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ROMANO GUARDINI, DIALETTICA E ANTROPOLOGIA-MASSIMO


BORGHESI.
Romano Guardini nel 1925 (docente all’università di Berlino) pubblica un testo dal titolo
“l’opposizione polare: saggio per la teoria del concreto vivente”.
Formula una teoria della polarità della vita che guiderebbe tutta la nostra esistenza e psicologia.
Egli è un pensatore italo-tedesco che trascorre la sua esistenza Hno alla seconda guerra mondiale a
Berlino. La sua cattedra viene abolita nel ‘39 dallo stato nazionalsocialista, si rifugia da un amico
per il periodo di guerra, insegnerà all’università di Monaco e muore nel 1968.

è uno degli autori più interessanti del ‘900, dal punto di vista HlosoHco l’opera più importante è del
1925 che porta il titolo “Der Gegensaltz”=”L’opposizione polare”, il cui sottotitolo è “tentativi per
una HlosoHa del concreto vivente”.
È un’opera molto originale e interessante in cui Guardini deposita la sua visione della vita e della
tensione che guida la vita di ogni uomo. È un’opera su cui lui lavora per 20 anni perché la prima
formulazione, la prima idea di questo lavoro è del 1905 (ancora studente universitario).
Non sviluppa questa idea da solo, ma con un amico di nome Karl Neundörfer che è una personalità
intellettuale stroncata prematuramente nel 1926 in una escursione (cade in un crepaccio e muore).
Neundörfer insieme a Guardini è uno dei protagonisti di questa idea della polarità della vita (le idee
erano discusse, maturate insieme).

Nel testo “Romano Guardini- Antinomia della vita e conoscenza a\ettiva” il professore ha
ricostruito anche la formazione giovanile del pensiero guardiniano.

La psicologia di Guardini ha a che fare con la teoria della polarità della vita: dagli epistolari e da
altro materiale inedito emerge che la nota dominante della sensibilità del giovane Guardini viene
espressa in una parola: malinconia.
Il giovane Guardini in tutta la sua adolescenza è profondamente malinconico.
Ad un anno Guardini viene portato in Germania dalla famiglia che si trasferisce a Magonza e come
accade spesso per gli emigrati il padre era sempre fuori per la sua vita lavorativa, la madre non
amava questa nuova sistemazione e rimpiangeva la terra italiana e quindi non ha molti rapporti
con l’esterno: la vita nella casa diventa una vita molto chiusa. Guardini ha altri 3 fratelli che vivono
sostanzialmente tra casa e scuola, non hanno rapporti con l’esterno perché la famiglia non ha
rapporti col mondo esterno. Il giovane Guardini, quindi, cresce in questo mondo chiuso.
È un mondo senza mondo, un mondo conHnato. Il loro stato di relativa agiatezza (piccola-media
borghesia) non toglieva che erano privati di quei giochi e di quella dimensione sociale che ha tanta
importanza nella formazione di un bambino.
Tutti i ritratti dell’epoca lo descrivevano come gentile, cortese, ma chiuso e riservato. Lui stesso
ricorda che viveva in una sorta di mondo interiore privato della realtà propria di tutti i ragazzi tra i
10 e i 18 anni.
Ricorda come la malinconia lo caratterizzasse profondamente: questo senso di evanescenza del
mondo, di chiusura introspettiva, di sprofondamento in una interiorità inaccessibile, una di_denza
verso il mondo esterno.
Guardini nel ‘28 scrive un saggio dedicato a Kierkegaard sulla malinconia che è anche la nota
dominante in Kierkegaard. Guardini si ritrova moltissimo in lui, descrivendo Kierkegaard descrive sé
stesso perché Guardini ha dovuto vincere la malinconia o quanto meno ha dovuto collocarsi oltre,
perché la malinconia è una sensazione che può aprirti al senso dell’inHnito, al senso di una bellezza
che non muore, ma allo stesso tempo può anche ucciderti, può farti sprofondare nel nulla interiore.
La malinconia è qualcosa per cui il mondo non è più reale, diventa evanescente, buido e si perde.

Le lettere di Guardini, soprattutto quelle scambiate con Josef Weiger, sono importantissime perché
ci fanno ripercorrere (in particolare dal 1909 al 1925) l’evoluzione delle sue idee, dei suoi
sentimenti e dei suoi progetti.
Da questo carteggio comprendiamo che Guardini ha un bisogno disperato di uscire dalla sua
interiorizzazione eccessiva, la so\re dolorosamente, vuole ritrovare il contatto con la realtà e con il
mondo, vuole uscire da quell’io profondo di cui parlava Laing, da quell’io che dichiara essere il
mondo e il corpo il falso io.
Ha lo stesso problema di una personalità scissa.
La fede che riscopre ad un certo punto della vita lo aiuta, però deve metterci anche del suo e in

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questo tentativo di elaborare una concezione della vita lui passa attraverso la sua psicologia: una
psicologia so\erta, segnata da questa malinconia che lo raggela da cui sembra non sapere come
uscire fuori, ma trova conforto nelle personalità dei suoi due amici che rappresentano quasi dei
contro-poli rispetto alla sua personalità del momento.

Josef Weiger è un realista pragmatico, ha il senso forte della realtà della vita, dei rapporti col
mondo esterno, il contrario dell’idealismo esagerato ed esasperato di Guardini.
Guardini vede il suo incontro con Weiger come una fortuna visto che quest’ultimo ha “i piedi per
terra” e ogni volta lo riporta al senso della realtà, al senso delle cose del mondo.
Weiger è l’essere nel mondo di Guardini, lo riporta dall’astrazione delle idee, dei pensieri vuoti nel
campo empirico: Guardini vola verso l’universale, Weiger lo riporta al particolare.
Si ha una tipica tensione polare: Weiger corregge l’unilateralità della posizione di Guardini, è un po’
il terapeuta (colui che riporta lo schizoide nel mondo reale, che lo aiuta a superare la barriera).
Per Guardini la barriera da superare era la madre che era molto trattenuta, non riusciva ad essere
e\usiva, materna, era sempre un sentimento contenuto per cui rimaneva sempre una distanza.
La malinconia è sempre il frutto di una distanza tra il bambino e sua madre, è un’a\ettività non
corrisposta e Guardini da questo punto di vista è un caso emblematico.
Lui deve ritrovare il rapporto con la realtà, una positività che gli permetta di uscire dalla sua
prigione, dal suo bozzolo, dal suo io interiore.
L’altro amico è Karl Neundörfer che è colui che ha il senso politico, il senso della realtà storica, il
senso giuridico: tutto ciò che a Guardini letteralmente manca. Guardini è tendenzialmente un
metaHsico, ma senza che tutto ciò si paragoni minimamente con la storia, con il mondo, con la
legge, con gli ordinamenti, con la politica.
Guardini è impolitico, vive come se vivesse nell’empireo, in una fortezza celeste: Neundörfer lo
riporta con i piedi per terra e gli apre il continente della storia, permette di capire come le idee
abbiano una valenza storica, non sono mai semplici idee in un iperuranio. Le idee implicano dei
movimenti dentro la storia: se un’idea è falsa produce una violenza dentro la storia, se è vera può
aprire invece momenti di incontro, di confronto e di paciHcazione.
I due amici di Guardini sono due correttivi rispetto alle sue tendenze isolazioniste (sul piano della
sua psicologia).

Sul piano teorico tutto ciò implica l’idea di quella che lui intorno al 1910 chiama “Teoria di
carattere”, cioè una caratterologia.
Inizialmente Guardini vuole scrivere una teoria del carattere in chiave psicologia, questa teoria
dovrebbe incarnarsi in una teoria di tipi psicologici, cioè Guardini pensa che ogni carattere
costituisca un tipo, un modo di essere psicologico (tipo attivo, tipo bemmatico, tipo passivo…).
Guardini vuole scrivere questa teoria dei caratteri, ma questo suo progetto si perde per strada
perché scopre che un’altra persona aveva scritto nel frattempo una caratterologia e quindi capisce
che è stato anticipato su questo tema.
Allora si concentra sul tema dei tipi psicologici: questa teoria dei tipi all’epoca era in voga, era una
moda, la sociologia (es: Max Weber) soprattutto si interessava delle tipologie dell’essere umano: la
tipologia era un metodo di classiHcazione di vari tipi di comportamento, vari modi di essere.
Un sociologo tedesco (Werner Sombart) studia le tipologie umane soprattutto nell’era del
capitalismo che si stava imponendo in Europa e analizza la Hgura dell’imprenditore: l’imprenditore
non è solo un mestiere, ma è anche un tipo psicologico, l’imprenditore è dinamico, attivo, carico di
inventiva, è colui che anticipa il futuro: l’imprenditore moderno ha una serie di caratteristiche che
lo qualiHcano come tipo psicologico.
Questa teoria dei tipi la ritroviamo anche in Karl Jaspers soprattutto nella sua opera “psicologia
delle visioni del mondo” del 1919 in cui anche lui mette in relazione tipologie psicologiche diverse.
La ribessione di Guardini sulla teoria dei tipi psicologici non è solitaria, ma si colloca dentro un
contesto culturale molto di\uso.
Questa teoria dei tipi psicologici trova la sua sistemazione in un saggio breve del 1914 in cui
Guardini deposita per la prima volta la sua visione della polarità.
Questa visione è ancora connessa a una teoria dei tipi psicologici: concezione polare della vita e
teoria dei tipi psicologici vengono associati in questo saggio come se fossero due momenti di una
medesima ribessione.
In questo saggio del ‘14 (prima traduzione italiana nel 2007) pubblicato in una rivista di secondo
piano, Guardini a\accia una teoria originale con una deHnizione: “l’essere è bilaterale”.

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Il volto dell’essere si mostra a noi sempre dentro ad una polarità, non in maniera semplicemente
statica e non secondo una deHnizione univoca: l’essere si mostra sempre a doppia faccia.
La vita umana è caratterizzata da una tensione polare in cui i due poli non rappresentano due
personalità contrapposte (bipolarità).

Nel 1925 Hnalmente si ha il libro sulla polarità della vita “l’opposizione polare”.
Guardini si decide nel 1925 perché ottiene la cattedra all’università di Berlino dove gli chiedono
delle pubblicazioni per giustiHcare il suo insegnamento, quindi è costretto a tirar fuori i suoi
manoscritti nonostante si mostri insoddisfatto perché avrebbe voluto lavorarci ancora.
È un autocritico di sé stesso, infatti vede l’opera come incompleta, imperfetta.
Nonostante questi limiti è un’opera molto originale.
Stiamo parlando di un saggio di antropologia perché si parla di polarità della vita, ma con questo
termine si vuole designare un’immagine dell’uomo.
Questa immagine dell’uomo viene fuori come risultato terapeutico della sua stessa psicologia.
Il problema di Guardini, infatti, è come riconquistare il rapporto con il mondo, come uscire
dall’interiorizzazione eccessiva, come trovare la sponda con la realtà oggettiva, come superare il
soggettivismo estremo, lo psicologismo estremo.
Superare questa chiusura interiorizzante signiHca ritrovare una tensione costruttiva e positiva con
la realtà esterna: uscire dall’immanenza per ritrovare la trascendenza (rapporto fuori di me).
Questa tensione tra immanenza e trascendenza, tra interiorità ed esteriorità è la formula della
dialettica polare.
Guardini si rende conto che la vita è sana solo quando vive in una tensione polare: se io assolutizzo
un polo della vita (es: interiorizzazione) rischio di avvitarmi in un gorgo profondo e di non uscirne
più, viceversa se io dissipo la mia esistenza in uno stordimento per cui non penso mai a me stesso
allora vi è una forma di patologia, sto assolutizzando il polo dell’esteriorità, dell’oggettività,
dell’essere altro da me e rischio di cadere in una distruzione della vita.
Guardini intuisce che la vita per essere psicologicamente sana deve muoversi in una tensione tra
due poli complementari e distinti.
Il sistema della polarità viene ediHcato da Guardini a partire dall’idea che esiste una legge della
vita che è data da questa tensione tra gli opposti.
Tra questi opposti vi è un rapporto di di\erenza e di co-appartenenza, gli opposti non sono identici,
ma non sono radicalmente opposti, non si negano l’uno con l’altro escludendosi: sono di\erenti e
sono complementari allo stesso tempo (l’uno richiede almeno un po’ dell’altro).
Che nella vita possa prevalere un opposto sull’altro non è uno scandalo, ognuno di noi porta un
timbro particolare, il problema si ha quando un polo della vita tende ad escludere
sistematicamente l’altro, allora quel polo assolutizzato diventa patologico.
Guardini ribette sul suo caso, sulla sua malinconia, sui rischi della sua vita e a partire da ciò
sviluppa una sorta di terapia, di modello psicologico e antropologico grazie al quale si può
ristabilire un equilibrio perduto laddove una polarità viene ad essere dissolta dal suo contro-
polo.Guardini pensa di aver delineato nell’opera del ‘25 un vero e proprio sistema degli opposti
(pag 23). Lui è convinto che le polarità della vita si organizzino tra di loro non in maniera caotica,
ma secondo una vera logica, un sistema.
Distingue gli opposti in due grandi categorie o classiHcazioni:
▪ opposti categoriali
▪ opposti trascendentali.
Gli opposti categoriali concernono i contenuti dell’opposizione, mentre gli opposti trascendentali
concernono semplicemente la forma dell’opposizione.
Gli opposti categoriali a loro volta si dividono in due:
▪ opposti intraempirici
▪ opposti transempirici.
Gli opposti intraempirici sono quegli opposti di cui la vita fa esperienza da sé stessa: io posso
esperire tanto un opposto quanto l’altro (ambedue gli opposti intraempirici sono oggetto di
esperienza psicologica).
Questi opposti intraempirici si suddividono a loro volta in 3 coppie polari che corrispondono ad
altrettanti tipi psicologici:
▪ atto-struttura
▪ informale-formale
▪ singolarità-totalità.

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Ogni polo di una coppia polare in realtà descrive un tipo psicologico.


Guardini non ha abbandonato la teoria dei tipi psicologici, ma quella teoria è diventata una teoria
dei poli in un sistema dell’opposizione polare. Ha inglobato la sua idea dei tipi psicologici all’interno
del sistema dell’opposizione polare.
La prima coppia degli intraempirici è atto e struttura: la vita è tanto atto quanto struttura.
In tedesco atto diventa “akt”, ma “akt” può voler dire tante cose, innanzitutto attività, poi azione...
Secondo Guardini la vita è sperimentabile in due modi: la vita è azione, mobilità, divenire (nella
vita nulla rimane fermo, ciò che è vitale è dinamico), ma dall’altra parte la vita è segnata dal
tempo e il tempo vissuto non è come il tempo dell’orologio (tempo meccanico): quest’ultimo è
sempre uguale, monotono, invariato.

In questa concezione eraclitea della vita (vita come divenire puro che non ammette più nulla di
fermo) la ritroviamo anche in un autore che ha inbuenzato Guardini: Georg Simmel.
Simmel è un Hlosofo tedesco molto famoso negli anni che precedono e seguono la prima guerra
mondiale che scrive nel 1918 un’opera dal titolo “l’intuizione della vita”. Per Simmel la vita è
caratterizzata da una tensione continua tra la vita stessa e le forme della vita: la vita è un continuo
divenire, buire, che però deve cristallizzarsi via via in delle forme Hnite in cui si manifesta, si
realizza.
Queste forme non possono trattenere la vita se non per un attimo breve, perché dopo un po’ la vita
ha bisogno di realizzarsi in forma nuove e quelle vecchie vengono abbandonate.
Nella concezione di Simmel la vita è un perpetuo divenire che coinvolge le forme Hnite di cui si
riveste (concezione relativistica perché non c’è nessuna forma che dà soddisfazione alla vita,
concezione inquieta del vivere che manifesta la sensibilità della cultura europea post-guerra).

L’opera di Guardini si inserisce in quadro che è questa dialettica fra la vita e le forme della vita che
costituisce un punto della cultura europea e che ribette lo spaesamento prodotto dalla guerra

La HlosoHa di Gentile è la HlosoHa dell’attualismo, dell’atto puro, non è altro che una HlosoHa del
divenire puro (come in Simmel).
Gentile è colui che a\erma che la vita sta nell’attività ed è il continuo divenire degli atti, non c’è
nulla di fermo, ma tutto è il prodotto di una attualizzazione continua.

