Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Esistenza E Persona,Pareyson
ESISTENZA E PERSONA,
LUIGI PAREYSON
Quando ancora sono hegeliani Kierkegaard e Feruerbach cercano il modo di assimilare praticamente il
pensiero hegeliano: cercano dunque di applicare la filosofia hegeliana alla vita vissuta, senza limitarsi a
una professione astratta, ma facendo proprio una questione personale. Secondo loro l’unica realizzazione
possibile della filosofia hegeliana è il professore. Infatti la filosofia hegeliana si presenta come
autocoscienza della realtà e della storia, della realtà nella totalità compiuta delle sue parti e della storia
nella conclusione del suo sviluppo. Al filosofo non resta altro compito che quello di pensare la realtà e la
storia. Il filosofo non vive tutto ciò, ma soltanto lo contempla, perché non è filosofia che deve degradarsi a
vita, ma la vita che dev’essere contemplata a filosofia. Il filosofo è pura contemplazione quindi
qual è l’unica possibilità che gli rimane nella vita pratica? fare il professore, spiegare ciò che
sa.
Secondo Kierkegaard il pensatore astratto è quello che vuole essere puro pensiero dimenticandosi di
esistere, il che è una contraddizione comica. Egli ha una doppia natura: da un lato è un essere fantastico
che vive nell’essere puro dell’astrazione, dall’altro è una miseranda figura di professore, che è messa da
parte da quell’essere astratto, come si getta via un bastone qualunque. vuol essere un esistente, ma
non un esistente che esista soggettivamente.
Secondo Feuerbach il pensatore astratto è quello che isola il puro pensiero dalle altre facoltà e spiega
la realtà attribuendole i caratteri del puro pensiero, di modo che in lui si produce una contraddizione tra
una facoltà isolata e astratta e l’insieme delle facoltà in cui consiste la concretezza dell’uomo. La filosofia
resta chiusa nell’astrattezza.
La filosofia e la professione di filosofia sono in assoluto contrasto: è segno caratteristico
del filosofo quello di non essere professore di filosofia, e viceversa.
Secondo F il pensatore conciliante è quello che ha spirito di scuola e di casta, che aggiusta tutto nel
modo più comodo, che concilia tutte le opposizioni perché è indifferente alla vita nella realtà delle sue
lotte e dei suoi impegni.
Secondo F il pensatore concreto è l’uomo integrale. La filosofia deve essere umanizzata e incarnata. La
filosofia astratta si pone in contraddizione con la realtà quando pretende di filosofare con al ragione pura e
isolata. La vera filosofia consiste nel fare uomini, non libri.
Alla maniera di vivere di Hegel, che giustifica il presente e vivere nel mondo ufficiale,
nell’ambiguità caratteristica del mondo convenzionale in cui è necessario conciliare tutto secondo le
convenienze per non compromettersi, è necessario contrapporre un modo di vivere più
autentico e sincero: al pensatore conciliante è necessario contrapporre il pensatore non
ufficiale.
Secondo K il pensatore non ufficiale è il pensatore privato. K ha preferito la non realizzazione nel
generale.
Secondo F il pensatore non ufficiale è quello che vive in solitudine. Ideale: lo scrittore che non
appartiene a nessuna scuola o tendenza in particolare, che rimane ignorato. “Io sono qualcosa fin tanto
che non sono niente”.
Per H la filosofia è assoluta perché, essendo l’autocoscienza della realtà, non ha presupposti e perché,
essendo l’autocoscienza della storia, si presenta come definitiva.
K e F intendono mostrare che la filosofia assoluta non può essere assoluta, perché ha presupposti e
non è definitiva.
1. Ogni filosofia, pur presentandosi come priva di presupposti, comincia con un presupposto, in
quanto è una manifestazione determinata nel tempo; il tempo successivo mette in chiaro ch’essa
aveva un presupposto particolare e accidentale: anche la filosofia h è sorta in un determinato
tempo, in cui c’era una determinata filosofia (quella postkantiana) con la quale essa si mette in
rapporto.
2. Ha il presupposto di riconoscere che la filosofia deve avere un cominciamento.
3. Bisogna distinguere tra il pensiero in sé e l’esposizione del pensiero, cioè fra il pensiero essenziale
e il pensiero sistematico.
2
Scaricato da LAURA GUBINELLI (gubinellilaura@gmail.com)
lOMoARcPSD|1803473
Secondo F la filo hegeliana è una filo del passato, e destinata ad essere confinata nel passato.
Secondo F il pensiero offre l’unità mediata di essere e pensiero. Il pensiero è soggetto e l’essere è
predicato. in realtà si concilia essere e pensiero dal punto di vista del pensiero, conservando così
l’essere fuori dal pensiero. Per trovare la realtà è necessario dissociare la mediazione hegeliana perché
proprio questa mediazione presuppone una dissociazione arbitraria. bisogna rovesciare l’affermazione
hegeliana che il pensiero è soggetto e l’essere predicato e affermare quindi che: l’essere è soggetto e il
pensiero è predicato. si supera quindi il contrasto dal punto di vista dell’essere.
Anche secondo F la filo di H è teocentrica. Dal’altra parte, dichiarando che l’infinito è reale solo nel finito,
essa ammette che il finito è l’attestazione e la realizzazione dell’infinito. Nasce una contraddizione: il finito
come realizzazione dell’infinito insorge contro l’infinito che nega in sé il finito. Per annullare il contrasto e
trovare l’unità bisogna conciliare finito e infinito dal punto di vista del finito. Il finito è la vera realtà
dell’infinito, nel senso che lo stesso finito è l’infinito: come soggetto non è il pensiero, ma l’essere, e
predicato è non l’essere, ma il pensiero, così la vera sostanza non è più l’infinito, ma il finito stesso, che
pur mantenendo i suoi caratteri di finitezza, ha anche le qualità dell’infinito.
