema universale (non siamo abbastanza altruisti)
• I costi della sanità sono finanziati primariamente attraverso
la tassazione (altrimenti le cure sarebbero inaccessibili ai
poveri, limitazione dovuta a costi fissi assicurazioni
mediche)

SUPPORTO AL REDDITO
• Programmi a favore di gruppi specifici (disoccupati, DSA,
Poveri anziani, bimbi poveri)
• Tipicamente sostegno all’abitazione e all’alimentazione
• Programmi di formazione al lavoro e inserimento sociale
SISTEMI PENSIONISTICI
• Gli anziani perdono abilità e quindi redditi da lavoro.
• Gli individui, soprattutto se poveri, non riescono a risparmiare adeguatamente; ciò giustifica un
intervento statale per garantire livelli minimi di sussistenza agli ex lavoratori .
• Si istituiscono schemi obbligatori di risparmio finanziati attraverso contributi sociali, imposte e
risparmi individuali obbligatori.
• Ampia redistribuzione dei redditi tra generazioni
Negli usa hanno cominciato a introdurre il sistema pensionistico pagando i veterani della guerra su
secessione, perché spesso erano diventati inabili al lavoro. Anche in Francia c’è la tendenza a ridurre
la quantità di occupati di età >65 anni.
Negli usa questa tendenza si ferma a partire dagli anni 80, questo dipende dal cambiamento del tipo
di lavoro (meno sforzo fisico e più capitale umano). Anche oggi l’età pensionabile si sta alzando.
La Francia occupa in spesa sociale una percentuale alta del pil rispetto ad altri paesi.
L’Italia , salvo
le pensioni,
investe poco
per abbattere
la povertà.
Composizione della spesa sociale in Italia:
- 50%: vecchiaia , 216 miliardi a carattere
previdenziale, 7mil a caratt assistenziale.
- 20% sanità: 105 mil (= 9 per acquisti di
farmaci, 65 per sanità pubblica e 31 per
assistenza di operatori privati) -
7 % per famiglia, 24 miliardi
- 5% disoccupazione 19 miliardi per Naspi
- 2% esclusione sociale, 3 miliardi per spesa
dei comuni, social card, residenze popolari ecc

Spendiamo tanto in pensioni, ma pochissimo in lotta alla povertà , il


fenomeno di rischio di povertà o esclusione sociale coinvolge anche gli occupati. Ci sono più poveri
fra i giovani e bambini, piuttosto che tra gli anziani . Rispetto alla povertà assoluta, calcolata da
ISTAT , in Italia ci sono 6 milioni di persone che rientrano in questa categoria.
Il tradizionale intervento in Italia: il trasferimento pubblico è rivolto alle famiglie in povertà, è di tipo
monetario e condizionato- garantisce un adeguato standard di vita.
I difetti di questi sistema sono gli elevati costi amministrativi, e possono portare alla trappola della
povertà.
La soglia di povertà è un valore che cambia in base al paese , in Italia è di 9700€ circa, è maggiore
in Lussemburgo , minore in Romania e Repubblica Ceca.

Secondo il primo ideatore del BASIC INCOME , Philip Van Parijs


- l’importo del B.I. deve essere calibrato in modo da non produrre distorsioni nei processi di
mercato
- Deve comportare una globale ristrutturazione di tutte le prestazioni sociali, compresa una drastica
riduzione delle altre forme di sostegno al reddito, come le pensioni
- Il suo valore deve comprendere anche le prestazioni in natura e di servizio (per esempio il
valore delle politiche attive per partecipante)

L’impatto sulla partecipazione al mercato del lavoro: in un’economia in cui il tasso di partecipazione
è basso, significa che molte persone non lavorano (in Italia è 65% , molto basso - il 35% non
partecipa ) quindi possono percepire un reddito di basic income , e c’è il rischio che la percentuale
della popolazione attiva diminuisca ancora di più, incentivata da questo reddito (come reddito di
cittadinanza). Il solo modo per evitare l’effetto depressivo su questo tasso di partecipazione è
esplicare un’effettiva condizionalità del sostegno al reddito.
Ma la condizionalità effettiva del sostegno del reddito implica la disponibilità di un know-how
semplificato e di una rete capillare di servizi efficienti .

SVEZIA: Ekonomiskt bistand


Nessuna condizione legata all’età, alla nazionalità o residenza
Controllo su condizione di bisogno economico. La misura ha una durata illimitata, a 21 anni si diventa
nucleo familiare ma viene fatto un controllo periodico (6-9 mesi) sul reddito.

FRANCIA: ‘reddito di solidarietà attiva’ RSA


Il reddito fornito raddoppia se il richiedente è un nucleo familiare con due figli, piuttosto che se è da
solo. Grava sul 0,4% del pil. Ci sono più di 2 milioni di beneficiari.
Il RSA fornisce un sostegno economico variabile a seconda della composizione del nucleo familiare!
Se il beneficiario percepisce redditi da lavoro inferiori alla soglia minima (€ 17.500 single, € 35.000
coppia con 2 figli), l’RSA colma la differenza fra essa il reddito del lavoratore

SPAGNA – Renta minima


Forte differenza tra le 19 Comunità Autonome
• Età superiore ai 25 anni, ma anticipabile ai 18 se vi sono minori o disabili
• Abile al lavoro e in stato di bisogno
• Residenza in Spagna da almeno 1-3 anni (a Murcia da 5)
• Nessun controllo sul reddito patrimoniale
• La misura dura in media 12 mesi. In alcune Comunità è prorogabile per un massimo di 1-2 anni.
Nelle Comunità di Asturias e Madrid non è prevista alcuna durata.
• Il beneficiario non ha alcun vero e proprio obbligo nel cercare un lavoro o attivarsi in qualche modo.
Non è quindi previsto alcun sistema sanzionatorio

Tratti comuni del Reddito Minimo


• Essere in stato di bisogno economico
• Essere disponibili al lavoro
• Residenza stabile nel Paese
• Durata limitata della misura, ma potenzialmente può essere rinnovata all’infinito
• Il beneficiario percependo la misura si assume l’impegno/dovere di attivarsi lavorativamente, pena
sanzione

Storia del Reddito Minimo in Italia:


1. Nel 1997 la Commissione Onofri evidenzia la necessita di rivedere le politiche per l’assistenza
sociale e chiede un Reddito Minimo di Inserimento (RMI) nazionale. RMI = soglia – reddito della
famiglia. La sperimentazione del RMI dura dal 1998 al 2002. Prevede l’obbligo di partecipare a
progetti di reinserimento sociale e attivazione. Problemi: Capacità amministrativa, Eccessivo divario
Nord-Sud
2. Sostegno per l’Inclusione Attiva (SIA)
• Attivo dal 2 settembre 2016 al 30 novembre 2017
• Residenza in Italia da almeno 2 anni
• Solo per famiglie con almeno un figlio minore o disabile, o donne in gravidanza
• ISEE inferiore o uguale a 3000 euro
• Non si può beneficiare anche di Naspi/Asdi o ricevere trasferimenti mensili per più di 600 euro
• No auto negli ultimi 12 mesi o di cilindrata superiore a 1300cc
• Valutazione multidimensionale del bisogno (punteggio≥45)
• Importo mensile =80 euro * N. componenti (MAX 400 euro)
• Progetto personalizzato per reinserimento lavorativo e sociale
• Le Regioni potevano integrare il Fondo, aumentando il beneficio e/o estendendo la platea
• Stima governo su potenziali beneficiari: circa 200mila famiglie, 400-500mila minori
I problemi del SIA: era una misura categoriale, non Un vero e proprio reddito minimo (manca
universalismo).
‘Guerra ai poveri’: la soglia ISEE unica a livello nazionale ha sfavorito i poveri del centro-nord
(69% dei beneficiari al sud e isole) e i poveri italiani rispetto a quelli stranieri.
Fare riferimento a ISEE può aver favorito l’evasione fiscale e il lavoro nero.
Poche persone hanno fatto domanda è pochissimi sono stati i nuclei accolti (120 mila in tutta Italia),
per troppi requisiti e troppo stringenti, importo troppo basso.

3. Reddito di inclusione (REI)


• Residenza in Italia da almeno 2 anni
• ISEE < 6.000 euro, ma ISRE < 3.000 euro
• Patrimonio immobiliare (diverso da casa abitativa) < 20.000 euro e patrimonio mobiliare <
10.000 euro (6.000 euro se si vive da soli)
• Non si può beneficiare anche di Naspi/Asdi
• No auto negli ultimi 24 mesi né navi o imbarcazioni di diporto
• Dura 18 mesi più ulteriori 12 mesi dopo una pausa di almeno 6 mesi

Punti critici REI:


• Le risorse dedicate al REI insufficienti, non permettono di coprire tutti i poveri assoluti (46%), in
particolare i nuclei senza minori (41%)
• Garantiti 3,2 miliardi a regime, ma ne servirebbero altri 7,5 miliardi, inclusa la rete dei servizi, per
«abolire» la povertà assoluta
• La soglia è piuttosto bassa, quindi non è atteso un effetto sulla incidenza della povertà, ma
sull’intensità della povertà (problema diffuso in EU)
• Evasione di reddito o patrimonio? Trappola della povertà?
• Riordino dei micro-interventi fondamentale ma difficile da attuare
• Perplessità su progetto di attivazione multidimensionale, sebbene spesso i problemi dei poveri
sono «semplici» (mancanza di lavoro)
• Coordinamento tra tanti attori (servizi sociali, centri per l’impiego, terzo settore)

4. REDDITO DI CITTADINANZA: rivolto a nuclei familiari in difficoltà, è composto da due parti


A. Economica: integrazione al reddito + contributo per affitto o mutuo
B. Lavorativa/sociale: progetto di accompagnamento al reinserimento lavorativo e/o sociale Importo
Il beneficio complessivo compreso tra 480 € l’anno e i 9360 €. Se la famiglia sta pagando una
locazione contributo è pari a 200, se invece a contratto un mutuo per l’abitazione in cui vive, il
contributo può arrivare ad un massimo di 150 € al mese.
Il contributo massimo possibile e quindi 780 € mensili, ed è percepibile da chi non ha alcun reddito.
L’esistenza di altri redditi, compresi alcuni contributi assistenziali pubblici, ad esclusione di alcune
prestazioni come l’assegno sostegno alla natalità, riduce l’ammontare del reddito di cittadinanza.
I 780 € mensili sono anche la soglia di povertà definita da Eurostat. La misura, nel caso in cui si
riflette la caratteristica di multidimensionalità della povertà, sia sulla situazione economica che di
esclusione sociale e di disabilità , Di deprivazione abitative sociosanitaria ed educativa, viene
integrata con misure agevolative per i trasporti, il sostegno alla casa, alla salute e all’istruzione., A
chi verrà a permesso di beneficiare del reddito di cittadinanza saranno riconosciute anche le
agevolazioni per le famiglie in difficoltà sulla fornitura di energia elettrica e gas naturale.
Il reddito si compone di due elementi:
- 6000 € annui ad integrazione del reddito familiare moltiplicato per il parametro della scala di
equivalenza
- 3360 € ad integrazione del reddito dei nuclei familiari residenti in abitazione con contratto di
locazione, nel caso di muto l’integrazione è fino a un massimo di 1800 euro annuo.
L'ammontare dell'importo (esente Irpef) dipende dalle dimensioni e dalla composizione della famiglia
(scala di equivalenza) il cui parametro è pari ad 1 per il primo componente, e per ogni ulteriore
componente di minor età fino ad un massimo di 2,1, e nel caso in cui nei nuclei familiari siano presenti
persone con disabilità grave o non autosufficienti fino ad un massimo di 2,2 (ciò comporta un
aumento previsto di 6000 euro annui).
La riduzione del parametro della scala di equivalenza si applica nei casi in cui faccia parte del nucleo
familiare un componente sottoposto a misura cautelare o condannato.
La scala di equivalenza non tiene conto dei soggetti che si trovano in stato detentivo, sono ricoverati
in istituti di cura o di lunga degenza o in altre strutture residenziali a carico dello Stato o nuclei
familiari con componenti disoccupati per dimissioni volontarie.
- Decorre dal mese successivo a quello di richiesta
- Il riconoscimento da parte dell'INPS avviene entro la fine del mese successivo alla presentazione
della domanda
- Il reddito di cittadinanza si chiede dopo il quinto giorno di ciascun mese
- Viene concesso per 18 mesi
- È rinnovabile per altri 18 mesi con una sospensione di un mese

Condizionalità:
La complessa architettura del reddito di cittadinanza, oltre alle misure di contrasto alla povertà, alla
disuguaglianza e all'inclusione sociale, prevede una serie di interventi di politiche attive per il lavoro.
L'obiettivo è quello di creare le condizioni che permettano l'attivazione del beneficiario, ovvero dei
componenti il nucleo famigliare, accompagnandoli in un percorso che porti all'inserimento o al
reinserimento lavorativo. In questa logica la fruizione del beneficiario è subordinata a misure di
condizionalità, a partire dalla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro (Did), colloqui di
orientamento, partecipazione a corsi di formazione, svolgimento di attività utili alla comunità, fino alla
accettazione di una offerta di lavoro "congrua".

Obblighi:
1. Patto per il lavoro: famiglie attivabili con percorsi lavorativi sono inviate ai centri per l'impiego per
la presa in carico
2. Patto per l'inclusione sociale: famiglie che presentano la multidimensionalità del bisogno legati
alla condizione di povertà economica e sociale sono indirizzate ai Comuni per la presa in carico
dei servizi sociali.
Il beneficiario è tenuto ad offrire sia nel patto per lavoro che nel patto per l'inclusione sociale, la
partecipazione a progetti utili alla collettività previste nell'ambito di progetti a titolarità dei Comuni di
residenza (gli ambiti sono i più disparati: culturale, artistico, sociale, ambientale) in misura non
inferiore ad otto ore e non superiore a 16.
Le famiglie che percepiscono direttamente il beneficio e che sono escluse da obblighi sono quelle
composte da persone già occupate, oppure che si trovano in condizioni di inoccupabilità, come i
minorenni, i pensionati che ricevono RdC, i beneficiari della Pensione di cittadinanza, chi ha più di
65 anni, i soggetti disabili o chi frequenta un regolare corso di studi/formazione, o chi nella
famiglia si prende cura di bambini con meno di 3 anni o con disabilità grave.
Obblighi in capo al beneficiario in età lavorativa
- Iscriversi e recarsi almeno due volte al mese presso il centro per l’impiego;
- Disponibilità e ricerca attiva di lavoro, sostenimento del colloquio di orientamento, frequenza a
percorsi di inserimento e formazione, partecipazione a progetti civici a livello comunale; Perdita
del beneficio:
- Violazione degli obblighi assunti;
- Sostenimento di più di tre colloqui di selezione con palese volontà di ottenere esito negativo;
- Rifiuto di più di tre proposte congrue di impiego;
- Recesso senza giusta causa dal contratto di lavoro per due volte nel corso dell’anno solare

Pregi e difetti del RdC:


Obiettivi dichiarati:
• Migliorare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro
• Aumentare l'occupazione
• Contrastare la povertà e le disuguaglianze
• Si prevedeva un positivo rafforzamento dei centri per l’impiego
• Si relegavano ai margini i problemi sociali di responsabilità dei comuni. La povertà tocca, invece,
aspetti familiari, lavorativi, di salute, psicologici, abitativi, di istruzione, cura di bambini e anziani e
altri . La povertà tocca fasce della popolazione addensate in zone specifiche, quindi servono
interventi mirati e organici. Il reddito di cittadinanza ha contribuito ad aumentare e la disorganicità
di questi interventi.

Nel pieno rispetto della normativa,


• il 35 % – viene inviata ai centri per l’impiego, titolari dell’inserimento lavorativo.
• il 41% è indirizzato ai servizi sociali dei comuni, è evidente allora che la maggioranza dei beneficiari
non sono in gradi di lavorare come dipendenti , o almeno non subito.
• il 26 % riceve unicamente il contributo monetario.
• un contributo economico che assicura a oltre 2 milioni di persone una vita decente e un insieme di
servizi, sociali e per l’occupazione, che possono aiutarle – nell’ambito di stringenti vincoli di realtà
– a migliorare la propria esistenza. Il reddito di cittadinanza allora porta il livello degli interventi di
lotta alla povertà a dimensioni comparabili con quelli francesi
• NON è efficace nel favorire incontro tra domanda e offerta nel mercato del lavoro
• La lotta alla povertà richiede interventi ben più ampi del supporto monetario.

Le critiche OCSE
• rischio di abusi nella percezione (falsi divorzi, disincentivo a cercare un lavoro), ma gli abusi ci
sono anche tra gli evasori del fisco e non per questo smettiamo di tassare.
• non adeguato per le famiglie più numerose, che sono più esposte al rischio povertà.
• Da importo del sussidio previsto i criteri di ammissibilità “forti disincentivi per i membri delle famiglie
a basso reddito ad entrare nel mondo del lavoro o ad accrescere il reddito lavorando più ore”.

Le proposte OCSE
• Sussidi ai lavoratori e un reddito minimo garantito a un livello moderato stimolerebbero
l’occupazione e ridurrebbero la povertà
• Abbassare e ridurre progressivamente nel tempo le prestazioni del Reddito di Cittadinanza e
introdurre un sussidio per i lavoratori occupati a basso reddito per incoraggiare i beneficiari a
cercare un impiego nel settore formale. I problemi sono la volontà politica di voler risolvere questi
disagi, e la macchina amministrativa, cioè l’effettiva distribuzione del reddito (in Italia è altamente
inefficiente)
• Migliorare e rafforzare i centri per l’impiego (Navigator?)
• Estensione dei voucher formativi già esistenti ai beneficiari del reddito di cittadinanza
• Cooperazione tra centri per l’impiego e i programmi di assistenza sociale dei comuni
LA SPESA PREVIDENZIALE
Tipi di pensioni:
1. Hanno diritto alla pensione di vecchiaia le persone che hanno cessato l’attività lavorativa per
limiti di età
2. mentre si parla di pensionamento anticipato (fino alla riforma Fornero si parlava di pensioni di
anzianità) per i trattamenti attribuiti a lavoratori che hanno raggiunto un certo numero di anni di
contribuzione.
3. Le pensioni di invalidità sono destinate alle persone che sono state vittima di un incidente per
cui non sono più in grado di svolgere l’attività che assicurava loro un reddito.
4. Le pensioni per i superstiti vanno a coloro che, anche se non hanno svolto un’attività lavorativa,
sono stati legati da vincoli familiari a lavoratori che sono deceduti.
5. Le pensioni sociali sono invece per le persone che sono prive di mezzi di sostentamento,
indipendentemente dal fatto che abbiano lavorato o meno.
Le prime due categorie di pensioni assolvono alla funzione che abbiamo detto previdenziale/
assicurativa (fa parte di un patto tra generazioni, cioè i lavoratori di oggi pagano per i pensionati di
oggi), mentre le altre possono essere considerate forme di intervento assistenziale.

Cenni storici
Le prime prestazioni sociali sono state erogate, in Italia e nel resto dell’Europa, dalle mutue
(=pensioni) create dalle singole categorie di lavoratori.
Con la diffusione dell’industria e con la formazione della classe operaia il sistema previdenziale è
progressivamente diventato obbligatorio e gestito da istituti pubblici.
In ritardo rispetto al resto dell’Europa, le pensioni di invalidità e vecchiaia sono state istituite per la
prima volta nel nostro paese nel 1864, per i soli impiegati dipendenti dello Stato.
Nel 1919 questi istituti sono stati resi obbligatori anche per gli operai dipendenti privati e solo nel
1939 sono state introdotte, a favore di questi stessi lavoratori, le pensioni per i superstiti.
Tra gli anni ’50 e ’60 la previdenza obbligatoria è stata estesa a tutte le categorie di lavoratori
(artigiani, commercianti ecc....) e alla fine degli anni ’70 sono state introdotte le pensioni sociali. La
crescita della spesa sociale che si è registrata fino alla fine degli anni ’70 si spiega con la progressiva
estensione degli interventi.
Mentre le ragioni dei disavanzi crescenti che si sono verificati nel corso degli anni ’80 e ’90 sono da
ricondurre al metodo di finanziamento degli enti previdenziali, all’andamento macroeconomico e
all’evolversi della struttura della popolazione.
Si è così formato un consistente debito previdenziale, ossia è diventata sempre più significativa la
differenza tra il valore attuale delle prestazioni previdenziali che lo Stato si è impegnato a pagare e
il valore attuale dei contributi sociali che verranno versati.
Con il prioritario intento di contenere la spesa, il sistema previdenziale italiano è stato radicalmente
modificato con le riforme Amato (d.lgvo 503/92) e Dini (L. 335/95). Successivi interventi su questa
materia sono stati fatti sotto il primo Governo Prodi (art. 59, L. 449/97) e con il secondo Governo
Berlusconi (L. 243/2004). Nel biennio 2009- 2011 sono stati adottati ulteriori provvedimenti destinati
a contenere la spesa pensionistica nel breve periodo. Infine, una modifica sostanziale della materia
è stata adottata dal primo Governo Monti (articolo 24, legge 214/2011) con la cosiddetta riforma
Fornero.

Classificazione dei sistemi pensionistici:


1. Modalità di finanziamento
• Capitalizzazione: i contributi di ogni persona vengono investiti nel mercato dei capitali e
ripagati al termine del periodo d’assicurazione. Ognuno risparmia per se stesso.
• Ripartizione: le pensioni erogate sono pagate con i contributi di chi è in servizio a
quell’epoca
2. criteri di definizione delle prestazioni
• Contributivi: lega l’ammontare della pensione percepita all’ammontare dei contributi versati
nel tempo. Anche se la maggior parte dei lavoratori di oggi percepiranno la pensione con
questo sistema, la maggior parte dei pensionati percepisce pensioni calcolati sul sistema
retributivo - quindi è molto costoso in questo momento.
• Retributivi: lega la pensione percepita al reddito percepito nella fase finale della carriera .
Era rischioso perché spesso in lavoratori percepivano un aumento di stupendo molto elevato
a fine carriera per percepire una pensione più alta.

Sistemi a capitalizzazione e a ripartizione (pro e contro)


A proposito delle modalità di finanziamento, le entrate degli istituti previdenziali pubblici sono i
contributi versati da lavoratori e datori di lavoro e possono essere impiegati in maniera diversa a
seconda che il sistema di finanziamento sia a ripartizione o a capitalizzazione.
Nei sistemi a ripartizione il gettito contributivo riscosso in ogni periodo è destinato al finanziamento
delle prestazioni erogate in quello stesso periodo, ossia la generazione che lavora paga le pensioni
di coloro che hanno cessato di lavorare. Questo sistema non genera incentivi al risparmio
individuale, ciò può rendere troppo basso il livello di accumulazione della società a livello macro.
Nei sistemi a capitalizzazione i contributi versati dai lavoratori sono investiti nel mercato dei capitali
e, al momento del pensionamento, la pensione è pari ai contributi versati aumentati del tasso di
rendimento ottenuto dal loro impiego.
Adottiamo un modello a generazioni sovrapposte per capire da quali variabili dipendono i due
sistemi. In sostanza, ipotizziamo una società con due sole generazioni: i giovani (Nt+1, occupati al
tempo T+1) e gli anziani (Nt, occupati al tempo t e percepiscono pensione al tempo t+1). Ciascuna
generazione vive due soli periodi (durante il primo lavora, durante il secondo è in pensione). La
popolazione cresce al tasso n.
I giovani percepiscono un salario S e pagano un’aliquota contributiva c.
La produttività del lavoro cresce ad un tasso costante m, che si riflette interamente sui salari.
Il tasso di interesse di mercato è pari a r ed è costante per tutto il periodo.
Il monte salari alla fine del periodo t è pari a: St Nt
Il monte contributivo alla fine del periodo t è pari a: c St Nt

- Con il sistema a ripartizione la pensione pro-capite è la seguente:

La tendenza demografica fa si che gli anziani sono sempre minori dei giovani, così che la spesa
delle pensioni si distribuisca tra più lavoratori.
Il patto tra generazioni permette di beneficiare sia dell’aumento della produttività sia dell’aumento
della popolazione.
- Con il sistema a capitalizzazione invece:

Dal semplice confronto delle equazioni che indicano la pensione pro capite nei due sistemi, si può
notare che, a parità di aliquota contributiva c, i due sistemi si equivalgono soltanto se il tasso di
interesse è pari alla somma del tasso di crescita della produttività e del tasso di crescita degli
occupati, approssimato per eccesso di m · n.
I sistemi pensionistici si possono distinguere anche a seconda del criterio utilizzato per definire
l’ammontare della pensione, che può essere calcolata facendo riferimento, alternativamente,
all’ammontare del salario del lavoratore o ai contributi versati.
- Nel primo caso, si parla di sistema retributivo e il salario considerato per definire la pensione
può essere quello dell’ultimo periodo dell’attività lavorativa o una media di quanto guadagnato
nell’intera vita lavorativa. Indipendentemente dalle modalità di calcolo, l’idea alla base del sistema
retributivo è quella che lo Stato assicuri al pensionato il mantenimento, nel secondo periodo della
sua vita, di uno standard di consumi simile a quello goduto durante il periodo in cui lavorava.
- Nel secondo caso il sistema contributivo e l’intervento pubblico mira a vincolare i singoli a un
risparmio forzoso in vista del periodo di inattività. Il tasso di remunerazione del capitale risparmiato
non è quello di mercato, come accade nei sistemi a capitalizzazione, ma è definito dalla legge a
priori.

In Italia, fino agli inizi degli anni ’90, il sistema previdenziale era a ripartizione di tipo retributivo e
caratterizzato non solo da un imponente debito previdenziale, ma anche da marcate differenziazioni
di trattamento tra categorie di lavoratori (dipendenti e autonomi) e tra settori dell’economia (industria,
agricoltura e servizi). Inoltre, per un lungo periodo di tempo, è stato fatto un uso distorto di alcune
prestazioni: le pensioni di anzianità e quelle di invalidità sono state utilizzate al posto dei sussidi alla
disoccupazione per gestire le fasi negative del ciclo economico e i processi di trasformazione della
produzione (c’era la pratica dei pre-pensionamenti in caso di crisi aziendali).
Dal punto di vista distributivo, l’ammontare della spesa previdenziale è tale per cui gli effetti sulla
distribuzione del reddito sono senza dubbio pari a quelli prodotti con il sistema tributario.
In termini generali, possiamo dire che tutti i sistemi pensionistici pubblici si basano su un qualche
patto tra generazioni e che l’aspetto più delicato delle riforme è proprio il fatto che va ridefinito questo
accordo tra lavoratori e anziani e il ruolo dello Stato come garante di tale patto.

Sistemi a ripartizione: possibili patti tra generazioni


Nei sistemi a ripartizione l’aliquota di equilibrio è quindi la seguente: NtPt = c St+1 · Nt+1
Noi considereremo tre possibili patti tra generazioni con:
• il tasso di sostituzione tra pensione e retribuzione fisso; La
pensione è una percentuale k dell' ultima retribuzione
è l'aliquota di equilibrio
sostituendo P nella condizione di equilibrio, si ottiene

C è una tassa sul salario, quindi il salario netto si riduce e di conseguenza l’offerta di lavoro si riduce.
Oppure devono aumentare i salari lordi, e ciò riduce la domanda di lavoro.

Se n scende, c cresce e l'onere è sopportato dai giovani. Se m cresce, c diminuisce e ne beneficiano


i giovani.
La pensione degli anziani non è influenzata dai mutamenti nelle variabili m ed n.

• il rapporto monte pensioni/monte salari fisso; ricordando la condizione dell'

aliquota di equilibrio: e sostituendo la pensione :


si ottiene che l' aliquota di equilibrio c=k se
n diminuisce scende se
m sale, salgono sia Pt sia S netto.

• il rapporto tra pensione pro capite e salario al netto dei contributi costante

EFFETTI DELLA PREVENZIONE SOCIALE SUL COMPORTAMENTO ECONOMICO


Il punto di partenza per la maggior parte degli studi sulla previdenza sociale e sul risparmio è la
teoria del ciclo vitale del risparmio (Modigliani), secondo la quale le decisioni di consumo e risparmio
da parte degli individui si basano su considerazioni riguardanti la loro vita intera: durante la vita
lavorativa, gli individui risparmiano parte del loro reddito per accumulare i fondi dai quali potranno
attingere per finanziare il consumo durante il periodo in cui saranno in pensione.

