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Lucrezia Serra

ECONOMIA POLITICA

Cos’è l’Economia politica?


L’Economia politica è una scienza sociale, che studia come le società organizzano la
produzione e lo scambio di beni e di servizi.
L’Economia politica si basa su due ipotesi fondamentali:
– individualismo metodologico: base analitica per lo studio della società è il
comportamento dei singoli individui;
– comportamento razionale: i singoli individui, nel loro agire, sono razionali rispetto allo
scopo.

La microeconomia
La MICROECONOMIA è la branca dell’ECONOMIA che spiega come funzionano i
meccanismi (comportamento razionale e relazioni concorrenziali) in base ai quali operano i
sistemi economici di mercato e a quali condizioni un sistema di mercato – organizzato sulla
base di scambi «impersonali» - dà luogo a una società prospera e ordinata.
La microeconomia è costruita così su TRE pilastri:
1. un metodo di analisi: come spiegare il funzionamento di una società partendo dai
singoli individui (INDIVIDUALISMO METODOLOGICO)
2. una teoria che spiega come i singoli individui agiscono (TEORIA DEL
COMPORTAMENTO RAZIONALE)
3. una teoria che spiega come funziona la concorrenza tra soggetti razionali e quali esiti
sociali produce (TEORIA DELLA CONCORRENZA)

La macroeconomia
Mentre la microeconomia si concentra sui singoli soggetti economici, come base di partenza
per spiegare il funzionamento della società nel complesso. La macroeconomia adotta fin
dall'inizio una visione di insieme del sistema economico e studia grandezze economiche
aggregate (e le loro determinanti) come il prodotto nazionale, il livello generale dei prezzi o il
tasso di disoccupazione.
La macroeconomia nacque come sviluppo delle riflessioni di John Maynard Keynes che
analizzando la Grande Depressione (1929-1939) cercò di capire:
– quando e perché l’economia di mercato non è in grado di impiegare tutte le risorse
disponibili (in particolare il lavoro) e
– in che modo l’intervento pubblico può aiutare la società a raggiungere la piena
occupazione

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Si vive in un’economia di mercato ovvero un’economia in cui le decisioni economiche


fondamentali di produzione e consumo sono autonome e private. Le decisioni di produzione
vengono prese autonomamente dai singoli agenti economici, come le imprese. Questi sono
autonomi e indipendenti ovvero non dipendono da un’autorità pubblica ma fondano le loro
scelte in base al profitto di impresa.
Al contrario un’economia pianificata è una situazione nella quale le decisioni fondamentali
vengono prese consapevolmente da un organo centrale, che solitamente è lo stato.

COME FUNZIONA UN’ECONOMIA DI MERCATO


L’inizio del concetto di economia di mercato si deve ad Adam Smith con la pubblicazione de
‘la ricchezza delle nazioni’

ECONOMIA DI MERCATO: è un sistema economico, un’organizzazione dell’attività


economica basata su decisioni decentrate. Le decisioni decentrate non sono prese da
autorità di governo bensì la gran parte delle decisioni economiche rilevanti sono prese da
singoli agenti economici.
Gli agenti economici sono coloro che agiscono nell’economia e prendono decisioni
economiche. Si dividono in due grandi categorie: consumatori e imprese.
Consumatori: siamo vincolati dal potere d’acquisto, ma possiamo scegliere liberamente
Imprese: autorità superiore impone ma comunque vige una libertà di scelta libera e
decentrata.
Come prendono delle decisioni decentrate gli agenti economici? Cercano di prendere
decisioni a loro favorevoli, cercando di ottenere il meglio possibile (es consumatore cerca il
rapporto qualità presso) Imprese hanno un profitto: pigreco=r-ct (ricavo- costo totale)
Il consumatore massimizza la sua utilità cioè la sua soddisfazione, le imprese invece
tenderanno a massimizzare il profitto.

Gli agenti economici sono agenti auto-interessati (self-interested). Significa che ciascun
agente economico è auto interessato al perseguire il proprio obiettivo. Non significa decisioni
egoistiche ma ciascuno si preoccupa di giungere al proprio obiettivo nella misura massima
possibile.
Quindi gli agenti sono auto-interessati e razionali cioè che adottano comportamenti
massimizzanti ovvero di massimizzazione. I comportamenti di massimizzazione definiscono i
comportamenti degli agenti come comportamenti razionali.
I consumatori massimizzano le utilità e le imprese massimizzano i profitti.
Un’economia basata su questi principi e comportamenti come fa a funzionare?
Non è un funzionamento perfetto. Nessuno intenzionalmente si preoccupa di prendere delle
decisioni economiche coerenti per il buon funzionamento generale dell’economia (ovvero
l’interesse generale). Gli agenti economici non si preoccupano dell’interesse generale.
Ciascuno vuole ottenere il massimo per sé.
Adam Smith, filosofo scozzese del ‘700, prova a dare una spiegazione al funzionamento
generale dell’economia di mercato. Ipotesi che Smith mette a fuoco è che in un’economia di
mercato dove le scelte sono decentrate non si traduce in caos ma gli agenti economici sono
come guidati da una mano invisibile che coordina le loro decisioni.
La mano invisibile è il sistema dei prezzi di mercato. Il sistema dei prezzi è in grado di
coordinare le decisioni dei singoli agenti in modo che risultino coerenti le une con le altre e

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così il sistema arrivi ad un ordine economico chiamato equilibrio economico.


Paradossalmente sarebbe più plausibile il caos in un’economia di mercato che in una
pianificata, perché una è basata su scelte libere e autonome e governata da una mano
invisibile mentre l’altra è un’economia centralizzata; il fatto che l’economia di mercato
funzioni è contro-intuitiva. Fino al 1930 circa si pensava che l’economia pianificata fosse più
efficacie di un’economia di mercato.

ADAM SMITH E LA TEORIA DELLA MANO INVISIBILE


Cosa è un mercato?
Il mercato è un luogo economico in cui si incontrano agenti economici, alcuni che operano
dal lato della domanda e altri dal lato dell’offerta. Ci sono agenti economici che acquistano e
altri che vendono; facendo così avvengono le transazioni di mercato. L’oggetto dello
scambio è la merce e lo scambio è la transazione di mercato.
Perché domanda e offerta risultano coerenti? Tende ad un equilibrio a un disequilibrio?

COME FUNZIONA IL MERCATO?


ci sono fattori che influenzano la domanda di una determinata merce e altri che influenzano
l’offerta. La quantità complessivamente domandata di merci è in funzione quindi dipende:
Qd= f(p_)
Quantità domandata di merci= è funzione del prezzo per unità di prodotto.
p avrà un’influenza notevole sulla quantità di domanda. Date le altre variabili, il prezzo di
mercato influenza la quantità di merce. Tra le due variabili esiste una relazione inversa e
quindi si pone il meno.
Curva di domanda ha un’inclinazione negativa: prezzi alti e richiesta bassa. I produttori sono
incentivati a produrre se le merci costano poco. Con il grafico si evidenzia in modo chiaro la
proporzionalità tra prezzo (p) e quantità (Q).

QUALI SONO I FATTORI CHE INFLUENZANO LE DECISIONI PRESE DA UN


DETERMINATO PRODUTTORE DI MERCE?
Offerta: QS=f(p+)
Offerta= alla variabile del prezzo unitario.
Molti fattori possono influenzare e rendere variabile un’offerta.

QUANDO Qs È UGUALE A Qd?


Quando il prezzo di mercato è in linea con il punto di intersezione tra la Qd e Qs.
È detto prezzo di equilibrio pe. Pe (prezzo di equilibrio) implica che le decisioni dei
produttori siano coerenti con quelle dei consumatori.
Nel mercato operano le cosiddette forze di mercato cioè meccanismi spontanei per
cui il prezzo di mercato tende al suo livello di equilibrio e se nel mercato operano
forze spontanee di mercato tale per cui il prezzo tende al suo livello di equilibrio allora
il prezzo di merce diventa coerente con l’offerta.

Curva di domanda di domanda: relazione inversa tra quantità di merce domandata e prezzo
della merce.
Curva di offerta: l’offerta è direttamente proporzionale al prezzo.

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In corrispondenza del prezzo di mercato questo implica che la quantità domandata è uguale
alla quantità offerta. Il mercato è un equilibrio economico, il prezzo di equilibrio ripulisce il
mercato non c’è un eccesso di domanda né un eccesso di offerta.

Perché esiste tendenza all’equilibrio?


Se il prezzo di mercato è libero di muoversi, se è flessibile allora c’è una tendenza
all’equilibrio. Immaginando che il prezzo non sia al livello di equilibrio, ovvero sia maggiore al
livello di equilibrio, se il prezzo è p1 cosa succede?
P=Pe → Qd=Qs
La quantità sarà p1 e quella offerta s1. Ci sarà un eccesso di offerta (Es) rispetto alla
domanda e nel mercato si crea una situazione di disequilibrio ed è caratterizzato, in questo
caso, da un eccesso di offerta. Quindi non tutta la produzione trova degli acquirenti e si crea
una situazione in cui i prezzi devono scendere. Se c’è una alta domanda il prezzo sale. In
ogni caso se un valore aumenta l’altro inevitabilmente crollerà. Se c’è un eccesso di offerta
questo implica una riduzione del prezzo. Un eccesso di offerta determina una riduzione del
prezzo di mercato. Ciò determina un disequilibrio ma nettamente inferiore al precedente. Si
mette a fuoco l’esistenza di un processo spontaneo e il meccanismo di mercato fa tendere il
mercato all’equilibrio facendo scomparire il disequilibrio. Il disequilibrio non è solo
concepibile con un eccesso di offerta.

Il mercato è in equilibrio?
La quantità domandata è elevata, abbiamo un mercato in disequilibrio. C’è un eccesso di
domanda e se la domanda è maggiore allora il prezzo tende a salire finché permane
l’eccesso di domanda (Ed).
Allora il prezzo di equilibrio ripulisce il mercato.

MERCI
In un'economia avanzata quante merci e prodotti vengono realizzati dal sistema economico?
Tantissimi.
1: mercato di una merce
2: mercato di un'altra merce
N: numero merci prodotte dal sistema economico.
Se il sistema economico funziona come si è visto attraverso agenti economici che prendono
decisioni decentrate allora si vedrà in opera un meccanismo economico. Il pe1 che si pone
sul mercato tra l’interazione e questo implica che la quantità domandata è uguale alla
quantità offerta del prodotto 1 e coincidono se e solo se il mercato è in equilibrio.
Se per ogni merce c’è un mercato e per ogni merce funziona allora stesso modo il mercato è
in equilibrio in assoluto.
I mercati si chiamano vettori dei prezzi di equilibrio e dicono che il sistema dei prezzi
è l'insieme dei prezzi di equilibrio che tende allo stesso valore. Il vettore dei prezzi di
equilibrio determina la stabilità e l’equilibrio del mercato in assoluto.

LEGGE DI WALRAS
Il sistema dei prezzi liberamente si muove liberamente senza interventi esterni e garantisce
l’equilibrio generale. Nasce a Losanna nel 1860. Nel 1950 si arrivò a formalizzare il tutto. Ciò
che sta dietro la scuola e la visione prende il nome di economia walrasiana la quale
formalizza la visione smithiana di mano invisibile. Smith credeva che si potesse arrivare ad

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un ordine; nella scuola di Losanna si esaminano le condizioni che devono valere e si


dimostra l’esistenza di un'economia di equilibrio generale.
Nella visione Warlasiana, quindi, della scuola di Losanna, non c’è solo l’idea di un
aggiustamento spontaneo per cui il prezzo di mercato tende al suo livello di equilibrio ma
che gli aggiustamenti di mercato siano molto robusti, marcati e forti al punto da garantire
senz’altro non solo la tendenza all’equilibrio ma una tendenza rapida, al limite un
aggiustamento all’equilibrio che avviene a velocità infinta.
Cosa vuol dire a velocità infinita?
Aggiustamento istantaneo. Nella visione standard warlasiana c’è la credenza che gli
aggiustamenti di mercato siano estremamente forti e giusti. Qualunque cosa successa al
sistema economico che si discosta dal prezzo di equilibrio, dal vettore del prezzo gli
aggiustamenti sono così forti che si ritorna istantaneamente al prezzo di equilibrio. Questa
visione porta l’idea che i mercati sono sempre marcati, si basa e alimenta una visione di
grande fiducia nel funzionamento del mercato.
La Scuola Walrasiana esercita un’importante influenza per la società economica.
Formalizza quella che era stata un’intuizione geniale di Smith attraverso la teoria della mano
invisibile. Se il prezzo di mercato è in grado di ripulire e di tenere in equilibrio il mercato di
una determinata merce viene messo a fuoco un meccanismo che garantisce equilibrio tra
domanda e offerta. L'eccesso di domanda e di offerta si riducono man mano fino a che non
raggiungono un prezzo di equilibrio ovvero fino a che domanda e offerta sono uguali. Se
questo meccanismo spontaneo viene esteso finché non si arriva al prezzo di equilibrio dove
opera in tutti i mercati; allora il sistema dei prezzi garantisce il sistema di equilibrio dei
prezzi.

Vettore dei prezzi di equilibrio è un insieme di numeri, di prezzi di equilibrio delle diverse
merci. Il vettore dei prezzi tiene in equilibrio il mercato ovvero i prezzi unitari di equilibrio per
ogni merce prodotta sono e implicano l’equilibrio generale.
[Pe1, Pe2,...Pen]
È la messa a fuoco concettuale di sviluppi che teorici portano a dire che l’intuizione di Smith,
di fine ‘700, viene raccontata e formalizzata attraverso strumenti formali e analitici come il
vettore dei prezzi di equilibrio. L’intuizione di Smith viene formalizzata attraverso il vettore
dei prezzi, l’idea che i sistemi dei prezzi coordinino le azioni dei soggetti che intervengono
nel mercato. Attraverso questo meccanismo spontaneo di mercato il vettore dei prezzi si
autoregola attraverso il sistema dei prezzi e arriva a un PIL che non sta nella funzione
obiettiva dei singoli decisori decentrati ma nell’equilibrio generale dello stesso.
Questa visione alimenta estremismi ideologici, ovvero l’idea che i sistemi di mercato siano
sempre perfetti e che non incorrano mai in problemi.
L’idea Walrasiana vuole che gli aggiustamenti del prezzo di mercato al livello di equilibrio
siano pochi, efficaci e rapidi, che siano giustamente walrasiani ovvero rapidi, a velocità
infinita. Quindi il prezzo di qualsiasi merce coincide con il prezzo di equilibrio, ed esso si
corregge istantaneamente e a velocità infinita.
p → pe
p=pe
con gli aggiustamenti perfetti walrasiani il sistema di mercato è sempre in equilibrio e quindi
il sistema economico è in grado di autoregolarsi.

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Uno stato di equilibrio generale dove tutti i mercati sono in equilibrio.


Il mercato del lavoro è il luogo economico in cui avvengono delle transazioni, alcuni agenti
entrano sul lato del lavoro attraverso l’offerta di forza lavoro (SL) altri dal lato della domanda,
le imprese che domandano lavoro (DL). L’offerta è espressa da chi si presenta e invece le
imprese domandano lavoro.
In un mercato del lavoro all’interno di un’economia di mercato, esso viene remunerato e ci
sarà un prezzo W( weges, salario unitario ovvero il prezzo per lo svolgimento del lavoro).
Il mercato del lavoro è il luogo economico dove si incontrano la domanda e l’offerta del
lavoro e dove vige l’esistenza di un salario, ovvero viene riconosciuto il prezzo del lavoro.

Domanda di lavoro
La curva della domanda esprime una relazione inversa tra la domanda e il prezzo, ovvero se
la domanda di lavoro è alta W diminuisce. (w è il prezzo unitario della forza lavoro)
Offerta di lavoro
L’offerta di lavoro corrisponde all’insieme della popolazione che ha compiuto 16 anni fino a
coloro che ne hanno compiuto 65; quindi l’offerta del lavoro è un dato demografico.
È quindi un dato di natura demografica istituzionale che dipende da demografia e dalle
regole istituzionali che vigono in un certo contesto politico istituzionale.
Il mercato del lavoro è un mercato che funziona come ogni altro mercato. Se il prezzo è al
livello di equilibrio non vige disoccupazione perché la domanda di lavoro è uguale all’offerta
di lavoro; vi sarebbe, a quel punto, piena occupazione.
C’è la tendenza al prezzo di equilibrio e l’aggiustamento è di carattere warlasiano ovvero si
aggiusta istantaneamente. L’equilibrio generale è un equilibrio generale di piena
occupazione.

EQUILIBRIO DI PIENA OCCUPAZIONE


Nella visione warlasiana in un’economia di mercato in cui vigono aggiustamenti istantanei,
esso è caratterizzato da piena occupazione è un predizione teorica, ovvero da un equilibrio
di piena occupazione.
La disoccupazione in Italia è al 9,9% è un tasso molto elevato di disoccupazione. (u)
U è il rapporto tra disoccupati e forza lavoro moltiplicato per cento. U=disoccupati/forza
lavoro x100.

FATTI STILIZZATI
I fatti stilizzati alludono alla necessità di riassumere in variabili chiave una situazione
economica. Negli anni ’30, anni della grande depressione, dopo il crollo in borsa di Wall
Street, l’economia statunitense va in depressione e questo fenomeno intacca e colpisce
anche l’Europa. Il tasso di disoccupazione era al 25%, ovvero un quarto della popolazione in
età di lavoro risultava disoccupata. Il risultato della disoccupazione ovvero il PIL si era
elasticamente ridotto in tutti i paesi avanzati, ovvero le imprese lavoravano al 50/60% della
loro capacità produttiva, avevano effettuato dei licenziamenti.
Nacquero molte scuole di pensiero dopo la grande depressione, l’economia e le teorie che
venivano insegnata nelle università e che formavano la classe dirigente erano Smith, la
mano invisibile e i Warlasiani e la teoria ricevuta ovvero spiega che vige una tendenza
all’equilibrio ed essa è abbastanza forte grazie agli aggiustamenti, la teoria dice che
l’economia è in situazione di piena occupazione.

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I fatti stilizzati degli anni 30 fanno a pugni con la teoria ricevuta, ovvero prediche che un
economia di mercato è in grado di raggiungere piena occupazione e equilibrio. Negli anni 30
la situazione di disoccupazione era molto grave.
La teoria ricevuta non è in rado di spiegare i fatti della situazione concreta che ci si ritrova di
fronte. La disoccupazione che si forma in uno stato di occupazione ideale si chiama
disoccupazione frizionale, che non è grave né in quantità ne in qualità.

TEORIA DELLA DISOCCUPAZIONE


La teoria della disoccupazione spiega che il mercato del lavoro è in disequilibrio, il prezzo
della forza lavoro è drasticamente superiore al salario disponibile; quindi si genera un
eccesso di offerta e di conseguenza disoccupazione.
Sulla base della teoria ricevuta esiste un prezzo equilibrio e si può creare una situazione di
elevata disoccupazione che però è risolvibile in breve tempo; essa non riesce a spiegare
l’esistenza perpetua di una disoccupazione anche grave ovvero di una disoccupazione che
si prolunga nel tempo.

JOHN MAYNARD KEYNES


Keynes è stato un economista di Cambridge; non è laburista ma del partito liberale inglese,
con un sistema bipartitico con un sistema molto maggioritario. Nello spettro politico è un
uomo di centro sinistra che non ha una visione politica estrema e non è un conservatore ma
un uomo dalle ampie vedute.

PRINCIPIO DELLA DOMANDA EFFETTIVA


Keynes fa un’eccezionale operazione ovvero quella di quei meccanismi di aggiustamento
spontaneo, che ritiene che esitano. Spiega che un sistema economico, che può essere
fallibile, non è sempre e comunque in un equilibrio e avvia un programma di ricerca
keynesiano, che mette al centro il principio della domanda effettiva.
Il principio della domanda effettiva ovvero la domanda aggregata complessiva di merci che
si forma nel sistema economico. Le imprese decidono di assumere sulla base del salario ma
alla fine i livelli di produzione e quindi occupazione sono decisi dalla domanda effettiva,
pagante, di merci. Le due componenti sono la spesa dei consumatori e la spesa degli
investimenti delle imprese. Con il principio della domanda effettiva cambia l’ottica, esistono
meccanismi spontanei che passano attraverso prezzi e meccanismi di mercato, ma bisogna
stare attenti alla domanda effettiva ovvero se non c’è domanda le imprese non incrementano
la richiesta ma anzi diminuiscono o chiudono e si potrebbe generare un pessimismo che va
a condizionare sia i consumatori che le imprese. La domanda aggregata effettiva è
fondamentale. Il principio opera con conseguenze rilevanti, può andare in crisi.
Keynes spiega possibilità che esista un equilibrio economico non di piena occupazione, un
equilibrio di sottooccupazione ovvero un equilibrio economico dove la disoccupazione può
essere elevata. Ciò è nel programma per uscire dalla visione concettuale per mettere a
fuoco la possibilità di grandi crisi economiche. La mano invisibile esiste ma non opera così
efficacemente come molti pensano.
- 1776 Smith pubblicò la sua opera
- 1936 pubblicata la teoria generale di Keynes. Teoria generale del reddito e
dell’occupazione. La visione di Keynes diventerà la visione prevalente.

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NOZIONE DI PRODOTTO INTERNO LORDO PIL


1. definizione di una grandezza integrata ‘definire ed illustrare la nozione di prodotto
interno lordo’ Illustrazione nella spiegazione del significato tecnico dei termini che
entrano nella spiegazione.
Il prodotto interno lordo di un sistema economico è il valore monetario delle merci
finali, ovvero al netto dei beni intermedi, prodotte in un dato sistema economico in un
certo periodo di tempo al lordo degli ammortamenti.

PIL
Il PIL è un valore monetario, non è una quantità di merci, ovvero le quantità vengono tutte
monetizzate siccome è un indicatore macro per eccellenza. Bisogna prendere un prezzo
unitario e moltiplicarlo per la quantità e si ottiene il valore monetario della merce; facendo la
sommatoria dei valori monetari di tutte le merci prodotte si ottiene il PIL; quindi esso è il
valore monetario delle merci prodotte.

DUPLICAZIONE CONTABILE
La duplicazione contabile è un errore di calcolo; se si fa la sommatoria dei valori monetari di
tutte le merci prodotte da un sistema economico sicuramente si commetteranno errori di
duplicazione contabile, ovvero alcune merci verranno contate più volte.

Beni Intermedi O Input Intermedi


Se si conta, prendendo in considerazione per il calcolo del prodotto interno lordo, il valore
monetario dei ogni input intermedi si rischia di incorrere in un errore di duplicazione
contabile perché facendo la sommatoria spesso verrebbe contato due volte; questo funziona
per tutte le merci, le catene di offerta.
Se faccio la sommatoria di farine alimentari e poi compro il pasto, la farina alimentare la
compro due volte all’interno del prodotto finito.
Si parla di valore monetario delle merci finali non di quelle prodotte; per finale si
intende, non finite perché tutte le merci anche quelle intermedie sono finite, che sono al
netto dei beni intermedi ovvero prendo l’impresa che assembla autoveicoli tolgo il valore
dei beni intermedi e ottengo il valore monetario delle merci finali ovvero al netto dei beni
intermedi. Questo metodo serve per evitare delle duplicazioni contabili.

Come fa l’ISTAT a calcolare correttamente il PIL?


Un’automobile è un bene finale o intermedio?
La natura finale o intermedia è una caratteristica intrinseca del bene o no?
Se un prodotto viene acquistato da una famiglia allora è un bene finale ma se lo stesso
prodotto viene acquistato da un’impresa allora esso è un input intermedio per arrivare al
prodotto dell’impresa; quindi non è una caratteristica intrinseca al bene ma dipende da chi la
acquista.
La natura del bene intermedio non è una caratteristica intrinseca, allora l’ISTAT come
fa a capire? Segue il metodo del valore aggiunto (VA) che è il metodo corretto per
determinare il PIL senza duplicazioni contabili.

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L’ISTAT manda un questionario a un’impresa chiedendole il fatturato, ovvero il valore xi x pi


della produzione cioè il valore monetario, e richiede il valore monetario degli acquisti
intermedi che sono serviti per ultimare la produzione.
UN’IMPRESA
L’impresa è un’organizzazione che acquista sul mercato beni e servizi intermedi che
vengono utilizzati per la produzione.
La differenza tra il fatturato e il valore monetario dei beni intermedi è quello del valore
aggiunto dell’impresa, ovvero il valore creato all’interno dell’impresa durante un processo
produttivo che va ad aggiungersi al valore degli input intermedi e che si ritrova nel valore del
prodotto. Se il mio fatturato è 100 e il mio valore monetario dei beni intermedi è 60, il mio
valore aggiunto sarà 40.
Valore aggiunto dell’impresa non comprende il valore dei beni e dei servizi intermedi; si fa la
sommatoria del valore aggiunto delle imprese si ricava il valore aggiunto complessivo del
sistema economico. Metodo e calcolo della sommatoria del valore aggiunto consente di
arrivare al valore monetario aggiunto al netto dei beni interni. Quindi il PIL è il valore
monetario delle merci finali al netto dei beni intermedi per evitare le duplicazioni contabili.

Impresa vs. industria


Industria non è impresa. Perché l’industria farmaceutica è l’insieme delle imprese
farmaceutiche. Le industrie sono un insieme di imprese.

Il PIL viene realizzato all’interno di un dato sistema economico, ovvero all’interno dei confini
geo-politici di un sistema economico. Se si parla del sistema economico italiano prendo i
confini e metto tutte le imprese che hanno impianti di produzione di merci in Italia faccio la
sommatoria del valore monetario dell’impresa al netto dei suoi beni intermedi e ottengo il
prodotto interno lordo. Interno significa le merci finali all’interno di un dato sistema
economico

Variabile di flusso vs. variabile di stock


Il PIL si definisce in relazione ad un determinato periodo di tempo, ad esempio un anno, che
solitamente è l’unità di misura usata per il PIL.
Il PIL è definito in relazione al periodo di tempo quindi è una variabile di flusso perché esse
sono definite solo in relazione ad un periodo di tempo. La variabile di flusso è definita in
base ad un periodo specifico di tempo.
Si distinguono dalle variabile di stock perché esse sono definite in relazione ad un istante di
tempo. La quantità di acqua in un lago la si definisce in relazione ad un istante di tempo.

METODO DEL VALORE AGGIUNTO


Per focalizzarsi occorre evitare errori di nozione contabile. Il PIL è una nozione aggregata.
Il metodo per evitare duplicazioni contabili è il metodo del valore aggiunto.
Un’imposta sul valore aggiunto è il nuovo valore creato all’interno di un’impresa e va ad
aggiungersi al valore delle merci presenti sul mercato. Questa è una visione stilizzata
dell’impresa, essa è un’organizzazione che ha una capacità produttiva ovvero gli input
intermedi divengono output cioè capacità di trasformare beni e servizi in un prodotto.
Ogni impresa compra degli input ovvero acquista dai fornitori beni e servizi e li trasforma in
output ovvero merci che vengono poi vendute ai clienti.
Come l’impresa trasforma beni input in output?

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L’impresa ha al proprio interno la capacità di creare output ed essa deriva dal fatto che
l’impresa ha a sua disposizione i servizi dei fattori primari o di produzione ovvero il fattore
capitale cioè l’input (indicato con K) cioè lo stock ovvero macchinari e attrezzature che
l’impresa ha a disposizione per trasformare gli input in output. Il fattore lavoro (indicato con
L) ovvero i dipendenti e servizi resi dagli stessi. Nel valore dell’output confluisce il nuovo
valore creato all’interno dell’impresa ovvero il valore aggiunto; esso è la fonte dei redditi dei
fattori primari di produzione ovvero ciò che guadagna e ottiene un proprietario di impresa. In
questo caso si parla di redditi da capitale e redditi da lavoro, il valore aggiunto viene diviso
tra fattore capitale e fattore lavoro.
Il valore aggiunto è costituito da profitti e salari, cioè redditi da capitale e redditi da lavoro; è
costituito da una remunerazione del capitale.
La sommatoria è la nozione compatta per indicare una somma ovvero la somma di tutti, ad
esempio, i valori aggiunti. Facendo la sommatoria dei valori aggiunti siamo sicuri di eliminare
sempre i beni intermedi e quindi si arriva a definire il PIL come corretto.

Come si distribuisce il lavoro aggiunto tra capitale e lavoro?


Il PIL misurato come un valore aggiunto; è una distribuzione diseguale. Un'impresa ha al
proprio interno un capitale lavoro che trasforma gli input in output.
- Che cosa determina il PIL?
- Quali sono le determinanti del PIL?
- Quali fattori lo spiegano?
Questo è un compito fondamentale della teoria macroeconomica.

AMMORTAMENTI
Un ammortamento è la stima della perdita di valore di un bene di consumo o di un bene
capitale (esempio ammortamento della macchina dopo un viaggio a Roma)
Il PIL è il valore monetario di merci finali al netto dei beni intermedi prodotte in un dato
sistema economico in un certo periodo di tempo al lordo dell’ammortamento ovvero bisogna
detrarre la stima degli ammortamenti, gli ammortamenti complessivi.
PIL – a = PIN
PIL-ammortamento (a)= PIN ovvero il prodotto interno netto che si definisce come il PIL
senza ammortamenti.
Gli ammortamenti complessivi sono una grandezza stimata talmente complessa che non si
tiene in considerazione. Nel PIL sono contenuti gli ammortamenti.
Negli anni’30 Keynes riporta che il PIL si è riportato in quegli anni su livelli dimezzati rispetto
agli anni ’20.

Perché il PIL si è ridotto nei primi anni ’30 e poi e rimasto basso?
Quali fatto influenzano?
Come si spiegano i fatti stilizzati della grande depressione?
La grande depressione fu una crisi generalizzata durata nel tempo che ha sollevato problemi
sociali economici e politici. Un equilibrio generale di piena occupazione è una visione che ha
creato degli schemi mentali secondo cui si deve lasciare fare al mercato e all’intervento dei
singoli agenti economici senza un’autorità centrale.
Si sosteneva che lasciando fare un’economia di mercato libera sarebbe intervenuta la mano
invisibile di Smith e si sarebbe raggiunto un equilibrio di mercato caratterizzato anche da un

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equilibrio generale di piena occupazione; secondo il quale se si lascia agire il mercato si


garantisce la piena occupazione e il PIL di piena occupazione.

Quando il PIL tende a collocarsi o a discostarsi tende alla fine sempre a ritornare al suo
equilibrio e questo viene definito come prodotto potenziale Yf ovvero il full employment cioè
il valore monetario delle merci finali prodotte da un sistema economico che utilizza
pienamente e completamente il suo stock di materiale e la sua forza lavoro; quindi significa
piena utilizzazione della capacità produttiva ed è sempre in equilibrio e gli aggiustamenti
sono walrasiani.

PIL POTENZIALE
Il PIL potenziale è il valore monetario delle merci finali che si ottiene facendo lavorare tutto il
capitale e tutta la forza lavoro.
La differenza tra il prodotto potenziale e quello effettivo si chiama output gap, la differenza
tra il prodotto del sistema economico e quello potenziale. Se il prodotto potenziale è 100 e
quello effettivo è di 60, un output gap ovvero un alto livello di capacità produttiva inutilizzata
e la disoccupazione decolla e va su valori elevati. Una situazione di output gap è una
patologia, una malattia del sistema; questo viene definito da keynes nel 1936.

FATTI STILIZZATI
Fatti stilizzati degli anni ’30 vengono inquadrati nel diagramma con il tempo su asse
orizzontale, e il PIL su quello verticale.
Negli anni ’30 , dopo il crollo di Wall Street, dopo la crisi finanziaria accade un evento ovvero
le banche non fanno più credito alle imprese o aumentano i tassi di interesse; quindi
l’economia inizia ad entrare in difficoltà, il PIL comincia a diminuire e per convenzione si dice
che quando il PIL di un sistema economico diminuisce di due semestri consecutivi
l’economia si definisce in recessione, quindi se diminuisce per 6 mesi.
Questa si chiama recessione o contrazione abbassamento del livello produttivo; se
continua a diminuire non ci sarà più una piena occupazione ma una disoccupazione
maggiore di zero.
Perché si chiama grande depressione?
Perché i vari sistemi economici che si sono infilati in una recessione seria e lunga
infine sono rimasti su livelli di PIL potenziale Y effettivo lontano da Yf.

Fatti stilizzati sono recessione e stagnazione su livelli bassi del reddito.


Nel 2008 con la crisi finanziaria gli economisti hanno visto una recessione che è durata nel
tempo. Vi sono stati interventi di politiche monetarie per non dare luogo ad una recessione
costante come negli anni ’30. Sono state fatte politiche che dal 1936, questi problemi si
conoscono bene, per contrastare la recessione con l’intervento di autorità di governo con
politiche macroeconomiche.

FLUSSO CIRCOLARE DEL REDDITO FCR


Il flusso circolare del reddito non è un modello economico ma è uno schema concettuale per
capire la visione di Keynes e come riesce a fuoriuscire dagli schemi warlasiani.
È uno schema concettuale che presenta le relazioni macroeconomiche chiave per
comprendere le forze che determinano il prodotto lordo, le determinanti del prodotto lordo in
ottica keynesiana.

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Lucrezia Serra

Le imprese prendono decisioni decentrate liberamente e decidono quanto output fare fuori e
a livello aggregato determinano il PIL, che viene indicato con Y.

Supponiamo due ipotesi che semplificano l’analisi.


-il nostro sistema economico è un’economia chiusa ovvero privo di rapporti con l’estero. -è
un’economia senza stato, neanche la spesa pubblica.
Lo mettiamo a fuoco basandoci su due ipotesi; le imprese decidono quando produrre e
stabiliscono il prodotto lordo in quanto l’economia è chiusa. Il prodotto lordo è il valore
aggiunto che è uguale ai redditi di capitale e i redditi di lavoro, quindi il prodotto lordo (lato e
aspetto fisico della produzione di merci) è generato dalle imprese che produco beni per le
famiglie. Le famiglie ricevono redditi da lavoro e da capitale. A livello aggregato del sistema
sulla base del livello dell’attività produttiva del sistema ovvero sulla base del prodotto si
genera un reddito lordo cioè l’insieme dei redditi. La produzione di merci finali delle imprese
generano prodotto lordo che genera reddito lordo.

Le famiglie utilizzano una parte del reddito Y (cioè prodotto lordo o reddito) acquistando beni
di consumo C ovvero la spesa per consumi dell’insieme delle famiglie che vivono in un
paese; quindi una parte dei redditi per le famiglie viene spesa in beni di consumo. Le
famiglie non spendono tutto, la parte di reddito Y che non si traduce in consumi viene
risparmiato ovvero diventa saving S
(reddito lordo) RL = Y = C + S
I consumi delle famiglie sono ordini per le imprese ovvero domande effettive supportate da
mezzi di pagamento. C, spesa per consumi delle famiglie, è una componente della domanda
aggregata effettiva ovvero della domanda pagante; costituiscono i consumi per le famiglie
uno sbocco di mercato per la produzione delle imprese.