3
Scaricato da LAURA GUBINELLI (gubinellilaura@gmail.com)
lOMoARcPSD|1803473
Secondo K questo è un punto di vista teocentrico, che non interessa l’esistente, il quale deve
accontentarsi di esistere nella sua soggettività. In H vi sono due relazioni: quella di Dio con sé e quella
dell’uomo con Dio; non c’è la relazione dell’uomo con sé in quanto tale. È solo dio che si mette in rapporto
con sé, attraverso l’uomo l’autocoscienza non è dell’uomo ma solo di dio.
K sostituisce al punto di vista di dio quello dell’uomo. L’autocoscienza è umana e non divina, ma sussiste
la relazione con Dio, che rende possibile la relazione dell’uomo con sé. Vi sono sempre due relazioni, ma
senza mediazione.
Anche secondo F il punto di vista di H è teocentrico. Dio è il soggetto e l’uomo è il predicato. Hegel ha
ridotto la relazione dell’uomo con dio alla relazione di dio con sé: bisogna capovolgere questa mediazione,
negando l’autocoscienza di dio e sostituendole l’autocoscienza dell’uomo, e riducendo la relazione
dell’uomo con dio all’autocoscienza dell’uomo. Hegel ha umanizzato dio, ma non ha osato affermare
l’uomo come dio. Bisogna ridurre la teologia ad antropologia, il panteismo ad ateismo, mutare il sogg in
predicato e il predicato in sogg. Dio non è altro che l’uomo alienato, che si pone fuori di sé: bisogna
sopprimere l’alienazione dell’uomo, cioè eliminare il carattere indiretto della relazione dell’uomo con dio.
Pensatore soggettivo K è quello che pensa, ma al tempo stesso esiste, e non si dimentica di
esistere. L’essenziale, per lui, è pensare esistendo e esistere pensando. Non pone mano a sistemi, ma alla
speculazione contrappone la sua psicologia sperimentale (nei suoi scritti non procede deducendo teoremi,
ma divaga).
K e F accolgono il tempo come istanza reale contro la conclusione della storia. Si pongono nella crisi come
dissoluzione della conclusione e problema d’un nuovo principio.
Per K la filosofia è sapere, il cristianesimo è fede. Oggetto del sapere è l’oggettività; ma il cristo è oggetto
di fede, e tale può essere solo a patto che non sia oggetto di sapere. Il sapere è oggettività e il
cristianesimo è soggettività.
Il cristianesimo quindi è oggetto di decisione soggettiva: il problema della verità del cristianesimo non
risiede nella sua dimostrabilità o nella dimostrazione della sua mediabilità nella religione, ma nella sua
ricezione da parate del soggetto. La dimostrazione non serve a nulla per la fede: tutt’al più serve ad
attirare l’attenzione sì che si possa giungere al punto in cui si deve scegliere se credere o no. La
dimostrazione della verità di fede annulla la fede. La fede è tale perché non ha niente a che fare con la
ragione.
4
Scaricato da LAURA GUBINELLI (gubinellilaura@gmail.com)
lOMoARcPSD|1803473
Eppure la speculazione ha voluto conciliare il sapere con la fede, e l’ha fatto integrando la fede nel
sapere, risolvendo il cristianesimo in filosofia. “La speculazione non dice che il cristianesimo sia una
non verità: al contrario, dice che è in grado di cogliere la verità del cristianesimo”. Per la speculazione si
tratta di dimostrare la verità del cristianesimo. Ma comprendere il cristianesimo e dimostrare la verità
significa integrare il cristianesimo nella filosofia e quindi, ridurre la verità del cristianesimo alla verità della
filosofia, la verità della fede alla verità oggettiva. Così la speculazione riduce la fede a oggettività.
Il cristianesimo riguarda l’esistenza, ma l’esistenza è l’opposto della speculazione. Proprio perché il
cristianesimo non è una dottrina, vi è una differenza infinita tra sapere cos’è il cristianesimo ed essere
cristiano. Perciò cultura e sapere non sono un avvicinamento al cristianesimo, anzi! Cristianesimo e
filosofia quindi sono inconciliabili e ogni tentativo di conciliarli fallisce, perché nega la fede nel sapere e il
cristianesimo nella filosofia.
Anche F critica la pretesa conciliazione hegeliana di filosofia e religione. Religione e filosofia poggiano su
attività spirituali opposte: la base della filosofia è il pensiero, la base dalla religione è il sentimento e la
fantasia. Ogni speculazione religiosa è menzogna: ogni mediazione di dogmatica e filosofica è
un’unificazione forzata. Bisogna mettere al posto della religione la filosofia, ma come religione stessa:
l’uomo al posto del cristiano, ma come uomo completo e religioso e non più astratto pensante.
Secondo K il cristianesimo come religione assoluta è espressione non del cristianesimo come fatto eterno,
ma dello stato presente della cristianità. Il cristianesimo oggi è morto.
Secondo F H presenta come cristianesimo la negazione stessa del cristianesimo, perché l’ha risolto nella
filosofia, e quindi l’ha superato e negato. Bisogna riconoscere la fine del cristianesimo.
Secondo K la filosofia è finita: non solo il tempo dei pensatori, ma anche il tempo del pensiero è passato.
La crisi presente è annunciata dall’avvento dei pensatori speculanti, poiché la crisi si presenta come
crisi del loro pensiero. Si è perso il concetto di soggettività: il singolo si perde nella massa, il
socialismo e il negativo principio di associazione sopprimono l’individuo. Oggi è il tempo della massa, e la
massa non è una categoria religiosa, perché la causa del cristianesimo vince o perde a seconda che si
mantenga o meno il singolo. Il politico troverà la religione troppo ideale e non pratica. Eppure solo dalla
religione il tempo può sperare salvezza. Il tempo presente ha bisogno di passione e anche d’eternità.