Effetto sostituzione della ricchezza


Secondo questa teoria, i lavoratori sono consapevoli che, in cambio dei contributi versati alla
previdenza sociale, riceveranno una data pensione. Se considerano i contributi della previdenza
sociale un mezzo per “risparmiare” in funzione di questi benefici futuri, tenderanno a risparmiare
meno per conto loro; in effetti la previdenza sociale tende a “spiazzare” il risparmio privato, fenomeno
noto con il nome di effetto sostituzione della ricchezza.

Vincolo di bilancio intertemporale

Abbiamo 2 periodi in cui l'individuo riceve due dotazioni (I0 e I1). Poi abbiamo le
scelte di consumo al tempo 0 sulle ascisse e le scelte di consumo effeBvo al tempo 1
sull'asse delle ordinate. Le persone aMraverso l'accesso al mercato finanziario
possono far deviare il proprio consumo corrente, indebitandosi o risparmiando.
L'eccesso di consumo nel primo periodo deve essere compensato da un risparmio
nel secondo periodo, e viceversa.
Se l'individuo decide di risparmiare nel breve periodo si colloca sul punto E1. Se
esiste un programma di previdenza sociale, gli individui sanno che riceveranno
un rendimento nel secondo periodo (quando saranno vecchi). Nella misura in cui
il sistema pensionis5co non produce rendimen5 diversi da quelli che si possono
oMenere dall'accumulazione privata, abbiamo semplicemente una sos5tuzione
(al risparmio privato si sos5tuisce un risparmio forzoso, aMraverso l'intervento
pubblico) ma il risultato finale non cambierà. Il meccanismo si determina nella
misura in cui il tasso di interesse deve essere uguale. In questo caso è semplice
capire cosa succede. Quando il rendimento che si può oMenere contribuendo ad
un sistema pensionis5co pubblico è pari al tasso di rendimento che il risparmio
può oMenere nel mercato, abbiamo una situazione di indifferenza: i risparmi
priva5 vengono sos5tui5 dal sistema pensionis5co, e l'individuo si trova sempre
nella sua posizione E1.

Se le persone pianificano intertemporalmente e sono in grado di risparmiare per la vecchiaia, nella


misura in cui vengono tassati dai contributi pensionistici, ma dall'altra parte ricevono una pensione,
un effetto di sostituzione tra il risparmio privato e quello forzato dal pubblico ci dovrà essere.
L'azione non è irrilevante, perché in questo schema succede che le dotazioni non cambiano (sono
esogene), ma la realtà non è così. Nella realtà succede che se le persone risparmiano
individualmente, e questo risparmio viene indirizzato attraverso il mercato e non attraverso un
meccanismo redistributivo tra generazioni, quelle risorse (indirizzate attraverso il mercato)
determinano una accumulazione di capitale, quindi determinano un beneficio in termini di maggior
capacità produttiva, salari più elevati... questo non può essere ignorato: qualunque sistema
pensionistico pubblico spiazza i risparmi privati, e questo determina effetti avversi
sull'accumulazione di capitale e quindi sulla capacità delle imprese di pagare i salari.
Allora perché si sono affermati i sistemi pensionistici pubblici in quasi tutti i paesi? Il caso
australiano è un caso in cui le imprese si impegnano contrattualmente a contribuire ad un fondo
che non è nella disponibilità del lavoratore. Il lavoratore al termine della sua vita lavorativa riceverà
il montante accumulato in suo nome sul fondo. E potrà farne quel che vuole, ma l'accumulazione di
risparmi in questo senso è forzosa; quello che il lavoratore può fare però è fondamentalmente
scegliere il profilo di rischio che attribuisce al suo fondo. Il sistema australiano è un sistema a
capitalizzazione, quindi è molto vicino a questo modello nella misura in cui le persone intendono e
sono capaci di pianificare il proprio risparmio in un contesto intertemporale.
Perché allora bisogna investire in un fondo pensionistico e non lasciare che il lavoratore agisca nel
proprio interesse? Perché ci sono persone che non sono capaci di pianificare e applicare in modo
coerente la propria sequenza di risparmi nel tempo. L'esito è che poi non c'è il risparmio. Devono
essere messi in moto meccanismi di protezione. Meccanismi di questo tipo rappresentano forme di
auto vincolo.
Il sistema pensionistico a ripartizione fondamentalmente limita moltissimo i rischi individuali. Inoltre,
il sistema a ripartizione produce un rendimento atteso dalle aliquote contributive molto superiore
rispetto al rendimento atteso che avrebbero da una strategia individuale di risparmio. Questo si
collega ad altri aspetti: investendo attraverso fondi di investimento, difficilmente questi fondi riescono
a battere il mercato perché comunque hanno dei costi di gestione. Quindi una parte dei rendimenti
delle azioni e delle obbligazioni emesse dalle imprese deve essere pagata a chi gestisce il fondo, e
non è una quota irrilevante. Sebbene questo indirizzare i fondi attraverso il mercato genera
accumulazione di capitale, il rendimento che i risparmiatori percepiscono attraverso questo
meccanismo potrebbe risultare insoddisfacente rispetto al rendimento che si avrebbe con un
meccanismo a ripartizione.
Inoltre, in un mercato dei capitali integrato (come il nostro) il risparmio privato italiano non
necessariamente si indirizza verso le imprese italiane, quindi non si produce quell'effetto di
accumulazione di capitale che determina un aumento della produttività in Italia.
Questo è un insieme di ragioni che aiutano a capire perché i sistemi pensionistici pubblici a
ripartizione (invece dei sistemi pensionistici basati sulla capitalizzazione, e invece di un meccanismo
basato interamente sulle scelte individuali) hanno rilevanza nell'economia mondiale.

Gli aspetti problematici del sistema pensionistico italiano prima delle riforme degli anni '90
1. Ampio ricorso alle pensioni di anzianità (le c.d. baby pensioni).
2. Uso improprio delle pensioni di invalidità.
3. Differenze marcate (per prestazioni assicurate e contributi richiesti) tra categorie, settori,
lavoratori dipendenti e autonomi (la c.d. “giungla contributiva”).
4. Era un sistema a ripartizione, di tipo retributivo e con un tasso di sostituzione fisso (la
pensione era una quota fissa di una media delle retribuzioni degli ultimi anni di lavoro).
Poiché il tasso di crescita della popolazione e quello della produttività sono oggi fortemente
ridotti, rispetto ai valori assunti negli anni ’70, poteva essere tenuto in equilibrio solo
aumentando l’aliquota contributiva
Con questo sistema di finanziamento e di patto tra generazioni, il tasso di sostituzione tra pensione
e retribuzione è fisso (1° tipologia).
LA RIFORMA AMATO
Con la riforma Amato è stata aumentata l’età (da 60 a 65 anni per gli uomini, da 55 a 60 anni per le
donne) per avere diritto alla pensione di vecchiaia (per la quale è necessario aver contribuito per
almeno 20 anni) o aver lavorato almeno 35 anni per avere la pensione di anzianità. Inoltre, sono stati
modificati sia i criteri di determinazione della retribuzione pensionabile sia i criteri di indicizzazione,
questi ultimi non più riferiti ai salari ma ai prezzi.
In particolare, è stato stabilito che la pensione fosse calcolata moltiplicando una percentuale (detta
tasso di rendimento) per la cosiddetta retribuzione pensionabile. Il tasso di rendimento era pari al
2% per ciascun anno di contribuzione, variando così da un minimo del 40%, per coloro che avevano
raggiunto i requisiti anagrafici e i 20 anni di contributi necessari ad avere la pensione di vecchiaia, a
un massimo dell’80%, per chi aveva 40 anni di contributi.
La retribuzione pensionabile era una media delle retribuzioni imponibili di tutti gli anni in cui il
lavoratore aveva contribuito, riferite a tutta la vita lavorativa, potendo escludere dalla media quelle
inferiori del 20%, a condizione che non superassero un quinto delle retribuzioni considerate.
Nel fare questa media le retribuzioni, percepite in anni diversi, erano rese omogenee nel tempo con
un calcolo di capitalizzazione che teneva conto del tasso di inflazione aumentato dell’1% per ogni
anno. La nuova disciplina pensionistica è stata allora applicata a chi era entrato nel mercato del
lavoro nel 1994, non ha interessato coloro che all’epoca erano già pensionati e solo modestamente
coloro che erano già in attività.

LA RIFORMA DINI
La riforma Dini ha trasformato il sistema pensionistico italiano da sistema a ripartizione di tipo
retributivo a sistema a ripartizione contributivo, ed era previsto che si applicasse integralmente a
coloro che sono entrati nel mercato del lavoro a partire dal 1996.
Per coloro che al 1° gennaio 1996 erano già entrati nel mercato del lavoro ma avevano meno di 18
anni di contribuzione è stato applicato il sistema pro-rata, per cui una parte della pensione viene
calcolata con il sistema retributivo e una parte con il sistema contributivo (per questo spesso si parla
anche di sistema misto). Per coloro che avevano più di 18 anni di contribuzione al 31 dicembre 1995
si continuava ad applicare il regime definito dalla legge Amato. Questa distinzione tra generazioni di
lavoratori in base all’anno di ingresso nel mercato del lavoro ha rilevanti implicazioni di tipo
distributivo ed è stata recentemente modificata dalla riforma Fornero
Con il regime Dini la pensione è calcolata moltiplicando il montante contributivo, ottenuto applicando
l’aliquota del 33% alle retribuzioni, per un saggio pari alla media mobile quinquennale del tasso di
variazione del PIL nominale. Questo ammontare è moltiplicato per un coefficiente, detto di
trasformazione, che serve a garantire l’uguaglianza tra monte contributivo e monte pensioni e varia
a seconda dell’età del pensionamento: la pensione è tanto più alta quanto più anziano è il pensionato
e, quindi, quanto più è bassa la sua speranza di vita. Il coefficiente di trasformazione, diminuendo
l’importo delle pensioni al diminuire dell’età del pensionamento ha automaticamente disincentivato
le pensioni di anzianità.

GLI INTERVENTI SUCCESSIVI


In seguito, sono intervenuti su questa materia sia i Governi Prodi sia quelli presieduti da Berlusconi.
Le misure adottate dal primo Governo Prodi avevano il duplice obiettivo di accelerare l’uniformazione
della normativa dei regimi pensionistici e di elevare – per alcune categorie di lavoratori – i requisiti
di età per la pensione di anzianità. Queste misure non hanno inciso tuttavia sul livello della spesa
nel lungo periodo.
Durante il secondo Governo Berlusconi, con la legge 243/2004 (legge Maroni), invece, sono state
introdotte novità finalizzate a contenere ulteriormente la spesa pensionistica di lungo periodo. In
estrema sintesi, la legge aveva previsto un requisito unico per andare in pensione: 40 anni di
contributi o 65 anni di età (60 per le donne) e 35 di contributi.
Il 23 luglio 2007 è stato sottoscritto dal secondo Governo Prodi e dalle parti sociali un accordo per
alcuni interventi sul welfare; nel corso dell’estate tale accordo è stato sottoposto a referendum tra i
lavoratori, che lo hanno approvato in larga maggioranza. Infine, uno dei collegati alla legge
Finanziaria adottati nel corso della sessione di Bilancio 2007 ha recepito i contenuti di tale accordo
(legge 247/2007).
In particolare, per quanto riguarda le pensioni, era stato superato il così detto scalone, termine
giornalistico che stava a indicare un diverso trattamento previsto per quelli che potevano andare in
pensione prima del 1°gennaio 2008 e quelli che potevano farlo solo dopo (come previsto dalla legge
Maroni). Con il protocollo sul welfare, il cosiddetto scalone era stato sostituito con una serie di
“scalini”, che mantenevano l’obiettivo di allungare – progressivamente – l’età pensionabile.
Nello specifico si rendeva più flessibile l’accesso alla pensione adottando il sistema delle quote
secondo il quale il diritto alla pensione si maturava considerando sia l’età anagrafica, sia quella
contributiva. La quota valida allora fissata per andare in pensione il 1° gennaio 2013 era 97, che –
per esempio – si poteva raggiungere con 60 anni di età e 37 di contributi, oppure 65 anni di età e 32
di contributi e con tutte le altre possibili combinazioni. Valeva sempre la possibilità di avere la
pensione di anzianità se si raggiungevano i 40 anni di contributi.
Durante il terzo Governo Berlusconi è stata adottata una modifica della normativa in attuazione di
una sentenza della Corte di Giustizia Europea, che richiedeva l’equiparazione del trattamento
pensionistico per gli uomini e le donne. In particolare, per le dipendenti del pubblico impiego, la legge
prevedeva un progressivo innalzamento dei requisiti anagrafici necessari per avere diritto alla
pensione di vecchiaia, in modo da passare dai 60 anni, previsti dalla normativa previgente, ai 65
anni (uguali agli uomini) entro il 2018.

LA RIFORMA FORNERO
La riforma Fornero (articolo 24, legge 214/2011) ha apportato modifiche sostanziali al sistema
pensionistico modificando i requisiti di accesso, il meccanismo del calcolo degli assegni, dei
coefficienti di trasformazione nonché di alcune aliquote contributive. Tutte queste misure hanno il
duplice obiettivo di ridurre la spesa e di migliorare l’equità tra generazioni rispetto al sistema
introdotto dalla riforma Dini
A proposito dei requisiti di accesso la legislazione vigente prevede due canali di accesso al
pensionamento: il pensionamento di vecchiaia e quello anticipato. Possono accedere al
pensionamento di vecchiaia coloro che abbiano almeno 20 anni di contributi e un’età anagrafica che
nel 2020 sarà uguale per tutti e pari a 67 anni. Il pensionamento anticipato richiede una minore età
anagrafica ma ha requisiti contributivi più stringenti (per gli uomini: 42 anni e 3 mesi; per le donne,
41 anni e 3 mesi).
Il calcolo degli assegni avverrà con metodo contributivo uguale per tutti a partire dal 1° gennaio 2012.
Ciò significa che anche per coloro che avevano più di 18 anni di anzianità lavorativa nel 1995 si
applica il sistema misto, in cui la pensione è calcolata con il metodo retributivo fino al 2011 e con
quello contributivo dal 2012.
La riforma Fornero ha incontrato numerose difficoltà dovute all’insufficienza di risorse previste per
tutelare le aspettative dei cosiddetti «esodati». Rientrano in questa categoria sia i soggetti prossimi
al raggiungimento dei requisiti pensionistici al momento dell’adozione della nuova normativa, sia
quelli da poco fuoriusciti dal mercato del lavoro. In particolare, per questi ultimi si è reso necessario
applicare la normativa previgente, e prevedere specifiche risorse finanziarie, perché l’uscita dal
mercato del lavoro era avvenuta nell’aspettativa della maturazione del diritto alla pensione.
Nel quadro delineato dalla riforma Fornero, la legge di Bilancio 2017 (L. 232/2016) ha introdotto delle
misure sperimentali con l’obiettivo di rendere più flessibile l’uscita dal mercato del lavoro e al
contempo fronteggiare eventuali situazioni di disagio che questa scelta potrebbe comportare. In tal
senso, sono misure che si situano al confine tra previdenza e assistenza. In particolare, dal 1°
maggio 2017 sono entrati in funzione i cosiddetti Anticipi Pensionistici (APE)
gli scenari di valutazione
Per valutare la sostenibilità macroeconomica del nuovo sistema dopo la riforma Dini, si riprenda la
formula che definisce la pensione pro capite in un sistema a ripartizione. Se ne deriva che:
• la pensione pro capite e la spesa pensionistica aumentano al crescere del tasso di
crescita del PIL;
• a differenza del sistema retributivo, gli squilibri finanziari non si possono correggere
aumentando l’aliquota contributiva, perché una tale manovra causerebbe un aumento
della pensione pro capite. Questo è un pregio, perché se ci fosse convenienza ad
aumentare l’aliquota, provvedimenti in questa direzione scoraggerebbero il lavoro,
aumentando la differenza tra salario lordo e netto, o meglio scoraggerebbero il lavoro
regolare;
• si tratta comunque di un sistema a ripartizione, quindi soggetto al rischio demografico:
se la popolazione non cresce, un numero ridotto di lavoratori deve sostenere una spesa
per pensioni sempre più onerosa
• A proposito degli aspetti distributivi, il processo di riforma iniziato con i provvedimenti del
Governo Amato aveva scaricato gran parte dell’onere del riequilibrio dei conti sulle nuove
generazioni, ossia su coloro che agli inizi degli anni ’90 avevano appena cominciato a
lavorare o che hanno cominciato a lavorare in questo decennio
• Su questo aspetto la riforma Fornero prevede una ripartizione dell’onere della correzione
dei conti pubblici più equilibrata dal punto di vista generazionale: gli incentivi a
posticipare il pensionamento sono stati estesi a tutte le generazioni di lavoratori e
comporteranno un aumento generalizzato dell’età di quiescenza, con conseguente
aumento dell’assegno medio, oggi meno diseguale tra generazione presenti e future

Andamento del tasso di sostituzione lordo secondo la normativa vigente e quella precedente la riforma

QUOTA 100
Si tratta di una riforma pensionistica che agevola l’accesso alla prestazione previdenziale,
allargandone le maglie fino a includere i lavoratori la cui età, sommata agli anni di lavoro dia il
risultato di 100 (ma con dei vincoli minimi, 62 anni di età e almeno 38 di contributi). Tutela
lavoratori anziani – Indebolisce legge Fornero
L'ipotesi di partenza è che il prepensionamento dei lavoratori si tradurrebbe automaticamente in
nuova occupazione giovanile. La maggior parte dell'evidenza empirica punta verso un effetto non
significativo sull'occupazione giovanile nel lungo periodo, mentre degli effetti positivi possono
verificarsi nel breve periodo e in situazioni di mercato del lavoro particolarmente rigido, nelle fasi in
cui il sistema economico adegua la composizione della sua forza lavoro al nuovo impianto
previdenziale. In Italia nel 2019 tasso di rimpiazzo= 42%!!!!!

Parte 4

Modelli di crescita
MODELLO DI SOLOW: ESTENSIONI
Il punto principale di questo capitolo è: una crescita sostenuta richiede il progresso
tecnologico. Il progresso tecnologico dipende sia dall’innovazione sia dalle istituzioni.
Il problema è capire l'organizzazione della società, per capire poi come si creano le decisioni.
Il grafico (in prospettiva storica, dall’Anno Mille) ci dice che la crescita è un fenomeno relativamente
recente, solo con la rivoluzione industriale inizia il processo di crescita.
Inoltre, vediamo (in grafico) che la crescita non è inoltre equamente distribuita. In africa avviene una
decrescita, ma anche altri paesi hanno avuto tassi di crescita negativi in 40 anni (non solo in Africa).
In altri paesi crescita spettacolare oltre il 7% (concentrati primariamente in Asia, ma con la notevole
eccezione del Botswana). I paesi più ricchi si collocano in posizioni intermedie.
Il fatto che vi siano diversi tassi di crescita si può spiegare in 2 modi:
1. i paesi più poveri crescono più rapidamente anche importando tecnologie dai paesi
avanzati;
2. oppure gli stessi paesi più poveri non hanno importato tecnologie perché non riescono a
sviluppare capitale umano, infrastrutture e istituzioni (non convergenza).

I paesi poveri nel 1960 sono altamente dispersi, quindi non si può parlare di convergenza per
l’economia globale (se prendiamo gli ultimi sessant’anni).
Però se noi guardiamo i grandi paesi europei abbiamo una evidenza di convergenza. Il Regno Unito
cominciò la rivoluzione industriale a fine 1700, possedeva una ricchezza superiore agli altri paesi
europei (nel 1860 produceva moltissima innovazione; la Scozia, contribuiva moltissimo allo sviluppo
delle scienze). La Germania e la Francia arrivano a convergere prima della Seconda guerra
mondiale. L’Italia rimane indietro, la vera convergenza si ha dopo la Seconda guerra mondiale. Cosa
è successo dopo gli anni 50? Si costruisce un mercato europeo che consente all’Italia di incentivare
il processo di crescita. Il grande beneficio è stato per l’Italia più che per qualunque altro paese.
Anche altri paesi hanno avuto una dinamica di ripresa (Spagna e portogallo):
dopo la Seconda guerra mondiale non entrano subito nel mercato europeo,
solo alla fine riesce a crescere notevolmente. Eviden5 segni di convergenza
anche tra gli sta5 degli sta5 uni5: hanno in comune il mercato, la poli5ca
monetaria, regole comuni per il commercio estero... Per soMoinsiemi
abbiamo convergenza: vi sono grandi differenze nei tassi di crescita
nazionali, e non osserviamo nessuna convergenza nell'economia globale.

Vi sono 3 ragioni per cui il prodotto pro-capite (misura del benessere) aumenta:
Il prodotto pro-capite cresce perché la popolazione in età attiva aumenta (sul totale della
popolazione), oppure perché lavora più ore, oppure perché si aumenta l'efficienza della
produzione (si accumula capitale). Un aumento dell'istruzione obbligatoria diminuisce il prodotto
(effetto di breve periodo negativo) ma nel tempo potrebbe aumentare la produttività per ora lavorata
(effetto di lungo periodo positivo, che compensa l’effetto negativo). Se la popolazione invecchia, si
riduce la percentuale di persone in età attiva. Approssimativamente la crescita del GDP pro-capite
si scompone nella crescita della produttività (produttività del lavoro), nella crescita dello sforzo
(quante ore lavorano le persone attive) e dalla variazione della partecipazione al mercato del lavoro.
Cosa determina la produttività del lavoro: accumulazione di capitale (macchinari, impianti e
stabilimenti), ma anche cambiamenti tecnici, nuove tecnologie, e organizzativi, accumulazione di
capitale umano.
Ci concentriamo su progresso tecnologico, che permette di generare più produzione a parità di
capitale lavoro.
Il progresso tecnologico può manifestarsi in diversi modi:
• generare più produzione a parità di capitale e lavoro;
• consentire una produzione di migliore qualità;
• portare alla realizzazione di nuovi prodotti;
• ampliare la gamma dei prodotti disponibili.

In ogni caso, il progresso tecnologico fornisce maggiori servizi ai consumatori.


Possiamo considerare il progresso tecnologico come un fattore che aumenta la produzione a parità
di fattori produttivi impiegati.
Chiamiamo A lo stato di tecnologia, avremo la seguente funzione di produzione: Y=F(K, N, A) O
nella forma più compatta, per facilitare l’analisi: Y=F(K, AN)

Possiamo quindi pensare al progresso tecnologico in due modi equivalenti:


• il progresso tecnologico riduce il numero di lavoratori necessari per ottenere una data quantità di
prodotto • il progresso tecnologico aumenta il prodotto ottenibile con un dato numero di lavoratori.
Ragionando su questa via, pensiamo ad AN come all’ammontare di lavoro effettivo nell’economia.
Progresso tecnologico sposta verso l'alto la funzione di produzione

MODELLO MACROECONOMICO DI CRESCITA


Una semplice funzione di risparmio S(t)=sY(t)
I risparmi sono depositati presso banche che effettuano prestiti alle imprese, trascuriamo per
semplicità il mercato azionario e il mercato delle obbligazioni corporate. Le imprese acquistano I
macchinari o li affittano. Questa decisione determina il tasso di rendimento reale del risparmio.
In USA le imprese emettono obbligazioni per finanziarsi.
Esiste un mercato azionario che mette in contatto i risparmiatori con le imprese

Come le imprese finanziano gli acquisti di beni capitali


1. Prestiti bancari
2. Profitti non distribuiti
3. Emissione di nuove azioni
Nel modello di Solow questi metodi sono equivalenti, quindi ci concentriamo sui prestiti bancari.
La scelta dell'impresa:
Il costo d'uso del capitale per un periodo al tempo t è pari a: [1+r(t+1)]pk(t)−(1−δ)pk(t+1)
R(t+1) è il tasso di interesse, δ è il deprezzamento

Supponiamo che beni di investimento e beni di consumo siano prodotti con la medesima tecnologia,
così Pk(t)=1, quindi il costo d'uso del capitale in t diventa:

[1 + r(t + 1)] − (1 − δ) = r(t + 1) + δ


Poi abbiamo un mercato del credito S(t)=I(t), in virtù dell'aggiustamento del tasso di rendimento del
capitale

Riassumendo:
le imprese domandano capitale fino a quando il rendimento marginale del capitale è uguale al tasso
di rendimento lordo di mercato del capitale, e in questo mercato gli investimenti sono uguali ai
risparmi (la flessibilità del tasso di interesse nel mercato finanziario fa sì che I=S).
𝑀𝑃𝐾(𝑡 + 1) = 𝑟(𝑡 + 1) + 𝛿 𝐼(𝑡) = 𝑆(𝑡)
Quindi il tasso di interesse in questo modello ha un ruolo centrale, serve a far muovere gli
investimenti. Noi abbiamo ottenuto il modello semplice tolto la risposta di S a R: in linea di principio,
se il tasso di interesse aumenta, i risparmi aumentano (i risparmi rispondono al tasso di interesse).
Il prodotto marginale del capitale (profitto marginale dell'investimento) al tempo (t+1) è uguale al
rendimento lordo del capitale al tempo t. Lo stesso risultato si ottiene dall'uguaglianza tra risparmio
(in t) ed investimento (in t).
Allo stesso modo, le imprese domandano lavoro fino a quando la produttività del lavoro è uguale al
salario in termini reali (che si paga sul mercato del lavoro); c’è un rendimento del capitale, che
dipende dal tasso di interesse che si paga alle banche e ad un deprezzamento del capitale che
determina la domanda di investimento.
MPL(t)=w(t)
MPK(t)=R(t)
Ridefinendo il modello in variazioni nel tempo continuo:

Il capitale varia nel tempo in una misura pari alla differenza tra l'incremento di capitale (dato
dall'investimento lordo I) e il suo decremento (dato da δK(t), ovvero il deprezzamento subito dal
capitale, il suo consumo dovuto alla produzione). Poiché si ipotizza che il risparmio sia uguale
all'investimento, si può scrivere anche come differenza tra risparmio e deprezzamento. Quando gli
investimenti o i risparmi sono superiori al deprezzamento del capitale si riesce ad accumulare
capitale. La condizione per cui lo stock di capitale non cambia è quella in cui l’investimento copre lo
stock di capitale consumato.
Il risparmio lo possiamo anche scrivere come sY(t), dove s è il tasso di risparmio. La variazione dello
stock di capitale dipende dalla differenza tra i risparmi e il deprezzamento del capitale. Poiché
abbiamo una funzione di produzione 𝑌(𝑡) = 𝐹(𝐾(𝑡), 𝐴(𝑡), 𝐿(𝑡)), definisco A(t) come efficienza del lavoro
(progresso tecnologico, che adesso è in funzione del tempo) e poi dipende da L(t) che è la quantità
di lavoro; inserendo la funzione di produzione nella equazione dinamica del capitale: si ottiene
l'equazione dinamica di equilibrio del capitale 𝐾 = 𝑠𝐹(𝐾, 𝐴𝐿) − 𝛿𝐾.
La dinamica del capitale dipende dalla produzione (più produzione ho più risparmi e investimenti
ho), dal tasso di risparmio (più grande è il tasso di risparmio più accumulo capitale, perché ho più
risorse per gli investimenti) e dipende negativamente dal deprezzamento del capitale.

Il tasso di crescita proporzionale del capitale detrendizzato dipende dal tasso di crescita dello stock di
capitale in termini proporzionali ma dipende anche (negativamente) dalla crescita di A e di L (perché
sto utilizzando 𝑘𝑡 ). La crescita di 𝑘𝑡 dipenderà positivamente dalla crescita di K (che nella formula di
𝑘𝑡 si trova al numeratore) e negativamente dalla crescita di AL (che si trovano
al denominatore).