FLUSSO CIRCOLARE DEL REDDITO


Il flusso circolare del reddito è uno schema concettuale utile per cogliere la relazione
essenziale delle variabili macroeconomiche in uno schema chiuso senza quindi tenere in
considerazione l’import e l’export. La possibilità di output gap si coglie con il flusso circolare
del reddito. Le imprese decidono quanto e cosa produrre in base alla domanda dei beni o
dei servizi, quindi si produce in relazione ad una determinata domanda. Le varie imprese
decidono quanto produrre.
PL=Y
Il metodo corretto per calcolare il PIL è il metodo del valore aggiunto.
Y è anche uguale ai redditi complessivi delle famiglie. Una parte del reddito delle famiglie
viene consumate e determina la spesa per l’acquisto dei beni di consumo e la parte di
reddito che non viene consumata, ovvero la dispersione del flusso circolare del reddito non
si traduce in spese ma è il risparmio delle famiglie.
Il reddito delle famiglie è uguale a consumi più risparmi. Ogni spesa o consumo è un flusso
differente. Questa è la prima componente della domanda legata effettiva ovvero il consumo
delle famiglie; la seconda componente in base a cui si determina la domanda ovvero è la
spesa per investimento delle imprese cioè ciò che si decide di acquistare.
La domanda aggregata complessiva è costituita dalla spesa per consumi della famiglie e
dalla spesa per investimento delle famiglie; essa crea sbocchi di mercato per la produzione
solo se si porta nel sistema una domanda aggregata coerente con il sistema di produzione.
Ciò che rientra nel sistema deve essere quantitativamente uguale all’investimento delle

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Lucrezia Serra

famiglie; ovvero deve essere controbilanciato dalle decisioni di investimento delle imprese. Il
risparmio delle famiglie deve essere uguale al valore monetario delle decisioni di
investimento delle imprese cosicché si formi una domanda aggregata esattamente coerente
con le decisioni di investimento.
Si supponga che il PIL sia uguale al prodotto potenziale delle imprese Yf e che in un
trimestre viga un equilibrio di piena occupazione e quindi si produce e si consuma in
maniera equilibrata e uniforme.

A cosa serve lo schema del flusso?


Per la formazione della domanda aggregata ovvero come si forma la domanda e la spesa
aggregata e complessiva del nostro sistema economico.
Lo schema del flusso circolare del reddito mette a fuoco l’uguaglianza tra risparmi e
investimenti ovvero è la condizione di equilibrio del sistema macroeconomico. Se le
decisioni di investimento sono coerenti con la domanda allora solo in quel caso avremmo
una domanda aggregata coerente a Y.
S=I → DA=Y
È uno studio molto importante per capire il messaggio keynesiano ovvero che qualcosa può
andare storto dal lato della domanda aggregata complessiva del sistema: si supponga che ci
sia una crisi finanziaria per cui si perde la fiducia nel sistema bancario avendo bisogno di un
credito ma le banche non li concedono se non con altissimi tassi di interesse allora si genera
un credit crunch perché le imprese hanno bisogno di credito per rinnovarsi.
Investimenti e risparmio sono decisioni decentrate prese da singoli individui differenti.

C’è qualcosa che garantisce l’uguaglianza tra famiglie e imprese?


Apparentemente no, perché 40 è maggiore di 30 quindi nel sistema si forma una domanda
aggregata che è inferiore al prodotto lordo deciso dal sistema. S>I!DA>Y

Se dopo una crisi finanziaria o dopo l’aumento del pessimismo delle imprese si possono
creare situazione in cui gli investimenti si riducono e quindi si determina una situazione
come quella sopra descritta. Quindi il 10% delle merci di domanda aggregata viene a
mancare rispetto al PL iniziale che verteva su 100, perciò le imprese diminuiranno la
produzione e il livello del PL non sarà più 100 ma 90.

Yf=100 era quello che implicava un tasso di disoccupazione nullo o comunque molto basso;
se invece il PL = 90 allora il tasso di disoccupazione è del 10%. Se i redditi delle famiglie
scendono da 100 a 90 si ridurranno anche le spese per consumo; allora si riducono i
consumi.
Gli investimenti, vedendo che l’economia sta andando in recessione a causa della
diminuzione del PL, vengono ridotti perché le imprese decidono di produrre per un certo
quantitativo ma la domanda aggregata è inferiore e quindi un certo quantitativo numero di
merci rimane invenduto.
Si ottiene un sistema economico che può generare una situazione di disoccupazione molto
elevata, il sistema comincia ad andare in recessione. Questa visione di Keynes derivata
dalla tecnica generale del 1936 fornisce una spiegazione per capire i fatti. A differenza della
visione Warlasiana che vedeva il sistema come sempre in piena occupazione, equilibrio
generale Warlasiano, il flusso circolare del reddito mostra che le cose posso non essere
perfette e che il reddito può andare a collocarsi in una posizione nettamente inferiore. Si
mette a fuoco la possibilità di un output gap quindi la differenza tra prodotto effettivo e

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Lucrezia Serra

prodotto potenziale molto marcata e la situazione non si risolve rapidamente. Il sistema non
è in grado di ritornare rapidamente alla situazione di partenza. L’equilibrio generale
Keynesiano è solo uno degli
equilibri possibili; le economie di mercato possono trovarsi in relazione con equilibri multipli.
Si è dimostrato che nella visione di Keynes l’equilibrio di piena occupazione non è l’unica
possibilità, ma il sistema economico può posizionarsi su diversi equilibri.
Nella visione Warlasiana, Yf era l’unica visione perché il sistema si fionda sempre in un
equilibrio di piena occupazione, nella visione keynesiana il mercato può non essere sempre
in equilibrio, possono esserci degli shock economici come crisi finanziare e geopolitiche per
cui la domanda aggregata si riduce; qualcosa può andare storto dal lato della spesa
aggregata complessiva. Il sistema è vincolato, nella visione keynesiana, dal lato della
domanda effettiva e può andare a collocarsi su piani inferiori rispetto al reddito effettivo del
sistema. Secondo la visione keynesiana l’economia di reddito può andare a collocarsi su un
piano non coerente con il livello di piena occupazione.

La visione keynesiana, concepita correttamente, vede l’economia come collocata


possibilmente su un livello di reddito differente dallo stato di equilibrio e il fenomeno può
perdurare nel tempo; questa visione consente di inquadrare alcuni fatti stilizzati essenziali
presentati negli anni della grande depressione.

Quali sono le implicazioni di policy ovvero politica economica della visione di Keynes? Le
policy implication, implicazioni di politica economica della visione warlasiana tradizionale
erano implicazioni di lasciar fare ovvero lasciare che gli agenti economici prendano decisioni
decentrate senza che il governo intervenga con decisioni centralizzate; si ha una grande
fiducia negli automatismi del mercato.
La policy implication nell’ottica keynesiana non nega meccanismi spontanei che possano
bilanciare il mercato riportandolo ad una situazione di piena occupazione ma lui sottolinea
un aspetto decisivo ovvero le tempistiche che le forze di mercato che un sistema necessita
per ritornare ad un equilibrio di piena occupazione.

Se il sistema è in una crisi economica, quali sono le tempistiche?


Keynes decreta ne ‘la fine del lasciar fare’, di cui si comprende fin da subito la ratio, spiega
che in un sistema economico del lasciar fare dove il problema, quindi la crisi economica,
nasce da una carenza di domanda aggregata effettiva allora secondo Keynes bisogna
trovare il modo di aumentare la domanda aggregata. Keynes sancisce la fine del ‘lasciar
fare’ e mostra la necessità di politiche pubbliche attive non quindi passive come il ‘lasciar
fare’ che è una politica pubblica passiva.

Keynes ritiene che l’autorità centrale debba fare qualcosa per l’economia di uno stato e che
intervenga per le decisioni centralizzate così propone una critica radicale alle decisioni
decentrate prese dai singoli agenti siano sempre e comunque sufficienti a decretare il
migliore dei mondi possibili; l’idea che ci si trovi sempre a vivere nel migliore dei mondi
possibili è una visione pan-glossiana.

L’analisi teorica di Keynes distrugge l’idea che si viva in un mondo pan-glossiano per
quando riguarda il sistema della domanda aggregata effettiva e il prodotto lordo del sistema;
quindi sono necessarie politiche pubbliche attive ovvero decisioni centralizzate che
attivamente intervengono per aumentare la domanda aggregata e per accelerare il processo

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Lucrezia Serra

di convergenza di un’economia che si è discostata dal prodotto potenziale e così favorire il


ritorno al prodotto potenziale Yf o alla piena occupazione.
Perciò le politiche pubbliche attive possono ridurre le tempistiche di riduzione della crisi
economica favorendo la domanda aggregata.

Quali sono queste politiche pubbliche attive di cui dispone il governo per stabilizzare il
sistema?
Esse sono politiche macroeconomiche di due tipi attraverso le quali l’autorità centrale può
influenzare la domanda aggregata del sistema ovvero aumentare la domanda e i livelli di
produzione; esse sono la politica monetaria e la politica fiscale.

La politica fiscale
L’autorità di governo è lo Stato, dunque bisogna modificare il Flusso Circolare del Reddito,
supponendo la presenza di uno Stato.
Abbiamo ipotizzato un’economia chiusa dove non ci sia l’estero e senza stato ma se
keynesianamente si parla di necessità della politica fiscale e vedere come questa politica si
utilizza per aumentare la domanda aggregata.

Come si modifica il FCR, facendo intervenire lo Stato?


Dunque le imprese decidevano il valore monetario delle merci finali prodotte e di
conseguenza il prodotto lordo del sistema PL=Y e arrivavano quindi redditi alle famiglie,
esattamente pari a Y, che decidevano di consumare e risparmiare Y=C+S (esso diventa il
luogo stilizzato dove le famiglie prendono decisioni sul modo di consumo e di risparmio; i
consumi sono una componente della domanda aggregata DA=C).
Un altro elemento che è un componente della domanda aggregata sono i servizi, le merci e
attrezzature per le imprese quindi la domanda aggregata complessiva è DA=C+I, escluso il
settore estero e lo stato. Il risparmio è una dispersione del FCR e l’eguaglianza tra i vari
investimenti è la condizione di equilibrio macroeconomico del sistema ovvero se e solo se il
risparmio è uguale all’investimento allora la domanda aggregata è uguale al livello del
reddito quindi se e solo se S=I → DA=Y.
Se qualcosa si torce dal lato della domanda il sistema può tornare ad un equilibrio
macroeconomico che però può non essere coerente con l’equilibrio di piena occupazione.

Le necessità è quella di una politica macroeconomica attiva per aumentare la domanda


aggregata attraverso l’ipotesi di intervento con la politica fiscale; quali decisioni rilevanti per i
risultati macroeconomici del sistema può assumere lo stato per influenzare la domanda
aggregata e quindi il PL del sistema?
La politica fiscale ha due componenti decisive ovvero la politica tributaria ovvero la decisione
relativa alle imposte cioè lo stato c’è e i cittadini devono pagare imposte allo stato e possono
essere dirette o indirette come l’IVA.

Si ha un flusso circolare del reddito in cui il PL è 100 e arrivano redditi complessivi alle
famiglie pari a 100 ma ora che lo stato c’è le famiglie devono pagare delle imposte allo stato.
Allora si suppone per semplicità di dover fare i conti con le imposte sul reddito ovvero le
famiglie si vedono arrivare redditi pari a 100 ma su di essi devono pagare delle imposte cioè
c’è un prelievo statale per cui una parte del 100 va allo stato; dal punto di vista concettuale
la parte di reddito che va sotto forma di imposte allo stato esse rappresentano una

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Lucrezia Serra

dispersione del flusso circolare del reddito ovvero rappresentano qualcosa che non si
traduce ne in consumi ne in risparmi in altri termini la decisione delle famiglie su quanto
consumare e quanto risparmiare ora che c’è lo stato e si fa pagare le imposte, questa
decisione non è più basata su Y ma su Y meno T, definita come entrate fiscali o gettito
fiscale dello stato.

Se i redditi complessivi che arrivano alle famiglie sono 100 e ciò che lo stato preleva con le
imposte è pari a 30 quello che rimane alle famiglie è 100-30 ovvero 70 cioè il reddito
disponibile YD.
100 – 30 = 70
Y – T = YD
Le famiglie dovranno decidere quanto consumare e risparmiare sulla base del reddito che
rimane dopo il pagamento delle imposte allo stato ovvero sulla base del reddito disponibile;
sulla base del reddito disponibile le famiglie decidono in consumi e risparmi. Questa è la
definizione concettuale delle variabili fondamentali per inquadrare il ruolo macroeconomico
della politica fiscale e della politica tributaria ovvero quella che a livello centralizzato
stabilisce tributi e imposte complessive che le famiglie pagano allo stato.

ALIQUOTA DI IMPOSTA
t ovvero l’aliquota di imposta o meglio definita come aliquota media di imposta, è il
parametro che indica la frazione del reddito che viene pagata sotto forma di imposta allo
stato; esso assume una grande importanza e visto che il parametro lo decide lo stato e
avendo una variabile strumentale ovvero uno strumento per l’influenzare la domanda
aggregata.

Si suppone t equivalente a 0,30 riferita a 100 ovvero le famiglie pagano il 30% del reddito;
quindi 0,30 x 100
Ovvero t (che indica l’aliquota di imposta) x 100 (che è il reddito) questo definisce un gettito
complessivo perché se il reddito è 100 e la frazione di reddito pagata è 0,30 ovvero si paga il
30% allo stato allora T (il valore monetario complessivo delle imposte pagate allo stato
quindi le entrate tributarie complessive o gettito fiscale) è 30. Le entrate tributarie
complessive quindi sono 30.

Se lo stato abbassa la aliquota di imposta il prelievo complessivo T scende a 20


supponendo che il reddito sia sempre 100.
Se lo stato riduce l’aliquota di imposta t-, tale decisione comporta una riduzione delle entrate
tributarie T- e dato che il reddito disponibile delle famiglie YD è dato da Y – T allora questo
implica quindi:
se t passa da 0,30 a 0,20 il gettito complessivo passa da 30 a 20 e il reddito disponibile
passa da 70 a 80.

Se lo stato riduce l’aliquota di imposta, si riduce il gettito complessivo quindi le imposte dello
stato sui cittadini così i cittadini hanno maggior reddito disponibile e probabilmente
aumentano i consumi, che sono una componente di domanda aggregata effettiva. Allora
attraverso la manovra sulla riduzione delle aliquote fiscali, lo stato aumenta la domanda
aggregata perché i consumi delle famiglie aumentano.

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Lucrezia Serra

t misura la frazione di reddito decisa dallo stato e ciò determina il valore T delle entrate
fiscali complessive e quindi il reddito disponibile; perciò le famiglie decideranno i consumi in
base al reddito disponibile dopo avere pagato le imposte.
Attraverso t la variazione dell’aliquota di imposta, lo stato è in grado di controllare la
componente consumi delle domande aggregate complessiva; lo stato quindi può utilizzare la
politica fiscale o meglio la politica tributaria delle imposte per sostenere la domanda
aggregata se ci si trova in una situazione keynesiana ovvero in un periodo di carenza di
domanda aggregata dove la politica macroeconomica è espansiva ovvero per aumentare la
domanda, il prodotto e l’occupazione.

T (entrate fiscali complessive) = t (parametro che indica l’aliquota media di imposte) x Y


(reddito)
T=txY
YY

t = T/Y ovvero l’aliquota di imposta è uguale al gettito fiscale complessivo, entrate fiscali,
valore monetario delle entrate fiscali sul livello del reddito del sistema.

L’aliquota di imposta misura la pressione fiscale.


Quando è stato detto che t- indica un aumento della domanda aggregata allora una
riduzione della pressione fiscale stimola la domanda aggregata e quindi i livelli di decisioni
delle imprese, i livelli di occupazione e riduce la disoccupazione. t→DA+

Mostra le conseguenze che il flusso circolare del reddito dell’esistenza dello Stato ai fini
della determinazione del prodotto lordo del sistema? (domanda d’esame) (riformulata:
mostrare le conseguenze della presenza dello stato ai fini della determinazione della
domanda aggregata del sistema utilizzando la definizione di flusso circolare del reddito)
Lo stato si fa pagare le imposte e le famiglie prendono decisioni di consumo dopo aver
ridimensionato il reddito in base alle imposte statali ma attraverso la definizione di PIL, lo
stato è in grado di influenzare un meccanismo attraverso cui variando la pressione fiscale,
quindi variando t, lo stato influenza la domanda aggregata.
Nella politica fiscale questo meccanismo mette a fuoco il ruolo della politica tributaria che è
solo uno dei due strumenti della politica fiscale; quindi le decisioni che lo stato prende
attraverso la politica fiscale possono camminare attraverso due strumenti: le aliquote fiscali
(t) e la spesa pubblica (G).
G è la spesa pubblica per l’acquisto di beni e servizi ovvero è la spesa quindi il valore
monetario delle pubbliche amministrazioni (stato generale, comuni, enti...) per l’acquisto di
beni e servizi. Questo è un altro strumento di politica fiscale; quindi essa non significa
soltanto decisioni relative alle entrate fiscali o a questioni relative alla pressione fiscale ma
significa anche strumento e il livello della spesa pubblica per l’acquisto di beni e servizi. Le
pubbliche amministrazioni infatti acquistano beni e servizi sul mercato.

Gli acquisti in beni e servizi sono domanda di merci, sono sbocchi di mercato; se lo stato c’è
il FCR cambia non solo in relazione al livello del reddito disponibile che è dato da YD = Y –
T (che è la dispersione che va allo stato rispetto alle decisioni che alimentano la domanda
aggregata) ma c’è un’altra componente di domanda aggregata che è la componente
pubblica ovvero la spesa G delle pubbliche amministrazioni che acquistano beni e servizi.

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Lucrezia Serra

Allora se lo stato nelle sue articolazioni decide di aumentare G, spendendo di più e


acquistando in maggiore quantità il valore monetario di beni e servizi, di conseguenza
aumenterà anche la domanda aggregata. Se le pubbliche amministrazioni spendono di più
(acquistano macchinari, impianti, attrezzature, spese per sistemare il dissesto idrogeologico,
l’acquisto di macchinari sanitari) quindi se G+ aumenta allora si apre un altro canale
attraverso il quale l’autorità pubblica è in grado di influenzare la domanda aggregata.
G+ → DA+

Quando si parla di politica fiscale non si allude solo alle decisioni di politica tributaria relative
alla pressione fiscale ma si intende anche lo strumento secondo di politica fiscale ovvero la
spesa pubblica per l’acquisto di beni e servizi.
G non è tutta la spesa pubblica ma è solo quella parte della spesa pubblica che riguarda
l’acquisto di beni e servizi; ad esempio se si fa una torta e si indicano nelle varie fette la
composizione della spesa pubblica totale (SPT). Una parte della spesa pubblica sono gli
interessi sul debito pubblico ovvero se lo stato ha un debito pubblico allora su i debiti
bisogna pagare gli interessi ai creditori; quindi una parte della spesa pubblica è pagamento
di interessi a chi ha prestato risorse monetarie allo stato. Quindi la spesa pubblica è fatta di
tante voci, infatti G non è tutta la spesa pubblica ma solo quella per l’acquisto di beni e
servizi; c’è un interesse nel vedere quale componente pubblica emerge nella domanda
aggregata quando lo stato c’è, e la spesa pubblica è una componente della domanda
aggregata.
DA = C + I + G

Le altre componenti della spesa pubblica arrivano a determinare il reddito delle famiglie; ad
esempio se ricevo la pensione, il reddito di cittadinanza questo va dentro nel reddito delle
famiglie perché esse pagheranno delle imposte.
A parità di reddito una riduzione dell’aliquota fiscale, quindi una riduzione della pressione
fiscale, aumenta la domanda aggregata quindi la sequenza è: t- → T→ YD+ → C+ → DA+

t- opera un meccanismo facendo aumentare DA; questo è un canale per far aumentare la
politica fiscale. t- → DA+
G+ l’aumento di beni e servizi da parte della pubblica amministrazione e si fanno più
investimenti pubblici per il dissesto idrogeologico, quindi indica il maggior acquisto di beni e
servizi da parte della pubblica amministrazione e quindi porta all’aumento della domanda
aggregata DA; questo è un altro canale per far aumentare la politica fiscale G+ → DA+

La politica fiscale che opera attraverso t- e G+ è una politica fiscale espansiva


A volte è necessario per lo stato effettuare una politica fiscale restrittiva ovvero aumentare la
pressione fiscale per ridurre il reddito disponibile delle famiglie e quindi ridurre i consumi e
ridurre la spesa pubblica per beni e servizi e quindi attraverso questa via ridurre la domanda
aggregata. Quindi l’aumento dell’aliquota fiscale e ridurre la spesa pubblica per l’acquisto di
beni e servizi lavora per ridurre la domanda aggregata. Un politica fiscale restrittiva si usa in
situazioni di problemi e carenze gravi perché ci sono stati errori nella politica
macroeconomica ma allo stesso tempo in alcuni periodi storici ha avuto senso attuare una
politica fiscale restrittiva.

t+ → YD- → C- → DA-
G- → DA-

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Lucrezia Serra

Ci sono due nozioni: deficit (disavanzo pubblico) e debito pubblico


Il rapporto debito pubblico su PIL, che è attualmente pari a 135%, ovvero il rapporto tra una
variabile di stock e variabile di flusso del reddito. Il debito pubblico dello stato italiano, ovvero
lo stock del debito, in questo istante è molto elevato rispetto al PIL ovvero supera il prodotto
lordo; questo significa che dovremmo lavorare più di un anno per azzerare il debito pubblico.
Questo è un rapporto molto importante.
Se il debito è alto rispetto al prodotto lordo a livello aggregato complessivo di paese è chiaro
che c’è un problema.

POLITICA FISCALE
Ci sono due strumenti di politica fiscale l’aliquota, le imposte (t E (0;1)) t è un parametro che
assume valori tra 0 e 1 e misura la pressione fiscale ovvero quanta parte del reddito deve
essere data allo stato; ad esempio se l’aliquota è 0,9 il 90% del reddito delle famiglie viene
devolto allo stato ed esso è un sistema che affama il popolo, se invece l’aliquota è dello 0,1
il 10% del reddito viene devoluto in tasse. Sia che il valore di t sia molto alto sia che sia
molto basso è nocivo, dannoso per lo stato.
La spesa pubblica per l’acquisto di beni e servizi da parte della pubblica amministrazione G
e non va confusa con tutta la spesa pubblica ma è una parte che si traduce subito e
direttamente che va ad aumentare la domanda aggregata. Gli stipendi pubblici sono una
voce del bilancio che arriva alle famiglie nel flusso circolare del reddito quindi esse non
ricevono solo il reddito delle imprese ma anche salari e stipendi delle pubbliche
amministrazioni mentre G sono i le spese per l’acquisto di beni e servizi della pubblica
amministrazione come gli stipendi stessi che poi comporranno le voci di bilancio.
Quindi la domanda aggregata è composta da consumi delle famiglie, investimenti delle
imprese e spesa pubblica.
DA=C+I+G
Dibattito teorico degli anni ’30 quando Keynes decreta la fine del lasciar fare e la necessità
di politiche pubbliche attive per sostenere la domanda.

Come si fa?
Se lo stato riduce la aliquota fiscale, la popolazione consuma di più e se aumenta la spesa
pubblica per l’acquisto di beni e servizi allora si crea un aumento della domanda aggregata
quindi essa è una politica fiscale aggregata che opera attraverso due strumento t e G ovvero
aumentando la domanda aggregata; se il problema è che lo stato protragga una fase di
recessione e si porti a un stato di stagnazione lontano dal PIL.

Cosa succede al bilancio dello stato e che cosa comporta?


Quando il governo applica una politica fiscale espansiva , il bilancio pubblico è il prospetto o
confronto tra le entrate fiscali, ciò che entra sotto forma di pagamento di imposte e la SPT la
spesa pubblica totale che contiene tutte le voci di spesa.
Il gettito fiscale complessivo T è 40 dove il parametro t della pressione fiscale è 0,4 e SPT è
pari a 40 allora il bilancio è in pareggio.

T=SPT significa bilancio in pareggio

Si suppone che l’economia arrivi ad una recessione che sfocia in una depressione con il
bilancio pubblico in pareggio; Keynes dice che bisogna agire prendendo decisioni
centralizzate a livello di governo con una politica fiscale espansiva.

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Lucrezia Serra

Quali sono le conseguenze sul bilancio dello stato?


Se il bilancio dello stato è in pareggio e si applica una politica fiscale espansiva ( t- e/o
G+) allora il bilancio pubblico andrà in disavanzo perché se si riduce l’aliquota si riducono le
entrate fiscali se t è 0,3; T sarà 30 e se la spesa pubblica viene aumentata la spesa totale
sarà aumentata. Si crea così un deficit oppure un disavanzo. Lo stato spende più di quanto
non raccolga attraverso le imposte fiscali e ora sorgono due questioni una di carattere
fiscale ovvero indebitandosi facendo dei prestiti e rilasciando dei certificati detti titoli di debito
pubblico, lo stato finanzia il deficit con dei prestiti dai mercati finanziari e l’accumularsi dei
deficit determina lo stock del debito pubblico.
Il deficit è una nozione di flusso mentre il debito pubblico è una nozione di stock il quale è
rapportato al prodotto interno lordo italiano ed è circa del 135% in Italia ora. Lo stato può
indebitarsi andando in deficit. Nella visione keynesiana dichiara la fine del lasciar fare e
come conseguenza di questa visione il bilancio in pareggio non sempre in verifica. Insieme
alla fine del lasciare fare decreta il bilancio in pareggio come dogma ovvero come obiettivo
da perseguire sempre e comunque.
Come la politica fiscale può essere usata in senso anticiclico, se la domanda è troppo bassa
e quindi portando ad una depressione lo stato interviene con la politica fiscale e i suoi due
strumenti l’aliquota e la spesa pubblica. Questa è la teoria di Keynes che si contrappone alla
politica fiscale che vedeva il mercato come necessariamente in equilibrio. Keynes non ha
proposto una spesa pubblica disordinata ma ha detto che nel breve periodo bisogna agire
con un utilizzo espansivo della politica fiscale.

Un sistema tributario deve prevedere un’imposta patrimoniale ovvero sulla ricchezza delle
famiglie; questo è un sistema non anticiclico.
È corretto introdurre una flat tax ovvero dove un’aliquota sia uguale per tutti i contribuenti?
È meglio avere un sistema tributario progressivo dove t aumenta all’aumentare del reddito?
Che beni e servizi è bene che lo stato acquisti?
La spesa pubblica può essere utilizzata ai fini della crescita economica?
La crescita economica è la crescita di lungo periodo, un sistema economico cresce
mediamente ad un tasso del 2% oppure non cresce; questo è il trend di crescita ovvero
l’andamento di lungo periodo del sistema economico. La pressione fiscale e la composizione
della spesa pubblica sono elementi fondamentali che determinano la crescita di lungo
periodo.
Se un sistema rischia la crescita nel lungo periodo ma se rischia nel breve periodo di
scostarsi dal tasso di crescita del lungo periodo e di incorrere in una crisi economica allora
con la fine del lasciare fare e una politica fiscale espansiva si cerca di aumentare la
domanda aggregata.

POLITICA MONETARIA
Altra politica macroeconomico a cui si fa riferimento per regolare e sostenere la domanda
aggregata è la politica monetaria.
Essa obbliga a fare i conti con la nozione di moneta.

Cosa è per l’economia e gli economisti la moneta? Che funzioni ha la moneta?


Nozione e definizione di moneta?
Perché agenti economici domandano moneta?
Chi offre moneta?
Cosa è il mercato monetario?

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Lucrezia Serra

Quali sono i fattori che determinano la domanda di moneta? Come funzione il mercato
monetario?
Cosa significa politica monetaria espansiva e restrittiva?
Dimostrare perché una politica monetaria espansiva può sostenere la domanda aggregata
effettiva. (possibili domande d’esame)
La politica monetaria come quella fiscale è una delle due politiche macroeconomiche
attraverso le quali lo stato può influenzare la domanda aggregata.

NOZIONE DI MONETA
È una qualunque merce che viene in generale e comunemente in una società accetta per
effettuare pagamenti perché le transazioni di merci, di beni e servizi non si debbano basare
sul baratto ma possano avvenire attraverso l’utilizzo della moneta.
Un sistema economico che si basa su moneta ovvero su merce accettata per le transazioni
si dice economia monetaria ovvero basata sulla moneta; se non utilizza la moneta non è
un’economia monetaria ma è un’economia di baratto ovvero scambio diretto merce-merce e
per funzionare lo scambio tra merci ci deve essere un’accettazione reciproca cioè se do una
merce essa deve essere accettata in cambio di un’altra merca. Il baratto in un’economia
complessa è inefficiente perché richiede una reciprocità ovvero scambio diretto merce con
merce; la moneta invece cioè una merce che sia accettata come intermediario generale
introduce un elemento di grande efficienza, non c’è bisogno di basarsi su bisogni reciproci e
di andare a vedere che le transazioni avvengano se e solo se c’è una reciprocità ma grazie
alla moneta il venditore di merci e servizi accetta di essere pagato in moneta sapendo che
essa vale come intermediario generale e verrà sempre e sistematicamente accettata. Quindi
un’economia monetaria favorisce le transazioni commerciali.
Ciò che è moneta in una data epoca storica sono le cose più strane; il cloruro di sodio era
moneta, veniva usato come merce di scambio; nei campi di prigionia le sigarette erano
moneta. In ogni determinato sistema economico le merci possono assumere il valore di
moneta.

Quali sono le funzioni di moneta?


Le funzioni sono tre:
- La prima, la più generale ovvero la moneta viene usata come intermediario o mezzo di
pagamento per effettuare transazioni.
- La seconda la moneta è unità di conto per esprimere valori monetari.
Come si passa al valore monetario?
Si prende una quantità e la si moltiplica per il valore monetario quindi la moneta come unità
di conto.
- La terza è quella di essere riserva di valore ovvero il perché entri nelle scelte di portafoglio
degli agenti economici

Che cosa è moneta oggi in un sistema economico evoluto e avanzato cioè cosa è moneta
dell’eurozone o in qualunque altro stato del mondo?
Che cosa è accettato come mezzo di pagamento oggi nell’eurozona?
Se, ad esempio, faccio un acquisto posso pagare con monete metalliche quindi la moneta
metallica è moneta accettata come intermediario negli scambi; posso non avere monete
metalliche e pagare con le banconote. Monete metalliche e banconote sono chiamate
circolante o cash, contanti.

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Lucrezia Serra

Non tutto il circolante è adatto ad ogni scambio.


Se acquisto una merce di grande valore pago con il cash? No, si paga mediante assegni
bancari.

Chi può pagare mediante assegni bancari?


Si può pagare mediante assegni chi è titolare di un deposito dentro una sede bancaria; se
deposito una grande quota di denaro posso pagare mediante assegni nei limiti dell’importo
del mio deposito bancario.
Il valore monetario dell’insieme dei depositi di conto corrente è solo moneta perché gli
assegni sono accettati come mezzi di pagamento.
I sistemi monetari e finanziari oggi giorno sono talmente evoluti e complessi che sono andati
avanti nella definizione e nell’utilizzo di vari mezzi di pagamento. Il primo aggregato
monetario nel linguaggio della teoria economica si chiama M1 (più si va avanti ad includere
mezzi di pagamento più si definiscono aggregati monetario via via più ampi M2, M3, M4 che
altro non sono che le varie definizioni operative di ciò che è moneta oggi)

M1: monete, banconote e depositi c/c presso il sistema bancario dell’eurozona Moneta:
qualunque merce che sia accettata come mezzo di pagamento. Nel nostro sistema
economico la definizione di moneta è data da M1 che è il circolante e i depositi di conto
corrente.

Nell'eurozona sono le monete metalliche coniate in euro, le banconote e i depositi di conto


corrente presso il sistema bancario dell’euro zona. Questa è la definizione operativa di M1
(circolante più depositi di conto corrente).
La nozione di moneta è diversa da quella del senso comune. Le carte di credito non sono
moneta ma servono a dilazionare il pagamento; si fanno maturare debiti che arrivano con
l’estratto conto; essa è uno strumento che serve a differire il pagamento attraverso M1 non
entrano in nessuna categoria perché non sono moneta.

Un Tentativo Di Rafforzamento Dell’euro


Scholz, ministro della finanza tedesco social democratico, ha fatto un’importante
intervento perché la Germania accetta l’idea di un’assicurazione europea dei depositi di
conto corrente; questo è un passo molto rilevante per rafforzare l’eurozona perché la
stabilità di un sistema bancario si basa sulla fiducia. Io deposito una somma di denaro
presso un istituto bancario se e solo se ho la fiducia che nel momento in cui dovessi
decidere di tornare in possesso della somma M1 la banca sia in grado di restituire il
deposito; se si perde questa fiducia, e ciò avviene durante le crisi bancarie, allora è molto
grave e sono dolori. Un elemento che dà fiducia è l’idea che i depositi di conto corrente
siano tutelati da una forma di assicurazione pubblica per rafforzare la fiducia di famiglie e
imprese nel sistema bancario.
Quando è stato creato l’euro i vari paesi aderenti hanno ceduto sovranità monetaria; in Italia
c’era un sistema pubblico di garanzia dei depositi di conto corrente coperto dalle finanze
pubbliche.

Se un sistema bancario va in grave crisi l’assicurazione può essere garantita dal singolo
paese che ha perso l’autorità monetaria?
La definizione dell’architettura dell’euro è stata una mossa spavalda nel senso che se le
cose vanno bene non ci sono problemi.

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Lucrezia Serra

Ma se dovessero esserci crisi economiche serie allora ciascun singolo paese che ha ceduto
sovranità monetaria sarebbe in grado di tutelare i privati depositanti?
Fino a questa mattina quando Sholz ha detto che si creerà un sistema europeo di
assicurazione dei depositi di conto corrente dell’eurozona, l’architettura dell’euro era
zoppicante perché si necessita di un’assicurazione europea dei depositi di conto corrente
quindi una garanzia pubblica a livello sovrannazionale europeo per cui la banca centrale
europea offre davvero questa tutela; se passa la mozione di Sholz il funzionamento dell’euro
si rafforza moltissimo.

Perché non è successo prima?


C’è il problema del risk sharing ovvero la condivisione del rischio. Si suppone che il paese A
sia forte e con pochi deboli mentre B sia meno forte e molti deboli, l’assicurazione europea
dei depositi è mettere tutto insieme e fare il risk- sharing e la A ci pensa molto prima di agire
nei confronti di B.