Bisogna sperare in una rivoluzione religiosa, che rinnovi il cristianesimo e risolva la crisi. Solo
con la potente interiorità del credente si vince la prepotente volontà dello stato.
IL FILOSOFO PROFETA
Con la riconquista del tempo mediante l’apertura del sistema, K e F si presentano come profeti. Non si
tratta più di interiorizzare, ma di agire. Il pensatore deve essere oggi predicatore e profeta.
5
Scaricato da LAURA GUBINELLI (gubinellilaura@gmail.com)
lOMoARcPSD|1803473
L’alternativa di K è: essere cristiani schietti, cioè credenti per fede contro la speculazione, o pagani
schietti, cioè speculanti che risolvono il cristianesimo in filosofia, cristiani laici.
L’alternativa di F: essere cristiani ipocriti, cioè cristiani laici, o sinceri non cristiani. Per F l’unica
possibilità di negare l’ateismo, cioè di opporsi alla fine del cristianesimo, sarebbe restare nell’hegelismo.
6
Scaricato da LAURA GUBINELLI (gubinellilaura@gmail.com)
lOMoARcPSD|1803473
Come risolve questa ambiguità l’esistenzialismo? Evitando l’assorbimento dialettico del finito
nell’infinito. Due possibilità:
- Da un lato sembra essere l’affermazione della storicità della filosofia. nessuna delle filosofie che
esprimono un periodo di storia ha il diritto di presentarsi come assoluta e definitiva la sua validità
deve essere relativata al periodo storico in cui è sorta.
- Dall’altro lato, la filo H si presenta sé stessa come filosofia assoluta. Solo la sua filo è in grado di
porsi nel punto di vista della totalità compiuta.
1. Filosofia come eccezione: come prospettiva singola, assoluta, nel senso ch’è valida per me solo,
incomunicabile agli altri ognuno filosofa per conto suo.
2. Impossibilità della filosofia: non essendovi altra filosofia che quella assoluta, ed essendo questa
inaccessibile all’uomo, questi non può sperare di giungere alla verità filosofando e quindi non gli
resta altro che la non filosofia, cioè l’azione, il sentimento, la fede, la vita.
FORZA DELL’ESISTENZIALISMO
L’esistenzialismo è l’unico interprete autorizzato della crisi odierna, in quanto dimostra il fallimento del
razionalismo metafisico ch’è l’essenza di gran parte della filosofia moderna da Cartesio a Hegel.
Dimostra l’inutilità della superbia della ragione. Ci sono esistenzialisti che hanno due opposte
tendenze: quella atea e quella cristiana.
Problemi attuali: la persona, la realtà storica e religiosa del cristianesimo, il riconoscimento della
storicità e personalità della filosofia.
Dimostra che oggi non è possibile filosofare se prima non si risponde a questo problema: fine o
ritrovamento del cristianesimo? Solo dopo aver risposto sarà possibile costruire qualcosa di nuovo.
Dimostra che non si può filosofare senza affrontare il problema della possibilità della filosofia, e senza
riconoscere il carattere storico e personale della filosofia. L’esistenzialismo ha eliminato
definitivamente la filosofia oggettiva.
Dimostra che il filosofo è incluso nello stesso oggetto della sua indagine: se l’oggetto della
filosofia è l’essere, il filosofo non deve dimenticare ch’egli stesso è, e che lo stesso pensiero con cui egli
pensa è, e che perciò il soggetto personale e l’atto del filosofare sono inclusi nello stesso oggetto del
filosofare.
DEBOLEZZA DELL’ESISTENZIALISMO
L’ambiguità della sua posizione di fronte all’hegelismo, che rende impossibile risolvere la crisi.
L’esistenzialismo che resta aperto e problematico è vivo, mentre caduco è quello che pretende di
concludersi in sé stesso, o ricalcando l’hegeliano spirito di conciliazione o presentando come soluzione la
sua stessa problematicità.
LA CRISI DELL’IDEALISMO
Le due correnti filo che sembrano oggi detenere il monopolio dell’attualità sono l’esistenzialismo e il
marxismo, le quali avanzano la pretesa di aver definitivamente distrutto l’idealismo. secondo l’autore
non sono realmente riuscite ad eliminare l’idealismo. Esistenzialismo e marxismo sono così legati
all’idealismo, che la vera condizione della loro validità è che l’idealismo ancora conserva la sua attualità
per mancanza di una critica adeguata.
8
Scaricato da LAURA GUBINELLI (gubinellilaura@gmail.com)
lOMoARcPSD|1803473
conoscere una realtà fuori di sé. Il soggettivismo presuppone la distinzione tra sogg e ogg e all’interno
di questa distinzione accentua il soggetto. Il sapere assoluto, invece è la ragione che contempla sé stessa
primo carattere della filo hegeliana.
Inoltre, solo l’infinito ha carattere di positività. Se l’infinito (Dio) esiste, esso è tutto, e quindi l’uomo
(finito) è nulla.
Condizionalità storica della filo: la preoccupazione di H è quella di evitare l’assolutizzazione delle filo
storiche considerate dal tempo in cui sono sorte. Tuttavia solo dal punto di vista della ragione assoluta il
filosofo può farsi consapevole della storicità delle filo, si che la ragione assoluta si presenta anche come la
tot della storia della filosofia.
1. O si dice che la vera filo è quella assoluta, ma essendo questa inaccessibile all’uomo non resta che
proclamare l’impossibilità della filo e affermare che l’uomo non può raggiungere la verità se non
attraverso la non filo, cioè la vita e l’azione.
2. O si dice che all’uomo non restano che le prospettive storiche e particolari, che sono concrete e
inserite nella temporalità vissuta, e sole meritano il nome di filo, perché ogni prospettiva, non più
integrata nella tot della filo assoluta, è chiusa in sé stessa, singola e irripetibile, nella sua finitezza.
