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Pirandello, unico autore italiano del 1900 con fama mondiale, dal
suo nome deriva aggettivo “pirandelliano”, cioè paradossale, nasce
ad Agrigento nel 1867 ed influirono sulla sua formazione l’ambiente
siciliano di provenienza, l’ambiente tedesco e quello romano,
ognuno dei quali influì profondamente sull’autore stesso. Fu il
primo a farsi portavoce in Italia delle avanguardie europee:
relativismo, ironia, umorismo, gusto per il paradosso, crisi delle
ideologie, allegoria. Pirandello giunse a queste avanguardie
partendo dalla crisi del decadentismo fino a diventare un esponente
dell’espressionismo. Si possono individuare cinque periodi
fondamentali nella vita del poeta: il periodo della “formazione” fin
al 1892, anno nel quale decide di dedicare la propria vita alla
letteratura. Dal 1892 al 1903 vi è il periodo della “coscienza” della
crisi nel quale Pirandello inizia ad occuparsi di tematiche
relativistiche. Il terzo periodo va dal 1904 al 1915 ed è chiamato
della “narrativa umoristica” (il fu Mattia Pascal) Pirandello quindi
rifiuta il criterio della verità oggettiva pretesa dalla scienza quindi
dal positivismo, mentre del romanticismo mette in dubbio il
primato della verità soggettiva. Quindi Pirandello mette in
discussione lo stesso concetto di verità. E da qui nasce il relativismo
che trova espressione nell’umorismo. Dal 1916 al 1925 vi è la fase del
“teatro umoristico” ed è in questo periodo che egli acquisisce fama
internazionale. Ultima fase è il “surrealismo”, tra il 1926 e il 1936.
Sigmun Freud ebbe una concezione dell’essenza di ogni persona
molto simile a quella di Pirandello, però espressa in diversa forma.
Freud parla dell’inconscio e di come è impossibile conoscere
interamente l’essenza di ogni persona, si possono conoscere solo
piccole pulsazioni o espressioni di questo nella nostra vita. La
concezione dell’essenza dell’uomo che presenta Pirandello non è
così lontana da Freud. Luigi Pirandello introduce una teoria a cui si
fa riferimento come la “Teoria delle maschere”, che spiega
attraverso la metafora della maschera come l’uomo si trova nascosto
dietro di una “maschera” imposta a noi dalla società, dai valori
imposti da questa e dalla nostra famiglia. Questa maschera, così
come la “maschera che ricopre l’inconscio”, non può essere tolta
dall’uomo, e l’uomo non potrà allora conoscere la vera e propria
essenza, la propria personalità. Questa teoria si presenta, per
esempio, nella sua opera “Uno, nessuno e centomila” dal titolo
stesso: Uno: perché una è la personalità che l’uomo pensa di avere;
Centomila: perché l’uomo nasconde dietro la maschera tante
personalità quante sono le persone che lo giudicano; Nessuno:
perché, in realtà, l’uomo non ne possiede nessuna. In quest’opera si
racconta la storia di Vitangelo Moscada, che si svegliò un mattino e
la moglie gli disse di avere il naso storto. Questo si vide allo specchio
e si rese conto che in realtà non conosceva niente di lui stesso. Il
protagonista, dopo guardarsi allo specchio minuziosamente e
scoprire i suoi difetti cominciò a domandare a tutti come vedevano
il suo naso, credeva che tutti lo guardavano solo per questo e
cominciò anche a divulgare i difetti degli altri. Così, creo una grande
crisi di identità fra tutte le persone del popolo, che credevano di
conoscere se stessi ma in realtà non conoscevano i propri defetti. La
maschera non è altro che una mistificazione pirandelliana, simbolo
alienante, indice della spersonalizzazione e della frantumazione
dell'io in identità molteplici, e una forma di adattamento in
relazione al contesto e alla situazione sociale in cui si produce un
determinato evento. Nel momento in cui un individuo diventa
personaggio ha due possibilità: adeguarsi alla forma in cui è stato
identificato rivelando la propria ipocrisia; oppure può vivere in
maniera consapevole ed autoironica la scissione tra forma e vita.
Nel primo caso l’individuo si identifica nella sua maschera. Nel
secondo caso l’individuo diventa una “maschera nuda” in quanto è
impotente di risolvere la scissione tra forma e vita, pur essendone
consapevole. In questo secondo caso quindi subentra la riflessione
che distanzia il soggetto da ciò che compie. L’uomo così più che
vivere si guarda vivere, come se fosse all’esterno. Proprio il
guardarsi vivere, cioè estraniarsi dalla realtà, è la caratteristica della
maschera nuda. Chi si guarda vivere si pone fuori dalla vita
compatendo sé stesso e gli altri. Il sapersi osservare dall’esterno e
ironizzarci è il segno distintivo dell’umorismo che lo distingue dalla
comicità. Nel comico non vi è momento di riflessione. Il comico
avverte che una situazione è il contrario di come noi pensiamo
dovrebbe essere. L’umorismo invece non è l’avvertimento, ma il
sentimento del contrario, nasce quindi dalla riflessione e non sfocia
nell’ilarità comica, ma nella pietà.