Perché la politica monetaria può consentire di sostenere la domanda aggregata?


Bisogna capire i meccanismi attraverso cui gli impulsi monetari arrivano all’economia reale.
Dopo aver definito M1, nel nostro sistema economico, ovvero il circolante e i depositi di
conto corrente, si vedrà che la domanda di moneta è espressa dagli agenti economici che
vogliono tenere moneta M1 e l’offerta di moneta (ovvero chi decide il circolante) e in ultima
analisi il valore monetario dei depositi di conto corrente, quindi chi decide lo stock di moneta
M1 in circolazione in un istante di tempo.

Chi lo decide lo stock di moneta ovvero l’offerta di moneta M1?


Se si stampano banconote false si incorre in pene. La European Central Bank (ECB) è la
banca centrale dell’eurozona che decide l’offerta di moneta di moneta M1 cioè lo stock di
moneta in circolazione nell’eurozona.
Se la banca centrale aumenta l’offerta di moneta Ms ovvero offerta di moneta; la stessa
cosa seppur con difficoltà la fece Draghi dove, attraverso una politica monetaria molto
espansiva, ha aumentato l’offerta di moneta ovvero il suo stock.

Cosa succede se la ECB aumenta lo stock di moneta?


Cosa si determina?
Da subito si può intuire che se aumenta l’offerta di moneta, il tasso di interesse, ovvero il
costo del denaro, cioè ciò che gli imprenditori devono pagare al prestatore, aumenta nel
senso che se c’è liquidità in circolazione nel sistema economico quindi se aumento l’offerta
di moneta in circolazione questo aumenta nel senso che riduce i tassi di interesse.
Una riduzione del costo del denaro determina l’incentivazione delle famiglie per ottenere
prestiti ma soprattutto con un costo del denaro inferiore le imprese sono indotte ad
aumentare gli investimenti I+; che sono una componente della domanda aggregata

Ms+ (money supply) → i- (tasso di interesse) → I+ (investimenti delle imprese) → DA

La sequenza degli impulsi monetari ovvero aumento dell’offerta di moneta, riduzione dei
tassi di interesse, aumento degli investimenti, aumento della domanda aggregata.
Se il tema d’esame è la sequenza degli impulsi monetari bisogna spiegare come la banca
centrale fa un politica monetaria espansiva, perché un aumento dell’offerta di moneta, un

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Lucrezia Serra

aumento dello stock di moneta in circolazione nel sistema tende a ridurre il tasso di
interesse?
Perché bisogna passare attraverso il mercato monetario ad interagire con domanda e offerta
di moneta.
Se i è circa 0 quindi è basso la politica monetaria è efficace?
Oggi i tassi di interesse sono molto bassi e a volte si parla di i negativi e dunque la
sequenza degli impulsi come fa ridurre i tassi di interesse?
Una riduzione dei tassi di interesse, una politica di bassi tassi di interesse stimola gli
investimenti. Ma è sempre cosi? ̀ No, lo è solo in tempi normali ma quando le imprese sono
preoccupate del futuro che è molto incerto (l’incertezza sul futuro è un concetto che prevede
anche i rischi geopolitici, pessimismo) in queste situazioni anche una riduzione dei tassi di
interesse può non stimolare l’economia e allora c’è bisogno di una politica fiscale espansiva.

Le politiche monetarie molto aggressive che la ECB ha fatto con diversi anni di ritardo
rispetto agli stati uniti. Mario Draghi ha potuto fare una politica monetaria aggressiva, nel
2015/2016, nell’eurozona e se in tale politica non sono stati stimolati gli investimenti privati,
questo è perché è difficile stimolare gli investimenti privati quando si è dentro una crisi
economica. Se ci colpisce un’altra crisi finanziaria e i tassi di interessi sono già al minimo
quindi tendenti allo 0 e la politica monetaria aggressiva mantiene tassi bassi dato il
pessimismo che non ha stimolato gli investimenti e quindi l’economia, come si dovrà agire?
Per questo si pensa che sia necessario uno stimolo fiscale cioè una politica fiscale
espansiva.

Politica monetaria e politica fiscale sono i due capisaldi attraverso i quali le autorità di
governo possono influenzare la domanda aggregata e sostenere di conseguenza
l’economia.
La politica monetaria non sempre riesce a stimolare la domanda aggregata soprattutto in
gravi situazioni di crisi finanziaria; tale per cui la sequenza degli impulsi monetari si
interrompe allora la politica monetaria non è efficacie e quindi si ricorre all’altro caposaldo
ovvero lo stimolo fiscale.
Attraverso la politica monetaria l’autorità di governo è in grado di influenzare la domanda
aggregata attraverso politiche monetarie espansive.
La politica monetaria attraverso la sequenza degli impulsi monetari può arrivare a
influenzare l’economia reale.

Perché un aumento dell’offerta di moneta comporta una riduzione del tasso di interesse?
Ms+ → i –
Questo riguarda il mercato monetario ovvero il luogo economico in cui interagiscono agenti
economici che domandano moneta Md e offerta di moneta Ms

DOMANDA DI MONETA MD
Perché gli agenti economici domandano moneta?
Gli agenti economici hanno un reddito ovvero un flusso di entrate monetarie in un certo
periodo di tempo e una ricchezza che è un stock ovvero il valore complessivo delle attività
patrimoniali dove il singolo tiene le proprie ricchezze.
La ricchezza del singolo si tiene in un asset ovvero in un’attività patrimoniale; ci sono molti
asset patrimoniali uno di questi è la moneta M1 ovvero posso tenere una parte della mia
ricchezza in moneta M1.

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Lucrezia Serra

Quindi M1 è un’attività patrimoniale, che si distingue in finanziare e reali; perciò esistono vari
asset patrimoniali in cui si concretizza in patrimonio. Posso appunto avere una parte del
patrimonio in M1 e allora bisogna decidere come allocare il proprio patrimonio nelle attività
patrimoniali per esempio in quante obbligazioni, che possono essere private o pubbliche
cioè titoli del debito pubblico, investire una parte della ricchezza di agenti economici oppure
in moneta M1.

In che senso M1 è riserva di valore?


Perché la moneta dà certezza di valore nominale ovvero se ho una banconota da 50 euro io
su di essa ho una certezza di valore nominale cioè non corro il rischio che il suo valore
scenda o aumenti.
La moneta, quindi, in termini di valore nominale ha sempre lo stesso valore in un sistema
economico che non sia soggetto a enti esterni.
Tutte le altre attività patrimoniali possono avere aspetti positivi ma non garantiscono
certezza di valore monetario per esempio se ho acquistato azioni per un importo di 10.000
euro non ho certezza di valore nominale perché il mercato in borsa può aumentare ma può
anche ridursi; quindi le azioni delle banche non danno certezza, non sono risk free ( lo
stesso vale per i titoli di debito pubblico quindi il suo prezzo è quotato e come aumenta così
si riduce, non hanno certezza di valor nominale).

Quando bisogna decidere che parte del patrimonio lasciare sotto forma di moneta M1?
Un’agente razionale agisce sulla base dei costi e benefici in relazione ai vari aspetti
dell’attività patrimoniale; si tengono attive anche diverse dalla moneta perché possono dare
dei vantaggi, hanno dei rendimenti anche positivi.
Ciò che lo stato paga sotto forma di titoli di debito pubblico si chiama cedola.
Le attività diverse da M1 non danno certezza di valore nominale ma possono portare ad un
rendimento positivo, ad un vantaggio economico però sono attività rischiose.
Si immagini un sistema economico con due attività patrimoniali che sono M1 e titoli del
debito pubblico e con i si indichi il rendimento dei titoli del debito pubblico e lo si chiama
tasso di interesse nominale ovvero il rendimento dei titoli pubblici.
La moneta M1 dà certezza nominale ma non dà rendimento mentre i titoli del debito pubblico
non sono risk free perché sono attività portate sui mercati.
La relazione tra la domanda di moneta e il tasso di interesse è inversa.

Perché è una relazione inversa tra il tasso di interesse nominale e quanta moneta M1 si
decide di tenere? Perché il tasso di interesse nominale esprime il costo-opportunità del
tenere moneta cioè per la parte di portafoglio che decido di tenere sotto forma di M1 perdo
l’opportunità di avere i rendimenti che i titoli di debito pubblico mi offrono. Se il rendimento
dei titoli del debito pubblico è 60% se si tiene una piccola parte del portafoglio sotto forma di
moneta si perde l’opportunità di avere un rendimento elevato. Se il tasso di interesse
nominale è elevato, la domanda di moneta è una domanda bassa e contenuta.
Se il tasso di interesse è basso, la domanda di moneta è una domanda di costo opportunità
è alto.

GRAFICO DI PREFERENZA PER LA LIQUIDITA’

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Lucrezia Serra

Nonostante le due attività, in qualche modo, i vari rendimenti delle diverse attività
patrimoniali convergono; quindi si può parlare di un rendimento unico come i ovvero il tasso
di rendimento patrimoniale.
Il tasso di interesse nominale è il costo opportunità del tenere moneta e dunque la domanda
di moneta è in relazione inversa al tasso di interesse; siccome la moneta è l’attività
finanziaria liquida il grafico si chiama preferenza per la liquidità.

OFFERTA DI MONETA
Cosa è l’offerta di moneta, come si rappresenta?
Lo stock di moneta in circolazione in un dato sistema economico in un instante di tempo
viene deciso dalla banca centrale ECB.

Perché la banca centrale regola l’offerta di moneta?


M1 è formata da circolante e depositi di conto corrente e siccome nessun privato può
stampare contanti allora la sua circolazione non può che essere decisa dalla banca centrale;
quindi ECB ha un controllo diretto sul circolante e indirettamente, con al suo interno problemi
complessi, è in grado di influenzare i comportamenti delle banche commerciali del settore
privato. Direttamente e indirettamente la banca centrale ha la capacità di controllare,
regolare e decidere lo stock di moneta nel sistema; perciò lo stock di moneta viene preso da
un’agenzia pubblica indipendente la ECB.

L’offerta di moneta è decisa dalla ECB e quindi è una decisione pubblica. Questa è la
rappresentazione grafico del mercato monetario ovvero su di esso laddove interagiscono
agenti che domandano moneta e la ECB determina un tasso di interesse di equilibrio che
tiene allora stesso livello domanda e offerta di moneta.

IL MERCATO MONETARIO E I MECCANISMI DI AGGIUSTAMENTO SPONTANEO IN


ESSO OPERANTI
Il mercato monetario è un mercato in cui si incontrano e interagiscono agenti economici che
domandano moneta e la ECB regola la moneta.
L’intuizione dei meccanismi spontanei del mercato e che portano il mercato verso l’equilibrio
dove la curva di offerta è la disponibilità di un produttore di offrire merce in relazione al
prezzo e ha un’andatura positiva. Le tendenze all’equilibrio sono intuitive come ad esempio
un eccesso di offerta è intuitivo capire che i prezzi scendono, oppure se c’è un eccesso di
domanda il prezzo tende a salire.

Cosa ha il mercato monetario di specifico?


Esso ha una curva di domanda Md ed ha una relazione inversa tra il tasso di interesse
nominale e la domanda di moneta e c’è un lato offerta del mercato che si rappresenta con
una curva verticale perché l’offerta di moneta non dipende dal tasso di interesse ma da una
decisione pubblica ovvero da una decisione presa dalla ECB. Il fatto che esistano
meccanismi spontanei di aggiustamento è intuitivo da mettere a fuoco; quando c’è un
eccesso di offerta di moneta il tasso di interesse tende ad aumentare.

Cosa significa esistenza di meccanismi spontanei di aggiustamento?

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Lucrezia Serra

Bisogna capire cosa sia un titolo di debito pubblico; quindi si ragiona sul fatto che esistano
due asset sui quali si opera nel proprio portafoglio. Un titolo del debito pubblico è una
ricevuta dove c’è scritto l’impegno in termini di valore prestato ovvero presto 100 euro allo
stato e lo stato si impegna a pagarmi un interesse che si chiama cedola (non è il tasso di
interesse nominale che è un interesse che devo pagare al creditore).

Quando deve pagare lo stato al momento di emissione?


Nel momento in cui fa emissione di titoli di debito pubblico, quindi lo Stato le mette sul
mercato e gli vengono pagate; in quel momento si stabilisce l’importo e la cedola. Quindi su
un titolo che certifica che un risparmiatore ha prestato 100 lo stato si impegna a pagare un’
euro di interesse che è la cedola; ma se ho prestato 20.000 euro allo stato nel momento di
emissione dei titoli di stato ho nel portafoglio titoli da 20.000 euro con un valore di titoli
decennale ma non devo aspettare 10 anni per riavere indietro un titolo di valore M1 perché i
mercati finanziari sono sofisticati e vengono trattati in ogni instante questi titoli, così si
possono comprare nuovi titoli senza aspettare emissione e scadenze dei titoli di debito
pubblico. In un sistema finanziario non è necessario aspettare la scadenza di un titolo per
ritornare in possesso del circolante e non è necessario aspettare l’emissione per l’acquisto
dei titoli di debito pubblico; però se c’è un mercato dei titoli in cui si possono acquistare e
vendere titoli in ogni momento allora si forma un prezzo o quotazione dei titoli che dipende
dalla domanda e dall’offerta dei titoli che varia in ogni momento: la domanda e l’offerta fanno
oscillare in ogni momento i titoli di quotazione.

RELAZIONE INVERSA TRA QUOTAZIONE E RENDIMENTO DEL TITOLO DI DEBITO


PUBBLICO
L’esistenza di una relazione inversa tra prezzo o quotazione di un titolo del debito pubblico e
rendimento del titolo ovvero il tasso di interesse nominale in una certa fase e in un certo
sistema economico.

Perché esiste questa relazione inversa?


Per una semplice ragione se al momento dell’emissione lo stato è disposto a pagare una
cedola dell’1% ovvero un impegno dello stato a pagare il debito, sul mercato finanziario che i
titoli vengono domandati e offerti variano per le situazione che si creano nello stesso
mercato. Se c’è forte domanda il tasso di interesse è basso.

Che differenza c’è tra cedola e rendimento?


La cedola è il tasso di interesse che lo stato si impegna a pagare ma se lo acquisto quando
il titolo è aumentato a 200 quindi il rendimento di quel titolo è lo 0,5% perché per ottenere un
rendimento di un euro all’anno ho investito il doppio. Quindi se il prezzo scende il
rendimento sale, se il prezzo sale il rendimento scende. Perché lo stato paga sempre un
euro sui 100 prestati quindi il rendimento ovvero il tasso di interesse nominale sul titolo se il
prezzo scende è maggiore.

Oggi i tassi di interesse nominale sono molto bassi quindi i prezzi o le quotazione dei titoli
sono molto alti; quindi per ogni data cedola il rendimento si è abbassato. Se il tasso di
interesse nominale aumenterà questo significa che il prezzo dei titoli scenderà.

Che cosa questa relazione significa per quanto riguarda gli aggiustamenti spontanei sul
mercato monetario?

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Lucrezia Serra

Si immagini una situazione in cui il tasso di interesse nominale è alto ia ovvero più alto del
tasso di interesse di equilibrio ie quindi il mercato della moneta è in disequilibrio. Il mercato è
in disequilibrio quando il tasso di interesse è maggiore del tasso di equilibrio. Se il tasso di
interesse nominale è più alto la domanda di moneta è contenuta perché gli agenti economici
vogliono tenere poca moneta e quindi c’è un eccesso di offerta di moneta.

Cosa è l’eccesso di offerta di moneta?


Tasso di interesse alto e un eccesso di offerta di moneta; l’eccesso sta nei singoli portafogli
dei vari agenti economici ovvero c’è troppa moneta M1 nei portafogli degli agenti economici
cioè l’allocazione della ricchezza patrimoniale ha più moneta M1 di quella che si vorrebbe
avere quindi gli eccessi di offerta di moneta stanno nei portafogli. L’agente economico
preferirebbe avere più titoli in portafoglio dato l’alto tasso di interesse quindi usa la moneta
M1 per acquistare i titoli perciò scelgono di allocare più ricchezza e patrimonio sotto forma di
titoli; per cui acquistano titoli del debito pubblico, perciò il prezzo dei titoli tende ad
aumentare e siccome esiste una relazione inversa tra prezzo e rendimento , il rendimento
dei titoli tende a scendere quindi scende il tasso di interesse nominale. Se c’è un eccesso di
offerta di moneta il tasso di interesse nominale tende a scendere finché non si arriva al tasso
di interesse nominale di equilibrio ie.

Se il valore del tasso di interesse nominale è basso il costo-opportunità del tenere moneta è
basso; quindi tutti gli agenti economici vorranno tenere in portafoglio una maggiore quantità
di moneta, tenendo quindi meno titoli; il sistema bancario deve vendere titoli così da dare
maggiore moneta così il prezzo dei titoli scende e il tasso di interesse sale. Finché c’è un
eccesso di moneta il tasso di interesse nominale aumenta. Il mercato monetario ha
meccanismi spontanei che tendono a portarlo in equilibrio, i mercati finanziari sono
abbastanza veloci e quindi quasi Walrasiani.

Completamento Della Funzione Di Domanda Di Moneta


La domanda di moneta non è semplicemente funzione del tasso di interesse nominale per
rendimento dei titoli. La relazione inversa emerge perché la moneta è riserva di valore e
Keynes ha messo ben a fuoco questi comportamenti.
La moneta serve anche come intermediario negli scambi quindi se pagamenti e scambi, che
avvengono nel sistema economico, crescono nel tempo allora gli agenti economici
domanderanno più moneta. C’è un'altra variabile che influenza la domanda di moneta è
anche mezzo di scambio.
La domanda di moneta non è influenzata solo dal tasso di interesse ma anche da Y ovvero è
funzione diretta del prodotto lordo del sistema.
Quindi la domanda di moneta è funzione inversa dei tassi di interesse e dal prodotto lordo
del sistema che è in una relazione positiva Y+.

Quindi la curva di domanda di moneta deve tenere presente che la sua posizione
dipende da un dato livello del prodotto lordo ma se si ipotizza un’economia con prodotto
lordo maggiore o una sua crescita allora la domanda di moneta si posizione più in alto; cioè
la relazione tra domanda di moneta e tasso di interesse è sempre inversa ma con un
aumento del Y gli agenti avranno bisogno di maggiore moneta, quindi la curva di domanda
di moneta se il reddito è Y2 è spostata verso destra. Per ogni dato tasso di interesse la
domanda di moneta è maggiore perché ci sarà bisogno di più moneta per fare le transazioni

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Lucrezia Serra

di mercato e siccome la moneta è sempre riserva di volare in tutti i paesi ha una inclinazione
negativa rispetto ai tassi di interesse.
MD=f( i,Y )

Si sa cosa è un mercato monetario dove c’è un lato domanda e il lato offerta è una
decisione pubblica, la banca centrale controlla direttamente o indirettamente.
Ms ha deciso il livello dell’offerta quindi esistono meccanismi spontanei di aggiustamento e il
tasso di interesse tende rapidamente all’equilibrio.
Cosa succede se la ECB decide di aumentare l’offerta di moneta? Come fa ad aumentare
l’offerta di moneta?
Se la ECB aumenta l’offerta di moneta vuol dire che la curva di moneta si sposta verso
destra. La ECB ha fatto aumento di offerta di moneta e negli ultimi anni ha fatto una politica
monetaria aggressiva aumentano l’offerta di moneta.

POLITICA MONETARIA ESPANSIVA


(domanda di esame) Mostrare e spiegare conseguenze di una politica monetaria espansiva
per un equilibrio di mercato
Se la ECB effettua una politica monetaria espansiva la curva di offerta di moneta sul
mercato monetario sarà maggiore; il tasso di interesse di equilibrio cambierà e sarà
l’intersezione tra la curva di domanda di moneta e la nuova curva di offerta di moneta.
Quindi il tasso di interesse di equilibrio scenderà ie2 (cioè da ie1 a ie2) quindi una politica
monetaria espansiva determina una riduzione del tasso di interesse
Ms+ → i-

I MECCANISMI ECONOMICI CHE SI METTONO IN MOVIMENTO


Se la ECB aumenta l’offerta di moneta, quando il tasso di interesse è al livello i1 cosa si
verifica sul mercato monetario?
Si verifica un eccesso di offerta di moneta.

Il mercato monetario non può essere in equilibrio rispetto al precedente perché c’è una
situazione di eccesso di offerta di moneta nei portafogli che è giudicata come eccessiva
quindi investiranno in titoli così il prezzo dei titoli tende ad aumentare e data la relazione
inversa tra prezzo e rendimento, il rendimento scende e così anche il tasso di interesse
nominale. Con la riduzione del tasso di interesse nominale si ritorna in breve periodo ad un
tasso di interesse nominale di equilibrio.

Cose è il mercato monetario?


Cosa sono gli aggiustamenti spontanei sul mercato monetario?
Di che cose succede il mercato monetario quando c’è una variazione di politica monetaria?
Ora si sa cosa succede se la banca centrale fa un politica monetaria restrittiva

POLITICA MONETARIA RESTRITTIVA


La ECB in certe situazioni può ritenere opportuno operare con una politica monetaria
restrittiva riducendo l’offerta di moneta. Se la ECB riduce l’offerta di moneta graficamente la
curva si sposta verso sinistra e il tasso di interesse di equilibrio aumenta al diminuire della
domanda di offerta monetaria.

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Lucrezia Serra

Non bisogna confondere aggiustamenti spontanei ovvero le forze spontanee del mercato
monetario che lo portano all’equilibrio e le analisi delle conseguenze di una variazione di
politica monetaria.
Le variazioni della politica monetaria non sono aggiustamenti spontanei del mercato e non
dipendono dalle decisioni decentrate dei singoli agenti economici.

La curva di offerta si sposta e quella di domanda rimane invariata; la posizione della curva di
offerta dipende dalle decisioni della ECB. Gli aggiustamenti sul mercato monetario entrano
in gioco e ciò che innesca il fenomeno è la variazione della politica monetaria che è un
cambiamento che dipende dalla ECB; quindi non sono spontanei ma indotti dalla variazione
della politica monetaria per mano della ECB.

MERCATO MONETARIO
Perché sul mercato della moneta si forma un prezzo che si chiama tasso di interesse?
Perché esistono meccanismi spontanei sul mercato della moneta?
Le operazioni di mercato aperte sono effettuate dalla ECB; esse sono operazioni in cui la
banca entra sul mercato, acquista titoli e inietta liquidità nel sistema. Attraverso le operazioni
di mercato aperto la ECB modifica lo stock di moneta in circolazione.
In un mercato monetario il tasso di interesse di equilibrio garantisce che la domanda e
l’offerta siano uguali (MD = MS con trattino sopra perché è una decisione presa dalla ECB)
quindi se la ECB aumenta o riduce l’offerta di moneta essa varia. Se la ECB aumenta
l’offerta il tasso di interesse di equilibrio tende a scendere.

Una politica monetaria espansiva garantisce una riduzione del tasso di interesse?
Non è detto perché la domanda di moneta potrebbe essere estremamente sensibile in
quanto gli agenti economici potrebbero preferire talmente tanto la moneta che si creerebbe
una domanda troppo alta di moneta e quindi una politica espansiva non garantirebbe una
diminuzione del tasso di interesse. In questo caso si parla di trappola di liquidità.

LA TRAPPOLA DI LIQUIDITÀ
Il fatto che la domanda di moneta sia molto sensibile al tasso di interesse significa che la
curva di domanda di moneta è poca inclinata; se la curva è completamente orizzontale
anche se si aumenta di molto l’offerta di moneta il tasso di interesse non riesce a scendere.
È importante fare riferimento per capire che la sequenza degli impulsi monetari si può
bloccare da subito.
Una riduzione dei tassi di interesse stimola la spesa come l’accensione di più mutui da parte
dei consumatori e questo ha degli impatti sugli investimenti privati. Il costo del mercato conta
e normalmente si può ipotizzare che una riduzione del tasso di interesse stimola gli
investimenti.
Ms+ → i- → I+
In tempi non normali ad esempio in una grave crisi con le imprese caute nel decidere gli
investimenti e le riduzioni dei tassi possono non tradursi in mancato stimolo degli
investimenti ma se si interrompe non si ha una espansione della domanda aggregata.
Quando in uno o più punti c’è un disequilibrio si parla di inefficacia della politica monetaria e
così è molto importante poter contare su entrambe le politiche sia quella fiscale che quella
monetaria. La politica della regolazione della domanda aggregata è una questione molto
complessa.

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Lucrezia Serra

MODELLO ECONOMICO
DETERMINAZIONE DEL REDDITO DI EQUILIBRIO
Si analizza il modello della determinazione del reddito di equilibrio YE; questo è un modello
economico. Il reddito di equilibrio è analizzato nei tratti essenziali attraverso il flusso
circolare del reddito che però è uno schema essenziale tra le variabili macroeconomiche non
è un modello.
Se si parte da un reddito di piena occupazione il sistema si riconduce al livello di piena
occupazione ma se c’è pessimismo quindi se le imprese riducono il tasso di interesse il
sistema può tornare ad una condizione di apparente equilibrio perché si scosta dall’equilibrio
di piena occupazione.
Il modello macroeconomico di determinazione del reddito di equilibrio detto anche croce
Keynesiana; essa è un modello ovvero nei modelli si esaminano con precisione le variabili
che nel FCR erano solo state messe a fuoco. Quando si decide di consumare sulla base del
reddito, nel flusso circolare del reddito, si focalizzano solo le azioni possibili.

REDDITO E CONSUMI DELLE FAMIGLIE


La funzione del consumo è una funzione del reddito delle famiglie C= f (Y) ovvero relazione
positiva tra reddito e consumo; se il reddito aumenta compro più beni di consumo.
Lo studio di questa funziona mediante una rappresentazione grafica dove sull’asse verticale
si misura la variabile consumi delle famiglie mentre su quella orizzontale si misura il reddito.
I consumi delle famiglie sono tra ciò che viene speso e il loro reddito; se il reddito è Y1 allora
spendono C1, aumentano all’aumentare del reddito. Quindi al variare del reddito varia la
prima componente di domanda aggregata.
L’altra componente di domanda ovvero la spesa per investimenti delle imprese. Una
funzione dell’investimento delle imprese dipende dal tasso di interesse e dalla situazione
dell’economia vigente.
I = f (i, economia vigente)

Si adotti una funzione dell’investimento semplificata al punto che l’investimento non venga
spiegato ma sia un dato esogeno; ma la rappresentazione formale grafica si evolve e si
pone sull’asse verticale la seconda componente della domanda aggregata ovvero gli
investimenti delle imprese mentre su quella orizzontale il reddito Y.

Come si rappresenta la funzione I = I (con sopra una tratto)?


La funzione dell’investimento è una retta ovvero gli investimenti sono pari a Y quindi non
spiega niente ma gli investimenti sono dato come esogeni.
Quindi si ha una rappresentazione formale del consumo che è la rappresentazione formale
degli investimenti delle imprese perciò nello stesso grafico sia i consumi delle famiglie sia gli
investimenti delle imprese e se li rappresento posso anche farne la somma e mostrare
anche la curva della domanda aggregata. Siccome la DA è data da consumi delle famiglie e
dagli investimenti delle imprese basta sommarli. Il valore di I non cambia; maggiore è il
valore del reddito maggiori sono i consumi delle famiglie e così aumenta anche la domanda
aggregata. Ho la curva che esprime la domanda aggregata complessiva.

Cosa c’era nel FCR oltre a questo?


Avevamo visto la condizione di equilibrio ovvero l’uguaglianza tra risparmio e investimento è
la condizione di equilibrio macroeconomico del sistema cioè si era visto che se e solo se il

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Lucrezia Serra

risparmio delle famiglie è uguale al investimento delle imprese la domanda aggregata che si
forma nel sistema è coerente alle decisioni.
S= I → DA = Y

Come si rappresenta formalmente la condizione di equilibrio macroeconomico del sistema?


Sull’asse verticale ci sono i consumi, investimenti e domanda aggregata e su quella verticale
il reddito; la rappresento se e solo se gli investimenti delle famiglie sono uguale alla
decisione del sistema.
Nozione di bisettrice del quadrante quindi la semiretta che esce dall’origine degli assi
tagliandoli in due angoli acutangoli di 45 gradi; tale nozione permette di dire che tutti i punti
che giacciono sulla bisettrice sono tutti quei punti per i quali vale la relazione DA = Y ma
essa vale se e solo se
S = I.
Si aggiunge ai consumi gli investimenti e la bisettrice si intersecano; il punto di intersezione
tra la curva della domanda aggregata e la bisettrice individue il livello del reddito di equilibrio.

DIAGRAMMA A CROCE
La croce Keynesiana mette a fuoco un incrociarsi molto importante tra la curva della
domanda aggregata e la condizione di equilibrio macroeconomico di un sistema. In queste
nozioni che formalizzano il flusso circolare del reddito non c’è nulla di complesso e consente
di capire la visione keynesiana e i risultati dell’analisi keynesiana, i risultati essenziali.
Due assi cartesiani, la funzione del consumo C, il consumo delle famiglie è il relazione
diretta con il livello del reddito prodotto lordo del sistema (se il reddito aumenta i consumi
aumentano). La funzione dell’investimento viene vista come data in un certo livello e non
vari al variare del reddito; per ogni livello di reddito ci sarà un certo livello di consumi deciso
dalle famiglie e un certo livello dato quindi costante di investimenti deciso dalle imprese
ovvero la spesa per investimenti decisa dalle imprese. La domanda aggregata si forma in
relazione ai vari livelli del reddito e siccome gli investimenti delle imprese vengono assunti
come costanti, l’inclinazione della domanda aggregata è la stessa dei consumi cioè le due
curve della domanda aggregata e dei consumi sono parallele proprio perché l’investimento è
sempre quello.

CONDIZIONE DI EQUILIBRIO MACROECONOMICO DEL SISTEMA


La condizione di equilibrio macroeconomico del sistema dice se tutta la produzione
viene venduta oppure no ed è chiaro che tutto il valore delle merci finali che le imprese
decidono di produrre cioè Y viene venduto ovvero collocato sul mercato solo se la domanda
aggregata è uguale quindi se c’è una domanda adeguata per le merci e questa condizione è
possibile se e solo se il consumo delle famiglie è uguale all’investimento delle imprese. Solo
se è rispettata la condizione di equilibrio macroeconomica ovvero risparmio uguale
investimento si ha la formazione di una domanda aggregata sufficiente per sbocchi di
mercato per tutta la produzione decisa dalle imprese.
Questa condizione di equilibrio si rappresenta con la bisettrice del quadrante dove tutti i
punti che giacciono sulla bisettrice del quadrante sono punti per i quali la domanda
aggregata è uguale alla produzione quindi sono tutti punti per i quali il risparmio delle
famiglie è uguale all’investimento delle imprese.
Il punto di intersezione della croce ovvero il cross definisce il livello del reddito di equilibrio.
Cosa si intende per reddito di equilibrio?

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Lucrezia Serra

Cosa succede se l’economia non è in equilibrio?

Si supponga che le imprese abbiano deciso di produrre merci finali per un valore pari a
Y1; il livello di reddito Y1 è un livello di equilibrio? Bisogna vedere quanto in relazione a Y1
decidono di consumare le famiglie e quanto di risparmiare e bisogna vedere se il risparmio
delle famiglie è coerente o meno con le decisione di investimento delle imprese e se non lo
è cosa succede nel sistema.

Se il sistema è a un livello Y1 quindi le imprese hanno prodotto merci finali per un valore di
Y1; sulla funzione del consumo ed essa dice quanto in relazione ad Y1 le famiglie decidono
di consumare e decideranno di consumare C1. Il risparmio delle famiglie è Y – C che è la
parte di reddito delle famiglie che non viene consumata; se il reddito è Y1 e i consumi delle
famiglie sono C1, allora il risparmio delle famiglie è S1.

Come si vede formalmente e graficamente?


Basta che si vada fino alla bisettrice e la bisettrice consente di vedere in verticale ciò che ho
misurato sull’asse orizzontale.
La domanda aggregata che si forma nel sistema è sufficiente a creare sbocchi di mercato
per tutta la produzione che le imprese hanno deciso di produrre?
No, perché la domanda aggregata è costituita da consumi e investimenti in relazione al
valore della produzione; si agisce facendo i consumi delle famiglie in relazione ad Y1 più gli
investimenti delle imprese. Nasce un eccesso di domanda, c’è più domanda di merci rispetto
a ciò che le imprese hanno deciso di produrre.

Perché c’è più domanda?


Perché l’investimento delle imprese ovvero ciò che decidono di produrre è maggiore del
risparmio delle famiglie quindi la dispersione del flusso circolare del reddito rappresentata
dai risparmi delle famiglie è minore del potere d’acquisto che viene reimmesso nel flusso
attraverso le decisione di investimento delle imprese. Quindi la domanda aggregata DA1 è
maggiore di Y1 infatti sta al di sopra della bisettrice che è il luogo dei punti per i quali la
domanda aggregata è uguale al reddito; in questo caso con Y1 si ha C1 dei consumi delle
famiglie più gli investimenti.

Cosa vuol dire che la domanda aggregata ovvero la domanda di merci espressa dal mercato
è superiore a ciò che le imprese producono?
Significa che le scorte non desiderate, non scelte dalle imprese si riducono e le imprese
vendono più di quanto non avevano immaginato; le scorte di prodotto si riducono e questo è
un segnale di mercato che induce le imprese ad aumentare la produzione quindi se vedo
che le scorte di prodotto invenduto diminuiscono ovvero dato un certo livello di scorte
ottimale ma se la domanda di merci è superiore a ciò che le imprese hanno deciso di
produrre chiaramente il livello delle scorte si riduce e se le imprese vendono di più e vedono
che le scorte su riducono aumentano la produzione.
La riduzione non desiderata delle scorte è un segnale di mercato che induce le imprese ad
aumentare la produzione; quindi se le imprese ricevono un segnale che le induce ad
aumentare la produzione allora il valore monetario delle merci finali prodotte dal sistema
aumenta ed aumenterà finché non si arriva al reddito di equilibrio.
Se le imprese aumentano la produzione di merci e il prodotto lordo va a Y2.

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Lucrezia Serra

Y2 è un livello di equilibrio del reddito oppure no?


Con Y2 le famiglie decidono consumi pari a C2, gli investimenti delle imprese sono sempre
pari a I segnato e quindi C2 + I segnato darà una domanda aggregata DA2. Salgo fino alla
curva della domanda aggregata e vedo che essa è maggiore di Y2 perché di nuovo si ha un
risparmio S2, pari a Y2 – C2, che è minore dell’investimento cioè le imprese decidono
ancora di investire più di quanto le famiglie non decidano di risparmiare e di nuovo la
immissione di potere d’acquisto di domanda attraverso la componente investimenti è
maggiore di quanto poi non esca dal flusso circolare del reddito attraverso il risparmio.