Guardini sta dicendo che la vita può esprimersi come attività, come atto, però lui non è uno di
questi autori del divenire puro: lui dice che la vita è così, ma per un certo aspetto non può essere
solo così.
Per Guardini ogni atto richiede un momento fermo, non c’è un’attività pura nella vita, se ci fosse
sarebbe la distruzione della vita.
Il tipo psicologico che incarna la vita come atto è l’attivista (può essere anche un carattere senza
che questo sia patologico), ma quando l’attivista diventa l’iperattivo (dorme poco, è sempre in
azione, non è mai tranquillo) l’azione inizia a divorarlo, non c’è più un punto fermo. Il suo stesso io
è diventato talmente mobile che non sta mai fermo, cambia continuamente (di umore, di
attenzione, di direzione).
Il polo dell’atto ha bisogno di un contro-polo per poter essere, per poter vivere in maniera sana, per
non impazzire. Questo contro-polo è l’identità ferma: se tutto diviene io devo rimanere fermo,
altrimenti vengo travolto dal divenire.
Il divenire per poter buire implica qualcosa di durevole, qualcosa che permane.
È vero che la vita è un divenire, ma nel divenire cambio e al tempo stesso permango: il mutare e il
permanere sono i due poli della vita e se viene meno uno di essi, viene meno anche l’altro, l’altro
divora tutto e divora anche sé stesso.
La vita si mantiene in una tensione polare.
Gli opposti sono opposti, ma non sono contraddittori, non si escludono, anzi, l’uno implica per
potere essere la presenza dell’altro. Questa presenza può variare quantitativamente (es: nel tipo
quieto, il polo strutturale sarà più espansivo rispetto al polo dinamico), ma ciò serve solo a
delineare il tipo psicologico, non descrive una patologia. Uno può essere un tipo tranquillo o un tipo
dinamico senza aver nulla di patologico: la patologia subentra quando un polo esclude l’antipolo,
quando lo divora, lo nega e lo annienta. In questo caso ci troviamo di fronte ad una crisi della vita:
la vita diventa unilaterale.
Se l’essere è bilaterale la vita non può essere unilaterale.

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Per questo si ha bisogno di una stabile struttura: quanto più mi muovo, tanto più ho bisogno di
questa struttura.
Il divenire presuppone l’essere perché il divenire puro non solo non è vivibile, ma non è nemmeno
concepibile: se esistesse un divenire puro non potrei neanche accorgermi che diviene.
Per poter “vedere” il movimento, uno ha bisogno di un punto di osservazione che non si muova, di
un punto fermo (Einstein: due treni alla stessa velocità→non so dire se siamo fermi o in
movimento).
Il punto di vista dell’osservazione presuppone un punto di vista per cui uno deve essere fermo e
uno in movimento.
La percezione del movimento implica che ci sia un punto di osservazione fermo.
Questo vale in generale nella vita: io posso sostenere la mia attività se c’è in me un punto saldo,
altrimenti vengo divorato dall’attività medesima.
Il divenire presuppone un volto, un centro personale, una identità che permane nel tempo: cambia,
ma non Hno al punto da travolgere l’identità medesima.
La vita in questo senso (vita come struttura) indica lo spazio: se la vita come divenire (come atto)
si muove nel tempo, la vita come struttura indica la spazialità, lo stare fermi, l’occupare una
determinata posizione.
Le categorie di spazio e di tempo si polarizzano anch’esse: sono due opposti che appartengono alla
polarità fondamentale tra atto e struttura.
L’atto indica la vita come tempo e la struttura indica la vita come spazio.
Guardini in maniera suggestiva situa queste fondamentali categorie come modalità polari
dell’esistenza.
La vita come struttura è una vita che tende ad essere conservativa, la vita come atto tende ad
essere innovativa.
Ogni polo tende irresistibilmente ad imporsi, ad essere egemonico e a dissolvere il contro-polo, ma
se arriva a tanto la vita viene eliminata perché la vita sta in questa tensione feconda tra polarità
diverse.
Questa prevalenza di un polo che ci caratterizza fa sì che ognuno si apra all’esterno nel cercare il
suo contro-polo come ciò che gli dà ossigeno, che lo corregge: il tipo fermo ha bisogno del tipo
dinamico, il tipo dinamico ha bisogno del tipo fermo.
Il polo strutturale quando si assolutizza assolutizza le forme e la vita viene raggelata dalla forma e
le forme diventano vere gabbie.
La vita si mantiene radicata e leggera se vi è sempre quest’equilibrio tra i poli (se nessuno dei due
si assolutizza): ferma e mobile allo stesso tempo (questa è la tensione sana della vita).
Questo modello antropologico è anche psicologico proprio perché Guardini l’ha tratto dalla sua
psicologia, ha lavorato sulla sua tensione psicologica e ne ha tirato fuori una formula antropologica
che in realtà spiega molto bene la psicologia umana.
La vita è il legame originario tra gli opposti.
Questi poli sono poli della vita, vita che trascende i poli stessi. La vita è più della polarità: se non
fosse più sarebbe spezzata dai due poli, ma la vita è l’unità che trascende la di\erenza (l’io è più
della tensione polare che lo abita perché l’io è l’identità nella di\erenza tra anima e corpo).
Con il termine “vita” Guardini intende la vita personale, la persona, l’io.
La vita dell’uomo è dominata da una tensione polare: il vivere è tensione polare, là dove non c’è
tensione polare non c’è vita (la vita tende a raggelarsi, a pietriHcarsi).
Se assolutizzo un polo della vita tolgo la vita e la pietriHco perché la vita sta solo nell’oscillazione
dei poli, nella tensione dei poli: questo rende vivo un uomo.
In lui vi è una tensione tra l’empirico e l’ideale, tra il particolare e l’universale, tra ciò che sono io e
ciò che sono gli altri, tra me e il mondo, tra l’io e il tu: è tutta una polarità e se io escludo uno dei
due poli mi distruggo, mi pietriHco, perdo vita.

La dialettica guardiniana è profondamente diversa da quella romantico-idealistica che si fonda sulla


contraddizione (un polo nega l’altro) e sul fatto che i due poli siano “maschere” di una stessa
sostanza perché per Guardini non c’è mai una negazione di un opposto da parte dell’altro e i poli
restano qualitativamente opposti e irriducibili tra di loro.
Guardini riHuta la concezione romantica del rapporto polare: il romanticismo è estetico, gioca con
gli opposti come se non fossero qualitativamente diversi, si può passare da un opposto all’altro
semplicemente per un rovesciamento dialettico, per una contraddizione interna. Invece in Guardini
per passare da un opposto all’altro occorre un salto qualitativo perché sono fenomeni

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qualitativamente diversi (concetto ripreso da Kierkegaard.


La di\erenza più importante tra dialettica guardiniana e romantico-idealistica sta nella distinzione
tra bene e male.
Per il Romanticismo bene e male diventano i poli della vita, cioè diventano gli opposti dell’essere,
dell’esistente.
Per Guardini, invece, bene e male sono contraddittori, non sono opposti perché gli opposti hanno
bisogno l’uno dell’altro, ma il bene non ha bisogno del male, il bene può essere senza
minimamente necessitare del male: il bene è auto-sussistente, è autosu_ciente, ha diritto di
esistere per sé proprio perché è bene. È il male che non ha diritto di esistere, di essere, il male è
parente del nulla, non ha consistenza, è semplicemente il non essere rispetto all’essere. Dal punto
di vista della deHnizione il male di per sé non esiste in quanto essenza ontologica, esiste sempre il
minor bene (anche il malvagio più accanito in realtà persegue il suo bene).
Il male sta sempre nel sostituire un bene piccolo a un bene grande. Ciò che noi chiamiamo male è
un bene piccolo ed egoistico che va contro il bene più grande.
Per questo per Guardini è sbagliato fare del male un opposto del bene perché male e bene si
situano sul piano della logica della contraddizione: o c’è il male o c’è il bene, non si implicano, si
elidono a vicenda, dove c’è l’uno non c’è l’altro.
La grande confusione della dialettica Hegeliana è quella di fare del male la condizione del bene (in
Hegel il negativo diventa la condizione del positivo).
Il male è il momento negativo della dialettica, ma serve in funzione del positivo: Hegel giustiHca
razionalmente il male, la negatività.
Anche Goethe nel Faust giustiHca il male: il Diavolo vuole essere alleato di Dio perché Dio da solo è
troppo buono e la bontà è statica, solo il male introduce la dinamicità, l’attività (atto=momento
diabolico, momento statico=momento divino).
Hermann Hesse scrive il “Demian” in cui mostra un libro di iniziazione, il passaggio
dall’adolescenza alla maturità: deve commettere degli atti immorali, criminosi (per diventare uomo
adulto): il passaggio verso il bene richiede l’iniziazione al male.
Hermann Hesse non fa altro che ricalcare la visione gnostica di Jung (pieno di esoterismo
romantico) il quale aveva teorizzato in uno scritto che al centro della vita psicologica ci fosse la
polarità bene/male.
Guardini va contro questa concezione così comune (Hno alle avanguardie: non c’è bene che non
passi attraverso il male).
Denis de Rougemont (autore di “l’amore e l’occidente”) capisce che c’è qualcosa di malato
nell’amore romantico: lo pone come problema perché dice che a partire da questa concezione il
matrimonio sembra essere diventato la tomba dell’amore, ma in realtà è l’amore romantico quello
ad essere malato perché gioca sempre con la morte. L’amore romantico è quello insaziabile che
sembra bello all’inizio, ma che poi diventa cannibale, è un cannibalismo che si nutre della sua
vittima e la sua vittima non deve essere presente, l’amore romantico è quello che si basa
sull’assenza, ecco perché presuppone la morte. Io amo perché l’altro non è mai presente, quando
lo è mi annoio, mi stufo e passo ad altro: l’amore è tanto più acceso quanto l’altro è assente, è un
amore idealizzato, vive della divinizzazione dell’altro.
Questo amore si lega intimamente alla morte: nei racconti romantici Hnisce sempre male, Hnisce
sempre con la morte di uno dei protagonisti.
Il Romanticismo gioca con la coppia amore/morte, bene/male e ne fa due poli di una stessa realtà
della vita.
Guardini su questo è drastico: la polarità non è la contraddizione. Bene e male appartengono ad
una contraddizione etica, non a una polarità vivente e confonderli è una cosa di gravissime
conseguenze.

La seconda coppia di opposti intraempirici è molto simile alla prima perché in realtà sono solo
variazioni di tema: informale-formale.
La traduzione italiana non rende a pieno: l’informale è un qualcosa che è privo di forma, è una
specie di torrente che non permette di essere imbrigliato dentro ad una forma.
La vita è tanto l’una quanto l’altra cosa: è tanto informale quanto formale.
Noi sperimentiamo la vita, percepiamo che la vita è una forza formatrice, cioè nella nostra vita
tutto è orientato verso la forma, tutto implica una forma.
Noi non siamo una entità caotica, non c’è nulla in noi e nel mondo di caotico, tutto è ordinato, tutto
ha sempre una forma e la vita stessa ha bisogno della forma perché nel caos assoluto (sia esterno

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che interno) nessuno di noi può vivere.


La vita ha bisogno della forma, si esprime come forma, come ordine, come logos.
Il principio della forma è il principio di Apollo: nella nascita della tragedia di Nietzsche egli divide le
due grandi forze che avrebbero stabilito lo spirito greco e sarebbero quella apollinea e quella
dionisiaca che nella tragedia troverebbe la loro sintesi.
L’apollineo è la bella forma, è lo splendore delle forme.
A questo principio della forma Guardini fa corrispondere anche la tecnica moderna: anche questa
obbedisce al principio della forma (organizzazione razionale del lavoro, struttura per cui la
macchina funziona…). Tutto è organizzato, la forma si impone come criterio di razionalità.
Questo principio della forma, però, non può essere totale, occorre anche il dionisiaco, cioè occorre
in qualche modo che nella vita si lasci a_orare anche un principio polarmente opposto, che è
quello di una spontaneità della vita.
Il non essere intrappolato, catturato dentro la forma è il principio polarmente opposto.
Guardini non sa nemmeno come chiamarlo perché il pensiero si muove secondo la legge della
forma, i nostri concetti sono forme con cui spieghiamo le cose, la realtà. Tutto il nostro pensare è
formale.
Intuiamo che la vita è più della forma, che la vita è qualcosa che spumeggia, che non vuole essere
totalmente imbrigliata e che quindi non vuole esse sottoposta semplicemente alla legge di ragione.
Guardini, però, non sa deHnire questa realtà, questo principio polarmente opposto alla forma:
questo non è formulabile concettualmente, ma intuitivamente la vita lo sa. Ognuno di noi sa che
quando è stretto in una maglia rigida la vita so\re, ha bisogno di aria, ha bisogno di spontaneità,
non ci basta quell’ordine che regolamenta Hn nel dettaglio le nostre giornate.
È la vita che protesta quando viene ingabbiata troppo.
Naturalmente possiamo comprendere che questo principio polarmente opposto è semplicemente la
libertà: la libertà ha bisogno di forma, ma trascende anche l’ordine. Per essere libera la libertà non
può essere deHnita interamente dall’ordine.
Guardini non usa la parola libertà, ma la parole “fülle” su cui i traduttori italiani si “bloccano”
perché in tedesco può signiHcare anche pienezza, una pienezza che non si lascia dominare, oppure
può signiHcare “informale”. L’ambiguità dipende dal termine tedesco che non è facilmente
traducibile in italiano.
Il senso però è chiaro: la fülle è ciò che si sottrae ad una determinazione.
Non a caso Guardini prende come riferimento la concezione della materia del pensiero greco: la
materia nel neoplatonismo (per esempio) è l’ultimo gradino dell’essere, quello in cui la forma è
massimamente distante. Come dell’uno non riusciamo a capire nulla, così la materia è impensabile
(per Plotino) perché una materia senza la forma è per noi inconcepibile.
Ciò che è intellegibile è sempre la struttura della materia, ma non la materia in sé: noi
comprendiamo sempre la forma, il logos, ma la materia ci sfugge.
La vita è più della forma, ma è anche la forma.
Siamo di fronte ad un’altra polarità: la forma e l’informale o materiale.
Secondo Guardini l’angoscia è quella sensazione che abbiamo quando il mondo ordinato sprofonda,
quando tutto ciò che ha senso (ordine) si dissolve.
L’angoscia sarebbe una sensazione di caos totale in cui nulla ha più il proprio ordine.
Ma, in realtà, il caos assoluto non esiste, c’è sempre un principio di ordine nella esperienza della
vita: la vita ha bisogno tanto di un polo quanto dell’altro.

La terza coppia di intraempirici è singolarità-totalità.


Da un lato la vita si sperimenta come tendenza alla totalità, noi non viviamo semplicemente da
soli, ma tendiamo a relazionarci con la comunità, lo Stato…tutta la nostra vita è un situarsi con, è
un inserirsi dentro un sistema di relazioni più grandi, è una tendenza alla totalità.
Quando questa tendenza è assolutizzata vi è il rischio di perdersi, di perdere noi stessi.
In questo caso dalla totalità passiamo al totalitarismo, il totalitarismo è quel modello in cui il
singolo è semplicemente una parte di una totalità che lo divora.
C’è bisogno che questa tensione verso la totalità sia bilanciata da una tensione verso la singolarità:
devo percepire il valore della persona, dell’io, del singolo.
I due poli devono essere sempre tenuti insieme.
Questa coppia è particolarmente importante (contesti politici): conta la totalità, ma conta anche
l’io, la persona, il singolo.
Se però assolutizziamo la tendenza alla singolarità vi è il rischio opposto perché si arriverebbe ad

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un’assolutizzazione del singolo, ad una rottura del principio della totalità, ad un individualismo
estremo, a una sorta di anarchismo totale e radicale, all’ego solitario di Stirner, a frantumare il
tempo e a considerare vero solo l’istante, posso assolutizzare l’e_mero.
La vita non può perdere il senso della totalità, non può chiudersi in un frammento: la dialettica
sana è il tutto nel frammento (titolo di un’opera di Hans Urs von Balthasar), vivere la singolarità
avendo presente la totalità, devo avere il senso del tutto per non perdermi nel frammento e
viceversa.
Ogni volta vi è il rischio di un’astrazione e quindi di una deriva psicologia perché entrambi i poli
sono necessari, ma se vengono assolutizzati diventano patologici ed è questa la legge della
psicologia che possiamo tratte dalla dialettica polare di Romano Guardini.
Questa nozione di polarità in psicologia è fecondissima perché permette di capire che la vita
psichica è sana quando si mantiene nell’oscillazione fra due poli: quando i poli vengono
assolutizzati diventano patologici.
La vita è et-et (sia un polo che l’altro) non aut-aut (o un polo o un altro), quando si ha l’aut-aut si
entra in una patologia dell’anima.