Nel periodo dello scoppio della prima guerra mondiale, vari artisti
che scappano dai paesi coinvolti, si ritrovano casualmente in
Svizzera a Zurigo che è l’unico paese che rimane neutrale; questo
incontro casuale darà vita al movimento artistico del dadaismo.
Questi artisti vogliono fondare un posto in cui poter parlare di arte e
fondano il “Cabaret Voltaire” il 5 febbraio 1916; il nome al cafè non è
scelto a caso, proprio questo filosofo sosteneva che la ragione
doveva prevalere sui pregiudizi. Tra gli artisti vanno ricordati:
Tristan Tzara (scrittore e poeta), Ugo Ball (filosofo e scrittore), Hans
Arp (scultore) e Marcel Janco (pittore). Questo movimento
interessa le arti visive, la letteratura, il teatro e la grafica. Inoltre il
movimento dadaista ha messo in dubbio, stravolto, la concezione
che si aveva delle cose. Propone il rifiuto della ragione e della logica
esaltando l’umorismo. Per fare ciò i quadri, specialmente quelli
famosi, venivano cambiati, aggiungendo particolari che rendevano
anche scene drammatiche o comunque serie, buffe. Gli artisti dada
si comportavano in modo irrispettoso, stravagante e inoltre erano
disgustati dalle usanze del passato. I dadaisti (ovvero quelli che
appoggiavano questo movimento) facevano anche delle attività che
includevano manifestazioni pubbliche, dimostrazioni, pubblicazioni
di giornali sull’arte e sulla letteratura. I temi trattati nel dadaismo
spaziavano dall'arte alla politica. Dada nacque come protesta contro
il barbarismo derivante dalla Prima Guerra Mondiale ma in seguito
il movimento artistico del dadaismo si occupò più di ribellarsi alla
rigidità, agli schemi che c’erano nei vari campi dell’arte. Il
movimento dadaista ha influenzato stili artistici e movimenti che
nacquero in seguito. Come ad esempio il surrealismo, la pop art e il
gruppo neo dada Fluxus. Come dicevano i dadaisti stessi, il
Dadaismo era l’anti arte e si poneva come obiettivo rappresentare
tutto il contrario di quello che veniva rappresentato. Ci sono diverse
interpretazioni della parola “dada”. Per i russi è una doppia parola;
per i bambini francesi è un modo di chiamare il cavallo a dondolo;
per alcune regioni italiane è il dado. Ufficialmente viene considerata
una parola senza senso; forse i creatori di questo movimento
artistico chiamato dadaismo scelsero questo nome proprio per
indicare, ancora una volta, il rifiuto della razionalità tipico del
Dadaismo. Da questi atteggiamenti derivano quasi inevitabilmente
certi canoni: desacralizzazione dell’opera d’arte («L’arte non è una
cosa seria» dirà Tzara in un suo manifesto). I dadaisti mescolano
pittura, scultura, grafica, fotografia e sperimentano le infinite
possibilità estetiche offerte dai materiali e dalla loro combinazione.
È dal concatenarsi casuale di forme e oggetti che nasce l’opera
d’arte, un puro atto estetico, privo di valore economico e di qualsiasi
funzione pratica. Prevale una diversa concezione dell’artista e della
sua pratica. I ready-made di Duchamp, per esempio, ossia oggetti di
uso comune assumono lo status di opera d’arte per il solo fatto che
l’artista lo sceglie e lo colloca nello spazio dell’arte. Duchamp
rivoluziona l’arte con il ready-made, termine che significa
letteralmente ‘già fatto’, ‘già pronto”, ‘già realizzato’. Le sue opere
più celebri sono la “ruota di bicicletta”, la “fontana” e lo
“scolabottiglie”. Agli oggetti esposti sono apportate leggere
modifiche, come iscrizioni, titoli, ma, soprattutto, l’artista sigla
l’opera con la sua firma. Anche la firma stessa può avere valore
ironico, come in ‘Fontata’, in cui Duchamp usa lo pseudonimo R.
Mutt, che può essere usato in numerosi giochi di parole. Duchamp
individuò diverse tipologie di ready-made: ready-made rettificato,
che presuppone l’intervento dell’artista (come la ‘Ruota di bicicletta’
o la ‘Fontana’); object trouvés, in cui avviene un mutamento della
funzione normale dell’oggetto scelto (come in ‘Scolabottiglie’).