Quindi nuovamente in corrispondenza di Y2 si forma una domanda aggregata DA2


maggiore di Y2 e il livello delle scorte indesiderate si riduce e questo è un segnale di
mercato che dice alle imprese di aumentare la produzione e così il processo va avanti finché
non si arriva a YE.

Se si prende un livello di reddito alla destra del livello di reddito di equilibrio YE ovvero un
livello maggiore di YE, se le imprese hanno deciso di produrre merci finali per un valore
monetario di Y3. In corrispondenza di Y3 le famiglie decidono di consumare C3, gli
investimenti sono sempre pari ad I segnato; la domanda aggregata complessiva che si
forma nel sistema è DA3 ovvero C3 + I segnato. La bisettrice consente di leggere la
variabile misurata sulla asse orizzontale in verticale quindi Y3 si vede immediatamente che
la DA che si forma nel sistema è inferiore al prodotto lordo del sistema. La domanda
aggregata è DA3 e il livello del reddito indicato dalla bisettrice cioè Y3 quindi la domanda
aggregata è inferiore al prodotto lordo. Le scorte prima diminuivano ora le scorte aumentano
perché se la domanda aggregata è inferiore alla merci finali prodotte le imprese non
riescono a vendere tutta la produzione e le scorte indesiderate aumentano.

È un segnale di mercato che induce le imprese a cambiare la produzione, a ridurla perché


c’è un eccesso di domanda aggregata rispetto a ciò che hanno prodotto quindi Y3 non è un
livello di equilibrio del reddito infatti in corrispondenza di Y3 non c’è l’eguaglianza degli
investimenti e dei risparmi e non c’è l’eguaglianza tra domanda aggregata e prodotto lordo
ma la domanda è inferiore e questo è un segnale che induce le imprese a ridurre la
produzione e questo va avanti finché il sistema non si riporta a YE ovvero al reddito di
equilibrio.

Cosa c’è di diverso rispetto al flusso circolare del reddito?


Quando si è messo a fuoco il FCR si ha inquadrato ciò che si è detto ma ora la nozione è
ulteriore, analitica si è introdotto la nozione di reddito di equilibrio YE.
Cos’è il reddito di equilibrio in un sistema economico? (domanda di esame)
Si è visto che Y1 non era un livello di equilibrio del reddito perché in corrispondenza di Y1
non si formava una domanda aggregata uguale a Y1 ma si formava una domanda
aggregata maggiore, anche con Y2 si forma una domanda aggregata maggiore al livello di
equilibrio, con Y3 si arriva a un domanda aggregata inferiore al livello di equilibrio.

Cosa intendiamo e come si definisce il reddito di equilibrio di un sistema economico?


Nozione di reddito di equilibrio: il reddito di equilibrio di un sistema economico è quel livello
di reddito in corrispondenza del quale la domanda aggregata che si forma nel sistema è
esattamente uguale a quel livello del reddito.

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Lucrezia Serra

Solo in corrispondenza di YE si forma una domanda aggregata esattamente uguale a YE;


questa è la nozione centrale della teoria della determinazione del reddito di Keynes. Prima
osservazione: all’inizio è stato messo a fuoco per una determinata merce il fatto che il
mercato di una merce è il luogo in cui gli agenti economici, che operano dal lato della
domanda e quelli che operano dal lato dell’offerta, interagiscono e le forze di mercato
conducono il prezzo al suo livello di equilibrio e quando il prezzo unitario di una merce è al
suo livello di equilibrio la quantità domandata è uguale alla quantità offerta e quindi il
mercato è in equilibrio.
In tale ottica si associa alla nozione di equilibrio di un singolo mercato una valutazione
implicitamente positiva anzi una valutazione che deriva dal comportamento razionale dei vari
e numerosi agenti economici le imprese che decidono la produzione, i consumatori che
decidono la domanda e sia imprese che consumatori sono agenti razionali che perseguono il
proprio interesse e hanno comportamenti massimizzanti; quindi il fatto che il sistema arrivi
all’equilibrio è associabile all’idea di una posizione ottima per gli agenti economici.

L’equilibrio è visto come un qualche cosa che viene scelto con scelte decentrate e libere
degli agenti economici e delle imprese; ne scaturisce quindi che è un equilibrio cui
implicitamente ed esplicitamente si associa una valutazione positiva. Un equilibrio come
posizione scelta dai vari agenti economici.

È chiaro che nel mercato ci siano scelte spontanee che fanno convergere ciascun mercato
al livello di equilibrio ma non bisogna confondere la nozione di equilibrio, che si è utilizzata
fino ad ora ovvero quella utilizzata nell’analisi dell’equilibrio economico generale, perché da
ciascun mercato e da ciascuna merce generalizza la questione e si arriva alla nozione di
equilibrio generale Walrasiano, con una valutazione positiva del reddito di equilibrio nella
visione Keynesiana.
Per Keynes al livello di equilibrio del reddito YE si associa la DA ( YE = DA ), non è
associato nessun giudizio di valore positivo, quindi si lavora con una nozione di equilibrio
diversa dalla nozione Walrasiana ovvero non c’è nessuna valutazione positiva su questa
idea che il reddito converga infine al suo livello di equilibrio perché, come già visto, si
immagini che un sistema con tutte le caratteristiche precedenti e si supponga che il livello di
equilibrio sia coerente con la piena occupazione Yf ovvero il prodotto potenziale del sistema
cioè quello che si produce in termini di valore monetario dei prodotti finali quando si usano
tutti i fattori di produzione quindi non c’è disoccupazione, le imprese lavorano utilizzando
pienamente gli impianti; ergo il sistema è al suo livello di full employment.

Riduzione Degli Investimenti


Se c’è una crisi finanziare le imprese sono molto meno disposte a investire e quindi la spesa
per investimenti delle imprese si dimezza ovvero per i vari livelli di Y oltre ai consumi delle
famiglie si hanno gli investimenti delle imprese però dimezzati e quindi non c’è più un I1
segnato ma c’è un I2 segnato inferiore cioè le imprese riducono gli investimenti.
Più semplicemente le imprese dimezzano gli investimenti quindi la curva della DA si
abbassa e non è più nella posizione DA1 ma è nella posizione DA2 ora che gli investimenti
sono I2<I1.

Il nuovo punto di intersezione tra la curva della domanda aggregata che ora è in posizione
DA2 e la condizione di equilibrio del sistema espressa dalla bisettrice è cambiato quindi il
nuovo livello di equilibrio del reddito è indicato dalla nuova intersezione ed è YE cioè il

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Lucrezia Serra

sistema va a collocarsi su un nuovo livello di reddito di equilibrio perché in corrispondenza di


YE si forma una nuova domanda aggregata DA = YE che è un nuovo livello di equilibrio del
reddito che però è minore del reddito di piena occupazione.

Il sistema si colloca quindi su un nuovo livello di reddito che però è minore del reddito di
piena occupazione quindi il precedente livello di equilibrio di piena occupazione Yf non è più
un livello di pieno equilibrio del reddito ora che la domanda aggregata è diminuita; la
domanda aggregata che si forma nel sistema è inferiore a Yf perché gli investimenti si sono
dimezzati, la componente di domanda che arriva dagli investimenti delle imprese dopo una
crisi finanziaria in corrispondenza di Yf si forma una domanda inferiore e quindi non è
verificata la condizione di equilibrio.

Un reddito è di equilibrio se e solo se si forma una domanda aggregata esattamente uguale


a quel livello di reddito, se e solo se la domanda di merci corrisponde con ciò che le imprese
hanno deciso di produrre.

Ora che gli investimenti si sono dimezzati e la curva della DA rilevante per l’analisi si è
spostata verso il basso, il nuovo livello del reddito di equilibrio non coincide più con il livello
del reddito di piena occupazione.
Se la domanda è inferiore alla produzione le scorte indesiderate aumentano e questo è un
segnale di mercato che dice alle imprese di tagliare la produzione: le imprese tagliano e
tagliano la produzione e la produzione si riduce e si riduce finché si arriva ad un punto in cui
di nuovo la domanda aggregata è uguale ad Y e a quel punto le scorte non continuano ad
aumentare; questo vuol dire che le imprese non ricevono segnali dal mercato che le
inducono a tagliarle ulteriormente infatti reddito di equilibrio significa che la domanda
aggregata è uguale alla produzione quindi non c’è nessuna variazione di scorte e quindi le
imprese confermano questo livello di produzione.
Questo è il reddito di equilibrio però a tale reddito di equilibrio se si suppone ci sia un livello
di disoccupazione del 20% la posizione del reddito di equilibrio non ha una associazione
implicitamente positiva, non c’è nessun giudizio di valore positivo quando si parla di un
reddito di equilibrio cui è associata una disoccupazione e le risorse inutilizzate per un 20%
del potenziale di un economia. Allora Keynes sta lavorando con una nozione di equilibrio
ben diversa dalla nozione Warlasiana di equilibrio.

Una nozione di equilibrio di Keynes che è stata chiamata come un equilibrio di state of rest
ovvero stato di quiete cioè introduce una nozione di equilibrio in relazione alla quale il
mercato non segnala più nulla alle imprese.
Il prodotto potenziale era 100, il sistema va ad un nuovo livello di equilibrio di 70 allora si
forma una domanda aggregata di 70; quindi c’è un nuovo livello di equilibrio e si forma una
nuova domanda che rispetta tale livello di equilibrio ma c’è una disoccupazione del 20%
quindi state of rest vuol dire che questa nozione di equilibrio è un equilibrio come stato di
quiete cioè non c’è nessun segnale di mercato che induca le imprese a riportare la
produzione verso il prodotto potenziale ovvero verso la piena occupazione. In questo senso
state of rest è una nozione cimiteriale, una pace eterna, riposo eterno perché non è
associata una valutazione positiva.

Le forze di mercato non sono in grado di tornare ad un livello di equilibrio di piena


occupazione; di qui secondo Keynes ci sono multipli equilibri se tutto procede correttamente

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Lucrezia Serra

il sistema si colloca al prodotto potenziale ma se qualcosa va storto tipo se arriva una crisi
finanziaria il sistema può andare a collocarsi in un equilibrio non di piena occupazione e
questo non è un dato positivo ma è un equilibrio come state of rest ovvero un equilibrio
differente dal concetto di equilibrio Warlasiano e a questo punto arrivano le implicazioni di
policy tipicamente caratterizzanti della teoria Keynesiana ovvero è necessaria una politica
pubblica attiva monetaria o fiscale. La croce di Keynes è un modello dove tutte le variabili e
le relazioni tra variabili sono definite rigorosamente ed esplicitamente e attraverso di esso si
riesce a capire ed ad approfondire di più rispetto a quanto non fosse possibile prima con il
semplice flusso circolare del reddito.

I termini tecnici fondamentali sono la nozione di reddito di equilibrio, come si rappresenta


graficamente la curva della domanda aggregata, come si rappresenta graficamente la
condizione di equilibrio, la variazione delle scorte come segnale di mercato che in duce le
imprese ad aumentare o ridurre la produzione e quindi il reddito ogni qual volta la domanda
è maggiore o minore, la nozione di equilibrio diversa dalla nozione di equilibrio nell’approccio
Warlasiano (qui si parla di reddito di equilibrio e si mostra che esistono delle forze che
portano il reddito al suo livello di equilibrio ma infine il livello di equilibrio può significare una
situazione molto brutta per il sistema).

PREZZI
Cosa succede al livello generale dei prezzi come variabile macroeconomica?
Cosa succede all’insieme dei vari prezzi delle merci?
Come si determinano?
Finora non è stato mai analizzato il concetto di prezzo quindi implicitamente sono stati
assunti come dati ma il livello generale dei prezzi quindi l’andamento dei vari prezzi non è
dato e fisso perché i prezzi non sono una costante ma una variabile macroeconomica.
Quindi intuitivamente si necessita di un modello che consenta di capire le forze che
influenzano e determinano il prodotto lordo del sistema, l’occupazione e la disoccupazione
ma si necessita anche di capire come le forze che influenzano i prezzi e i loro andamenti;
bisogna capire sia il livello dei prezzi che la variazione del livello generale dei prezzi che è
una cosa che si chiama inflazione. L’inflazione è l’aumento continuo e generalizzato dei
prezzi e il suo contrario è la deflazione che è la riduzione continua e generalizzata dei
prezzi.
Quando si parla del livello generale dei prezzi, si parla di qualcosa che non esiste in natura
eppure nei prezzi di merci esiste ma il livello generale dei prezzi non esiste in natura ma è
qualcosa di cui si preoccupano gli statistici che usano degli indici per avere un’idea generale
dell’andamento del livello dei prezzi ovvero la variazione nel tempo e in che modo se c’è o
meno inflazione oppure se il livello medio dei prezzi aumenta del 2 o del 200% al mese o
all’anno; insomma gli statisti cercano di capire se c’è stabilità o meno dei prezzi.
È intuitivo che la questione è rilevante, è intuitivo capire che per una ragionevole stabilità dei
prezzi e una bassa inflazione è una cosa positiva mentre vivere in un mondo dove
l’inflazione è altissima tanto da essere definita iperinflazione non è una cosa positiva come si
ricorda l’esperienza della repubblica tedesca di Weimar dove le difficoltà economiche hanno
portato ad un’altissima inflazione e degenerata in iperinflazione e si racconta che davanti ad
un negozio c’era un tavolino con una valigia piena di banconote ed essa è sparita perché
l’inflazione era tale che il valore di mercato delle banconote crollava ad una velocità tale che
la valigia manteneva il suo valore ed era un bene rifugio; questo è un esempio che mette a
fuoco la gravità di un contesto di iperinflazione.

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Lucrezia Serra

La teoria macroeconomica è interessata a capire sia le forze che agiscono e che


determinano il livello del PIL sia quelle che influenzano i prezzi in generale o la variazione
nel tempo del livello generale dei prezzi quindi è necessario costruire dei modelli in cui si
spiega non solo Y ovvero il reddito ma anche come si determina il livello generale dei prezzi
P e le variazioni ovvero il tasso di inflazione P puntato ovvero la variazione dei livello
generale dei prezzi rapportato al livello iniziale e questo fa ottenere, moltiplicato per 100, la
variazione del tasso di inflazione.
Se ho un numero indice che dice che il livello generale dei prezzi è 100 e sale a 102 e
102/100 è il livello iniziale è uguale al 2%. Quindi la variazione nel tempo del livello generale
dei prezzi misura il tasso di inflazione. La rilevanza macroeconomica del prodotto interno
lordo e dei fattori che determinano il prodotto interno lordo è evidente però non è difficile
capire che è importante spiegare che cosa sia l’inflazione.

Bisogna avere un modello che sia in grado di spiegare sia il PIL che il tasso di inflazione ( Y
e P puntato) quindi serve un modello che appunto possa spiegare queste due variabili
endogene.
Il modello cui si farà riferimento è il modello AD-AS; esso presenta due variabili endogene
che sono il reddito o prodotto lordo del sistema e si misura sull’asse orizzontale e la seconda
variabile che il modello consente di spiegare è il tasso di inflazione e si misura sull’asse
verticale.

Quindi il modello AD-AS e le due funzioni AD-AS e la loro rappresentazione grafica quindi la
curva AD e la curva AS andranno inserite nel diagramma cartesiano.
-AD ovvero aggregate demand (domanda aggregata)
-AS ovvero aggregate supply (offerta aggregata)

Il modello AD-AS è il modello della domanda aggregata e dell’offerta aggregata. LA


DOMANDA AGGREGATA AD

La curva di domanda aggregata AD, non è concettualmente diversa da DA, ma con essa si
vuole capire come la domanda aggregata è influenzata dai prezzi o nella versione di livello o
nelle variazioni di livello come il tasso di inflazione per farla breve si ragiona in termini di
tasso di inflazione P puntato.

In che senso, come e perché la domanda aggregata che si forma nel sistema ovvero la
spesa effettiva per l’acquisto di merci, beni e servizi che si orienta verso le imprese per una
loro decisione di produzione è influenzata dai prezzi e dalle variazioni dei prezzi ovvero dal
tasso di inflazione?
Perché la domanda aggregata è influenzata dal tasso di inflazione?
Perché l’inflazione influenza la domanda aggregata?
Tutto questo è espresso dalla funzione AD del modello AD-AS; quindi la funzione e curva
AD del modello AD-AS non è altro che una curva che mostra come la domanda aggregata è
influenzata dal tasso di inflazione P perché finora non si è parlato di prezzi quindi
implicitamente sono stati considerati come non variabili, come dati ad un certo livello e
quindi si è fatto confusione tra variabili nominali e variabili reali; era un’assunzione
semplificatrice anche questa e si è detto che la realtà economica da interpretare e spiegare

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Lucrezia Serra

è una realtà complessa chiaramente si sa che i prezzi non rimangono sempre fermi e fissi
ma non sono una costante ma una variabile.
Distinzione Variabili Nominali E Variabili Reali
Ma se i prezzi sono una variabile allora tra le variabili nominali espresse in moneta e le
variabili in termini reali vanno distinte e il modo più rapido per cogliere la differenza tra le due
variabili è fare riferimento all’esperienza del reddito. Se ho un reddito di lavoro di 2000 euro
al mese ma vivo in un contesto in cui il tasso di inflazione annuale P è uguale al 30% è
chiaro che il mio potere di acquisto quindi il valore reale della mia retribuzione ovvero il
valore della mia retribuzione in termini di potere d’acquisto quindi il mio salario in termini
reale (il mio salario reale in termini di acquisto è una cosa mentre quello nominale è
un’altra).
Se vivo in un contesto in cui i prezzi sono stabili quindi P = 0 e non c’è inflazione è chiaro
che la cosa assume un altro significato; quindi se i prezzi si muovono diventa fondamentale
capire la differenza tra variabili monetarie e variabili in termini reali ovvero la storia reale
raccontata da una variabile cioè tenendo conto del tasso di inflazione, del impatto delle
conseguenze dell’inflazione.

La curva della domanda aggregata non è altro che la domanda aggregata; una volta che si
riflette sui canali attraverso i quali i prezzi, le variazioni dei prezzi e il tasso di inflazione
influenzano il potere d’acquisto e determinano quindi la domanda aggregata in termini reali.

Si dimostrerà che la curva della domanda aggregata che si forma nel sistema è influenzata
dall’inflazione, dal tasso di inflazione e l’influenza è tale che la curva della domanda
aggregata presenta una inclinazione negativa.
Questo avviene per tre ragioni:

-un effetto competitività di prezzo ovvero le economie del mondo reale sono integrate e
aperte, esiste l’import e l’export, quindi entra in gioco la competitività di prezzi. Le merci, i
beni e i servizi prodotti all’interno del nostro sistema economico da impianti di produzione in
Italia ora che i prezzi sono considerati non più come dati ma come variabili in un contesto in
cui il tasso di inflazione è molto alto rispetto ai pattern commerciali e ciò non significa che
rispetto agli altri stati c’è meno competitività ma con il tempo questo potrebbe comportare
invece una perdita dell’effetto di competitività rispetto ad altri stati in cui il tasso di inflazione
è minore. Quindi si intuisce che se il tasso di inflazione è relativamente alto gli ordini cioè la
domanda effettiva che si rivolge verso i produttori che producono in Italia a parità di
condizioni tenderà a ridursi mentre se le produzioni di merci, beni e servizi realizzati
all’estero diventano più competitive in termini di prezzo le importazioni aumentano.
Se l’inflazione quindi è elevata a parità di condizioni gli ordini, la domanda che si rivolge
verso i produttori localizzati in un certo paese tende a ridursi.
Se il tasso di inflazione è relativamente basso i produttori all’interno tenderanno ad esportare
di più quindi al netto delle produzioni ci sarà una maggiore domanda di merci realizzate in
Italia.

Si sta facendo un salto dal punto di vista concettuale perché da un lato l’economia è aperta
e ci sono scambi di merci con l’estero e i prezzi sono una variabile; la variazione dei prezzi e
il tasso di inflazione influenza la competitività e quindi la domanda che si orienta verso il
prodotto interno aumenta.

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Lucrezia Serra

Quindi con un’inflazione alta ci sarà meno domanda aggregata che si orienta verso le merci
prodotte all’interno ma con una bassa inflazione ci sarà una maggiore domanda. Questo
canale che chiamiamo canale della competitività di prezzo o effetto competitività di prezzo è
un primo canale attraverso il quale si comprende che la curva della domanda aggregata
nello spazio inflazione, formazione della domanda aggregata e quindi decisioni di
produzione e quindi di conseguenza livello del prodotto lordo Y; quindi per questo questa
curva ha un’inclinazione negativa.
Il secondo canale che contribuisce a spiegare la inclinazione negativa della domanda
aggregata è l’effetto dei tassi di interesse.

MODELLO AD-AS
Il modello AD-AS di domanda e offerta aggregata sul quale si capisce come si determina il
livello del prodotto lordo del sistema e il livello dei prezzi; è un modello in cui si rappresenta
sull’asse verticale il tasso di inflazione P puntato mentre sull’asse orizzontale il reddito.
L’inflazione può avere effetti distruttivi e redistributivi sulla popolazione perché non tutti
hanno la stessa capacità di difendere il proprio patrimonio e il proprio salario dall’inflazione;
un elevato tasso di inflazione può avere pesanti conseguenze.
Il modello AD-AS contiene due variabili endogene; la prima funzione che serve è la funzione
o curva della domanda aggregata AD che ha inclinazione negativa ovvero esiste relazione
negativa tra tasso di inflazione e la domanda aggregata che si forma nel sistema e quindi le
decisioni di produzione.

Perché esiste una relazione inversa tra tasso di inflazione e domanda aggregata?
Per diversi meccanismi e sono tre
-la prima è l’effetto di competitività ovvero se il tasso di inflazione è alto quindi a parità di
condizioni tanto meno competitive sono le merci prodotte al suo interno.
Se l’inflazione in Italia è alta compreranno molte più merci all’estero quindi la domanda
effettiva che si rivolge in Italia sarà relativamente bassa se il tasso di inflazione è alto; c’è
poca domanda effettiva di merci prodotte all’interno quindi se il tasso di inflazione è alto la
domanda sarà bassa e questo è l’effetto competitività. Ma se l’inflazione cresce poco, la
competitività di merci rimane elevata e ci sarà una domanda di merci prodotte in Italia da
parte di consumatori e produzione estera. La domanda è maggiore se il tasso di inflazione è
minore.

-la seconda è l’effetto tassi di interesse ovvero può essere confusionaria la differenza tra
variabile reale o monetaria, nominale. Se i prezzi sono fermi si possono confondere variabili
monetarie e reale ma se il livello generale dei prezzi varia nel tempo allora bisogna
distinguere tra variabile in termine monetario e una in termini reali.
Una volta che la ECB ha definito un certo valore monetario dello stock di moneta in
circolazione nel sistema a seconda che il tasso di inflazione sia alto o basso cambia
radicalmente la situazione sul mercato monetario in termini di offerta di moneta reale cioè la
stessa politica monetaria per cui nel sistema c’è in circolazione un certo valore monetario si
traduce in termini di moneta reale in due storie e concetti diversi. Il livello generale di prezzi
ovvero un indice statistico che al denominatore. Ms/P dove Ms = 100 e Pa= 100 e Pb =1

In questo caso quale è l’offerta di moneta in termini reali?


In un caso è 100/100 ovvero 1 nell’altro 100/1 ovvero 100
Il livello generale dei prezzi influenza l’offerta di moneta in termini reali.

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Lucrezia Serra

Significa che c’è un completamento quindi se si fa rifermento a un sistema in cui i prezzi


variano e il livello generale dei prezzi si colloca ad un basso livello si è nel caso 100/1
ovvero 100
Se i prezzi sono bassi la curva è spostata verso destra mentre se sono alti è spostata verso
sinistra e l’equilibrio che si determina sul mercato monetario è completamente diverso in un
caso è basso quindi c’è un alto tasso di interesse.
I tassi di interesse a un tasso di moneta dato sono influenzati dal livello dei prezzi quindi ad
impostazione data di politica monetaria se i prezzi sono alti i tassi di interesse saranno alti e
viceversa. Il livello dei prezzi influenza i tassi di interesse che sono una determinante degli
investimenti per cui se i tassi di interesse sono bassi gli investimenti sono alti e dato che essi
sono una componente della domanda aggregata effettiva. I tassi di inflazione elevati
risulteranno e comporteranno minori investimenti con tassi di inflazione bassi gli investimenti
saranno più conveniente.

-la terza è l’effetto ricchezza ovvero si immagini che la ricchezza di una famiglia indicata con
W cioè wealth e fino a che i prezzi sono statici va bene ma se i prezzi sono una variabile
bisogna distinguere in ricchezza in termini nominali e in termini reali ma se ho una ricchezza
= 100 ma ho un Pa è 100 la mia ricchezza è data dal rapporto tra i due quindi equivale a 1.
Se il livello dei prezzi è basso ovvero Pb = 1 la ricchezza vale 100. La ricchezza in termini
reali ovvero in termini di potere di acquisto è influenzata dall’andamento dei prezzi.
Si può ipotizzare che in un contesto con un basso tasso di inflazione una famiglia percepisca
la ricchezza più ampia quindi si considera più ricca o comunque meno povera. Attraverso
l’effetto ricchezza può passare una maggiore spesa per consumi ed attraverso l’effetto
ricchezza si ha una spesa programmata per consumi superiore rispetto ad una situazione in
un i prezzi sono elevati e quindi la ricchezza in termini reali si riduce.
La relazione tra inflazione e domanda aggregata è inversa per i precedenti tre motivi.
La domanda aggregata nel modello AD-AS non è semplicemente che AD è la spesa
aggregata programmata da agenti economici di decisioni pubbliche ma la AD è la funzione
della domanda aggregata.

LA CURVA DELL’OFFERTA AS
Nel modello AD-AS c’è la funzione della curva AS che è la curva dell’offerta aggregata che
non è la curva di offerta di mercato così come la curva di offerta aggregata AD non è la
curva di offerta di una certa merce.
La curva di offerta di una data merca quindi la relazione tra il prezzo unitario di una merce e
la quantità offerta di una merce è una relazione positiva e ci eravamo accontenta di una
spiegazione intuitiva perché si capisce che se il prezzo è basso c’è una scarsa produzione e
viceversa; anche la curva AS ovvero la relazione tra livello del tasso di inflazione e
produzione di merci finali quindi prodotto lordo del sistema si dimostrerà che è una relazione
positiva.

Perché esiste una relazione positiva tra inflazione e prodotto lordo del sistema?
La curva AS è la funzione di una merce finale ma è una relazione che indica in che senso e
perché c’è una relazione positiva tra produzione e tasso di inflazione; dice come il tasso di
inflazione definisce le decisioni di produzione delle imprese o meglio come le decisioni di
produzione sono prese in funzione del tasso di inflazione ovvero la relazione tra prezzi e
offerta aggregata.

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Lucrezia Serra

Dietro la curva AS esiste tra salari, costi e prezzi data una certa tecnologia; si immagini
l’innovazione delle produzione e in un certo livello economico lavoreranno con una certa
efficienza produttiva il livello dei prezzi dipende dai costi di produzione che a loro vola sono
influenzati quindi si può ipotizzare che i livelli dei salari influenzano il livello di produzione e
quindi quello dei prezzi in relazione a una data tecnologia.
L’inclinazione positiva della curva AS dipenda dal fatto che a mano a mano che aumento il
livello del prodotto lordo quindi che aumenta la produzione di merci finali i costi di
produzione non rimangono allo stesso livello ma aumentano e quindi i prezzi aumentano e
dinamicamente che a mano a mano che si passa da livelli a produzione maggiore le tensioni
inflazionistiche aumentano ovvero le tensioni di salari, costi e prezzi.

LA CURVA DELL’OFFERTA AS
Il modello AD-AS con la curva di domanda nella spazio reddito-inflazione si sa che ha una
curva negativa; si ha una curva AS ovvero della curva dell’offerta che ha inclinazione
positiva. Siamo al livello macro aggregato che non va confuso con un elemento dato da una
singola merce.
Si immagini una non coerenza tra offerta aggregata e domanda aggregata in una situazione
in cui il tasso di inflazione è alto per cui l’offerta aggregata di merci finali sia maggiore della
domanda aggregata che si forma nel sistema.

Cosa vuol dire?


Più o meno in tutti i mercati di quasi tutte le merci le imprese sperimentano che hanno
prodotto più merci rispetto alla domanda quindi c’è un eccesso di produzione e un eccesso
di offerta e un conseguente accumulo di scorte che è un segnale per ridurre le produzioni.
Se in tutti i mercati c’è un eccesso di offerta i mercati tendono a cedere.
Una situazione di disequilibrio da eccesso di merci rispetto alla domanda aggregata implica
una diminuzione dei tassi di interesse.
Questi meccanismi che operano nel senso di ridurre il tasso di inflazione agiscono finché
esso non torna ad un livello di equilibrio. Il processo procede finché non si arriva al livello di
equilibrio

A cosa serve il modello AD-AS?


È rilevante per capire i fenomeni macroeconomici; necessita di un completamento per
quanto riguarda il lato offerta del mercato.
Si è tracciata la curva AS con una retta quindi abbiamo utilizzato una semplificazione perché
per semplicità si suppone la sua linearità. Quando si introducono semplificazioni che esse
non oscurino questioni sostanziali perché la semplificazione può cancellare o evitare di
togliere e questo accade con la curva AS con la quale bisogna tenere presente che non ha
solo un tratto positivo ma anche uno orizzontale e uno verticale.
La curva dell’offerta aggregata non è una curva lineare ovvero rappresentabile con una retta
ed espone a conseguenze sul piano analitico. La curva AS mette a fuoco il fatto che essa ha
un andamento non lineare.

Come è fatta?

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Lucrezia Serra

Ha un tratto orizzontale, uno intermedio e uno positivo; la curva AS diventa via a via più
inclinata a mano a mano che si considerano livelli del prodotto lordo maggiori. La relazione
tra P puntato e Y aumenta a mano a mano che ci si sposta verso livelli di prodotto maggiore

Per quale ragione?


Si immagini un sistema economico con livelli del reddito se la curva di domanda interseca la
curva di offerta. L’equilibrio macroeconomico è caratterizzato da un basso livello del reddito
in seguito ad un shock dal lato della domanda aggregata dopo una crisi finanziaria. Questa
significa che l’equilibrio è keynesiano perché c’è una elevata disoccupazione e significa che
ci sono molte risorse che non vengono usate e in questa situazione, ammesso che a
domanda aumenti, è possibile per le imprese aumentare la produzione e spostarsi su livelli
di redditi più alti senza che si realizzino tensione su prezzi, costi e salari; è possibile
aumentare la domanda aggregata senza che si manifestino tensioni su salari e prezzi quindi
a parità di condizioni si possono aumentare i livelli di produzione.
Nella tratto orizzontale di curva essa è definita come tratto keynesiano per mostrare che le
imprese possono aumentare il prodotto lordo se ce ne sono le condizione senza che si
creino tensione su salari, prezzi e costi a parità di tasso di inflazione.
Una volta che si arriva al tratto intermedio dove la curva ha un’inclinazione positiva le
tensione sui salari e sui costi di produzione tendono ad aumentare quindi non è possibile
avere lo stesso tasso di inflazione a mano a mano che andiamo su livello di offerta
aggregata le tensione inflazionistiche sono maggiori.

La curva AS ha un andamento non lineare perché sui parte da una situazione di eccesso di
risorse.

A mano a mano che si esce dalla situazione keynesiano le tensione su salari, prezzi e costi
aumentano.
Il tratto verticale mette a fuoco il fatto che l’economia si surriscalda ovvero ci sono pressioni
inflazionistiche molto forte perché non ci sono più risorse inutilizzate.
In una situazione di piena occupazione tutti lavorano, quindi non ci sono più risorse di lavoro
inutilizzate.

Quindi come fa un’impresa ad aumentare la produzione?


Si, ma ha bisogno di più lavoratori e l’impresa aumenta la produzione togliendo lavoratori ad
altre imprese offrendo maggiori salari più competitivi; deve sottrarre lavoratori che già
lavorano in altre imprese quindi per definizione deve offrire dei salari più elevati ai salari che
quei lavoratori che già lavorano già prendono. Il serbatoio della disoccupazione è esaurito
quindi ciascuna singola impresa può sottrarre lavoratori alle altre imprese proponendo salari
più elevati ma a mano a mano che si immaginano riduzioni delle risorse inutilizzate allora le
tensioni sui salari, sui costi e sui prezzi aumentano. Quindi a mano a mano che si va verso
destra per aumentare il prodotto lordo tale aumento non può avvenire allo stesso tasso di
inflazione; quindi le tensioni inflazionistiche tendono ad aumentare finché non sono massime
nel tratto verticale.
Se ci si focalizza sul tasso verticale, cosa vuol dire tratto della curva AS?
Significa assoluta mancanza di risorse inutilizzate, vuol dire che l’economia è in un’ equilibrio
di piena occupazione. Dunque siamo in una situazione di piena occupazione.

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Lucrezia Serra

È possibile in una situazione di piena occupazione aumentare il prodotto lordo in termini


reali? O meglio fisicamente produrre più merci?
No, il PIL, se ci si trova in un equilibrio di piena occupazione, non può aumentare perché
stiamo già utilizzando al massimo le risorse produttive e non ci sono più risorse inutilizzate a
cui attingere. Quindi ciò che può cambiare è semplicemente il PIL reale moltiplicato per il
livello generale dei prezzi cioè il PIL nominale.
Certo che se si moltiplica lo stesso volume di merci per prezzi unitari maggiori di ciascuna
singola merce perché aumenta il livello generale dei prezzi, allora il valore in termini nominali
quindi il valore monetario delle merci finali aumenta ma aumenta solo il PIL monetario,
nominale non aumenta perché non può aumentare il PIL in termini reale ovvero il prodotto
potenziale Yf (ci si trova all’output potenziale che è ottenibile solo quando si utilizzano
pienamente tutti i fattori della produzione non può aumentare e come si vedrà in una
situazione di piena occupazione possono aumentare solo i prezzi, può aumentare soli il
tasso di inflazione).

Questa situazione si chiama situazione classica perché siamo in un equilibrio Warlasiano


di piena occupazione quell’unico equilibrio che era possibile nella visione pre- keynesiana.
Questa attenzione al fatto che la curva AS ha un tratto orizzontale che illustra una situazione
keynesiana, un tratto intermedio in cui la curva ha un’inclinazione positiva e l’inclinazione
diventa via via maggiore a mano a mano che ci si avvicina al tratto classico.
Queste tre situazioni: situazione keynesiana, situazione intermedia e situazione
classica in corrispondenza dell’ equilibrio di piena occupazione, il cd. full employment,
rappresentano livelli di equilibrio minori della piena occupazione in cui ci sono risorse
inutilizzate.

