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Søren Kierkegaard (1813-1855)

Vita
Søren Kierkegaard è danese, nasce nel 1813 a Copenaghen. Dopo un’infanzia è travagliata, si
iscrive alla facoltà di teologia della sua città. Nel suo diario racconta di un grande terremoto che gli
ha impedito di raggiungere i suoi obiettivi. Il padre rivela al figlio di aver commesso una grave
colpa: aver sposato un’altra donna immediatamente dopo la morte della madre. Questa colpa
pesa anche al ragazzo, che non riesce a ottenere buoni risultati nei suoi studi. Nel 1838 muore il
padre, molto credente, così il figlio gli promette di terminare gli studi e nel 1940 si laurea in
teologia. Nello stesso anno si fidanza con una ragazza, Regina Olsen. La sua vita sembra andare per
il meglio, ma l’anno seguente decide di interrompere la relazione con Regina, perché non vuole far
pesare la colpa del padre anche a lei e ai possibili figli. Kierkegaard inizia a condividere le idee di un
teologo luterano protestante, Adler, che non ha idee ortodosse, quindi gli viene vietato di
diventare pastore. Allora va a Berlino per ascoltare le lezioni di Schelling, ma ne rimane
profondamente deluso. Allora, potendo vivere di rendita per la ricchezza del padre, scrive. Negli
ultimi anni di vita comincia a criticare la chiesa di Copenaghen, perché era troppo ricca,
accondiscendente al potere, aveva perso la purezza delle origini. Di conseguenza egli diventa
l’oggetto di un giornale satirico, che lo fa soffrire molto. Muore di malattia nel 1855.

Opere
- Enten-Eller (Aut-Aut): Kierkegaard si contrappone alla filosofia di Hegel, la quale consisteva
in tesi, antitesi e sintesi.
- Briciole di filosofia: quando pubblica quest’opera Kierkegaard non si firma, perché non si
riteneva il personaggio più adatto per raccontare la filosofia, quindi mette il nome di
Climacus (VI secolo), un monaco che aveva studiato e conosceva molto bene la filosofia.
- La malattia mortale: Kierkegaard dice che l’uomo dipende e deve rivolgersi a Dio. La firma
a nome di un certo Anti-Climacus. Quindi controbatte le tesi di Climacus attraverso un
personaggio immaginario. Se Climacus è l’esperto della filosofia, Anti-Climacus è l’esperto
della religione. L’uso degli pseudonimi è finalizzato a questo scopo: per Kierkegaard solo
chi è esperto di un certo argomento è autorizzato a parlarne; solo chi abita un argomento
può parlarne. Deve esserci una relazione fra chi scrive l’opera e il contenuto di questa.
Kierkegaard non si sente degno di scrivere di filosofia, perché non ha acquisito abbastanza
fama.
- Diario di un seduttore: firma quest’opera a nome di Johannes il Seduttore.
- Timore e tremore: di Johannes de Silentio. Kierkegaard parla della vicenda di Abramo, che
è stato costretto a uccidere il figlio.
- Discorsi religiosi: egli firma quest’opera a suo nome, perché ha studiato il tema e può
permettersi di metterci il nome.
Kierkegaard ritiene che la comunicazione debba sempre avvenire tra singolo e singolo. La sua
comunicazione è chiamata diretta quando firma le opere a suo nome, indiretta quando usa uno
pseudonimo. È contrario alla comunicazione di massa. Infatti la sua tesi è Sul concetto dell’ironia
con particolare riguardo a Socrate. Egli aveva chiesto che sulla sua lapide ci fosse scritto “il
singolo”, perché riteneva che il singolo non appartenesse alla specie, ognuno è un essere a parte.
Kierkegaard difende la singolarità dell’uomo (contro l’universalità dello spirito di Hegel)
Il possibile
Il possibile è ciò che non è ma può essere. L’uomo, di fronte ad una possibilità, si pone ottimista e
crede che questa possibilità si realizzi. Kierkegaard invece sostiene il contrario: il possibile
potrebbe non realizzarsi e anzi, potrebbe realizzarsi il peccato.
L’uomo è privo di essenza. Kierkegaard interpreta la parola esistenza secondo l’etimologia latina
ex, tirare fuori: l’uomo quindi sta fuori dall’essenza. L’uomo è possibilità.
Kierkegaard vive e scrive sotto la minaccia del nulla, ossia con la paura della non realizzazione
della possibilità. La sua vita è fatta di alternative terribili che lo paralizzano. Egli stesso incarna la
figura del discepolo dell’angoscia, che sente gravare su di sé le possibilità annientatrici e terribili
del peccato.
“Ciò che io sono è nulla; questo procura a me e al mio genio la soddisfazione di conservare la mia
esistenza al punto zero, tra il freddo e il caldo, tra la saggezza e la stupidaggine, tra il qualche cosa
e il nulla come un semplice forse”.
Il punto zero è l’indecisione permanente, l’equilibrio instabile tra le opposte alternative che si
aprono di fronte a qualsiasi possibilità. C’è una perenne indecisione. Il centro del suo io sta nel non
avere un centro.

