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CAPITOLO 1

LE PRINCIPALI TEORIE SULLA NATURA DELL’INTERVENTO PUBBLICO:

Teorie volontaristiche che adottano un punto di vista individualista secondo il quale alla base della produzione dello scambio di beni pubblici ci sono
le preferenze dei singoli individui e le loro scelte volontarie.

Teorie politico sociologiche che mettono invece l'accento sull'importanza dei rapporti di forza tra governanti e governati nel determinare scelte di
finanza pubblica.

in base a tale criterio si distinguono tre modelli di finanza pubblica:

la finanza neutrale secondo la quale il mercato raggiunge automaticamente l'equilibrio ti piena occupazione per cui lo stato deve intervenire il meno
possibile nell'economia.

la finanza della riforma sociale che identifica nella redistribuzione della ricchezza gli obiettivi principali dell'attività finanziaria pubblica

la finanza congiunturale secondo la quale il mercato non è di per sé in grado di raggiungere l'equilibrio Per cui lo stato deve intervenire
direttamente nel sistema economico al fine di stabilizzarne le fasi di espansione di recessione utilizzando gli strumenti della spesa pubblica e delle
imposte.

CAPITOLO 2 LE TEORIE VOLONTARISTICHE

1.IL PREZZO COME FUNZIONE DELL UTILITA MARGINALE

Il punto di partenza comune a tutte le teorie volontaristiche è che il prezzo dei singoli beni pagati dai consumatori e funzione dell'utilità marginale
che i consumatori attribuiscono ai beni stessi. in sostanza la finanza pubblica consisterebbe in uno scambio di effettuato su basi volontarie .

2. EMIL SAX E I BISOGNI COLLETTIVI

il pensiero di emil sax si sostanzia nella teoria secondo cui l'individuo destinerà alla soddisfazione dei suoi bisogni individuali o collettivi che siano un
ammontare di risorse tale che le diverse qualità marginali ponderate dei beni pubblici o privati siano tra loro uguali. Cio significa dunque che
l'ammontare del prelievo fiscale corrisponde all'utilità marginale che le individuo ricava dalla prestazione dell'operatore pubblico.

3. LO SCAMBIO DI DE VITI DE MARCO

L'economista italiano sostiene infatti che nel corso dei secoli molti bisogni individuali ci sono trasformati in bisogni collettivi perché la loro
soddisfazione avrebbe comportato conflitti tra produttori e consumatori. In questa ipotesi enormi rilievo assume il tipo di Stato che è tenuto a
produrre quei beni di cui la collettività sente il bisogno. In questo modo de viti De Marco giunge a riproporre approccio volontaristico alle scienze
delle finanze poiché come già in sax il livello di equilibrio della spesa pubblica e delle imposte raggiunto eguagliando il beneficio individuale della
spesa al prezzo pagato dal consumatore-contribuente.

4. LO SCHEMA DI WICKSELL: IL PROBLEMA DEL FREE RIDER

Lo svedese wicksell notò ho che se il privato dovesse ripartire il suo denaro fra spese private spese pubbliche così da massimizzare il proprio
beneficio personale si asterrebbe da qualsiasi spesa per fini pubblici. I beni pubblici però sono indivisibili e il beneficio che essi apportano non può
essere limitato solo a coloro che ne sostengono le spese: ne consegue che la rilevazione delle preferenze da parte degli individui può essere non
sincera dando origine la figura del free rider. il free rider è colui che beneficia gratuitamente di un servizio o di un bene collettivo . Nelle teorie
volontaristiche gli individui devono dichiarare apertamente le proprie preferenze e il sacrificio che sono disposta a sopportare per poter usufruire di
un bene.

CAPITOLO 3 GLI APPROCCI POLITICO- SOCIOLOGICI

Per Wagner Non ha alcun senso applicare all'economia pubblica le leggi che valgono per gli individui. Secondo questo autore applicando tale
sistema allo studio della spesa pubblica allora giunge a sostenere che la sua incidenza sul reddito razionale e destinata ad aumentare. Tale
affermazione viene giustificata dal fatto che lo sviluppo della spesa pubblica e determinato a dar reddito: all'aumentare del reddito infatti le
relazioni economiche tra privati divengono sempre più complesse e dall'altra parte i cittadini cercheranno di soddisfare bisogni secondari. Ciò
comporta per lo stato un continuo incremento del suo intervento in economia anche a livello percentuale.