Questa visione della curva AS è molto importante perché se ci si limita a considerare il tratto
della curva AS intermedio si perdono di vista delle considerazioni che sono sostanziali in
quanto è di fondamentale importanza vedere anche le situazioni estreme sia il caso limite di
un sistema che sia più vicino ad un equilibrio di piena occupazione. Bisogna anche tenere
presente ciò che ha detto Keynes ovvero lo shock dal lato della domanda aggregata
possono collocare il sistema a livelli di reddito che sono prodotto di equilibrio ma non di
piena occupazione; quindi vedere un andamento non lineare della curva AS è fondamentale.

SPOSTAMENTI O SHIFT DELLA CURVA AD


Si è visto che la curva AD presenta inclinazione negativa e il livello generale dei prezzi, o la
sua versione dinamica ovvero il tasso di inflazione ha effetti sulla domanda aggregata e
quindi sulle decisioni di produzione delle imprese tali per cui emerge una relazione inversa
tra tasso di inflazione, domanda aggregata e prodotto lordo; ha un’inclinazione negativa per i
tre meccanismi perfetti che sono competitività, tassi di interesse e effetto ricchezza.
Ma un conto è la inclinazione di una curva, altra questione è la posizione della curva; la
curva AD può essere ovunque ma ha sempre un’inclinazione negativa perché quei tre
meccanismi operano sempre ma la sua posizione può cambiare.

Perché può cambiare?


Da cosa dipende la posizione della curva AD?
Dipende dalla assenza o presenza di shock dal lato della domanda aggregata; in base alla
crisi finanziaria che può arrivare ad indurre le imprese a tagliare gli investimenti e a ridurli
seccamente. La posizione della curva AD risente di questi shock e quando c’è una crisi

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Lucrezia Serra

finanziaria che porta le imprese a non avere più credito, o diventano molto più pessimiste e
riducono drasticamente gli investimenti allora il prodotto lordo inizia a scendere e così anche
i consumi scendono. In questo modo la domanda aggregata si riduce drasticamente e passa
da AD ad AD’ si sposta drasticamente verso sinistra e questo è uno shock dal lato della
domanda aggregata.
La relazione tra tasso di inflazione e Y è sempre una relazione negativa perché operano
sempre quei tre meccanismi quindi la relazione è sempre inversa ma un conto è che la
domanda aggregata sia elevata e un conto è che la domanda aggregata sia bassa.
Ci sono gli shock dal lato della domanda e questi spostano la posizione della curva di
domanda.

La posizione dipende solo dagli shock?


Che cosa può colpire il sistema economico dal lato della domanda aggregata?
No, la posizione della domanda aggregata dipende dalle politiche macroeconomiche che la
governano. La posizione della curva della domanda aggregata dipende, è influenzata e
influenzabile dall’orientamento delle politiche macroeconomiche del governo.
Questo consente di capire la questione inerente all’inclinazione e alla posizione.
Il ruolo dell’effetto tassi di interesse serve per spiegare la inclinazione negativa della curva
nello spazio I puntato-Y; se l’offerta di moneta data dalla ECB è 100 e ipotizzando un tasso
di inflazione alto tipo pari a 100 oppure uno basso pari a 1. Con un tasso di inflazione alto
quella stessa politica monetaria, uno stesso orientamento di politica monetaria, lo stesso
stock di moneta in circolazione deciso dalla banca di Italia determina un tasso di inflazione
elevato e una offerta di moneta in termini reali molto bassa; quindi tassi di interesse alti
quindi a parità di condizioni investimenti contenuti e allora con un tasso di inflazione alto la
domanda è bassa e viceversa il tasso di inflazione basso allora quella offerta nominale di
moneta si traduce in un offerta di moneta in termini reali più elevanti quindi i tassi di
interesse saranno inferiori quindi gli investimenti saranno maggiori e allora la domanda
aggregata è maggiore. Così la curva AD ha inclinazione negativa.

Si supponga che la ECB faccia una politica monetaria espansiva ovvero che sia una
variazione di politica monetaria; la ECB aumenta l’offerta di moneta in termini nominali, lo
stock di moneta in circolazione da Ms = 100 a Ms = 200. L’offerta nominale di moneta da
parte della ECB aumenta e di nuovo se si ripete l’analisi ipotizzando inflazione alta e
inflazione bassa solo che ora al numeratore si ha 200 e 200 diviso 100 fa 2; quindi l’offerta di
moneta in termini reali per questo dato tasso di inflazione, se l’offerta nominale di moneta
raddoppia, allora anche l’offerta di moneta in termini reali raddoppia da 1 a 2 e chiaramente
ci sarà un tasso di interesse inferiore e questo stimolerà gli investimenti che sono la
componente della domanda aggregata. Per lo stesso tasso di inflazione si avrà una
domanda maggiore e con una offerta nominale di moneta pari a 200 se si ipotizza
un’inflazione bassa , l’offerta di moneta in termini reali sarà 200 con tassi di interesse
inferiori e maggiori investimenti.

Come si sa una politica monetaria espansiva o meglio una politica monetaria più espansiva
ha effetti più espansivi attraverso la sequenza degli impulsi monetari.
Un aumento dell’offerta di moneta, diminuisce i tassi di interesse, stimola gli investimenti e
quindi l’aumento della domanda aggregata e di conseguenza il futuro aumento del reddito.

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Lucrezia Serra

La curva AD ha sempre un’inclinazione negativa ma la sua posizione dipende dalla


impostazione della politica macroeconomia; una politica monetaria espansiva sposta verso
destra la curva della domanda aggregata, in altri termini per ogni dato tasso di inflazione una
politica monetaria più espansiva comporta una maggior domanda aggregata e formalmente
dal punto di vista grafico significa che la curva della domanda aggregata ha sempre
un’inclinazione negativa ma si sposta verso destra.

Due questioni fondamentali:


- la posizione della curva AD dipende dalla esistenza di eventuali shock dal lato della
domanda aggregata
- la posizione della curva AD dipenda anche dalla impostazione più o meno espansiva o
restrittiva della politica macroeconomica.

Una politica monetaria restrittiva sposta verso sinistra la curva AD ovvero per ogni dato
livello del tasso di inflazione la domanda aggregata che si forma nel sistema è minore,
quindi formalmente la curva AD si sposta verso sinistra; fermo restando che per ogni data
offerta di moneta l’effetto tasso d’interesse è all’opera e quindi la curva AD ha sempre una
inclinazione negativa.

Ora il modello AD-AS si può utilizzare; la curva AS è fondamentale specificarne un


andamento non lineare quindi con un tratto orizzontale keynesiano e un tratto verticale
classico e un tratto intermedio con inclinazione positiva via via crescente e la curva della
domanda aggregata.
Si immagini un’economia in un equilibrio di piena occupazione Y e si ipotizza che ci sia un
equilibrio macroeconomico caratterizzato dalla piena occupazione dei fattori produttivi quindi
non c’è disoccupazione anche se c’è un certo tasso di inflazione ma ora si immagini un
sistema economico colpito dallo shock dal lato della domanda aggregata AD ed essa si
riduce drasticamente e si sposta verso sinistra e il nuovo livello di equilibrio
macroeconomico è caratterizzato da Y1 P puntato 1. Il reddito di piena occupazione, il
reddito di full employment era questo mentre il sistema economico si colloca ad un valore
monetario di merci finali pari a Yc che è decisamente minore di Yf
quindi se si è immaginato un shock molto duro dal lato della domanda aggregata, l’equilibrio
macroeconomico che si determina è molto molto negativo in termini di occupazione dei
fattori produttivi.

Mostrare le conseguenze di una politica monetaria espansiva sul tasso di inflazione e sul
prodotto lordo in una situazione keynesiana. Valutare infine la correttezza di tale politica
economica.
Bisogna individuare il modello corretto serve un modello che abbia due variabili endogene,
un modello che si preoccupi di vedere non solo la determinazione del reddito come nel
modello della croce keynesiana che serve a capire l’essenziale del equilibrio keynesiano
come stato di quiete ma anche cosa succede al tasso di inflazione e qua il modello che va
utilizzato è il modello AD-AS.
Per esaminare le conseguenze di una politica monetaria espansiva sul tasso di inflazione P
e sul prodotto lordo Y va usato il modello AD-AS. Il modello consente di individuare il tasso
di inflazione e il reddito nelle interazione tra domanda aggregata e offerta aggregata.

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Lucrezia Serra

Se la ECB fa una politica monetaria espansiva abbiamo una sequenza di impulsi che porta
ad aumentare la domanda aggregata. Dal punto di vista formale la curva della domanda
aggregata si sposta verso destra se c’è una politica monetaria espansiva.
In una situazione keynesiana la curva AS è nel suo tratto orizzontale perché esistono tante
risorse produttive inutilizzate e dunque a patto che ci sia domanda, a patto che le imprese
verifichino che gli ordini aumentino, le imprese possono aumentare la produzione e quindi a
livello aggregato il PIL passa da Y1 a Y2, senza tensioni su salari costi e prezzi, quindi a
parità di tasso di inflazione quindi il prodotto interno lordo aumenta e si riduce la
disoccupazione.

In una situazione keynesiana un politica monetaria espansiva è corretta perché comporta un


aumento del PIL e una riduzione della disoccupazione u senza un aumenta del tasso di
inflazione e siccome la disoccupazione u e anche l’inflazione p sono un male il fatto che si
riesca ad aumentare il reddito e quindi a ridurre la disoccupazione senza pagare un tasso di
inflazione più alto, questo significa che la politica è corretta.

Mostrare le conseguenze del tasso di inflazione P e del reddito Y di una politica fiscale
restrittiva in una situazione keynesiana. Valutare infine la correttezza o meno di tale politica.

Se l’autorità di governo fa una politica fiscale espansiva, la curva AD si sposta verso destra
ovvero per ogni dato tasso di inflazione c’è più domanda perché la politica fiscale è
espansiva e quindi formalmente la curva AD si sposta verso destra e la posizione della
curva AD dipende dalla politica macroeconomica e siccome le politiche macroeconomiche
sono politiche monetarie e/o fiscali allora la posizione della curva AD dipende
dall’orientamento più o meno espansivo o restrittivo delle politiche macroeconomiche.

Si usa sempre il modello AD-AS ma bisogna parlare della politica fiscale restrittiva ovvero
significa che il governo aumenta la pressione fiscale e riduce la spesa pubblica per beni e
servizi e i due strumenti della politica fiscale vengono utilizzati in tale senso; quindi invece
della sequenza degli impulsi monetari bisogna spiegare cosa significa politica fiscale
restrittiva.
Questa ha un impatto sulla posizione della curva AD e una politica fiscale restrittiva per ogni
dato livello del tasso di inflazione riduce la domanda quindi c’è meno domanda aggregata
perciò la curva AD si sposta da AD ad AD’ ovvero si sposta verso sinistra e questo punto si
utilizza il modello AD-AS.
La curva AS che esprime una situazione keynesiana è il tratto orizzontale e una politica
fiscale restrittiva riduce la domanda, il reddito di equilibrio passa da Y1 a Y2 cioè il reddito o
prodotto di equilibrio si riduce e le conseguenze di questa politica sono una riduzione del
reddito, del PIL.

Tale politica è sbagliata per cui se arriva uno shock dal lato della domanda, per esempio una
crisi finanziaria che determina uno shock dal lato della domanda, fare una politica fiscale
restrittiva ovvero una politica dell’austerità è sbagliato secondo molti economisti per molte
ragioni.

Si ipotizzi un sistema economico in una situazione classica: mostrare le conseguenze di una


politica fiscale o monetaria espansiva. Valutare infine la correttezza o meno di tale politica.

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Lucrezia Serra

Siamo in un equilibrio di piena occupazione ovvero il tratto verticale della curva AS, ciò
significa che la domanda c’è e si attua una politica espansiva che sposta verso destra la
curva AD da AD ad AD’ e non cambia nulla dal punto di vista della situazione reale ovvero il
prodotto lordo in termini reali Yf resta Yf ma il tasso di inflazione passa da P puntato 1 a P
puntato 2.

La valutazione è sbagliata perché se si è in piena occupazione per quale motivo aumentare


il tasso inflazione mentre è corretto fare una politica restrittiva che riduce il tasso di inflazione
e sposta verso sinistra la domanda aggregata e l’equilibrio passa da un’inflazione P puntato
2 a P puntato 1 che è inferiore e quindi a parità di PIL è meglio avere minori tensioni
inflazione; quindi in una simile situazione è corretto attuare una politica restrittiva.
Nel tratto intermedio accade di tutto e quando si sente parlare di un sistema economico in
una situazione intermedia, tra la situazione keynesiana e quella classica ovvero in una
situazione per cui la curva AD interseca la curva AS nel tratto intermedio quindi non si è ne
in una situazione keynesiana nè in una classica di piena occupazione e allora fare una
politica macroeconomica espansiva o restrittiva che conseguenze ha sulle variabili
endogene? È corretta o meno?

RIPASSO DEL MODELLO AD-AS


La nozione di curva della domanda aggregata AD che presenta una inclinazione negativa
nel grafico tasso di inflazione-livello del reddito e con i tre meccanismi dove con un alto
tasso la domanda è bassa.
La curva può spostarsi ad esempio in una situazione di grande innovazione e opportunità
con nuovi prodotti e a parità di condizioni allora la curva AD si sposta verso destra.
Gli shock possono anche essere negativi e quindi la curva si sposta verso sinistra.

I meccanismi che determinano la relazione inversa della curva AD sono sempre in atto e
dipende dalla impostazione delle politiche macroeconomiche sia quella fiscale che quella
monetaria.
Tali politiche attraverso una serie di impulsi possono influenzare la domanda aggregata
quindi se sono espansive per ogni dato tassi di inflazione si aumenta la domanda aggregata
e la curva si sposta verso destra e viceversa; questo serve per capire con quali
conseguenze si può o si deve fare una certa politica macroeconomica.

La nozione di curva dell’offerta AS che dice se un determinato aumento di prodotto lordo


può concretizzarsi senza che i prezzi si muovano; mette a fuoco di nuovo la relazione tra
tasso di inflazione e prodotto lordo ma dal lato dei costi quindi bisogna vedere la curva AS
nei suoi tra tratti quello keynesiano ovvero perché nel primo tratto la curva è orizzontale in
quanto se siamo su bassi livelli del reddito allora ci sono molte risorse produttive inutilizzate
quindi se le imprese aumentano la produzione lo fanno attraverso un maggiore utilizzo di
impianti e attraverso maggiori assunzioni. Il PIL può aumentare senza che ci siano tensioni.
Nel caso limite opposto del tratto verticale che indica una situazione estrema opposta quella
keynesiana quindi non ci sono risorse perché se si aumenta la produzione si innescano forti
tensioni inflazionistiche.
Il modello AD-AS va utilizzato per comprendere le variazioni di politica economica fiscale o
monetaria.
Quando la domanda aggregata non è ne in una situazione classica ne in una
keynesiana sulla base del tratto intermedio si potrà rispondere dicendo che la politica

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Lucrezia Serra

macroeconomica espansiva aumenteranno PIL e tasso di inflazione viceversa con una


politica restrittiva si riduce PIL e tasso di inflazione. A tutto ciò si deve guardare utilizzando
un altro strumento analitico.

In che senso e perché tutto ciò che dice il modello AD-AS circa la relazione tra inflazione e
livello del reddito mettendo a fuoco la relazione tra tasso di inflazione e tasso di
disoccupazione?
Tale relazione prende nome di curva di Philips ovvero la relazione tra il tasso di inflazione e
il tasso di disoccupazione. Attraverso la curva di Philips si riassume tutto ciò che il modello
AD-AS ha detto; il livello del prodotto lordo determina il livello del sistema e quindi il livello di
disoccupazione. Quanto più si è lontani dal prodotto potenziale quanto più il tasso di
disoccupazione u è elevato e viceversa.

Un grafico in cui sull’asse verticale ci sia il tasso di inflazione e su quello orizzontale la


disoccupazione; tutti gli equilibri del modello AD-AS può essere rappresentato con una
relazione inversa tra tasso di disoccupazione e inflazione; insomma se c’è molta domanda
del sistema e la disoccupazione è bassa e il tasso di inflazione è alto e viceversa.

Perché si chiama curva di Philips?


Perché nel 1958 Philips, economista britannico, ha raccolto dati sulla variazione dei salari
monetari e il tasso di disoccupazione ovvero dati di serie storica dal 1860 al 1920. Ha
raccolto dati relativi al tasso di variazione dei salari monetari w ovvero il tasso di inflazione
perché è determinato da tale variazione e ha raccolto dati relativi alla disoccupazione; li ha
rappresentati in un grafico per cui per ciascun anno ha individuato un punto e ha ottenuto
una serie di punti disordinati. I dati raccolti dal britannico neozelandese nel diagramma a
dispersione grazie alla sua ricerca empirica stimano una relazione attraverso una curva
dove interpolando i vari dati si ottiene una relazione inversa tra tasso di inflazione e tasso di
disoccupazione.
La curva di Philips rappresenta la raccolta di dati empirici che conferma il quadro del
modello AD-AS che mostra come diversi equilibri macroeconomici possono essere
raccontati in termini di una semplice relazione inversa tra inflazione e disoccupazione che
grazie al lavoro empirico di Philips prendono il nome di curva di Philips.

Questa relazione inversa tra inflazione e disoccupazione, negli anni successivi ’60, è stata la
visione macroeconomica dominante.
Se c’è uno scambio tra inflazione e disoccupazione, se c’è un trade-off e si può aumentare e
diminuire la domanda allora la autorità di governo può scegliere una politica economica
espansiva o restrittiva; si possono fare politiche che riducono l’inflazione e aumentano il
costo come le politiche restrittive o viceversa.

La curva di Philips vista come relazione stabile tra tasso di inflazione e disoccupazione, che
è nota come trade-off ovvero scambio tra inflazione e disoccupazione che sono le due
problematiche rilevanti sullo stato di un sistema economico.
I due obbiettivi di politica macroeconomiche, ciò che concettualmente sarebbe bene avere,
ovvero che un equilibrio macroeconomico ideale dovrebbe concentrarsi all’origine degli assi
perché si dovrebbe avere P = 0 e u = 0; ma con Philips non è possibile per le tensioni
inflazionistiche del mercato. Se la disoccupazione è molto alta ci sono risorse inutilizzate e

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Lucrezia Serra

quindi il tasso di inflazione è basso e in quest’ottica sono in relazione inversa o vige una
problematica o l’altra.

Se la curva di Philips è stabile può essere interpretata come un menu per le scelte di politica
economica ovvero significa che si possono fare tutte le scelte possibili; la curva di Philips ha
significato un menu quindi un governo che deve prendere decisioni di politica
macroeconomica ovvero deve decidere che impostazioni dare alle scelte macroeconomiche
allora gli economisti presentavano loro la curva di Philips in base a ciò che avrebbero potuto
scegliere.
Si possono fare scelte ma ad ogni scelta corrisponde un trade-off ovvero un pagamento se
ad esempio c’è un governo che ha un basso tasso di inflazione allora pagherà il costo di una
più elevata disoccupazione e viceversa.

La curva di Philips intesa come un menu stabile per le scelte macroeconomiche; in tale
ottica si sottolinea una elevata discrezionalità ovvero nel rispetto del trade-off perché è
possibile solo avere equilibri identificati da punti che giacciono solo sulla curva di philips,
quindi nel rispetto del trade-off il governo può tranquillamente scegliere discrezionalmente
scegliere una qualunque delle combinazioni di inflazione disoccupazione.

IL TRADE-OFF NELLA STORIA MACROECONOMICA


Nell’ottica del trade-off non è possibile arrivare a un mondo in cui c’è elevata inflazione e
una elevata disoccupazione e questo era lo stato della teoria macroeconomica fino alla fine
degli anni ’60.
Negli anni ’70 in tutti gli stati i fatti stilizzati della situazione macroeconomica hanno
presentato un quadro in cui ci si è trovato di fronte a una inflazione elevata e a una
disoccupazione cioè negli anni ’70 sono emerse equilibri macroeconomici caratterizzati da
una combinazione di P e u che la teoria ricevuta, la teoria dominante non prediceva la
contemporanea presenza dei fatti stilizzati che sono emersi negli anni ’70; ci si è trovati
davanti ad un problema non nuovo che si era già creato con la grande depressione che
prediceva un equilibrio Warlasiano.
Negli anni ’70 ci si è trovati in una situazione di incoerenza tra teoria macroricevuta e fatti
perché se ci sono P e u contemporaneamente presenti in quasi tutti i paesi si è davanti ad
un mondo non ben compreso allora si è cominciato a rivedere la teoria.

LA NUOVA TEORIA DI PHILIPS by MILTON FRIEDMAN


Chi l’ha fatto? Come? Con quali conseguenze per lo sviluppo della teoria macroeconomica?
Milton Friedman, un economista monetarista di Chicago e capo della scuola di Chicago,
pubblica nel 1966 prima dei fatti stilizzati degli anni ’70, aveva criticato radicalmente l’idea di
una curva di philips stabile ovvero criticò l’idea che il tasso di inflazione sia semplicemente in
relazione di funzione inversa del tasso di disoccupazione. Il tasso di inflazione è in relazione
inversa al tasso di disoccupazione mentre Friedman dice che il tasso di inflazione non è
funzione della disoccupazione ma dipende anche dalle aspettative inflazionistiche ovvero il
tasso di inflazione corrente non dipende solo dalla disoccupazione ma anche dalle
aspettative inflazionistiche.
Cosa significa che il tasso di inflazione effettivo dipende dalle aspettative inflazionistiche?
Che relazione esiste tra il tasso di inflazione effettivo e le aspettative inflazionistiche?
Quanto più alte sono le aspettative inflazionistiche tanto più alta è l’inflazione effettiva

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Lucrezia Serra

perché quando si deve stipulare un contratto allora il tasso di variazione dei salari monetari
W puntato è influenzato dalla risorse inutilizzate, dalla disoccupazione ma l’andamento dei
salari monetari è anche determinato dalle aspettative inflazionistiche ovvero da quella che
sarà l’inflazione in futuro.
U → W puntato

Quando si contratta l’andamento dei salari sia i sindacati dei lavoratori sia le imprese
cercano di capire che tipo di inflazione ci sarà in futuro; se ci si aspetta una inflazione del
30% i sindacati dei lavoratori per difendere i salari chiederanno un aumento dei salari
monetari.
La variazione dei salari è data dalla variazione dei salari monetari meno il tasso di inflazione.
WR puntato = W puntato – P puntato
Se la crescita del salario monetario è del 30% e il tasso di inflazione è del 30% il salario
reale non aumenta.
Quando si deve decidere in sede di contrattazione la dinamica dei salari monetari il
sindacato farà riferimento all’inflazione attesa e anche le imprese faranno lo stesso. I
contratti si chiudono se la rivendicazione è ragionevole quindi può avere senso chiedere un
aumento dei salari se le attese inflazionistiche ovvero gli aumenti del tasso di inflazione sono
destinati a crescere.
Le aspettative inflazionistiche determinano il tasso di inflazione effettivo attraverso i
meccanismi delle risorse inutilizzate rappresentate dal tasso di disoccupazione.

Il tasso di inflazione è anche influenzato dalle aspettative inflazionistiche che contengono i


salari, prezzi e costi; la curva di Philips che ipotizza Friedman non è la stessa dell’ideatore
ma è una curva di Philips aumentata per le aspettative inflazionistiche perché il tasso di
inflazione effettivo cioè l’inflazione dipende dal tasso di inflazione ma anche dalle aspettative
inflazionistiche.
Questa è la curva di Philips aumentata per tenere conto delle tensioni inflazionistiche.
Quanto più alte sono le aspettative inflazionistiche tanto più alto è il tasso di inflazione.

P puntato = f ( u )
P puntato = f ( u , P puntato e )
P puntato = f ( u ) + P puntatoe
questa è la formula effettiva di Friedman

Quali sono le implicazione di politica macroeconomica di questo cambiamento radicale sulle


determinanti dell’inflazione?
Quali sono le conseguenze che entrino in gioco le aspettative inflazionistiche come
determinante dell’inflazione?
Per semplicità si rappresenti la curva di Philips con una retta con pendenza negativa per
mostrare il trade-off tra disoccupazione e inflazione, all’arrivo della nuova teoria
dell’inflazione di Friedman la conseguenza ha una diversa rappresentazione grafica perché
se si deve rappresentare la teoria di Friedman si deve partire dalla relazione tra P puntato e
u e aggiungere le aspettative inflazionistiche quindi non si ha più una sola curva di Philips
ma ci sono tante curve di Philips a seconda del tipo di aspettativa inflazionistica quindi se le
aspettative sono basse sarà bassa e andrà crescendo.

51
Lucrezia Serra

Con Friedman non esiste più una sola curva di Philips stabile, un trade-off stabile tra
disoccupazione e inflazione ma ci sono tante curve, una famiglia di curve di Philips ciascuna
tracciate per un certo livello di inflazione attese.

Quali sono le implicazione per l’impostazione della politica macroeconomica?


Si immagini di essere in un sistema economico dove da diversi periodo, anni, non c’è
inflazione ovvero c’è una stabilità dei prezzi e dal punto di vista grafico ci si trova sull’asse
della disoccupazione che è un equilibrio dove non c’è inflazione ma solo una disoccupazione
naturale uN e si suppone che non ci sia inflazione e quindi il sistema è collocato sull’asse u
e le cose di anno in anno procedono.

Nell’ottica di Philips questa non è l’unica curva quindi viene tracciata in relazione a un tasso
di inflazione = 0 se da anni i prezzi sono stabili è plausibile immaginare che le attese di
inflazione siano nulle ovvero la gente non si attente inflazione perché c’è da sempre stabilità
dei prezzi. Questa è una curva di Philips di breve periodo ovvero è tracciata in relazione a
un dato livello di attese inflazionistiche.
Si immagini che partendo dall’equilibrio macroeconomico si ragioni con la tradizionale
visione della curva di Philips; essa, che è stabile, mostra la discrezionalità del governo nel
decidere per l’economia dello stato. Se aumento la disoccupazione non posso pensare che
gli agenti economici non rivedano le aspettative inflazionistiche perché data l’inflazione del 3
% le aspettative inflazionistiche aumentano al 3% cioè gli agenti economici si attendo che
l’inflazione futura sia del costante; quindi nella contrattazione dei vari beni ci si aspetterà un
tasso di inflazione del 3 %.

Tale politica ha delle conseguenza per il tasso di inflazione effettivo quindi la curva rilevante
per l’analisi non è più la prima ma la seconda; se le aspettative inflazionistiche aumentano si
sposta verso l’alto.
La curva di Philips rilevante per l’analisi diventa non più la curva che vale nel breve periodo
ma ora che l’inflazione c’è e nel corso del tempo gli agenti economici rivedono le loro
aspettative perché l’inflazione attesa è del 3% quindi la curva si è spostata verso l’alto e se
si fa una politica macroeconomica per portare la disoccupazione al tasso u1 essendo la
curva dell’analisi più in alto predice che il tasso di inflazione effettivo non è più il 3% ma il
6%.

Non esiste più un trade-off stabile tra inflazione e disoccupazione; a mano a mano che si
vogliono tenere politiche espansive per avere minore disoccupazione bisogna spostare la
curva di Philips di breve periodo.

Quale è il risultato di questa analisi?


L’impatto è devastante perché non c’è più la discrezionalità di muoversi come si vuole in
quanto ora che ce ne sono tante ciascuna definita in base al livello del tasso di inflazione,
non c’è più un trade-off discrezionale. L’inflazione cresce su se stessa e quindi una politica
che riduce la disoccupazione implica una continua crescita del tasso di inflazione; il costo
continua ad aumentare finché si tiene il sistema ad un dato livello di disoccupazione perché
l’inflazione effettiva risulta sempre maggiore dell’inflazione attesa e così l’inflazione accelera
nel tempo.

52
Lucrezia Serra

Il tasso di disoccupazione influenza il tasso di inflazione ma è anche influenzato dalle


aspettative inflazionistiche; le implicazioni politica economica è che non ci si può scostare
dal tasso di disoccupazione naturale perché senno se si cerca di diminuire il tasso di
disoccupazione si ha un aumento vertiginoso del tasso di inflazione.

TIPOLOGIE DI DISOCCUPAZIONE
Attraverso la nozione di aspettative inflazionistiche si mette a fuoco l’ idea che non esista un
unica curva ma che esista una famiglia di curve dove ciascuna può essere tracciata in
relazione a un determinato tasso di inflazione atteso; di conseguenza se le aspettative
inflazionistiche cambiano cambia anche la curva di Philips.
La curva di Phillips è la curva che considera aspettative inflazionistiche relative alla
situazione passata ovvero rende possibile conoscere approssimativamente il livello del tasso
di inflazione futuro sulla base di quello corrente e passato.

Nel tasso di disoccupazione naturale, che si crea solo con aspettative inflazionistiche uguali
a zero, ci sono due elementi che lo caratterizzano:
- disoccupazione frizionale che è dovuta a frizioni ovvero l’incontro tra domanda di lavoro
espressa dalle imprese e offerta di lavoro espressa dai lavoratori non è istantaneo neanche
in una situazione di pieno equilibrio; quindi questi tempi di ricerca del lavoro sia da parte dei
lavoratori sia da parte delle imprese non sono nulli in quanto il tasso di disoccupazione non
può essere uguale a 0 sennò è una disoccupazione frizionale.
- disoccupazione strutturale

Un= Uf + Us
disoccupazione naturale (Un) = disoccupazione frizionale (Uf) + disoccupazione strutturale
(Us)

Emerge un problema dall’ incontro tra domanda e offerta, che non è istantaneo, perché la
domanda di lavoro da parte dell’ impresa è diversa dall’ offerta di lavoro espressa dai
lavoratori; quindi si crea un po’ di disoccupazione non molto grave che richiederebbe
aggiustamenti però non molto rapidi.
In entrambi i casi, sia in quello sopracitato che nel caso della disoccupazione frizionale,
manca la disoccupazione keynesiana o ciclica; quindi il tasso di disoccupazione effettivo di
un sistema economico è concettualmente scomponibile in tre elementi: - disoccupazione
strutturale
- disoccupazione frizionale
- disoccupazione keynesiana (uK) oltre alla disoccupazione naturale emerge anche
disoccupazione keynesiana che consiste in una carenza di domanda aggregata effettiva.

L’ equilibrio di piena occupazione non implica una disoccupazione nulla ma una


disoccupazione positiva quindi maggiore di 0 (U>0) ed una disoccupazione caratterizzata da
componenti della disoccupazione strutturale e frizionale; se, invece, non c’è piena
occupazione emerge anche una disoccupazione keynesiana o ciclica.

In caso di disoccupazione frizionale si applicano, in sistemi economici meno sviluppati, delle


politiche attive del lavoro che sono tutte quelle politiche che in genere utilizzano agenzie che
diffondo informazioni su quei posti di lavoro vacanti (le imprese hanno bisogno di lavoratori);

53
Lucrezia Serra

in questo modo favoriscono l’ incontro tra domanda e offerta, contribuendo all’abbassamento


della disoccupazione frizionale.
Le politiche per contenere la disoccupazione strutturale sono politiche che si basano molto
sulle politiche dell’istruzione o sulla buona formazione professionale; esse facilitano e quindi
la componente strutturale è minore, se queste politiche sono fatte bene il tasso di
disoccupazione naturale sarà minore.

Il tasso di disoccupazione naturale (uN) è pari al 5-6% allora si faranno politiche per
aumentare domanda aggregata per portare il livello di disoccupazione a uno; per questo
motivo scegliere un diverso equilibrio macro economico e di conseguenza spostare il
sistema fa spostare l’ inflazione. Se l’inflazione aumenta cambieranno aspettative di
inflazione anche se il vantaggio di politiche espansive è un vantaggio limitato. Infatti per
ridurre il tasso di disoccupazione naturale bisogna fare politiche attive, istruzione e
formazione professionale ma se siamo a livello uN è sbagliato fare politiche espansive.

MODELLO AD-AS
Cosa succede se il sistema economico non è ne in una situazione keynesiana ne in una
situazione classica?
Per livelli di equilibrio inferiori a Yf avremo tassi di disoccupazioni maggiori; infatti oltre alla
disoccupazione strutturale e frizionale compare anche quella keynesiana.
È sbagliato fare politiche in situazione classica perché tutto quello che abbiamo detto sulla
curva di Phillips in correlazione a aspettative inflazionistiche implica che facendo riferimento
a modello AD-AS bisogna stare attenti a quello che succede nel tratto intermedio: le politiche
espansive spostano la curva verso destra aumentando il tasso d’inflazione. Queste politiche
utilizzate in tratto intermedio rischiano di innescare meccanismi inflazionistici.

Il tratto intermedio è quel tratto che concettualmente non è stabile quindi gli economisti
dicono che anche nel tratto intermedio le politiche espansive della domanda aggregata
vanno utilizzate con assoluta cautela.

Se siamo in situazione keynesiana se non si muove l’inflazione quel meccanismo di crescita


basato sul ruolo delle aspettative inflazionistiche non si innesca ed è corretto usare politiche
espansive.
Solo nella situazione keynesiana nella quale non ci sono tensioni inflazionistiche ci si può
dimenticare delle aspettative; via via però si mette in movimento il tasso di inflazione e allora
bisogna diventare sempre più cauti nell’uso delle politiche quindi anche prima di arrivare all’
equilibrio di occupazione.

Il modello AD-AS viene utilizzato come quadro concettuale per mettere in ordine le idee sul
funzionamento di un sistema economico e su come si determinano gli equilibri
macroeconomici, che sono multipli per cui ci si può trovare davanti ad equilibri differenti
grazie al pensiero keynesiano; ci si può trovare davanti alla relazione tra tasso inflazionistico
e tasso di inflazione aspettato.
Nelle scelte delle politiche macroeconomiche negli ultimi 30 anni si è prestata attenzione al
pericolo che le aspettative inflazionistiche portino fuori controllo il reale tasso di inflazione.

54
Lucrezia Serra

LE POLITICHE DELL’OFFERTA AGGREGATA


Come e cosa sono le politiche macroeconomiche della offerta aggregata?
Sono le politiche che puntano ad aumentare il prodotto potenziale del sistema cioè a
spostare verso destra la curva AS ovvero il prodotto potenziale del sistema quindi
aumentarlo (il prodotto potenziale è il valore monetario delle merci massimo quando il
sistema usa pienamente le risorse).

C’è una versione statica e una dinamica che riguarda la crescita economica ovvero
l’andamento nel tempo del prodotto potenziale.

Come lo si definisce in un breve periodo di tempo?