DALL’ESISTENZIALISMO AL MARXISMO
È da questa problematica che nasce il pensiero di Marx. Secondo Engels, dal punto di vista di Marx, vi
sono in H due atteggiamenti opposti:
Contraddizione: solo chi ignora che ogni filo è espressione del suo tempo può in buona fede considerare la
propria filo come assoluta e definitiva.
Marx non rimane soddisfatto della soluzione esistenzialistica, e intende riprendere il tentativo hegeliano di
trovare la filo che spieghi il divenire storico e la successione dialettica delle filo, senza tuttavia integrarle
hegelianamente nella filo assoluta. Il marxismo è la forma che l’hegelismo deve assumere per porsi in
grado di risp alle critiche esistenzialistiche.
Secondo Marx però la non filosofia esistenzialistica resta comunque una dottrina, non è una vera
negazione della filosofia. La vera non filo non è la filo dell’azione, ma la stessa azione come filo, e unica
9
Scaricato da LAURA GUBINELLI (gubinellilaura@gmail.com)
lOMoARcPSD|1803473
filo possibile: non filo dell’azione, ma filo come azione, e azione come filo. Secondo Marx quindi la filo è la
filosofia realizzata.
Rispetto al vecchio esistenzialismo, quello nuovo sostituisce alla filosofia assoluta di Hegel
l’assolutizzazione di ogni filo. Il suo problema è: com’è possibile filosofare dopo che il principio della
eccezionalità della filo ha soppresso ogni possibilità di una filo comunicativa e universale? Ne segue un
inevitabile ritorno a H e il tentativo di riconferire un senso alla filo intesa come contemplazione e
comprensione.
La cultura in crisi è la cultura moderna, che culmina appunto nell’idealismo storicistico, e l’idealismo
storicistico, in quanto conclusione della cultura moderna, ne segna inevitabilmente la crisi.
10
Scaricato da LAURA GUBINELLI (gubinellilaura@gmail.com)
lOMoARcPSD|1803473
dall’atteggiamento del cristiano laico contrario all’autorità tipo di conformismo che si è radicato sempre
di più, diventando bersaglio dello stesso laico che l’hai incrementato e favorito. Tale complicità è
strettamente legata alla cultura moderna, in quanto questa ha voluto laicizzare e secolarizzare il
cristianesimo, e quindi ne segue le sorti.
Il momento storico in cui viviamo è la fine della civiltà cristiana.
11
Scaricato da LAURA GUBINELLI (gubinellilaura@gmail.com)
lOMoARcPSD|1803473
12
Scaricato da LAURA GUBINELLI (gubinellilaura@gmail.com)
lOMoARcPSD|1803473
1. Che l’esistenzialismo è talmente consapevole della crisi attuale, ch’esso ha saputo farne una
filosofia: la filo che si pone come presa di coscienza della crisi.
2. Che l’esistenzialismo è poco consapevole del carattere storico (e della crisi), da presentare la
situazione odierna come l’eterna situazione dell’uomo: la filo che chiude la crisi in sé e la estende
alla natura stessa dell’uomo.
Sembrano in contraddizione: in realtà è evidente la denuncia aperta della crisi da parte
dell’esistenzialismo e l’inconsapevole testimonianza dell’origine storica di essa la crisi e
l’esistenzialismo hanno un’identica origine.
13
Scaricato da LAURA GUBINELLI (gubinellilaura@gmail.com)
lOMoARcPSD|1803473
L’esistenzialismo che assolutizza l’uomo di oggi è l’esistenzialismo umanistico e anticristiano che non
si risolve se non nel materialismo, il quale supera il mondo concluso di cui l’esistenzialismo segna
inconsapevolmente la crisi.
L’esistenzialismo che sa valutare la crisi, perché conoscendo le possibilità umane la riposta alla situazione
originaria dell’uomo senza aver bisogno di assolutizzare la crisi presente, è l’esistenzialismo teistico-
cristiano. conclude il mondo nel senso che ne è il giudizio critico di base a un criterio che, di volta in
volta, storicizzandosi, è in grado di spiegare ogni crisi.
1. Pur ponendosi dopo la conclusione del mondo in crisi, deve evitare la necessaria conseguenza
d’una risoluzione materialistica dell’esistenzialismo;
2. E proprio nell’atto di negarsi come esistenzialismo, costituire la premessa critica d’uno spiritualismo
che si pone al di à del materialismo e ne contempli le istanze.
L’esistenzialismo cristiano è il riconoscimento del fatto che oggi una filosofia non si può costruire se prima
non si è risposto alla domanda: fino o ritrovamento del cristianesimo?
Da un lato la storia è vista nella sua sufficienza e quindi ogni sua tappa si presta ad essere
assolutizzata, col che si cade nella necessità di una successiva relativazione; dall’altra la storia è
14
Scaricato da LAURA GUBINELLI (gubinellilaura@gmail.com)
lOMoARcPSD|1803473
vista col giudizio che ne valuta ogni istante, il quale, di per sé, in quanto giudicato, è relativato alla
situazione originaria dell’uomo.
- In quanto dissoluzione del razionalismo, si risolve necessariamente nel materialismo; fine del
cristianesimo.
- In quanto giudizio critico del razionalismo, si risolve nello spiritualismo. ritrovamento del
cristianesimo. Possibilità di ritrovare il cristianesimo solo dopo la sua fine. Cristianesimo come fatto
eterno.
SECONDA PARTE
15
Scaricato da LAURA GUBINELLI (gubinellilaura@gmail.com)
lOMoARcPSD|1803473
16
Scaricato da LAURA GUBINELLI (gubinellilaura@gmail.com)
lOMoARcPSD|1803473
Il nuovo carattere della filo è quindi la sua personalità. La filo è veramente speculativa e scopre un
valore assoluto di verità attraverso l’interpretazione personale che il filosofo dà di sé e insieme della
realtà.
