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SØREN KIERKEGAARD

LA VITA E LE OPERE [PAG.NE 39-53]

Kierkegaard è un pensatore danese nato nel 1813 e morto nel 1855, sebbene la sua vita sia durata molto poco ha
scritto una moltitudine di opere, ha scritto moltissimo in maniera compulsiva; ha trascorso gran parte della sua vita a
Copenaghen fatta eccezione per una breve parentesi a Berlino dove era andato dopo la laurea in teologia per seguire
le lezioni di Schelling da cui però è rimasto deluso. Kierkegaard aveva un’educazione religiosa molto rigida che si
riferiva molto al senso del peccato; Kierkegaard era molto condizionato da quest’ultima infatti si iscrive all’università di
teologia a Copenaghen e scrive la tesi sul concetto di ironia in Socrate. Dopo la laurea però, non intraprende la
professione di pastore protestante e questa è un po' la caratteristica che segna tutta la sua vita (incapacità di compiere
delle scelte e di assumersi delle responsabilità definitive). Tant’è vero che dopo diverso tempo rompe il fidanzamento
con la sua promessa sposa che si chiamava regina Olsen senza una ragione precisa; anche se nelle sue opere parla di
questo fidanzamento ma non chiarisce mai le ragioni che lo hanno indotto a romperlo. In tutti i suoi scritti è presente
l’angoscia di fronte alle scelte.

Kierkegaard scrive moltissime opere, le più importanti delle quali sono:

- Aut-aut(1843)
- Timore e tremore (1843)
- Il concetto della angoscia (1844)
- La malattia mortale (1849)

TRA SOCRATE E CRISTO

Queste opere di Kierkegaard sono opere pseudonime in cui Kierkegaard non si firma con il proprio nome ma con uno
pseudonimo; per sottolineare come le posizioni espresse in queste opere non corrispondano a una sua convinzione,
ma siano semplicemente delle proposte che riguardano un determinato modo di concepire la vita e di viverla.

La prima opera significativa di Kierkegaard è la sua tesi di laurea sul concetto di ironia di Socrate, in cui in questa tesi
comincia a svilupparsi uno dei motivi che saranno presenti anche nelle opere successive di Kierkegaard che è la
polemica nei confronti di Hegel; a cui appunto Kierkegaard contrappone Socrate perché in Socrate Kierkegaard vede
incarnato l’ideale di una ricerca esauribile della verità; infatti diceva Socrate “una vita senza ricerca non è degna di
essere vissuta”. Quindi il senso della vita è la ricerca di una verità a cui non si approda mai in una maniera definitiva.
Questa è una concezione della filosofia nettamente contrapposta a quella di Hegel, che nella sua concezione di
filosofia offriva delle certezze. In Socrate c’è invece una visione completamente opposta per cui la filosofia fa tutt’uno
con la vita. La vita stessa di Socrate è una vita filosofica perché si è prefissata la ricerca inesaudibile della verità.

Molto importante è l’ironia, una caratteristica della filosofia di Socrate che consiste nel non prendere sul serio il finito;
quindi nell’ironia c’è un elemento di svalutazione e di relativizzazione di qualsiasi realtà finita, e in questo Kierkegaard
si rispecchia in Socrate perché la sua filosofia è una filosofia religiosa, cristiana e che quindi si basa sulla
relativizzazione di qualsiasi aspetto della realtà finita.

La polemica nei confronti di Hegel dipende anche dal fatto che secondo Kierkegaard è fondamentale la singolarità
dell’uomo, l’uomo è importante e ha valore in quanto singolo, non in quanto umanità. Perché Hegel dissolveva la
singolarità dell’uomo nell’umanità e invece Kierkegaard rivaluta l’esistenza concreta e irripetibile del singolo individuo.
Ogni esistenza è diversa dall’altra e irriducibile alle altre.