Nel tempo di una data economia il prodotto potenziale cresce poco oppure cresce molto; la
crescita economica potenziale, che non è quella effettiva, di un economia è la crescita nel
lungo periodo del potenziale economico di un sistema.
Le politiche dell’offerta puntano ad aumentare il potenziale produttivo e puntano,
graficamente, a spostare la curva AS verso destra.

Quali sono gli strumenti per realizzare politiche dell’offerta?


Vanno divisi in due tipi quindi le politiche dell’offerta sono di due tipi:

- FLESSIBILITA’
Un primo approccio alle politiche dell’offerta riguarda tutte quelle misure che puntano e
tentano di far funzionare meglio i mercati. Il mercato di una determinata merce come luogo
in cui interagisce domanda e offerta, la tendenza all’equilibrio c’è nella misura in cui il prezzo
di una determinata merce è flessibile e può rispondere agli eccessi di offerta e domanda in
maniera veloce e rapida. Tanto più i prezzi si aggiustano rapidamente tanto più il sistema va
in equilibrio.
Quanto maggiore è la flessibilità dei prezzi e dei salari quindi quanto meglio lavorano i
mercati tanto più rapidi sono gli aggiustamenti, tanto maggiore è l’economia e il prodotto
potenziale; in tale ottica e secondo questo approccio alle politiche dell’offerta il termine
chiave è flessibilità quindi i problemi derivano da una rigidità ovvero da un’assenza di
flessibilità.

- EFFICIENZA DINAMICA
Le politiche dell’offerta sono le politiche strutturali che si preoccupano di aumentare il
capitale umano di investire in istruzione, in formazione professionale, in ricerca e sviluppo.
Si può migliorare il sistema scolastico e universitario, avere più capitale umano e più
conoscenze nelle persone.
Le politiche per aumentare il capitale umano aumentano la politica dal lato dell’offerta.
Sono risorse del lato dell’offerta gli investimenti in ricerca e sviluppo; la capacità di un
impresa di fare innovazione di prodotto sta nel fare ricerca e sviluppo quindi un’economia
che investe in ricerca e sviluppo ha un prodotto potenziale maggiore (questa è l’efficienza
dinamica).

Stare attenti a queste direzione significa fare politiche dell’offerta che innovino e aumentano
il prodotto potenziale.

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Lucrezia Serra

Microeconomia: parte dell’economia politica che studia il comportamento, le decisioni a


livello micro degli agenti economici. Non studia le nozioni a livello aggregato ma si focalizza
l’attenzione sui singoli, sulle loro azioni.
Macroeconomia: analizza il sistema economico nel suo complesso, a livello aggregato.

Microeconomia
● Gli agenti economici si dividono in consumatori e imprese quindi vengono studiate le
loro decisioni (ci saranno teorie del consumatore e delle teorie dell’impresa).
● Teorie dell’impresa: le imprese sono più importanti in quanto producono beni e
servizi. Si parla di teorie perché la realtà dei nostri sistemi economici è molto
articolata e quindi non c’è una sola teoria.
● Le imprese hanno dimensioni molto variegate fra loro: un’impresa dalle piccole
dimensioni prenderà decisioni in un contesto di mercato molto diverso da quello delle
imprese più grandi. Le teorie dell’impresa seguono il contesto strutturale all’interno
del quale l’impresa è inserita.
● Forma di mercato: è un quadro stilizzato che coglie i tratti essenziali del mercato in
cui un’impresa può operare.

CONCORRENZA PERFETTA
domanda d’esame : definire la concorrenza perfetta, quali sono gli elementi che lo
compongono
- numero delle imprese molto elevato cioè tende ad infinito quindi la loro dimensione
tende a zero. Se portiamo all’estremo questo elemento diremo che in un mercato
perfettamente concorrenziale il numero delle imprese tende a +infinito
Lim N—> + infinito1/N= 0
- Le imprese producono beni o servizi cioè delle merci che sono omogenee. Questi
beni sono tutti identici, percepiti identici agli occhi del concorrente, del consumatore
(ad es. se facciamo riferimento al mercato delle mele dire che il mercato delle mele è
perfettamente concorrenziale significa dire che le mele prodotte sono omogenee cioè
se è indifferente per il consumatore acquistare il bene da un impresa piuttosto che da
un’altra).

Combiniamo le caratteristiche 1 e 2:
le imprese possono fare il prezzo che vogliono?
Le imprese hanno potere di mercato in un mercato di concorrenza perfetta? (= hanno il
potere di aumentare il prezzo per aumentare il proprio profitto?)
NO perché se le imprese sono tantissime e sono tutte piccolissime e sul mercato offrono
beni omogenei allora ciascun produttore non può avere potere di mercato perché se lo
facesse le sue vendite si annullerebbero.

A)3 euro/kg
B) 3 euro/kg
C) 3,1 euro/kg
L’impresa C può sopravvivere ma nessuno acquista i suoi prodotti.
In concorrenza perfetta un’impresa non può alzare i prezzi per aumentare il proprio profitto
quindi in concorrenza perfetta le imprese non hanno potere di mercato.

56
Lucrezia Serra

• bisogna capire quando invece le imprese hanno potere di mercato cioè quando possono
alzare il prezzo per incrementare il profitto .

Teoria dell’impresa in concorrenza perfetta


Come si comporta un’impresa che opera in un mercato perfettamente concorrenziale?
Teoria neoclassica dell’impresa in concorrenza perfetta: l’obiettivo di un’impresa è quello di
ottenere profitto ( profitto si indica con π pi greco):

-Profitto d’impresa = RT - CT (cioè ricavi totali meno i costi totali/ RT si può definire anche
fatturato)
-Se CT > RT—> perdita cioè profitto -
-Se CT < RT—> guadagno cioè profitto +

Se un’impresa registra perdita deve abbassare CT e quindi il profitto aumenta.


Da qui discendono aggiustamenti che le imprese operano per massimizzare il proprio
profitto.

Cosa sono i RT di un’impresa?


RT o fatturato è il prezzo unitario della produzione x quantità prodotta dall’impresa (RT0 p x
q ).

Esempio q= 10kg p= 4 euro RT= 4x10=40 euro cioè il prezzo a cui vende sul mercato quella
determinata merce moltiplicato per la quantità che produce

• se l’impresa alza il prezzo anche di poco, q va a zero perché nessun consumatore


razionale acquisterà a quel prezzo.
L’impresa che opera in concorrenza perfetta non può quindi toccare il prezzo
Il prezzo è un parametro dato (si indica con p con il trattino sopra) RT=pxq
Il prezzo è una variabile che l’impresa decide discrezionalmente .

Cosa può fare l’impresa per aumentare il proprio fatturato?


Può agire sulla quantità: se aumenta la produzione aumenta il fatturato perché la quantità
prodotta è l’unica variabile decisionale su cui l’impresa in concorrenza perfetta può
intervenire.
Se aumenta la produzione ovviamente aumentano CT quindi un’impresa che voglia
aumentare il profitto (max p) sa che il prezzo non lo può toccare, che l’unica cosa che può
variare è q ma aumentando la produzione aumenta CT quindi deve bilanciare i risultati che
ottiene dal maggior fatturato tenendo conto di tutto.

Sempre domanda 1:
Teoria neoclassica dell’impresa in concorrenza perfetta
1. Il numero delle imprese tende a + infinito e le imprese saranno quindi piccolissime
(paradossalmente hanno dimensione nulla)
2. le imprese producono beni e servizi omogenei cioè che vengono percepiti come identici.

• combinando caratteristica 1 e 2 si ottiene che le imprese in concorrenza perfetta non


hanno potere di mercato cioè non hanno la discrezionalità di aumentare il prezzo del proprio

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Lucrezia Serra

prodotto. Non hanno potere di influenza sul prezzo, sono imprese price-taker cioè prendono
il prezzo di mercato come un parametro dato.

Esempio: il prezzo di equilibro delle mele è 3 euro allora ciascuna impresa prende quel
prezzo come dato e prenderà le sue decisioni in modo da assimilare il profitto sapendo che
non può modificare il prezzo.

Chi fa il prezzo?
Il mercato decide il prezzo. Sarebbe contro l’interesse di un’impresa alzare il prezzo perché
non venderebbe più niente.
Per indicare che il prezzo è un dato si mette un trattino sopra la p—> RT= p x q.

—> * all’inizio i costi aumentano e gli incrementi di costo sono via via maggiori ma poi
iniziano a diminuire.
K=3 e L=3 , all’inizio non si riescono a combinare al meglio i fattori di produzione ma a mano
a mano che si aumenta la produzione migliora l’efficienza produttiva e ciò consente di tenere
i costi sotto controllo, cioè i costi aumentano ma ci sono rendimenti crescenti poi si passa a
rendimenti decrescenti cioè k è sempre 3 ma l’efficienza tende a ridursi, c’è congestione
nell’utilizzo delle risorse, infatti il ciclo si ripete. (prima vai male perché hai appena iniziato la
tua attività e inoltre hai delle perdite ma poi man mano che guadagni, il profitto si alza e poi
la situazione si ripete).
- all’inizio si opera in perdita cioè il profitto (profitto=RT-CT) è negativo quindi CT>RT
poi però a un certo punto il profitto diventa positivo CT<RT.
- il profitto è massimo se e solo se si colloca su un livello di produzione q* che
consente all’impresa di rendere massima la differenza tra RT e CT cioè di
massimizzare il profitto. Ciò accade nel breve periodo con costi di breve periodo.
- Nel breve periodo, a dimensione dell’impresa data con quel determinato K e L, i costi
totali hanno questo andamento e i ricavi totali sono determinati dal prezzo e dalla
quantità prodotta. I prezzi possono decidere la produzione.
- Se si aumenta la produzione i costi totali aumenteranno ma non di molto e si
registrerà invece profitto (arrivando anche al profitto max che corrisponde alla
maggiore distanza tra le due curve).

Teoria neoclassica dell’impresa


Neoclassica perché si basa sulle assunzioni standard degli agenti economici.
La dimensione dell’impresa sia data cioè è una teoria dell’impresa con costi di breve
periodo; il fattore lavoro può anche variare nel breve periodo però cambiare lo stock di
capitale fisso non può essere variato; quindi la dimensione dell’impresa è data dalla variabile
dimensionale di stock di capitale fisso perciò nel breve periodo non può variare tale stock.
Ad esempio una startup con un dato stock di capitale fisso quindi attraverso rendimenti
crescenti all’aumentare della produzione i costi aumentano.

Quindi un’impresa ha dei costi fissi che non variano al variare della quantità prodotta mentre
i costi variabili aumentano con incrementi via via più contenuti e col tempo aumentano con
incrementi via via maggiori. A mano a mano che si aumenta la quantità prodotta lo stock è
sempre dato; quindi si entra nella regione dei rendimenti decrescenti e ci si trova in una
situazione di congestione quindi lo stock di capitale vincola e ciò è fonte di inefficienza e
disorganizzazione.

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Lucrezia Serra

L’impresa tende a massimizzare il profitto ma fino ad un certo punto si parla di profitto


negativo perché i ricavi totali sono minori dei costi totali.
Quando ci sono dimensione troppo inadeguate rispetto ai livelli di produzione, le
imprese fanno degli investimenti aumentando così la dimensione dell’impresa.
Tale teoria neoclassica può essere usata perché sappiamo come si comporta l’impresa in
base ai prezzi che ha in concorrenza perfetta. Si suppone che aumenti il prezzo di mercato,
la curva di domanda di mercato di una data merce si sposta verso destra e il prezzo di
equilibrio si sposta a sua volta. Se il prezzo di equilibrio aumenta vuol dire che per ogni data
quantità prodotta il ricavo totale o fatturato dell’impresa aumenta. Se l’impresa produce 1 e
vende 1 ma se il prezzo aumenta allora aumenterà anche il fatturato. Se aumenta il prezzo
di mercato l’inclinazione della curva del ricavo totale aumenta, supponendo che non cambi
nulla dal punto di vista dei costi di produzione; in questo modo la curva di produzione dei
costi di breve periodo rimane invariata.

Cosa succederà alla quantità prodotta?


Come reagirà l’impresa davanti all’aumento dei prezzi? Q* rimane allo stesso livello?
L’approccio finora seguito, un approccio sul livello delle variabili della teoria neoclassica è un
approccio che non mette bene in evidenza le decisioni di impresa quando cambiano alcuni
parametri rilevanti. Se cambia il parametro prezzo tale teoria non riesce a mostrarlo.
Nella seconda metà dell’ ‘800, nel 1870, gli economisti applicano il calcolo differenziale
e riformulare tutta la modellistica economica in termini non di livelli delle variabili ma di
variazioni delle variabili; in altri termini si può riformulare la teoria neoclassica in termini di
variazione delle variabili locali.

Cosa vuol dire variazione di y al variare infinitesimo di x?


Significa parlare della derivata prima di x.
Se i ricavi totali di un impresa sono dati dal prezzo unitario, che è quello dato di mercato, per
la quantità prodotta allora parlare di variazione della variabile locale significa parlare della
derivata ricavo totale dell’impresa; si tratta del ricavo marginale (RM).
dRT = RT = RM RT = p x q dq

Cosa succede ai ricavi totali quando l’impresa produce e vende una variazione in più?
Se l’impresa passa da una a due unità la merce venduta il ricavo totale cambia e varia in
maniera tale da essere un ricavo marginale.
Il ricavo marginale di un'impresa in concorrenza perfetta che prende il prezzo come
parametro dato è esattamente il parametro dato. Quindi si rappresentano formalmente come
una costante pari a p segnato.
Il ricavo marginale, che è l’incremento del ricavo totale quanto si vende una quantità di
merce prodotta in più è pari a 3.
Quindi se una funzione RT = p segnato x q ! RM = p segnato
Il ricavo marginale di un impresa non varia al variare della quantità prodotta.

Costi marginali
L’approccio marginalista alla teoria dell’impresa non cambia la sostanza dell’analisi ma la
riformula utilizzando il calcolo differenziale.
I costi totali CT non hanno una funzione ma sono stati rappresentati graficamente perché a
dimensioni date i costi totali hanno un andamento non lineare. È una funzione che ha una

59
Lucrezia Serra

tendenza verso il basso e poi verso l’ alto a causa dei rendimenti prima decrescenti e poi
crescenti.

Si può non calcolare derivando la funzione ma semplicemente osservandone l’andamento;


si può mettere a fuoco il costo marginale? Si può capire come variano i costi totali al variare
della quantità prodotta?
Si, è semplicissimo perché al variare della quantità prodotta quando l’ impresa aumenta la
produzione, i costi totali aumentano. Inizialmente gli incrementi dei costi totali sono
decrescenti a causa dei ricavi crescenti, ci sono incrementi minori a causa dei rendimenti
decrescenti.

Il costo marginale è la variazione dei costi totali quando la produzione aumenta di una unità;
quindi la rappresentazione grafica dei costi marginali è da prima decrescente e poi
crescente. La curva del costo marginale dell’impresa ha un andamento a U prima
dimunuisce e poi aumenta.

L’approccio Marginalista Alla Teoria Delle Imprese


È basato sull’utilizzo del calcolo differenziale nella teoria dell’impresa in concorrenza perfetta
ovvero ciò che l’impresa decide di utilizzare per massimizzare la produzione. Serve per
comprendere come l’impresa decide la quantità ottima di produzione in modo da
massimizzare prodotto/profitto.
Si uniscono le due variazioni marginali di costi e ricavi consentendoci di individuare il livello
di produzione ottima.

Quando il ricavo marginale supera il costo marginale producendo una unità in più l’impresa
si vede aumentare il profitto (costi più bassi dei ricavi rispetto a prima). Siamo in una regione
in cui il ricavo totale aumenta di più rispetto ai costi totali. La differenza tra i due aumenta
quindi la quantità q1 non è ottima per l’ impresa

Con una nuova quantità q2 il ricavo marginale non va bene perché è ancora maggiore
rispetto al costo marginale allora l’impresa riterrà conveniente aumentare la produzione fino
a quando non si arriverà al punto di intersezione in corrispondenza del quale arriviamo a
definire la quantità ottima rappresentata con q*

Se il prezzo di mercato aumenta da p1 a p2 la curva del ricavo marginale si sposta verso l’


alto. È tracciata per un prezzo p2 maggiore di p1. La quantità ottima si sposta
nel nuovo punto di intersezione tra i costi marginali e i ricavi marginali. La quantità ottima
passa da q1* a q2*.

Tra il prezzo di mercato e quantità prodotta esiste una relazione diretta. Se prezzo di
mercato aumenta, l’ impresa aumenta la produzione e viceversa. Tutte le imprese nel
mercato, se il prezzo aumenta, sono incentivate ad aumentare la produzione
In una situazione del genere, andiamo a considerare la curva dell’ offerta di mercato
(Sommatoria delle quantità che determina qs ovvero offerta complessiva). Se il prezzo
aumenta le impresa producono di più; per questa ragione la curva di offerta di mercato ha
una inclinazione positiva

60
Lucrezia Serra

L’approccio marginalista alla teoria dell’impresa ovvero la teoria neoclassica dell’impresa


dove il termine neoclassico assume il valore di un approccio marginalista utilizzando le
nozioni di costo marginale e di ricavo marginale.
Sulla base del confronto tra costo e ricavo marginale si vede come si muove un impresa
neoclassica per arrivare ad un livello ottimo di produzione massimizzando il profitto.
La nozione di curva di offerta dell’impresa e la nozione di curva di domanda dell’impresa

CURVA DI OFFERTA DELL’IMPRESA


È la relazione tra il prezzo di mercato che l’impresa prende come un dato e la quantità di
produzione ovvero di output che l’impresa realizza; relazione tra quantità prodotta e prezzo
del mercato.
Sulla base del grafico del ricavo marginale e del costo marginale che consente di individuare
la quantità q*, dove è la curva di offerta dell’impresa?
Se il prezzo è p1 la quantità è q*1 mentre se il prezzo è p2 la quantità è q*2 perché quando
il prezzo aumenta aumentano i ricavi marginali e si ampliano i profitti quindi conviene
all’impresa aumentare la produzione e la nuova quantità è data dall’intersezione tra il prezzo
e il ricavo marginale.
Se si immaginano una famiglia di curve con varie prezzi la curva del costo marginale
corrisponde alla curva dell’offerta dell’impresa perché la curva del costo marginale rispetta il
rapporto tra prezzo di mercato e l’output dell’impresa; tutte le imprese in concorrenza
perfetta hanno il costo marginale, quindi i costi marginali delle singole imprese non
differiscono di molto se non concettualmente. Le curve del costo marginale hanno sempre
un’inclinazione positiva.
Se tutte le curve di offerta individuale, se tutte le relazioni tra prezzo e quantità prodotta
hanno un’inclinazione positiva allora anche la loro somma, ovvero ciò che producono le
varie imprese quindi la quantità Q (cioè l’offerta complessiva), avrà inclinazione positiva
perché se ciascuna curva di offerta individuale ha inclinazione positiva anche l’offerta totale
di mercato ovvero la relazione tra offerta di mercato e la quantità complessiva che arriva sul
mercato avrà inclinazione positiva.
q1 + q2+ q3+ ... + qn = Q
Le curve di offerta individuali coincidono con il tratto crescente del costo marginale e hanno
quindi inclinazione positiva.

CURVA DI DOMANDA DELL’IMPRESA


Perché è importante definire e avere in mente anche la nozione di curva di domanda
dell’impresa? Esiste una differenza tra la curva di domanda della singola impresa e la curva
di domanda del mercato ma a differenza della distinzione relativa all’offerta la differenza è
netta tra le due curve di domande; (non vanno per nessun motivo confuse!).
La curva di domanda è la relazione negativa tra la quantità di domanda e il prezzo di
mercato; dietro a questa relazione inversa c’è il comportamento individuale del singolo
consumatore in base ai prezzi, le curve di domanda dei singoli consumatori saranno
differenti e la sommatoria delle singole curve di domanda sarà negativa quindi la domanda
di mercato anch’essa avrà una inclinazione negativa. La curva di domanda di mercato è la
sommatoria orizzontale delle curve di domanda dei singoli consumatori.

Cosa è la curva di domanda della singola impresa?


Come differisce la curva di domanda dell’impresa nelle varie forme di mercato?

61
Lucrezia Serra

Un impresa in concorrenza perfetta può spostare la curva di domanda?


No, perché la curva di domanda in concorrenza perfetta coincide con il prezzo e dunque con
il ricavo marginale dell’impresa. La curva di domanda della singola impresa in generale, in
qualunque forma di mercato, è la relazione tra la quantità prodotta dall’impresa, tra il volume
del suo output ed il prezzo unitario cui l’impresa può vendere e collocare sul mercato quella
determinata produzione; ovvero quanto produce e a che prezzo può collocarlo sul mercato.
Si prenda la curva del ricavo marginale dell’impresa in concorrenza perfetta, si è detto che la
curva del ricavo marginale è una retta che si traccia in corrispondenza del prezzo di
equilibrio.

Cosa dice la curva del ricavo marginale?


Significa che se l’impresa produce un’unità di prodotto può collocarla sul mercato al prezzo p
segnato ma se produce di più? A che prezzo vende? Sempre allo stesso prezzo unitario ma
se la triplica? Sempre al prezzo p segnato. La curva di domanda della singola impresa, in
concorrenza perfetta, coincide con la curva del ricavo marginale dell’impresa.

La curva di domanda dell’impresa è la relazione tra la quantità di merce che produce e


vende ed il prezzo a cui può metterla sul mercato; questo è il vantaggio della piccola
dimensione perché la dimensione di ciascuna impresa tende a 0 all’infinito (in relazione al
limite di n che tende a +infinito la funzione 1/n è uguale a 0).
In concorrenza perfetta la piccola dimensione consente all’impresa di collocare sul mercato
le sue produzione sempre allo stesso prezzo insomma la curva di domanda è piatta e
coincide con il ricavo marginale, ma ciò vale solo nella forma di mercato della concorrenza
perfetta.
L’impossibilità per l’impresa di influenzare il prezzo di vendita della sua produzione significa
che essa è una price taker, cioè il vincolo al comportamento di impresa che impedisce
all’impresa in concorrenza perfetto di fare il prezzo. Ciò che vincola l’impresa a essere una
price taker ora viene esemplificato perché la sua curva di domanda è perfettamente piatta e
elastica. Se la curva di domanda è orizzontale è perfettamente elastica, quanto più ci si
avvicina al ricavo marginale ovvero ad una posizione orizzontale il desiderio tanto più
l’impresa non avrà la possibilità di influenzare il prezzo di mercato.

Importante:
Nozione di curva di offerta individuale dell’impresa e curva di offerta di mercato. Nozione
generale di curva di domanda dell’impresa e curva di domanda di mercato. (DA NON
CONFONDERE)

CONCORRENZA PERFETTA E MONOPOLIO


Tutto ciò è fondamentale nel confronto tra concorrenza perfetta e monopolio.
In concorrenza perfetta il numero n di imprese tende a infinito, nel monopolio la dimensione
dell’impresa è 1.
Concorrenza perfetta: n → ꚙ Monopolio: n = 1
In concorrenza perfetta la struttura del mercato è frammentata in un numero altissimo di
imprese mentre nel monopolio c’è una sola impresa quindi è anche inutile parlare di
omogeneità delle merci e dei prodotti.
Le forme stilizzate che vengono studiate possono banalizzare troppo il concetto ma
l’astrazione che consente di mettere a fuoco la nozione di concorrenza perfetta è molto
chiara e corretta come anche la nozione di monopolio è efficace.

62
Lucrezia Serra

IL MONOPOLIO
Nel monopolio esiste una sola impresa.
Qual è l’obbiettivo dell’imprese?
Il profitto che viene definito come la differenza tra ricavi totali e costi totali e nell’ambito
neoclassico l’agente monopolista segue la razionalità standard con comportamenti
massimizzanti per massimizzare il profitto.
Grazie all’approccio marginalista si sa che la quantità è Q* (maiuscolo perché la quantità
complessiva che arriva sul mercato deriva dalle quantità prodotte dalle singole imprese). Nel
monopolio ciò che l’impresa decide di produrre è tutto ciò che è presente sul mercato Q ed è
la quantità ottima per il monopolista.

Come il monopolista sceglie la quantità ottima?


Il ricavo totale è dato dal prezzo unitario a cui si vende la quantità prodotta moltiplicato alla
quantità complessiva che viene prodotta.
Mentre in concorrenza perfetta il ricavo totale (RT) è dato da p sengato x q in quanto in
concorrenza perfetta il prezzo è fatto dal mercato mentre nel monopolio no.
Il prezzo di vendita per la produzione è una variabile decisionale perché a differenza
dell’impresa in c.p. che se alza il prezzo perde potere sul mercato, il monopolista no ma
vede solo ridurre le proprie vendite e non annullarsi.
Il monopolista fa i conti con la curva di domanda di domanda di mercato, con quella
relazione inversa tra prezzo e quantità domanda dai consumatori.
La domanda di mercato coincide con la domanda dell’impresa monopolista.

Cosa significa?
Significa che la curva di domanda del monopolista ha un’inclinazione negativa quindi se si
alza il prezzo di vendita della produzione la quantità domandata e venduta si riduce. Se il
prezzo è p1 vende la quantità QD1, se alza il prezzo a p2 la domanda si riduce a QD2.
Però se l’impresa in concorrenza perfetta aumenta il prezzo perde tutto infatti in c.p. le
imprese sono price taker non price maker.

Il monopolista ha un vantaggio dalla sua bigness perché la sua curva di domanda, che è
sempre la relazione tra p e Q, è negativamente inclinata a differenza della curva nelle
imprese in c.p. dove è orizzontale; quindi il monopolista fa un calcolo tra le sue variabili
decisionali ovvero tra prezzo unitario e la quantità domandata e venduta (prezzo e quantità
sono due variabili decisionali per il monopolista).

Il monopolista razionale che tende a massimizzare il profitto per quanto riguarda i ricavi totali
terrà conto del fatto che essi aumentano se aumenta il prezzo ma fino ad un certo punto
perché deve tenere conto che le due variabili decisionali sono in relazione inversa; quindi
quanto più alza il prezzo tanto più la domanda si abbassa. Il monopolista è un price maker
perché può stabilire il prezzo sul mercato quindi ha due variabili decisionali il prezzo e la
quantità prodotta.

Quanto deciderà di produrre?


Qual è la quantità Q* che decide di produrre?
Il prezzo di monopolio sarà uguale, minore o maggiore rispetto a un prezzo in un mercato in
c.p.?
Come si determina l’equilibrio in un monopolio?

63
Lucrezia Serra

Si necessita di una teoria del monopolio.


Si calcola il ricavo marginale e il costo marginale del monopolista.
Il costo marginale si vede con un grafico mentre il ricavo marginale è dato da un operazione
algebrica.

RT = p x Q (questo è il ricavo totale del monopolista; il monopolista deve tenere conto che è
vincolato dalla curva di domanda di mercato e quindi va introdotta la funzione di domanda.
Il prezzo del monopolista è in relazione inversa con la sua quantità prodotta.)

Quale è la differenza?
La sostanza economica è data dalla domanda di mercato e ricavo marginale questa è la
differenza tra monopolio e c.p.
Mentre in concorrenza perfetta la curva di domanda di merca è uguale al RM, nel monopolio
no perché non coincidono tra loro in quanto data la curva di domanda di mercato D che ha
come intercetta alfa che è anche la curva di domanda del monopolista, allora la curva di
ricavo marginale del monopolista ha la stessa intercetta alfa ma ha un inclinazione negativa.

Si immagini un mercato con una struttura concorrenziale e quindi la curva di domanda di


mercato e la curva di offerta, che è la sommatoria delle curve di offerta individuale e che
coincide con i costi marginali delle singole imprese per n che tende a infinito, quindi la
struttura dell’offerta è perfettamente concorrenziale.

Il prezzo di concorrenza perfetta pc che emerge nel mercato solo se è una struttura
perfettamente concorrenziale e si chiamerà Qc la quantità di domanda prodotta al prezzo pc.

Si sa anche che la curva di offerta di mercato è la sommatoria di curve di offerta individuali


che coincidono con i costi marginali delle singole imprese.
Si supponga che tale mercato venga monopolizzato ad una sola impresa quindi le decisione
di prezzo e di quantità sono nelle mani di un unico monopolista ed è una situazione in cui c’è
n = 1, unico decisore; si supponga, inoltre, che non cambi nulla dal punto di vista della
tecnologia e delle organizzazione quindi i costi restano invariati allora il monopolista ha una
curva dei costi marginali che deve essere uguale alla sommatoria delle curve dei costi
marginali delle singoli imprese; non cambia nulla quindi la curva del costo marginale del
monopolista coincide con la curva di offerta del mercato.

La curva del ricavo marginale del monopolista giace al di sotto della curva di domanda del
mercato.
L’intersezione tra RM e CM è la quantità Q*m ovvero la quantità ottima che il monopolista
decide di produrre. Se il monopolista decide di produrre meno q1 il suo RM1 > CM1 quindi
all’aumentare delle unità aumentano i ricavi più di quanto non aumentino i costi quindi non
massimizza i profitti. Decide di produrre Q*m e quindi sul mercato arriva Q*m al prezzo che
viene indicato dalla curva di domanda di mercato e quindi il monopolista produrrà la quantità
Q*m al prezzo pm ovvero al prezzo di monopolio.

Tra i due mercati non cambia nulla dal punto di vista della produzione; in c.p.
l’equilibrio che si viene a determinare è caratterizzato da un prezzo pc e una quantità Qc
mentre nel monopolio è caratterizzato da un prezzo pm e da una quantità Qm se il mercato

64
Lucrezia Serra

viene monopolizzato risulta che il prezzo di monopolio sia maggiore e la quantità prodotta
minore rispetto alla quantità prodotta e sul mercato per le n decisioni delle singole imprese.

Il monopolista, agente razionale, trova conveniente operare questa restrizione della


produzione ovvero riduce la quantità prodotta rispetto a c.p. Qm <Qc e vende a un prezzo
maggiore di quello che si crea in c.p. quindi ha il potere di mercato può cioè alzare il prezzo
rispetto a quello che sarebbe in una c.p.

Quale valutazione in termini di benessere sociale, ciò che si usa per intendere l’interesse
generale della società, bisogna dare della presenza di un monopolio? La danneggia o no?

Nel monopolio il ricavo marginale è sempre inferiore al prezzo del prodotto.


La curva del ricavo giace sotto la curva di domanda del monopolista che coincide con la
curva di domanda di mercato.
La curva del ricavo del monopolista ha una inclinazione doppia (2 beta)

Come spiegarlo dal punto di vista numerico?


Concorrenza perfetta Monopolio
Concorrenza perfetta: data una determinata quantità prodotta, un prezzo stabilito dal
mercato e non dall’ impresa, il ricavo è p x q, ricavo marginale è uguale al prezzo di mercato
e non varia al variare della quantità prodotta.

Monopolio: produce una quantità Q, il prezzo di mercato è influenzato dal monopolista (la
sua influenza sul prezzo dipende dalla curva della domanda). Mano a mano che si va avanti
si generano prezzi minori. All’ aumentare della quantità prodotta il monopolista non può
vendere allo stesso prezzo la merce; deve collocare le merci nel mercato a prezzi via via
minori in relazione alla curva di domanda. Si calcola il ricavo totale e il ricavo marginale . Il
ricavo marginale ad un certo punto potrà tagliare l’asse orizzontale del grafico. In questo
caso il ricavo marginale diventerà negativo: ciò succede perché si va oltre a un certo livello
di unità prodotte. Questo succede perché per vendere tutte merci il monopolista deve ridurre
via via i prezzi. Il ricavo totale diminuisce e quindi il ricavo marginale diventa negativo.

Nel monopolio la curva di domanda mercato è la curva di domanda del monopolista. La


curva di offerta invece esprime la sommatoria dei costi marginali delle singole imprese
In concorrenza perfetta l’equilibrio si ottiene con qc e pc.
Nel monopolio, non cambiando nulla dalla parte della tecnologia produttiva, la curva del
costo marginale del monopolista rimane la stessa. Il monopolista sa che potrà massimizzare
il profitto scegliendo quel livello di produzione per cui il ricavo marginale e il costo marginale
sono uguali. E’ necessario trovare il punto di intersezione tra la curva dei ricavi marginali e
dei costi marginali. L’ equilibrio si sposterà verso sinistra, si otterrà in questo modo una
restrizione dalla parte della produzione producendo Qm. Si trova il prezzo che assolve
quella quantità pm che sarà maggiore di pc.

Si pone una questione concernente le conseguenze della monopolizzazione per la società


nel suo complesso.
Il monopolista sfrutta i consumatori infatti gli fa pagare un prezzo più alto. Dal punto di vista
del consumatore è negativo che un mercato venga monopolizzato in quanto le merci
verranno vendute a dei prezzi maggiori.

65
Lucrezia Serra

Il monopolista stesso invece è favorito da una situazione di monopolio in quanto realizzerà


un profitto più elevato.

In una situazione di concorrenza perfetta il ricavo marginale è uguale a p segnato. È


fondamentale trovare il punto di intersezione tra la curva del ricavo marginale e la curva del
costo marginale.
L’impresa vende la produzione ad un prezzo che è uguale al costo marginale e realizza un
profitto che possiamo definire normale ovvero un profitto che non è aumentato da un potere
di mercato: ciò avviene perché c’è una assenza del potere di mercato (le imprese non
possono influenzare il prezzo di mercato).
Il monopolista invece vende la produzione ad un prezzo pm che è maggiore rispetto al costo
marginale; vende a un prezzo superiore al costo marginale e per questa ragione possiamo
dire che lo stesso ha potere di mercato. Potendo alzare il prezzo, il monopolista avrà un
profitto normale al quale aggiunge un extra profitto derivante dal potere di mercato.

Dal punto di vista della società nel suo complesso la teoria economica è in grado di arrivare
a una dimostrazione rigorosa quando esiste un conflitto tra consumatore e monopolista?
Abbiamo bisogno di fare un’analisi delle implicazioni di welfare, un’analisi delle conseguenze
di monopolio sul benessere sociale ovvero SOCIAL WEALTH (si usa per indicare interesse
sociale e bene comune)

Bisogna definire:
1. la nozione di surplus del consumatore
2. reinterpretare la curva di domanda di mercato e la curva di offerta di mercato
3. tenere presente che l’equilibrio di concorrenza perfetta è caratterizzato da proprietà di
efficienza collocativa di un mercato in concorrenza perfetta
4. dimostrare che il monopolio per la società rappresenta una perdita secca

3. La concorrenza perfetta implica una allocazione efficiente delle risorse

Un mercato di c.p. non ha solo il vantaggio di avere in sé una tendenza naturale di

mercato a raggiungere un equilibrio (dovuto qc e pc) ma un mercato perfettamente


concorrenziale garantisce anche una allocazione efficiente del risorse.
Analizzando la curva di offerta dobbiamo dire che è la sommatoria dei costi marginali del
singole imprese da il costo marginale complessivo e mostra il costo marginale della società.