La di\erenza tra opposti intraempirici e transempirici è che gli intraempirici hanno a che fare con
l’autoesperienza interna che ricorre alla concettualità e all’intuizione, mentre i transempirici sono
quegli opposti che nascono da una polarità nuova, da una polarità tra la vita e il punto sorgivo della
vita il quale, però, non è sperimentabile e dobbiamo ipotizzarlo altrimenti non capiamo la dinamica
della vita.
La vita presuppone un centro, non è un caos, tutto converge verso un’intimità, un centro.
La vita si sperimenta come derivata da un punto da cui proviene tutto, noi non siamo l’insieme di
più punti generativi, non è che i nostri atti dipendono da un io e poi dopo un po’ da un altro io e
dopo ancora da un altro centro… noi sperimentiamo che il centro della nostra vita è unico e che
tutto proviene da quel centro che noi siamo.
Il cuore della vita è un punto oscillante, non è deHnito, è il punto di conbuenza degli opposti, dove
essi stanno insieme.
Il centro della vita è il punto d’intimità dell’essere vivente, dell’uomo.
Che altro può essere questo centro se non l’ego profondo di ciascuno, il punto sorgivo della vita,
quell’identità profonda che ci costituisce?
Quest’ego si sottrae ad ogni esperienza, noi non abbiamo esperienza dell’ego, ma è lui che fa
esperienza (io metaHsico che trascende l’esperienza).
Guardini non deHnisce questo ego perché vuole mantenersi sul terreno psicologico e non su quello
metaHsico.
Se esiste questo punto transempirico (così lo chiama Guardini), allora possiamo comprendere che
si dia un’attenzione tra ciò che è sperimentabile e ciò che non lo è.
Gli opposti transempirici presuppongono un polo transempirico, un polo che si sottrae
dall’esperienza, ma che è fonte di esperienza.
Gli opposti transempirici si dividono in 3 coppie polari:
▪ produzione-disposizione
▪ originalità-regola
▪ immanenza-trascendenza.
La prima coppia è quella data da produzione-disposizione: la vita sperimenta sé stessa come
produttiva, creativa. Creare signiHca che da un punto sorgivo nasce una spontaneità creativa.
Il tipo psicologico in questo caso è l’artista (caotico).
La vita non è soltanto produzione o creazione, ma è anche disposizione.
La vita è anche ordine, organizzazione, misura, chiarezza, pianiHcazione razionalizzazione.
Il tipo psicologico in questo caso è l’imprenditore (ordinato).
Anche qui non si può oltrepassare un certo conHne: se la vita è pura creazione Hnisce nel caos,
ogni creazione ha bisogno di un minimo di ordine (la creatività pura è impossibile); se la vita è pura
disposizione va incontro a limiti, non posso pianiHcare tutto, ci deve essere un minimo di creatività
(chi pianiHca tutto toglie respiro a tutto, non è più capace di creare e generare nulla).
Il tipo puramente creativo, anarchico nella mente, che non soggiace a nessuna regola, che
pretende che sia il mondo a conformarsi a lui diventa bizzarro, patologico.
Anche colui che concepisce tutta la vita come assoluto ordine è uno che è ossessionato dalla paura
di perdere i punti di consistenza, uno per cui la minima variazione gli crea ansia e angoscia, uno
che non ci mette mai niente di suo, uno che impronta l’esistenza solo alla regola evitando

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assolutamente di portare un suo minimo contributo e anche questo può diventare una patologia,
perché la vita vissuta così è una vita spenta.
Ambedue i poli descrivono delle riduzioni se assolutizzati.

La seconda coppia polare è quella tra originalità e regola.


Queste coppie sono molto a_ni, ma Guardini le distingue.
La vita tende ad a\ermarsi come originale, ognuno giustamente sente di non essere l’altro, di
essere diverso e unico, di non essere riconducibile alla massa, agli altri, alla comunità; in certe
persone il senso della propria originalità è molto forte, talvolta anche eccessivo.
La vita è originale, nessun ordine può incapsularla.
La seconda possibilità è la regola: il tipo aritmetico, qui tutto è regolato.
Questa coppia è molto simile a quella precedente.
Siamo di fronte ad una polarità che è sana se si mantiene nel giusto ritmo e che è insana se uno
dei due poli pretende di assolutizzare sé stesso.
Tanto la vita come originalità, quanto la vita come regola assolutizzate sono patologie.
Il tipo aritmetico è asHssiante, ma anche il tipo originale dopo un po’ è insopportabile se pretende
di essere unico al mondo.

La terza coppia di opposti transempirici è quella data da immanenza e trascendenza.


Con il termine immanenza (dal latino in manere: rimanere dentro) Guardini descrive questo stare
presso di sé della vita, nell’abitare in sé, nel suo profondo ed è chiaro che quindi presuppone il
punto transempirico di cui abbiamo parlato.
La vita ha bisogno di consistere in sé medesima, noi non possiamo interamente proiettarci fuori,
spossessarci, risolvere la nostra esistenza nell’esteriorità dei nostri atti: abbiamo bisogno di tornare
in noi stessi.
L’io esiste, non può fare a meno di sé stesso, non può astrarre da sé, può farlo Hno ad un certo
punto, ma poi la vita si ribella, l’io stesso si ribella.
In questo ritornare in sé, però, non bisogna superare una certa soglia perché se l’io si rinserra in sé
stesso, nel proprio mondo chiuso rischia di cadere in una profonda patologia dell’anima.
Per trascendenza, invece, si intende l’uscire fuori di sé.
La dialettica tra trascendenza e immanenza è una dialettica fondamentale della vita.
Guardini dice che la vita ha bisogno di “immanere”, di rimanere dentro, l’io deve a\ermarsi come
abitante presso di sé, altrimenti si perde, ma in questo stare presso di sé, l’io non può astrarre dal
mondo e dagli altri, perché altrimenti si arriva alla paralisi perché la vita diventa bloccata e
inghiottita dall’abisso.
Il punto transempirico presuppone un polo, il polo esterno si veriHca, il punto transempirico si
sottrae all’esperienza.
Questa trascendenza la possiamo osservare in un qualsiasi episodio della vita: la nostra percezione
del tempo, per esempio, non è bloccata e Hssa sul presente, ma si sposta sul passato e sul futuro,
quindi la percezione che abbiamo della vita non è mai bloccata su un assoluto presente, trascende
il presente.
La vita è sempre proiettata anche al di là di sé stessa, non si concentra sull’attimo presente, sull’io
presente: l’io è sempre proiettato al di là di sé e l’esperienza della temporalità ce lo conferma.
Anche il nostro pensiero è sempre un pensiero che trascende sé stesso, per esempio abbiamo
coscienza delle cose, ma allo stesso tempo abbiamo l’auto-coscienza di noi che abbiamo coscienza
delle cose.
Già dentro noi stessi abbiamo un movimento di trascendenza (trascendimento) di noi stessi.
Noi siamo immanenti, ma al tempo stesso trascendenti.
Anche qui, però, c’è un rischio: se assolutizzo questa trascendenza rischio di perdere il senso di
me, mi stacco talmente tanto che divento estraneo da me, in questo caso la trascendenza diventa
una patologia, una modalità di estraniazione da sé stessi, qui l’io si scinde.
Tanto l’immanenza quanto la trascendenza possono diventare patologiche là dove un polo
smarrisce il rapporto con l’altro polo: possiamo tanto inabissarci in noi stessi quanto distaccarci da
noi stessi.

Gli opposti trascendentali sono formati, invece, da due coppie di opposti:


▪ a_nità-distinzione
▪ unità-pluralità.

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Gli opposti trascendentali sono opposti che nascono non per il contenuto opposto, ma per la forma
dell’opposizione.
Per esempio le coppie di opposti sono a_ni e diverse, ecco che si ha una polarità tra a_nità e
distinzione. Gli opposti sono tra di loro uniti e al tempo stesso molteplici.
Ecco che si ha una distinzione fra due forme di opposizione.

Queste serie polare degli opposti intraempirici, transempirici e trascendentali può essere compresa
secondo l’a_nità delle serie.
(Pag 41) Tutti i poli di sinistra sono a_ni e corrispondono al polo dell’informale, dell’atto che si
contrappone alla struttura, pur corrispondendo a coppie polari diverse:
- atto
- informale
- singolarità
- produzione
- originalità
- immanenza
- a_nità
- unità.
Sono tutti poli in qualche modo interscambiabili fra di loro.
Allo stesso modo i poli della serie opposta sono a_ni tra di loro e corrispondono al polo formale:
- struttura
- formale
- totalità
- disposizione
- regola
- trascendenza
- diversità
- pluralità.
Ecco perché si chiama sistema dell’opposizione polare, perché c’è una logica che guida questa
dualità delle serie: queste dualità si corrispondono sì che in un termine può ritrovarsi il secondo
termine, il terzo e così via.

Ognuno di questi poli costituisce una tipologia psicologica e ciò ci fa capire che Guardini in realtà
all’inizio voleva scrivere un trattato di caratterologia.
L’idea dei tipi psicologici non è venuta meno in lui.
Questi tipi psicologici sono caratterizzati dai vari poli di queste serie polari.
Ogni polo corrisponde (→) ad un tipo psicologico:
- atto → attivista, iperattivo
- struttura → contemplativo, quieto, passivo

Queste serie polari sono anche classiHcazioni psicologiche.
Secondo Guardini le due serie qualiHcano tutti i fondamentali tipi psicologici, una sorta di
classiHcazione esauriente della psicologia tipologica.
La teoria polare è anche una teoria dei tipi psicologici: il contenuto del saggio del ‘14 non è stato
sconfessato o abbandonato, lo si ritrova presente tra le righe nel saggio del 1925.

Una vita sana è data dall’oscillazione tre l’uno e l’altro polo, la misura dell’oscillazione può variare:
io posso dare risalto a un polo rispetto ad un altro, ma questo non crea problemi.
La patologia, invece, si ha in quelli che lui chiama “valori limite”.
I valori limite per Guardini sono 3, 3 punti di naufragio, 3 punti di collasso, 3 punti in cui il sistema
della vita collassa:
▪ assolutizzazione della serie della forma (si diventa rigidi, formali e astratti)
▪ assolutizzazione della serie dell’informale (il caotico prende possesso della vita diventando
l’irrazionale puro, senza un minimo di criterio, di ragionamento, di ribessione)
▪ punto di equilibrio tra gli opposti (↓)
La vita può morire anche per un equilibrio statico tra gli opposti stessi.
Per Guardini la vita è un perpetuo divenire, un perpetuo oscillare: un’oscillazione che vede un polo
o un altro della serie degli opposti prevalere sull’altro senza straripare.
Se io, però, penso di aver raggiunto il perfetto equilibrio della vita e su quello mi Hsso, in realtà

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raggiungo la morte e non la vita, perché la vita è Hnita.


Uno che dice di aver raggiunto questo perfetto equilibrio, il cui animo è totalmente paciHcato,
appagato e tranquillo, raggiunge, in realtà, la più grande delle illusioni perché questo perfetto
equilibrio coincide con la morte della vita.
L’equilibrio si raggiunge solo in attimi brevi, la vita si mantiene sempre in questa tensione, in
questa oscillazione tra il principio della forma e un’esigenza più profonda che non si sa come
chiamare che ogni volta trascende quel principio.
L’uomo cerca sempre di più di quello che ottiene, vi è un’insaziabilità.
Non si può dire che il desiderio sta in perfetto equilibrio con la forma (uomo rinascimentale) perché
questa è un’illusione, in realtà così facendo si sta spegnendo la “sete” di vivere.
Ciò fa capire anche perché la coppia immanenza-trascendenza sia così importante: la vita non può
chiudersi nell’immanenza perché non può essere satura di sé medesima, se la vita vuole vivere,
desidera vivere, la trascendenza è “un passo” obbligato.
Paradossalmente la vita deve aprirsi ad un “di più” della vita per vivere.

Ogni capitolo del volume è un’applicazione del principio della polarità.


Nel capitolo 2, per esempio, si cerca di far capire che signiHca l’idea di polarità nel capo della
conoscenza, nel capitolo 3 cosa signiHca nel campo morale, nel capitolo 4 cosa signiHca nel campo
religioso, nel capitolo 5 cosa signiHca per interpretare lo sviluppo del pensiero moderno dal
Rinascimento Hno a Nietzsche…
Attraverso questi capitoli si comprende come Guardini intendeva quest’idea della polarità della
vita.
Guardini si limita ad applicare questa sua teoria trattando argomenti diversi, ma il professore ha
ripescato e ricercato come Guardini usava questo modello della polarità applicandolo a vari aspetti
(conoscenza, religione, morale…).
Nel libro del professore si trovano già sintetizzate le applicazioni che non si trovano in un’opera
speciHca di Guardini.

CAPITOLO 2- La struttura polare della conoscenza e la «visione» della forma vivente.

Anche nei metodi ci troviamo di fronte ad una polarità fra, appunto, due poli che non trovano un
punto d’incontro.
Da una parte c’è un metodo puramente concettuale che è quello impiegato dalle scienze ed è per
lo più analitico procedendo per categorie e concetti.
Questo metodo, però, nei confronti dell’individuo, arretra perché il concetto è fatto per
comprendere l’universale, non il particolare (ogni individuo è un individuo a sé).
L’egoità singolare e personale di ciascuno non entra nel concetto e questo si nota anche studiando
Freud che parla sempre dell’io generale, mai personale.
Il concetto rischia sempre di terminare nell’astratto: il concetto astrae dall’individualità propria per
restituirci solo le caratteristiche universali di quel soggetto.
L’evoluzionismo, lo storicismo, tutte le varie correnti quando studiano l’uomo tendono a ridurlo ad
altro, ad espressione di e la particolarità di ciascuno viene tranquillamente trascurata, negata, non
compresa.
Di fronte a questo razionalismo del concetto c’è la reazione unilaterale opposta: quella della
conoscenza irrazionale.
L’irrazionalismo è una reazione al positivismo, al razionalismo.
L’irrazionalismo condanna la ragione e si a_da semplicemente all’istinto: l’unico tipo di
conoscenza che dà il concreto è la conoscenza emotiva, empatica, mentre quella concettuale non
dà nessuna conoscenza dell’individuale.
Si crea così una dialettica tra irrazionalismo e razionalismo.
Possiamo trascendere quest’opposizione tra concetto e intuizione? Devono per forza collocarsi
nell’antitesi tra razionale e irrazionale?
Occorre una conoscenza che sia al tempo stesso concettuale ed intuitiva.
Occorre che concetto e intuizione si rapportino in una polarità.
Guardini fa un esempio parlando di una madre e di un bambino (pag. 63).
La conoscenza intuitiva è una conoscenza non concettuale, ma pur sempre vera e non è una
conoscenza solo emotiva, non è un sentimento, perché il sentimento non conosce.

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La conoscenza è atto, ma il sentimento non è un atto, è esperienza di uno stato.


Guardini lavora senza averne cognizione diretta allo stesso problema su cui lavoravano Edith Stein
e Max Scheler, ambedue allievi del fenomenologo Husserl, ossia sul problema dell’empatia.
Quando Guardini fa l’esempio della madre col bambino fa un esempio chiaro di conoscenza
empatica dove in realtà sono in gioco vari fattori (anche il sentimento).
Per qualiHcare questa conoscenza Guardini utilizza il termine intuizione: la madre intuisce la
condizione psicologica del suo bambino, ma non è una pensatrice.
Nell’intuizione io colgo le condizioni e le intenzioni di un altro individuo, non concettualmente, ma
intuitivamente, immediatamente: l’intuizione coglie la serie dell’informale.
Mentre il concetto coglie i poli del formale, l’intuizione coglie nella vita i poli dell’informale, quei
poli che non possono essere traslati sul piano concettuale e ribessivo.
Intuizione e concetto corrispondono alla polarità tra informale e formale.
Il concetto è troppo vuoto da solo e l’intuizione non ce la fa da sola: per la comprensione dell’uomo
occorre una polarità vivente gnoseologica tra concetto e intuizione perché l’uno illumina l’altro,
l’uno colma i limiti dell’altro, perché l’uomo non è solo forma, ma è anche informale.
L’interiorità della sua vita, quella sfera dell’immanenza che si sottrae, può essere colta in maniera
intuitiva e concettuale.
“Il concetto è troppo vuoto, l’intuizione è troppo debole”.
L’atto che unisce ad un tempo concetto ed intuizione viene chiamato da Guardini “visione”.
In “Religion und O\enbarung” viene detto che l’atto primo della conoscenza è un guardare, un
vedere (visione).
Conoscere il concreto vivente è sempre una visione, un atto sintetico tra concetto e intuizione, ed è
un atto che viene chiamato sopra-razionale (più che a-razionale o extra-razionale).
Sopra-razionale è la totalità del concreto vivente che è tanto razionale quanto extra-razionale, che
sta in ambedue le sfere, ma che è più della loro sintesi.
Il nodo della questione, il mistero della vita (il centro), quindi, non sta nell’extra-razionale, ma nel
sopra-razionale: qui stanno le insolvibili antitesi del concreto vivente: l’essere in tensione, dove gli
opposti stanno assieme.
Questo punto d’intimità vivente è l’io, l’ego ine\abile che si sottrae al concetto e all’intuizione:
questo “centro” può essere colto solo con la visione.
Quando ci rapportiamo agli altri non facciamo uso solo di concetti, ma anche di intuizioni (le
intuizioni sono tanto più feconde quanto io conosco l’altro).