- La filo non è solo interpretazione personale. Se così fosse sarebbe non filo assolutamente valida,
ma Weltanschauung, visione individuale del mondo valida per me solo senza comunicazione con altre.
Si cadrebbe così in una forma di estetismo.
Eppure la filo è anche interpretazione personale. la persona stessa del filosofo è impegnata nella
sua ricerca il filo non può indagare l’essere senza indagare sé stesso perché egli stesso è.
- La filo non è solo espressione di un tempo. Se così fosse il pensiero filo non avrebbe alcun valore
speculativo, ma sarebbe solo la trasposizione in termini concettuali di determinate condizioni storiche
d’esistenza. Si cadrebbe in una forma di pragmatismo e strumentalismo tecnico, per cui l’assolutezza
della verità è tot eliminata e distrutta.
Eppure la filo è anche espressione del tempo, non certo nel senso che la sua validità è circoscritta al
periodo in cui sorge, ma nel senso che ogni filo è sempre risposta a problemi storici, che lo stesso filo
definisce e pone, isolandoli all’interno della sua esperienza.
- La filo non è solo pura speculazione. Se così fosse la filo avrebbe la pretesa di porsi nel punto di
vista di Dio (mistificazione).
Eppure la filo è anche pura speculazione: è il compito specifico della filo raggiungere speculativamente
la verità.
Filosofando il filosofo decide di sé stesso, del proprio vivere. Per il non filosofo, la filo può servire a dare
una valutazione dei problemi del tempo in cui vive, una visione delle soluzioni dei problemi dell’ora, un
orientamento.
LA STORIA E L’INIZIATIVA
La storia è inesauribile innovazione e radicale imprevedibilità. È risparmio e conservazione. La
coincidenza di innovazione e conservazione è la nascita dell’opera e della persona. La storia dunque,
come nascita dell’opera e della persona, è iniziativa.
ETERNITÀ E DIO
L’eternità è l’essere oltre il tempo. Il suo carattere è la trascendenza radicale e l’assoluta
incommensurabilità. L’eternità è di là non solo da ogni tempo, ma da ogni opposizione di temporalità e in
17
Scaricato da LAURA GUBINELLI (gubinellilaura@gmail.com)
lOMoARcPSD|1803473
I TRE ASPETTI DELL’INIZIATIVA COME FONDAMENTO DEI TRE MOMENTI DEL TEMPO
L’idealismo spiritualistico ha ribadito che non la storia è fondata dal tempo, ma il tempo è fondato dalla
storia. Dunque c’è passato e futuro perché c’è memoria e attesa. Ma perché c’è memoria e attesa?
C’è il tempo perché c’è la storia. Ma cos’è la storia? Ecco le domande che trovano risposta solo nella
concezione dell’uomo come opzionalità, cioè complesso di esigenza, decisione e valutazione.
In una decisione attuale l’esigenza propone un’obbligazione e la valutazione fissa una validità.
L’esigenza profila il mio dovere, che si fa futuro rispetto a me.
La valutazione fissa il valore della mia opera, che si fa passato rispetto a me.
Ma l’esigenza e la valutazione sono presenti nella decisione. Questa presenza costituisce la decisione
come presente.
E come la decisione contiene in sé esigenza e valutazione, così il presente è intersezione di
futuro e passato.
18
Scaricato da LAURA GUBINELLI (gubinellilaura@gmail.com)
lOMoARcPSD|1803473
fatto sia validità, pur dovendosi ammettere che l’obbligazione sia sempre possibilità e la
validità sia sempre un fatto. Perciò quella distinzione è resa possibile nel modo seguente:
L’esigenza propone l’obbligazione escludendo da essa il suo contrario, come atto di giudizio è distinzione:
posizione dell’alternativa. La valutazione fissa la validità escludendo da essa il suo contrario e come atto di
giudizio è distinzione: discriminazione dell’alternativa.
L’obbligazione fonda la possibilità e la validità fonda il fatto, in quando l’atto di giudizio distingue il valore
dal disvalore. L’obbligazione costituisce la possibilità, entro cui si distingue dal disvalore possibile; la
validità costituisce il fatto, entro cui si distingue dal disvalore compiuto.
Si può concepire il tempo partendo dal passato e così fanno le teorie che vogliono mettere in luce la
conservazione. Partono da un passato del quale non si può dire “non è più”, ma “è stato sì, ma è ancora”:
un passato non radicalmente scomparso. Ma un tal passato che si conservi nel presente è la validità, che
è un tal essere stato che merita d’essere ancora.
Ma i due aspetti sono complementari: se l’iniziativa è tal decisione che sia esigenza e valutazione,
proposta di obbligazione e fissazione di validità, la storia è al tempo stesso innovazione e
conservazione.
19
Scaricato da LAURA GUBINELLI (gubinellilaura@gmail.com)
lOMoARcPSD|1803473
La storia, prima liberata in sé tra passato conservato e futuro innovatore, ora è liberata in senso
all’eternità: fra un passato pretemporale e un futuro postemporale, due tempi che non son un tempo, ma
principio e fine, dono e coronamento, pura meta storicità. Eternità positiva, perché pone la storia e la fa
essere con sé al tempo stesso che la nega e la sospende in sé.
Come nel presente della decisione si raccolgono l’esigenza e la valutazione che fondano il tempo, così nel
presente dell’iniziativa vive la presenza di quell’eternità che la costituisce. Dall’intuizione di questo punto
partono quelle teorie che interpretano il tempo partendo dal presente. Così fanno quelle teorie che
nel tempo vogliono mettere in luce soprattutto l’attualità. Ma un tal presente non è più solo presente: è
presenza di quella eternità che fondando e insieme sospendendo la storia, è accessibile solo all’esperienza
religiosa.