Bisogna poi reinterpretare la curva di domanda di mercato come la curva che racconta
qualcosa in più rispetto alla semplice relazione inversa che sussiste tra il prezzo e la
quantità complessivamente domandata.
Si può guardare a questa curva come la curva che esprime beneficio marginale dei
consumatori: se a prezzo p1 viene domandata una quantità qd1 significa che i consumatori
sono disposti a pagare prezzo p1 per quella determinata quantità. Il prezzo p1 misura una
disponibilità a pagare (WTP), è la disponibilità dei consumatori di pagare p1 per quantità
qd1. La curva di domanda misura il beneficio marginale: se per qd1 sono disposti a pagare
p1 aumenterà il beneficio.

66
Lucrezia Serra

La curva di domanda di mercato non indica semplicemente la relazione inversa tra prezzo e
quantità domandata ma in un’altra ottica è la curva che esprime il beneficio marginale dei
consumatori.

DISPONIBILITA’ A PAGARE= WILLINGNESS TO PAY (WTP)


La curva dell’offerta esprime il costo marginale, la curva di domanda esprime il beneficio
marginale della società. Il mercato è in una situazione di equilibrio per qc e pc e in
corrispondenza di qc, il beneficio marginale sarà uguale al costo marginale.
Se la quantità q1 è minore di qc il costo marginale sarà minore del beneficio marginale. Se il
beneficio marginale e uguale ai vuol dire che se noi allochiamo più risorse produttive della
società (capitale e lavoro) per produrre una unità in più. Fino a q1 minore di qc è meglio
aumentare la produzione perché abbiamo dei benefici maggiori rispetto ai costi. È
conveniente allocare più risorse per tornare a una situazione di equilibrio.
Se la quantità Q2 è maggiore di qc vuol dire che stiamo allocando troppe risorse produttive.
Se riduciamo produzione la situazione migliora e si torna a una condizione di equilibrio.

Ad un equilibrio di concorrenza perfetta è associata una allocazione efficiente delle risorse


produttive. Oltre a una tendenza spontanea all’ equilibrio, l’equilibrio concorrenziale
garantisce una allocazione equilibrata della merce. Non allochiamo molto ne troppo poco
L’efficienza allocativa: è necessario allocare in modo efficiente le risorse produttive. Avere
una allocazione efficiente delle risorse è importante.
Un mercato perfettamente concorrenziale garantisce una allocazione efficace delle risorse.
Per ottenere questo risultato è necessario guardare da un altro punto di vista la curva di
domanda e di offerta.
Il monopolio indica che quantità qm è minore di qc. L’interesse del monopolista colloca
l’equilibrio di mercato nella regione in cui, come abbiamo detto prima, non si ha più una
efficienza produttiva in quanto qc è maggiore di qm. Queste azioni del monopolista ci
portano nella regione del grafico in cui sarebbe nell’interesse della società aumentare la
allocazione delle risorse produttive e quindi aumentare produzione. Il monopolio è
potenzialmente fonte di problemi.

Nozioni:
-surplus del consumatore
-surplus del produttore (libro) non necessario
-mettendo insieme le due si arriva al cosiddetto surplus totale (libro) non necessario
Sono tutte nozioni dell’ economia del benessere. È necessario capire come la forma di
mercato del monopolio comporta dei problemi in termini di benessere sociale. Questa
causa un danno alla società nel suo complesso che va oltre ai vantaggi che una situazione
di monopolio garantisce al monopolista. I vantaggi del monopolista sono il profitto extra oltre
a quello normale. Il monopolio dà la possibilità di vendere merce oltre i suoi costi e questo
garantisce un aumento del profitto.

SURPLUS DEL CONSUMATORE


Un’analisi della curva di domanda di mercato mostra la relazione inversa tra prezzo di
mercato e quantità prodotta. Mostra anche il cosiddetto willingness to pay. Comprendendo e
analizzando la curva di domanda come la disponibilità di pagare dei consumatori, si arriva a

67
Lucrezia Serra

definire il concetto di efficienza allocativa (per avere la quantità di mele q1 sono disposti a
pagare p1).
Per avere la quantità q3 minore di q1 le imprese non sarebbero disposte a pagare un prezzo
maggiore di p1?
Per tutte le quantità inferiori a q1 i consumatori sono disposti a pagare di più: ciò vuol dire
che la superficie del triangolo compreso tra uno dei prezzi e la curva di domanda indica il
surplus del consumatore.

Quindi la superficie che sta al disotto della curva di domanda e al di sopra di un determinato
prezzo misura il surplus del consumatore
Il surplus del consumatore è la superficie del triangolo che sta al di sotto della curva di
domanda e al di sopra di un certo prezzo.
Se un mercato è in concorrenza perfetta: per semplificare l’analisi e parlare solo di surplus
del consumatore, si immagini che la curva di offerta di mercato sia S (è positiva ma può
avere diverse inclinazione, è la sommatoria delle curve di offerta individuale delle industrie
che corrispondono al costo marginale. Si arriva quindi a dedurre che la curva S è anche la
curva del costo marginale complessivo).

Se mercato viene monopolizzato la curva S è anche la curva del costo marginale del
monopolista. Si suppone che la curva del costo marginale del monopolista non varia al
variare della quantità. La curva di offerta o dei costi marginale è orizzontale.
Se mercato perfettamente concorrenziale l’ equilibrio è costituito da qc e pc.

Se mercato viene monopolizzato: si prende in analisi anche la curva del ricavo marginale
(che può diventare anche negativa). Il monopolista stabilirà la quantità ottima qm; per qm il
prezzo che si forma sul mercato sarà pm, sia il prezzo che la quantità sono variabili
decisionali. Con passaggio da concorrenza perfetta a monopolio l’ equilibrio si sposta da A a
B.

Con il passaggio dalla concorrenza perfetta al monopolio cosa succede al SURPLUS DEL
CONSUMATORE?
Se il mercato è di concorrenza perfetta il surplus del consumatore sarà dato
dalla superficie A K pC. Questo triangolo indica il surplus che i consumatori ottengono
quando il mercato è in concorrenza perfetta

Se il mercato viene monopolizzato il surplus si riduce. Prendiamo in analisi


il triangolo B K Pm. La monopolizzazione del mercato porta un a riduzione del surplus del
consumatore. Questo indicatore del benessere passa da A K Pc a B K Pm. La superficie del
triangolo si riduce.

Se il surplus passa dal triangolo grande a quello piccolo di quanto si riduce la condizione di
benessere?
La condizione di benessere è data dalla superficie. Vado a guardare la riduzione della
superficie.
Si individua H. La base del triangolo è la quantità qm che il monopolista decide di produrre.
Questa quantità moltiplicata per pm-pc misura l’extra profitto generato dal monopolista.
Una parte della superficie del trapezio misura l’extra profitto del monopolista.

68
Lucrezia Serra

In seguito alla monopolizzazione del mercato, la riduzione del benessere dei consumatori
(misurata dal fatto che passiamo dal triangolo grande a quello piccolo) in parte si deve al
fatto che c’è l’ extra profitto del monopolista (area del rettangolo) ma solo in parte.

La superficie di questo triangolo A B H rappresenta la perdita secca per la società nel suo
complesso. Quella riduzione del surplus dei consumatori non si traduce in un maggior
profitto per il monopolista. Il danno della società causato ai consumatori è superiore al
vantaggio del monopolista. Al netto del vantaggio del monopolista, la perdita di benessere
della società è alta.

Il monopolio danneggia la società e c’è una perdita per la società che va oltre i vantaggi del
monopolista. Attraverso questa analisi si riesce a dimostra che
il monopolio comporta un “fallimento del mercato.

D = curva del beneficio marginale pm B


EA= efficacia allocativa
Costo medio di produzione = costo totale / quantità

Quella riduzione di efficienza allocativa (che si genera in relazione a qc, a qc è associata


una locazione efficiente delle risorse) che caratterizzava la concorrenza perfetta, con il
monopolio scompare.
Con qm e pm si producono quantità inferiori per un prezzo più alto.
Per il beneficio della società, essendo qm minore di qc (alla quale corrisponde una
allocazione efficiente), si dovrebbe aumentare produzione ma questo non è l’interesse del
monopolista. Dal punto di vista del benessere sociale, non abbiamo più una allocazione
efficace delle risorse. Se il mercato è lasciato a se stesso e il monopolista si comporta da
agente auto-interessato e razionale, produrrà qm e si genererà una riduzione dell’ efficienza
allocativa. Questo rappresenta una perdita secca per la società indicata dal triangolo che
indica la riduzione del surplus che non si traduce in vantaggio per il monopolista.

Si parla di fallimento di mercato se il mercato viene lasciato a se stesso e si genera una


riduzione della efficienza allocativa e, di conseguenza, un danno per la società

Come si può risolvere questo problema?


Il fallimento del mercato in relazione al monopolio è un fallimento microeconomico il governo
per correggere i fallimenti microeconomici dovuti alla presenza di un potere di mercato (una
o più imprese sono Price maker, possono aumentare prezzo di mercato) deve attuare
diverse politiche:

MONOPOLIO
Se c’è monopolio (n=1 e equilibrio è dato da pm), una autorità centrale può vincolare una
impresa a decidere un prezzo minore di pm che sia vicino a prezzo di concorrenza perfetta.

Esiste una agenzia centrale che si preoccupa di fare in modo che le politiche di prezzo e
quantità prodotta non causino una distorsione dell’efficienza allocativa; si occupa di garantire
che ci sia una allocazione giusta. Esse sono agenzie centrali e si
chiamano autorità antitrust.
Sono delle agenzie pubbliche che centralizzano alcune funzioni di controllo/regolazione,

69
Lucrezia Serra

hanno l’obbiettivo di tenere sotto controllo e di ridurre i fallimenti di mercato dovuti all’
esistenza di uno o più poteri di mercato. In Italia esiste l’AGCM (autorità garante della
concorrenza di mercato) che si occupa di economia della concorrenza, COMPETITION
ECONOMICS.

La concorrenza perfetta serve per avere un punto di riferimento (benchmark).


Ci serve per mettere a punto che in un mercato perfettamente concorrenziale esiste una
situazione di efficienza allocativa. Se invece le imprese hanno potere di mercato si riduce
l’efficienza allocativa, il benessere sociale e nasce un fallimento.

L’agenzia ANTITRUST più famosa degli anni 1890 in USA fu creata da Sherman e venne
incorporata in Department of justice, poi hanno creato FTC.
In Italia l’autorità garante della concorrenza di mercato è stata costruita nel 1990.

Quanto più una economia è di grandi dimensioni più questa importa e esporta meno. Se una
economia è piccola e aperta a commercio internazionale, le pressioni competitive vincolano
le imprese. Più il paese e il sistema economico sarà piccolo più questo sarà disciplinato da
competitività. Tanto più una economia è grande più l’economia sarà chiusa.

Temi esame
EA; SURPLUS CONSUMATORI; PERDITA SECCA; IMPLICAZIONI DI POLICY (autorità
antitrust; i compiti della autorità antitrust non sono per nulla semplici)

OLIGOPOLIO
La forma di mercato dell’ oligopolio è diversa sia dalla concorrenza perfetta che dal
monopolio. L'analisi che verrà fatta sarà molto importante perché l’oligopolio è la forma di
mercato dei mercati che più si avvicina ai mercati del mondo reale.
Oligopolio significa che il numero delle imprese è basso, esistono poche e grandi imprese;
esistono anche degli oligopoli a livello globale (industrie automobilistiche), insomma poche e
grandi imprese a livello globale.
Pochi mercati a livello globale sono assimilabili alla concorrenza perfetta e anche pochi
settori produttivi sono caratterizzarti dal monopolio in quanto la maggior parte delle industrie
sono degli oligopoli, vedono la presenza di poche grandi imprese.

Se abbiamo a che fare con struttura di mercato oligopolistica:

1.Perché abbiamo delle strutture in cui N è un numero basso, poche imprese? Perché non si
genera una elevata frammentazione(non come nel caso del monopolio però) caratterizzata
da un elevato numero di imprese? Perché non abbiamo una unica impresa?

2. Come si determina l’equilibrio?


Cosa succede in termini di prezzo e quantità prodotta?
Sono possibili equilibri diversi? (in c.p qc e pc, in monopolio Qm e Pm) nell’ oligopolio
esistono equilibri multipli (più equilibri) e instabili (si passa da uno all’ altro).

70
Lucrezia Serra

1.Che cosa influenza la struttura del mercato?


Importanti sono le determinanti della struttura di mercato ovvero i fattori che determinano la
presenza di uno o più produttori. Si parla di un’economia
industriale dove industriale non sta per produzione di beni ma significa “in settore
produttivo”. Essa si preoccupa di studiare le caratteristiche dei vari settori produttivi, studia le
determinanti dei mercati.

ECONOMIA DI SCALA
Nozione di economie di scala
Le economie di scala esistono quando in relazione alla scala produttiva (che vuol dire
dimensione dell’impresa, capacità produttiva dell’ impresa in termini di dimensione dell’
impresa) si ha una riduzione del costo medio di produzione . Il costo medio di produzione è il
costo totale al numeratore rapportato alla quantità prodotta, è il costo per unità di prodotto.

Quantità Prodotta: output non da interpretare come quantità prodotta nel breve periodo. Si
guarda la quantità prodotta come capacità dell’ impresa, guardiamo al dato che ci da la
dimensione della dimensione di impresa. Non ci stiamo collocando in breve periodo per cui
la dimensione delle impresa è data; qui la dimensione dell’ impresa la consideriamo come
variabile e quindi parliamo come lungo periodo. Si considera la scala dimensionale dove sia
il lavoro che il capitale sono variabili.

Si va a fare un’analisi nel lungo periodo, in cui scala di impresa può mutare, la relazione che
esiste tra costo medio e la dimensione dell’ impresa.
Se esiste una relazione inversa diciamo che esistono delle economia di scala per cui il costo
medio unitario si riduce in relazione alla quantità prodotta.

Esistono delle economie di scala.


Nella competizione di mercato è un enorme incentivo per le imprese a raggiungere quella
che tecnicamente è la dimensione minima efficiente.
Con economia di scala, i costi, all’aumentare della scala dimensionale, si riducono fino a
fermarsi in un certo punto. In quel punto si vede la dimensione minima efficiente che è la
dimensione minima che l’impresa deve avere per produrre a un costo medio/minimo. La
competizione di mercato crea una pressione competitiva per cui i produttori che vogliono
sopravvivere devono raggiungere una dimensione minima efficiente.
Se c’è Qa le imprese tenderanno ad arrivare alla condizione minima efficiente

Stiamo mettendo a fuoco dei processi di fusioni e acquisizioni che inducono il numero delle
imprese a ridursi e di conseguenza si genererà una struttura concentrata.

Se esiste una relazione inversa tra il costo medio di produzione e la scala dimensionale dell’
impresa, allora diciamo che esistono delle economie di scala.
Se la relazione è inversa vuol dire che esistono economie di scala e nella competizione di
mercato questo è un enorme incentivo per le imprese a raggiungere la dimensione minima
efficiente. Se esistono delle economie di scala all’ aumentare della scala dimensionale i costi
si riducono.

71
Lucrezia Serra

Ad un certo punto i costi non continueranno a ridursi altrimenti diventerebbero negativi.


Individuiamo una di mensione minima efficiente che una impresa deve avere per produrre
ad un costo medio minimo, basso.
Nella competizione di mercato essa spinge le imprese e crea una pressione competitiva per
cui i produttori che vogliono sopravvivere devono raggiungere.

Stiamo mettendo a fuoco due processi di funzioni e acquisizioni attraverso i quali in certi
settori il numero delle imprese si riduce e si forma una strutture oligopolistica. Esistono
quindi economie di scala, quando la scala dimensionale è via via maggiore. Il q sull’ asse
orizzontale considera il variare di un orizzonte temporale di tutti i fattori d’impresa.

Se i costi di produzione hanno un andamento ad L allora vuol dire che ci sarà un’economia
di scala.
I costi fissi devono essere presi in considerazione, contribuendo ad L, la curva dei costi medi
di lungo periodo.

Immaginiamo di mettere costi fissi a numeratore e la quantità prodotta in termini di scala


dimensionale, il limite è uguale a 0 quale che sia l’entità del numeratore. Se il numeratore
diventa sempre più piccolo, e l’incidenza del costo fisso per unità di prodotto è molto più
contenuto per le imprese con scala dimensionale alta. Se i costi fissi per l’ attività e la
funzione di sviluppo dell’ impresa sono rilevanti e siamo in competizioni con altre imprese,
all’ aumentare della scale dimensionale i costi diminuiscono, contribuendo alla formazione di
un andamento ad L.

La competizione fa emergere in tanti mercati delle rilevanti economie di scala. Se esse


esistono, la curva dei costi medi ha un tratto discendente e possiamo identificare una
dimensione minima efficiente, minimum efficicienty size (DME o MSE). Un’impresa all di
sotto di questa dimensione produce con costi di produzione superiore rispetto alle altre, ed è
uno svantaggio produttivo livello dei costi GRAFICO. Questo è un contesto dove sono all’
opera dei meccanismi di mercato che incentivano le imprese a raggiungere almeno la
dimensione minima efficiente.
Usiamo il termine efficienza produttiva di una singola impresa, non in senso di efficienza
allocati, ma come capacità di produrre a costi di produzione bassi o minimi. (NOZIONI DI
EFFICIENZA temi di esame)

EFFICIENZA DINAMICA
È la capacità di un’ impresa. Di un settore produttivo o di sistema economico di competere in
termini di innovazione di prodotto, di introdurre sul mercato un nuovo prodotto.
Se in un determinato settore produttivo la dimensione minima efficiente è elevata
relativamente in relazione alla dimensione del settore, ragioniamo anche in termini di volumi
fisici di produzione, size viene rapportato alla DME determina il numero di imprese per le
quali c’è spazio in quel settore economico.
Immaginiamo nivee la dimensione pari a 1000, vuol dire che c’è spazio per 10 imprese che
raggiungano la dimensione minima.

72
Lucrezia Serra

Cosa succede all’ equilibrio?


Sono possibili equilibri diversi in oligopolio. Dimostreremo che esistono equilibri multipli e
instabili.

INTERDIPENDENZA O RIVALITA’ OLIGOPOLISTICA


In questa situazione la competizione è tra poche imprese, si determina una situazione di
interdipendenza oligopolistica.
Interdipendenza significa che le scelte e le decisioni di ciascuna impresa hanno un’ influenza
sul mercato e esercitano un impatto sulle decisioni dei concorrenti delle imprese rivali.
Questo non succede in concorrenza perfetta , poiché il numero delle imprese è elevato e la
dimensione delle imprese è talmente piccola che esse non hanno alcuna influenza sul
mercato e le decisioni di produzioni non esercitano influenza sul prezzo di meracto stesso.

Nell’ oligopolio se le imprese sono poche, sono in grado di esercitare influenza sul mercato e
questa capacitò si traduce in una interdipendenza, per cui la performance di profitto dell’
impresa A non è funzione solo delle decisioni del suo prezzo, ma dipende anche dalle
decisioni delle altre imprese. Il profitto e la personale dell’ impresa B dipende anche dalle
decisioni delle altre imprese e così via.
Il risultato del profitto dell’ impresa dipende anche dalle dimensioni delle altre e questo
fenomeno è l’ interdipendenza oligopolistica. Da monopolio a oligopolio definiscono forme di
mercato imperfetto.

Come si determinano gli equilibri nella forma di mercato degli oligopoli?


L’oligopolio è la forma di mercato più diffusa nei settori del mondo reale; si vede all’opera
una reale competizione tra le imprese.
Nell’oligopolio ci sono poche e grandi imprese e si farà riferimento ad una caso semplice e
facile da trattare quello in cui le imprese sono solo due cd. duopolio.

Come decideranno il prezzo di vendita dei prodotti?


Quanto decideranno di produrre?
Avranno potere di mercato? Quanto?
Queste due imprese dovranno fare i conti con la curva di domanda di mercato (relazione
inversa tra prezzo e domanda complessiva ovvero quanto il mercato assorbe di quella
determinata merce); si supponga che non sia un oligopolio differenziato ma che sia un
oligopolio in cui bisogna decidere cosa produrre e quindi il consumatore non percepisce
differisce tra i prodotti della imprese A e B (questa è una situazione molto forte perché nella
realtà le imprese hanno molte strategie di differenziazione del prodotto) e abbiano la stessa
dimensione in termini di scala dimensionale ovvero che il mercato sia diviso metà per un
impresa e metà per l’altra.

Hanno o no potere di mercato le imprese?


Fisseranno il prezzo a livello alto e decideranno di produrre poco?
Se queste imprese decidono di produrre piccole quantità allora entrambe riusciranno a
collocarlo ad un prezzo alto; si può immaginare che il prezzo ph si avvicina a quello che
fisserebbe il monopolista e quindi questi due oligopolisti si avvicinano alla politica di prezzo
del monopolista.

73
Lucrezia Serra

La relazione tra prezzo e quantità consente di capire quanto assorbe il mercato e a che
prezzo viene offerta e quindi anche le imprese oligopoliste faranno i conti con la curva di
domanda.
Se decidono di produrre poco potranno porle sul mercato ad un prezzo più alto ph e avranno
un grande potere di mercato con un alto profitto da potere di mercato.
Se decidono di produrre di più sul mercato arriva una quantità maggiore che verrà assorbita
sul mercato solo se il prezzo è pl (che sarà vicino al prezzo di concorrenza perfetta pc, in
quanto se è basso è abbastanza vicino ai costi e realizzeranno solo o poco più del prezzo
effettivo come in cp) ovvero basso. Se le imprese fissano un prezzo basso il mercato
mostrerà una maggior domanda.

Sono possibili due equilibri: uno con prezzo alto e quantità contenuta e uno con prezzo
basso e quantità maggiore. Nell’oligopolio sono presenti più equilibri.

Quale sarà l’equilibrio prevalente?


Sceglieranno un prezzo elevato o basso?
Sarà un equilibrio simile alla cp con efficienza allocativa o più simile a un mercato
monopolista?
Nell’oligopolio c’è l’interdipendenza oligopolistica perché i risultati dipendono dalle decisioni
di entrambe le imprese; se c’è un’interazione strategica o interdipendenza oligopolistica
(esiste perché il numero di imprese n è piccolo) tra pochi agenti economici allora la
determinazione dell’equilibrio è più complessa degli altri sistemi economici e si usa lo
strumento formale della teoria dei giochi (è una branca complessa della matematica).

La teoria dei giochi


Il dilemma del prigioniero
Il dilemma del prigioniero è propedeutico per esaminare la politica dei prezzi e mettere a
fuoco come si determina l’equilibrio nella forma di mercato dell’oligopolio.
Si intende l’analisi rigorosa di cosa succede nella interazione tra due persone sospettate di
aver commesso un delitto o crimine. Hanno commesso un reato e dovrebbero essere
giudicati; ma il problema è che non ci sono prove e possono essere condannati se e solo se
uno dei due confessa.

Queste due persone sono e rispondono alla definizione di agenti auto-interessati e razionali
cioè hanno un obiettivo e cercano di massimizzare.
Sono A e B e vengano messe a fuoco le loro possibili scelte o strategie:
- entrambi possono confessare di aver commesso il fatto o non confessare

Siccome le strategie sono due a teste emergono quattro possibilità ed emerge la matrice dei
pay-off ovvero dei risultati possibili di questa interazione.
I pay-off sono numeri che si mettono in quattro caselle e possono variare e si può decidere
ciò che accade ad A e B a seconda delle decisioni dell’uno e dell’altro. Si può decidere ma la
matrice del pay-off deve essere coerente con il quadro che si ha definito.

-- Se entrambi confessano ci sono le prove per condannarli e vengono condannati a tre anni
e per indicare che è una disutilità si appone un meno davanti e il risultato che si ottiene nel
caso di una doppia confessione è -3, -3. Bisogna capire logica e coerenza dei numeri a
seconda delle circostanze.

74
Lucrezia Serra

-- Se entrambi decidono di non confessare non ci sono le prove per condannarli e si


suppone che vengano assolti; un’assoluzione per insufficienza di prove comporta comunque
una disutilità e non sarà grave come una pena però viene percepita con -1, -1. La matrice
del pay-off deve essere coerente con i diversi risultati possibili.

-- Se si prende in considerazione la casella in alto rappresenta i pay-off che si determinano


quando A confessa e B non confessa.
Cosa succede?
Quali numeri si possono mettere?

Se A confessa vuol dire che fa il pentito ma B no. Da sempre c’è una legislazione premiale e
quindi se A confessa e fa il pentito può anche essere che si trovi meglio rispetto ad una
assoluzione per mancanza di prove quindi è 0 per A. Mentre per quanto riguarda il pay-off di
B il quale non solo ha commesso il fatto ma non ha neanche un premio e quindi gli si
appone 2.

-- I pay-off dell’ultima casella sono invertiti; se è A che non confessa e B si il pay-off di A è


pesante perché non si confessa 2 mentre B è soddisfatto e pentito 0.

Ma qual è l’equilibrio del gioco?


Le questioni sono le assunzioni di comportamento e si è assunto che i nostri siano agenti
neoclassici standard auto-interessati e razionali e questo è un gioco non cooperativo; quindi
i nostri due non possono vincolarsi a tenere un certo comportamento perché le autorità
inquirenti glielo impediscono (basta capire che vengono interrogati in luoghi separati) e non
possono vincolarsi a tenere un certo comportamento allora ciascuno è solo con se stesso e
non può fare affidamento sull’altro quindi è auto-interessato e tende a massimizzare e
l’autorità impedisce la cooperazione e si ritrovano difronte la matrice del pay-off.

Non possono vincolarsi a tenere un certo comportamento e quindi quale equilibrio si


determina? Cosa decide A e cosa B?
Tutto dipende dall’interazione quello che succede ad A dipende da quello che decide B e
questa è l’interazione strategica. La teoria dei giochi insegna che la matassa si dipana
dicendo che A e B sono agenti razionali e si guardi il gioco dal punto di vista di A (e
nonostante l’accordo prima di commettere il reato) ed essendo un agente auto- interessato
A sceglie una linea di comportamento secondo una certa logica: se B confessa ad A cosa
conviene fare? Ad A conviene confessare.

Nozione di strategia dominante: una decisione o strategia è dominante quando risulta la più
conveniente quale che sia la scelta dell’altro.
Allora si dimostra che confessare è una strategia dominante per A e confessare è una
strategia dominante anche per B.

Si mette a fuoco la definizione di equilibrio con strategia dominante e il gioco del prigioniero
gli agenti hanno come strategia dominante quella di confessare e se entrambi confessano
allora si trovano in una situazione peggiore perché vengono condannati a tre anni entrambi

75
Lucrezia Serra

quindi (-3) + (-3) dà -6; quindi c’è insoddisfazione. Se non avessero confessato avrebbero
avuto un risultato migliore in quanto (-1) + (-1).
Ma confessare è comunque la strategia dominante e le implicazioni dicono che agenti auto-
interessati e razionali in una situazione di interazione strategica non ottengono una
massimizzazione dell’ottimo sociale dal loro punto di vista. Quindi quando i numeri sono
piccoli le assunzioni standard della teoria neoclassica non sono massimizzanti e avrebbero
dovuto attenersi ad una linea di cooperazione allora il risultato per entrambi sarebbe stato
non confessare.

Il dilemma del prigioniero mostra che quando si ragiona in assunzioni standard l’equilibrio è
un equilibrio con strategia dominante.

Se si mette a fuoco una matrice tra due agenti oligopolistici A e B. Entrambi possono
vendere ad un prezzo low (pl)o ad un prezzo high (ph).

--Se producono entrambi poco hanno un ph di 20 che si avvicina ad un mercato


monopolistico.
--Se decidono un prezzo basso l’equilibrio si avvicina alla concorrenza perfetta e realizzano
solo il profitto normale e poco più quindi sono inferiori rispetto a ph quindi 10, 10.
--Se fanno scelte diverse come A sceglie ph e B pl allora i consumatori si troveranno davanti
prodotti omogenei a prezzi un alto quello di A e uno basso quello di B; la competitività dei
prezzi di A è bassissima mentre quella di B è migliore allora B fa profitti molto molto alti
mentre quelli di A sono molto bassi come 5, 30. Vale il viceversa.

Questa è la matrice dei pay-off e in un gioco di interdipendenza oligopolistica che riguarda le


nostre imprese A e B.

Quale sarà la decisione di A e quale quella di B?


Se si guarda al gioco dal punto di vista di A se le due imprese giocano in modo non-
cooperativo ovvero se c’è un autorità anti-trust che impedisce la collusione ci si rende conto
che se B fissa un prezzo alto ad A conviene fissare un prezzo basso così aumentano i suoi
profitti e se B fissa un livello basso comunque gli conviene per non essere danneggiato
scegliere un prezzo basso. Insomma qualunque cosa faccia B ad A conviene fissare prezzi
bassi perché sono per A una strategia dominante e lo stesso vale per B perché se si guarda
alla matrice del pay-off dal punto di vista di B se A fissa prezzi alti a B conviene fissare
prezzi bassi; insomma in ogni caso la strategia dominante sono i prezzi bassi quindi se
entrambi decidono i prezzi bassi fanno un profitto di 10 + 10 che è molto più basso rispetto
alla scelta di entrambi del prezzo più alto 20 + 20. Allora si determinerà un risultato vicino a
quello di concorrenza perfetta.

Però l’interesse delle imprese è fare più profitto quindi se hanno un equilibrio 10, 10 sono
incentivate ad un accordo collusivo, sono incentivate a cooperare (il price fixing è un
comportamento condannato di per sé).

76
Lucrezia Serra

Adam Smith disse che ai funerali gli uomini d’affari parlano per poco del defunto ma poi si
mettono d’accordo sul prezzo per avere un rendimento superiore quindi i prezzi passano da
10,10 a 20,20.
Quindi in un oligopolio si mira ad abolire un’autorità anti-trust così da poter mantenere
atteggiamenti collusivi; l’esistenza di un anti-trust nel monopolio comporta una perdita secca.
La presenza di un anti-trust nell’oligopolio garantisce e limita i comportamenti collusivi.

Si supponga che le imprese abbiano attuato un accordo collusivo e l’equilibrio è passato da


10,10 a 20,20.

Questo equilibrio si manterrà nel tempo?


O è un accordo le cui basi verranno erose nel tempo e poi abbandonate?
Gli equilibri nell’oligopolio sono multipli quindi possono essere equilibrio più vicini alla
concorrenza perfetta (pl) oppure più vicini al monopolismo (ph). Quando un equilibrio si
definisce e le imprese - per es.- hanno fissato un price fixing allora entrambe fanno i conti
con l’incentivo a non tenere fede all’accordo collusivo; dal punto di vista di A se so che B ha
fissato un accordo collusivo, A sa anche che abbassando i prezzi allora i profitti saranno
maggiori e se so che B rispetta l’accordo allora A non ha l’incentivo a rispettarlo e lo stesso
vale anche per B se si osserva il gioco dal suo punto di vista. Se hanno un accordo collusivo
esso non dura nel tempo perché proprio il price fixing crea l’incentivo ad andare a prezzi
bassi quindi da un equilibrio a ph si passerà ad equilibrio pl.
È un alternarsi di prezzi alti e bassi, nell’oligopolio gli equilibrio quindi sono sì molti ma sono
soprattutto instabili perché è un continuo alternarsi di prezzi ph e pl.

La matrice dei pay-off degli oligopolisti è rappresentata dal grafico precedente e per capire
come si determina l’equilibrio bisogna guardare il gioco da entrambe le parti e mettere a
fuoco il gioco dalla parte della strategia dominante.

L’equilibrio di Nash è una nozione utilizzata nella strategia dei giochi mentre quella di
strategia dominante che è meno diffusa ma lampante del dilemma del prigioniero.
Nel mercato petrolifero quando si fissa un prezzo con un accordo scatta l’incentivo a non
rispettarlo per ciascun simbolo produttore di petrolio; nel mercato della quote latte vale lo
stesso concetto per cui scatta l’incentivo a non rispettare la quota nel momento in cui viene
fissato il prezzo.

L’oligopolio dispone di autorità anti-trust che rendono più difficile la collusione ma rendono
così i mercati tali da essere coerenti e auto-interessati.

RETTIFICA ALLA LEZIONE PRECEDENTE ALLA MATRICE DEI PAY-OFF


Lo strumento di analisi fornito dalla teoria dei giochi attraverso il gioco del dilemma del
prigioniero è di fondamentale importanza perché permette di analizzare le situazioni di
interdipendenza.
Due soggetti prigionieri vengono fermati ma non ci sono prove e possono essere condannati
se e solo se almeno uno dei due confessa di aver commesso il reato in combutta con l’altro;
l’interrogatorio viene effettuato separatamente perché l’autorità conosce la teoria dei giochi
per cui un agente auto-interessato vede saltare tutti gli accordi precedentemente presi.

77
Lucrezia Serra

La matrice dei pay-off è un insieme di numeri, ovvero ordinati per numero e per colonna, che
vengono scelti liberamente ma non con discrezionalità assoluta perchè devono essere
coerenti con la situazione in analisi.
Se entrambi confessano allora si condannano entrambi e quindi il pay-off è uguale per
entrambi e la loro disutilità è di 3 anni, mesi (-).
Se entrambi non confessano chiaramente la disutilità è minore perché non c’è la possibilità
di condanna e vengono assoluti per insufficienza di prove perciò hanno una ‘pena’ di 1 (-).

Qual è l’ipotesi che regge il tutto?


Chi non confessa viene duramente penalizzato perché ha commesso il reato ma non
confessa e non si pente mentre l’altro almeno si è pentito; allora si mettono dei numeri
coerenti alle situazioni il non pentito riceverà una disutilità più seria rispetto al pentito – 4
mentre l’altro non ha nessuna disutilità 0.

Come si trova l’equilibrio di questo gioco?


Come si stabilisce quale delle celle determina il risultato? L’equilibrio del gioco?
Si guarda al gioco dal punto di vista dei due agenti che sono auto-interessati e razionali e
quindi sanno quale è la loro situazione, conoscono la matrice dei pay-off. Se A guarda alla
matrice dei pay-off decide che se confessa quando B confessa ad A conviene confessare
perché va incontro ad una pena inferiore a quella che otterrebbe non confessando,
viceversa vale per B.
Qualunque sia la strategia dell’uno o dell’altro, ad entrambi conviene confessare quindi la
confessione è una strategia dominante.

Questo è un gioco che ammette un solo equilibrio con strategie dominanti perché qualunque
cosa faccia l’altro conviene confessare.
Tale gioco è stato introdotto come strumento propedeutico all’analisi per l’interdipendenza
oligopolistica.