3. IL CONFLITTO GOVERNANTI-GOVERNATI

Le teorie politiche sociologiche però furono influenzate dalle opere politiche di pareto e quelle di Mosca. Mosca sostiene che in ogni società c'è la
divisione tra governanti e governati. in questo caso il fenomeno finanziario non può rispondere al Lecce di carattere economico ma è un processo
soprattutto politico poiché è stato e classe dominante finiscono per coincidere.

Monti Martini sostiene che ogni fenomeno finanziario viene determinato sulla base di un'analisi costi benefici operata dalla classe dominante
quest'ultima si serve della coazione politica cioè delle attività coercitiva dello Stato per conseguire le proprie finalità.

Per puviani l'attività finanziaria consiste nell'insieme di operazioni con cui dominanti mantengono ed accrescono i propri privilegi a danno dei
dominati. in quest'ottica l'imposta assolve la funzione di impedire a di sfruttarli l'accumulazione del capitale.

5. LA SCUOLA MARXISTA
Per la scuola marxista la coazione si spiega con la necessità di impedire che gli antagonismi di classe degenerano in guerra civile. Lo stato accresce lo
sfruttamento dei lavoratori su cui grava la maggior parte delle imposte e la concentrazione dei redditi funge da tutore dello status quo.

CAPITOLO 4 LA SCUOLA DELLE SCELTE PUBBLICHE

La scuola delle scelte pubbliche analizza i meccanismi decisionali pubblici applicando ipotesi di comportamento analoghe a quelle dei soggetti
operanti sul mercato. punto di partenza in questa scuola e che tutti gli operatori e politici o avevano come dei soggetti economici: pertanto
l'elettore cercherà di far fruttare al meglio la propria scelta politica così come il politico tenterà di massimizzare il proprio consenso attraverso
l'adozione di una determinata scelta di politica economica piuttosto che un'altra.

2 IL TEOREMA DELL IMPOSOSSIBILITA DI ARROW

L'autore applica il meccanismo delle scelte collettive la stessa impostazione che sta alla base della teoria della domanda del consumatore. si parte
dall'ipotesi che K di individui debbano esprimere le loro preferenze rispetto a n situazioni sociali fornendo un ordinamento completo delle
alternative. Esse devono soddisfare simultaneamente seguenti criteri:

Universalità la regola di scelta collettiva deve essere in grado di funzionare per qualunque struttura delle preferenze individuali

condizione paretiana se tutti gli individui preferiscono un'alternativa ad un'altra anche a livello sociale deve valere lo stesso ordine di preferenza

indipendenza delle alternative irrilevanti gli ordinamenti sociali di una coppia di alternative non sono influenzati dagli ordinamenti ad altre
alternative

non dittatorialità le preferenze della società non devono riflettere quelle di un unico individuo.

3. IL PRINCIPIO DELL’UNANIMITA DI WICKSELL

l'analisi condotta dall'autore sull'offerta dei servizi collettivi giunge alla conclusione che solo meccanismo di votazione di realizza l'unanimità di
consensi può portare a una produzione efficiente dei beni pubblici. l'autore si rendeva conto delle difficoltà di raggiungere un consenso unanime,
perciò proponeva di assumere come criterio decisionale un meccanismo di voto ci imponesse una unanimità relativa, ossia una maggioranza
qualificata. il metodo di votazione è strettamente legato a un problema di minimizzazione dei costi. se si adotta un sistema bassa maggioranza, si
produce un costo connesso al fatto che le decisioni di poco entreranno in conflitto con la volontà degli altri. All aumentare del quorum richiesto per
l’approvazione , tale costo tende a diminuire e nel caso di unanimità si annullerà: lo indichiamo come costo esterno del meccanismo di voto. I costi
esterni si riducono al crescere della popolazione n degli elementi favorevoli, fino ad annullarsi in caso di unanimità (n=1). Invece, i costi interni
seguiranno un andamento opposto. Il punto n individua la regola di voto ottimale, in quanto rappresenta la proporzione di votanti in corrispondenza
della quale la somma verticale delle curve dei costi raggiunge il minimo.