In questa teoria Guardini si sarebbe trovato d’accordo con Pascal.


Un gruppo di frammenti dell’opera pascaliana parlano dell’”esprit de Hnesse” contrapposto
all’”esprit de geometrie”.
L’esprit de Hnesse non è altro che una capacità intuitiva: nella vita di società l’esprit de geometrie
non serve a nulla, serve l’esprit de Hnesse perché le relazione tra gli uomini non sono regolate dalla
razionalità, ma da tutto un insieme di fattori che c’entrano poco con la razionalità.
Il cuore (luogo dell’esprit de Hnesse) quindi subisce i limiti della ragione (raison).
Questa polarità fra i due esprit è ciò che Guardini vuole indicare con la polarità tra concetto e
intuizione.
La sintesi, il punto d’incontro che nasce in una sinergia tra concetto (volto all’umanità generale
dell’altro) e intuizione (volta alla singolarità dell’altro) è l’”Anschauung”, la visione.
Io ho una visione dell’altro, vedo quello che realmente è e lo comprendo.

La “forma vivente” è un fenomeno fondamentale non più riducibile ad altri. È il dato di fatto che le
determinazioni di un ente non coesistono in forma di unità astratta, ma in unità vivente ed aperta
all’atto della visione.
“Forma vivente” è una unità costituita da una pluralità di elementi, un’unità che non può più essere
frazionata in modo sensato.
Guardini attua una reinterpretazione del concetto aristotelico di entelechia: per lui, in quanto
forma, essa sussiste come polarità fra l’esteriorità (per quanto è materiale e manipolabile) e
l’interiorità.
L’accentuarsi di questa tensione fra interno ed esterno spiega le varie conHgurazioni della forma
vivente lungo i diversi piani dell’essere.
L’atto vivente (percezione e azione) e il divenire vivente (crescita, conservazione dell’essere e
decadimento) si attuano in questa polarità.

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Sono determinati da una causalità chiamata “iniziativa del vivente”, ossia un impulso a strutturarsi,
conservarsi e ad a\ermarsi.
Questa iniziativa è il fattore principale della realizzazione della forma vivente (determina il salto
qualitativo da inorganico ad organico).
Questa polarità esterno/interno può essere vista anche come polarità tra mondo naturale e
spirituale, tra natura e spirito: lo spirito trascende la natura.

L’uomo, quindi, è forma vivente, è tensione di anima e corpo, di interno ed esterno che tende ad
esprimersi nella visione (Anschauung).
Questa Anschauung coglie l’unità in un movimento che è al contempo ribessivo ed intuitivo.
Il risultato di questo atto conoscitivo, che unisce concetto ed intuizione, può essere espresso solo
attraverso un’azione o un simbolo.
La Anschauung non può essere espressa con un concetto, ma solo attraverso un medium che
coniuga concetto e intuizione: il simbolo.
Il simbolo è adeguato a indicare la “forma vivente” dell’uomo perché l’essere umano è homo
symbolicus.
Un simbolo nasce quando qualcosa di interiore (spirito) trova la sua espressione nell’esteriore
(corporeo), ciò che è esteriore deve tradursi nell’esteriore vitalmente (≠allegoria dove la realtà
spirituale è collegata dall’esteriore in qualcosa di materiale: giustizia → simbolo bilancia).
Corpo: simbolo dell’anima, ne è l’espressione. In esso traspare quell’interiorità dell’io che si sottrae
ad ogni possibile sguardo.
Movimento spontaneo: simbolo di un fatto psichico.

SINTESI: l’espressione simbolica è il modo mediante il quale la visione coglie la forma vivente che è
tensione tra anima e corpo, esterno e interno, intuizione e concetto.

Vedere (o meglio scorgere) signiHca venire colpiti dall’apparire signiHcativo dell’oggetto e venire
sollecitati alla comprensione del suo contenuto.
Nell’atto di vedere, quindi, si palesa il mondo nella sua essenza.
La percezione è percezione dell’altro, dell’uomo come “volto”: riesco a cogliere l’altro e a
comprendere gli stati d’animo più profondi grazie all’espressione.
Espressione signiHca che “l’essenziale delle cose, invisibile di per sé, giunge alla visibilità”.
Espressione è il modo con cui qualcosa, che i sensi non possono raggiungere, si manifesta nella
realtà corporea.
Tutto il reale vivente esiste nella forma dell’espressione.
Questa espressione, però, può essere vista: un volto umano vivo è un’anima resa visibile, uno
spirito che si può guardare.
I sensi, infatti, possono a\errare molto più che i dati materiali: a\errano anche lo spirito vivente.
Non il puro spirito, ma quello incarnato, perché si esprime (interviene l’espressione).
La percezione dell’interiorità degli altri espressa sul viso, quindi, è una reale percezione, non un
ragionamento mascherato. Il viso rimanda direttamente all’anima.
Questa percezione non è lineare, ma varia in base al soggetto e all’oggetto della percezione.
L’oggetto della percezione, ad esempio, può manifestare la propria essenza, può velarla o anche
nasconderla del tutto. Lo stesso vale per il soggetto percipiente perché nell’atto di vedere incide
l’interiorità.

Nel testo (da pagina 77) vengono poi citati 3 nomi:


- Max Scheler
- Edith Stein (♀)
- Edmund Husserl.
Questi tre personaggi fanno parte della scuola fenomenologica che si rivela a_ne al pensiero di
Guardini.
▪ Max Scheler → “la conoscenza dell’altro avviene per percezione immediata degli Erlebnisse
dell’altro nelle sue espressioni corporee”. “L’espressione è la primissima cosa che l’uomo coglie
nell’esistenza che si trova fuori di lui”.
▪ Edith Stein → “Dall’espressione del volto e dai gesti degli altri non solo so quel che vedo, ma
anche quel che si nasconde nel loro intimo. Tutte queste datità (quanto può oggettivamente
costituire il supporto dell'attività conoscitiva) relative all’esperienza vissuta estranea rimandano ad
un genere di atti nei quali è possibile cogliere la stessa esperienza vissuta estranea. Su tali atti si

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basa la conoscenza particolare dell’empatia”.


▪ Edmund Husserl → “L’altro viene colto in forma immediata, intuitiva, come unità di corpo e di
spirito. Quando vedo un uomo colgo un’esistenza corporea, lo vedo. L’apprensione dell’uomo è
l’apprensione di qualcosa che si compie attraverso il medium dell’apparizione del corpo, ma l’uomo
non è una mera connessione tra anima e corpo; il corpo proprio è un corpo colmo di psiche”.

Guardini si di\erenzia da Scheler per quanto riguarda “l’autentico” rivelato nei “dati immediati”
che in Guardini appare come l’orizzonte prioritario all’interno del quale si dischiude la realtà
corporea.
La realtà corporea è a\errata (diventa signiHcativa) all’interno della forma spirituale. Il corpo non
solo rivela l’anima, ma diviene “volto” solo a partire dalla presenza e dalla percezione dell’anima
che lo rischiara e lo rende trasparente al signiHcato che in esso si manifesta. Quando guardo un
uomo vedo la sua anima addirittura prima del suo corpo.
Anche se Scheler negava una priorità dell’io sul corpo, ammetteva che si potesse comprendere la
bontà o meno di un essere umano dall’unità del suo sguardo prima di indicare il colore dei suoi
occhi.
L’apporto fenomenologico permette a Guardini di fare una vera propria “rivoluzione copernicana”.

La gnoseologia Guardiniana si contrappone all’impostazione criticista in cui si vieta l’apprensione


(atto con cui si capisce e conosce una nozione) dell’essenza nel fenomeno.
Per Guardini la nozione di fenomeno deve essere usata nel suo signiHcato originario di “ciò che
appare”, come l’auto-annunciarsi degli enti allo sguardo di chi vede. Ciò che si fa vedere è il
chiarirsi di una essenza, non un fantasma (phantasma=illusione) e questa essenza ci viene
incontro “da sé”, è indipendente rispetto a chi vede.
Il mio sguardo vede l’essenza, ma l’essenza guarda fuori di sé, e solo il suo guardare rende
possibile il mio.

CAPITOLO 3- La dialettica tra norma e desiderio nell’esperienza morale.

La concezione della forma vivente di Guardini era molto di\usa nell’età classico-medioevale, ma
iniziò a venire meno durante l’età contemporanea, in cui emerge una contraddizione tra i due poli,
che si esprime in correnti antitetiche: materialismo/idealismo, razionalismo/empirismo e
vitalismo/spiritualismo.
Tali concezioni tendono ognuna ad a\ermarsi in modo assoluto, facendo prevalere una delle due
serie sull’altra.
Per Guardini nessuna delle due serie dovrebbe prevalere sull’altra, ma sicuramente la serie formale
ha più importanza nella sua funzione, poiché plasma la realtà, le dà una forma.
Considerare solo la serie formale implica il condurre anche lo spirito ad essa, di conseguenza
considerarlo come una norma, un’idea. In questo modo viene de-realizzato e respinto solo nella
sfera dell’intellegibile, perde il suo carattere materiale.
Questo tipo di concezione era già stata adottata da Platone che aveva considerato l’uomo
autentico come spirito liberato dal corpo; inoltre lo spirito è raggiungibile solo elevandosi dal corpo,
in contrapposizione con il pensiero Guardiniano, per cui lo spirito è raggiungibile attraverso la
visione del corpo.
Anche Hegel continua secondo questa direzione: colloca ogni signiHcato nello spirito assoluto, i cui
la materia è solo l’antitesi che ne permette la conoscenza.
Questa concezione idealista viene rovesciata con il materialismo Marxista.
Per Guardini questo rovesciamento è lecito, così come è lecito il pensiero di Nietzsche, che l’autore
deHnisce come la chiameresti per comprendere l’uomo del primo dopoguerra.Nietzsche appariva
come colui per il quale la vita “signiHcò un’energia che scorre nell’immenso e sollevandosi
incessantemente in ondate colme di valori, forma con il suo apparire degli esseri che il suo declino
irrigidisce in leggi”. La vita è una sorta di avventura temeraria, metaHsica.
Anche per Guardini una delle due forme fondamentali di auto-espansione della vita (quella
creativo-informale) prevede che più viva si sente la vita, tanto più sgorga da sé stessa.

ANALOGIE TRA SCHELER E GUARDINI.


Per Scheler la concezione della vita in Nietzsche e la sua posizione sulla morale si contrappongono
ad un preciso tipo umano che vedeva predominare in Europa, cioè ebbe l’intuizione che gli ideali e i
valori dell’uomo moderno, del borghese, appartenessero ad un tipo di uomo nel quale la vita

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declina piuttosto che crescere, un tipo di uomo per cui gli ideali si identiHcano con la conservazione
dell’esistenza.
Contro questo tipo umano, dominato unicamente dal meccanismo degli interessi, Nietzsche
avrebbe sollevato il suo concetto di vita e così anche in Guardini viene opposto il vitalismo creativo
alla “sicurezza borghese”.
Per Guardini Nietzsche diviene la Hgura chiave per intendere la crisi epocale che vi è in Europa e in
particolare in Germania alla Hne della prima guerra mondiale.
La di\erenza tra Kant e Nietzsche sta nel fatto che Kant vuole dare una formula alla morale
esistente mentre Nietzsche vorrebbe dare un nuovo contenuto a ciò che continua ad esistere come
“morale”.
Per Guardini la posizione di Nietzsche appare, però, unilaterale e deviante: ha il valore di una critica
alla cristallizzazione del concetto di forma che nell’uomo è sempre forma vivente, ma poi giunge,
nel suo attualismo esistenzialistico, alla dissoluzione di ogni forma che abbia un’e\ettiva
consistenza ontologica.
L’esistenza ora appare come segnata da un carattere tragico: l’essere non è soltanto singolare, ma
anche incompiuto.
L’esistenza è assolutamente frammentaria, non ha epilogo in alcun luogo, non le si addice la parola
“perfezione”. È spazio inHnito, e in esso smisurata possibilità d’incontro, di lotta, di vittoria, di
sconHtta, è non-compiuta, lacerata, tragica. Ciò che conta è il titanismo con cui accetto il mondo e
sto al suo gioco.

Erich Przywara: nel primo dopoguerra 2 erano i percorsi ideali: quello tragicistico (uomo e mondo
come caduta di Dio) e quello umanistico (mondo e uomo come Dio).
Per Guardini la dialettica dell’antropologia moderna s’involge nella contraddizione per cui la forma
vivente è ora assolutizzata e ora dilacerata. Vita e forma si muovono in antitesi contraddittoria: si
tratta di ria\ermare una totalità vivente dove non solo la forma, ma anche il suo opposto sono
riscattati.
Respingiamo l’errore di identiHcare la forma con l’essenza: questa antitesi negativa può sciogliersi
laddove si comprende l’errore che risiede nel passaggio dalla contrarietà propria del vivente alla
contraddizione di tipo etico. In questo trapasso i poli dello spazio esistenziale interno/esterno,
sopra/sotto, diventano essi stessi determinazioni etiche.

L’errore risale nel considerare l’opposizione come una contraddizione, in cui un polo esclude l’altro.
Questo è causato dall’identiHcazione della polarità vivente (mente-corpo) con un contrasto di tipo
etico (bene-male).
Guardini distingue “sopra” e “sotto”:
▪ sopra: piano di mera Hsicità corporea
▪ sotto: impulsi, necessità Hsiche e fatali.
Un’altra interpretazione (meno importante) è quella che identiHca il “sopra” con il cielo, il regno
della vita con signiHcati, possibilità e libertà di movimento, mentre il “sotto” viene visto come la
terra caratterizzata dal profondo, dal nascosto.
Nel passaggio dall’ordine spaziale puramente corporeo a quello della vita, le categorie mutano e
mutano se liberiamo nel sopra e nel sotto l’elemento verso cui si volge la tensione dello spirito: il
valore.
Il sopra è in contatto con la sfera del valore, “alto” non indica solo una direzione spaziale, non solo
un’energia che si tende verso il regno della luce, ma anche un qualcosa che è valido in senso
speciHco. Al sopra inteso come valore si oppone antiteticamente un sotto sinonimo di disvalore. Se
ciò accade si a\erma subito la polarizzazione dualistica che salva la zona del cattivo sotto
facendone un contro-polo buono sopra, identiHcando uno con lo spirito e l’altro con la materia.
QUINDI: La tipica contrapposizione Sopra-Sotto che nel piano Hsico corrisponde al cielo e terra, e
sul piano umano a mente e corpo, viene ricondotta a valori etici, per cui il sopra corrisponde al
bene (serie formale) e il sotto al male.
Per cui ora il Sopra consiste nello spirito, sinonimo di bene, e il Sotto al corpo, sinonimo di male.
Per Guardini, come per Kierkegaard, il male non è contro-polo del bene, come non lo è il no del si o
il nulla dell’essere.
Il bene è ciò che è categoricamente valido, che esiste di suo diritto.
Il male è ciò a cui giammai è lecito essere e che implica essenzialmente un non senso.
Il bene è ciò che deve esserci, il male non ci dev’essere ed è ciò che non occorre che sia,

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l’assolutamente superbuo.
L’ERRORE STA NEL CONFONDERE UN CONTRASTO DI TIPO ETICO CON LA POLARITÀ VIVENTE.
Sussiste fra le due determinazioni non l’unità in tensione della polarità, ma l’aut-aut della
contraddizione, per cui uno deve essere e all’altro non è lecito essere.
Quando questa di\erenza tra contrarietà e contraddizione viene negata è inevitabile il crearsi di un
dualismo antropologico. È evidente quanto per Guardini sia importante la distinzione fra questi due
termini (opposizione=Gegensatz; contraddizione=Widerspruch).