20
Scaricato da LAURA GUBINELLI (gubinellilaura@gmail.com)
lOMoARcPSD|1803473
21
Scaricato da LAURA GUBINELLI (gubinellilaura@gmail.com)
lOMoARcPSD|1803473
universalità, ma rimane al di sotto delle esigenze da cui muove quando, polemizzando contro
l’individualità, non giunge ad eliminare il concetto di particolarità.
L’iniziativa, in quanto esigenza e valutazione, stabilisce nella vita della persona il ritmo di una pulsazione.
La persona per un verso è quel che è già, e per l’altro quello che deve essere ancora. È conclusa
dall’immanenza del suo passato e nel suo presente, da una valutazione complessiva che fissa la validità di
quel che la persona è riuscita a fare di sé stessa. È aperta in quanto il suo presente si schiude al suo
futuro, in quanto l’esigenza che la muove richiede decisioni ulteriori.
Ciò significa che nella persona si incontrano e si uniscono tot e insufficienza. Nell’istante attuale è una
totalità, in quanto nessuno dei suoi istanti è il definito (insufficiente e incompleta). La persona è tot in
quanto è l’unità dei suoi atti, ed è insufficienza in quanto è la possibilità dei atti sempre nuovi.
La persona è sempre sé stessa, eppure deve essere ancora altro, e questo altro che è per essere sarà
ancora lei stessa questa è la pulsazione e il ritmo della sua storia.
Tale ritmo viene scandito dall’iniziativa come esigenza e valutazione: per un verso, richiesta di valore, cioè
richiesta d’altro: insufficienza; per l’altro verso, giudizio di valore, cioè valutazione complessiva:
totalità.
Questi due momenti estremi (insufficienza e totalità) sono coessenziali.
CONTRADDITORIETÀ DELL’INIZIATIVA
Riconoscere alla persona la sola insufficienza, senza attribuirle la totalità, significa postulare la totalità
fuori di essa, nella quale essa andrebbe sommersa come la parte del tutto. In questa forma di panteismo
la singolarità irripetibile della persona scadrebbe a mera particolarità. Riconoscere alla persona la sola
totalità, significa disconoscere la storicità nella quale la persona afferma la propria validità. In questa
forma di individualismo viene impedita la costruzione di una validità universale. Si tornerebbe a definire la
persona in base alla particolarità e all’individualità: concezioni che non giustificano il rispetto alla persona.
Bisogna dunque mantenere nella persona l’implicazione di insufficienza e tot, anche se questo importa
l’apparentemente contraddittoria compresenza di indigenza e indipendenza. Questa contraddizione
sembra aggravarsi quando si pone mente alla stessa natura dell’iniziativa, e più precisamente alla
decisione, che media esigenza e valutazione. Infatti, l’iniziativa, in quanto esigenza, è insufficienza (la
ricerca è alla radice manchevolezza e negatività). D’altra parte l’iniziativa in quanto decide e decidendo
valuta, è costituzione di validità, di quella validità che è totalità, sufficienza e positività.
La contraddizione consiste in questo: come può l’iniziativa, ch’è mancanza originaria, costituire
una validità?
23
Scaricato da LAURA GUBINELLI (gubinellilaura@gmail.com)
lOMoARcPSD|1803473
Sociabilità discende dal nesso di singolarità e universalità della persona. Da una parte la sua validità è
esposta al giudizio altrui e quindi meritevole del riconoscimento altrui. Essendo personale la sua validità,
sono personali i giudizi che sulla sua validità vengono formulati, i quali, sono effettivamente di altre
persone. La persona, perciò merita il riconoscimento delle altre persone. D’altra parte, la persona si pone
a giudicare ed è tenuta a riconoscere la validità altrui. La responsabilità che si assume si realizzare in sé
quell’umanità che è insieme la sua essenza e la sua norma, le permette di giudicare e le impone di
riconoscere lo stesso sforzo negli altri. Si raggiunge così la reciprocazione del giudizio e del
riconoscimento delle persone. Tutti meritano la reciprocità del riconoscimento e nessuno può sottrarsi
alla reciprocità del giudizio. la persona è aperta all’alterità = è sociabile: l’alterità si pone come
reciprocità normativa del riconoscimento delle persone.
Socialità discende dal nesso di insufficienza e totalità della persona. L’insufficienza della persona viene
colmata da Dio come Persona. Questa relazione dimostra come nella sua stessa costituzione la persona
è essenzialmente aperta ai rapporti interpersonali.
24
Scaricato da LAURA GUBINELLI (gubinellilaura@gmail.com)
lOMoARcPSD|1803473
dall’assolutezza. La società data la coincidenza nella persona di totalità e specialità, si pone come
associazione; sì che la persona per la sua tot si sottrae alla particolarità e per la sua specialità si sottrae
all’assolutezza. In tal modo si concepisce la società come determinazione assiologia. La persona singola e
tot non è mai unica e assoluta; ma proprio in quanto tot esprime in sé una società a cui si iscrive con uno
specifico compito, e proprio in quanto universale esprime da sé una comunità diventando uno dei soci.
Non è la società che contiene le persone, ma è la persona che contiene la società. In quanto la
persona si apre all’alterità, la società si pone come coesistenza di persone, vale a dire coesistenza
normativa. La persona non è mai nella società, ma sempre in con altre persone, appunto perché la
coesistenza come norma è nella persona.
Unità e dualità fra l’iniziativa che io sono e la situazione in cui mi trovo c’è un rapporto di dualità e
di unità. Di dualità perché sono indeducibili l’una dall’altra, e l’iniziativa sempre giudica la situazione
trascendendola nello stesso lavoro che imprende intorno ad essa. V’è anche un rapporto di unità perché
situazione e iniziativa sono inscindibili.