𝑘𝑡 = 𝑠𝑓(𝑘𝑡 ) − (𝛿 + 𝑔𝑁 + 𝑔𝐴 )𝑘𝑡 [risparmi/


inves5men5 effeBvi - BREAK-EVEN investment]

La dinamica del capitale per unità di lavoro effettivo è uguale ai risparmi per il prodotto in unità di
lavoro effettivo meno il break-even investment. Per mantenere stabile il capitale bisogna mettere da
parte il capitale consumato nel processo produttivo. In realtà quando guardiamo il modello
macroeconomico le cose sono più complicate, perché cresce la popolazione: se cresce la
popolazione, per avere un prodotto pro-capite costante abbiamo bisogno di mettere da parte il
capitale; altrimenti i nuovi non hanno abbastanza capitale, quindi si diluisce il prodotto pro-capite che
quindi scenderà. Per avere break-even (capitale pro-capite costante con crescita della popolazione)
dobbiamo aumentare i risparmi. Quindi break-even investment definisce il totale dei risparmi che
dobbiamo avere per mantenere costante lo stock di capitale. Per adesso abbiamo guardato a tre
aspetti:
1. Il capitale si deprezza, dobbiamo ricostituirlo, quindi abbiamo bisogno di risparmi (se no
oggi siamo apparentemente ricchi e domani saremo poveri).
2. Abbiamo crescita della popolazione, dobbiamo aumentare ulteriormente i risparmi, perché
altrimenti domani saremo più poveri di oggi, in quanto non avremo dato abbastanza capitale
alle nuove generazioni.
3. gA fa riferimento al fatto che voglio analizzare delle variabili che sono prive di trend,
quindi questo già cattura una caratteristica del sentiero di crescita bilanciata. Se noi fossimo
in una situazione in cui la conoscenza continua a crescere e il capitale non crescesse, di
fatto il capitale tenderebbe a zero rispetto alla crescita del prodotto. Non possiamo avere
una crescita bilanciata (non abbiamo equilibrio). Per avere il capitale per unità di lavoro
efficiente costante devo avere abbastanza capitale da un periodo all’altro per tenere in
relazione la crescita del capitale con la crescita della conoscenza. Altrimenti ho una funzione
di produzione in cui il capitale non cresce.
Quindi devo trattare una relazione in cui la dinamica del capitale in unità di lavoro efficiente è
spiegata come differenza in ogni unità di tempo tra i risparmi in unità di lavoro efficiente e il breakeven
investment, cioè quell’ammontare di risparmi che compensa il fatto che abbiamo deprezzamento del
capitale, crescita della popolazione (dobbiamo dare anche ai nuovi venuti il capitale che dobbiamo
dare a tutti gli altri) e poi una crescita del capitale per tenere il passo con l’aumento della conoscenza.
Domande cui vogliamo rispondere utilizzando il modello:
1. Cosa succederà in stato stazionario al capitale in unità di efficienza?
2. E al prodotto in unità di efficienza?
3. E ai salari e ai tassi di interesse?
Sull’asse y abbiamo il prodoMo in unità di lavoro efficiente (senza un trend: quindi se 𝑦̃𝑡
dovesse avere un valore costante significa che Y cresce in misura pari alla somma dei
tassi di crescita della popolazione e della conoscenza).
Sulle x abbiamo il capitale per unità di lavoro efficiente. La linea traMeggiata è la
funzione di produzione. Poi abbiamo i risparmi che stanno sempre soMo la funzione di
produzione.

La reMa rosa è la reMa del break-even investment, che vincola il modello ad avere uno stato
stazionario: quando l’economia comincia a produrre, il prodoMo aumenta più del break-even
investment (quando il capitale è scarso rispeMo al lavoro normalizzato per l’efficienza, succede
che la produBvità del capitale è molto alta, quindi mi aspeMo che la produzione aumen5 più di
quanto aumen5 il break-even investment. Ma se questo accade, avremo una accumulazione di
capitale, perché i risparmi – reMa verde – sono superiori al break-even investment, quindi
abbiamo un eccesso di capitale). L’aumento del capitale fa scendere la produBvità marginale del
capitale, fa scendere il tasso di interesse e si con5nua così. Finché la curva verde sta sopra la reMa
fucsia, l’economia cresce in unità di lavoro efficiente. Poi si arriva al punto di BGP, il punto di stato
stazionario in cui il capitale in unità di lavoro efficiente non aumenta più, perché i risparmi
servono esaMamente a compensare il break-even investment, ovvero a compensare il
deprezzamento del capitale nel processo produBvo, servono a meMere da parte lo stock di
capitale che abbiamo raggiunto qui per le nuove generazioni, serve a compensare la crescita
della tecnologia quindi a mantenere il capitale in equilibrio con la crescita della conoscenza, e
quindi a mantenere costante il capitale in unità di lavoro efficiente.

L’equazione dinamica del capitale, dal punto di vista grafico è data dalla differenza tra la curva dei
risparmi e la retta del break-even investment.
È rappresentata quindi da questa equazione dinamica:

Si oBene quindi che il tasso di variazione proporzionale del capitale in unità di lavoro efficiente (è
una variabile stazionaria nel lungo periodo) è pari a s per il prodoMo medio del capitale meno il
coefficiente angolare della reMa del break-even investment.
Le reMe tangen5 sono la produBvità marginale del capitale: scegliendo la funzione
di produzione, per un certo stock di capitale, noi sappiamo quanto è la produBvità
marginale del capitale (di quanto aumenta il prodoMo con una variazione
infinitesima dello stock di capitale). Quello che si vede è che man mano che
aumenta lo stock di capitale, l’inclinazione della tangente con5nua a scendere
(fruMo della concavità della funzione di produzione: ci sono dei rendimen5
marginali della funzione di produzione man mano che accumuliamo capitale per
unità di lavoro efficien5).

Man mano che aumenta il capitale diminuisce l'inclinazione (s è il


coefficiente angolare) della reMa prodoMo medio del capitale: il prodoMo
aumenta meno di quanto aumen5 il capitale. Quindi abbiamo che s che
mol5plica il prodoMo medio del capitale è una funzione decrescente nello stock
di capitale. Graficamente, la condizione di equilibrio è rappresentata dal grafico
soMo: il prodoMo medio del capitale mol5plicato per il tasso di risparmio è
uguale al coefficiente angolare della reMa di break-even investment. È uno stato
stazionario in cui sono stazionarie le variabili a cui abbiamo tolto il trend
(prodoMo, stock di capitale, il salario...). Questo non significa che non ci sia
crescita, anzi c’è crescita: perché il prodoMo aumenta, perché aumenta la
popolazione o la produBvità (ga o gN)

Se un paese si trova con troppo capitale rispetto allo stato


stazionario, si troverà con una accumulazione di capitale.
BGP: balance growth path (sentiero di crescita bilanciata)
- Risultato 1: il capitale in unità di lavoro efficiente tende a un valore stazionario,
indipendentemente dalla dotazione iniziale, purché A, K, L>0
- Risultato 2: Quanto più prossimi siamo al valore stazionario, tanto minore è il tasso di crescita
del capitale in unità di lavoro efficiente. In questo sistema, il tasso di crescita più basso è il tasso
di crescita bilanciato (se si parte con poco capitale). Storicamente questo è quello che il modello
ci vuole raccontare.
- Risultato 3: Nel BGP il tasso di crescita del capitale per unità di lavoro efficiente è ZERO! Le
variabili si muovono mantenendo una certa relazione tra di loro. Il capitale cresce come cresce il
lavoro efficiente. Il lavoro efficiente è una invenzione che identifica le variabili esogene che
determinano i trend: crescita della popolazione e, in questo modello, la crescita della conoscenza.
Alla fine la crescita della conoscenza, la crescita del capitale e la crescita della popolazione
determinano la crescita del prodotto.

La curva rossa rappresenta il modo in cui cresce il capitale, ipo5zzando la reMa verde
come sen5ero di crescita bilanciata. Il paese ha una economia piccola, nel senso che
ha poco capitale, ma ha la stessa tecnologia dei paesi più sviluppa5:
quindi deve solo accumulare capitale; più rapidamente lo accumula e più rapidamente
converge (è un modello semplicis5co). Nella realtà ci possono essere molte più
complicazioni.
Man mano che il capitale si accumula nel corso del tempo, la crescita del capitale in
unità di lavoro efficiente tende a zero (perché si va verso lo stato stazionario)

Dinamica del prodotto per lavoratore


𝛼 1−𝛼
Abbiamo la nostra funzione di produzione: 𝑌 = (𝐾 ) (𝐴 𝐿 )
Il prodotto, se facciamo crescere lo stock di capitale, ha una elasticità alla crescita dello stock di
capitale pari a α:

𝛼
Quindi alla fine abbiamo che il prodotto in unità di lavoro efficiente è: 𝑦̃ 𝑡 = (𝑘 𝑡 ) , 0 < α < 1
Partendo da uno stock di capitale basso, rispetto al sentiero di crescita bilanciata di y, avendo noi il
capitale basso, abbiamo inizialmente un prodotto basso. Ma così come il capitale converge, anche
il prodotto converge al suo valore di stato stazionario. L’economia del mondo reale inizialmente ha
una crescita del prodotto più rapida di quella che si osserva nel sentiero di crescita bilanciata (perché
sta accumulando capitale più velocemente). Poi piano piano il tasso di crescita rallenta e raggiunge
il livello del tasso di crescita bilanciato.

La crescita proporzionale del prodoMo pro-capite tende a scendere verso


la crescita della conoscenza; quando k 5lde non cresce più, il prodoMo pro-
capite cresce al tasso ga.

Il salario in questo modello è definito dalla produttività marginale del lavoro, è un mercato
concorrenziale e il prodotto marginale del lavoro è dato dalla derivata della funzione di produzione
rispetto ad L. Il salario per unità di lavoro è contraddistinto da un tasso di variazione percentuale
(sulla base di questa formula in basso a destra) che è uguale al tasso di variazione percentuale del
prodotto per unità di lavoro.
Il salario reale è una frazione costante del prodotto per lavoratore.
Cosa succede al tasso di rendimento del capitale? In questo sistema la crescita della conoscenza
determina la crescita di stock di capitale pro-capite. Lo stock di capitale pro-capite determina la
crescita della produttività del lavoro insieme alla crescita della conoscenza. Fin qui possiamo
spiegare la crescita dei salari. Ma la crescita del capitale pro-capite determina la caduta della
produttività marginale del capitale: il tasso di rendimento netto del capitale (uguale alla produttività
marginale del capitale meno 𝛿). Facendo la derivata della funzione di produzione rispetto al lavoro,
ottengo che è uguale alla produttività marginale del capitale (derivata del prodotto rispetto allo stock
di capitale) meno 𝛿. Il capitale per unità di lavoro efficiente, man mano che aumenta, produce una
riduzione della produttività marginale (è sempre positiva, ma diminuisce all’aumentare di k tilde). Ma
quando k tilde raggiunge lo stato stazionario noi abbiamo lo stato stazionario del tasso di rendimento
del capitale. Quindi il tasso di rendimento del capitale, in questo modello, in stato stazionario, è una
costante, non cresce come il salario. La quota dei redditi da capitale è costante nel modello perché,
per un tasso di interesse costante, aumenta lo stock di capitale (esattamente come aumenta il
prodotto).

Il tasso reale CADE fino a quando aumenta il capitale in unità efficien5 di lavoro

Effetti del tasso di risparmio:

INTERAZIONE TRA PRODUZIONE E CAPITALE


𝐼 = 𝑆 = 𝑠𝑌
La relazione tra investimento per unità di lavoro effettivo e capitale per unità di lavoro
effettiva sarà:

Il livello di investimento necessario per mantenere un dato livello di capitale per unità di lavoro
effettivo è dato da: 𝐼 = (𝛿 + 𝑔𝐴 + 𝑔𝑁)𝐾
In modo più preciso, l'ammontare di investimento per unità di lavoro

La dinamica del capitale per unità di lavoro effettivo e del prodotto per unità di lavoro effettivo Per
(K/AN) , il prodotto per unità di lavoro effettivo è pari alla distanza AB. L’investimento è dato da AC.
L’ammontare di investimento richiesto per mantenere quel livello di capitale per unità di lavoro
effettivo è pari ad AD.
Poiché l’investimento eccede quanto richiesto, per mantenere costante il livello di capitale per unità
di lavoro effettivo K/AN aumenta.
Partendo da (K/AN) , l’economia si muove verso destra, con un livello crescente di capitale per per
unità di lavoro effettivo. In stato stazionario, il capitale e il prodotto per unità di lavoro effettivo sono
costanti e pari rispettivamente a (K/AN) e (Y/AN) .
0 0
In stato stazionario, il tasso di crescita della produzione è uguale al tasso di progresso tecnologico
(gA) più il tasso di crescita della popolazione(gN). Sia (gA) (gN) non dipendono dal tasso di
risparmio.
Di conseguenza, il tasso di crescita della produzione è indipendente dal tasso di risparmio. In stato
stazionario il prodotto per lavoratore cresce al tasso di progresso tecnologico.

EFFETTI DEL TASSO DI RISPARMIO


In stato stazionario il tasso di crescita della produzione dipende soltanto dal tasso di crescita
demografica e dal tasso di progresso tecnologico. Le variazioni del tasso di risparmio non
influenzano il tasso di crescita di stato stazionario, ma il livello di prodotto per unità di lavoro
effettivo.
In seguito all’aumento del tasso di risparmio, il capitale e il prodotto per unità di lavoro effettivo
aumentano per qualche tempo prima di convergere al loro nuovo livello.
Un aumento del tasso di risparmio genera una crescita più elevata fino a quando l’economia
raggiunge il suo nuovo sentiero di crescita bilanciata.

Contabilità della crescita


Prendiamo la funzione di produzione, e la riscriviamo in logaritmo

𝛼 1−𝛼 (1−𝛼)𝑙𝑛𝑁
𝑌=𝑧𝐾 𝑁 ⇒𝑙𝑛𝑌=𝑙𝑛𝑧+𝛼𝑙𝑛𝐾+

z è una misura del progresso tecnico; nel modello teorico avevamo A elevato a (1-α). Calcolo la
differenza tra il logaritmo di Y in t+1 e in t: ln𝑌 −ln𝑌 =ln𝑧 −ln𝑧 +𝛼(ln𝐾 −ln𝐾)+(1−𝛼)(ln𝑁 −ln𝑁)
Tutte queste variabili sono individuabili con particolari calcoli statistici. Questa contabilità della
crescita non tiene conto di un fattore importante che è il capitale umano, tratta le ore lavorate come
unica misura del fattore lavoro (in realtà il lavoro si potrebbe misurare anche dal lato della qualità).
Ma noi potremmo aggiustare questa relazione anche per tenere conto dell'accumulazione
di capitale umano. Il capitale umano tipicamente si misura con indici di scolarità.
La variabile z in realtà non si osserva, la differenza tra il logaritmo di Y e logaritmo di K e di N è data
da una variabile non osservata. Per quanto riguarda i parametri α e 1-α, se uso come punto di
riferimento la funzione Cobb-Douglas, io so che α è la misura della quota dei redditi da capitale in
un paese. Quindi cerco di capire se è confermato dai dati se questa quota rimane grossomodo
costante. A quel punto, siccome varia normalmente tra il 30 e il 40%, mi basta osservare i dati ed è
relativamente facile attribuire un valore ad α.
La variabile z non è osservata, ma noi la possiamo facilmente trattare come un residuo (infatti è
definita come residuo di Solow), perché dal modello di Solow poi diventa facile interpretare z e
soprattutto diventa facile interpretare il tutto in tassi di crescita (ovvero nelle differenze
logaritmiche).
Noi possiamo dire che concettualmente il tasso di crescita del prodotto nazionale è spiegato
dall'accumulazione di conoscenza (spiegata dal residuo di Solow, che non necessariamente è la
misura della tecnologia). Poi abbiamo che una parte della crescita è spiegata dall'accumulazione di
capitale, in proporzione al parametro α, e una parte di crescita è spiegata dall'accumulazione di
lavoro in proporzione al parametro 1-α. Qui abbiamo, come detto in precedenza, trascurato
l'accumulazione di capitale umano. Posto che la crescita è spiegata in questo modo, siccome non
osserviamo z ma solo le altre variabili, possiamo ottenere dall'osservazione delle altre variabili
(nell'ipotesi che possiamo fare rispetto al valore del parametro α) questa variabile non osservata
come il residuo di Solow. In realtà dovrebbe essere corretto per l'accumulazione di capitale umano,
però una volta fatto non cambierebbe la logica.

IL TFP
TFP (total factor productivity) spiega gran parte delle differenze di GDP per lavoratore. Un paese
può essere relativamente inefficiente perché:
• Usa tecnologie che non sono sulla frontiera tecnologica
• Usa la tecnologia efficiente in modo inefficiente, il lavoro può essere usato in modo
inefficiente, l’organizzazione delle imprese (qualità dei manager) può essere inefficiente, la
burocrazia può essere un ostacolo, I mercati possono funzionare male, le politiche possono
essere di cattiva qualità.
Nel contesto della contabilità della crescita, quando io guardo al livello del prodotto posso dire che il
livello di z dipende dall'efficienza del sistema e dal livello di conoscenza incorporato nei processi
produttivi. Posso produrre relativamente poco perché spreco gran parte dei fattori produttivi in attività
improduttive (cattiva qualità del management, inefficienza della burocrazia...) ho il lavoro qualificato
ma non lo uso bene... quando parlo della crescita conta come evolve il concetto di efficienza: la
qualità del management, l'inefficienza della burocrazia, sono variabili che variano poco nel tempo.
Mentre il progresso tecnico continua a variare.
Però esiste una relazione: è possibile che una inefficienza rallenti la crescita del progresso tecnico
incorporato. Quindi l'inefficienza impatta per via diretta sul livello di z molto di più di quanto non
impatti sul tasso di crescita di z; però indirettamente l'inefficienza del sistema può indurre a
incorporare relativamente poco gli effetti della crescita potenziale della conoscenza.
Le determinanti socioeconomiche e tecno-manageriali della TFP sono
- L’efficienza socioeconomica dipende dalle istituzioni, regole del gioco, e dalle politiche
- Tecnologia e management; quali tecnologie si usano, come si usano, come sono organizzate
le imprese
LE DETERMINANTI DEL PROGRESSO TECNOLOGICO
La maggior parte del progresso tecnologico è il risultato dell’attività di ricerca e sviluppo (R&S) svolta
dalle imprese. In molti paesi avanzati la spesa in ricerca e sviluppo ricopre tra il 2 e il 3% del Pil. Uno
dei grandi limiti del modello di Solow è che il modello non tratta in modo soddisfacente le attività di
ricerca e sviluppo, che nei fatti risultano endogene al sistema produttivo.

I livelli di spesa in R&S dipendono da:


• La fertilità del processo di ricerca, perché il sistema è inefficiente. La fertilità della ricerca
indica la misura in cui la spesa in ricerca e sviluppo si traduce in nuove idee e nuovi prodotti.
La fertilità della ricerca dipende dall’interazione tra ricerca di base e ricerca applicata. La ricerca
di base non conduce di per sé al progresso tecnologico, ma è determinante per il successo di
quella applicata. Il sistema educativo ha chiaramente un ruolo importante nello sviluppo e nel
successo della ricerca di base. Le potenzialità di una scoperta si realizzano pienamente solo
dopo un certo periodo di tempo.
• L’appropriabilità dei risultati della ricerca; l’Italia spende in R&D è la metà dei paesi europei
che hanno un reddito procapite paragonabile con il suo? Perché è così modesto, sia a livello
di imprese private che a livello della scelta di base finanziata dal governo. Se le imprese non
possono appropriarsi dei profitti generati dai nuovi prodotti, gli investimenti in ricerca e sviluppo
diminuiranno e il progresso tecnologico subirà un rallentamento. L’appropriabilità dipende da:
• La natura del processo di ricerca
• Il grado di protezione accordata ai nuovi prodotti dalla legislazione dei brevetti

INNOVAZIONE VS IMITAZIONE
Risulta rilevante compiere la distinzione tra crescita per innovazione e crescita per imitazione.
Per sostenere la crescita economica, i paesi avanzati devono innovare.
I paesi più poveri possono invece limitarsi a imitare per crescere, in quanto ancora lontani dalla
frontiera tecnologica. Ciò spiega perché alcuni paesi tecnologicamente meno avanzati abbiano una
legislazione insufficiente in termini di brevetti.
La crescita economica è determinata da numerosi fattori. Tra questi, le istituzioni svolgono un ruolo
chiave. Quando gli economisti parlano di istituzioni, si riferiscono principalmente alla protezione del
diritto di proprietà. Se per esempio i diritti di proprietà sono fortemente tutelati, gli individui sono
maggiormente incentivati a investire in capitale e tecnologia. In concreto, “protezione dei diritti di
proprietà” significa: un buon sistema politico, un buon sistema giudiziario, leggi contro l’insider
trading, leggi che proteggano i brevetti, leggi antitrust, apertura al commercio internazionale,
educazione e allocazione dei talenti (conviene lavorare in uno studio notarile o in una società di
biotecnologie? Stabilità politica? Accesso all’istruzione?)

TEORIA DELLA CRESCITA ESOGENA


Sviluppo del modello di Solow, che riprende le questioni relative alla crescita endogena.
Fatto: se prendiamo il 10% dei paesi più ricchi del mondo, essi hanno un reddito medio procapite 10
volte superiore al livello dei redditi dei paesi che sono nel 10% più poveri. Abbiamo un confronto tra
USA, Giappone e Germania, contro India, Indonesia e Nigeria. Esiste una differenza e sta nella
qualità della vita, nella quantità di lavoro.

Teoria neoclassica (modello di Solow)


In stato stazionario con variabili definite in unità di lavoro efficiente, n=tasso di crescita della
popolazione, e g=tasso di crescita della produttività. Abbiamo che Y*=f(K*) e i risparmi sono identici
al BREAK-EVEN investment: Sf(K*)=(n+g+𝛿)K*

Il modello di Solow riporta 5 importanti previsioni:


1. Nel lungo periodo, l’economia si avvicina allo stato stazionario, che è indipendente dalle
condizioni iniziali.
2. Il livello di stato stazionario dipende dal tasso di risparmio e della crescita della popolazione
(alto tasso di risparmio, alto livello di steady state di prodotto pro capite; alto tasso di crescita
della popolazione, basso livello di steady state di prodotto pro capite). L'economia ha un
reddito, salario, capitale che cresce sempre perché crescono popolazione e conoscenza. Se
le economie partecipano a un mercato dei beni integrato e se il tasso di crescita delle pop è
lo stesso, nel lungo termine i paesi convergono allo stesso livello di prodotto pro capite. Le
economie più arretrate (cioè sono entrate nel mercato internazionale dopo) hanno un minore
capitale pro capite, ma crescono più velocemente.
3. Il tasso di crescita del reddito pro-capite dipende solo dal tasso del progresso tecnologico,
non dipende dal tasso di risparmio e dal tasso di crescita della popolazione.
4. Nello stato stazionario, lo stock di capitale cresce allo stesso tasso del reddito, quindi il
rapporto capitale/reddito è costante. È una situazione di crescita bilanciata: le relazioni tra
le variabili rimangono costanti. Nello stato stazionario tutto si muove ma all'unisono, Y e K si
muovono allo stesso modo, il salario si muove come si muove la produttività e il prodotto
procapite si muove come si muove il salario.
5. Nello stato stazionario, il prodotto marginale del capitale è costante, mentre il prodotto
marginale del lavoro cresce al tasso del progresso tecnologico. È evidente che il prodotto
marginale del capitale non è una variabile con un trend crescente connesso alla produttività,
viceversa il salario segue la dinamica della produttività.
La semplicità del modello neoclassico, insieme alla capacità di fornire delle “ragionevoli” previsioni,
ha permesso di occupare un posto importante fra gli strumenti della macroeconomia.

Critiche al modello di Solow:


1. Nello stato stazionario del modello neoclassico, tutta la crescita è dovuta alla tecnologia,
che però è considerata esogena. Una larga parte della crescita delle economie sviluppate
è spiegata dalla crescita della produttività totale dei fattori e soprattutto, la crescita del reddito
procapite è spiegata da qualcosa che il modello non spiega. Dobbiamo quindi investigare
che cosa fa crescere la produttività dei fattori. La crescita della conoscenza, applicata al
sistema produttivo, in qualche modo deve essere connessa agli incentivi economici (sia a
produrre conoscenza, sia ad applicarla). Ci sono dei limiti, la conoscenza evolve
gradualmente (a volte ci sono dei salti, le cosiddette rivoluzioni tecnologiche... c'è una certa
erraticità dello sviluppo della conoscenza). Cosa determina la crescita della conoscenza
applicata al processo produttivo? (ci sono due fasi: produrre conoscenza e applicarla al
processo produttivo).
2. Da questa critica muovono anche le motivazioni a favore della recente teoria di crescita
endogena: lo sviluppo della conoscenza applicata al processo produttivo è endogena .
L’accelerazione del progresso tecnologico dipende anche dalla consapevolezza di poter
trasformare la conoscenza in reddito, ciò ha sviluppato degli incentivi a produrre più
conoscenza .
3. Lo scopo da perseguire non è spiegare l’esistenza della crescita economica, ma piuttosto la
variazione della crescita economica che osserviamo fra i diversi paesi e nel tempo. Perché
in Italia la crescita è fortemente rallentata?
4. Usare il modello neoclassico per spiegare la variazione internazionale nella crescita, richiede
l’assunzione che i differenti paesi abbiano la stessa funzione di produzione. Il modello di
Solow si basa su questa ipotesi, ma c'è chi fa notare che non è così: ci sono differenze
nell'utilizzo della tecnologia. In risposta al modello si solow:
• Alcuni dicono che il modello neoclassico ha un valore normativo, cioè fissa uno standard
- se creiamo dei mercati integrati con tecnologia esogena, otterremo le previsioni del
modello neoclassico . Il motivo per cui in alcuni paesi si usa la pala e in altri il bulldozer,
e che in quelli poveri non riescono a creare un mercato sufficientemente integrati. La
tendenza dei paesi ricchi è quella di creare ricchezza attraverso l'elaborazione di dati .
• Altri dicono che Il sistema economico è efficiente ma genera comunque disparità . È un
meccanismo endogeno che genera differenziali nel reddito pro capite.
Problemi per il modello neoclassico:
• L'importanza delle differenze internazionali: abbiamo visto prima i dati, per moltissimi
paesi non c'è convergenza. Incorporiamo la possibilità che una economia possa
continuare a crescere sulla base del proprio tasso di risparmio (rompiamo questo primo
risultato del modello di Solow). Poi analizziamo un modello con due settori: un settore
per il consumo e un settore per la conoscenza (come si fa a produrre conoscenza?).
Inoltre, l'accesso alla tecnologia non è simultaneo per tutti i paesi.
• Il tasso di convergenza.

IL TASSO DI CONVERGENZA

Convergenza: tendenza delle economie povere a crescere più rapidamente delle economie ricche.
È implicito nel modello di Solow, ma non è nei dati. Il fatto di avere lo stato stazionario nel modello
implica che si converga lì. Lo stato stazionario è una situazione in cui l'economia cresce con un tasso
di crescita bilanciato. Chi sta convergendo a quello stato stazionario deve crescere più velocemente,
e la velocità della crescita è dovuta ad una maggior accumulazione di capitale. La crescita dei poveri
deve essere più rapida dei paesi ricchi (anche se nella maggior parte dei casi non avviene).
Convergenza condizionata: ogni economia converge verso il proprio stato stazionario, determinato
dai propri tassi di risparmio e di crescita della popolazione. Vi possono essere differenze tra i paesi
che sono esogene, il modello è silente su queste cose. Se vi sono queste differenze gli stati
stazionari sono diversi anche se le tecnologie incorporate sono identiche. È una complicazione che
il modello di Solow può facilmente incorporare.
Nella realtà, anche quando si osserva una convergenza fra i paesi, questa è molto lenta rispetto a
quanto si osserverebbe con una semplice parametrizzazione del modello di Solow. Il modello
neoclassico prevede un tasso di convergenza più veloce rispetto alle stime ottenute in molti studi.