Nell’epoca moderna l’erronea identiHcazione di opposizione e contraddizione è connessa al


dualismo antropologico.
(Questo errore conduce necessariamente ad un’antropologia dualistica.)

L’età classico-medioevale vedeva lo spirito dell’uomo formato da ragione e sentimenti, e con la


visione dell’uno era possibile vedere anche l’altro, poiché agire secondo la ragione portava alla
felicità.
Tale concezione venne persa con Kant che distinse la sfera intellettuale da quella sensibile.
In questo modo la morale diventa astratta, non realizzabile sul piano ontologico.
Successivamente Scheler e Hartmann superarono tale concezione: la morale continua a possedere
la sua universalità, ma perde la sua formalità e diventa materiale.
Per Scheler resta occultato che anche tutta la sfera emozionale dell’uomo, il sentire, l’amare,
l’odiare, il preferire, ha un contenuto ordinario apriorico che non è preso in prestito dal pensare, e
che l’etica in piena indipendenza dalla logica ha il compito di rivelare. L’etica, infatti, viene vista
come la formulazione giudicativa di ciò che è immediatamente dato nella sfera della conoscenza
morale.
Di qui la polemica contro Kant (per il quale non esiste un’esperienza morale) contro il presupposto
ingiustiHcato per cui ogni uso del sentire, dell’amare, dell’odiare (come atti fondamentali della vita
morale) costituisca una gratuita assunzione della natura dell’uomo per la conoscenza del bene e
del male.
Da Kant accetta la necessità dell’a priori (per far sì che una morale possa dirsi universale), ma ne
riHuta l’aspetto formale, richiamandosi ad un’etica contenutistica, materiale, come l’unica
veramente concreta.
Hartmann viene inbuenzato da Scheler, condivide la sua critica alle equazioni kantiane (a
priori=formale; a posteriori=materiale). La di\erenza, però, sta nel fatto che in Hartmann il
recupero della prospettiva ontologica (unico rimedio al relativismo etico) tende a cancellare il
livello personale, sottolineato invece in Scheler.
Al di là delle di\erenze, però, rimane il fatto che si apre uno spiraglio verso la fondazione di valori
che eviti l’antitesi formalismo-naturalismo.

Per Guardini la morale è la consapevolezza di cosa è il bene e che bisogna agire in questa
direzione. Tale consapevolezza è insita in tutti gli uomini.
In questo modo la morale diventa una norma da seguire per la realizzazione dello scopo ultimo
dell’uomo (felicità).
Ma Guardini non si limita a tale deHnizione: la morale non è solo norma, ma anche un valore.
La prima è una deHnizione statica e la seconda dinamica: la morale come norma indica una
consapevolezza che viene dal fuori, la morale come valore indica sentimenti provenienti
dall’interno.
Questa contrapposizione riprende la dialettica polare Guardiniana.
Qual è l’organo adeguato, capace di distinguere tra valori autentici e inautentici?
Guardini riconosce tale funzione alla coscienza (≠Scheler: intuizione emozionale apriorica): “c’è in
me qualcosa che per sua natura risponde al bene come l’occhio alla luce: la co-scienza.”
La coscienza è quell’organo per cui io rispondo al bene e sono conscio con me stesso che il bene
esiste, che ha un’importanza assoluta.
L’atto di coscienza è quell’atto con cui penetro di volta in volta la situazione e intendo che cosa sia,
in tale situazione, il giusto (il bene).
Il vero e il buono non sono solo norma, ma anche valore: mentre nel suo aspetto normativo l’ideale
appare collocato in alto, sopra, come valore esso appare capace di far vibrare l’io da dentro, ha un
qualcosa di dinamico riconfermano la duplice direzione della dialettica polare.

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Così come l’uomo è sia spirito che corpo, e la conoscenza è sia concetto che intuizione, la morale è
sia norma che valore, sia coscienza (norma) che eros (valore: valore è l’intimo moto signiHcante
dell’essere).
Nell’uomo i due formano un tutto unico, ma questa unità non trova nome.
- Coscienza signiHca che l’interno deve e può sentire il richiamo della norma nel suo diritto;
- Eros signiHca che il fondo essenziale e vivo è ordinato al valore.
L’interno, che corrisponde eroticamente al valore, può anche chiamarsi cuore. Il cuore è esso
stesso spirito, ma spirito che sente il valore, che porta l’eros.

La conoscenza presuppone l’amore: si riesce a conoscere verità nella misura in cui si ama.
Il cuore rappresenta il livello in cui lo spirito è in connessione viva con la corporeità, è il punto di
passaggio dal sensibile allo spirituale, non è l’opposto antitetico dello spirito.
Nella sua funzione mediatrice, il cuore rappresenta il punto di incontro tra spirito e vitalità
istintuale, dove l’istinto sale alla spiritualizzazione.
Lo spirito riuscirà a ricreare il mondo degli istinti, a formarlo secondo la verità e la libertà solo se il
suo sguardo e la sua volontà entreranno nella sfera del cuore.
L’atto del cuore è atto che alla conoscenza dà nutrimento, alcuni oggetti possono essere attinti
solo nell’atto del cuore.

Il valore è il carattere di preziosità delle cose, quello che le rende degne di esistere; non è una
mera forma a priori che giudica l’essere (neokantismo), ma l’eco nel nostro spirito della preziosità
del reale.
L’esperienza del valore è strettamente connessa a quella della realtà nella sua forma oggettiva. È
in questo senso che il cuore risponde al valore.
Valore è l’intimo moto signiHcante dell’essere.
L’esperienza morale precede la dottrina morale (Guardini concorda con Scheler).
L’autentico asse esistenziale dell’uomo passa lungo la direzione “dentro-sopra” secondo una
tensione che vede il cuore rapportarsi all’ideale, al bene che polarizza la coscienza.
Secondo Guardini questa è la grande scoperta di Platone: la tensione erotica è verso una realtà che
sta più addietro ancora a ciò che l’idea intende (più originario). L’idea è l’eterna forma signiHcante
alla quale si rapporta ogni singola cosa dell’esperienza: sopra la singola idea e sopra tutte le idee
sta il bene che per Platone è il divino.

CAPITOLO 4- La visione del mondo tra esperienza simbolico-religiosa e metaOsica.


Platonismo e dialettica.

La percezione simbolica non riguarda solo la relazione tra uomini (anima-corpo), ma anche il
rapporto tra io e mondo esterno.

L’oggetto signiHca molto di più della sua presenza empirica.


Non si tratta di un’impressione soggettiva, ma di una vera e propria percezione dell’oggetto in cui
l’oggetto in questione rappresenta se stesso e molto altro.

Una percezione così coglie la realtà nella sua simbolicità e coincide, secondo Guardini, con una
percezione religiosa.
Questo implica una relazione tra esperienza reale ed esperienza religiosa: nel momento in cui il
mondo non viene più percepito nella sua totalità, viene meno anche la percezione religiosa
simbolica(del reale).

Ciò avviene durante l’età moderna che vede quasi scomparire l’elemento religioso nel rapporto con
la natura: gli atti contemplativi rivolti alla natura scompaiono. Non vede più l’uomo come un
soggetto, ma come un oggetto, quindi anche la percezione religiosa non rappresenta una
percezione simbolica, ma un impulso soggettivo. L’aspetto religioso non sparisce, ma viene
comunque isolato, così le realtà immediate perdono di profondità e di peso.
L’autentica percezione religiosa si attua in una tensione polare tra la realtà Hnita da un lato e un
plusvalore di senso cui essa rimanda dall’altro.
La percezione religiosa è percezione simbolica della realtà Hnita, percezione che coglie nel Hnito
come tale, in tutta la sua concretezza, un’intensità di signiHcato che lo trascende.

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Secondo Scheler l’atto religioso permette di cogliere il concreto vivente nella sua reale essenza, e
poiché il reale è “creato” dall’Assoluto, allora la percezione religiosa permette di cogliere il rapporto
tra creatore e creato.
La percezione religiosa è, dunque, una percezione oggettiva, coglie il Hnito come presenza
rivelatrice di altro.
Rivelare signiHca il contrario di ciò che è solo pensato: l’oggetto Hnito rivela in quanto simboleggia
l’Essere assoluto.
L’atto religioso coglie il mondo allo stesso modo della percezione estetica, che vede nell’opera
d’arte l’espressione dello spirito del suo creatore: l’opera d’arte contiene fenomenalmente
qualcosa dell’essenza spirituale dell’artista, lo rispecchia, il suo spirito si presenta nell’opera.
La presenza di Dio nella creatura, analogamente a come l’artista è presente nell’opera d’arte, si
evidenzia e si sente nell’atto religioso che può percepire l’ente Hnito come opera, come
creaturalità.
La creaturalità della creatura indica in un rapporto simbolico il creatore e lo rispecchia. Anche nel
contenuto dell’esperienza religiosa, quindi, sono al loro posto le relazioni di fondamento-
conseguenza, causa-e\etto (relazioni simboliche).
L’errore della teologia tradizionale è di aver dedotto le qualità dell’assoluto a partire da premesse
areligiose, pre-religiose, da teorie razionali.
Scheler arriva alla conclusione che le dimostrazioni dell’esistenza di dio non possono più essere
l’unico fondamento della teologia moderna, ma devono essere incluse nell’esperienza dell’Assoluto.

(Esperienza e teoria sono strettamente legate fra loro in una convergenza che si palesa laddove si
ha presente come ciò che l’esperienza religiosa concepiva come il deHnitivo, il salviHco, è identico
a ciò che il pensiero intende come prima causa, come Assoluto.)

La vicinanza tra Guardini e Scheler è visibile nel momento in cui si cerca una giustiHcazione alla
rivelazione simbolica dell’ente Hnito.
Dio, scrive Scheler, si esprime negli avvenimenti della natura: l’intera natura è un suo campo di
espressione.
La stessa analogia si ritrova in Guardini quando parla del volto come espressione dell’anima e la
natura come espressione di Dio.
Ma se invece fosse vero l’opposto? Ossia che solo nel sentimento interiore posso vedere l’eterna
visibilità dell’altro, la sua faccia umana?
In Guardini questa inversione diventa una modalità di lettura della stessa pre-comprensione del
mondo naturale.
Appena ammettiamo questa inversione il mondo ci appare come opera: l’opera dell’uomo è
vincolata al suo autore non solo per causa formale, ma anche qualitativamente, concretamente e
ciò tanto più energicamente quanto più l’autore vi è compartecipe.
Analogamente ogni esistente pende da qualcosa che è al di là di esso (creaturalità).

INFLUENZA DI JOHN H. NEWMAN SU GUARDINI.


Guardini richiama il concetto di “to realize” di Newman che signiHca il passaggio di un oggetto
dallo stato di essere come pura espressione verbale, puro concetto, a quello di essere come
esperienza vitale, in cui viene sentito come realtà.
Lo scopo di Newman è quello di delineare la grammatica dell’assenso, la struttura mediante cui si
esercita il nostro atto di adesione all’essere, sia esso reale o ideale.
Questo atto non è il risultato di un processo logico-dimostrativo (inferenza), ma si aggiunge al
procedimento analiitico del ragionamento in modo autonomo.
Gli assensi possono durare anche in assenza degli atti inferenziali su cui si fondarono
originariamente.
Divario tra assenso e inferenza: il nostro assenso viene meno mentre perdurano attivamente le
ragioni e l’atto di inferenza che ne costituisce il riconoscimento: le ragioni ci sembrano forti come
prima, ma non producono più l’assenso.
Molto spesso argomenti per niente validi e riconosciuti come tali da noi non sono abbastanza
vigorosi per piegare la nostra mente verso le conclusioni cui vertono.
L’assenso è incondizionato, mentre l’inferenza è sempre condizionata (le dimostrazioni logiche non
possono comprovare appieno i principi primi da cui muove).

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La domanda che ora si pone è come possa la coscienza assentire incondizionatamente a nozioni la
cui dimostrazione non può mai essere necessitante.
Secondo Newman l’itinerario deduttivo del pensiero perviene in tal modo a conclusioni che sono
tanto più certe quanto più il confronto con l’esperienza diviene serrato e le probabilità convergono
verso una determinata soluzione e non l’altra.
Newman supera l’obiezione di Hume mediante una distinzione tra attività analitica della ragione e
un’attività spontanea, intuitiva, dell’intelletto denominata in senso illativo o senso delle inferenze.
L’intelletto determina qualcosa che la scienza non può determinare: il limite delle ragioni su_cienti
della prova. L’intelletto è teso a cogliere, mediante un atto rapido e illuminato, la connessione
sintetica delle parti in seno ad una totalità.
Come nel caso di un oggetto della sfera sensibile: a\erriamo insieme premesse e conclusione,
percepiamo, quasi istintivamente, la conclusione nelle premesse e attraverso esse, e non per
giustapposizione formalmente logica delle proposizioni.
L’attività sintetica del senso illativo colma le deHcienze e i limiti del procedimento analitico della
ragione.
Dove fallisce la logica riesce il pensiero naturale.
Il pensiero naturale, il cui organo appropriato è il senso illativo, ha in Newman la unzione simile a
quella che in Guardini ha il momento intuitivo rispetto a quello concettuale.
A Newman la logica appare come l’a priori che precede e guida ogni formalizzazione del pensiero:
solo la logica può fornire la base universale a partire da cui la comprensione di esperienze diverse
può e\ettuarsi.
Vi è una vicinanza con la gnoseologia guardiniana per cui l’atto concreto del conoscere si e\ettua
nella tensione polare tra momento logico-formale e giudizio intuitivo-esperienziale.
Questa vicinanza trova un’altra conferma nel modo in cui Newman declina tale impostazione
nell’interpretazione della connessione tra esperienza religiosa e teoria.
La proposizione che vi è un Dio personale e presenze, scrive Newman, può essere ritenuta in due
modi: come verità teleologica o come realtà religiosa. La proposizione esprime una nozione se
concepita ai Hni dell’analisi o simili esercizi intellettuali: la proposizione è immagine della realtà se
concepita a scopo di devozione.
La teleologia si occupa dell’apprensione nozionale, la religione dell’apprensione reale. Con ciò non
vuole porre in antitesi religione e teleologia, anzi vorrebbe una conoscenza nella quale venga
superata la formalizzazione del contenuto religioso.
Secondo Guardini l’uomo apprende oggetti sempre più numerosi e li elabora, ma il modo in cui
esperisce tutto perde d’intensità, la sua sensibilità per il signiHcato delle forme essenziali va
scemando. Questa attenuazione non è casuale, ma è il risultato della trasformazione dell’immagine
del mondo che avviene nel corso dell’epoca moderna.
Il mondo non viene più visto come una realtà Hnita-creaturale, ma come assoluto e in sé compiuto.
La natura appare come la realtà ultima, come costituita da cose Hnite, ma non limitabile, una
natura Hnita-inHnita.
Per Guardini la radice di ciò sta nella volontà di emanciparsi da Dio e di mettere a rinchiudere il
mondo in sé stesso.
Inoltre Newman crede che la logica dell’assenso si debba fondare sull’esperienza e sulla teoria,
proprio come la conoscenza Guardiniana si fonda su intuizione e ragione.