4.LA VOTAZIONE A MAGGIORANZA IL PARADOSSO DI VOTO

Nel sistema di voto a maggioranza, che è il più utilizzato nelle decisioni collettive, una proposta viene approvata se si pronuncia a favore la metà più
uno dei votanti. Tuttavia le varie teorie sui meccanismi di votazione mostrano i limiti di tale sistema.

Il paradosso di voto dipende dal fatto che le preferenze di ogni singolo votante sono coerenti mentre quelle comunità non lo sono.

La manipolazione dell’ordine del giorno è il processo mediante il quale si organizza l’ordine di votazione per ottenere un certo risultato.

La ciclicità del voto è dovuta al fatto che la collettività vada avanti all’infinito nelle sue votazioni, senza prendere una decisione definitiva.

4.1 IL TEOREMA DELL’ELETTORE MEDIANO

Questo teorema afferma che se tutte le preferenze sono unimodali, il risultato di una votazione a maggioranza coinciderà con la preferenza
espressa dal votante mediano.

5. LO SCAMBIO DEI VOTI

Lo scambio dei voti permetterebbe ai votanti di manifestare l’intensità del loro interesse verso una determinata proposta, garantendo un tasso più
elevato di utilità pubblica. Questo sistema fa si che vengono prese decisioni di cui beneficia un solo gruppo, il quale, ottenuti dei voti da un altro
gruppo di minoranza, ricambierà il favore votando in difesa di un interesse di quest’ultimo.

6. RAPPRESENTANZA DEMOCRATICA: I POLITICI, I BURUCRATI E I GRUPPI DI PRESSIONE.

I Politici che intendono massimizzare i voti adottano il programma preferito dal votante mediano. I sistemi bipolari tendono alla stabilità, nel senso
che entrambi i poli si posiziono intorno al centro. La seconda è che risulta inutile sostituire l’elezione diretta con un sistema rappresentativo, in
quanto entrambe le forme di democrazia riflettono le preferenze del votante mediano.

I Burocrati: il loro interesse si concentra sul potere, sul clientelismo e sullo status che occupano nella società. Tutti questi elementi si pongono in
relazione diretta con la dimensione del bilancio di cui dispone il funzionario.

I Gruppi di pressione: costituiti da individui accumunati dai medesimi interessi. Essi presentano elevati tassi di partecipazione e spesso dispongono
di ingenti risorse, grazie alle quali sono in grado di contribuire alle campagne elettorali.

CAPITOLO 5 KEYNES E LA FINANZA CONGIUNTURALE


1.LA FINANZA DEL REDDITO NAZIONALE

Le concezioni economiche e neoclassiche si rilevarono inadeguate nel periodo compreso tra le due guerre mondiali ed in particolare a seguito della
crisi economica del 1929 allorchè venne messa in discussione la presunta capacità dei sistemi economici di riequilibrarsi senza bisogno di interventi
esterni di assicurare la completa occupazione dei fattori produttivi. Keynes cercò invece di creare un modello interpretativo in cui non si partisse da
un'ipotesi di piena occupazione: da ciò l'esigenza di un massiccio intervento da parte dello Stato nel sistema economico.

2: IL PENSIERO KEYNESIANO

Il pensiero di Keynes si fonda su tre pensieri: la moneta, il ripudio della legge di say e la rigidità dei salari.

2.1. LA MONETA

Per l'autore l'economia capitalistica e un'economia monetaria: in essa la moneta non svolge soltanto una funzione di intermediario degli scambi e di
un'unità di misura del valore, ma hai il ruolo di fondo di valore: in determinati momenti di incertezza congiunturale, gli operatori possono ritenere
più vantaggioso detenere presso di sé scorte monetarie liquide piuttosto che impiegarle in una qualsiasi forma di investimento. così facendo essi
rinunciano alla remunerazione del capitale preferendo la liquidità tipica della moneta, la capacità, cioè di tramutarsi immediatamente in risorse
reali.