IL CAPITALE
Un punto di partenza può essere cambiare il concetto di capitale:
Tradizionalmente il capitale veniva inteso come lo stock di attrezzature e strutture (immobili,
capannoni, macchine). Il rendimento del capitale era dato dal profitto ricevuto dal proprietario delle
attrezzature.
Oggi il concetto di capitale è cambiato: una parte dei benefici che derivano dall'accumulazione del
capitale potrebbero derivare non solo dalle azioni che i proprietari del capitale mettono in atto, le loro
scelte di accumulazione individuali, ma anche da altro.
Il rendimento del capitale non è completamente internalizzato dal suo proprietario, è un tentativo di
andare oltre al modello neoclassico.
Questo ha a che vedere con il concetto di bene pubblico della conoscenza. Se l'accumulazione di
capitale comporta che si incorpori conoscenza nei nuovi beni capitali, ci possono essere poi delle
𝑎
esternalità. Supponiamo che una impresa individuale abbia una f di produzione: 𝑌𝑖 = 𝜃𝐾 𝑖 (dove θ
è un parametro che l'impresa prende come un dato, è la capacità del sistema di accumulare
capitale).
Inoltre, a causa dell'esternalità sul capitale, la tecnologia disponibile per ogni impresa è determinata
dal livello medio del capitale. Quindi la capacità di produzione è possibile che non sia interamente
competenza imprenditoriale interna, ma sia una funzione del livello medio accumulato nell'economia
che incorpora certe conoscenze.
𝑏
Più capitale c'è nell'economia, più produttivo è il capitale che io, imprenditore, sto usando: 𝜃 = 𝐾
Aumentando lo stock di capitale, si contribuisce ad aumentare l'efficienza media del sistema e non
mi approprio di tutti i benefici, perché non riesco ad internalizzare tutti i benefici.
Se aggrego attraverso tutte le imprese (come si fa nel modello di Solow) arrivo ad avere una
𝑎+𝑏 funzione
di produzione aggregata in cui ho aggregato il capitale, e avrò: 𝑌 = 𝐾
Il problema è che qui abbiamo un’esternalità derivante dall’accumulazione di capitale, perché i
proprietari delle imprese percepiscono una produttività marginale del capitale che dipende da A, non
da a+b. Si parla di esternalità positiva , fa si che la produzione (offerta) privata di capitale è troppo
bassa per il benessere collettivo.
L'appropriabilità dei rendimenti del capitale dipende dal parametro a: l'impresa accumula capitale e
domanda capitale fino a quando il prodotto marginale del capitale è uguale al rendimento che
l'impresa deve pagare sul mercato per i prestiti e i finanziamenti che ottiene più il deprezzamento
del capitale.
Ma per pagare il capitale l'impresa sostanzialmente si occupa dell'effetto di a: la produttività
𝑎−1
marginale del capitale per la singola impresa è 𝑀𝑃𝐾𝑖 = 𝑎𝜃𝐾
𝑎+𝑏−1
Mentre dal punto di vista sociale, il prodotto marginale del capitale è: 𝑀𝑃𝐾 = (𝑎 + 𝑏)𝐾
Questa è l'essenza della natura di bene pubblico dell'accumulazione di capitale. Quindi a parità di
capitale le imprese si muovono con una produttività marginale del capitale percepita pari a
𝑎−1
𝑎𝜃𝐾
E le scelte di investimento sono tali da produrre una accumulazione di capitale che sarebbe troppo
bassa rispetto a quella socialmente desiderabile, come sempre avviene quando vi è produzione
privata di beni pubblici con esternalità positive. Si accumula capitale che incorpora conoscenze e
quindi si genera conoscenza come esternalità positiva e quindi la domanda privata di capitale è
troppo bassa, rispetto a quella che sarebbe socialmente efficiente. Avere più capitale è benefico dal
punto di vista sociale.
Un punto importante è che se noi usiamo questo ragionamento, la natura di bene pubblico
dell'accumulazione di capitale è limitata all'interno dei paesi o dei gruppi di paesi (importante l'idea
di mercato unico e integrazione economica). E questo spiega la presenza di differenze tra i paesi.
Può essere che il problema che limita la natura di bene pubblico sia l'insieme delle regole che
generano le scelte: magari la conoscenza sarebbe teoricamente accessibile, ma gli incentivi per
potersene appropriare sono distorti, e quindi l'economia non può crescere.

IL CAPITALE UMANO
In passato si faceva riferimento solo al concetto di capitale fisico (macchinari, impianti...). In realtà il
capitale umano rappresenta una delle più importanti forme di acquisizione di abilità e capacità
produttiva. C'è complementarità tra aumento del capitale fisico e sviluppo del capitale umano. Il
capitale umano richiede istruzione e formazione professionale, ovvero l'applicazione dell'istruzione
a singoli contesti.
Se usiamo il modello neoclassico tradizionale sottostimiamo la quota di capitale; ci sono degli studi
della ricerca economica che sono andati a misurare l'effettiva dimensione dello stock di capitale
umano, e in effetti le differenze negli standard di vita tra i paesi ricchi e quelli poveri possono essere
spiegate non solo dalla differenza di accumulazione di capitale fisico ma anche dalla differenza di
accumulazione del capitale umano.
Se i paesi differiscono nella capacità di accumulare capitale umano (es consumo di educazione,
bene soggetto a esternalità - domanda privata troppo bassa) , possono avere diversi modi di
accumulare capitale.
Teoria della crescita endogena
Negli studi più recenti, si è cercato di sviluppare modelli di crescita persistente evitando l’assunzione
del progresso tecnologico esogeno.
Un primo stadio dell'analisi si può raggiungere utilizzando la cosiddetta funzione di produzione Y=AK
Il modello AK
Dal punto di vista matematico, se ipotizziamo che i rendimenti derivanti di scala dall'accumulazione
del capitale procapite non sono decrescenti usciamo dalla trappola del modello di Solow. Ipotizzando
ciò, alla fine ci troviamo con una situazione in cui potremmo avere dei rendimenti di scala crescenti:
se questa è l'ipotesi che facciamo quando analizziamo il comportamento delle singole imprese, viene
meno l'ipotesi di mercato concorrenziale. In questo caso la produttività aumenta all'aumentare della
scala, quindi se qualche impresa guadagna un vantaggio competitivo sulle altre, spiazza i
concorrenti. Se adottiamo in modo meccanico questo approccio, alla fine una sola impresa
guadagna tutto il mercato. Inizialmente non si riusciva a trattare bene questo problema. In realtà,
utilizzando il concetto di esternalità si può trattare questo problema, ma lo vediamo dopo.

La funzione di produzione è una Cobb-Douglas: Y = A𝐾𝛼𝑁1−𝛼


𝛼−1 1−𝛼 𝛼−1
E il prodotto marginale del capitale è: 𝑀𝑃𝐾 = 𝛼𝐴𝐾 𝑁 = 𝛼𝐴𝐾 𝐾 Se

𝛼=1⇒𝑌=𝐴𝐾 e 𝑀𝑃 =𝐴

Quindi il modello AK genera una crescita anche se A è costante: nel nostro modello di Solow
l'equilibrio in stato stazionario non c'è più, ma se abbiamo che 𝑠𝐴 > 𝛿 + 𝑛 (ovvero i risparmi
crescono di più del BREAK- EVEN investment), il reddito crescerà sempre, anche senza
l'assunzione del progresso tecnologico esogeno.

Per avere crescita indefinita nel tempo, anche se A non cresce (dove A è il parametro che definisce
la conoscenza), i risparmi restano comunque superiori del break-even investment, e quindi
l'economia continua a crescere. Basta avere sufficiente risparmio. Quindi il tasso di risparmio
genera crescita. Potremmo ipotizzare che l'esternalità positiva α=a+b, porti i rendimenti marginali
dell'accumulazione del capitale a costanti (anche questo va sottoposto a verifica). Se b è abbastanza
grande, (a+b) può arrivare ad 1, quindi arrivo ad avere un modello AK. Il modello AK ci dice che
possiamo uscire dai vincoli del modello di Solow se arriviamo ad avere una produzione in cui la
produttività marginale del capitale non diminuisce quando aumenta l'intensità del capitale.
In realtà la letteratura sulla crescita endogena è andata oltre a questo semplice approccio: abbiamo
modelli con più di un settore di produzione; un settore che produce beni e servizi (per il consumo e
accumulazione di capitale) e un altro che produce innovazioni nella tecnologia. Un altro sviluppo
riguarda la costruzione di modelli in cui si va a fondo sulle decisioni microeconomiche che producono
conoscenza.

Un esempio di crescita endogena


L'economia prevede due settori:
1. Imprese "manifatturiere", producono B/S usati per il consumo e l'accumulazione di capitale
2. Settore "ricerca" produce un fattore di produzione chiamato Conoscenza, usato in entrambi
i settori

Questa economia presenta dei rendimenti di scala costanti.


La funzione di produzione della conoscenza: 𝐻=𝑔(𝑢)𝐿 𝐻; 𝜙<1
Dove u è la frazione di forza lavoro nelle università (ma anche nelle imprese... è il settore di
produzione della conoscenza), H è lo stock di conoscenza dell'economia (conoscenza
accumulata).
(𝐻)e𝑔 >0,𝑔(𝑢) è una funzione che ci dice come cambiare la frazione di forza lavoro che occupiamo
nel settore di produzione della conoscenza. Questa frazione di forza lavoro in qualche modo viene
applicata allo stock di forza lavoro (𝐿 𝜙).
Il tutto viene poi moltiplicato per H. Così se divido entrambi i membri per H posso dire che il tasso
di crescita proporzionale della conoscenza invece che essere esogeno è una funzione della quota
di lavoro impiegata dove si produce conoscenza moltiplicata per una funzione dello stock di
popolazione. Essendo poi 𝜙 < 1, l'incremento della popolazione (a parità di quota impiegata per la
ricerca) produce un effetto benefico sulla produzione di conoscenza ma con dei rendimenti
decrescenti. Quindi uno dice "ma perché se aumenta la popolazione aumentano anche le idee?";
perché ci sono persone che hanno abilità innate a produrre nuove idee, quindi più aumenta la
popolazione più la quota di questo tipo di persone cresce. Oppure più aumenta la popolazione e
più gli stimoli crescono ed è più probabile che qualcuno abbia l'illuminazione.
𝑌 = 𝐹[𝐾, (1 − 𝑢)𝐻𝐿]
La funzione di produzione è una funzione che a quel punto dipende dallo stock di capitale fisico, da
(1 − 𝑢), che è la quota di lavoratori impiegati nella produzione manifatturiera di beni e servizi,
moltiplicato per lo stock di conoscenza cumulato H, moltiplicato per il totale della popolazione ([𝐿(1
− 𝑢)] è lo stock di lavoro per produrre beni e servizi. Nella funzione di produzione della conoscenza
abbiamo una cosa un po' diversa, perché abbiamo che u impatta sulla creazione di conoscenza in
base ad una certa tecnologia di produzione della conoscenza. Poi il tutto dipende anche dal
numero di persone presenti nell'economia.
Poi abbiamo una accumulazione del capitale, che è quella che conosciamo: 𝐾 = 𝑠𝑌 − (𝛿 + 𝑛)𝐾
Questo modello è dovuto a Paul Romer, che ottenne anche il Nobel per l'economia. I lavoratori si
muovono liberamente tra settore dei beni e produzione di ricerca (modo per semplificare il modello,
non vuole essere un ostacolo). C'è un unico salario di equilibrio (abbiamo definito la condizione di
equilibrio del mercato del lavoro). Quindi il prodotto marginale del lavoro deve essere identico nei
due settori (perché c'è un solo salario). Questa è una condizione molto importante perché ci dice
come si allocano i lavoratori nei due settori

Caratteristiche microeconomiche del modello di Romer:


Le imprese colgono solo una parte dei benefici della loro attività, perché una volta creata e venduta
la conoscenza questa diventa di dominio pubblico (c'è una esternalità, e quindi ci sarà un incentivo
a stimolare la produzione di conoscenza). Inoltre, la produzione di conoscenza cumulata è la base
per produrre nuova conoscenza, quindi ci saranno altre imprese che producono ricerca che potranno
usarla per produrre ulteriore nuova conoscenza in futuro. Le imprese che producono conoscenza
non internalizzano né l'esternalità né il fatto che l'innovazione di oggi produrrà innovazioni domani.
La non appropriabilità dei benefici ha due effetti:
1. Ad un costo bassissimo (tenendo conto dell'esternalità corrente e quella sul futuro) è
possibile andare avanti a costruire nuova conoscenza
2. Se la conoscenza di oggi dipende dall'investimento che si fa, questo deprime l'investimento.
Questo è il dilemma di politica economica relativa all'innovazione: vogliamo una diffusione
massima della conoscenza perché questo porta ad altra conoscenza (l'H che si trova nel lato destro
della funzione di produzione della conoscenza lo spiega bene); dall'altra parte quanto più facile è
copiare l'innovazione tanto minore è l'incentivo ad innovare. Bisogna trovare un punto di equilibrio
tra i due obiettivi. Si tratta di misurare il valore dell'esternalità, e non è impossibile. C'è una analogia
con il modello AK: anche questo genera crescita perpetua perché dato u di equilibrio, nel lungo
periodo con questa funzione di produzione della conoscenza, il tasso di
𝜙 crescita
della conoscenza (𝐻/𝐻) non è altro che questo termine: 𝑔(𝑢)𝐿
U è un variabile compresa tra 0 e 1. La crescita a della pop può aumentare il tasso di crescita, questa
ipotesi non consente di spiegare perché alcuni paesi crescno più degli altri, quanto è maggiore la
pop, maggiore è il numero di persone che contribuiscono allo sviluppo della conoscenza. Ma
guardando alle differenze tra paesi non sembra che questo accada . Questa ipotesi vale se
consideriamo la crescita dell’economia globale.
Abbiamo un limite superiore per quanto riguarda il numero di lavoratori nel settore della ricerca: più
persone mettiamo nella ricerca, più acceleriamo il processo di crescita. Ma abbiamo un trade off:
aumentando u, produciamo meno beni e servizi di consumo oggi e abbiamo meno risorse da
accumulare. Più lavoro mettiamo nella ricerca più ci aspettiamo un aumento di reddito nel futuro, ma
meno risorse abbiamo per consumare oggi. Così come se aumentiamo la percentuale di giovani che
vanno all'università rallentiamo il loro ingresso nel settore produttivo.
Abbiamo una crescita di stato stazionario che vale anche se la popolazione non cresce: quindi
abbiamo l'equivalente di un modello AK in cui però non abbiamo un meccanismo meccanico del
modello, ma abbiamo qualcosa che dipende da come la società alloca le risorse tra produzione di
beni e servizi e produzione di conoscenza (sapendo dell'esistenza di vari trade off).
Con il modello di Romer si ottiene, distinguendo il settore di beni destinati al consumo e un settore
che produce ricerca, possiamo costruire uno stato stazionario in cui abbiamo reso endogeno il
progresso tecnologico. La conoscenza è un bene pubblico, e alle imprese che producono ricerca
deve essere concesso un potere monopolistico. Nel sistema c'è un trade off tra presente e futuro.
Nel modello, inoltre, la crescita della conoscenza futura dipende dalla conoscenza corrente, ma chi
produce conoscenza oggi non si appropria dei benefici futuri e la produzione privata di ricerca è sub-
ottimale. Se non creiamo una protezione dei diritti di proprietà non ci sono incentivi per promuovere
la conoscenza. Chi investe oggi in conoscenza, proprio per via della natura del bene pubblico, non
incorporerà tutti i benefici futuri---> importante intervenire e sussidiare la ricerca. La tutela dei diritti
di proprietà (brevetti) rafforza gli incentivi a investire in ricerca (corregge l'esternalità
contemporanea). Ma questo limita la diffusione dei frutti della ricerca e la loro fruibilità sociale (effetti
avversi del potere monopolistico). I brevetti non risolvono il problema, il potere monopolistico è un
potente incentivo attraverso la formazione di profitti all'investimento in innovazione, ma al tempo
stesso il potere monopolistico, distorcendo la concorrenza, limita la fruibilità sociale dell'innovazione.
Il modello di Solow diceva di dare la tecnologia a tutti e il capitale andrà la dove è più scarso e ci
sarà convergenza. Se non c'è convergenza vuol dire che ci sono diversi assetti culturali, tasso di
crescita della popolazione, tasso di risparmio... ci possono essere differenze per cui alcuni paesi non
riescono ad essere sulla frontiera tecnologica, oppure paesi che innovano e paesi imitatori, che
arrivano dopo e hanno livelli di reddito procapite più basso.
Il caso in cui invece di avere convergenza, possiamo avere un modello in cui quello che determina
la divisione tra i paesi è basato su un convoglio o uno stormo di uccelli in volo: nel convoglio abbiamo
una sequenza di carrozze, in cui l'ordine non cambia.
Analizziamo un modello in cui la capacità di produrre ricerca è diversa: un modello di questo tipo si
sviluppa solo se è stato costruito un modello di crescita endogena, è una sua estensione. Nei paesi
leader esiste un tasso di crescita definito da g (percentuale di persone occupate nel settore che
produce ricerca e il tasso di crescita della popolazione in quell'area, ed è contraddistinto dalle
specifiche caratteristiche di quel paese... il modello non ci dice perché è leader, potrebbe essere un
processo consolidato, si consolida un bagaglio di conoscenza su cui si innesta un meccanismo di
sviluppo). Es: sport (basket o calcio), abbiamo squadre che hanno ruolo di leadership, come si fa la
competizione? C'è un mercato dei calciatori. Se possiamo trasferire giocatori, una squadra può
scalare, arrivare in vetta alle classifiche mondiali (il Paris Saint Germain è un chiaro esempio).
Possiamo immaginare dei meccanismi simili anche per il mercato economico?
Nel paese leader abbiamo un tasso di crescita della produttività definito nel modello di crescita
endogena pari a g.

𝑑𝐴𝑡/ 𝑑𝑡 = 𝑔𝐴𝑡
I paesi follower hanno una capacità di sviluppare tecnologia con un coefficiente pari a 𝜆𝑗
(pensiamo agli USA e all'india, oppure al Messico: essi sviluppano tecnologia e poi possono imitare).
La crescita della conoscenza del paese dipende dalla conoscenza presente nel paese e dal gap
presente rispetto ai paesi leader (𝐴𝑡 − 𝐴𝑗𝑡 è il gap: il livello di conoscenza nel periodo t prodotto nel
paese leader e il livello di conoscenza prodotta dal paese j nello stesso periodo t).

Sappiamo inoltre che la conoscenza è tutelata dai brevetti (è un bene pubblico all'interno dei paesi,
ma il suo trasferimento è limitato).
Che vincoli abbiamo? 𝜎 deve essere positivo: quanto più il paese j è lontano dalla frontiera, tanto più
tende 𝑗 a crescere (catching up, riprende l'idea di Solow con la differenza che la conoscenza non
viene acquisita istantaneamente, ma si tende a recuperare). L'altro coefficiente importante è la
capacità di sviluppare conoscenza autonomamente, λj, che è minore di g, perché il paese leader
crea autonomamente conoscenza ad un tasso più rapido (il leader non copia da nessuno per
definizione, perché cresce più velocemente degli altri; gli altri paesi hanno una minor capacità di
accumulare conoscenza autonomamente nel tempo ma possono imitare). 𝜎 è la capacità di imitare
(la conoscenza del paese j cresce in relazione al gap), mentre 𝜆 è la capacità autonoma di crescere.
Questa condizione ha una soluzione che non vediamo analiticamente: il paese leader cresce al tasso
g; il paese j (imitatore) cresce ad un tasso g, ma ad un livello di conoscenza che è proporzionale al
paese leader, e il coefficiente di proporzionalità è soggetto a delle condizioni: se λj = g, i due paesi
sarebbero identici come capacità di produrre conoscenza, e avrebbero lo stesso livello di
conoscenza procapite, a prescindere dal fatto che uno parta prima o dopo. Se la capacità autonoma
di produrre conoscenza λj < g, a quel punto il livello della conoscenza Ajt è più piccolo del livello di
conoscenza del paese leader (At).
In stato stazionario non c'è convergenza nella capacità di sviluppare tecnologia nel proprio paese
(la tecnologia disponibile del paese non è la stessa).
- In stato stazionario il paese leader cresce al tasso g
- La soluzione matematica mostra che in stato stazionario

Il coefficiente di proporzionalità è soggetto alle condizioni:


1. Se λj= g i due paesi sarebbero identici in produzione di conoscenza, e avrebbero lo stesso
livello di conoscenza pro-capite.
2. Se λj<g la crescita tecnologica è minore quindi in stato stazionario non sono allo stesso
livello
Abbiamo commentato la differenza fra il parametro g e il parametro λ , riflettiamo sul parametro 𝜎 :
se la j𝑗 conoscenza fosse un bene pubblico 𝜎 dovrebbe essere infinito. Perché se Ajt è più basso di
At, 𝑗 automaticamente la conoscenza si trasmette ma se 𝜎 va ad infinito, l'unica soluzione è che Ajt
sia uguale ad 𝑗 At. È una caratteristica estrema del modello. Quindi un paese è tanto più vicino al
leader tanto è più bravo ad imitare e quanto più è capace di sviluppare tecnologie autonomamente.
Si possono seguire anche strategie diverse per avvicinarsi ai paesi leader: possono esserci
combinazioni diverse di 𝜎 e λ che però 𝑗j danno uguale rapporto Ajt su At. Possono esserci paesi più
imitatori ma meno innovatori. Consideriamo ad esempio nel secondo dopoguerra gli USA, la GB e il
Giappone: USA sono il leader, tuttavia la GB è un paese con eccellenti università, in diretta
competizione con gli USA; però il livello del reddito procapite in Giappone ha raggiunto e superato il
livello del reddito procapite nel regno unito. È successo che il Giappone è stato per lungo tempo un
paese con una formidabile capacità di applicazione delle tecnologie importate (che il regno unito non
aveva, e la sua economia non cresceva moltissimo)

Grafico: rapporto tra i due livelli tecnologici dei paesi a mano a mano che ci si avvicina allo
stato stazionario.
Se il paese parte tardi, non aumenta soltanto lo stock di capitale (a differenza del modello di
solow, dove ciò che è importante è solo l'accumulazione di capitale) ma in questo modello è
anche il livello della conoscenza del paese follower che piano piano si avvicina al paese
leader arrivando ad un rapporto costante tra Aj e A nello stato stazionario. Nel grafico qui

soMo quindi, 𝜎𝑗 / 𝜎𝑗+𝑔−𝜆𝑗 , ovvero il rapporto tra Ajt+ e At, è uguale a 0.8 (data la
parametrizzazione). Il paese ha un 𝜆𝑗 < 𝑔, ma imita, quindi alla fine converge ad un rapporto di 0.8 (la convergenza può essere un
rapporto abbastanza lento). Imitando compensa il faMo di essere meno innovatore.

Il follower sta sempre soMo, ma segue un percorso simile (il


rapporto rimane costante)

Cosa determina la convergenza? Usiamo il modello con intuito Il


paese leader si trova in stato stazionario e cresce al tasso costante g. Il paese follower è
contraddistinto da uno stato stazionario in cui il rapporto sarà 0.8. Cosa mi fa cambiare questo
sentiero di convergenza, cosa determina il fatto di stare sotto o sopra la linea rossa (sentiero di
convergenza)? A parità di 0.8, deve essere perché 𝜎 è grande o piccolo (e 𝜆 si muove in direzione
opposta): convergo più rapidamente quanto più grande è 𝜎; infatti se dividiamo tutto per Ajt

Questo modello dice: se il paese è un imitatore, e parte da un livello basso, acquisirà conoscenze
imitando esattamente come accumula capitale più rapidamente del paese in stato stazionario fino a
convergere al livello di crescita.
La differenza tra il modello di Romer e il modello di Solow è che nel modello di Romer si converge
allo stesso livello di crescita dello stato stazionario (con livelli di conoscenza, e quindi di reddito
procapite, differenti). Con il modello di Solow si converge allo stesso livello della conoscenza (che
per definizione è un bene comune accessibile a tutti) e con un medesimo livello di reddito procapite.
Questo è un modello che incorporando il meccanismo economico che porta alla produzione di
conoscenza, giustifica il fatto che i paesi hanno livelli di reddito pro capite diversi; ma spiega anche
la dinamica non solo del reddito ma anche della conoscenza, quando i paesi partono sfavoriti.
Nel modello di Solow la conoscenza è semplicemente un bene comune, qui la conoscenza è
parzialmente un bene comune (un paese produce conoscenza, e poi questa conoscenza può essere
acquisita da altri ma nel frattempo il paese leader continua ad innovare, quindi questo processo si
riproduce nel tempo).
E il modello dice che quando il gap è molto forte, il paese che è in ritardo riesce a colmare gran parte
della differenza, cioè il processo di acquisizione della conoscenza del paese imitatore è più rapido
del processo di creazione della conoscenza del paese leader; ma giunti al livello di stato stazionario
in cui il tasso di creazione della conoscenza del paese leader e follower sono uguali si e le differenze
sono cristallizzate. Questo è il meccanismo che ci permette di capire perché alcuni paesi sono
penalizzati. Tecnicamente, se un paese non riesce ad imitare e non è un buon creatore di
conoscenza, rimane un paese poverissimo dal punto di vista del TFP. Ci sono alcuni paesi in Africa
contraddistinti da un 𝜎 molto modesto e da un 𝜆 molto modesto. Sebbene la tecnologia sia
formalmente disponibile, non sono in grado di acquisirla nei processi produttivi. Il modello non dice
perché, ma ci dice dove guardare (le ragioni per cui il paese non cresce sono ... e rimane povero
rispetto agli altri)
I miracoli della crescita
Il modello può anche generare situazioni in cui un paese può modificare in modo permanente la sua
posizione relativa.
Una squadra può diventare grande stabilmente se si dota di risorse finanziarie sufficienti ad acquisire
i giocatori migliori, questo rende importante una squadra nel medio-lungo termine. Se applichiamo
questo concetto ai paesi...
Pensiamo nel secondo dopoguerra c'è una accelerazione importante nel processo di creazione di
conoscenza e cambia la struttura produttiva negli stati uniti. L’America che si specializza nella
produzione di conoscenza: questo accade perché molti intellettuali si sono spostati lì, così da attrarre
ricercatori in tutto il mondo: se un sistema attrae ricercatori è in grado di rafforzare il settore che
produce conoscenza. Poi bisogna che esistano altre caratteristiche dell'economia tali per cui la
conoscenza si trasmette alle imprese (non è spiegato dal modello), applicandole nel processo
produttivo. È possibile che cambino le gerarchie? Il modello dice che teoricamente potrebbe farlo.
Un paese che aumenta la sua capacità di imitazione, per definizione sarà per sempre un imitatore.
Ma ipotizzando la situazione di un paese che diventando un migliore imitatore diventa anche il
migliore nella produzione di conoscenza, attraverso politiche di
investimenti (per investimenti si intende proprio una modifica degli assetti istituzionali).
Prima la leadership della produzione della conoscenza era il regno unito (oltre ad essere più forte
nella produzione di conoscenze era anche più forte nella capacità di trasferirla alle imprese). Questo
crea i presupposti per una predominanza tecnologica (che poi è anche militare). Poi accade che la
leadership tecnologica è passata agli Stati Uniti: la realtà che questi processi non sono scolpiti nel
marmo, quindi è anche possibile che un paese declini nel tempo. E la Gran Bretagna non è declinata
perché ha perso le colonie: è il fatto di aver perso il ruolo di leadership ad averle fatto perdere le
colonie.
Dalla metà degli anni 80 abbiamo una rinascita dell'economia della Gran Bretagna: dovuto in parte
al governo della Thatcher ma anche ai massicci investimenti in capitale umano e conoscenza,
implementati dal Labour Party successivamente.
Il modello permette anche di dire qualcosa riguardo a cosa succede se si diventa più bravi a
apprendere (se per esempio si passasse da 𝜎𝑗 = 0.005 a 𝜎𝑗 = 0.04, 𝜎𝑗 aumenta di quasi 10 volte).
Abbiamo una situazione iniziale in cui la crescita è quasi piatta; al cambio di 𝜎𝑗 abbiamo un
incremento notevole della crescita). Non è facile da quantificare 𝜎𝑗...
Se un paese riesce ad accrescere il suo parametro sigma attraverso un incremento degli investimenti
in educazione o attraverso politiche che migliorano la capacità di usare la tecnologia (investimenti in
banda larga, digitalizzazione...)
Un messaggio importante è che per molti paesi il problema non è la capacità di sviluppare tecnologie
nuove bensì aumentare la capacità di apprendimento.
Cosa succede se si aumenta la capacità di apprendere? Improvvisamente, cambiando sigma si
cresce notevolmente. Il modello può dirlo anche quantitativamente, ma questo è un modello che dice
cosa ci si può aspettare, non fa previsioni accurate. Ovviamente è difficile stabilire cosa determina
l'aumento di sigma.