Passività e attività la situazione è passiva: non dipendono da me la datità della mia situazione,
l’irrevocabilità del mio passato, la spontaneità delle mie doti. Ma anche l’iniziativa è necessità nella sua
struttura, come esigenza e valutazione: come esigenza è dovere e norma, necessità di agire e legge
dell’agire, ed io non posso non agire. Come ho una situazione, uno stato, una dote, così ho il potere
della libertà e la facoltà di giudicare. Ma nell’uomo non c’è passività che non si risolva in attività. I dati
situativi non sono ostacoli e impedimenti di per sé, ma possono diventarlo in quella stessa mia
personale reazione di fronte ad essi, la quale può anche risolversi in un’occasione e in uno spunto.
Inoltre, la libertà e il giudizio sono dati, anzi imposti all’uomo, ma nel loro uso ed esercizio dipendono
interamente dall’uomo.
25
Scaricato da LAURA GUBINELLI (gubinellilaura@gmail.com)
lOMoARcPSD|1803473
Definitezza e infinità finita è la persona in quanto l’iniziativa è principata; perché il poter non
decidere è il segno del mio essere principato, e cioè non Dio, ma uomo. Dunque: infinità di sviluppo e
di limitatezza situativa.
Plasticità e programmazione per il suo indefinito sviluppo l’uomo diviene, ma non si riduce alla
sua storia, perché l’uomo ha storia, non è storia. Plastico è l’uomo in quanto può fare di sé qual che
vuole nella sua concreta situazione, ma sempre in base a una programmazione che si svolge nel senso
d’una materializzazione del dovere morale (plasticità programmata la ragione non è strumento ma
norma).
Dedizione e obbligazione la materializzazione del dovere implica la figurazione di compiti e ideali
che non sempre coincidono col dovere, perché il dovere è oggetto di obbligazione, il compito di
dedizione e l’ideale di aspirazione. La materializzazione del dovere è una tecnica morale, il cui fine è la
ricerca della coincidenza di dovere, compito e ideale, in modo che il dovere diventi compito cui
dedicarsi costantemente e ideale cui aspirare, e l’ideale, facendosi compito d’una vita intera, diventi
norma morale e legge, in una reciproca integrazione che tempera la severità della legge con
l’aspirazione e rassoda l’amorosa dedizione con la necessità morale.
Libertà e necessità in questo processo di materiazione del dovere si istituisce una differenza tra la
persona che si è e la persona che si dovrebbe o vorrebbe essere. anzi, si vorrebbe essere più
persone (maschera). Ciascuna di queste maschere ha una sua interna logicità, la quale si cambia in
necessità fisica e persino in necessità morale dopo il libero atto con cui la si assume a compito. La
plasticità programmata e la materi azione del dovere diventano così, nel loro sforzo verso la finale
coerenza della persona, invenzione di possibilità molteplici, lotta di maschere o persone entro la vita
stessa della singola persona entro la vita stessa della singola persona, libera assunzione di una
necessità che diventa compito e programma, fondazione di un necessità condizionata che è la stessa
legge di struttura.
Universalità e singolarità la persona come opera è un valore storico e come tale è irripetibile, cioè
non tanto individuale o particolare quanto singolare, e al tempo stesso onnirconoscibile, cioè non tanto
generale o totale quanto universalmente valido, sì che singolarità e universalità non solo non si
escludono, ma l’una non può essere senza l’altra.
Totalità e insufficienza in ciascuno dei suoi istanti la persona come opera è una totalità conclusa,
definitivamente chiusa con una validità precisa, eppure è insieme aperta alla possibilità di essere
rielaborata, compromessa o arricchita, e quindi sempre in attesa di una conclusione e quindi precaria e
insufficiente.
Novità ed esemplarità appunto perché originale e nuova assume un carattere paradigmatico ed
esemplare, tanto da porsi come modello, ideale e compito per nuove produzioni e sfrozi.
LA PERSONA COME IO
Deve essere considerata in una dialettica concreta di:
Persona e opera vi è una trascendenza della persona rispetto alle sue opere che come valori
storici, vivono di per sé, singole e qualificate. Ma ciascuna di queste trae la propria indipendenza dal
suo carattere di personalità e inoltre la persona è a sua volta opera, è più precisamente auto-opera,
che si fa da sé e si costruisce attraverso le sue opere. L’io è il possesso della propria vita, la presenza
di me agente nelle mie opere incorporate a me stesso, la consapevolezza che ciò che faccio anche
sono, e ciò che sono lo sono in virtù di me stesso.
Sostanza e responsabilità il nesso tra la persona e le sue opere è la sostanza storica della
persona, la quale tuttavia è fondata su una essenza di metastorica che è il vero e proprio io, ciò per cui
26
Scaricato da LAURA GUBINELLI (gubinellilaura@gmail.com)
lOMoARcPSD|1803473
di me dico io. questa essenza è la responsabilità, cioè l’accettazione di rispondere di tutto ciò che si fa e
si è.
Universalità e personalità la vita della persona è l’uso e l’esercizio personale del pensiero che è di
per sé universale. Tra le persona ci è comprensione sulla base comune dell’universalità della ragione,
ma tale comprensione è sempre interpretazione personale, perché per l’uomo non vi è ragione se non
esercitata personalmente.
CONCLUSIONE
La persona è al tempo stesso:
Non sempre l’introspezione basta: esprime non tanto la mia realtà, quando l’idea che mi faccio di me. Gli
altri, non essendo impegnati nelle mie azioni, giungono a conoscere più chiaramente il carattere, le mie
abitudini e i movimenti inconsci delle mie azioni.