La “Ruota di Bicicletta” è il primo ready-made rettificato di
Duchamp, realizzato ancora nel 1913. Esso consiste in una ruota di
una bici montata al contrario su uno sgabello. L’opera ironizza sulle
sculture celebrative, dove in questo caso il fondamento è lo sgabello
e la “statua” in sé è sostituita da una ruota privata della sua normale
funzione. Lo spettatore ha la possibilità di far girare la ruota e ciò
toglie a questa “scultura” ogni tipo di sacralità tipica delle sculture
classiche celebrative. Può essere definito quindi come un ‘anti-
monumento’.
Lo “Scolabottiglie” è un ready-made di Marcel Duchamp, realizzato
nel 1914. L’opera d’arte è uno scolabottiglie acquistato da un vinaio
e portato così come era in una sede espositiva. L’aspetto
iconografico di questa opera è irrilevante, infatti l’oggetto in
questione non vuole rappresentare niente ed è semplicemente uno
scolabottiglie che ha cambiato destinazione. L’oggetto così esposto
sta a significare però una provocazione e una critica verso la società
industrializzata, in cui l’uomo è visto solo come forza-lavoro.
“Fontana” è un ready-made esposto da Duchamp, con lo
pseudonimo di R. Mutt. La fontana in questione è un orinatoio
rovesciato, di quelli che si trovano nei bagni pubblici. L’ironia
dell’opera è accentuata anche dal fatto che l’artista apponga la sua
firma e la data di realizzazione in basso a sinistra sull’orinatoio. In
quest’opera si capisce quale è il senso dell’arte per Duchamp: arte
non è più fare, quindi mostra un’abilità prettamente tecnica, ma
scegliere, ossia utilizzare l’intelletto. Chiunque, quindi, può essere
artista e tutto può diventare arte, basta riuscire a sottrarsi agli
schemi imposti dalla società borghese. L’originale della Fontana è
andato disperso, poiché nel corso di un trasloco venne scambiato
per quello che inizialmente era (ossia un orinatoio) e giustamente
buttato via. Per alcuni collezionisti l’orinatoio è visto anche come un
grembo materno, anche perché la stessa parola R. Mutt ricorda il
tedesco ‘mutter’, madre.
Il "Grande Vetro" rappresenta il capolavoro di Duchamp,una
finestra che apre una prospettiva a perdita d’occhio, è costituito da
due lastre di vetro verticali issate l’una sull’altra. È una immagine
realizzata su vetro con olii, vernici, lamina e filo di piombo, argento,
polvere, acciaio, attraversata orizzontalmente al centro da una
sbarra di ferro, inserita soltanto per rendere il vetro più solido dopo
la rottura. Duchamp inizia a lavorare al Grande vetro nel 1915 e
continuerà fino al 1923 senza portarlo mai definitivamente a
termine, è l’opera di tutta la sua vita. In seguito dopo che il lavoro fu
danneggiato durante il trasporto nel 1927, Duchamp, pur lasciando
intatta la frattura del vetro in quanto aggiunta casuale e quindi
necessaria, riprenderà a ricostruire le parti perdute. La parte in
alto, il "regno della Sposa" consiste in un sistema di provette e
tubicini capillari, a destra della sposa c’è l' "Iscrizione" o "Via
Lattea" che circonda i tre "Pistoni di corrente d’aria"; in alto a
destra, infine si trova l’area di "Nove spari", buchini ottenuti
perforando nei punti d’impatto tra il vetro e nove fiammiferi con la
punta intinta nella vernice fresca sparati da Duchamp da tre punti
diversi. Nella zona maschile sottostante, il primo elemento è
costituito dallo "Scapolo-Nove stampi maschi" situati in modo
simmetrico alla Sposa; gli stampi sono in comunicazione, tramite i
"Vasi capillari". Gli stampi maschili comunicano, dunque, con i
"Sette setacci" (coni ottenuti fissando con una lacca la polvere
lasciata depositare per un lungo periodo sul vetro) sotto di loro si
trovano, al centro, la "Macinatrice di cioccolato", simbolo del
piacere, è il primo elemento eseguito nell’elaborazione del Vetro, e,
a sinistra, la "Regione della cascata" con la "Slitta" contenente il
"Mulino ad acqua". Duchamp ha descritto il Grande vetro come un
motore, alimentato dal desiderio d'amore, che produce lo «sboccio»
della Sposa. Come il ciclista impegnato nell'ascesa iniziatica è il
motore umano di un mezzo costituito da due parti, le due ruote, così
il Grande vetro consta di due parti e può essere paragonato, secondo
Duchamp, a un'auto che sale un pendio: "la macchina desidera
sempre più la vetta della salita, e sempre accelerando lentamente
come stanca di speranza, ripete i colpi di motore regolari a una
velocità via via maggiore fino al rombo trionfale".