Se cresce σj, abbiamo una accelerazione della crescita fino ad un livello di


reddito rela5vamente più alto (abbiamo quindi una convergenza del reddito
pro capite). Un esempio è quello che è successo in Corea del Sud

Riflettendo ancora sulla ricerca


Sebbene la conoscenza sia un bene pubblico, la maggior parte della ricerca è effettuata dalle
imprese per motivi di profitto.
La ricerca è remunerativa perché le innovazioni conferiscono alle imprese una posizione temporanea
di monopolio. Le altre imprese costruiscono su quelle innovazioni le prossime innovazioni.
Studi empirici
Tipicamente, in un paper sulla crescita economica, si sceglie un campione di paesi e si decide per
una regressione cross-section. L'analisi combina l'aspetto temporale con l'aspetto trasversale delle
differenze tra paesi in uno stesso periodo temporale. Si può analizzare come le differenze tra paesi
cambiano nel tempo.
Sul lato sinistro: il tasso di crescita medio di ogni paese nel lungo periodo
Sul lato destro: un insieme di variabili che si ritiene possa influenzare il tasso di crescita (es reddito
pro capite, varie misure di capitale umano, ecc)
Sebbene sia impossibile riassumere la vasta letteratura, possiamo presentare alcuni risultati:
1. Un basso livello iniziale di reddito è associato a un conseguente tasso di crescita (le altre
variabili costanti)
2. La quota di output attribuita agli investimenti è positivamente correlata con la crescita
3. Le varie misure di capitale umano attribuite all’educazione sono positivamente correlate con
la crescita
4. La crescita della popolazione è negativamente correlata con la crescita dei redditi procapite:
più alto è il tasso di crescita della popolazione più basso è il reddito pro capite perché ci
vogliono più investimenti nello stato stazionario per dare a tutti lo stesso stock di capitale
procapite (Modello di solow). Ma una previsione del modello di Romer (simile a teoria
endogena) è che un tasso di crescita più rapido della popolazione significa avere più risorse
disponibili nella produzione di conoscenza e quindi una crescita più elevata. Abbiamo due
effetti che spingono in direzioni opposte. Interviene l'analisi empirica dicendo che prevale
l'effetto sottolineato da Solow: anche se la crescita della popolazione può aiutare la crescita
della conoscenza, l'elemento dominante della dinamica del reddito procapite è l'effetto
avverso della popolazione
5. L’instabilità politica è negativamente correlata con la crescita (non investo nel futuro).
Intuitivamente, c'è minor impegno nell'intraprendere strategie nel lungo periodo.
6. I paesi con mercati meno sviluppati, tendono ad avere tassi di crescita più bassi (si capisce
nel livello del reddito procapite): più abbiamo modelli monopolistici, c'è meno possibilità che
le innovazioni si diffondano. Spesso troviamo situazioni di corruzione.
7. I paesi con i mercati finanziari più sviluppati tendono ad avere tassi di crescita più alti .
Perché le persone tendono a spostare i loro risparmi in portafogli più produttivi.
È presente un nesso causale tra i punti precedenti. Però non necessariamente si identifica in modo
univoco: ci sono problemi di simultaneità o di causalità inversa. Ci può essere una variabile omessa,
oppure un nesso di causalità inversa: lo sviluppo di tecnologie permette lo sviluppo delle istituzioni
che consentono lo sviluppo di mercati finanziari.
Abbiamo paesi con assetti istituzionali molto diversi tra di loro (corea del sud e stati uniti): ci sono
varietà di capitalismo che ha portato alla crisi del Washington Consensus.

Crescita e istituzioni
Le imprese sono istituzioni economiche, delle entità organizzative in cui i rapporti interni hanno
caratteristiche gerarchiche, non di mercato. La prestazione dell'attività lavorativa non si caratterizza
come la vendita di un bene: la qualità dell'attività lavorativa è mossa da incentivi e dalle regole. Ci
sono istituzioni economiche che regolano i mercati... queste cose accadono perché esistono dei
costi di transazione (i comportamenti non sono totalmente identificabili, la realtà è diversa, i costi di
transazione hanno un ruolo predominante nella società). Le istituzioni economiche regolano i
mercati, incorporano le imprese. Poi abbiamo i corpi intermedi... le relazioni degli individui sono
regolate da elementi che non sono identificate con le canoniche relazioni di mercato.
Le istituzioni che abbiamo finora considerato erano quelle relative al funzionamento corretto del
mercato. Poi, parlando di equità, abbiamo detto che servono istituzioni che prescrivano come
redistribuire le risorse. Abbiamo detto che l'equità serve anche a promuovere la crescita nella misura
in cui garantisce le opportunità di accesso a chi avrebbe il merito. Abbiamo anche visto che maggiore
è la tutela dei diritti di proprietà, o quanto più basso è il rischio di espropriazione, tanto maggiore è
la crescita economica. Poi abbiamo anche guardato al problema della mobilità sociale, che
anch'essa dipende dalle istituzioni. Però non ci siamo mai posti la domanda del perché le istituzioni
siano importanti, o come si formano le istituzioni. Questa domanda si collega anche a perché in
alcuni paesi le istituzioni permettono che una cosa accade e in altri non accade? È un problema
tecnico governare il paese? Abbiamo bisogno di tecnici al governo? È colpa dei politici se una società
è inefficiente e non riesce a far crescere il TFP?

Istituzioni minime per i mercati


I mercati, per funzionare, hanno bisogno di istituzioni. Esempi tipici di istituzioni (minime) che
garantiscono il funzionamento dei mercati: diritti di proprietà e l’enforcement dei contratti. In assenza
di queste istituzioni, i mercati cesserebbero di funzionare o sarebbero soggetti a enormi inefficienze.
L’introduzione dei diritti di proprietà ha permesso lo sviluppo dell’economia. La Francia è passata
attraverso una rivoluzione, e anche UK attraverso un meccanismo che ha preservato la continuità
istituzionale, hanno trovato il modo di convergere i diritti di proprietà dalla nobiltà al terzo stato. Ciò
ha permesso il raggiungimento di efficienza del sistema economico.

Rodrick (2000, sulla p. web del corso) identifica complessivamente 5 istituzioni fondamentali per il
funzionamento del sistema economico:
Nel tempo si è sviluppato tra gli economisti un dibattito relativamente al ruolo delle istituzioni di
questo tipo. Rodrick identifica 5 istituzioni:
1. I diritti di proprietà (e di controllo delle imprese): possiamo avere un sistema che stabilisce
bene i diritti di proprietà ma che controllano poco le imprese, non si adottano le pratiche più
efficienti (quindi le imprese non prendono decisioni in modo efficiente);
2. Le istituzioni che regolamentano i mercati (es: l’antitrust, statuto dei lavoratori, ...). Il
liberismo inteso come laissez-faire della cultura francese dell'Ottocento che cosa produce?
Secondo alcuni l'assenza di questo liberismo ha prodotto un aumento del potere
monopolistico; secondo altri questo liberismo ha prodotto i monopoli, perché abbiamo avuto
un forte punto 1 (diritti di proprietà) e un debole punto 2 (regolamentazione dei mercati).
Come insegna Schumpeter, la tendenza intrinseca del meccanismo competitivo e innovativo
produce monopoli, e poi a quel punto ci deve essere una pressione concorrenziale che li
sgretola: senza questa fase due il sistema diventa statico;
3. Le istituzioni che consentono la stabilità macroeconomica (es: le banche centrali, la
politica fiscale);
4. Le istituzioni che provvedono a fornire l’assicurazione sociale (es: sistemi di welfare,
famiglia, le politiche di tutela della famiglia);
5. Le istituzioni che consentono la risoluzione pacifica delle controversie all’interno di un
paese (es: il sistema di leggi, i tribunali, il Parlamento - cioè allocazione monopolistica e
regolamentata dell’uso della forza)
Qui sta la descrizione di un paese potenzialmente florido.
Se guardiamo al panorama internazionale, i singoli stati sono caratterizzati da istituzioni molto
diverse. Come nascono ed evolvono le istituzioni? E la domanda connessa è che istituzioni diverse
danno diversi livelli di prosperità dei paesi? Chi ha iniziato questa letteratura è Douglass North.
L’uscita di Uk da UE deriva dal rifiuto di aderire ad istituzioni comuni.

Le istituzioni secondo Douglass North, premio Nobel per l’economia nel 1993
“Le istituzioni riducono il tasso di incertezza creando delle regolarità nella vita di tutti i giorni. Sono
una guida per i rapporti sociali e quando vogliamo salutare gli amici per strada, guidare
un’automobile, mangiare un’arancia, chiedere un prestito, seppellire i nostri morti, fare un affare o
qualsiasi altra cosa sappiamo come comportarci (o possiamo impararlo facilmente)” (North, 1990 e
1994)
Tre ingredienti importanti per definire le istituzioni:
• Vincoli formali (insieme di tutti i regolamenti, leggi, costituzioni) .
• Vincoli informali (sono norme di comportamento, codici di condotta adottati socialmente,
molto importanti). Abbiamo un sistema regolatorio e legislativo che privilegia i vincoli formali
a quelli informali. Nel mondo anglosassone il bilanciamento è diverso (vige il principio della
common law, basato sul consenso). Nei paesi non sviluppati occupano un grosso spazio
• Imposizione o applicazione della legge (enforcement)
Insieme determinano la struttura degli incentivi cui sono soggetti individui, famiglie e imprese.

Secondo le parole di North:


“Institutions are the rules of the game in a society or, more formally, are the humanly devised
constraints (= vincoli) that shape human interaction.” Le istituzioni VINCOLANO, sono i vincoli definiti
dagli esseri umani per dare forma alle interazioni sociali. C'è questa natura di vincolo: delle relazioni
sociali, dei comportamenti degli attori politici e degli attori economici.
“In consequence they structure incentives in human exchange, whether political, social, or
economic". Queste istituzioni, questa diversa definizione degli ambiti di discrezionalità determina
questi incentivi allo scambio politico, sociale ed economico.
“Le istituzioni, insieme alla tecnologia determinano i costi di transazione economica (che ha a che
vedere con lo scambio) e i costi di trasformazione (ha a che vedere con la produzione) e quindi la
profittabilità e la fattibilità di perseguire un’attività economica.”
Per questo sono così importanti quando si parla di crescita. Le cause fondamentali della crescita
sono proprio "le istituzioni, che formano la struttura dei incentivi di una società, e le istituzioni politiche
e economiche, di conseguenza, sono le determinanti di fondo della performance economica"
Si parla di cause approssimate della crescita (accumulazione capitale fisico, umano, la produzione
di nuova conoscenza...). Le cause fondamentali sono i meccanismi che regolano le interazioni tra
gli individui che ne determinano gli incentivi e li inducono ad accumulare capitale, capitale umano, a
produrre conoscenza. Quindi secondo questo approccio le istituzioni sono le cause fondamentali
della crescita
Costi di transazione
Un punto importante dell'analisi di North riguarda questo fatto, cioè che i costi di transazione sono
molto importanti e i costi di transazione si devono pagare perché permettono di capire che cosa si
scambia (problema di selezione avversa: abbiamo bisogno di definire i costi di transazione e questo
permette di trasferire i diritti di proprietà o il comportamento delle persone-moral hazard). Nel
mercato concorrenziale non ci sono costi di transazione, ma è lontano dalla realtà economica:
l'informazione è distribuita in modo asimmetrico tra gli operatori economici. Per poter trasmettere
l'informazione è comunque necessario un costo, non irrilevante.
Costi di specificare cosa viene scambiato e costi di imporre le condizioni dell’accordo (o contratto).
Questo permette di stabilire i diritti di proprietà...
Nei mercati ciò che viene specificato (misurato) sono delle caratteristiche valutabili dell’oggetto di
scambio (caratteristiche di tipo fisico e relative ai diritti di proprietà) o della performance dell’agente
(nell’ipotesi che oggetto di scambio sia una prestazione di lavoro)
La credibilità degli accordi dipendono dai meccanismi di enforcement, di applicazione, basata sulla
forza. La minaccia di una punizione esercitata da uno dei contraenti, nei confronti di chi non rispetta
l’accordo, genera la credibilità dell’accordo.
Questa è una soluzione inefficiente , perché richiede che i contraenti si paghino ‘l’esercito privato’
per ottenere del “rispetto del contratto” - questi sono i costi di transazione. È meglio allora avere un
sistema giudiziario che si occupa di punire chi non rispetta il contratto.
Questo sistema permane nei mercati illegali (es droghe). Chi vuole commerciarle deve esercitare un
grado di violenza necessario per far rispettare i diritti di proprietà. Il proibizionismo genera le rendite
adeguate per sostenere questi costi di transazione.
TEOREMA DI COASE
Ronald Coase (1960) dimostra che solo quando non esistono costi di transazione la soluzione
contrattuale ottima è indipendente da come sono assegnati i diritti di proprietà; inoltre, solo quando
non esistono costi di transazione tale soluzione massimizza il reddito aggregato, cioè è socialmente
efficiente. Pensiamo ai teoremi fondamentali dell'economia del benessere, sono un passaggio
fondamentale nel modo di ragionare sull'economia, ma definiscono qualcosa che non esiste (hanno
un valore normativo). Ci spiegano cosa dovrebbe succedere a certe condizioni, o dove vogliamo
arrivare potenzialmente, ma la realtà è un'altra.
Qui si apre un mondo: il tipo di relazioni tra le parti dipende dall'assegnazione di diritti di proprietà.
Quindi se vogliamo avere dei contratti ottimi, questi contratti ottimi dipendono da come sono definiti
i diritti di proprietà. Perché ci sono i costi di transazione, perché non conosciamo bene l'oggetto dello
scambio. Esistono poi problemi di efficienza.
Secondo il Teorema di Coase, se i costi di transazione sono non nulli, l’assegnazione dei diritti
di proprietà dipende anche dal potere contrattuale. La microeconomia classica lo confina ai
problemi di monopolio e oligopolio. Non è percepito come un fattore pervasivo che definisce il modo
in cui gli agenti economici interagiscono tra di loro. Quindi i diritti di proprietà e la loro distribuzione
diventano fondamentali per definire le norme contrattuali che regolano gli scambi e l'efficienza. Ma
allocare i diritti di proprietà significa generare distribuzione del reddito. L’assegnazione dei diritti
influisce sul risultato finale che quindi non è indipendente dal potere
contrattuale. I diritti di proprietà sono collegati alla distribuzione del reddito.
Il tema del salario minimo deriva da questo concetto - se i lavoratori non hanno potere contrattuale,
rischiano di percepire un salario minore dei costo marginale di produzione (salario minore di quello
efficiente)
PERCHÉ NASCONO LE ISTITUZIONI?
Le istituzioni come frutto di un processo endogeno
(Per approfondire si veda: Arpaia A. and Mourre G. (2009) Institutions and Performance in European
Labour Markets: Taking a Fresh Look at Evidence. European Economy, Economic papers n. 391).
Vengono proposte tre visioni.
L'approccio degli economisti relativamente canonico si concentra con la visione efficientista e su una
analisi della relazione di second best (=le istituzioni consentono di far funzionare l'economia di
mercato in ambiti dei quali l'approccio tradizionale degli economisti non può funzionare e spiegare
le relazioni tra le persone dentro le imprese, nei meccanismi di funzionamento dei mercati, e nella
istituzione di corpi intermedi - sindacati...). Importante l’aspetto sul conflitto distributivo
1. Visione efficientista
+ Secondo la visione neoclassica, il meccanismo concorrenziale e la disciplina imposta dalle
regole del mercato determinano delle condizioni analoghe a quelle di zero-costi di
transazione. È una impostazione, non è una teoria che è stata soggetta a verifica empirica,
è un assioma.
Secondo l’impostazione neoclassica quindi le istituzioni sono socialmente efficienti nel senso
che inducono i singoli ad un comportamento che è quello ottimale. Le imprese sopravvivono
nella misura in cui sono più efficienti, le altre vengono spinte fuori dal mercato. Le istituzioni
emergono perché servono alla società (altrimenti la società le abbandona) e portano gli
individui a adottare le scelte più efficienti. Gli attori hanno i giusti incentivi che li portano a
raccogliere l’informazione necessaria e a modificare il modello soggettivo – se in partenza
erroneo- in base al quale formulano le proprie scelte, fino a che non rispecchi quello corretto.
Si intravede un potenziale loop: il mercato efficiente produce gli incentivi affinché le imprese
più efficienti rimangano sul mercato e si produca l'esito preferibile-->mercato efficiente
richiede istituzioni efficienti-->istituzioni efficienti emergono in un contesto di mercati efficienti
per via degli incentivi cui gli individui sono soggetti, che vogliono istituzioni che permettono
di massimizzare il benessere. Ma è proprio così? Come nascono le istituzioni? Se falliscono
le istituzioni, ci vogliono dei complementi, non basta ricercare la perfetta concorrenzialità dei
mercati. Il modello istituzionale degli USA a livello federale è più efficiente rispetto all’Unione
Europea. Infatti il sistema federale permette di avere istituzioni più efficienti dal punto di vista
di integrazione del mercato e del sistema fiscale.
+ Il filone neo-istituzionalista, seguendo Coase (1937), ritiene che le Istituzioni economiche e
la struttura politica servano a contenere gli elevati costi di transazione. In particolare, la
struttura proprietaria (l’assegnazione dei diritti di proprietà) definisce un sistema di incentivi
necessari per l’efficienza. Coase applica al livello estremo il concetto di mercato
concorrenziale. Noi abbiamo un mercato che regola le transazioni tra le imprese, ma le
imprese non sono a loro volta dei mercati, perché l'impresa è una istituzione che risolve un
problema di transazione al suo interno (il sistema imprenditoriale è diverso da quello di
mercato, è gerarchico). L'impresa risolve il problema di costi di transazione, riempie il gap,
regola i rapporti interni tra manager, azionisti lavoratori... attraverso un sistema che non si
basa sul meccanismo di mercato.
LA RICERCA DELL’EFFICIENZA GUIDA L’EVOLUZIONE DELLE ISTITUZIONI. Esse vengono
poste in essere quando il beneficio di metterle in piedi è superiore al costo (applichiamo una
massima). Il problema viene quando la governance di un'impresa è regolata per legge (perché la
legge tutela i diritti di proprietà): quindi se vogliamo cambiare la governance dell'impresa è
necessario cambiare la legge.
2. Visione storica: conflitto sulle rendite:
Questo filone suggerisce che, quando introdotte, le istituzioni sono efficienti. Il problema, quindi, non
è la loro qualità, ma al massimo, la loro assenza o incompletezza. le istituzioni sono state create
ogni qual volta il beneficio di metterle in piedi era superiore al costo di introdurle.
3. Istituzioni come Second best: inefficienti ma razionali
C'è un approccio che tempera un po' questa visione efficientista, che è analogo al teorema di Lipsey
(non necessariamente andare verso il first best, in un contesto generalizzato di second best è la
cosa ottimale). Il monopolio riduce l'offerta, ma se ci sono esternalità negative dalla produzione che
non riesco a correggere, tollerare il monopolio può non essere una cattiva idea.

3a) Alcune istituzioni, inefficienti in un mercato concorrenziale, possono essere migliorative del
benessere in un mercato non concorrenziale.
Esempio: Regan prese di mira il sindacato dei controllori di volo, che avevano un potere
monopolistico con cui tutelavano i propri redditi, includendo una rendita monopolistica, ma
contribuivano a limitare lo sviluppo del settore aeroportuale. Lui quindi li licenziò tutti e poi li riassunse
senza potere contrattuale. Questo fu uno spartiacque delle relazioni sindacali, accelerò un processo
di declino del potere dei sindacati degli stati uniti. In Gran Bretagna successe qualcosa di simile
nell'ambito di un processo generale di ridisegno delle garanzie dello stato sociale, cercando di
riportare gli incentivi all'interno. L'elemento dominante della discussione era abolire le rendite
monopolistiche ed andare verso un mercato perfettamente concorrenziale. Ma se siamo in situazioni
in cui i lavoratori sono esposti al rischio e non possono fare i consumption smoothing (indebitarsi per
assicurarsi contro i rischi, ottenere un prestito dal mercato dei capitali in caso di disoccupazione,
così da poter cercare un nuovo lavoro), se questo non può funzionare bisogna sostituire, per avere
un sistema efficiente, questo meccanismo di mercato che non funziona per problemi di costi di
transazione, di selezione avversa e di azzardo morale, con altre forme di second-best. Altrimenti si
generano perdite di benessere sui lavoratori molto forti: non lavorando, oltre a stare peggio, perdono
skill e tutto il sistema ne risente. Nel tempo, si stanno rivalutando i corpi intermedi (come i sindacati)
senza che qualunque posizione che da potere
monopolistico sia auspicabile, è un problema di second best e ci sono dei trade off.
Ad esempio, in presenza di avversione al rischio dei lavoratori e di mercati dei capitali incompleti,
sistemi di protezione del lavoro (EPL-i sindacati) e sussidi di disoccupazione permettono di
assicurare i lavoratori contro le fluttuazioni di reddito e di mantenere costante il consumo
(consumption smoothing).
Questo elemento assicurativo però interagisce con il comportamento rent-seeking determinando
comportamenti opportunistici (es: disincentiva la ricerca di lavoro) e comprimendo il salario con
possibili effetti negativi sull’occupazione (Il risultato finale dipende quindi anche dall’effettivo disegno
delle istituzioni. Nell’esempio: ammissibilità, durata, entità del sussidio)
Nb: le istituzioni vanno considerate nel loro insieme. Non è un problema di avere istituzioni che
tutelino i diritti di proprietà, anche se questa carenza in alcuni paesi spiega tantissimo dei differenziali
di livello pro capite. Ma le istituzioni hanno una dimensione e ruolo più complesso. Una delle
implicazioni di questo approccio, applicata alla questione della crescita dei paesi, è la cosiddetta
letteratura sui tipi di capitalismo (o varieties of capitalism). Rodrick parla appunto di questo: abbiamo
27 paesi OCSE che sono i più ricchi. Primo, questi 27 trenta anni fa erano 12 ora, ma alcuni paesi
hanno raggiunto la convergenza e sono entrati nell'OCSE. Ma questi 27 hanno delle istituzioni e
meccanismi dei livelli di mercato e delle caratteristiche istituzionali, ad esempio, che riguardano i
corpi intermedi che sono molto diversi, hanno sistemi legali diversi. Questi paesi che hanno strutture
istituzionali di mercato molto diverse tra di loro, hanno raggiunto livelli di sviluppo economico
comparabili. Come è possibile, come interpretiamo noi queste differenze?
È una letteratura molto importante, a cavallo con altre discipline che spiega il problema della crescita
e dello sviluppo.

I SISTEMI LEGALI ALLA RADICE DI DIVERSI SISTEMI ISTITUZIONALI


Sistema legale francese ed inglese. I sistemi legali che traggono origine dal sistema anglosassone
appartengono alla tradizione della common law.
Il sistema francese (legato alla Rivoluzione francese): tradizione della civil o Roman law.
Si parla di queste differenze, guardando l'economia globale, perché il colonialismo è stata una fase
storica che ha contraddistinto lo sviluppo delle economie capitalistiche e ha esportato le istituzioni
nelle colonie.
Il sistema legale francese è legato alla Rivoluzione francese, quello anglosassone è legato a una
evoluzione non di tipo rivoluzionario che si è resa possibile attraverso una flessibilità intrinseca che
non ha richiesto la rivoluzione. Se fosse stato un sistema rigido, come in Francia, sarebbe stata
necessaria la rivoluzione, per abbattere la monarchia.
La rivoluzione arriva ineluttabile per via del conflitto economico sottostante. Questo comporta una
revisione del meccanismo di tutela dei diritti di proprietà che arriva in un contesto in cui è
importantissimo il controllo della procedura.
Invece il mondo anglosassone evolve, la monarchia sopravvive cedendo poteri, la nobiltà sopravvive
perdendo poteri, declinando economicamente e questo meccanismo prevede una certa flessibilità.
Infatti, il sistema francese esprime una tradizione giuridica fortemente gerarchica che risale
all’Impero Romano.
Civil law: giudici di professione e codici legali rigorosamente scritti (c'è un approccio gerarchico:
casta di giudici indipendenti - potere distinto - ma soggetti ad applicare codici scritti da altri per loro,
cioè dal potere politico);
Common law: meccanismo dove i giudici che emettono dei verdetti sono giudici popolare. I giudici
professionali trasformano il verdetto in una sentenza. Questa maggiore flessibilità forse è l'effetto di
dare più potere al popolo in un contesto in cui la monarchia e la nobiltà sopravvivono. D'altra parte,
i principi legali sono meno codificati, cioè è la passata esperienza dell’applicazione dei principi legali
che evolvono nel tempo che esprime la giurisprudenza. Col sistema della common law conta
moltissimo la giurisprudenza, mentre con la civil law non conta molto. I margini di applicazione dei
principi legali sono più ampi.
Comparazione tra paesi con pari sviluppo economico e diversi sistemi legali. La Porta et al. (1998,
J. Law Ec. Org.)
I sistemi legali definiscono gli schemi di incentivi, ed effettivamente ci sono stati studi che alcuni
economisti hanno fatto in merito alla comparazione tra paesi con pari sviluppo economico e diversi
sistemi legali. Risultato: paesi con un sistema francese (Civil law) rispetto ai sistemi di Common Law
sono caratterizzati da:
- livello di regolamentazione più elevato
- minore difesa dei diritti di proprietà (paradossalmente),
- più corruzione
- governi meno efficienti
- minori libertà politiche dei paesi (tipicamente anglosassoni, con sistemi di common law)
- Equità (non si occupano di questo aspetto nello studio, non si dice se la civil law preservi o meno
l'equità)
Manca comunque una teoria del perché queste cose accadono? Per quale motivo la common law
tende a generare meno regolamentazione ma più difesa dei diritti di proprietà. Quello che fanno è
stimare delle regressioni di crescita tra i vari paesi e tra i controlli, oltre a mettere il tasso di
investimento..., ci mettono le cosiddette variabili dummy (variabili 0-1): 0 se il sistema giuridico è di
tipo common law e 1 se è civil law, e vedono se questa differenza tra 0 e 1 è significativa
statisticamente.
Perché sistemi legali così diversi sopravvivono?
Glaeser e Shleifer (2001): i sistemi legali nascono per rendere le istituzioni in grado di resistere alla
pressione esercitata da potenti individui (o lobby). Persone che hanno la possibilità di influenzare le
istituzioni proveranno a farlo a loro vantaggio. Avere dei vincoli sulla discrezionalità di chi ha potere
è un prerequisito dei sistemi economici efficienti.
La democrazia è esattamente questo. La differenza tra un regime democratico e uno dittatoriale,
sono i vincoli a cui il poter politico è sottoposto.
Cruciale, per la sopravvivenza delle istituzioni, è riuscire a controbilanciare queste spinte. Avere dei
sistemi che impediscono chi ha potere di sfruttarlo a proprio beneficio. Questo implica non soltanto
avere istituzioni che limitano i gruppi organizzati che cercano di ottenere potere di mercato, ma
implica anche vincolare la discrezionalità di chi detiene protempore il potere politico. Organizzazioni
Se le Istituzioni sono, per North, le regole del gioco, le organizzazioni sono i giocatori.
Organizzazioni: gruppi di individui che condividono uno scopo comune, e vogliono raggiungere uno
stesso obiettivo. Da questo punto di vista, abbiamo:
• politiche (partiti, Senato, ...)
• economiche (imprese, Sindacati, Confederazioni)
• sociali (chiese, club sportivi)
• educative (scuole, università,)
Le organizzazioni riflettono le opportunità di guadagno consentite dalla matrice istituzionale, dove il
guadagno è il perseguimento degli obbiettivi. Le organizzazioni interagiscono con le istituzioni per
ottenere degli esiti sui mercati.
Nei modelli di EEG le organizzazioni sono un ostacolo alla concorrenza perfetta. In questo schema
sono le forme di coordinamento tra individui che permettono di prendere decisioni, da cui si genera
il contesto istituzionale all’interno del quale funziona il mercato.