Gli stadi dell’esistenza


Aut-Aut
Estetica
Nello stadio estetico Kierkegaard prende come modello due figure di esteta: una è quella del tipico
Don Giovanni, l’altra è Johannes il Seduttore. Il primo è l’esteta più carnale, il secondo è
intellettuale. (Lo stadio dell’estetica non è un passaggio necessario).
Chi vive nello stadio estetico non fa nessuna scelta. Per Kierkegaard, scegliere significa scegliere il
bene. Quindi un Don Giovanni non può aver fatto di propria spontanea volontà la scelta di
diventare tale, ma è manovrato dall’esterno.
La sofferenza che si prova nell’estetica spinge il soggetto a liberarsi. L’esteta è vittima della sua
situazione. La disperazione apre uno spiraglio per cambiare vita. Una persona che prova
disperazione ha scelto di disperarsi.
L’immediatezza è propria dello stadio estetico. Seguire l’immediatezza non è una scelta. Una
giovinetta che segue il suo cuore non compie una scelta profonda, ma una immediata.
L’immediatezza si scontra con la verità.
Lasciandosi andare completamente alla disperazione, si può rompere l’involucro della pura
esteticità, e riagganciandosi con un vero e proprio salto, cioè con una scelta, all’altra alternativa
possibile: quella costituita dallo stadio etico.
Etica
Con la scelta della disperazione nasce dunque la vita etica, la quale implica una stabilità e una
continuità che la vita estetica, in quanto incessante ricerca della varietà, esclude. La vita etica è il
dominio della riaffermazione di sé, del dovere e della fedeltà a sé stessi, ovvero il dominio della
libertà, poiché in essa l’uomo si forma o si afferma da sé.
La libertà è finita, perché l’uomo è possibilità. Ma l’uomo vive sempre nella possibilità, quindi ha
una libertà limitata. La disperazione stessa è una scelta: si può dubitare, ma non si può disperarsi
senza sceglierlo.
 L’elemento estetico è quello per il quale l’uomo è immediatamente ciò che è.
 L’elemento etico è quello per cui l’uomo diviene ciò che diviene.
Nella vita etica l’uomo si sottomette alle regole della famiglia e della società assumendosi il peso
della responsabilità. L’uomo si adegua all’universale, al generale, ovvero alla regola che è uguale
per tutti. La persona etica vive del proprio lavoro, che costituisce la sua vocazione. Il matrimonio e
il lavoro costituiscono la normalità, la ripetitività.
Se l’uomo dello stato etico riflette sulla sua vita, scopre che c’è qualcosa che non ha fatto bene,
qualcosa che non è in sintonia con tutti gli aspetti positivi che ha fatto prima. In virtù della scelta
l’individuo non può rinunciare a nulla della propria vita, quindi si pente.