2.2. IL RIPUDIO DELLA LEGGE DI SAY

Per Keynes Il risparmio non inteso come offerta di capitali, ma come reddito non consumato: poiché il consumo e funzione del reddito, ne consegue
che anche il risparmio dipenderà dal reddito, viene così a cadere l'uguaglianza investimenti risparmi che per i neoclassici si realizzava
automaticamente sul mercato dei capitali grazie al tasso di interesse.

2.3 LA RIGIDITA DEI SALARI

I salari monetari sono rigidi verso il basso non possono cioè scendere sotto un determinato livello. ciò comporta l'impossibilità go di raggiungere noi
equilibrio ottimale sul mercato del lavoro.

3 IL COMPITO DELLO STATO IN KEYNES

L'autore sostiene la finanza congiunturale, diretta svolgere un'azione compensatrice nelle opposte fasi, espansiva e depressiva, della congiuntura. in
questo modo la finanza pubblica poteva:

correggere bilanciare gli andamenti dei cicli economici

mantenere in pieno regime di occupazione le diverse forze di produzione

stabilizzare o anche incrementare reddito nazionale

prevedere le esigenze delle generazioni future

eliminare gli squilibri territoriali e settoriali

In altri termini la finanza pubblica doveva agire sul sistema economico nazionale trasformarsi da mera attività di raccolta di danaro per affrontare la
spesa pubblica in un'attività di direzione di politiche economiche e sociale. Nella teoria Keynesiana, invece esso diventava uno strumento
permanente dell'attività finanziaria dello Stato, in grado di regolare continuamente l'andamento dei cicli economici: il meccanismo economico che
consentiva di ottenere questo risultato era il moltiplicatore, strumento attraverso il quale possibile stimolare il sistema economico in periodi di crisi
e di rallentare l'espansione nelle fasi di boom economico

5 IL FINANZIAMENTO DELLA SPESA PUBBLICA MEDIANTE IMPOSTE

Secondo l'autore la spesa pubblica non avrebbe dovuto essere finanziata dall'emissione di cartamoneta, poiché ciò avrebbe comportato effetti
inflazionistici. Spese i lavori pubblici finanziate con prestiti pubblici avrebbero invece generato reddito senza distruggere risorse, semplicemente
convertendo i risparmi in investimenti. in alternativa la spesa pubblica avrebbe potuto essere finanziata facendo ricorso al sistema classico della
tassazione. un'imposta progressiva sui redditi avrebbe consentito per esempio di ridistribuire risorse a favore delle classi più disagiate caratterizzate
da una più alta prevenzione al consumo. l'imposizione fiscale però riduce l'effetto espansivo del moltiplicatore. il moltiplicatore del reddito in
presenza di un'imposta progressiva sul reddito: un incremento iniziale della domanda pubblica avrà in questo caso un effetto minore poiché le
imposte riducono quella parte di reddito che gli individui possono destinare al consumo.

6: IL TEOREMA DI HAAVELMO

secondo l'autore un aumento della spesa pubblica compensato da un aumento delle entrate fiscali o comunque produrre effetti espansivi per il
sistema economico anche se ovviamente inferiori rispetto a quelli ipotizzati da Keynes. secondo questo teorema detto anche del bilancio in pareggio
una politica economica che miri contemporaneamente ad aumentare in egual misura spesa pubblica e prelievo fiscale in modo che non si abbia né
miglioramento né peggioramento del bilancio statale può ugualmente far crescere il reddito di equilibrio. Infatti gli effetti di una spesa pubblica
addizionale saranno maggiore degli effetti deflazionistici dovuti alle nuove tasse poiché queste ultimo e ridurranno sia il reddito disponibile ma
questa riduzione verrà ripartita tra consumi risparmi: proprio il ricorso al risparmio per finanziare nei loro tasse bilancerà parzialmente la deflazione
d'origine fiscale.

7. LE POLITICHE DI STABILIZZAZIONE

per stabilizzatori automatici si intendono quelle caratteristiche del sistema economico che tendono ad attribuire l'ampiezza dei movimenti di
recessione e di espansione senza alcun intervento discrezionale di politica economica. possono essere considerati stabilizzatori automatici del
reddito: l'esistenza stessa di un ampio settore pubblico quest'ultimo infatti è caratterizzato da una minore flessibilità nel processo decisionale così
che la spesa pubblica può essere considerata nel breve periodo alquanto rigida e ciò attutisce le variazioni congiunturali del reddito.

ancora più determinante però le esistenza di variabili fiscali entrate spese pubbliche che automaticamente smorzano le fluttuazioni del reddito.

8. LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA

La programmazione economica è intesa come previsione completa e dettagliata delle attività produttive e delle strategie di politiche economiche e
finanziarie che lo stato dovrebbe attuare in un certo numero di anni. questa programmazione globale statale può essere definita pianificazione
economica. condizioni necessarie per la pianificazione di un'economia nazionale sono:

la stabilità politica cioè l'esistenza di una concreta volontà politica

un adeguato livello delle conoscenze in materia di economia da parte della classe dirigente

la disponibilità di un'organizzazione amministrativa capace di estendersi anche dalla periferia.

Il tema della pianificazione ha un carattere generale perché riassume tutte le decisioni in materia di spesa e di entrata che siano venuti fin qui
descrivendo.

la pianificazione è globale e imperativa anche se lascia zone libere alle iniziative dei singoli operatori: se la pianificazione non è globale si può parlare
di interventi, non di programmazione né di genuino senso del termine. La programmazione invece viene promossa in vista di un migliore impiego
delle risorse produttive a disposizione della collettività.

i limiti intrinseci della programmazione sono

l'inadeguata rilevazione statistica e lo studio carente della situazione economica

la difficoltà di tener conto nel piano dei progressi della tecnica

la difficoltà di determinare gli investimenti la domanda futura

la difficoltà di individuare criteri politici che devono presiedere alla pianificazione stessa.

CAPITOLO 6 I LIMITI DELLE POLITICHE FISCALI

1.I LIMITI DELLE TEORIE KEYNESIANE

Il problema principale a partire dallo shock petrolifero del 1973 e 1974 sono state più e divenuto la stagflazione, ovvero la presenza contemporanea
di stagnazione e inflazione. Contro queste nuovo nemico le teorie keynesiane si sono mostrate inadeguate. A questo parziale fallimento, prima
teorico che pratico hanno cercato di rispondere economisti di diverse correnti. Alcuni hanno ritenuto che la validità delle politiche fiscali adottate
nel secondo dopoguerra fosse limitata alla particolare congiuntura economica.

2. LE CRITICHE ALLO STOP AND GO

Secondo l’impostazione originale di Keynes, la politica fiscale doveva essere utilizzata soprattutto tramite programmi di lavori pubblici da realizzarsi
durante le fasi di depressione. Questa impostazione fu adottata in quasi tutti i paesi occidentali nel dopoguerra, portando allo sviluppo delle
cosiddette politiche stop and go, ovvero politiche deflazionistiche quando l’economia era in fase espansiva e politiche espansive nelle fasi di
recessione.

3. I LIMITI DEGLI STABILIZZATORI AUTOMATICI

La presenza di stabilizzatori automatici tipici ormai di tutti i sistemi fiscali moderni ha effettivamente contribuito a rendere meno traumatiche li
fluttuazioni del ciclo economico. nel lungo periodo gli stabilizzatori automatici possono paradossalmente avere effetti recessivi. Se infatti l'economia
si mantiene per un periodo abbastanza lungo in condizioni di pieno impiego e contemporaneamente, si è in presenza di imposte sul reddito
fortemente progressive, si determinerà un costante avanzo di bilancio, il che comporta quasi sempre pericoli deflazionistici.

4. IL CROWDING OUT O SPIAZZAMENTO

Per molti autori una politica fiscale espansiva finisse quel sottrarre risorse al settore privato, spostandole in direzione del settore pubblico. tale
fenomeno opera sicuramente se l'economia e già prossima alle condizioni di pieno impiego, mai osservabile anche in situazioni di sotto
occupazione. se infatti lo stato finanzia la propria spesa ricorrendo al debito pubblico, per collocare i propri titoli presso gli operatori privati dovrà
offrire tassi di interesse competitivi. Ciò comporterà un aumento generalizzato della struttura dei tassi di interesse e di conseguenza una riduzione
degli investimenti privati.
5. LA CRITICA MONETARISTA

Il pensiero monetarista afferma che le grandezze monetarie non influenzano le grandezze reali e il sistema economico è sempre in grado di
assicurare il pieno impiego dei fattori produttivi.