Un altro aspetto inaccettabile della filosofia hegeliana secondo Kierkegaard è la conciliazione degli opposti, l’idea che
gli opposti e le contraddizioni possano essere risolti attraverso una sintesi; quindi gli opposti nella filosofia di Hegel
sono conciliabili; mentre Kierkegaard sostiene che nella vita le contraddizioni non sono conciliabili; nella vita spesso ci
troviamo di fronte a delle possibilità che si escludono a vicenda, non possiamo scegliere una via di mezzo che
mantenga gli aspetti positivi di entrambe le alternative, nella vita è fondamentale la libertà come possibilità; mentre la
filosofia di Hegel è tutta ispirata alla necessità, secondo Kierkegaard l’esistenza mana è segnata dalla possibilità. Infatti
una delle categorie fondamentali della filosofia di Kierkegaard è la possibilità che viene vista non tanto come qualcosa
di positivo ma quanto piuttosto come qualcosa di negativo (rischio del fallimento); quindi la possibilità da origine al
sentimento dell’angoscia, e quindi il tentativo di Kierkegaard è quello di esplorare le diverse possibilità di vita che si
aprono davanti all’uomo, i diversi tipi di esistenza alternativi, inconciliabili tra cui l’uomo deve scegliere e l’unica
possibilità positiva che l’uomo può realizzare è quella che gli viene data dalla fede (cristianesimo), tutte le altre forme
di vita sono negative. Kierkegaard è un pensatore cristiano che per certi versi si può ricondurre a Pascal.

Una delle caratteristiche di Kierkegaard è il suo carattere profondamente antihegeliano, proprio perché nella filosofia
di Hegel il singolo si dissolve; mentre dice Kierkegaard che nell’esistenza dell’uomo il singolo è fondamentale. Inoltre,
la filosofia hegeliana ha la pretesa di essere oggettiva che raggiunge una verità universale, ma la verità dice
Kierkegaard non è mai qualcosa di oggettivo, ma è il processo attraverso cui l’individuo si appropria della verità, la
verità deve essere tradotta in una condotta di vita. Infatti, la filosofia di Hegel è una filosofia che vuole essere una
scienza oggettiva ma, in realtà la filosofia dice Kierkegaard è sempre una riflessione soggettiva, quindi è sempre
partecipata personalmente.

Nella filosofia di Hegel c’è una scissione tra la speculazione filosofica e la vita vissuta. Il filosofo è colui che definisce la
verità, ma la sua vita vissuta non ha nessuna importanza; mentre per Kierkegaard è fondamentale la vita vissuta.

Nella filosofia di Hegel c’è la tendenza a trovare sempre una sintesi, ma nella vita l’uomo si trova di fronte a delle
scelte che non sono conciliabili.

Un’altra caratteristica che Kierkegaard denuncia della filosofia di Hegel è il suo panteismo, panlogismo in cui dio viene
identificato con l’intera realtà e in particolare con l’uomo, con le istituzioni a cui l’uomo da vita, con le attività che
l’uomo pratica; ma secondo Kierkegaard l’infinito e il finito vanno tenuti nettamente distinti, quindi Kierkegaard rifiuta
il principio di risoluzione del finito e dell’infinito, in realtà finito e infinito sono caratterizzati da una infinita differenza
qualitativa cioè sono qualcosa di completamente diverso. Quindi come si capisce Kierkegaard riafferma una
concezione trascendente di dio (dio è oltre alla realtà).

L’idealismo hegeliano abolisce l’individuo, mentre l’individuo è fondamentale. Secondo Hegel gli individui non sono
nient’altro che il mezzo attraverso cui si pensa e si sviluppa l’idea di infinito, ma in realtà dice Kierkegaard il soggetto
del pensiero è sempre concreto. Al centro del cristianesimo c’è l’individuo.

Anche la concezione della storia di Hegel è completamente rifiutata da Kierkegaard. Questa concezione
giustificazionistica e provvidenzialistica, secondo cui tutto ciò che accade nella storia è giustificato, è logico, è
necessario; secondo Kierkegaard questo è assolutamente falso perché sostiene che la storia è semplicemente il regno
del dubbio e non presenta nessuna garanzia, perché l’individuo compie delle scelte che possono portarlo al fallimento.