Alcuni rilievi critici parrebbero collocare l’opera di Guardini internamente al Hlone platonico-
agostiniano del pensiero occidentale. Ciò in parte è vero, tuttavia è un fatto che la prospettiva di
fondo che emerge non si esaurisce nel suddetto Hlone, infatti l’oggetto proprio della ribessione
guardiniana è il concreto vivente la cui forma sussiste e si attua nella tensione polare tra interno ed
esterno, interiorità e Hgura sensibile, anima e corpo.
La Hgura umana è una totalità in tensione in cui i poli, organismo Hsico e spirito, si appartengono
senza risolversi in un’identità.
Il metodo dialettico ha sempre costituito, nella storia del pensiero, la formulazione teorica della
dinamica mediante cui la ragione, oltrepassando l’apparire sensibile Hnito e contingente, perviene
ad un regno ideale sottratto al divenire e alla caducità delle cose.
L’originalità della posizione guardiniana sta, invece, proprio nel tentativo di coniugare assieme
dialettica e realismo del Hnito, nel pensare la tensione vivente non come superamento-negazione
dell’esserci concreto, ma a partire proprio dall’irriducibile realtà dell’ente Hnito.L’idea di
opposizione o della polarità sembra appartenere alla struttura fondamentale del pensiero

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platonicamente ispirato, ma tale pensiero ha anche pericoli speciHci:


- perdere il corpo e con ciò l’uomo;
- perdere il concreto e cadere nell’astratto;
- perdere la storia e cadere nel metaHsico.
Platone sfugge a questi rischi grazie alla fondamentale intenzionalità politica del suo pensare e
l’intensità della sua volontà pedagogica.
Guardini accoglie l’interpretazione platonica di Jaeger per il quale il problema politico appare non
solo come l’interesse centrale dell’uomo platonico, ma anche l’intenzionalità ultima del suo
pensiero. Il mondo platonico è orientato verso due poli: il primo è là dove tendono il moto del
pensiero dell’intera esistenza che culmina in conoscenza, il secondo è là dove si dirige l’educazione
pratica dell’uomo, del singolo come della collettività.
La dinamica platonica risulta così animata da due moti antitetici di cui uno costituito dalla
corporeità formata da mezzi ginnici e musici, e l’altro, antitetico, ritorna dalla trascendenza con
l’esperienza di vita e valori acquisiti al mondo terreno e i suoi compiti.

La possibile genesi dell’estetica guardiniana si fonda sull’idea di rappresentazione, cioè sulla


possibilità che ha l’ente sensibile, e specialmente il corpo umano, di rivelare, manifestare
l’interiorità che lo abita.
La dialettica tra interiorità e Hgura sensibile dà luogo ad una gerarchia degli enti, per cui
l’immagine esteriore appare progressivamente come un simbolo dell’intero.
Le cose si trovano tra loro in un diverso rapporto di rango, di valore. Rappresentano una crescente
rivelazione di valore o di magniHcenza (quadro metaHsico del platonismo documentato in
Bonaventura).

La connessione tra ontologia platonica e antropologia guardiniana è possibile poiché per Guardini il
platonismo è nel suo fondo intimamente dinamico: ciò che fa realmente statica un’immagine è il
fatto che in essa in ultima istanza riposa l’essenza, allo stesso modo in cui essa diviene dinamica
per il fatto che l’ultimo conferimento di signiHcato lo derivi da un valore.
Così in Platone se l’idea fosse come tale l’ultima istanza, sarebbe solo pura essenza, archetipo
sussistente dell’eterno. Ma essa non lo è, dietro di essa sta il Bene e il Bene non è forma, ma pura
pienezza di valore, eterno eter-mosso, che vibra in sé stesso.
Fluisce nell’idea e attraverso essa in tutto ciò che è (in Bonaventura si tratta di un itinerarium
mentis in Deum, possibile perché ogni ente contiene luce, è colmo di signiHcato spirituale, capace
di esprimere una giustiHcazione divina).
Il mondo diviene così la rappresentazione simbolica dell’Assoluto, traccia del divino di cui le cose
sono segni concreti.
La concezione simbolico-assiologica del reale è in Guardini un punto fermo derivante da Platone,
Agostino e Bonaventura.
L’ontologia dinamica del platonismo per cui l’eros trascende le forme che simbolicamente
orientano al bene, si lega all’antropologia guardiniana per cui nessun polo dell’esistere può essere
idealizzato come normativo in senso assoluto.
Se ciò è innegabile, è vero che la tendenza dialettica in Guardini coesiste con la tendenza per cui la
realtà ha una sua pregnanza che non può essere sorvolata, né idealizzata, ma si impone con viva
evidenza.

Se è pur innegabile la Hliazione platonico-agostiniana del pensiero di Guardini, comunque il


dichiarato intento è di procedere verso un platonismo concreto che lo porta nelle vicinanze di
Aristotele. Ciò è particolarmente evidente in una delle forme chiave del pensiero guardiniano cioè
la forma vivente: Hgura che, ritmata dalla tensione materia-forma, è analoga al concetto
aristotelico di entelechia tradotta sul piano antropologico. Questa idea trova il suo corrispettivo nel
rapporto polare che lega tra loro anima e corpo.
L’anima diviene qui forma del corpo, anzi questo corpo particolare. Anche in questo caso l’analogia
con la posizione aristotelica è vivente.
In sede metaHsica, gnoseologica, antropologica e etica Guardini dimostra di muoversi in un’orbita
di pensiero che non solo è a_ne, ma in alcuni punti nodali si svolge all’interno delle posizioni
proprie della corrente aristotelico-tomista.
Per la precisione le analogie sono più il frutto di una convergenza in forza di un’esigenza
speculativa di tipo realista, piuttosto che l’esito deliberato e consapevole di un recupero teso a

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valorizzare una determinata tradizione.


Anche se Guardini simpatizzava per la linea interiorizzata Platone-Agostino-Bonaventura, l’altra
linea (aristotelico-tomista) appare come la complementare, non contraddittoria.
In una lettera del 1919 Guardini scrive circa il rapporto mistica-teologia: non dobbiamo mai
dimenticare che la grande cultura mistica del Medioevo fu possibile solo perché un tesoro di idee
teologiche chiare e vitalmente approfondite era di dominio comune.
Ancora una volta la tensione polare diviene criterio ermeneutico fondamentale.
Non è corretto nemmeno contrapporre Agostino e Tommaso perché essi esprimono tendenze e
sottolineature che sono entrambe necessarie. L’immagine di Guardini come pensatore platonico-
agostiniano risulta così contemporaneamente confermata e ridimensionata.

CAPITOLO 5- L’epoca moderna tra dionisismo della totalità e Onitismo tragico.

Il pensiero religioso ha da sempre inbuenzato quello HlosoHco e la concezione dell’uomo: basti


pensare al passaggio dall’età medievale a quella moderna, in cui il cambiamento delle concezioni
religiose ha provocato un diverso tipo antropologico.

Secondo la prospettiva Guardiniana, il concreto vivente non è un sistema chiuso e statico, ma


dinamico tra i suoi opposti e aperto tra il suo io interiore ed esteriore.
Ma la persona non è data dalla sintesi tra i suoi opposti o il prevalere dell’uno sull’altro, ma da un
loro equilibrio, che tuttavia non è una condizione stabile, ma passeggera: il suo ethos ( modo di
fare, comportamento da cui deriva il termine etica) sta nel mantenersi oscillante.
L’esistenza umana non può diventare troppo leggera altrimenti si dileguerebbe nell’indeHnito, non
può diventare pesante altrimenti sprofonderebbe: deve poter OSCILLARE. Ciò non signiHca che
venga rinnegato il continuo progredire, anzi, proprio nell’oscillazione si fonda l’insaziata ricerca
umana.
Secondo la legge del limite (ethos che scaturisce dall’opposizione polare) l’uomo oscilla
continuamente tra sé stesso e il desiderio dell’inHnito.

La teoria di Guardini mostra l’impossibilità di attuare uno degli opposti in modo assoluto, o una
sintesi tra i due. Questo costituisce la Hnitezza ma al tempo stesso la sua tensione verso l’inHnito.

Tale pensiero era già presente nell’età classica e poi in quella medievale, ma con l’età moderna
questo modello viene rivoluzionato: cerca di superare l’opposizione polare tra i due opposti e di
assolutizzare i fattori costitutivi dell’esistenza. ora il mondo e il soggetto tendono ad a\ermarsi
come totalità, come l’inHnito che non ammette un oltre.
Dal punto di vista dell’opposizione ne scaturisce una dialettica tra limite e illimitato.
L’era moderna cerca di superare la struttura-opposizione polare e, quindi, la contingenza del Hnito,
e di porre in modo assoluto i fattori costitutivi dell’esistenza; persegue l’ideale di
un’assolutizzazione del Hnito (io-mondo) in una forma tale da non permettere all’autentico limite di
sussistere.

Inizialmente l’età moderna vuole assolutizzare il Hnito arrivando ad una concezione panteistica in
cui Dio non è separato dal resto del mondo, ma coincide con esso, ne è legge e struttura
immanente.
L’inHnito non è altro rispetto al Hnito.
Durante l’età moderna il concreto vivente si basa su tre concetti:
- soggetto inteso come forma umana autonoma;
- natura intesa da un lato come un’entità creatrice, dall’altro come una realtà immanente ed
immediata;
- cultura intesa come mondo ominizzato.

Il rapporto tra queste tre componenti varia nel tempo.

La concezione dionisiaca cerca di comprendere la morte accostandola all’Eros: la vita e la morte


sono i due momenti fondamentali dell’esistenza, potenze elementari che formano la grandezza e la
potenzialità della vita.
È quanto accade nel sentimento romantico che, assumendo vita e morte come i due poli

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dell’esistenza, dà prova di un vacuo estetismo, sotto il quale si nasconde un inganno infernale.


L’illusione sta nell’a\ermare una uni-totalità composta da vita e morte, che non sono le parti di un
tutto, ma l’una la negazione dell’altra.
L’atteggiamento dell’uomo nei confronti della morte è di difesa: la morte non è naturale.
Nel processo della modernità alcune persone hanno tentato di piegare questo sentimento naturale
in una forma per cui la malinconia cede il posto ad una quiete dell’animo.
In particolare vengono citati Hölderlin e Rilke.
Hölderlin credeva che la morte e la vita ultraterrena rappresentassero una forma reale
dell’esistenza tanto quanto la vita terrena (concezione diversa da quella del positivista e del
borghese per i quali la morte è incomoda).
Nella sua poesia defunti e regno dei morti sono reale, non cadono nell’irrealtà: i morti non sono
ombre.
Il mondo si estende tra la vita terrena e ultraterrena, che sono le due forme in cui appare.
L’immagine del mondo di Hölderlin si impone come realtà a partire dall’esperienza religiosa che per
Guardini sta alla base della poetica di Hölderlin.
Secondo Guardini, Holderlin non nega la religiosità classica, ma la integra con le dottrine cristiane.

Rilke rompe con il cristianesimo, in una lettera del 1923 accusa la Chiesa di aver tradito tutto ciò
che profondamente ed intimamente esiste di qua in nome dell’al di là.
Rilke appartiene alla serie degli annunziatori del messaggio della realtà Hnita fondata su sé stessa.
Tale consapevolezza rappresenta un punto di partenza per dire sì alla vita e all’esistenza terrena.
Il sì alla vita di Rilke implica un momento che comprende anche la morte, il negativo.
Ammettere la vita senza la morte e viceversa sarebbe una restrizione che esclude in ultima istanza
ogni inHnito.
La morte è il lato della vita posto a rovescio di noi e da noi illuminato: non esiste né un di qua né
un di là, ma solo una grande unità.
La vera esistenza è data dall’unità tra vita terrena e ultraterrena, e questo è possibile grazie alla
metamorfosi, ovvero la trasformazione delle cose in virtù dell’animo, che le interiorizza.

Secondo questa concezione Hnito e inHnito sono complementari tra loro e la vita è costituita da
entrambi.
Ma questo comporta un capovolgimento del modello, infatti l’inHnità viene sostituita con una
tragica Hnità che genera una nuova divinità, un Dio Hnito.
Il concreto vivente può passare da una polarizzazione all’altra, ma è per principio riferito ad
entrambe.
Il vero Assoluto, invece, non è un fenomeno complementare, non ha un contro-polo. L’inHnito
nell’accezione moderna è, cioè, un inHnito-Hnito: un inHnito che si costituisce a partire dal Hnito
inteso nella sua totalità, per cui al di fuori del Hnito e senza di esso sarebbe nulla.
Questa concezione di Hnitismo tragico trova espressione nella HlosoHa di Nietzsche in cui non
esiste nessun altro mondo se non quello Hnito (la realtà non è più natura, ma Hnitezza), in cui
l’uomo acquisisce una totale autonomia; in questa prospettiva Dio diventa angoscia dell’uomo
(viene riHutato come altro dal mondo), che non permette la libera espressione dell’uomo.
Per Scheler la negazione di Dio non conferisce all’uomo l’esonero dalla propria responsabilità, non
diminuisce la sua indipendenza né la sua libertà, ma al contrario è sentito come qualcosa che
innalza la responsabilità e la sovranità al più alto grado possibile.
(Ateismo postulatorio: il problema oggi non è se Dio esiste e come sia, ma come sia possibile una
coesistenza del mondo con Dio: se io devo esistere lui non può esistere; deHnito irrazionale da
Guardini) Per Guardini, prima di Nietzsche, è Dostoevskij che ha colto questo fenomeno:
l’atteggiamento di Karamazov verso Dio è ribellione per Guardini, non ateismo, ma attacco aperto.
Dio non è negato, ma è il nemico, così Karamazov proietta il suo personale dissidio interiore
nell’Assoluto.
Inoltre l’assenza di un assoluto causa il rifugio dell’io in un’istituzione superiore in grado di
proteggerlo, lo Stato. In questo modo Guardini spiega lo stretto rapporto tra religione e
assolutismo.

Quindi la concezione religiosa dell’età moderna non consiste nella sola eliminazione di dio, ma con
l’assegnare le sue stesse caratteristiche ad un’altra entità.

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(Nietzsche) Questa tensione della dialettica dell’età moderna (il passaggio dall’inHnito al Hnito) non
può mantenersi: il mondo non può oscillare tra inHnito e Hnito perchè non sono complementari, ma
contraddittori tra loro.

La dialettica inHnito-Hnito si risolve con la dialettica mondo Hnito-io Hnito che tendono ad una
reciproca dissoluzione.
L’esso diventa predominante e spegne la persona. Il mondo trionfa, il trionfo è, però, solo
apparente poiché, nell’estinguere il suo contro-polo, cessa esso stesso di essere un polo.
Mondo non è solo terra, ma ciò che si costituisce come spazio tra il soggetto e la realtà: se si
estingue l’io si estingue il mondo.

Sia nella concezione dionisiaca che tragica, quindi l’assolutizzazione del mondo o del singolo, i due
poli entrano in crisi, diventando astrazione.
Tale contraddizione viene risolta in parte già da Nietzsche attraverso l’equilibrio tra dionisiaco e
apollineo, ma in modo apparente perché secondo Guardini l’equilibrio non può essere una
condizione statica.

In un saggio del 1946 Guardini scrive: “negli anni appena trascorsi è accaduto qualcosa che merita
una considerazione sulla situazione religioso-spirituale dell’epoca post-moderna e su quella
dell’uomo in generale”.
Il Nazionalsocialismo si è a\ermato come nuova fede, appare nella Germania degli anni ‘30 come
possibile soluzione religiosa e politica a quella crisi della civiltà che segnava radicalmente il ‘900
europeo tra le due guerre.
Nella volontà di colmare il vuoto di un Dio assente, il nazismo si sostituiva nella funzione simbolico-
mitico-religiosa.
Sussiste una legge essenziale: ogni spirito Hnito crede ad un Dio o ad un idolo.
Nel palesarsi di questo nesso tra potere totalitario e manipolazione religiosa di una soggettività in
crisi, si rende esplicita l’anima politica della posizione guardiniana.
La tendenza totalizzante del potere del secondo dopoguerra è in atto costantemente nella misura
in cui il soggetto è come incapace di opporre resistenza. Il totalitarismo trionfa solo se il singolo ha
la volontà di liberarsi da se stesso.
Anche l’età moderna ha provato una sua angoscia (Angst): Angst non si riferisce a qualcosa di
determinato, ma all’essere in generale, l’angoscia insorge da un’esperienza dell’essere.
L’angoscia è il sentimento proprio dell’essere-per-la-morte, dell’esistenza stretta in una radicale
Hnitudine.
Guardini individua nell’accettazione della morte il passaggio dall’era moderna ad un’era post-
moderna: l’uomo comprende di essere destinato a morire.
Questo sentimento corrisponde all’angoscia di Heidegger che corrisponde alla paura del nulla, della
non-vita (per Heidegger l’esistenza autentica si staglia solo nell’assunzione consapevole della
morte come destino della vita).
In Nietzsche nel sentimento cosmico moderno si estingue il sentimento del Tutto inHnito e ad ogni
punto dell’essere a_ora il limite e con esso anche la possibilità di ciò che è dall’altra parte
dell’essere: il Nulla. Per Nietzsche il Nulla è una minaccia all’essere, è il guoco che il riHuto di Dio
ha reso vuoto in cui opera la morte. Nella percezione del Nulla l’essere deHnito dalla morte
sperimenta la propria Hnitezza radicale.