CAPITOLO 7 ECONOMIA DEL BENESSERE

1.OGGETTO DI STUDIO

L’economia del benessere può essere definita come quel filone della teoria economica che valuta la desiderabilità sociale di situazioni economiche
alternative.
2.OTTIMO PARETIANO

Per pareto un sistema efficiente se non è possibile aumentare il benessere di un individuo senza diminuire il benessere di qualcun altro. Pareto
individua le tre condizioni che garantiscono l'efficiente allocazione delle risorse:

-efficienza produttiva

-efficienza nello scambio

-efficienza sociale.

l'efficienza produttiva si realizza se non è possibile incrementare la produzione di un bene senza diminuire la quantità prodotta di un'altro bene.

graficamente le combinazioni efficienti dal punto di vista tecnico sono rappresentabile mediante la cosiddetta frontiera delle possibilità produttive.
più precisamente, dati 2 beni, Essa indica la quantità massima producibile di un bene per ogni data quantita dell'altro. Dentiera delle possibilità
produttive e una curva decrescente, in quanto all'aumentare della produzione di un bene diminuisce quella dell'altro, inoltre la curva e concava
verso l'origine degli assi, essa cioè decresce via via sempre più rapidamente: l'aumento della quantità prodotta di un bene può essere, conseguito
solo sacrificando quantità sempre maggiori dell'altro.

l'efficienza nello scambio sia quando tutti i componenti della collettività ricevono o cedono esattamente la quantità di beni che desiderano.

Efficienza sociale rappresenta la classificazione delle preferenze di una società rispetto a situazioni economiche alternative, indicando quale, tra le
diverse possibili allocazione delle risorse, è quella preferita dalla collettività e costituira quindi l'obiettivo della politica redistributiva dello Stato.
L'ottimo sociale si ha il punto in cui la più alta curva di indifferenza sociale raggiungibile e tangente alla curva di trasformazione. nel punto di
tangenza si realizzano le tre condizioni necessarie per l'ottimo allocazione delle risorse. in questo modo l'efficienza allocativa viene giudicata sulla
base di due postulati etici generali di individualismo (che poi e il singolo il migliore giudice della propria situazione) e l'aggregazione delle preferenze
individuali.

3. EFFICIENZA E BENESSERE

il surplus del consumatore corrisponde alla differenza positiva tra il prezzo massimo che gli sarebbe disposto a pagare per acquistare un'unità di un
bene e il prezzo effettivamente sostenuto. Analogamente, il surplus del produttore e pari alla differenza fra il prezzo al quale gli vende un'unità del
prodotto e il prezzo minimo al quale avrebbe potuto venderla senza incorrere in perdite (cioè il costo marginale). quando il surplus e massimo si
dice che si è raggiunta una situazione di efficienza allocativa delle risorse, in quanto nessuno scambio aggiuntivo può migliorare ulteriormente il
benessere complessivo. poiché q rappresenta il livello produttivo di equilibrio e regime di concorrenza perfetta, ne deduciamo che un settore
perfettamente concorrenziale permette di massimizzare il surplus totale e di raggiungere, dunque, la piena efficienza relativa allocativa delle risorse.

4. I TEOREMI DELL’ECONOMIA DEL BENESSERE.

il primo teorema dell'economia del benessere

il mercato senza l'intervento statale può ingannare un equilibrio di ottimo paretiano sei sono soddisfatte quattro condizioni:

-presenza di una concorrenza perfetta: tutte le imprese accettano il prezzo come un dato (inoltre esclusa la presenza di rendimenti crescenti di scala
(monopolio naturale).

-assenza di beni pubblici, caratterizzati da non escludibilità e non rivalità.

-assenza di esternalità: ogni interazione tra gli agenti passa attraverso il sistema dei prezzi del mercato.