EVOLUZIONE DELLE ISTITUZIONI


Approccio legato all'analisi economica canonica. L'approccio efficientistico si basa proprio su questo
concetto: ci sono individui e organizzazioni che incontrano nel funzionamento delle istituzioni degli
ostacoli al perseguimento dei propri obiettivi. Quando ammettiamo l'esistenza di organizzazioni,
esse possono perseguire cambiamenti istituzionali che producono uno sviluppo del benessere
collettivo e promuovere una evoluzione istituzionale che produce l'estrazione di rendite.
È determinata dall’interazione tra istituzioni e organizzazioni. Gli individui e/o gli imprenditori nelle
organizzazioni percepiscono che potrebbero far meglio in un contesto diverso. Come si creano
queste percezioni circa la necessità di un cambiamento? Come si crea la necessità di un
cambiamento istituzionale?
La percezione della necessità di un cambiamento si può generare:
• esogenamente (es: il cambiamento avvenuto in un sistema economico esterno: si aprono nuovi
mercati (mercato unico europeo, globalizzazione), si modifica la disponibilità di un fattore della
produzione (shock petroliferi, scoperte di nuovi giacimenti, ...);
• a causa dell’apprendimento: le organizzazioni imparano e individuano possibili guadagni che
possono essere sfruttati (ruolo della concorrenza nell’incentivare questo apprendimento); nel lungo
periodo è l’apprendimento (learning) la fonte maggiore del cambiamento.
La presenza di potenziali aree di guadagno determina la direzione del cambiamento. La velocità del
cambiamento dipende dall’intensità dell’apprendimento. Le decisioni possono essere prese
nell’ambito dei contratti esistenti oppure possono richiedere una ri-contrattazione: questa può
necessitare una modifica nella matrice istituzionale, cioè una modifica delle regole del gioco.
Political economy delle riforme
- Riforme che tendono a modificare la compagine istituzionale possono trovare opposizione
specialmente se le istituzioni sono esse stesse fonte di rendita e se è impossibile individuare a
priori gli individui che perderanno/guadagneranno dalla riforma
- In generale è possibile dimostrare che una riforma Pareto migliorativa a livello sociale ma non in
grado di individuare a priori chi sarà avvantaggiato, non otterrà il consenso politico sufficiente, in
un sistema democratico. Tirannia (bias) dello status quo la riforma non si attua perché, per la
maggioranza, il guadagno ex ante è negativo.
Questa situazione è determinata dal fatto che non si sa quali individui beneficeranno della riforma.
L’esempio successivo mostra una situazione contraria: la riforma passa perché il guadagno atteso
è positivo per la maggioranza.
Ex post, tuttavia, la maggioranza si troverà con una perdita. In questo caso però non si verifica il
bias da status quo, cioè la riforma è prima votata e poi, visto il risultato, la maggioranza voterà di
ritornare alla situazione iniziale.

Torniamo alla crescita. Perché alcuni paesi sono più poveri di altri?
• Solow: Diversa accumulazione dei fattori (es: reddito pro capite, risparmio, preferenze, TFP
esogena)
• Romer (1986): risorse all’innovazione (ma ancora alla fine ruolo di preferenze/fattori che creano
le idee, allocazione di risorse che fa sì che ci sia più crescita). Non spiega quante risorse si
allocano a produrre ricerca e innovazione ma può identificare trade off ottimi dal punto di vista
sociale. Non spiega perché paesi hanno ruolo di leader e follower.
• Secondo North e Thomas (1973) questi fattori (innovazione, economica di scala, accumulazione
del capitale) SONO le cause APPROSSIMATE della crescita, i sintomi della crescita, non sono la
causa FONDAMENTALE. Secondo N-T la spiegazione fondamentale della diversità nella crescita
sono le ISTITUZIONI. Ricordiamo come North definisce le Istituzioni: “Institutions are the rules of
the game in a society or, more formally, are the humanly devised constraints that shape human
interaction.” “In consequence they structure incentives in human exchange, whether political,
social, or economic.”

LE ISTITUZIONI ECONOMICHE
Il modo con cui gli esseri umani decidono di organizzare le loro società determina se le società e
prosperano o meno.
Idea che risale ai classici: Adam Smith, Stuart Mill. Definiti dei grandi pensatori, perché hanno dei
modelli in testa ma non li esplicitano, quindi non sono soggetti alla disciplina dei modelli. Gli
economisti, con la rivoluzione neoclassica del 900, cominciano ad usare i modelli (idea del rasoio di
Occam: tolgo dal fenomeno quello che è irrilevante per arrivare alle cause essenziali).
• L'idea che servano le istituzioni, la tutela dei diritti di proprietà, uguaglianza di fronte alla legge,
questi sono già presenti nel loro pensiero.
• Le società hanno successo se vi sono delle buone istituzioni economiche.
• Cosa definisce delle ‘buone’ istituzioni economiche?
- I diritti di proprietà devono essere applicati e devono valere per un ampio spettro della popolazione
così che tutti abbiano incentivo a partecipare all’attività economica
- Uguaglianza di opportunità e uguaglianza di fronte alla legge
Questi elementi determinano degli incentivi affinché si creino e migliorino i mercati. Quindi i diversi
mercati sono a loro volta il risultato di diversi sistemi di diritti di proprietà
Putnam (1993) The Prosperous Community: Social Capital and Public Life
In analogia con le definizioni di capitale fisico e umano, input produttivi che accrescono la produttività
individuale, il “capitale sociale” identifica caratteristiche dell’organizzazione sociale (network, norme,
fiducia collettiva) che facilitano il coordinamento delle azioni individuale e incoraggiano la
cooperazione nel comune interesse delle persone. Il capitale sociale accresce I benefici
dell’investimento in capitale fisico e umano (TFP???)
Acemoglu, D., Johnson, S., & Robinson, J. A. (2005). Institutions as a fundamental cause of long-
run growth. Handbook of economic growth, 1, 385-472.
1. Presenta un’evidenza empirica selezionata che mostra come diverse istituzioni CAUSANO
diversi livelli di prosperità
2. Introduce una struttura logica che spiega perché le istituzioni economiche variano tra paesi

L’argomentazione
Sebbene fattori culturali e geografici possano essere rilevanti per la prosperità dei diversi paesi, il
fattore chiave è costituito dalle istituzioni che determinano tecnicamente il potenziale di crescita e la
distribuzione del reddito tra i diversi gruppi.
Questo approccio pone un nesso inscindibile tra la crescita di lungo periodo e la distribuzione del
reddito. Si ribalta la visione tradizionale, per cui si ricercano soluzioni Pareto-efficienti e poi ci si
occupa di distirbuzione del reddito.
Come se la distribuzione del reddito fosse legata a qualcosa che è connesso al senso di equità o in
generale ad una sostenibilità del sistema non meglio definita. È una idea di Keynes che le politiche
macroeconomiche di stabilizzazione fossero una esigenza imprescindibile per preservare l'economia
di mercato nel contesto politico del conflitto con la Russia sovietica. Noi abbiamo un sistema
efficiente, ma questo sistema, delle diseguaglianze sociali che possono non essere sostenibili, quindi
lo temperiamo.
Si identifica una potenziale dicotomia e tensione tra l'efficienza e l'equità, e vede l'equità come un
vincolo al fine di conseguire la sostenibilità politica di una economia di mercato e capitalistica. Il
conflitto distributivo è preesistente alla costruzione delle istituzioni e quindi alla definizione del
potenziale di crescita del paese. Questo nuovo approccio è consapevole dei contributi del filone
paretiano... quindi ne tiene conto e lo assume.

LE ISTITUZIONI ECONOMICHE SONO ENDOGENE


Sono scelte per le loro implicazioni economiche. Le implicazioni redistributive generano conflitti in
merito alla scelta delle istituzioni. Come si determinano le istituzioni in equilibrio (le istituzioni
vengono costituite e rimangono stabili nel tempo)? È centrale il potere politico dei diversi gruppi
sociali (in quanto percettori di redditi). Uno dei risultati importanti: il conflitto redistributivo aiuta a
capire perché l’efficienza delle istituzioni non emerge “naturalmente“ in un sistema capitalistico e in
prospettiva storica.
Perché i gruppi sociali non riescono a cooperare nella scelta di istituzioni efficienti ai fini della crescita
per poi accordarsi su istituzioni che garantiscano la redistribuzione? (è una storia che va avanti
dall'apologo di Melenio Agrippa: ognuno ha il suo posto, tutti hanno una funzione e il
sistema funziona bene. Perché è difficile creare un sistema del genere?).
Il tipo approccio degli economisti all’identificazione di riforme istituzionali (politiche ed economiche)
consiste nel ricercare soluzioni istituzionali Pareto-efficienti e poi verificare la potenziale
redistribuibilità dei guadagni di efficienza. Per quale motivo l’esercizio del potere politico spesso
determina esiti che producono inefficienza economica e anche povertà e tipicamente producono
maggiore disuguaglianza (non sempre)?
Il punto è che, di norma, non esiste una commitment technology istituzionale che garantisca la
redistribuzione dei benefici quando le istituzioni “efficienti” per la crescita sono state adottate e hanno
generato I loro effetti redistributive.
Commitment technology
Supponiamo di costruire una istituzione, che chiamiamo libero mercato globale (=assenza di
protezionismo). Sebbene ci siano pochissimi casi in cui l'analisi economica prevede un beneficio
dalle misure protezionistiche, lo sviluppo dei commerci internazionali è una operazione
complicatissima dal punto di vista politico, crea conflitti enormi.
Prendiamo il caso della brexit, è stato difficile trovare un accordo: anche se possiamo concordare
che lo sviluppo del commercio internazionale produce dei benefici per tutte le economie partecipanti,
questi benefici hanno degli impatti redistributivi fortissimi.
L'apertura del commercio internazionale produce una riallocazione settoriale delle risorse molto
forte, sposta in ogni paese partecipante capitale lavoro da alcuni settori ad altri settori (c'è chi si deve
spostare, e sostenere dei costi). Poi il commercio internazionale può generare degli impatti
redistributivi: aumenta i redditi del fattore produttivo relativamente più scarso nel paese, cambia il
rendimento pagato ai diversi tipi di lavoro oppure ai percettori di capitale rispetto a coloro che offrono
servizi di lavoro. È comunque benefico, perché con buoni proventi in termini di maggior benessere
che si generano dallo sviluppo di un mercato integrato è possibile, tassando chi ha benefici, portare
un sollievo a quelli che hanno delle perdite, farli stare almeno ugualmente bene, quindi portare
benefici a tutti attraverso un’azione redistributiva.
Qual è il meccanismo che garantisce questo, che assicura i perdenti che avranno delle
compensazioni? Conflitto distributivo dovuto alla mancanza della commitment technology, che fa sì
che possa essere molto difficile trovare un accordo globale sulla liberalizzazione dei commerci.
Per commitment technology si intende è impedirsi di tornare indietro, obbligando tutti ad andare
avanti (Cortés bruciò le navi per impedire ai soldati di tornare indietro).
Una commitment technology più banale è il fatto che un imprenditore soggetto a problemi di azzardo
morale e anche di selezione avversa, per ottenere un prestito bancario deve dare dei beni in
garanzia; una famiglia che vuole comprarsi casa deve contribuire pro quota, il finanziamento
integrale di norma non è ammesso... esempi di commitment technology: a quel punto hai messo i
soldi e sai che se non ti comporti in un certo modo li perderai. Questo allinea gli incentivi. Molto
spesso la CT che garantisce la redistribuzione delle risorse in conseguenza del cambiamento
istituzionale manca; quando manca il cambiamento istituzionale non accade. Questa è una
chiave di lettura fondamentale.

Quindi l'impossibilità di impegnarsi a un insieme di comportamenti una volta ottenuto un certo assetto
istituzionale fa sì che i conflitti distributivi rendano impossibile ottenere consenso in merito alle
riforme istituzionali.
In questo contesto la commitment technology può essere definita come un insieme di vincoli cui è
soggetta la discrezionalità di chi detiene il potere. Ad esempio, negli USA il presidente ha molti poteri
discrezionali in politica estera, ma non può nominare il presidente della banca centrale senza
l'assenso di una commissione del senato, deve negoziare il budget fiscale con decisioni di spesa e
tassazione con Camera e Senato, ed è normale che la sua parte politica non abbia la maggioranza
in una delle due.
A fronte dei poteri in politica estera, il presidente può essere soggetto a impeachment. Inoltre, la
Corte Suprema ha un ruolo di bilanciamento del potere presidenziale. Quindi la possibilità di estrarre
rendite a beneficio della propria parte politica è limitata. Confronti questa situazione con le dittature
di molti PVS negli ultimi decenni, oppure con la Russia di Putin, dove pure si tengono elezioni.
La commitment technology è identificata da quell'insieme di regole e vincoli che negli USA (e nelle
democrazie occidentali) chi viene eletto non può comunque modificare. Questa commitment
technology determina il diverso funzionamento delle istituzioni politiche e la scelta di istituzioni
economiche e l'adozione di politiche economiche più efficienti

ISTITUZIONI COME FRUTTO DI CONFLITTI SOCIALI


Non sono create per essere socialmente efficienti
2a) Le istituzioni sono determinate in gran parte dal potere dei gruppi politici. Le istituzioni
determinano una diversa distribuzione delle risorse, si genera un conflitto di interessi tra i diversi
gruppi per la scelta di certe istituzioni. In sostanza le istituzioni economiche si sono sviluppate per
facilitare l’appropriazione delle rendite esistenti da parte di alcuni gruppi. C'è un cambiamento
istituzionale che cambia i benefici economici, e ci sono conflitti: il conflitto intorno alle riforme è
sempre un conflitto distributivo.
2b) Le istituzioni sono loro stesse fonte di rendite (Saint Paul, 2000) e ciò crea l’opportunità di
sviluppare delle istituzioni che proteggano a loro volta queste rendite. Esiste quindi una
complementarità tra istituzioni che creano e istituzioni che proteggono le rendite. Questa
complementarità rinforza lo status quo, cioè rende più difficile modificare le istituzioni.
Ci possono essere situazioni in cui le tensioni che ci sono tra i gruppi sociali portano alla creazione
di un certo assetto istituzionale che ottiene un consenso ed è compatibile ad un certo assetto
tecnologico (tecnologico è un concetto molto ampio). Quando il contesto tecnologico
cambia, se le istituzioni non si adeguano, l'innovazione tecnologica non viene recepita.
Es: Venezia. Le Repubbliche Marinare prosperano, poi arriva il declino perché si aprono altre rotte
commerciali, che non passano attraverso il mediterraneo (la perdita di un vantaggio comparato è
una questione tecnologica, il fatto che si trovano nuove rotte cambia la conoscenza e diventa meno
competitivo il sistema basato sulle vecchie rotte). L'assetto delle repubbliche marinare, in termini di
chi prendeva decisioni, era condizionato dal fatto che queste erano repubbliche mercantili; e quando
una repubblica mercantile perde il monopolio delle rotte mercantili, come deve evolvere per
continuare a produrre ricchezza? Storicamente osserviamo il declino, perché le istituzioni non
evolvono in modo da indurre dei cittadini (che comunque avevano accumulato un buon livello di
capitale umano) a sviluppare nuove forme di produzione di ricchezza. Venezia declina fino a quando
una nuova tecnologia non permette di fatto di acquisire una nuova rendita. La rendita che hanno
acquisito è legata alla tecnologia che permette il turismo di massa e permette di godere di una rendita
associata al livello artistico della città. La città come centro che promuove innovazione non si
sviluppa. L'assetto istituzionale che prevale nel tempo sopravvive al fallimento economico del tempo,
ma ristagna: la repubblica dei Dogi che era molto efficiente quando il potere economico era
concentrato nelle mani dei mercanti, ma poi perde efficienza. Anche la distribuzione del potere
politico è endogena
Conflitti sulle istituzioni politiche sono connessi ai conflitti sulle istituzioni economiche e
sull'appropriazione delle risorse (capacità di produrre). Ad esempio la guerra di secessione.
Le istituzioni politiche determinano I vincoli e gli incentivi cui sono soggetti gli attori politici.
Esempi di istituzioni politiche: la forma di governo (democrazia vs dittatura vs autocrazia) Esempio
una monarchia è caratterizzata dalla concentrazione del potere politico soggetto a vincoli limitati.
Monarchia costituzionale: accresce i vincoli cui è soggetto il monarca. Può evolvere in una
democrazia. Quante sono le monarchie costituzionali nella democratica Europa? È possibile che
una democrazia evolva in una autocrazia? (casi moderni: Ungheria, Polonia, Turchia) Come
classifichiamo la Russia di Putin?
Istituzioni politiche de facto
Possiamo avere assetti istituzionali che sono contraddistinti dai tipici bilanciamenti del sistema di
potere della democrazia, ma la democrazia non funziona.
Un gruppo di individui, cui non spetta di diritto il potere, può comunque condizionarne l’esercizio.
Camioneros in Cile al tempo del governo Allende. L’esercito in molti paesi in via di sviluppo, che non
è soggetto al controllo dell'esecutivo (Africa). La Chiesa Cattolica per molti secoli in Europa, in Italia
nei primi decenni della Repubblica. Il potere di questi gruppi dipende da fattori quali le risorse
economiche, la capacità di influenzare rivolte sociali o di usare direttamente la forza. Situazioni
intermedie (nei paesi in via di sviluppo) in cui i governi vengono eletti ma poi c'è l'esercito che ha un
potere
Istituzioni politiche e distribuzione delle risorse
Le istituzioni politiche determinano il controllo della distribuzione delle risorse, ma determinano
anche le istituzioni economiche che sono cruciali per determinare la prosperità di un paese. Se le
istituzioni politiche conferiscono il potere a un individuo o a un ristretto gruppo sociale diventa difficile
mantenere nel tempo istituzione economiche che tutelano i diritti di proprietà e l’uguaglianza delle
opportunità. Questo perché esiste un conflitto tra la distribuzione delle risorse secondo gli interessi
tutelati dalle istituzioni politiche e le istituzioni economiche “efficienti”. A quali condizioni, in un
contesto di questo tipo, è possibile che emergano istituzioni efficienti e sostenibili?
Persistenza e cambiamento
Ci sono due cause di persistenza del sistema istituzionale politico-economico. Le istituzioni politiche
sono tipicamente durevoli, una loro caratteristica primaria è la ricerca della stabilità dell’assetto che
esse creano.
In secondo luogo, possiamo ritenere che le istituzioni politiche cambino quando un gruppo sociale
acquisisce sufficiente potere economico da riuscire a determinare un cambiamento nelle istituzioni
politiche, ma questo cambiamento verrà definito per riprodurre I privilegi degli attori del
cambiamento. Tutto ciò tenderà a riprodurre la disparità nella distribuzione della ricchezza che ha
causato il cambiamento iniziale delle istituzioni politiche. Tuttavia, cambiamenti nella tecnologia, la
tendenza all’accumulazione di capitale umano “diffuso”, shock internazionali possono determinare
cambiamenti duraturi nelle istituzioni politiche e quindi economiche. Esempio tratto dalla storia:
monarchia e mercanti
Per quale motivo gruppi che confliggono sulla distribuzione delle risorse non possono accordarsi
(istituzioni de facto)? Ad esempio, il conflitto tra il monarca e i mercanti? Perché era impossibile
definire diritti di proprietà adeguati? Per quale motivo i mercanti optarono per un cambiamento delle
istituzioni politiche? Risposta: assenza di una commitment technology che potesse sostenere
istituzioni di fatto.
Esempi di cambiamento. Come nasce la democrazia?
• Rivoluzione francese (il terzo stato senza il quarto stato...)
• Rivoluzione americana (no taxation without representation): ceti produttivi che non accettano di
pagare le imposte, nella misura in cui sono usate fondamentalmente per scopi che non li
riguardano. Il problema del colonialismo è un problema di conflitto di interessi tra chi risiede nelle
colonie e tra chi è colonizzatore.
• guerra di secessione.
• Prima guerra mondiale, rivoluzione bolscevica e democrazie in Europa
• nazifascismo e delle democrazie
• Perché la democrazia non attecchisce nei paesi emergenti? Cosa si intende per ‘buone’
istituzioni economiche?
In generale le buone istituzioni economiche determinano una allocazione efficiente delle risorse (dal
punto di vista della crescita) ed evitano conflitti distributive che possono generare istituzioni politiche
incompatibili con il mantenimento delle buone istituzioni economiche. La bontà delle specifiche
istituzioni economiche è endogena.
Repubbliche marinare (Venezia in primis). All’epoca dei commerci attraverso il mediterraneo
concentrare il potere economico in una élite di Mercanti era efficiente. L’esito cambia con il declino
delle rotte e il cambiamento delle tecnologie
Istituzioni politiche che limitano la capacità di appropriazione delle risorse da parte delle élite politiche
sono utili per la formazione di buone istituzioni economiche. Non dimentichiamo che le rendite
politiche distorcono le risorse (lotta politica sostituisce la ricerca dell’efficienza economica).
Inoltre buone istituzioni economiche emergono più facilmente se il potere politico è nelle mani di un
gruppo sociale relativamente ampio con ampie opportunità di investimento per ciascun individuo del
gruppo.
Mettiamo la teoria alla prova
Le tre cause fondamentali (alla base) della crescita in connessione alla esistenza di istituzioni, sono
3 e tutte ravvisabili nella letteratura. Abbiamo bisogno di una evidenza empirica più robusta.

GRAFICO: ascissa abbiamo la protezione contro il rischio di


espropriazione e in ordinata il logaritmo del prodoMo pro capite. La
relazione è abbastanza evidente, anche se ques5 semplici diagrammi
di dispersione non consentono di trovare un nesso di causalità, sono
ingannevoli. C'è una buona percentuale di vola5lità del prodoMo pro
capite che non è spiegato da questa variabile "protezione contro il
rischio di espropriazione"

Introduciamo formalmente questi nessi


1. Istituzioni economiche 2. Geografia
È molto popolare come interpretazione della crescita. Ruolo centrale accreditato a fattori naturali
(clima, geografia, ecologia) piuttosto che a fattori umani, come le istituzioni. I fattori naturali
determinano le preferenze e l’insieme opportunità per gli agenti economici nelle varie società. La
geografia può determinare sia le istituzioni che la crescita.
Tre versioni di questo ‘approccio geografico’
1. Il clima quale determinante dello sforzo lavorativo, della produttività e degli incentivi
2. La tecnologia disponibile, specialmente in agricoltura. La tecnologia può o non può
supportare in certe regioni geografiche in ambito agricolo soprattutto
3. La povertà legata alle malattie (ad esempio la fascia tropicale)
3. Cultura
La cultura può essere identificata come qualcosa di più profondo o preesistente allo sviluppo delle
istituzioni economiche e della fase di crescita. La cultura è vista come determinante dei valori, delle
preferenze, dei credi di individui e società e queste differenze giocano un ruolo fondamentale per la
performance economica. Dato un insieme di istituzioni, la cultura influenza i risultati in equilibrio
(Weber parla dell'influenza dell'etica protestante per lo sviluppo del capitalismo). Ci possono quindi
essere equilibri multipli per ogni insieme di istituzioni: le società con diverse culture si posizioneranno
in equilibri diversi.
Come dimostrare la relazione di causalità tra Istituzioni e crescita?
Problema: dimostrare l’esistenza di una relazione di causalità tra istituzioni economiche, cultura
(religione, capitale sociale, geografia) – da un lato- e sviluppo economico – dall’altro. La religione e
il capitale sociale, ad esempio, sono infatti correlate con lo sviluppo economico ma ciò non significa
che sono necessariamente la CAUSA dello sviluppo economico.
Perché non è possibile inferire che diritti di proprietà più sicuri (migliori istituzioni economiche)
causano redditi più elevati? Non si garantisce una relazione di causalità perché potrebbero verificarsi
due problemi:
• Causalità inversa: le istituzioni sono determinate dal livello di benessere economico. Le
istituzioni evolvono nel tempo man mano che la società e l'organizzazione economica evolve
nel tempo. Cresce il reddito pro capite, c'è una accumulazione dei fattori, il capitale umano
si arricchisce: cambiano le istituzioni
• Variabili omesse. Potrebbe essere che la geografia spieghi sia perché alcuni paesi sono più
poveri, sia perché gli stessi non hanno buone istituzioni economiche.

GRAFICO: c'è una relazione posi5va (quanto più lontani


dall'equatore tanto più il reddito cresce). Non possiamo escludere
che la geografia possa dare un contributo indireMo. Abbiamo una
teoria che ci dice che la geografia spiega una serie di situazioni (per
via del clima...). Sono aspeB non irrilevan5 in una analisi empirica
rigorosa.

Possibile soluzione ai problemi di identificazione:

1. Trovare una fonte di variazione esogena delle istituzioni economiche (che non si determini
contemporaneamente alle istituzioni economiche) e che non sia contemporaneamente una
fonte diretta di variazione del reddito. In econometria questa cosa si chiama ricerca dello
strumento econometrico.
2. Esperimento naturale, andare alla ricerca di situazioni in cui ci sono dei cambiamenti esogeni
che cambiano le istituzioni ma che non hanno impatto diretto sul reddito.

Esempio: Corea del Nord vs Corea del Sud. È un esperimento naturale che si applica alla questione
della cultura, perché le due Coree hanno condiviso la stessa storia e le stesse istituzioni fino al 1948.
Successivamente le istituzioni economiche sono radicalmente diverse, ma le radici sono le stesse,
e sicuramente la cultura non poteva essere segmentata essendo il paese una monarchia secolare
(rivale storico del Giappone e ha storia paragonabile a quella del Giappone, ben distinta dal punto
di vista culturale ma unitaria al suo interno). Dal 48 si ha la separazione, che non cancella la cultura,
ma distrugge l'unitarietà delle istituzioni: il sud della corea rimane una economia di mercato (pur
distinta nelle sue forme rispetto alle economie di mercato occidentali, con un forte intervento dello
stato), mentre al nord prevale una economia di tipo sovietico (non di mercato). I risultati sono
abbastanza banali: la corea del sud raggiunge il livello di reddito pro capite dell’Italia (e la supera).
In corea del nord il livello del reddito pro capite ha stagnato ed è anche diminuito, è un paese
soggetto a carestie frequenti. È un esperimento naturale perché è accaduto, non è stato identificato
attraverso una analisi statistica. La cultura può essere un elemento centrale.

Anche la rivoluzione cinese ha visto una lotta interna, dove la parte che ha perso (capitalista) si è
ritirata a Taiwan, e li sono diventati una potenza mondiale. Quindi due ‘popoli’ , una cultura , una
storia uguale, ma istituzioni diverse, una con economia di mercato, una comunista con Mao. E si
generano due meccanismi di sviluppo molto diversi.