In questo modo la concezione di natura, soggetto e cultura cambiano radicalmente: il mondo non è
più considerato una realtà protettiva dell’uomo, ma come a totale disposizione per i suoi progetti
ed esperimenti.
Il soggetto diventa un oggetto a disposizione degli altri soggetti.
La cultura diviene disumanizzante.

Nel post-moderno la dialettica non comprende più la soggettività dell’uomo e l’oggettività del
mondo, ma l’oggettività dell’uomo e il mondo reso soggettivo.

CAPITOLO 6- Tecnica e potere nell’era post-moderna.

Nell’età moderna la natura è onorata, l’uomo futuro, invece, la tratta come un materiale a

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disposizione dell’uomo e delle sue ricerche. Da soggetto diventa oggetto (per questo si
demonizza).

Già in precedenza vi era questa concezione per cui il mondo doveva essere studiato in modo da
favorire l’uomo, ma ora diventa un oggetto a sua totale disposizione: non ha più misteri o segreti
per l’uomo. La natura non è più sentita come grandezza originaria che va incontro all’uomo, ma
come materiale per la volontà dell’uomo.

Ma questo ha un e\etto anche sull’uomo, che diventa anch’esso oggetto: l’obiettivo è il dominio,
un’umanità pianiHcata, guidata. Ora l’esistenza umana diventa la storia dell’uomo.
Questa pietriHcazione avviene grazie alle capacità che ora ha a disposizione l’uomo per modiHcare
le caratteristiche Hsiche e psichiche degli altri uomini.
Inoltre l’uomo creando la macchina si sottomette ad essa e alle sue capacità: una sempre più netta
economicizzazione dell’uomo tende a far sì che l’uomo tratti un altro uomo nello stesso modo in cui
una macchina tratta la materia da cui ricava i suoi prodotti.
L’uomo diventa oggetto per l’altro uomo: l’accresciuto potere dell’uomo sulla natura apre la
possibilità di un profondo dominio dell’uomo sull’uomo.

Questo processo avviene a causa del vuoto di potere che si crea in seguito alla negazione
dell’inHnito e a\ermazione del Hnito come unico assoluto.
Quindi l’uomo cerca di colmare questo vuoto dominando se stesso e ciò che lo circonda.
Attraverso la statistica ha una conoscenza esatta di quello che esiste, attraverso lo Stato ha una
conoscenza di quali sono gli scopi da raggiungere, attraverso la teoria ha la conoscenza di come
potrebbe fare per raggiungerli e attraverso la tecnica riesce a raggiungerli.

Mentre la dominanza dell’uomo antico si basava sul rispetto dell’essenza delle cose, che quindi
erano considerate come un soggetto da non oltraggiare, ora l’uomo post-moderno non ha alcun
rispetto per quell’essenza ed attua una padronanza totale del mondo e degli altri uomini (il nuovo
dominio mette in dubbio se le cose siano fondate su un’essenza o meno).

Sul tema della tecnica Guardini aveva potuto ascoltare la conferenza di Heidegger “la questione
sulla tecnologia in cui Heidegger esprimeva il processo di merciHcazione del mondo (chiamava il
materiale oggettivato) con il nome berstand (patrimonio).
Il punto di convergenza tra Heidegger e Guardini risiede nella determinazione dell’essenza della
tecnica moderna. “Cosa c’è dietro lo sforzo della tecnica scientiHca?”.
La tecnica moderna ha dei Hni:
- il tentativo di liberarsi della terra come vincolo esistenziale
- far esplodere l’uomo-atomo per andare oltre l’uomo attuale (andare oltre la forma attuale umana)
- la volontà di liberarsi di Dio.
In questo modo è possibile attuare l’Ubermensch, per il quale l’io in forma assoluta è l’unico Dio:
solo l’avvento della tecnica nei suoi termini moderni rende possibile l’ipotesi di un oltre uomo
(Ubermensch) per il quale Dio non è che il proprio sé a\ermato nella sua onnipotenza.

L’uomo rimette alla macchina una prestazione tecnica che prima dominava e ciò lo rende più libero e
contemporaneamente fa che vada persa una possibilità del creare, del vivere il mondo. La storia del processo
tecnico degli ultimi due secoli è storia di emancipazione che è insieme dominio e estraneazione dalla natura.
La cultura che precedette l’a\ermazione della tecnica era caratterizzata dal fatto che l’uomo poteva
personalmente sperimentare ciò che aveva realizzato con il proprio lavoro (armonia uomo-natura). Ora
viceversa l’uomo perde la ricchezza della sua creazione: può dare a queste macchine qualsiasi compito
sviluppando così un potere in aumento costante ma ciò signiHca che chi produce rinuncia alla individuale
vitalità del lavoro e si abitua a voler produrre solo ciò che è consentito dalla macchina. Per la dialettica
guardiniana che l’uomo faccia qualcosa il cui e\etto rimanga fuori da lui è impossibile perché ogni agire umano
si polarizza. Con l’automatizzazione sorge un mondo di pensiero a cui è conforme il carattere oggettivo del
nuovo uomo e la sua crescente incapacità di sentimento.
L’oggettivazione del mondo diventa oggettivazione degli uomini: la tentazione che la macchina contiene è che
essa consente di portare all’estremo la tendenza di risolvere la natura nella storia, con la conseguente recisione
del legame tra cultura e natura.

Secondo Guardini ci si può comportare in due modi di\erenti di fronte all’uomo post-moderno: si
può riHutare tale concezione, considerandola come una tendenza disumanizzante, o accogliere tale

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concezione, ma creando un nuovo tipo di uomo che si adatti all’era della tecnica, senza però
perdere la sua umanità.
Per Guardini l’unica strada possibile è quella di non irrigidirci di fronte al nuovo perché il nostro
posto è nel divenire. A noi è imposto il compito di dare forma a questa evoluzione e possiamo
assolvere a tale compito solo aderendovi onestamente, ma rimanendo sensibili a tutto ciò che di
distruttivo ed inumano è in esso.
Il nostro tempo non è anteriore a noi, noi stessi siamo il nostro tempo, siamo in rapporto col tempo
come lo siamo con noi stessi: dobbiamo dire sì al presente storico.
L’adesione al presente in Guardini si motiva a partire da un’opinione pratica, dove la caratteristica
oscillazione della sua ribessione non indica contraddizione di prospettive. La decisione per il tempo
e non contro il tempo assume il signiHcato del tutto positivo di umanizzare l’età della tecnica senza
per questo riHutarne i risultati pratici e le grandi acquisizioni teoriche.

Quindi la posizione di Guardini si di\erenzia sia dall’umanesimo che dall’ottimismo utopistico.


Egli propone di umanizzare l’uomo post-moderno.
Infatti, inizialmente l’uomo era domato dalle forze della natura e aveva cercato di governarle, ma
poi questo governo diventò assoluto, tale da scoprire nuove forze naturali ancora più caotiche.

Una volta l’uomo aveva come primo obiettivo quello di a\ermarsi di fronte la natura che lo minacciava perché
egli non l’aveva ancora dominata. Man mano che l’uomo entrava in possesso della terra liberava con la sua
stessa azione forze nuove. Queste andarono crescendo e oggi, scatenate hanno provocato un nuovo caos. Nella
storia siamo ritornati al punto in cui si trovò l’uomo primitivo quando a\rontò il compito di creare il mondo.
L’età moderna aveva accolto come assoluta vittoria l’aumento della potenza scientiHca e tecnica; le sue
conquiste le erano senz’altro apparse come un progresso ma l’aumento del potere non è più percepito come
sinonimo di elevazione dei valori della vita. La soluzione dunque non può essere data dal riHuto della tecnica o
dalla diminuzione del potere bensì dal suo dominio. L’epoca futura in deHnitiva non
dovrà a\rontare il problema dell’aumento del potere ma quello del suo dominio. Si tratta di passare dal potere
sulle cose al potere sul proprio potere.

Secondo Guardini il modo migliore per fermare questo processo è riuscire a domare il dominio che
esercita l’uomo sulla natura.

Guardini riporta l’esempio di Gandhi: egli ha disarmato la potenza coloniale inglese unendo alla
richiesta di libertà del suo popolo la rinuncia all’esercizio della forza, costringendo il suo avversario
a scegliere tra dignità e brutalità.

Occorre si formi una nuova umanità, libera, forte.


(Non può identiHcarsi con l’umanesimo borghese perché il borghese non ha elaborato uno stile di
dominio o un ethos ma si è sempre ritirato dietro nell’anonimato.)
L’uomo che ora intendiamo, mette decisamente al secondo posto l’utilità e al primo la grandezza
della struttura del mondo che si impone.

Questo nuovo tipo di umanità deve temere il pericolo del suo potere, ma deve usarlo con libertà, il
ché non indica il libero arbitrio.
Per Guardini questo livello trova espressione nella HlosoHa vitalistica cioè una mentalità che vede
nella vita il valore supremo e per cui i valori della verità, del bene, del giusto del bello sono
irradiazioni della realtà autentica, della vita.
In questo modo, però, tutti gli altri valori sarebbero relativi e quindi arbitrari.
Occorre un punto di vista fuori dal mondo, che entri nel campo di esistenza umana e che guidi gli
uomini nelle loro azioni e comportamenti.
Tale punto esterno, per Guardini, è rappresentato da Dio, che è condizione trascendentale di
libertà.

Com’è possibile superare quella dialettica moderna che identiHcando Hnito con inHnito porta l’elemento
religioso ad essere strumento di chiusura del mondo in se stesso?
Occorrerebbe all’uomo un punto archimedeo: una posizione di appoggio “fuori” dal mondo potrebbe sussistere
solo se qualcosa di sovra-mondano si elevasse all’interno delle realtà date – diverso per natura, per qualità,
essenzialmente. Poggiandomi sopra un Diverso io vedrei Hnalmente il mondo a tutto tondo, avrei una distanza
per lo sguardo d’insieme e un criterio per una piena valutazione. Quel punto sovra-mondano dovrebbe essere
rispetto al mondo diverso ma anche totalmente positivo, integrante: a queste condizioni esso renderebbe

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idoneo e libero questo è il momento in cui il fatto storico della Rivelazione penetra nella conoscenza del mondo.
Solo nel rapporto con l’avvenimento di Cristo, con il Dio in e al di sopra del mondo diviene possibile per
Guardini quel distacco dal mondo che è condizione trascendentale della libertà.
CRISTO è LA RADICE DELLA LIBERTA’ VIVENTE: il credente ha un luogo per essere diverso, una posizione altra
verso il mondo rispetto a tutti i rapporti intra-mondani.
Questa idea di Cristo come radice della libertà vivente si ra\orza in Guardini anche alla luce del
Nazionalsocialismo e non a caso il saggio del 1946 è dedicato ad un’analisi politico-religiosa del nazismo che
abbia al centro proprio Cristo come fonte e fondamento della libertà europea. Secondo Guardini la
biologizzazione nazional-socialista aveva come scopo di portare lo spirito tedesco nel suo orizzonte precristiano,
dominato dalle potenze naturali e dai suoi miti. L’io in questo orizzonte non è concepito come persona ma come
Hgura individuale parte del Tutto.
In questa esperienza ciò che l’uomo chiede ai suoi salvatori è di essere protetto dalla minaccia della morte,
dell’inverno, della notte, e di qui la letizia nel ritorno del sole, della primavera, della salute. Cristo non apporta
quella liberazione che la primavera apporta nei confronti dell’inverno bensì spezza la catena di quel Tutto in cui
sia inverno che primavera, sia luce che buio, sono intrecciati e Hssati, cioè la natura. Cristo libera dal potere
della natura in generale, per una libertà che non viene dalla natura ma dalla sovranità di Dio; egli spezza, alla
radice, la potenza che la natura esercita sull’uomo asservendolo mediante il laccio della propria condizione
mortale. Solo Cristo, come punto archimedeo rivela che c’è l’altro, essendo lui stesso l’Altro. Per questo il
nazionalsocialismo è ostile verso il cristianesimo, verso la Hgura di Cristo come forma di libertà europea – il
nazionalsocialismo mirava a distruggere la dimensione europea: il nazismo veriHcava l’assunto novalisiano del
Cristianità o Europa (Christenheit oder Europa).
Nulla è più falso dell’opinione per cui il dominio moderno sul mondo nella conoscenza e nella tecnica abbia
dovuto esser raggiunto lottando in contraddizione con il cristianesimo – è vero il contrario: l’enorme rischio
della scienza e della tecnica moderna è divenuto possibile solo sul fondamento di quell’indipendenza personale
che Cristo ha dato all’uomo. La libertà e quindi la posizione antropologica determinata dal cristianesimo è
condizione trascendentale per il dominio della natura in senso moderno. L’Europa nella misura in cui non
rinnega l’archè originario che la costituisce, Cristo come Hgura archetipa che la plasma ha in sé le risorse per
dominare il proprio potere. La libertà cristiana non è solo libertà dal mondo ma anche da se stessi, dalla propria
potenza. Secondo Guardini infatti l’Europa alla cui essenza appartiene la sollecitudine di custodire con onestà e
fedeltà l’elemento storico Hnito può indicare la strada in cui tale essenza si accordi con il dominio tecnico delle
cose.
Il compito a_dato all’Europa non sarà quello di accrescere la potenza della scienza e della tecnica, ma quello di
domare questa potenza.

CAPITOLO 7- Cattolicesimo e dialettica.

Il compito che compete all’Europa richiede un tipo umano la cui forma dipende dalla Hgura di
Cristo.
Il problema è che nella modernità si ha una sorta di spiritualizzazione del cristianesimo che
abbandona il mondo in balìa di se stesso.
Da un lato si a\erma un’esistenza autonoma, staccata da inbuenze cristiane dirette, dall’altra
nasce un cristianesimo che imita questa “autonomia”.
Come si sviluppa una scienza scientiHca e un’economia puramente economica, cos’ si sviluppa
anche una religiosità puramente religiosa. Questa perde i suoi rapporti con la vita concreta, si
limita ad una dottrina ed una prassi prettamente religiose.
L’aspetto religioso viene isolato come speciHco religioso e la religione diviene sempre più interiore,
sempre più povera di contenuto mondano, sempre più monotona ed insigniHcante.
Il rapporto religioso tende a staccarsi dalle cose e a svilupparsi nell’intimo spazio dell’anima con
puri pensieri, sentimenti ed esperienze.
Ne nasce, di conseguenza, una religiosità senza mondo, senza cose, in apparenza pura, ma in
realtà discutibile.
Il grave rischio del cristianesimo moderno è che la religione venga a perdere o a estromettere il
mondo e Hnisca col diventare fragile e vuota: c’è il rischio che l’atto religioso addirittura ostacoli la
vita e che, alla Hne, il riHuto della religione sia sentito come una liberazione.

Guardini condivide il giudizio di Scheler il quale indicava il limite del protestantesimo luterano: aver
instaurato una divisione tra Dio e mondo, tra anima e corpo, tra politica e morale. Per questo, per
Scheler, il protestantesimo luterano ha contribuito a creare l’ideale di una pura interiorità sbagliata.
Questa posizione, vista dal punto di vista cristiano, appariva a Guardini come priva di chances.
Per Guardini un cristianesimo simile non è in grado di formare quel tipo umano capace di portare a
compimento l’opera richiesta (salvare l’opera di Dio).

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Il cristianesimo dell’epoca moderna, però, è inadeguato per il suo essere dualista e, di


conseguenza, misura il necessario tramonto di una determinata forma cristiana.
In questo dualismo, in particolare, viene negata la dimensione “politica”, storica, del cristianesimo:
dimensione che si manifesta nella Chiesa come rappresentanza di Cristo.