I TRE TIPI: ESTETICO, ETICO, RELIGIOSO

Nella sua opera Aut-Aut Kierkegaard parla degli stadi dell’esistenza cioè le forme tipiche che può assumere l’esistenza
umana:

- La vita estetica: l’individuo cerca di perseguire l’interessante, cioè di fuggire agli avvenimenti che sono
quotidiani, prevedibili, ordinari, quindi privi di significato. Vuole realizzare qualcosa che gli dia la sensazione
di un piacere perfetto, la figura che rappresenta al meglio la vita estetica è il seduttore, tant’è vero che
prende il nome di Johannes (don Giovanni) colui che riesce a sedurre molte donne; proprio perché non riesce
a trovare mai la donna perfetta. Quindi in questo suo tentativo di appagare sempre questo piacere il suo
scopo è di riuscire a fuggire dalla noia, ma questo tentativo di fuga dall’ordinario, dalla noia si rivela inutile
perché don Giovanni non riesce mai a raggiungere quel piacere assoluto che ricerca; quindi nonostante cerchi
di evitare la noia inevitabilmente ricade nella noia e nella disperazione.
La noia e a disperazione possono essere la svolta della vita estetica, quindi possono preludere a una
trasformazione che può decidere di “abbracciare” la vita etica.
- La vita etica: a differenza della vita estetica che comporta il cambiamento continuo la vita etica comporta la
continuità e la stabilita. Tant’è vero che il personaggio che rappresenta al meglio la vita etica è quello del
marito che fa delle scelte definitive (si mantiene fedele alle proprie scelte). Attraverso lo stadio etico l’uomo
realizza la propria identità, la sua vita assume un senso unitario, quindi anche una storia; però in questa
costanza l’individuo deve accettare sé stesso in ogni aspetto, quindi deve fare i conti con le proprie colpe,
quindi prende consapevolezza delle proprie mancanze; questo lo può portare a un cambiamento radicale di
vita.
- La vita religiosa: qui troviamo una frattura netta tra stadio etico e stadio religioso. La figura che rappresenta
lo stadio religioso è Abramo che riceve da Dio l’ordine di uccidere Isacco, andando contro i principi dell’etica
che impongono al padre di amare il figlio; quindi il comandamento di Dio è in netto contrasto con le leggi
morali; quindi l’uomo religioso se si fida di Dio deve infrangere la legge morale, deve contrapporsi alla società
che lo circonda e che accetta questa legge morale. Agli occhi degli altri è un “assassino”; l’affermazione del
principio religioso sospende la validità della legge morale.

Secondo Kierkegaard l’uomo religioso è colui che si fida di Dio, che accetta di mettersi in contrasto con la società,
accetta di diventare un reietto perché stringe un rapporto personale di fiducia con Dio, questo rapporto è un rapporto
solitario che isola l’uomo, che lo priva del conforto della solidarietà con gli altri, rappresenta una scelta rischiosa
perché l’uomo perde tutto accettando di fidarsi di Dio e non può nemmeno essere certo del fatto che si tratti di un
comandamento di Dio, quindi la sua scelta è sempre segnata dall’angoscia di commettere un errore. La fede è una
certezza angosciosa.

[pag.ne 38-49]

CRITICHE CHE KIERKEGAARD RIVOLGE A HEGEL

La sua filosofia ha un’impostazione radicalmente diversa; K sottolinea il valore dell’esistenza del singolo uomo. Hegel:
principio della conciliazione, della sintesi, quindi tutto ciò che accade nella realtà è razionale, il male è solo transitorio,
una preparazione del bene; K: nella vita dell’uomo non c’è la possibilità di trovare un compromesso tra alternative che
sono radicali (una alternativa esclude sempre l’altra).

La sua è una filosofia religiosa; l’unica salvezza per l’uomo è costituita dalla fede. Trovarsi davanti a più alternative
viene vista da K come un rischio. Ciò che caratterizza la vita umana che si trova di fronte a queste scelte è l’ANGOSCIA.
Anche la sua vita è segnata da questa difficoltà di scegliere, pur avendo studiato teologia non diventa mai pastore
protestante, anzi entra in polemica con la chiesa danese che era fortemente influenzata a quei tempi dalla filosofia di
Hegel: la religione può dare certezze, invece K sostiene il contrario, il travaglio interiore è segno dell’autenticità della
fede. Scrive molte opere sotto pseudonimo (per far capire che lui non si identifica in nessuna delle posizioni sostenute,
vuole soltanto mostrare le possibilità di scelta) e elabora tre modelli di vita possibile:

- ESISTENZA ESTETICA: caratterizzata dalla ricerca del piacere, di ciò che è interessante, che si distacca quindi dalla vita
come routine; ricerca l’eccezionale. Nonostante la ricerca, non riesce mai a raggiungere un piacere perfetto, una
soddisfazione assoluta. Il personaggio che incarna questo modello è il DON GIOVANNI, che cambia costantemente
amante alla ricerca della donna in grado di dare la perfetta felicità. L’esistenza estetica, fallendo, sfocia in noia e
disperazione. È possibile che chi conduce questo tipo di esistenza possa rendersi conto di aver fatto una scelta
sbagliata e quindi approdi a un modello opposto;

- ESISTENZA ETICA: l’individuo fa una scelta definitiva, per la vita. Caratteristica è la perseveranza. Il personaggio che
incarna questa esistenza è il MARITO, ha una professione che svolge in maniera scrupolosa per tutta la vita funzionale
a mantenere il suo ruolo di marito. Ma col passare del tempo, il marito acquisisce consapevolezza delle sue mancanze
e dei suoi errori; ciò può condurre l’individuo ad abbracciare un’altra forma di esistenza;
- ESISTENZA RELIGIOSA: caratterizzato dal rapporto diretto con dio; il personaggio che incarna questa posizione è
ABRAMO a cui dio da un comando in contrasto con quelli che sono i doveri del padre; Abramo decide di infrangere la
legge morale e quindi di mettersi in contrasto con la comunità e di intraprendere da solo questo percorso di fiducia
incondizionata nei confronti di dio. In questa forma di esistenza, l’uomo è sempre solo di fronte a scelte difficili; il
prezzo che paga è l’isolamento. Ma caratteristica della fede è proprio imporre all’uomo scelte difficili, perché la fede
cristiana si basa sul paradosso. Dio onnipotente si presenta sotto le vesti di un uomo che viene sconfitto. Sono teorie
alternative, non si tratta di tappe per raggiungere uno scopo; l’individuo si trova a dover scegliere. Di fronte alle
possibilità, l’uomo non può non provare angoscia, che è il sentimento della possibilità; è diverso dalla paura, che è
sempre paura di qualcosa di specifico. L’angoscia è la condizione in cui il possibile mette l’uomo rispetto al mondo.
All’angoscia si accompagna sempre la DISPERAZIONE, condizione in cui il possibile pone l’uomo rispetto alla sua
interiorità; quindi è complementare all’angoscia. Di fronte a questo sentimento, l’uomo può:

- Volere essere sé stesso: accettare la propria condizione umana, limitata e fallace, ma questa accettazione non può
mai sfociare nell’appagamento; vive la propria condizione come condizione di infelicità, insoddisfazione;

- Non volere essere sé stesso: dimenticare la propria condizione però si tratta di una scelta impossibile, l’uomo non
può prescindere da sé stesso; le sue manchevolezze gli si presentano costantemente. Il tentativo impossibile di negare
il proprio io in questi due modi è quella che K chiama MALATTIA MORTALE, cioè vivere la morte dell’io.

L’unico modo per uscire dalla disperazione è la FEDE: l’uomo non può trovare la base solida in sé stesso ma affidarsi a
dio. È dunque una filosofia religiosa ma opposta a quella di Hegel, secondo cui il mondo e la storia sono una teofania
(manifestazione di dio); concezione immanentistica di dio. Invece secondo K il rapporto tra uomo e dio non si
manifesta nella storia nel suo complesso ma soltanto in un istante preciso, quando il trascendente si manifesta nel
mondo, cioè nell’incarnazione di dio in Gesù Cristo, non a caso in un singolo individuo. Secondo lui non è vero che
l’infinito si manifesta nel finito, ma solo in Gesù. Tra le due figure di Gesù e Socrate, secondo K solo Gesù Cristo è il
vero maestro; per Socrate invece la verità è insita nell’uomo, compito del filosofo è aiutare l’uomo a ritrovare nelle
profondità del proprio animo una verità che già possiede. Utilizza la maieutica. Invece il compito di Gesù è ben
diverso: passa attraverso la fede. Ma scegliere questa strada comporta dei rischi: anche i primi discepoli avevano dei
dubbi perché non potevano avere la certezza della divinità di Gesù, solo la fede può sorreggere questa idea.

Mappe complete al seguente link:

http://www.aiutodislessia.net/schede-didattiche/scuole-superiori/mappe-filosofia-per-il-liceo-classico-e-scientifico/
filosofia-5-liceo-classico-e-scientifico/kierkegaard-5-liceo-classico-e-scientifico/

[pag.ne 49-53]

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