Si possono comparare queste situazioni alla Russia di oggi, un paese con tradizione imperiale, e
anche adesso prende una direzione rivolta alla dittatura.
La colonizzazione europea come esperimento naturale
Esempio su maggiori dimensioni: esperienza colonialista europea che trasformò le istituzioni dei
paesi conquistati. Lo osserviamo utilizzando l'econometria.
Attraverso il colonialismo abbiamo paesi che si sviluppano moltissimo (USA e Australia) e altri che
non riescono a svilupparsi (Messico, Perù...). Ad una analisi che non segue questo approccio uno
potrebbe dire che il Messico non cresce perché in Messico abbiamo una cultura molto diversa dalla
cultura protestante che domina negli Stati Uniti, è una congettura legittima che va dibattuta. È
impossibile fare un contro fattuale, dire attraverso qualche simulazione statistica cosa sarebbe
accaduto alle colonie se non ci fosse stata la colonizzazione. Al momento del colonialismo, il
colonialismo è possibile perché la differenza tecnologica è enorme, abbiamo una occupazione dei
territori.
Il vincolo all'occupazione di territori dipende quasi esclusivamente, se prescindiamo dalle fasi iniziali
della conquista dell'impero Maya o Azteco o del Perù, quasi mai abbiamo delle vere e proprie guerre.
E comunque queste guerre rappresentavano un impegno limitato per le nazioni (lo sforzo era portare
i soldati); con un po' di soldati erano assolutamente in grado di vincere le guerre proprio perché
dotati di tecnologie diverse.
Alcuni paesi sono cresciuti enormemente utilizzando il sistema dell'economia di mercato; ci sono
paesi che sono cresciuti ma non così tanto (come il Cile); ci sono paesi che per una certa fase sono
diventati ricchissimi partecipando all'economia di mercato e successivamente sono ritornati poveri
(Argentina, nel 1910 gli italiani emigravano in massa dal veneto in Argentina, che era il quinto paese
più ricco del mondo). L'esperienza colonialista accade e cambia totalmente la storia di questi paesi:
quello che possiamo dire è che rispetto alla situazione pre coloniale, il colonialismo genera una
accelerazione drastica della crescita economica di alcuni paesi, mentre in altri no: è cultura e
geografia oppure le istituzioni?
Perché la colonizzazione europea? Evento di portata storica che cambiò le istituzioni e le fortune di
molti paesi. Consente di “controllare” per fattori quali geografia ecologia, clima e cultura. A parità di
questi fattori, apparentemente i coloni Europei scelsero istituzioni molto diverse tra loro. Colonie in
Nordamerica governate in modo diverso rispetto all'india. A questo punto il problema è riuscire a
trovare un fattore misurabile statisticamente che ci permette di identificare una correlazione statistica
delle istituzioni senza avere un impatto diretto sul reddito.
Abbiamo un nuovo strumento quando questo strumento è correlato con il regressore ma non è
correlato con il residuo che si ottiene in una relazione di regressione tra la variabile dipendente (il
reddito) e il regressore che vogliamo strumentare (le istituzioni).
Noi sappiamo che c'è una correlazione tra reddito e istituzioni, ma sospettiamo che ci sia la
possibilità di variabili omesse e la possibilità che ci sia causalità inversa. Allora andiamo alla ricerca
di una variabile che sia correlata con le istituzioni. Dopodiché vogliamo che questa variabile correlata
con le istituzioni non sia correlata con il reddito. Il modo migliore per catturare questa cosa è
verificare che la variabile strumento non sia correlata con il residuo della regressione tra il reddito e
le istituzioni: perché se lo strumento è correlato con le istituzioni e le istituzioni sono correlate con il
reddito, in qualche modo lo strumento sarà correlato con il reddito (nella misura in cui spiega le
istituzioni). Quello che non vogliamo è che abbia un effetto ulteriore, aggiuntivo, rispetto alla sua
capacità di spiegare le istituzioni. Quindi si fa la regressione tra istituzioni e reddito e si verifica che
lo strumento non sia correlato con il residuo di quella regressione. Perché se è correlato con
istituzioni e anche con il residuo, questo significa che non è un buon strumento. Perché non misura
solo un effetto, ma ne cattura anche altri.
Lo strumento econometrico che sono riusciti andare a ricostruire è il settler mortality rate (tasso di
mortalità dei coloni), quanto morivano le persone al momento della colonizzazione. Questo tasso di
mortalità non può essere endogeno (non è che i coloni andavano nei posti peggiori), i coloni
arrivavano (popolazione uniforme dal punto di vista sanitario) e si ammalavano. È sicuramente
esogeno rispetto alle istituzioni che si sono create: non c'erano istituzioni, non c'era la capacità di
produrre reddito, non era ovvia l'aspettativa di reddito individuale (solo ex post possiamo dire che
negli Stati Uniti il reddito individuale è alto). Questo settler mortality rate non è connesso al reddito
prodotto successivamente. Perché Settler Mortality rate?
Settler mortality rate influenza le decisioni dei coloni: a parità di reddito atteso, se la mortalità è alta
i coloni non progettano insediamenti di lungo periodo e scelgono istituzioni politicoeconomiche
estrattive, massimizzano l’appropriazione delle risorse a discapito della crescita di lungo periodo.
Gli spagnoli trovano regni abbastanza sviluppati e città funzionanti ma le distruggono: privilegiano
l'estrazione di risorse, non cercano di costruire una società che produca ricchezza, difficilmente i
coloni spagnoli diventano agricoltori, diventano magari latifondisti, capi militari, hanno ruoli di
governo che servono ad appropriarsi delle risorse naturali, non si preoccupano della loro forza lavoro
che si trova in condizioni di schiavitù. Con mortalità bassa, progettano insediamenti di lungo periodo
e questo implica che si scelgano istituzioni che favoriscono la crescita.
Una idea connessa è che il fatto che i coloni avessero lo stesso livello di ricchezza (inizialmente) ha
fatto sì che non ci fossero conflitti sulla distribuzione del reddito e sono andati alla ricerca di istituzioni
più efficienti dal punto di vista economico. Ma il vero punto è che fondamentalmente non è che i
coloni messicani (i conquistadores) fossero diversi, ma il tipo di approccio perseguito non fu quello
di costruire un sistema economico autonomo, ma fu la ricerca di miniere e l'esportazione di prodotti
agricoli. I commerci erano importanti ma non nella misura in cui lo sono oggi. Si ricercava una diversa
prospettiva di vita.

GRAFICO: sulle ascisse abbiamo il tasso di mortalità e sulle ordinate il livello


delle is5tuzioni (ovvero la protezione contro il rischio di espropriazione).
Quest'ul5ma tende a scendere quando il tasso di mortalità è più elevato,
anche se c'è una percentuale di vola5lità del fenomeno (oggi) che non è
spiegata da questa semplice relazione.

GRAFICO: Tecnicamente si effeMua una regressione delle is5tuzioni


sul tasso di mortalità dei coloni: si depura la variabile is5tuzioni dei
residui di questa regressione, dalle variabili che non risultano dalla
regressione. Quello che non è spiegato dalla regressione viene tolto alla
variabile is5tuzioni di oggi, quindi abbiamo strumentato la variabile
is5tuzioni. Dopodiché si s5ma una correlazione fra il reddito pro capite
oggi e la variabile is5tuzioni strumentata, cioè depurata di quello che
non è spiegato dal seMler mortality rate. Quindi ci sono dei test che
verificano che lo strumento sia effeBvamente valido (che ci sia
abbastanza correlazione tra lo strumento e il regressore e non ci sia
correlazione tra lo strumento e il residuo della regressione originaria
tra il livello della variabile reddito pro capite e il livello della variabile
is5tuzioni). Quindi il test misura queste cose. Alla fine, quello che
succede è che c'è una correlazione molto forte tra protezione e livello
del reddito procapite; si fa un controllo per la la5tudine (e si vede che
non è significa5va); si fa un controllo per il con5nente (P-value, ma di
nuovo è alto e non funziona). La relazione risulta più forte se si tolgono
i paesi "nuove europe".
GRAFICO: è un diagramma di dispersione tra il reddito procapite oggi e il
tasso di mortalità dei coloni (abbastanza immaginifico). Siamo
sta5s5camente in grado di dire che la relazione causale tra seMler
mortality rate e is5tuzioni c'è (perché il smr fu determinato prima e
indipendentemente lo sviluppo delle is5tuzioni e perché poi la variabile
is5tuzioni strumentata con il seMler mortality rate spiega il livello del
reddito pro capite. La dispersione delle is5tuzioni strumentata con la
dispersione del smr consente di spiegare la dispersione del reddito
procapite oggi. E quando noi aggiungiamo la variabile esogena
"la5tudine" o una dummy per il "con5nente" (sicuramente una variabile
esogena), queste dummy non sono significa5ve. Se noi controlliamo
correMamente per le is5tuzioni aMraverso il seMler mortality rate il
con5nente o la la5tudine non spiega nulla.

Storicamente fu possibile costruire con l'episodio coloniale certe istituzioni perché c'erano certi
incentivi a pianificare nel lungo periodo una situazione duratura di crescita economica nel paese.
Quando gli incentivi non erano a pianificare una prospettiva individuale, o famigliare, o di
discendenza del paese le istituzioni tendevano ad essere estrattive.
Il progetto dei britannici in india era tornare a casa ricchi, il progetto degli spagnoli in Sudamerica
era identico. Il progetto dei colonizzatori britannici e francesi in Nordamerica e Oceania non era
tornare a casa ricchi.
Tutti i paesi che erano poveri nel 1950 erano praticamente tutti non democratici. Molti di questi paesi
sono evoluti non solo dal punto di vista della crescita del prodotto, ma anche dal punto di vista della
evoluzione delle istituzioni democratiche (sviluppate successivamente a significative riforme
economiche). Questo è un problema se noi pensiamo che la democrazia debba essere prodromica
rispetto allo sviluppo economico. Non è un problema dal punto di vista della teoria delle élite: le élite
ad un certo punto mettono in piedi delle istituzioni che possono produrre degli esiti efficienti senza
produrre democrazia politica.
D'altra parte, nell’Inghilterra vittoriana la democrazia era lontanissima rispetto al concetto di
democrazia che abbiamo oggi. Non è detto che bisogna partire dalla costruzione di democrazia:
l'esperienza successiva al secondo dopoguerra ci racconta una storia diversa. E lo vediamo anche
statisticamente.
Un esempio è la situazione del Cile negli anni '70 e il colpo di stato. Attualmente è una delle
democrazie più robuste e una delle maggiori economie del Sudamerica. Prima degli anni 70 vi era
una democrazia debolissima che non era associata ad istituzioni economiche efficienti, e conflitti
redistributivi feroci. C'era una divisione che non è mediata dalle istituzioni, diventa un colpo di stato
e pone la fine della democrazia. Ma questa fase è contraddistinta da alcune riforme economiche
che, quando il regime di Pinochet collassa, hanno posto le premesse per i successivi sviluppi.
Un'altra questione è il Sudafrica: Nelson Mandela attuò un processo di riconciliazione nazionale
basato sull'ammissione delle colpe, che ha avuto lo scopo di limitare questo conflitto sulle risorse.
Confrontando il Sudafrica con lo Zimbabwe, quest'ultimo è stato caratterizzato da un cambio della
classe dirigente, per cui da una classe dirigente di bianchi spogliatori delle risorse (pur con
competenze economiche) si è passati ad una classe dirigente di africani neri, i quali hanno meno
competenze economiche ma hanno lo stesso comportamento estrattivo.
Mandela ha posto le premesse per uno sviluppo istituzionale che fosse non di tipo estrattivo: la
convivenza ha significato andare alla ricerca di istituzioni non estrattive.
Il rallentamento della crescita del TFP è connesso al tipo di istituzioni? Da un certo punto di vista
uno potrebbe dire che gli stati uniti hanno ribaltato certe tendenze: quando si è concessa l'istruzione
agli afroamericani, la produttività è aumentata tantissimo (sono state le istituzioni ad averlo fatto). Al
momento abbiamo una segmentazione fortissima, il premio salariale è fortissimo. Però esistono studi
che affermano come lo skill premium salariale sia una condizione necessaria per l'efficienza, perché
lo skill premium induce le persone ad acquisire istruzione. Peccato che dobbiamo calare questo
principio nel contesto di mercato: il mercato fornisce risorse a chi è in grado di dare delle garanzie.
Quello che succede negli Stati Uniti è che le risorse vanno a chi le ha, quindi il premio salariale si
autoalimenta. Questo problema può essere risolto solo dall'istruzione pubblica che però ha il difetto
di non distinguere tra chi è più talentuoso e meno talentuoso. Quindi le istituzioni rallentano, ma
questo non vuol dire che il funzionamento di fatto delle istituzioni rallenti la crescita della produttività
UNA PROSPETTIVA STORICA PER L'ECONOMIA ITALIANA
Adottiamo il principio della questione della dinamica della produttività totale dei fattori e della
riallocazione settoriale delle risorse nel tempo. Cerchiamo di capire come mai la crescita è divenuta
così lenta. Il residuo di Solow ha avuto un andamento
negativo.
GRAFICO: analisi storica. Linea piaMa blu definisce il riferimento gli usa. In ordinata
abbiamo l'output per ora lavorata rispeMo agli sta5 uni5. Il periodo va dal 1950 al 2017.
Un paese che si colloca al 100% è un paese che ha lo stesso livello di produBvità del
lavoro degli sta5 uni5. C'è una tendenza alla convergenza, ci sono paesi che vanno sopra
(aMenzione non sto parlando di reddito pro capite, sto parlando di prodoMo per ora
lavorata). Tipicamente in Europa lavora meno gente che negli Sta5 Uni5 però il lavoro è
più produBvo. Il caso italico è dato dalla linea viola. Quindi c'è una tendenza di lungo
periodo verso la convergenza negli anni '70 (addiriMura si superano gli USA ma poi si
scende).
Questo è un dato colpisce: l’Italia è un paese che ha un tasso di partecipazione al mercato del lavoro basso rispeMo agli sta5 uni5, ma alla fine ha
anche una produBvità per ora lavorata che è caduta, da un certo momento in poi una tendenza non solo alla convergenza ma anche a superare la
produBvità del lavoro degli sta5 uni5 viene ribaltata. Questa tendenza ha luogo a par5re dalla metà degli anni 90. Stesso periodo in cui
paradossalmente in Italia il tasso di partecipazione al mercato del lavoro inizia a salire. Questo meccanismo è ancora più forte in spagna, dove
l'incremento della partecipazione al mercato del lavoro è for5ssimo

GRAFICO: qui abbiamo una analisi nel tempo della crescita del prodoMo pro capite.
Questa crescita è scomposta in componente della crescita del reddito procapite
dovuta alla produBvità del lavoro e all'aumento del tasso di partecipazione al
mercato del lavoro. Andando lontano negli anni, siamo in una situazione in cui il
prodoMo cresce, accelerando fino all'inizio della Prima guerra mondiale. Nel primo
dopoguerra è comprensibile una con5nua crescita, dovuta alla necessità di
ricostruire il capitale fisico distruMo ma anche la forza lavoro. La popolazione
riprende a crescere, la gente lavora di più ed è naturale un aumento della crescita.
Il periodo post Seconda guerra mondiale è il periodo della ricostruzione ma anche
del "miracolo economico": crescita della produBvità del lavoro fenomenale e anche
un aumento della partecipazione al mercato
. del lavoro.
Tra il 2008 e il 2013 c'è una caduta della partecipazione al mercato del lavoro che
determina la caduta del reddito pro capite. Abbiamo 2 crisi di natura finanziaria a cui si
somma sostanzialmente una poli5ca fiscale che da dopo il 2009 tende ad essere
restriBva per l'esistenza di problemi connessi all'accumulazione di debito.
La caduta di domanda fa sì che meno gente lavori e la gente non va ad ingrossare la
disoccupazione ma esce direMamente dal mercato del lavoro. In aggiunta però abbiamo
anche una caduta della produBvità del lavoro. È un fenomeno stridente: cade la
domanda, cade tan5ssimo l'occupazione e la partecipazione al mercato del lavoro;
eppure, il lavoro occupato diventa meno produBvo. La produBvità scende perché
l'occupazione scende di meno rispeMo a quanto scenda il prodoMo, pur in presenza di
una situazione dras5ca di riduzione del lavoro effeBvamente presente nel mercato.
Dopodichè una parte della mancata partecipazione al mercato del lavoro viene
riassorbita negli anni successivi.
Pensiamo ad una fase di accelerazione della crescita fino al 2013. abbiamo un periodo
che segnala crescita in parte per compensare la distruzione della guerra e l'epidemia di
spagnola. Poi abbiamo una lenta crescita connessa anche al problema della stagnazione
globale e alla forma del sistema capitalis5co in aMo in quel periodo. Dopodichè
abbiamo il periodo della grandissima espansione, che ci porta ad avere un lavoro più
produBvo che negli sta5 uni5.
FTE= Full Time Equivalent (employment): quantità di lavoro equivalente all'occupazione di pieno
impiego (con una definizione nozionale di ore lavorate per giorno che è circa 8). Attualmente si
possono avere occupati con 1 ora di lavoro a settimana .
.

GRAFICO di riallocazione settoriale: possiamo vedere le quote di lavoro (dove il lavoro è aggregato
in termini di valore equivalente, correggiamo il numero di occupati per quanto interrompano la loro
prestazione lavorativa durante la settimana...). Guardiamo a come si distribuisce tutto questo per i
settori: agricoltura, industria, servizi privati, servizi pubblici. Grande trasformazione che accelera
proprio nel periodo di massima crescita della produttività dal 1951, poi nel 71 inizia a rallentare: il
passaggio dall'agricoltura agli altri fattori si associa a un aumento della produttività del lavoro. Quindi
la riallocazione settoriale produce l'aumento della produttività del lavoro; poi non sappiamo se questo
aumento viene conseguito perché si opera in settori che hanno una TFP più alta, oppure si opera in
settori con intensità di capitale più alta e il lavoro è più produttivo. Per capire bene bisogna guardare
direttamente la TFP. Non si fa riferimento al meccanismo di riallocazione settoriale: potrebbe essere
che la produttività in agricoltura aumenti più della domanda, quindi questo genera automaticamente
espulsione dei lavoratori. Bisogna poi vedere dove si vanno a ricollocare i lavoratori: se si spostano
verso un settore a bassa crescita della produttività del lavoro rimane comunque un problema, perché
abbiamo una riallocazione settoriale ma non è che questo produca un aumento medio della
produttività del lavoro. Quando dall'agricoltura sono passati all'industria, quello era un settore ad alta
produttività del lavoro. La grande crescita dei servizi è un meccanismo che contraddistingue tutti i
paesi sviluppati: il problema è andare a vedere fino a che punto questa crescita dei servizi è stata
una crescita produttiva come in altri paesi. Gordon diceva che i servizi negli stati uniti sono più
produttivi rispetto ai servizi europei. In parte questo è dovuto proprio allo stile di vita degli europei e
alla storia (great boxes per vendere, mentre noi abbiamo bellissimi negozi non solo in Italia). Però
parlava anche dell'evidenza di diversa produttività dei servizi classici come "il dettaglio" tra sud
Europa e nord Europa.
I mercati ambulanti sono un chiaro esempio di come si crea un circuito perverso con un equilibrio
caratterizzato da bassa produttività. La produttività di un ambulante nel 2021 non è diversa dalla
produttività di un ambulante negli anni '70. abbiamo uno sviluppo dei supermercati, ma abbiamo
ancora questi mercati ambulanti. In altri paesi è un mercato di piccolissima nicchia. Un elemento
importante (di natura istituzionale) riguarda l'evasione fiscale. Le istituzioni di fatto funzionano in
modo tale da non affrontare questo problema. Viene spesso osservato che il mercato ambulante,
con i prezzi relativamente bassi che riesce ad applicare consente di tutelare il potere di acquisto
reale delle fasce più povere della popolazione. Questo è un perfetto ciclo perverso: abbiamo
allocazione di risorse con gli spazi pubblici che vengono dedicati, le risorse per la pulizia, senza che
vengano pagati correttamente come sarebbero pagati da un supermercato. D’altra parte, i
meccanismi di messa a bando di queste postazioni evidentemente risentono dell'esigenza di
ottenere un consenso sociale. Questo tipo di allocazione delle risorse è associato ad una
stagnazione della produttività: da una parte uno fa l'ambulante perché non ha alternative,
dall'altra parte le istituzioni lo proteggono poiché rispondo al consenso sociale.
Sostanziale stabilità nel settore dei servizi pubblici dagli anni '80.
GRAFICO: l'industria ha un aumento importante delle costruzioni e una
flessione nell'ambito del manifaMuriero classico. Le Pubblic U5li5es
(acqua, gas...) hanno avuto un loro aumento. È una tendenza che non ha
par5colari risvol5 di interesse

GRAFICO: i servizi. RispeMo al totale dei servizi, includendo il governo, si vede


che la quota dei servizi eroga5 dal governo è scesa. Però questo è naturale,
perché la tendenza allo sviluppo dei servizi è una tendenza storica, secolare
comune a tuB i paesi sviluppa5. Poi abbiamo un certo aumento del seMore del
credito, da un certo momento in poi. No5amo un incremento di traspor5 e
comunicazioni... non emergono caraMeris5che par5colari: sono tendenze
legate all'evoluzione delle preferenze dei consumatori. La tendenza generale di
tuB i paesi sviluppa5 è che la produBvità nei servizi cresce più lentamente che
nell'industria.

GRAFICO: guardiamo al dato finale della dinamica della produBvità. Si ha


una crescita della produBvità dell'agricoltura è 2.1... la crescita del
prodoMo pro-capite è uguale alla crescita dell'industria, e questa è la
dinamica secolare. Dalla metà degli anni Novanta vi è un forte
rallentamento della crescita (momento in cui invece che convergere
tendiamo a divergere dagli sta5 uni5). Dal 2008 al 2013 il prodoMo cresce
ad un tasso nega5vo e successivamente abbiamo una ripresa che però
resta molto debole.

GRAFICO: la dinamica della produBvità del lavoro è scomponibile in


due faMori
1. La crescita della produBvità nel seMore (di quanto cresce l'industria
in termini di produBvità del lavoro)
2. Crescita della produBvità interseMoriale: il lavoro si sposta da
seMori a produBvità maggiore a seMori con produBvità minore
La riallocazione seMoriale ha un peso importante tra il '51 e il '93, e poi
finisce. Anche il periodo 29-38 era stato importante in termini di
riallocazione seMoriale. Poi questo processo ha termine. Il faMo che i
lavoratori si spostano dal resto dell'economia nei servizi non produce
effeB in termini di riallocazione della produBvità. Dal 1994 in poi la
riallocazione non contribuisce a riallocare la produBvità. Nei servizi la produBvità non cresce.

GRAFICO: parliamo dei faMori approssima5 della crescita economica


• Contributo delle ore lavorate
• Contributo dell'accumulazione di capitale
• Cambiamen5 nella TFP
Questo lavoro viene faMo con riferimento al prodoMo privato escluse le
costruzioni (perché le costruzioni non sono un seMore con un'alta crescita della
TFP). Ci si concentra sul PIL privato, perché il valore della produzione della Pubblica Amministrazione è dato dai salari paga5 e dagli acquis5 di
beni e servizi; quindi, non abbiamo una misura della TFP. Per questo depuriamo il GDP della componente pubblica amministrazione, ci
concentriamo sul privato. (in questo caso senza il seMore delle costruzioni) l'accumulazione di capitale, di lavoro e il resto è il residuo di
Solow..
Abbiamo che nel periodo 1951-73, il contributo del lavoro è significativo ma non è più rilevante che
in altri periodi (è lo stesso grossomodo del periodo 1919-28 ed è molto più alto rispetto al periodo
1929-38). Cosa succede poi? Il contributo del capitale nel 29-38 è dell'1%. Invece nel 51-73 è doppio.
Guardando i cambiamenti nella produttività totale dei fattori: c'è un aumento del tasso medio di
crescita del prodotto che è spiegato sostanzialmente da un recupero di efficienza. Questo è un
sistema che attraverso la riallocazione settoriale, il miglioramento dell'efficienza nel settore
manifatturiero e nell'agricoltura, produce una variazione di TFP eccezionale.

GRAFICO: guardiamo perché è cresciuta la produBvità del lavoro. Processo di


crescita dovuto all'accumulazione di capitale (capital deepening:
approfondimento dello stock di capitale accumulato, cioè capitale disponibile per
ogni lavoratore) e al cambiamento della TFP. La storia non cambia
fondamentalmente. Abbiamo questa grande fase di aumento della TFP tra il 19 e
il 28. tra il 1929-38 abbiamo una economia capitalis5ca non di mercato in cui si
ha accumulazione di capitale ma le cose non vanno bene in termini di
cambiamento della TFP per quel che riguarda i salari. È appunto
un sistema non efficiente, o
comunque di mercato ma altamente imperfeMo.

GRAFICO: si contano le teste occupate, non si dis5ngue chi lavora 8 ore o 1


ora al giorno (per disponibilità di da5, non per scelta). La disponibilità in
Italia è la più alta dal 51 al 73, dopodichè ci muoviamo in linea con i paesi
europei; però se andiamo a guardare non il numero di occupa5 ma le ore
effeBvamente lavorate, andiamo peggio. Questo probabilmente è legato al
faMore di composizione: calcolando la produBvità delle ore effeBvamente
lavorate, si ha una produBvità più alta. Se divido per il numero di persone
invece che per il numero di ore lavorate e mi viene un numero
rela5vamente più alto rispeMo agli altri, deve essere perché o ho poche
persone effeBvamente occupate oppure perché la gente in Italia lavora di
più. Quindi la produBvità si abbassa (questo è un faMo). Se i lavoratori
lavorano di più si ha paradossalmente inefficienza, cioè un livello di TFP
più basso.

GRAFICO: un elemento importante, se vogliamo guardare alla crescita dell’Italia


e capire le grandezze macro, riguarda la partecipazione al mercato del lavoro.
Una partecipazione bassissima, come si parte, e per questo l’Italia era anche un
paese così povero: pochi lavoravano e dovevano dividere il prodoMo del loro
lavoro con una gran massa di popolazione. Quindi l’Italia era un paese di
emigrazione (fino agli inizi del 1900). Dopodiché abbiamo una situazione di
stagnazione, il vero salto sulla partecipazione al mercato del lavoro si ha nella
fase della grande crescita, che poi con5nua (questo è l'aspeMo interessante).
TuMavia, il nostro tasso di partecipazione al mercato del lavoro rimane
comunque basso. Le sta5s5che ISTAT danno una più alta partecipazione al mercato del
lavoro (di 15 pun5 percentuali, perché partecipi al mercato del lavoro non solo se sei
disoccupato e cerchi un impiego, ma anche se sei occupato e lavori 10 ore a seBmana,
2 ore a seBmana...sei sempre occupato). Il grafico invece è FTE, quindi è il full 5me
equivalent. Tenendo conto di un potenziale convenzionale di 7.X ore di lavoro al
giorno, per ogni persona che ha tra i 15 e i 64 anni, le ore lavorate dalle persone che
sono occupate nel mercato del lavoro più i disoccupa5 a cui si imputa il potenziale di
7.X ore al giorno, è nell'ordine di 0.41 circa. Alla fine, c'è una dramma5ca caduta: la
partecipazione al mercato del lavoro nel 2011 era tornata ai livelli degli anni '80 (molto
bassa, ed è rimasta bassa).

Riassumendo
Fino al 1938 un paese povero era arretrato. Una grande fase di catching-up, chiamata anche l'età
dell'oro: la crescita generava ottimismo, in realtà era una fase transitoria, di passaggio da una relativa
arretratezza a una situazione di convergenza al livello dei paesi più ricchi (è stato un passaggio
comune ad altri paesi).
La riallocazione settoriale è finita, tende a finire dopo il 1973 (è inutile vagheggiare il ritorno agli anni
'60, perché gli anni '60 sono stati così favorevoli in quanto è stato possibile fare una riallocazione del
lavoro. Noi oggi viviamo in un mondo in cui la crescita della produttività si ha in alcuni settori e non
in altri, e in generale la crescita della produttività dei servizi è più lenta della crescita della produttività
della manifattura - stesso discorso per quanto riguarda la TFP). Questo è un tema comune a tutti i
paesi sviluppati: è il futuro dell'economia.
Il problema italiano è molto più grave, perché addirittura abbiamo una dinamica negativa della TFP,
cosa che in altri paesi non c'è. Quindi il problema è: ci sono dei fattori strutturali in Italia che sono
assolutamente rilevanti.
È importante fare una analisi settoriale: senza l'analisi settoriale non riusciamo a capire perché l’Italia
era un paese arretrato, e uno dei meccanismi riguarda il fatto che l'agricoltura aveva un basso livello
di produttività. La fase della crescita accelerata dopo il '45 è anche una fase in cui la crescita della
produttività in agricoltura diventa molto rapida (addirittura supera la crescita della produttività in
manifattura, questo perché vi è una interdipendenza tra i due settori: l'agricoltura utilizza le macchine
che sono prodotte dalla manifattura).
Però l'età dell'oro è la fase in cui si sviluppa l'industria. Quindi dobbiamo tornare all'industria? Non
si può replicare quello accaduto nel tempo. Noi siamo la seconda manifattura in Europa, dopo la
Germania, ma non è questo il punto: il punto è avere lavoro produttivo. Ci sono servizi finanziari che
hanno una produttività altissima, settori biomedicali, la ricerca... e noi non li abbiamo.
Ci sono paesi poveri che hanno una specializzazione manifatturiera che sta crescendo, perché i
paesi sviluppati stanno spostando lì le attività manifatturiere a minor valore aggiunto. Perché la
crescita della produttività in altri settori rende impossibile per le attività manifatturiere meno
produttive pagare dei salari alti. Questo è il meccanismo che produce la delocalizzazione, non è la
concorrenza sleale. Si mette in moto un meccanismo per cui c'è la crescita della produttività in alcuni
settori, più rapida che in altri, e questi altri settori semplicemente perdono peso, le produzioni si
spostano e i paesi ricchi diventano esportatori di altri prodotti (tipicamente esportano servizi
produttivi, creazione di conoscenza, e importano prodotti manufatti a basso valore aggiunto). Non è
vero che un paese ad alto reddito deve essere un paese con tanti prodotti manufatti.
Importante: la trasformazione strutturale ha portato una crescita rapida, si passa dall'agricoltura alla
manifattura e le tecniche di manifattura sono ad alta produttività, la partecipazione al mercato unico
ci consente di acquisire le tecniche, le tecnologie e di vendere i prodotti. Quindi questo si può fare.
Ma poi cosa succede dentro l'industria, cosa succede dentro i servizi verso cui una parte dei
lavoratori agricoli si sono spostati? Se non abbiamo dei productivity drivers dentro il settore, non
andiamo avanti. Questo è quello che succede prevalentemente nel settore dei servizi in Italia.
In Italia riguardo alla manifattura c'è stata una riallocazione settoriale all'interno del settore, tra
sottosettori; l'industria manifatturiera è sempre più meccanica e sempre meno tessile. È molto meno
automobilistica, nel senso di produrre prodotti finiti, ma è molto più componentistica. Questo ha
consentito una discreta crescita della produttività nel settore manifatturiero. Ma nei servizi questo
non è accaduto. Poi l’Italia non ha sviluppato altri settori della manifattura (come la chimica). Produce
prodotti farmaceutici, ma è un produttore di serie B, non produce i brevetti, assembla.
Altro punto: il fatto che le cose siano andate così male dal 93 è fondamentalmente un problema di
crescita praticamente inesistente della produttività nel settore dei servizi.
Motivi per spiegare il rallentamento della produttività
• Scarsità di investimenti pubblici e privati (le infrastrutture pubbliche non sono ad un livello
buono, mediamente)
• Lento tasso di adozione dell'ICT soprattutto nei servizi.
• Limitata diffusione delle tecnologie dalle imprese ad alta produttività alle imprese a bassa
produttività
• Allocazione inefficiente degli input produttivi, attraverso le imprese nei settori:
prendiamo un settore chiamiamolo "prodotti tessili". Prendiamo una azienda di prodotti tessili
nei pressi di Como: abbiamo che la sua produttività è altissima, la qualità delle tecnologie è
di punta, ricerca e sviluppo di punta. Prendiamo una industria che fa prodotti tessili in
provincia di Napoli: c'è una differenza di uso di tecnologie, intensità di capitale e di capitale
umano spaventosa, eppure sopravvivono nello stesso mercato. Sempre più gli economisti
vanno a guardare a queste misure di dispersione della produttività delle imprese come
misura dell'inefficienza. Perché le risorse dovrebbero andare dove le imprese sono più
produttive. E il funzionamento dell'economia di mercato è misurato da questo. Il fatto che le
risorse non si spostino (dipende dal modo in cui sono organizzate le istituzioni, dalla
frammentazione territoriale, dal fatto che siano due mercati diversi...) è un indice
dell'inefficienza. In Gran Bretagna non sarebbero due mercati diversi. Quello che si vede è
che i paesi in cui vi è minore dispersione all'interno dei settori, il livello di prodotto pro capite
medio è più alto, l'efficienza delle imprese è mediamente più alta...
• Weak competition: l’Italia è un paese in cui la frammentazione gioca un ruolo nel consentire
la sopravvivenza delle imprese più deboli. È particolarmente rilevante nei settori più
regolamentati, però è un tema generale nella scarsità di competizione nei servizi (connesso
alla possibilità dell'evasione fiscale ---> economia informale: economia in cui il sistema delle
regole è diverso da quello dell'economia ufficiale). Se l'economia informale e l'evasione
fiscale prosperano nei settori a bassa produttività, il fatto di avere un equilibrio politico,
istituzionale ed economico per cui questi settori non sono soggetti a riforme, rallenta la
crescita della produttività.