-presenza di un'informazione completa (assenza di asimmetrie informative).

secondo teorema stabilisce che qualunque allocazione di risorse di ottimo paretiano può essere ottenuta con il meccanismo di mercato previa
opportuna distribuzione iniziale delle risorse stesse. lo stato svolge quindi una funzione redistributiva del reddito utilizzando come i criteri guida i
giudizi di valori prevalenti.

CAPITOLO 8 LA REDISTRIBUZIONE DEL REDDITO: LE FUNZIONI DEL BENESSERE SOCIALE

1: LA DISTRIBUZIONE DEL REDDITO

L'analisi economica ha elaborato due definizioni di distribuzione del reddito: Distribuzione funzionale e distribuzione personale.
la distribuzione funzionale consiste nella ripartizione del reddito tra i fattori che hanno contribuito alla sua produzione. essa comprende redditi da
lavoro dipendente, i profitti le rendite e gli interessi.

la distribuzione personale riguarda la ripartizione del reddito e della ricchezza tra i soggetti appartenenti alla società.

Sono molteplici i fattori che incidono sulla distribuzione personale delle risorse: il livello di reddito e di istruzione della famiglia, l’eredità e la
disponibilità del capitale umano.

I dati riguardanti la distribuzione del reddito vengono raccolti dagli istituti nazionali di statistica, tramite indagini campionarie sui bilanci familiari.
Per elaborare questi dati, è necessario far riferimento a una definizione di reddito.

Il reddito di un individuo comprende l'ammontare di risorse consumate risparmiate in un dato periodo. Il reddito è calcolato su base annua e ciò
non sempre riflette correttamente la situazione economica di un individuo. Infatti, da un anno all'altro si possono verificare variazioni impreviste di
questa grandezza. Inoltre, il reddito muta nelle diverse fasi dall'esistenza di una persona: è basso quando si è giovani, è più alto in età adulta e si
riduce di nuovo in età pensionabile.

3.LA CURVA DI LORENZ E INDICE DI GINI

Misurare la disuguaglianza vuol dire associare una distribuzione N redditi un unico valore, che sintetizzi il livello di concentrazione della
distribuzione stessa. Una misura relativa della disuguaglianza è data dalla curva di lorenz, che esprime la quota di reddito complessiva detenuta da
percentuali cumulate dalla popolazione. Sull’ asse orizzontale del piano cartesiano sono riportate le percentuali di famiglie appartenenti ad una data
popolazione, ordinate in maniera crescente in base al reddito. Sull’ asse verticale, invece è riportata la parte del reddito totale posseduta da
ciascuna quota percentuale di famiglie. Se i redditi fossero distribuiti esattamente in parti uguali la curva di lorenz verrebbe a coincidere con la
bisettrice: in questo caso, ogni percentuale della popolazione disporrebbe della medesima quota di reddito complessivo. Al contrario, qualora tutto
il reddito si concentrasse nelle mani di una sola famiglia la curva coinciderebbe con l’asse orizzontale. L’indice normalmente utilizzato per misurare
la disuguaglianza nella distribuzione del reddito è quello di Gini, pari al rapporto tra l'area A e la somma delle aree A e B. Tale indice è pari a zero
quando il reddito è distribuito equamente (la curva coincide con la bisettrice e l'area ad essa sottostante è nulla); è pari a 1 quando la disuguaglianza
è massima (una sola famiglia detiene tutto il reddito). Pertanto, l'indice di gini aumenta con l'aumentare della disuguaglianza, ovvero man mano del
reddito e tende a concentrarsi.

4. CONCETTO DI POVERTA

La povertà si può definire come uno stato di disagio economico comporta livelli inadeguati di spese benessere. Il riconoscimento di tale condiziona
si basa sulla fissazione di una linea della povertà, ossia la soglia corrispondente al livello di reddito ritenuto sufficiente a garantire un tenore di vita
adeguato. Il

5.UTILITARISMO

L’ economia del benessere afferma che se una società è composta da n individui il utilità dell’i esimo individuo è U1, il benessere sociale W sarà
funzione delle utilità individuali: W=F (U1, U2 … U N .)

L’equazione 1 viene chiamata funzione del benessere sociale additiva. Secondo gli utilitaristi, il reddito va ridistribuito a condizione che W aumenti.

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