A questo punto viene citato Schmitt il quale, in un saggio apprezzato da Guardini, esprimeva come
dovesse essere inteso il “rappresentare” della Chiesa.
La Chiesa è la rappresentazione personale di una personalità concreta.
La Chiesa ha la forza della rappresentazione: rappresenta la civitas humana, rappresenta ogni
momento il rapporto storico con l’incarnazione e con il sacriHcio di Cristo, rappresenta Cristo stesso
in forma personale, il Dio che si è fatto uomo nella realtà storica.
L’eclisse di questa sua dimensione rappresentativa, ovviamente, coincide con la negazione della
realtà dell’incarnazione di Dio.
Per Schmitt (come per Guardini e Scheler) la spiritualizzazione del cristianesimo non è altro che la
controparte di un materialismo pratico.
Il “grande tradimento” della Chiesa è proprio il fatto di non concepire Cristo come un privato né il
cristianesimo come a\are privato e puramente interiore, ma di farne un’istituzione formale e
visibile.
Viene citata come esmpio la “Leggenda del Grande Inquisitore” di Dostoevskij (Il G.I. confessa di
aver ceduto alle tentazioni del diavolo perché tanto la natura umana è malvagia di per sé).
In questa leggenda Dostoevskij proietta nella chiesa il suo potenziale ateismo per cui ogni potere
veniva visto come qualcosa di malvagio, come una tentazione del male, in cui la lotta tra bene e
male può essere superata solo in Dio.
Nell’interpretazione di Schmitt questa leggenda diventa l’impronta della tentazione cui il
cristianesimo è sottoposto: quella di una sua “purezza” che coincide con la sua estraneazione dal
mondo.
Schmitt si oppone a questo cristianesimo puro che vede Cristo come “anima bella” e trova
sostengo in vari lettori di Dostoevskij, tra cui Guardini.
Guardini a\erma che questo tipo di cristianesimo non ha rapporti con la zona intermedia in cui vive
l’uomo nella sua esistenza quotidiana.
Guardini riHuta questo cristianesimo “ideale” che è incapace di misurarsi con la realtà.
Una vita priva di quella zona intermedia sopracitata diventa irreale perché questa zona è il luogo
dell’attuazione pratica. Questa sfera mediana è il luogo della decisione, una sorta di “o_cina
dell’esistenza” in cui l’uomo si forma e si misura con il reale.
Secondo Guardini questo ambiente costituisce un aspetto fondamentale del fatto cristiano come
realtà storica: la Chiesa.
La Chiesa, come l’uomo, è ordinata a partire da una zona mediana ed è perciò espressione delle
possibilità medie dell’elemento cristiano.
Il cristianesimo della realtà è diverso da quello della leggenda che non ha nessun rapporto con
questa sfera mediana (diviene irreale).
Il Cristo del G.I., infatti, non ha nessun rapporto e\ettivo col mondo, non sta col mondo reale,
esiste solo per sé, non viene al mondo dal Padre e non va dal mondo al Padre, non ama il mondo
com’è e non lo ricollega a “casa”.
La lontananza di Cristo fa risaltare inevitamìbilmente l’umanità dell’inquisitore che vuole far
risaltare e valere l’uomo della realtà nella sua mediocrità.
Il Grande Inquisitore, infatti, riconosce che l’uomo è quello che è e a\erma che l’esigenza cristiana
dovrebbe partire proprio da ciò che l’uomo è e non da ciò che dovrebbe essere.
Il Cristo della leggenda non è altro che la cifra dell’esito spiritualistico cui conclude parte del
cristianesimo moderno nel suo processo di estraneazione dal mondo. Proprio per questo Guardini
oppone un “no” al Cristo di Dostoevskij.
Alla deformazione del G.I. corrisponde quella della Hgura di Cristo. L’ateismo moderno non è che il
volto speculare di una “interiorizzazione” del cristiano che solca la modernità.
Questi due fattori coincidono con la negazione della Chiesa come vivente rappresentazione di
Cristo nella storia.

Guardini a\erma che nella modernità il fedele viveva nella chiesa, ma non viveva la chiesa, la vera
religiosità inclinava sempre più verso la sfera personale.

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La Chiesa non veniva più sentita come realtà religiosa fondata in sé stessa, ma come valore limite
del soggettivo, come formale istituzione.
Secondo Guardini, però, questa concezione stava cambiando verso un nuovo realismo.
Questo riemergere della realtà in senso oggettivo era testimoniato anche da una nuova percezione
della comunità, per la quale essa appariva come un fattore fondamentale per il dispiegamento
dell’io.
Un cambiamento di questo genere, ovviamente, si ribetteva anche nella concezione religiosa (della
prassi cristiana): la vita religiosa non viene più solo dall’io, ma nasce al tempo stesso nel polo
opposto, nella collettività oggettiva e formata. Essa vive nei due poli, la vita torna ad essere ciò che
è per sua natura: un fenomeno di tensione.

Il desiderio presente in quel periodo era quello di ricreare un ponte tra il pensiero cattolico
tradizionale e lo spirito del tempo che veniva colto alla luce del suo orientamento verso l’oggetto.
In realtà, però, lo sforzo dei maggiori esponenti del pensiero cattolico consisteva nel raccordare
questa esigenza con tutto ciò che essa stessa tende ad escludere: una sintesi di fronte ai vari
dualismi.
Emerge, quindi, il contrasto tipico della polarità.
La prospettiva del pesiero cattolico, quindi, tende a sintetizzare tuttò ciò che appare internamente
diviso, tende ad esprimere in una tensione polare tutti gli elementi che la cultura aveva separato.
Nell’ambito cattolico coloro che elaborarono questa dialettica della polarità furono Przywara e
Guardini.
Przywara a\ermava il bisogno di una HlosoHa della polarità dinamica: una HlosoHa di un movimento
buttuante avanti e indietro fra due poli. Questa dinamica esprime un’esigenza di totalità e, al
contempo, il senso della Hnitezza: anche questi due sono 2 poli di una condizione creaturale.
Per Przywara questa polarità non deve basarsi sull’aut-aut (o soggetto o oggetto, persona o forma),
ma i poli devono essere sempre in una tensione, non devono escludersi a vicenda.
È ovvio che ci siano tante analogia tra Przywara e Guardini.

Un altro personaggio molto importante è senza dubbio Möhler il quale o\riva nelle sue opere
un’immagine di come il metodo dialettico potesse essere integrato dentro la posizione cattolica.
Möhler nella sua opera “Die Einheit in der Kirche” farà uso di concetti che si ritrovano anche in
Guardini come per esempio la distinzione tra contrarietà e contraddizione (Gegensatz e
Widerspruch).
L’idea di fondo di Möhler sta in una nozione di Chiesa come unità organica di posizioni che, fuori di
essa, diventano tra loro contraddittorie.
Nella Chiesa, per Möhler, tutte le opposizioni devono sussistere nell’unità: questa tensione fra gli
opposti è il segno della verità della Chiesa perché la vita vera si ha solo nell’unione reale degli
opposti (l’eresia consiste, invece, nell’assolutizzazione di una parte che rompe il legame della
tensione polare).
Möhler a\erma che il vero opposto è tale solo nel rapporto con un altro opposto in quanto l’opposto
esige unità. Quell’elemento che all’interno della Chiesa è un opposto, al di fuori di essa resta
isolato e non è più un vero opposto (Schmitt: “pare che non vi siano opposizioni che essa non
possa abbracciare”).

Anche l’epoca attuale è dominata da un dualismo radicale: la natura viene vista come il polo
opposto del mondo meccanico.
Nel cattolicesimo la natura non indica l’opposto dell’arteHcio e dell’operare umano, al contrario
nautra e ratio sono un’unità.
La Chiesa cattolica romana, infatti, non concepisce tutti quei dualismi tra natura e spirito, natura e
intelletto, natura e macchina…
Per questo non può essere accettata l’idea secondo cui la Chiesa risulti essere il polo “animato”
contrapposto alla mancanza d’anima. Anche la nozione guardiniana di Chiesa è simile in quanto
per lui la Chiesa trascende ogni sua possibile riduzione a contro-polo del mondo.
Per Guardini il cattolicesimo si realizza sempre in determinati tipi, ma il cattolicesimo essenziale
non è un tipo. È rappresentato da un’unità universale originaria (Chiesa) che non è una sintesi di
tipi, ma che abbraccia tutti i tipi possibili.
Ovviamente questa immagine della Chiesa presuppone l’idea della stessa come coincidentia

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oppositorum: una realtà che non si identiHca con una struttura tipologica determinata, ma che si
conHgura come possibile soluzione dei contrasti che dominano la vita.
La forma viva della Chiesa non è costituita da parti giustapposte [complexio oppositorum
(combinazione di opposti in cui il nesso tra i poli è estrinseco)≠coincidentia (unione degli opposti)].
Nella Chiesa c’è un qualcosa che sta sopra tutte le strutture e le loro opposizioni: non si risolve in
nessuna struttura, ma le abbraccia tutte.
In questo essere dentro le strutture e, al contempo, libera da esse, la Chiesa si documenta come
diretta manifestazione di Dio in-al-di-sopra del mondo.

Nel contesto presente, invece, la prospettiva cattolica si rivela nell’accentuazione del polo
soggettivo.
Ciò accade principalmente perché, come dice Guardini, l’epoca è in procinto di passare dal
momento individuale e soggettivo a quello comunitario e oggettivo. Ci si rende conto che
l’atteggiamento individuale era valido e che anche la comunià può essere problematica.
Chiesa e personalità, perciò, vengono a\ermate come i due poli di un rapporto vivente.
Mentre l’epoca moderna era “il tempo della scissione”, l’epoca post-moderna ha il compito di
vedere di nuovo la relazione tra Chiesa e personalità.
La nuova sintesi tra Chiesa e personalità richiede che il livello soggettivo non venga obliterato in
quello oggettivo.
La Chiesa non deve cercare la propria grandezza, forza e profondità a spese della personalità.
Ci si trova di fronte ad un rapporto polare in cui un polo non può esistere, anzi neppure pensarsi
senza l’altro. La personalità non è un’opposizione contraddittoria rispetto alla Chiesa, ma un suo
polo opposto, postulato della stessa essenza della Chiesa e dalla quale, percò, è a sua volta
determinata.
Questa relazione non indica identità, ma co-appartenenza e di\erenza: i due poli sono
autosussistenti, necessari ed originari, ma nessuno dei due può essere derivato dall’altro.

Ora si ha una nuova fase che è lotta della vita contro la forma in generale, contro il principio di
forma (negazione pura).
Sul piano religioso un cambiamento simile si registra nel misticismo dove il desiderio dell’animo
viene appagato in una inHnità senza forma, in una religiosità della vita nella quale si risolve ogni
contenuto obiettivo della fede.
Un esempio di questo nuovo fenomeno è l’espressionismo che non fu solo un fenomeno estetico-
letterario, ma rappresentò una temperie spirituale, attraverso cui tutti più o meno passarono.
Nella sua tensione estrema esso portò alla luce la Hgura di un animo dilacerato, diviso tra varie
opposizioni (spirito e corpo, interiorità e rappresentazione sensibile…).
La realtà viene vista come un caos e la materia come estranea allo spirito, negativa per esso (deve
essere eliminata per attingere la purezza divina).
In tutti questi fenomeni vi è sempre un punto fermo: l’ostilità nei confronti della forma sensibile
come reale ed autentica rappresentazione dello spirituale (anche contro il cattolicesimo come
rappresentazione del divino nel mondo).
Guardini in uno scritto del ‘27 aveva trattato dell’animo romantico in termini simili, sempre in base
alla dialettica polare tra formale ed informale. Nel romantico vive il timore della forma, proprio per
la ragione che tale forma non è per lui originariamente sicura ed egli la assume, quindi,
estremisticamente. Romantica è la nostalgia di forme deHnite, ma rompantico è anche il
sentimento polarmente opposto: la nostalgia dell’immensità. Il romantico racchiude in sé la
possibilità del caos, è in pericolo, e cerca di superare questo pericolo reprimendolo.
Guardini descrivendo il romantico descriveva allo stesso tempo il contemporaneo oscillare della
cultura tedesca che passava dall’espressionismo alla Neue Sachlichkeit (nuova oggettività)
ubbidendo ad un suo misterioso amore delle oscillazioni polari.

Il renouveau cattolico ha dei limiti: la capacità di sintesi del pensiero cattolico si era rivelata fragile.
Si può parlare di una sopravalutazione delle sue possibilità in un contesto in cui solo la Chiesa
romana si imponeva come punto fermo. Quando il clima muterà, muterà anche l’apparente
centralità della Chiesa cattolica.
Schmitt invitava la Chiesa a scegliere, a prendere una decisione, a scendere dal terreno ideale del
complexio opporitorum in quello della realtà. Non vi furono posizioni di rilievo, lo stesso Guardini

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era incerto. Questa situazione si ribette nella progressiva eclisse in Guardini della ribessione sulla
valenza storicaq dell’esperienza ecclesiale (saggio del 1922). Le espressione ottimistiche dell’inizio
ora scompaiono visto che la Chiesa vive solo in tentazione e contraddizione (post 2° guerra
mondiale) portando al declino del renouveau cattolico.
Il ritorno dell’umanità alla Chiesa non si era realizzato, la fede è chiamata ad una decisione.
In queste a\ermazioni Guardini ra_gura la Hsionomia cristiana come sotto il segno della decisione.
Molti scritti di Guardini degli anni ‘30 ruotano intorno alla Hgura di Cristo. Solo nel recupero del
“centro” era possibile la formazione di una posizione umana capace di spezzare il cerchio per cui il
potere era assoluto. Per queste idee il nazionalsocialismo vedrà Guardini come un oppositore.

Il cristianesimo, quindi, si trova di fronte ad una decisione in un mondo che si chiude sempre più in
sé stesso, che è su_ciente a sé, ricco di signiHcato.
Il mondo, diventando sempre più completo, dispiega come propri quei valori che prima erano
considerati i possesso dell’esistenza cristiana e respinge ciò che è cristiano.
Con la Hne della guerra questa situazione era destinata a cambiare.

In Das Ende der Neuzeit, Guardini designa i tratti di un incontro tra fede e soggettività, analoghi a
come aveva delineato quello tra Chiesa e personalità. Qui, però, il soggetto ecclesiale non
compare.
Questo incontro renderà il credente capace di resistere e riconoscere la giusta direzione, lo renderà
capace di accedere ad un rapporto diretto con Dio attraverso le varie situazioni di violenza e
pericolo in questo mondo caratterizzato da una crescente solitudine.
In questo contesto quasi “apocalittico” Guardini è consapevole che la tradizione non ha più
e_cacia nel tempo. Descrive, così, una situazione Hnale e al contempo un cristianesimo iniziale
Hducioso in sé e privo degli appoggi del consenso comune.
Si può parlare, quindi, di una sorta di specularità della fede rispetto alle gravi esigenze imposte dal
contesto storico.

In un opera del 1950 Guardini delinea la rilevanza estetica della posizione cristiana: l’apparire del
divino in forma sensibile come momento essenziale della dimensione cristiana.
L’intero ordine morale dell’antico e del nuovo Testamento poggia sulla presenza di Dio, sull’idea di
un Dio che si manifesta all’uomo. Questa epifania raggiunge il vertice nella Hgura di Cristo che non
scompare con la sua dipartita, ma trova sempre espressione nei suoi fedeli.
Il cristiano diventa, quindi, rappresentazione vivente di Cristo, espressione visibile di una presenza.
La Chiesa (volto della decisione per la fede) esercita la funzione di rivelare e al contempo di velare
un qualcosa. Essa, nel cui incontro è possibile vedere e udire Cristo, è manifestazione di Lui nella
carne di coloro che Gli appartengono: noi abbiamo esperienza di Cristo solo attraverso la Chiesa e
la decisione della fede si compie in rapporto ad essa.

Viene citata l’importanza dell’opera d’arte nella valenza estetica.


Lo spettatore di una di queste opere sperimenta una sorta di puriHcazione: partecipando e vivendo
la rappresentazione il suo animo viene scosso e depurato e lui potrebbe in un certo senso iniziare
una vita nuova.
L’opera d’arte, quindi, dona una sorta di Hducia a chi la osserva o la riceve che consiste nel
sentimento immediato di poter cominciare di nuovo e nella volontà di poterlo fare rettamente.
L’attrattiva che essa esercita in colui che vede, è strettamente connessa alla bellezza che essa
promana. Il manifestarsi della bellezza è intimamente connesso all’attuarsi della forma: se la
bellezza è “lo splendore della verità”, l’attrattiva che essa esercita contiene in sé una
ragionevolezza (realizzarsi dell’ente nella forma) che essa manifesta.
L’esperienza del “volto” assume un valore prioritario: quando il volto è espressione di una pienezza
rivelativa del compiersi di un’essenza, indica il luogo di una riscoperta.

Vedere procede dalla vita e inbuisce sulla vita. Vedere signiHca assimilare le cose, soggiacere alla
loro azione, esserne presi. Nel vedere soggetto e oggetto, l’io proprio e l’io altrui, sono presi in
circolo, a\errati in una dialettica che può essere di contraddizione reciproca, ma anche di
imitazione.
La visione (Anschauung) è la prima parola e l’ultima dell’intero arco della ribessione di Guardini.

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