Focus sulle tendenze recenti: i divari territoriali


GRAFICO: quota del valore aggiunto manifaMuriero delle società di capitali
rispeMo all'universo delle imprese. Il valore aggiunto nelle società di capitali
si è ridoMo un po' nel nord ovest ma è aumentato dovunque. Siamo in una
situazione in cui, pur partendo da un livello basso del valore aggiunto,
sopraMuMo nel Mezzogiorno, abbiamo comunque un segnale di crescita.

GRAFICO: misura della TFP nell'industria manifaMuriera, dis5nguendo le


diverse aree. Ci sono tendenze non troppo diverse, ma esistono dei divari
territoriali nella TFP che sono molto importan5. Se riuscissimo a far saltare
verso l'alto la TFP nel mezzogiorno, oMerremmo un incremento enorme nella
TFP globale.

GRAFICO: se guardiamo ai divari, ci sono ques5 divari sulle ore lavorate,


retribuzioni e caraMeris5che della forza lavoro.

GRAFICO: distribuzione degli occupa5 qualifica5 analoga nel nord e sud. La


differenza sta appunto nel livello di TFP. La presenza di capitale umano fa salire
la produBvità. La banda di confidenza serve a caMurare la dispersione fra le
imprese. Nel sud è più grande la dispersione: questo è legato al faMo che le
osservazioni sono più disperse, il modello fa più fa5ca a prevedere la zp usando i
lavoratori qualifica5. Al nord è più ridoMa la banda di confidenza.

GRAFICO: i seMori dove


il divario era grande ed è aumentato è CE (fabbricazione di
sostanze e prodoB chimici) però abbiamo differenze anche nella
fabbricazione di macchinari CK. La povertà nel mezzogiorno è
legata a questo: il lavoro è meno produBvo perché le imprese sono
meno produBve, i salari sono più bassi...
CONCLUSIONI. I divari territoriali nella produttività
Il divario più rilevante si osserva tra le imprese del Mezzogiorno e del Nord-Ovest. Il forte svantaggio
delle regioni meridionali è dovuto, oltre che alla diversa qualità del fattore lavoro, anche alla
composizione settoriale e alla dimensione più ridotta delle imprese meridionali. Il Nord Est non
mostra una differenza marcata con il Nord Ovest mentre il Centro si colloca in una posizione
intermedia. Nel corso del tempo si è osservata una lieve convergenza tra la produttività delle imprese
localizzate nelle regioni meridionali e quelle nel resto del Paese, diffusa sia tra i diversi settori sia tra
le diverse classi dimensionali. Alla convergenza ha contribuito, durante la crisi, anche un processo
di selezione più intenso al Mezzogiorno.
DIAGNOSING THE ITALIAN DISEASE (paper di Pellegrino e Zingales)
Sappiamo che a metà gli anni 90, malgrado le condizioni macroeconomiche favorevoli (non c'erano
crisi, la GB è quella del momento di Tony Blair, il grande sviluppo della produttività in Gran Bretagna,
Bill Clinton negli Stati Uniti, crescita in Europa, Unione europea, il trattato di Maastricht nel '92...),
sono tutte cose che accadono in un contesto di ottimismo, non l'ottimismo gli anni 60 ma di
significativo ottimismo e di prosperità. In quel periodo la produttività in Italia rallenta, legato
all'incapacità delle imprese italiane di trarre vantaggio della rivoluzione dell'ICT. E uno può dire vabbè
funzionano male le istituzioni... Uno dei punti su cui loro si concentrano, da un filone di ricerca molto
seguito, è la meritocrazia nella selezione e nella compensazione dei manager delle imprese. Noi
abbiamo avuto trent'anni di dibattito - bisogna riformare il mercato del lavoro, abbiamo fatto diverse
riforme del mercato del lavoro, poi abbiamo fatto l'austerità, abbiamo tagliato la spesa pubblica,
abbiamo fatte molte le riforme... e alla fine la produttività continuava a non crescere... e poi questo
tema è diventato importante: c'è qualcosa che non funziona nelle imprese italiane, per questo vi ho
parlato di dispersione della produttività. Un tema è l'assenza di meritocrazia nel il modo in cui si
selezionano i manager.
In Italia il management fondamentalmente viene scelto sulla base di principi di lealtà, Posto che
questo è un anello mancante ed è molto importante per la crescita della produttività nelle imprese,
probabilmente questo meccanismo di selezione del management è una risposta ottima nell'ambiente
istituzionale italiano; il problema è legato al controllo delle imprese, al fatto se le imprese sono
familiari e l'investimento patrimoniale è connesso alla proprietà dell'impresa. Allora quel punto il
problema è preservare la stabilità del controllo.
Questo è un aspetto che per esempio negli Stati Uniti non c’è : negli USA un tizio può diventare
enormemente ricco, ma non necessariamente i suoi discendenti rimangono proprietari della sua
impresa.
Oggi Mediaset è, diciamo, un gigante ferito economicamente, è una società in declino (guardate i
valori azionari di Mediaset, lo vedete che era già in grave difficoltà nel 94); e com'è il management
di Mediaset una volta che si è chiuso il periodo dell'imprenditore fondatore? È un'impresa familiare
dove il controllo e la riallocazione delle risorse e è stato dominante.
È successo anche a Ikea: ha generato un meccanismo per cui ha esautorato tutti i suoi figli e le sue
figlie (il proprietario) dalla gestione dell'impresa, si tengono il patrimonio, ma Ikea non lo gestiscono
loro. E c'è stata una guerra senza fine, quindi questi meccanismi sono importantissimi. Negli Stati
Uniti non accade, di norma, quello che succede che uno che accumula un'enorme ricchezza, poi la
sua impresa la trasforma in una public company, ci investono i fondi l'investimento e, una volta
svaporato il suo genio, cioè non ha più la sua funzione per motivi anagrafici, la ricchezza viene
diversificata attraverso fondi di investimento, attraverso gestioni patrimoniali; non è che la capacità
imprenditoriale si trasforma, si trasferisce di padre in figlio: la ricchezza si trasferisce.
L'Italia invece funziona con un meccanismo di imprenditoria familiare, che non a caso, viene vantato
come un elemento di forza del nostro paese. Sono prevalentemente familiari e quindi sono le imprese
familiari che fanno la spina dorsale del nostro sistema produttivo. Ma questo significa descrivere i
fatti, non interpretarli. Noi abbiamo le imprese familiari perché non siamo capaci di sviluppare un
sistema istituzionale di governo delle imprese più efficienti, e non viceversa.
Il modello familiare di gestione dell'impresa entra in crisi nel momento in cui la tecnologia cambia
così tanto, questo diventa il punto importante: se il ruolo dell'imprenditore, oltre a quello di innovare
sul prodotto su una tecnologia è anche quello di gestire un insieme di relazioni, il trasferimento delle
competenze e del management per linea familiare è qualcosa di sostenibile, ma nel momento in cui
la tecnologia cambia così tanto e l'intero assetto organizzativo delle imprese cambia, bisogna
acquisire competenze che non necessariamente si trovano alla famiglia. Inoltre, l'impresa familiare
difficilmente riesce a crescere: anzi, se l'obiettivo, se la risposta ottima è quella di mantenere il
controllo, è meglio non crescere perché è impossibile crescere mantenendo il controllo quasi
sempre. Sono pochissimi casi delle imprese che diventano grandi senza ricorrere al mercato dei
capitali, per esempio si fa riferimento prestito bancario. Ma se si ricorre al mercato dei capitali, si
perde il controllo. In Italia il mercato dei capitali asfittico, mentre il mercato dei capitali bancari è
florido, ma non perché noi abbiamo banche forti, è perché noi abbiamo un mercato dei capitali di
rischio deboli (questo è un problema istituzionale). E la risposta ottima è un mercato dei capitali
debole, per l’imprenditore mantenere il controllo familiare, indebitarsi con le banche. Ma tutto questo
entra in crisi quando cambia la tecnologia, perché di fatto questo sistema non sembra essere in
grado di recepire questa innovazione tecnologica.

Lavoro che punta a discutere sul fatto che il management di impresa fa sì che in un paese come
l'Italia tende a generare una inefficienza nell'uso delle tecnologie più moderne, che hanno
consentito l'incremento di produttività con la terza rivoluzione industriale.
L’Italia sulla terza rivoluzione industriale rimane indietro per una complementarità negativa tra il
modo in cui il suo management è organizzato e questa forma di progresso tecnico. Questa è l'idea
(c'è un tentativo di dare uno strato empirico per dare valore alla tesi). Il grafico è molto suggestivo
(in Italia abbiamo una stagnazione del prodotto per ora lavorata, mentre continua a crescere anche
se non troppo velocemente in stati uniti dove la dinamica è più favorevole, Francia e Germania). La
variazione logaritmica del prodotto per ora lavorata a prezzi costanti dal 96 al 2006 in 4 componenti:
la crescita della TFP e il contributo alla crescita del prodotto per ora lavorata del capitale con
caratteristiche ICT e con caratteristiche NON-ICT. Data una certa crescita del prodotto per ora
lavorata quali sono stati i contributi della TFP del capitale ICT e del capitale NON-ICT, e il
cambiamento della composizione del lavoro (se il lavoro migliora nella sua qualità questo aumenta
la produttività)?
Abbiamo la distribuzione dei paesi OCSE (non tuB, quelli più ricchi). La linea nera con5nua
è la dinamica del prodoMo per ora lavorata cumulata in 10 anni (di quanto è cresciuto il
prodoMo per ora lavorata in 10 anni). In Italia la TFP è nega5va, probabilmente è dovuta a
un cambiamento nella composizione seMoriale del prodoMo nel paese che è sfavorevole:
andiamo verso seMori in cui se riusciamo ad aumentare il prodoMo, la produBvità
aumenta; ma aumenta perché ci riallochiamo usando più capitale umano, ma l'efficienza
scende. È un effeMo di composizione seMoriale sfavorevole, e non è una buona cosa. Il
quadro della situazione italiana è abbastanza deprimente.

Il terzo passaggio è che si va a guardare la crescita della produttività in relazione all'evoluzione di


indici di meritocrazia e intensità settoriale dell'ICT. La misura della produttività a cui i due autori
guardano sono le stime della produttività totale dei fattori e, per quel che riguarda la meritocrazia, la
misura della TFP (ordinate) nel corso degli anni. Guardando i paesi visti prima, e raggruppandoli
considerando per questi paesi quanto conta l'intensità del capitale ICT e quanto conta l'indice di
meritocrazia nella gestione delle imprese, nella selezione del management delle imprese.
Meritocrazia=0 se sistematicamente diventi il manager dell'azienda perché ne sei proprietario o
perché la erediti, questo mediamente è il minimo del merito. Si ottengono 4 suddivisioni
(high...high...low... low...). Hanno identificato le categorie di alto o basso merito in un certo modo...
non entriamo nel dettaglio.
Prendendo l'indice nella TFP pari a 100 nel 1995, vediamo come per queste 4 categorie di paesi
cosa succede: quello che si vede è che la categoria "high ICT, high merit" tende a produrre una
dinamica della produttività che è particolarmente favorevole quando la ICT revolution prende piede
(nella seconda parte del campione).
Viceversa, chi ha una scarsa caratterizzazione di intensità ICT settoriale e un meccanismo non
meritocratico nella selezione del management delle imprese, fondamentalmente non vede più
crescere la sua produttività.

Qui abbiamo un grafico più semplice che è la distribuzione della meritocrazia a livello delle imprese:

Si hanno 5 classi di merito, e l'istogramma indica la frequenza. Se guardiamo l'Italia si vede che la
classe di merito più bassa ha un peso molto maggiore rispetto alle altre in relazione agli altri paesi.
Le imprese eccellenti sono sempre una minoranza in tutti questi paesi, però diciamo che il modo in
cui le classi basse si caratterizzano per essere importanti sono la classe 0 soprattutto (e questo
riguarda specialmente l’Italia). Questi sono fattori che non vengono tipicamente studiati e che non
vengono discussi nel nostro dibattito economico-politico.
Questo anche perché c'è una tendenza tra gli economisti a riflettere sul fatto che in un sistema
competitivo vale il "survival of the fittest", quindi la competizione mette a posto gli imprenditori. E
quindi noi non dobbiamo preoccuparci di questo, ma di dare gli incentivi giusti agli imprenditori.
Quindi per qualche motivo gli economisti tendono a credere che questi incentivi implicitamente si
distribuiscano facilmente (dobbiamo tassarli poco e metterli in un mercato possibilmente competitivo,
nel senso che abbiamo l'antitrust che funziona e finisce lì). La realtà è che non finisce lì, perché
molte imprese lavorano in settori che non sono necessariamente aperti alla concorrenza
internazionale (tutto il settore dei beni non commerciati internazionalmente non ha la pressione
diretta che deriva dall'essere esposti alla concorrenza del mercato europeo o globale). In secondo
luogo, il fatto è che le imprese possono essere piccole nella misura in cui sono poco esposte alla
concorrenza da altri paesi competono sostanzialmente tra di loro e sono simili, ciò porta il mercato
automaticamente a risolvere problemi di scarsa o inefficiente governance.
Il contributo che Pellegrino e Zingales danno però è anche quello di dire che il problema è che dato
il
- contesto istituzionale del nostro paese
- modo in cui vengono regolate le successioni
- modo in cui il sistema giuridico regola la governance delle imprese e ammette certi funzionamenti
- il fatto che da noi il capitale di rischio conta poco (conta molto il prestito bancario)
- il fatto che noi storicamente abbiamo un sistema bancario che alla fine si è rivelato un fallimento
devastante (un sistema basato sulle banche locali, sulla banca di relazione)
- il modo in cui il capitale viene canalizzato alle imprese ne determina gli incentivi.
È l'intero sistema, il sistema giudiziario, il sistema delle relazioni tra le imprese che producono beni
e le imprese finanziarie, che favorisce esiti di questo tipo.
Questo grafico anche è interessante, mostra che le misure di efficienza delle imprese (tenendo conto
di dove sono le sedi centrali delle imprese) è correlato molto bene con gli indici generali di
meritocrazia (asse delle ordinate, meritocrazia nelle scuole, nelle università, nel sistema di selezione
degli impiegati pubblici...) del paese. Esiste una correlazione significativa, non perfetta ma
importante. Queste sono questioni non irrilevanti. La Svezia è un paese che tassa moltissimo, la
quantità di produzione intermediata dallo stato è altissima, eppure è un paese che ha un indicatore
di meritocrazia a livello di imprese (asse delle ascisse) e nel paese (asse delle ordinate) che è
altissimo, e non è diverso da quello degli USA.

THE IT REVOLUTION AND SOUTHERN EUROPE'S TWO LOST


DECADES (PAPER DI SCHIVARDI E SCHMITZ)
È un paper figlio del precedente. Fondamentalmente loro vanno a guardare sud e nord dell’Europa,
riprendono più o meno le stesse statistiche aggregate e poi costruiscono un modello teorico in cui
diventa endogeno il comportamento delle imprese, partendo però dalla qualità esogena del
management.
Un risultato molto importante in termini di politica economica è che se non cambiano le pratiche di
management, paradossalmente aumentare le spese in Information Technologies non serve a ridurre
il differenziale di produttività. Uno dei messaggi stridenti è che se noi sussidiamo la formazione di
capitale umano non necessariamente chiudiamo il gap, perché se il lavoro è mobile
(e tu lo formi) poi andrà dove sarà più produttivo. Se le pratiche del management non evolvono, il
lavoro continuerà ad andare dove sarà più produttivo (la formazione al sud fluirà successivamente
al nord). Spesso si ragiona in termini di lavoro immobile, capitale mobile e non si ragiona su come è
organizzata l'impresa. Invece questo modello dice che il capitale è mobile, ma l'impresa non lo è
necessariamente, soprattutto al Sud Europa. Le imprese sono immobili, il capitale è mobile e va
dove è più produttivo. I lavoratori sono meno mobili del capitale, ma hanno un certo grado di mobilità
soprattutto i lavoratori più qualificati sono molto più mobili degli altri. Quindi si sussidia il lavoro, si
forma capitale umano e poi il lavoro va dove è più produttivo.
Quindi il problema non è l'aumentare il capitale umano o il rendere accessibili le tecniche digitali, ma
è che da soli questi strumenti, queste iniziative di politica economica non bastano.

GRAFICO: crescita dello stock di capitale

GRAFICO: altra misura di efficienza nei paesi OECD, e di nuovo l’Italia non è certo
messa bene: c'è un Sud (Italia, Portogallo, Spagna e Grecia).
GRAFICO: complementare a quello che fanno vedere Pellegrini-Zingales. Prima del 1995
la relazione tra il management score e la crescita della produttività non c'era

Tra il 1995 e il 2008 si manifesta questo fenomeno della rivoluzione tecnologica e succedono
2 cose:
1. Skill buyers: il progresso tecnico aumenta molto i salari di quelli che hanno skill e
non aumenta (anzi, riduce) i salari reali in molti casi di quelli che di skill non ne hanno.
E questo è un problema di diseguaglianza assai rilevante
2. Se le imprese hanno certi standard qualitativi, c'è una complementarità tra gli
standard qualitativi delle imprese e la crescita della produttività indotta dall'adozione
delle nuove tecnologie. Se lo score è basso, l'impatto sulla produttività non si vede.
Italia, Spagna e Portogallo sono messi male.
La loro idea è che l'arrivo dell'IT revolution amplifica la divisione nord-sud attraverso 3 canali:
• La produttività: il management efficiente e IT sono complementi. Uno aumenta
l'altro, dove però c'è l'idea che il management è cruciale. Dunque, le imprese del sud
che non avevano un buon management, anche quando hanno adottato l'IT hanno
avuto minori benefici; ci sono minori incentivi a adottare IT perché non si sa cosa
farsene. Tutto questo produce un gap di produttività
• L'occupazione: IT aumenta la quota di occupazione delle imprese che hanno un
management formale (non basate sul management dei proprietari). Un punto
essenziale dell'efficienza di un sistema di mercato è che non fai il manager perché
sei ricco; se sei ricco fai il rentier. Le imprese del sud di fatto, prima che questa
rivoluzione prendesse veramente piede, avevano una efficienza comparabile
nell'uso delle tecnologie tradizionali. Con il nord non c'erano enormi differenze: è un
po' come se ci fosse una competenza "first specific", l'impresa ha certe tecnologie e
questa competenza si tramanda anche attraverso la proprietà familiare. Ma quando
l'ICT comporta cambiamento organizzativo, questo arriva dall'esterno, bisognerebbe
assumere personale esterno che soppianterebbe il ruolo del management familiare
perché ICT richiede la riorganizzazione dell'impresa, non richiede di far lavorare gli
operai e le maestranze in modo diverso, si cambia il modo in cui l'impresa si
relaziona con i mercati... in passato bastava cambiare un macchinario e fornire le
istruzioni agli operai.
• I salari: abbiamo uno svantaggio in termini di occupazione e in termini di redditi; le
imprese più efficienti, con un management più efficiente, sono meno presenti nel
sud. Questo è un effetto di composizione che è anche importante. Inoltre, il fatto che
ci sia meno domanda di ICT significa che ci sia meno domanda di highskill workers;
quindi chi è formato se ne va.
Loro poi alla fine lo calibrano questo modello (scelgono una serie di parametri per descrivere
le caratteristiche strutturali dell'economia), e questo modello spiega più di 1/3 della
divergenza del sistema italiano da quello tedesco, mentre spiega benissimo la divergenza
del portogallo (81%). La divergenza dipende dal fatto che le imprese che non hanno un buon
management hanno minori guadagni di produttività dall'adottare nuove tecnologie. Poi
sostengono che l'emigrazione in quanto tale non ha avuto un grande effetto sulla produttività
totale dei paesi.

Il problema delle policy è che se si sussidia l'adozione di IT si abbassa la produttività al sud


(paradossalmente, in termini relativi), perché questa adozione avviene non sulla base di un
principio di efficienza ma sulla base di un premio. La teoria economica ci dice che bisogna
sussidiare qualcosa quando ci sono delle esternalità positive. Il modello dice che esistono
delle imprese con un cattivo management. Quindi se si sussidia qualcosa che non ha
esternalità, questo non produce effetti benefici e il risultato che ottengono è che addirittura
si peggiora la situazione, perché si induce ad usare troppo un bene che è un bene privato.
Siccome l'inefficienza qui non deriva dalla presenza di esternalità sull'ICT ma dal cattivo
management, bisogna lavorare sul cattivo management.
Anche sussidiare l'educazione è la stessa cosa: le esternalità non ci sono. Si sussidia
l'educazione perché ci sono esternalità, ma qui non è quello il problema. Questi risultati che
possono sembrare sorprendenti, non lo sono.
Bisogna cambiare la governance delle imprese, l'ownership.
Le multinazionali sarebbero una bella cosa, sono un po' il deus ex machina, perché le
multinazionali portano pratiche diverse (IBM nel distretto della Brianza ha cambiato il tessuto
delle imprese, perché alcuni lavoratori di IBM sono diventati imprenditori e hanno portato la
cultura dell'organizzazione aziendale altrove). Naturalmente non c'è una ricetta magica,
rimane il punto di Zingales e Pellegrino: è l'intero sistema paese che va considerato, perché
c'è una razionalità individuale: se sei proprietario dell'azienda e puoi ottenere credito
attraverso un sistema di relazioni, questo ti aumenta la possibilità di avere redditi rispetto al
fatto di fare il rentier e investire finanziariamente. È l'intero sistema che funziona in questo
modo: il problema della governance, dell'assetto giuridico, del modo in cui si possono
reperire capitali (il venture capital può essere un'ottima idea, sono istituzioni finanziarie che
non prestano come le banche, che trasformano passività brevi in attività lunga...offrono
contratti di debito, ma si basano su una condivisione del rischio).
Ma anche se aumentiamo l'offerta di venture capital senza creare le condizioni per cui ci sia
la domanda, questo non avrà successo, ci vuole un approccio che tiene conto dell'insieme
di questi aspetti.

Il rapporto economico OCSE sull'Italia (2019)


In Italia perdurano problemi economici e sociali di lunga durata.
Un vasto pacchetto di riforme è essenziale per un’inclusione sociale e una crescita più
solide.
I sussidi ai lavoratori e un programma di reddito garantito moderato stimolerebbero
l’occupazione e ridurrebbero la povertà.
Una maggiore efficacia delle politiche di sviluppo regionale e il rafforzamento delle capacità
a livello locale aiuterebbe a ridurre il divario tra le regioni
Stimolare una crescita sostenuta e inclusiva
• Elaborare un programma pluriennale di riforme istituzionali, economiche e sociali e
non abrogare le importanti misure adottate negli ultimi anni.
• Accrescere la credibilità di bilancio stabilendo un piano di bilancio a medio termine
nel quadro del Patto di Crescita dell’Unione Europea, mirato all’aumento costante
dell’avanzo primario.
• Continuare ad attuare riforme a sostegno della produttività, tra cui provvedimenti per
rendere il sistema giudiziario più efficiente tramite il miglioramento delle procedure
amministrativi e un più ampio ricorso a sistemi alternativi di risoluzione delle
controversie.
• Applicare pienamente le riforme delle banche popolari e cooperative e completare
la riforma del regime di insolvenza.
• Abrogare le modifiche alle regole sul pensionamento anticipato introdotte nel 2019
e mantenere il nesso tra l’età pensionabile e la speranza di vita.
• Continuare a migliorare l’adesione spontanea all’obbligazione tributaria ed evitare i
condoni fiscali ripetuti.
• Abbassare la soglia massima per i pagamenti in contanti.
• Abolire le spese fiscali non adeguatamente mirate o che presentano obiettivi
obsoleti.
• Continuare a migliorare il coordinamento tra gli enti dell’amministrazione fiscale.
• Creare un’unità di supporto tecnico per gli investimenti pubblici ricorrendo a strutture
amministrative esistenti e assicurare che abbia le capacità e le risorse adeguate.
• Semplificare gli aspetti più complessi del codice degli appalti pubblici, preservando
però i poteri dell’autorità anticorruzione.
• Elaborare un programma completo di sviluppo territoriale e investimenti pubblici,
collegando lo sviluppo delle infrastrutture e la gestione dell’assetto del territorio.

Riforme fiscali e previdenziali per ridurre la povertà e promuovere l’occupazione


• Attuare un programma pluriennale per rinnovare i centri per l’impiego basato
sull’applicazione di standard di servizio essenziali e investimenti più cospicui in
sistemi informatici, strumenti di profilazione e risorse umane.
• Garantire la capacità di amministrare il reddito di cittadinanza sfruttando e
rafforzando, ove necessario, i servizi di assistenza sociale dei comuni e creando una
stretta collaborazione tra questi ultimi e centri per l’impiego.
• Offrire più posti di qualità per l’assistenza all’infanzia a un costo basso rispetto agli
stipendi medi, privilegiando le regioni con un tasso di occupazione femminile basso.
• Ridurre il cuneo fiscale per i lavoratori a basso reddito e la partecipazione del
secondo coniuge alla vita attiva attraverso la diminuzione dei contributi sociali a
carico del datore di lavoro e mediante riforme fiscali e previdenziali, mantenendo
però la progressività del sistema d’imposizione.
• Abbassare e ridurre progressivamente nel tempo le prestazioni del Reddito di
Cittadinanza e introdurre un sussidio per i lavoratori occupati a basso reddito per
incoraggiare i beneficiari a cercare un impiego nel settore formale.
Aumento dell’efficacia degli investimenti nello sviluppo regionale e rafforzamento delle
capacità al livello locale
• Razionalizzare e migliorare il coordinamento tra gli enti coinvolti nelle politiche di
sviluppo regionale attraverso il rafforzamento del ruolo e delle competenze degli
organi dell’amministrazione centrale.
• Attribuire maggior peso agli organismi di governance metropolitani con il
trasferimento di alcuni poteri delle regioni e delle province.
• Conferire all’ANPAL il potere di ristrutturare i centri per l’impiego che ripetutamente
non riescono a raggiungere gli obiettivi concordati.
• Ristrutturare le attività di gestione dei rifiuti delle amministrazioni locali che
ripetutamente non riescono a raggiungere gli obiettivi per la raccolta e il riciclaggio
dei rifiuti
Da pag 46 a 115: 70 pag 12
pag al giorno.

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