Timore e tremore
Di fronte al pentimento l’uomo non può rispondere, egli resta con questo dolore e la sua unica
possibilità è l’eventuale passaggio allo stadio religioso. Si tratta di una sconfitta, dello scacco finale
della vita etica. Riconoscendo la propria colpevolezza, è possibile il passaggio alla religione.
Abramo era un pastore, una guida per il suo popolo, un capo perfettamente inserito nella propria
società, è rispettato. Ha ricevuto una chiamata da Dio e gli ha obbedito. Dio gli chiede di uccidere il
figlio, cosa che non va d’accordo con la vita dello stadio etico. Dio chiede ad Abramo di sospendere
le norme etiche. Lo stadio religioso è caratterizzato dalla fede, dalla fiducia. Il fatto che Abramo
fosse angosciato era un segnala che confermava il fatto che fosse stato veramente chiamato da
Dio.
L’angoscia dell’incertezza è la sola assicurazione possibile. La fede è appunto certezza angosciosa.
Provare angoscia è come trovarsi sull’orlo di un burrone di cui non si vede il fondo.
 L’angoscia è quello stato d’animo che l’uomo prova nei confronti del mondo esterno.
 La disperazione invece è quello stato d’animo che pone l’uomo di fronte a sé stesso.
L’angoscia è la condizione generata nell’uomo dal possibile che lo costituisce. Essa è strettamente
connessa con il peccato, ed è anzi a fondamento dello stesso peccato originale. A differenza del
timore e di altri stati analoghi, che si riferiscono sempre a qualcosa di determinato, l’angoscia non
si riferisce a nulla di preciso. Essa è il puro sentimento della possibilità. L’angoscia non è né
necessità, né libertà astratta, cioè libero arbitrio: essa è piuttosto libertà finita, cioè limitata, che si
identifica con il sentimento della possibilità.
Il salto dallo stadio etico a quello religioso è maggiore rispetto a quello che c’è fra lo stadio
estetico e quello etico, perché l’uomo si trova a dover compiere un’azione non accettata dalla
società.

La malattia mortale
La disperazione è la condizione in cui il possibile pone l’uomo di fronte alla sua interiorità, al suo
io. Essa è strettamente legata alla natura dell’io. La disperazione è quella che Kierkegaard chiama
“malattia mortale”, non perché conduca alla morte dell’io, ma perché consiste nel vivere la morte
dell’io. Vivere la morte dell’io è il tentativo impossibile di negare la possibilità dell’io.
Per liberarsi della possibilità, l’uomo si crede autosufficiente, basta a sé stesso. Un altro tentativo
che fa l’uomo, è tentare di annullare sé stesso. Ma alla fine l’uomo non può prendere nessuna
delle due vie: l’uomo che ha fede in Dio si riconosce come possibile, ma se l’uomo riesce ad
accettare la possibilità allora non vive più la morte dell’io, ma l’unico modo per farlo è riconoscere
di essere dipendente da Dio.
In quanto opposto della fede, la disperazione è il peccato: perciò l’opposto del peccato è per
l’appunto la fede, non la virtù. La fede è l’eliminazione della disperazione; essa è la condizione in
cui l’uomo, pur orientandosi verso sé stesso e volendo essere sé stesso, non si illude di essere
autosufficiente, ma riconosce la propria dipendenza da Dio.
 Il possibile è ciò che non è ma può essere.
 L’impossibile è ciò che non è e non può essere.
 Il contingente è ciò che è ma può non essere.
 Il necessario è ciò che è non può non essere.

Destra e sinistra hegeliana


I discepoli di Hegel vengono divisi in “vecchi hegeliani” (Destra) e “giovani hegeliani” (Sinistra). I
primi sono quelli nati prima del 1800, i secondi sono nati dopo. I vecchi sono conservatori e sono
disposti a trovare un accordo tra religione e filosofia. I giovani sono critici nei confronti della
filosofia e dal punto di vista politico sono favorevoli al cambiamento, perché considerano la
visione hegeliano di tesi, antitesi e sintesi, che costituiscono un ciclo continuo. La realtà è un
divenire. I filosofi della destra considerano della dialettica il momento in cui tesi e antitesi si
conciliano e sottolineano il fatto che il sistema di Hegel è un sistema chiuso.

Sinistra Destra
Giovani hegeliani Vecchi hegeliani
Nati dopo il 1800 Nati prima del 1800
Rivoluzionari Conservatori
Filosofia come contestazione razionale Filosofia come giustificazione razionale
della religione della religione

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