L’interdipendenza o l’interazione oligopolistica si ha quando le imprese sono 2 (n = 2) e si


crea una situazione analoga a quella del dilemma del prigioniero quindi entrambe per
entrambe le imprese produrre a prezzi bassi è una strategie dominante. Ma nel momento di
un incontro tra due imprese esse possono decidere di produrre entrambe a prezzi alti quindi
creano un trust organizzando l’industria, creando un cartello attraverso il quale coordinare le
variazioni di prezzo e questo spiega perché questo fenomeno nell’America degli anni ’80
dell’ ‘800. Questo ha portato la legislazione ha creare un anti-trust per contrastare il cartello
della Standard Oil Americana.
Le legislazioni anti-trust non si occupano solo della perdita di efficienza allocativa per la
società nel suo complesso, non si preoccupano solo di un controllo di prezzi che
comporterebbe una perdita secca ma tali autorità, che indussero nel 1890 a creare lo
Sherman Act (basata non solo sulle incidenze economica ma anche) basato sull’influenza
politica che potevano avere, la capacità di influenzare le decisioni pubbliche.
Le grandi imprese digitali stanno creando problemi analoghi al trust, ai cartelli perché c’è
coordinamento dei prezzi e grandi influenza politica.

78
Lucrezia Serra

Domanda d’esame: Perché nell’oligopolio gli equilibrio sono multipli e instabili?


(per la risposta non va presentata la teoria dei giochi riguardante il dilemma del prigioniero
quanto più riconoscerla, conoscerla e utilizzarla per spiegare le variazioni dei prezzi
oligopolistici)
La forma di mercato, non per concorrenza empirica, è la concorrenza monopolistica.

(confronto e messa a fuoco delle differenze tra forma di mercato della concorrenza perfetta
e della concorrenza monopolistica)

Concorrenza monopolistica (c’è un errore diffuso ovvero si crede che sia una concorrenza
tra monopolisti): la concorrenza monopolistica non è una forma di mercato in cui avviene
una concorrenza tra forme di mercato monopoliste perché in tale mercato esiste una e una
sola impresa. In un industria con una sola impresa può succedere che ne entri una seconda
sul mercato ma a quel punto sarà un duopolio.

CONCORRENZA MONOPOLISTICA
In un mercato di monopolio può succedere che entrino dei nuovi produttori ma allora si
passa all’oligopolio.
La concorrenza monopolistica non è una forma di competizione tra imprese monopolistiche
perché essa è una contraddizione in termini.

La forma di mercato di concorrenza monopolistica è una forma di mercato in cui dal lato
della forma delle imprese esse tendono a infinito come in concorrenza perfetta, c’è un
elevato numero di imprese; a differenza della concorrenza perfetta dove le imprese vendono
prodotti omogenei e percepiti come identici dagli acquirenti quella monopolistica è la forma
di mercato in cui un numero elevatissimo di imprese sono in concorrenza vendendo prodotti
differenziati, cioè non percepiti come identici, omogenei dagli acquirenti.

I prodotti che vengono acquistati al supermercato se ne trovano alcuni con marche, con un
marchio che è un dato fisico che mostra la marca. Facendo una politica di marca vengono
screditati gli altri prodotti della medesima categoria quindi tali prodotti non sono identici per
diverse caratteristiche reali o percepite. Esistono diverse marche di ogni prodotto.

La forma di mercato della concorrenza perfetta serve a capire un aspetto importante:

perché le imprese investono per fare politiche di marca?


Qual è il vantaggio?
Perché è importante la forma di mercato monopolistica?
Per capire la ragione per cui le imprese sono incentivate a differenziare il prodotto; in c.p. la
curva di domanda dell’impresa, che coincide con il ricavo marginale, è perfettamente e
infinitamente elastica (ciò significa che la quantità che l’impresa vende è estremamente
sensibile al prezzo; se l’impresa vuole alzare il prezzo vede azzerarsi le sue vendite. Esse
vendono prodotti omogenei e non differenziati quindi è indifferente comprare i prodotti di una
o di un’altra impresa). La curva di domanda dell’impresa è la relazione tra la quantità che
l’impresa produce ed il prezzo unitario cui l’impresa può collocare sul mercato, può vendere.

Per queste ragioni le imprese devono attuare delle differenziazioni quindi attraverso politiche
di differenziazioni ciascuna impresa cerca di spostare e inclinare la sua curva di domanda

79
Lucrezia Serra

magari anche di poco ma con tale operazione se l’impresa alza il prezzo da p1 a p2 le sue
vendite si riducono da q1 a q2; la riduzione non è l’annullamento come in c.p.
Quindi le imprese saranno incentivate a inclinare la curva di domanda così vedono
semplicemente ridursi i beni e quindi così facendo può alzare il prezzo oltre il prezzo
marginale perché con l’inclinazione il prezzo marginale sta un po’ sotto la curva di domanda.
Così come il monopolista, che fa i conti con la curva di domanda di mercato negativa, così la
concorrenza monopolistica è l’insieme di imprese che hanno adottato politiche di
differenziazione potendo alzare un minimo il prezzo quindi avendo più autonomia
economica.

Questa forma di mercato consente di vedere che l’incentivo ad attuare queste politiche di
differenziazione in modo che la curva di domanda non è più perfettamente orizzontale e
quindi si può effettuare una politica più libera.

Quali sono le implicazioni di welfare della concorrenza monopolistica?


Il monopolio dà perdita secca e quindi c’è l’anti trust che serve anche a far prevalere,
nell’instabilità degli equilibri oligopolistici, equilibri meno dannosi nel tempo per la società nel
suo complesso. Come nel monopolio e oligopolio, le imprese in concorrenza monopolistica
un po’ di potere di mercato la hanno, alzare il prezzo oltre il costo marginale per avere più
profitto può farlo.
Ma in concorrenza monopolistica il potere di mercato delle imprese è comunque molto
limitato; i costi in termini in termini di efficienza allocativa e perdita secca sono costi limitati e
a fronte di essi i consumatori acquisiscono qualche vantaggio perché se hanno preferenza
per la varietà allora sono contenti se ci sono marche differenti dei diversi prodotti.
L’analisi delle implicazioni di welfare di c.m. porta a mettere a fuoco che la concorrenza
monopolistica non comporta danni rilevanti per la società nel suo complesso.

BENI PUBBLICI
Finora si è dato per scontato che c’è un mercato, in cui operano i consumatori dal lato della
domanda e i produttori producono merci, che produce indirettamente beni però non si è
considerato che in tale ipotetica economia si domandano e si producono solo beni privati ma
servono ed esistono anche beni pubblici.
Quindi bisogna iniziare a ragionare sulle diverse categorie di beni che esistono in un sistema
economico allora bisogna definire beni privati e pubblici.

--Beni pubblici (hanno due caratteristiche fondamentali e opposte ai beni privati): sono beni
non rivali e non escludibili.
Non rivalità; ovvero il fatto che siano non rivali tali beni, significa che il consumo o l’utilizzo di
un determinato bene pubblico in una data quantità da parte di un consumatore non riduce la
possibilità degli altri di utilizzare quello stesso bene pubblico. L’utilizzo da parte di uno non
annulla e non riduce la possibilità che terzi ne possano usufruire.

Non escludibilità; ovvero la possibilità tecnico-logistica di escludere coloro che non rivelano
la propria disponibilità a pagare per l’acquisto di un determinato bene e dunque non lo
acquistano; non possono comunque escluderli dall’utilizzarli.

-- Beni privati: sono beni rivali nel consumo e nell’utilizzo se io mangio una mela quella non
può esser e mangiata da altri e sono escludibili in quanto si possono escludere gli altri.

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Lucrezia Serra

Rivalità; il bene può essere usato solo da uno.

Escludibilità; un bene privato è escludibile nel senso che chi rivela la propria disponibilità a
pagare è possibile tecnicamente, logisticamente e legalmente escludere altri dal consumo di
un determinato bene.
Tali proprietà possono essere presenti al 100% o con gradazioni differenti; possono esistere
beni pubblici puri come il massimo grado delle sue caratteristiche. Esistono beni privati puri
e poi una commistione di essi.

I beni pubblici sono rilevanti e alcuni sono la difesa nazionale, i servizi di sicurezza
(carabinieri, polizia di stato), illuminazione pubblica di una città; questi beni e servizi non si
acquistano ed eppure esistono e in termini di spesa si paga molto per averli però questi
sono pubblici quindi non si può escludere nessuno dall’utilizzo di tali servizi. Non è possibile
escludere nessuno da nessuno dei servizi e il mio utilizzo non riduce il fatto che terzi non
riescono ad usufruirne.

Questi beni puri o meno sono empiricamente rilevanti cioè non sono curiosità minoritarie.

I meccanismi di mercato funzionano per i beni pubblici?


Per i beni pubblici puri il mercato non funziona perché va incontro a dei limiti ovvero è un
fallimento del mercato per i beni pubblici in quanto se si combinano le assunzioni standard
sugli agenti economici e la natura dei beni pubblici, non rivali e non escludibili, succede un
corto circuito. Se sono auto-interessato e razione per avere un bene privato rivale e
escludibile va acquistato ma per il beni pubblici è diverso quindi ciascun agente deve
sperare che siano gli altri a pagare perché lui ne usufruisca e quindi scatta il meccanismo di
comportamenti opportunistici (comportamenti di free- riding, comportamenti da portoghesi).
Ciascuno spera che siano gli altri a investire in risorse, a pagare per la realizzazione e avere
la disponibilità e opportunisticamente approfittarne e usufruirne comunque.

Dal punto di vista analitico qual è la conseguenza di beni pubblici e assunzioni standard?
La conseguenza è il collasso della curva di domanda; combinando le assunzioni standard e i
beni pubblici si ha la diffusione di comportamenti opportunistici e quindi sparisce la curva di
domanda perché nessun agente auto-interessato non paga per natura.
Se collassa la curva di domanda collassa il mercato che ha tali proprietà solo se domanda e
offerta interagiscono; nel caso dei beni pubblici puri si ha un fallimento del mercato e quindi
non vengono domandati e non vengono prodotti.

Quali sono le implicazioni di policy del fallimento del mercato per quanto riguarda l’offerta di
beni pubblici?
Le decisioni private non conducono ad una appropriata offerta di beni pubblici; i meccanismi
di mercato, in un’economia lasciata a se stessa, non hanno un’appropriata offerta di beni
pubblici.

Chi decide la quantità di beni pubblici sul mercato?


Ci deve essere una decisione pubblica a livello centralizzato per esempio l’illuminazione in
un certo momento con una decisione pubblica ci si è dotati di illuminazione pubblica;
un’adeguata offerta di un bene pubblico è decisa da una decisione pubblica centralizzata.

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Lucrezia Serra

IL FALLIMENTO NEL MERCATO DELL’OFFERTA DI BENI PUBBLICI


Perché il mercato fallisce per quanto riguarda l’offerta dei beni pubblici?
Una dimostrazione mette a fuoco che non emerge una curva di domanda per i beni pubblici
perché non ci sono gli incentivi a pagare per tali beni e quindi collassa la domanda.
La teoria dei giochi si usa anche per il fallimento del mercato nell’offerta di beni pubblici; si
faccia riferimento a un bene pubblico locale in una piccola realtà formata da A e B. Essi
devono decidere se sistemare un semaforo per far scorrere il traffico e quindi lo strumento
da collocare si configura come un bene pubblico; tale bene ha un costo di 100 e dal punto di
vista di A e B entrambi possono pagare rivelando la disponibilità a pagare però essendo il
bene non rivale non escludibile si può anche non pagare.

-- Se entrambi pagano, in quanto agenti auto-interessati e razionali, ottengono da pagarsi


50, 50.
-- Se entrambi non pagano hanno una matrice di pay-off di 0, 0 e inoltre l’offerta di quel bene
pubblico non viene realizzata.
-- Se uno dei due paga e l’altro no si hanno una matrice di 100 e l’altra di 0.

I due si ritrovano in una situazione di dilemma del prigioniero, è un gioco con strategia
dominante e ad entrambi qualsiasi cosa faccia l’altro conviene non pagare
A tal punto deve intervenire l’amministrazione comunale, locale, nazionale e sovranazionale
per i beni pubblici globali; la decisione pubblica rilevante decide attraverso un processo di
decisone pubblica se e quanto offrire di un determinato bene pubblico ma perché esso ci sia
si deve passare attraverso una decisione pubblica e bisogna decidere se intervenire e in che
quantità.

Tale livello pubblico come finanzia?


Attraverso le entrare fiscali quindi i cittadini pagano le imposte e l’amministrazione fornisce
beni e servizi che hanno natura di beni pubblici.
A questo punto emergono le grandi questioni che stanno al centro dell’analisi: se e quanto
bene pubblico decidere di realizzare è una decisone pubblica che passa attraverso un
processo.

Il comportamento del consumatore rivela le sue preferenze attraverso la disponibilità a


pagare per un certo bene privato e si potrebbe porre un questionario per la rilevazione delle
preferenza.
Per il bene pubblico l’amministrazione dovrebbe farsi dire dai cittadini cosa sono disposti a
pagare per il bene pubblico. Quindi la decisione sull’offerta di quanto bene pubblico offrire
inesorabilmente lascia tale processo di bene pubblico a se stesso.

È molto difficile allocare in maniera efficiente per l’offerta di beni pubblici.


Una fusione tra beni privati e beni pubblici è necessario in quanto il benessere sociale è
funzione di una determinata fusioni tra le due tipologie di beni; è inimmaginabile pensare ad
un sistema economico in cui si vive solo con una tipologia di bene e ciò significa che
abbiamo bisogno di risorse rilevanti per i beni pubblici.
L’offerta di beni pubblici è finanziata dalle entrate fiscali (T) e che il reddito meno il gettito dà
il reddito disponibile attraverso il quale si acquistano beni di consumo che sono beni privati;
mentre il gettito finanzia l’offerta di beni pubblici.

82
Lucrezia Serra

Y – T = YD
Beni pubblici C (beni privati)

Questo schema mette a fuoco una tensione sul mix di beni privati e pubblici; in ogni istante
del tempo per avere un’offerta di beni pubblici si riduce indirettamente il reddito disponibile e
quindi il consumo di beni privati.
Le decisioni pubblici possono essere forme assurde, erronee se il sistema politico è buono il
processo di decisioni pubblici è migliore mentre sennò il mix è troppo a favore dei beni
privati e quindi si sbilancia in quanto con una con un sistema politico che induce ad una
attitudine contrastante al pagamento di imposte, i cittadini sono meno invogliati a pagare le
tasse.

Galbreit diceva dell’opulenza dei beni privati e lo squallore dei beni pubblici.

OFFERTA DI BENI PUBBLICI ≠ PRODUZIONE DI BENI PUBBLICI


C’è una distinzione tra offerta di beni pubblici e produzione di beni pubblici bisogna tenere
presente la differenza.
L’offerta dei beni pubblici riguarda il fatto che essi ci sono se c’è una decisione pubblica.
La produzione dei beni pubblici non è necessario che sia pubblica.
Certe forme di statalismo dipende dal fatto che è divenuto inefficiente e ha confuso offerta e
produzione e quindi l’assetto pubblico non gode di nessun bene pubblico.

Intendiamo il bene comune come espressione non tecnica degli economisti ma espressione
molto utilizzata nel linguaggio di ogni giorno. Per questo viene utilizzato risorse comuni
Le risorse comuni sono quei beni che sono rivali nell’utilizzo ma non escludibili:
-- I beni privati sono rivali e escludibili.
-- I beni pubblici sono non rivali e escludibili.
Quando faccio riferimento alle risorse comuni parliamo di cose per il quale nessuno può
essere escluso dall’utilizzo della risorsa comune ma, allo stesso tempo, queste sono rivali.

Le risorse comuni che vengono utilizzate da altri, sono rivali; se vengono utilizzate da più
agenti si generano conseguenze sia sul piano qualitativo che quantitativo (es. sull’ambiente:
l’aria pulita non è un bene pubblico, non è escludibile ma rivale ecc., molte cose ambientali
rientrano nella definizione di risorse comuni; anche la pesca non è escludibile ma rivale in
quanto man mano che si utilizza, questa si riduce, si va in contro a problemi e di
conseguenza si generano i cosiddetti fallimenti).

ESTERNALITA’
Quando parliamo di esternalità facciamo riferimento alla presenza di effetti esterni; fino ad
ora abbiamo implicitamente ipotizzato che le attività di consumo e produzione del sistema
economico non comportassero degli effetti esterni. I risultai a cui perveniva un’economia di
mercato, ovvero un’ottima efficienza, si ottenevano grazie alla non esistenza di esternalità.

Presenza di effetti esterni


Le esternalità possono riferirsi ad attività di consumo o di produzione degli agenti economici.
Le esternalità possono essere positive o negative:
-- esternalità di produzione negativa:

83
Lucrezia Serra

Prendiamo impresa, un produttore; abbiamo visto che l’impresa è una organizzazione con
input, che sfrutta i diversi fattori di produzione k e l attraverso i quali è in grado di convertire l’
input in output.
Supponiamo che questa impresa oltre a far fuori merci emette anche delle emissioni
inquinanti: ad esempio peggiora la qualità dell’ aria oppure produce inquinamento acustico.
In generale parliamo di inquinamento.

L’ attività di produzione dell’ impresa genera inquinamento che è una esternalità negativa di
produzione. L’inquinamento produce un costo che l’impresa, in quanto agente razionale e
auto-interessato, non prende in considerazione per stabilire il suo livello di produzione.
Se noi riconosciamo il fatto che l’impresa è auto-interessata dal proprio profitto e razionale
nel senso standard, di queste esternalità negative le imprese non si fanno carico.
Guardano solo i costi privati ma non tengono conto dei costi sociali. I costi privati e sociali
coincidono se non siamo in presenza di esternalità negative.
Quando abbiamo visto la domanda di mercato e l’offerta di mercato, intesa come somma dei
costi marginali del produttore, questi costi marginali sono i costi privati. Facciamo in questo
caso riferimento alla curva sp che è espressione dei soli costi privati che le imprese
registrano nella loro contabilità e di cui tengono conti.
Parliamo anche della curva dei costi totali st: i costi totali sono dati dai costi privati e dai costi
sociali.
La curva di offerta individuale della singola impresa è più sotto rispetto alla curva dei costi
marginali totali comprensivi anche dei costi sociali ovvero le esternalità negative. Se teniamo
conto delle esternalità la curva di offerta di mercato rilevante per l’analisi non è più sp ma st
che è più alto e a sinistra.
In assenza di esternalità le due curve coincidano.
Se ci sono esternalità la quantità qc, data dall’ intersezione tra la curva di domanda e curva
di offerta che contempla solo i costo privati sp, non è più una quantità ottima di produzione
dal punto di vista sociale in quanto esistono delle esternalità negativa ovvero i costi sociali.
La nuova quantità ottima dal punto di vista della società nel suo complesso è data dall’
intersezione tra d e st. L’ equilibrio di mercato non indice all’ allocazione efficace delle
risorse.

Il mercato che non vincola le imprese a tenere conto anche dei costi sociali implica che con
un equilibrio di concorrenza perfetta non produce efficienza allocativa. Si produce una
quantità eccessiva di una merce la cui produzione comporta esternalità negative.
La produzione porta al generarsi di esternalità negative e siamo davanti a un fallimento di
mercato: non si avrà una allocazione corretta delle risorse. Se si generano esternalità
negative, il mercato perfettamente concorrenziale produce una quantità eccessiva di merce
la quale produce effetti su terzi che rappresentano dei costi della quale il produttore non
tiene conto (stiamo ipotizzando che non esista una organizzazione che obblighi il produttore
anche a tenere conto delle esternalità negative.

Fondamentale distinguere la curva di offerta di mercato che tiene conto o meno di tutti i
costi: st con quantità ottima qo. Quando la quantità prodotta non coincide con la quantità
ottima per la società si ha fallimento di mercato.

Esistono anche esternalità negative di consumo.

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Lucrezia Serra

Un consumatore neoclassico standard prende in considerazione solo i suoi costi privati, non
tiene conto dei costi sociali. Si creerà un utilizzo eccessivo di un bene di consumo.

-- esternalità di produzione positiva:

Sono quegli effetti esterni su terzi, ovvero effetti che ricadono anche su soggetti non coinvolti
in transazione, e che sono valutati come positivi dal punto di vista del benessere sociale.

Facciamo l’esempio dell’istruzione ovvero parliamo di investimenti in capitale umano per


istruzione: tutti questi investimenti in capitale umano hanno dei vantaggi per la società nel
suo complesso che si qualificano come positivi.
La domanda privata di istruzione prende in considerazione i costi privati dell’ istituzione. Ci si
augura che l’investimento in capitale umano non abbia solo dei vantaggi privati ma anche
sociali. Le esternalità positive, ovvero i benefici sociali e i vantaggi della società nel suo
complesso, in prima battuta non sono prese in considerazione dal decisore privato (guarda
solo vantaggi privati); in quanto egli valuta solo i costi e i benefici dal punto di vista privato.
La domanda privata dp contempla solo i costi e benefici privati e non la ricaduta positiva
sulla società nel suo complesso.

Se dovessimo tenere conto anche dell’esternalità positiva, la curva di domanda complessiva


che contempla anche i benefici della società nel suo complesso sarebbe più alta a destra di
dt.
Supponiamo l’esistenza della curva di offerta s, se la curva di domanda è la dp, ovvero
ragionando semplicemente solo sui costi e vantaggi privati, la quantità che verrebbe
domanda e offerta è qc.
In presenza di esternalità positive la curva di domanda rilevante per l’analisi
diventa dt e quindi l’equilibrio ottimo si ha con la quantità ottima qo
La presenza di esternalità positive determina che si generi una produzione minore rispetto
alla quantità ottima. Si ha un vantaggio nella società nel suo complesso. In caso di
concorrenza perfetta, si determina un equilibrio caratterizzato da una allocazione non
efficiente delle risorse a causa delle esternalità positive

Se emergono esternalità non c’è più coincidenza tra equilibrio di mercato e equilibrio ottimo
dal punto di vista della società. Abbiamo a che fare con un fallimento del mercato

Con un fallimento del mercato riflettiamo implicitamente sulle istituzioni che possono
intervenire per correggere e mitigare i fallimenti del mercato. Iniziamo a vedere se ci sono
istituzioni pubbliche che possano fare politiche pubbliche(es quella ambientale). Una delle
questione più rilevanti è la scelta dei più appropriati strumenti di politica ambientali, strumenti
attraverso il quale realizzare delle politiche ambientali.

Prima di vedere gli strumenti delle politiche ambientali è importante teorema id coase. È un
economista statunitense, premio nobel nel 91 (anche per articolo del 37).

Il teorema dice a certe condizioni le esternalità negative non emergono perché la


contrattazione tra le parti (esistenza di incentivi a stipulare contratti) annulla, impedisce l’
emergere di una esternalità negativa

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Lucrezia Serra

Il teorema di coase è una dimostrazione formale rigorosa del perché a certe condizione la
contrattazione tra le parti (normale incentivo tra parti razionali) possa convergere e le parti
possano comprendere che questo contratto impedisce l’ emergere di una esternalità
negativa.

Questa è la premessa per dire che l’ intervento pubblico è necessario nelle situazioni in cui
non vale teorema. Cose definisce bene situa per cui non sorge problema esternalità
negative.

TEOREMA DI COASE
Coase nacque in Inghilterra e poi andò a vivere a Chicago e vinse il Nobel. È un economista
che diede contributi rilevante alla teoria economica.
L’importanza del teorema mostra quali condizioni e che a certe condizioni le esternalità
negative non emergono se la contrattazione tra le parti, coinvolte in una situazione di
esternalità, raggiungono un accordo contrattuale che consente di impedire l’emergere di
un’esternalità negative. Pur in un contesto in cui esistono le esternalità negative a certe
decisioni, c’è una contrattazione tra agenti decentrati (potenzialmente potrebbe emergere un
fallimento del mercato ma in certe condizioni) che trovano conveniente stipulare un contratto
per non far emergere l’esternalità negative; quindi la prevenzione del problema delle
esternalità avviene sulla base di meccanismi decentrati.

Mette a fuoco il fatto che decisioni decentrate attraverso meccanismi di contratto possono
evitare l’emergere di esternalità negative.

Quali sono queste condizioni? (l’incipit richiama il diritto di proprietà)


Le condizioni sono:
-- i diritti di proprietà sono ben definiti (well-defined)
-- gli agenti economici coinvolti sono un numero limitato, pochi. Il numero n degli agenti
coinvolti è un numero basso.

-- i costi di transazione o contrattazione sono contenuti.


Queste sono le condizioni che si devono verificare affinché gli agenti coinvolti in un
associazione che potrà potenzialmente ad un esternalità negativa possono e sono in grado,
trovando dei benefici, di raggiungere un accordo contrattuale che non comporti costi elevati.
A queste condizioni se sono rispettati allora gli agenti sono incentivati a raggiungere un
accordo contrattuale e ne sono in grado.

Serve un esempio per comprendere tale concetto


Un albergo con difronte un bosco ed entrambi dal punto di vista della proprietà sono ben
definiti; i beni che si tengono in considerazione sono di proprietà privata e si vive in una
cornice sociale che vede l’autorità pubblica come garante della tranquillità.
Il proprietario dell’albergo ha un vantaggio e un valore monetario superiore in quanto di
fronte ha il bosco così il paesaggio è più appetibile e il suo fatturato è superiore; ma il bosco
è di proprietà privata. Il proprietario del bosco vuole far valere il suo diritto di proprietà e
tagliare il bosco e vendere il legname.

I diritti di proprietà sono ben definiti, il numero di agenti sono due e i costi di transazione e
contrattazione si presume che in tale situazione non siano molto rilevanti.

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Lucrezia Serra

Il proprietario dell’hotel deve avere l’informazione su quale orientamento vuole avere il


proprietario del bosco.
Allora cosa succede?
Emerge l’esternalità negativa per il proprietario dell’hotel?

Nel prendere la decisione se tagliare o meno il bosco il proprietario non prende in

considerazione l’effetto esterno ovvero le conseguenze per il proprietario dell’hotel e che egli
realizza ma il proprietario del bosco prende in considerazione il costo beneficio del legname
sul mercato e ne ricava ipoteticamente 100.

Il proprietario taglia senz’altro?


Emerge l’esternalità?
Non necessariamente perché il proprietario dell’hotel valuta il danno che gli deriva facendo
una valutazione dell’esternalità negativa e se tale valutazione è di 50 allora sarà disposto a
pagare una somma x maggiore uguale a zero e minore uguale a 50 e questa è la willness to
pay che è disposto a pagare al proprietario del bosco.

Il proprietario dell’albergo lo dice al proprietario del bosco e gli dice che è disposto a pagarlo
e la razionalità dell’albergatore sta nel fatto che agisce egoisticamente per farlo recedere al
taglio degli alberi.

Dal punto di vista del proprietario del bosco?


Perché è incentivato raggiungere un accordo?
Perché si ritrova in una situazione preferibile perché continua ad aver il bosco e quindi il suo
asset non viene meno; in queste condizioni tagliare il bosco lo espone ad un costo
opportunità ed è un’opportunità persa. Se raggiungono un accordo a 25; ciò che il
proprietario del bosco potrebbe ottenere se taglia non lo ottiene più.
Quindi il contratto è un costo opportunità che il proprietario del bosco perde.
Se regolo le assunzioni standard di comportamento degli agenti economici essi sono indotti
a fare un contratto e a mettersi d’accordo perché ce ne guadagnerebbero entrambi.
Stipulano un contratto in base a valutazioni e preferenze e sempre quando c’è una
negoziazione sul prezzo entra in gioco bisogna arrivare ad un compromesso.
Quale che sia tra 0 e 50 uno è disposto a pagare e l’altro accetta un pagamento e facendo il
contratto non emerge l’esternalità negativa.

La terza parte del teorema di Coase è la valutazione del teorema e le sue implicazioni di
policy e le politiche pubbliche (su questo c’è ancora dibattito).
Ad un primo livello le implicazioni di policy sono molto semplici quindi se le condizioni

sono verificate e le implicazioni di policy non è necessario l’intervento pubblico ma basta


l’accordo contrattuale tra privati.
Le esternalità negative non richiedono necessariamente l’intervento pubblico e richiedono di
mettere ben a fuoco i diritti di proprietà e che siano ben definiti in tutte le situazioni e
tenendo bassi i costi di transazione.

Se il potere di mercato alza i costi di transazione e si è difronte ad una situazione con


mercati concorrenziali.

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Lucrezia Serra

Le implicazione di policy riguardano la definizione del diritto di proprietà, la riduzione del


costo di transazione; in certi ambiti i diritti di proprietà come possono essere definiti?

Come si possono abbassare i costi?

L’interpretazione liberista estrema è una forzatura ideologica cioè prendere il teorema di


Coase e interpretarlo con qualcosa che non necessita di un intervento pubblico è una
forzatura ideologica.
Coase non ha avvallato questa lettura del suo teorema ed egli non è un neoliberista che
forza la lettura delle situazioni economiche ma è attento ed equilibrato e anzi si è sempre
opposto alla lettura del suo teorema come qualcosa che escluda radicalmente le politiche
pubbliche in presenza di esternalità negative. Una adeguata comprensione del teorema
mette bene a fuoco questo aspetto del teorema; il teorema dice sì che per evitare esternalità
negative ci deve essere una contrattazione degli agenti ma mette a fuoco le condizioni che
sono elemento fondamentale.

Si pensi alle esternalità negative di tipo globale e si distingua con quelle locali:
-- locali: quella rappresentata dall’esempio dove il numero n di agenti è due, la proprietà è
ben definita e i costi di transazione sono bassi.
È molto probabile quindi che il teorema di Coase valga per le esternalità locali.
-- globali: si pensi al cambiamento climatico, il numero degli agenti coinvolti è il mondo con i
suoi abitanti, il costo di transazione ovvero i costi che si devono sopportare per raggiungere
l’accordo non sono affatto contenuti. In questo caso non si può usare, in quanto inefficacie, il
teorema di Coase perché non ci sono le condizioni. L’interpretazione neoliberista del
teorema è esagerata.

Le implicazioni di policy pubbliche che sono necessarie per le esternalità globali

ovvero quelle che coinvolgono un numero rilevante di agenti.


(Pigou, maestro di Keynes, formulava l’esempio sulle esternalità che diceva che le imprese
buttano fuori inquinanti e il fumo della ciminiera sporca i panni stesi e questa è l’esternalità
negativa locale e si potrebbe immaginare un contrattazione o una denuncia per danni).

STRUMENTI DELLE POLITICHE PUBBLICHE AMBIENTALI CHE RIGUARDANO LE


ESTERNALITÀ NEGATIVE
Quali strumenti abbiamo a disposizione per affrontare il problema delle esternalità negative
delle politiche ambientali?
Dalle fabbriche fuoriesce CO2 che porta ad un surriscaldamento globale; in questo caso non
vale il teorema di Coase ma servono alcuni strumenti:

-- comando e controllo che servono per una regolazione diretta dove l’autorità pubblica
interviene e prescrive l’adozione o la vieta di determinate tecnologie produttive come
l’imposizione ad una certa industria di filtri e nuove tecnologie.

Qual è il problema di questi strumenti?

Sono invasivi perché prescrivono alle imprese ciò che devono o non devono fare. Strumenti
invasi che impongono alle imprese ciò che possono o non possono fare hanno forse qualche

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Lucrezia Serra

limite e non sono graditi alle imprese ma possono anche essere strumenti con una bassa
efficacia-costo; per questa ragione gli economisti affiancano a questi strumenti le imposte
pigouviane.

-- imposte pigouviane che sono un intervento pubblico, con una visione centralizzata, che
applica il principio del ‘chi inquina, paga’ nel senso che chi emette troppo CO2 deve pagare.
Data la domanda di mercato l’esistenza di esternalità negative fa si che non ci sia più
coincidenza tra costo privato (sp) e costo sociale (cs); introdurre un imposta pigouviana
significa imporre ai produttori di farsi carico anche dei costi sociali. Concettualmente significa
internalizzare il costo cioè far si che il produttore internalizzi anche il costo sociale.

MERCATO DEI PERMESSI NEGOZIABILI (terzo strumento)


Cosa è tale mercato?
È un mercato in cui si applica ancora il principio del chi inquina paga ma in modo più
raffinato quindi non solo con il pagamento dell’imposta pigouviana. In tale mercato chi
inquina paga nel senso che deve dimostrare di aver titolo ad inquinare e cioè deve avere il
possesso e i permessi che confermino l’emissione inquinante (se ho 5 permessi ed emetto
10 devo comprare altri permessi; se ne ho in eccesso li vendo al mercato dei permessi
negoziabili).
È un mercato in cui c’è una curva di domanda ovvero ho un prezzo unitario per poter
emettere una tonnellata di biossido di carbonio e io per la quantità di emissioni che faccio
devo avere i permessi necessari.
Ci sarà un lato domanda e data la relazione inversa tra prezzo e quantità domandata se il
prezzo di una tonnellata di CO2 è alto la quantità di permessi domanda sarà una quantità
bassa e viceversa se il prezzo è basso la quantità domandata sarà maggiore.

È analogo al mercato monetario perché anche nel mercato dei prezzi negoziabili la
decisione su quanti permessi emettere è una decisione pubblica e quindi il lato offerta è
rappresentato con una retta verticale e quindi l’autorità pubblica emette un dato numero di
permessi negoziabili.
Quindi come ogni mercato ci saranno eccessi con un eccesso di domanda il prezzo tende a
salire. Con il mercato in equilibrio le emissioni di CO2 sono uguali alla quantità di permessi
emessi dall’autorità pubblica.
La teoria economica dimostra che l’utilizzo del mercato come strumento di politica
ambientale è quello con la maggiore opportunità costo.

Qual è l’intuizione che fa dire che lo strumento dei mercati dei prezzi è preferibile?
Perché lascia libertà di scelte alle imprese perché viene applicato in un modo che lasica
piena libertà di scelta alle imprese e non si interviene con strumenti invasivi ma si lascia
libertà di scelta alle imprese e si lascia alle decisioni decentrate delle imprese. Le imprese
che per vari fattori tra cui la sensibilità ritengono di impegnarsi molto nel cambiamento
tecnologico con tecnologie meno dannose per l’ambiente e più friendly, lo possono far
avendo come immediato incentivo che emettendo 10 posso ridurre le mie emissioni
conviene in quanto comporta un incremento- dato dalla vendita dei titoli- dei proventi che
finanziano la produzione.

Tra le tre tipologie degli strumenti delle politiche ambientali quello del mercato dei permessi
negoziabili è quello preferibile per il fatto che tale mercato non esiste in natura ed è

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comunque il risultato di una decisone pubblica attiva volto a correggere un fallimento del
mercato perché come si sa se viene lasciato fallisce.

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