La conoscenza di sé e la conoscenza degli altri, prolungandosi l’una nell’altra, si raggiungono nel punto in
cui il senso della libertà e la sostanza storica della persona si uniscono è il punto in cui
l’apertura agli altri impedisce che la mia introspezione diventi una specie di egolatria e la mia esperienza
interiore impedisce che la mia conoscenza delle persona le consideri solo come forme in movimento.
27
Scaricato da LAURA GUBINELLI (gubinellilaura@gmail.com)
lOMoARcPSD|1803473
La conoscenza degli altri implica un esercizio di libertà e culmina in un appello alla libertà.
a) L’affermazione dell’io cessa di avere un carattere soggettivistico o intimistico, come se tutto ciò con
cui l’uomo entra in rapporto si risolvesse nella sua interiorità, perché invece la persona è al
tempo stesso relazione con sé ed apertura ad altro;
b) L’affermazione del finito cessa di essere disgiunta da quella del valore, perché il regno
della persona è quello dei valori i quali, lo sollecitano e ne risultano al tempo stesso;
c) L’affermazione della singolarità cessa di rischiar di ridursi a un riconoscimento dell’eccezione e a
una ratifica dell’incomunicabilità, perché invece al persona si afferma nell’eseguire in modo nuovo
e irripetibile un compito comune, si che il regno delle persone è posto sotto la categoria della
similarità;
d) L’affermazione della società evita le posizioni dell’individualismo e del collettivismo,
perché la persona non è né uno fra tanti né parte di un tutto, ma persona con persone, lungi dal
sovrapporsi alla società o dal negarvisi, entra in società avendo la società in sé.
e) L’affermazione delle varie attività dell’uomo cessa di avere un carattere di astratta
distinzione.
28
Scaricato da LAURA GUBINELLI (gubinellilaura@gmail.com)
lOMoARcPSD|1803473
2. GNOSEOLOGIA DELL’INTERPRETAZIONE
La definizione più pregnante dell’interpretazione consiste nel dire che essa è conoscenza di forme da
parte di persone. Solo la forma può essere interpretata e solo la persona può interpretare. La sua capacità
di esigere interpretazione consiste nel suo essere conclusione di un processo formativo. Ciò che è stato
formato è accessibile solo a chi ne coglie il disegno creativo. L’accesso alla forma deve essere personale,
perché personale ne sarà sempre l’iniziativa, il modo, il termine: la forma non si offre se non a uno sforzo
personale di penetrarla e rivelarla. Di qui varie conseguenze:
L’interpretazione è insieme rivelativa ed espressiva: essa è una conoscenza in cui l’oggetto si rivela
nella misura in cui il soggetto si esprime. È un tipo di conoscenza che va a tentativi, in cui la
comprensione è conseguita solo come attivo superamento della minaccia attuale
dell’incomprensione.
c) Dualità di spunto e schema la ricerca della corrispondenza fra un aspetto della forma e un
punto di vista della persona implica un movimento in cui la persona proporne via via figure
destinate a rivelare la forma, cioè schemi di interpretazione da abbandonare, sostituire,
correggere, integrare, migliorare, accettare nel corso di un processo di verifica. Ciò che
caratterizza questo movimento è che finché esso dura la forma non appare ancora come forma né
la figura che se ne proporne è immagine, ma sussiste una tensione e una dualità fra lo stimolo e
l’attenzione, fra lo spunto e lo schema. Si che l’interpretazione è per questo un vero e proprio
processo di formazione.
d) Unità di forma e immagine la riuscita dell’interpretazione placa il movimento in una quiete in
cui la dualità fra spunto e schema cede il posto a un’identità di forma e immagine l’oggetto si
rivela, cioè appare come forma, quando l’interpretazione ha trovato l’immagine che lo capta e lo
rende. L’interprete non può confrontare la sua interpretazione con la cosa stessa come se questa
gli si offrisse fuori di quella. Il che, tuttavia, non vuol dire che l’oggetto si riduce all’immagine che
se ne produce o vi si risolve.
e) Possesso e ulteriorità poiché ogni aspetto della forma è rivelativo, attraverso uno solo di essi
l’interpretazione può cogliere la tot della forma, ma poiché nessun aspetto è esauriente, la forma
può esigere ulteriori sforzi di penetrazione. donde all’interprete la duplice consapevolezza di un
possesso completo e della necessità di ulteriore ricerca. Non c’è interpretazione definitiva, perché
la scoperta è anche stimolo di ricerca. Nell’interpretazione si coglie l’oggetto, ma sapendo di
doverlo approfondire; si sa di dover approfondire, ma qualcosa che si possiede interamente.
f) Né unicità né arbitrarietà, ma infinità dell’interpretazione l’interpretazione è una forma di
conoscenza non unica, ma molteplice e infinita, senza perciò essere arbitraria, perché l’ogg non
cambia se cambia l’aspetto in cui è visto o la prospettiva da cui è guardato. Infinite interpretazioni
non compromettono l’identità della forma, piuttosto ne svolgono l’infinità e denunciano
l’arbitrarietà di deformazioni personali, mostrano quale inesauribile ricchezza di rivelazioni possa
promettere l’uso della personalità come organo di penetrazione.
g) L’interpretazione nello studio della natura, della storia, della società vedi libro
1. Il contenuto dell’arte la formatività diventa arte quando l’intera personalità dell’artista si fa non
tanto materia da formare, ma modo di formare = stile. Questo è l’unico modo in cui si può pensare che
la concreta umanità dell’artista, e con essa l’intera civiltà e spiritualità del suo tempo, sia presenta
nell’opera d’arte. Per l’artista, non c’è altro modo di esprimere che il fare e lo stesso fare è esprimere.
30
Scaricato da LAURA GUBINELLI (gubinellilaura@gmail.com)
lOMoARcPSD|1803473
Lo stile è l’intero mondo spirituale dell’artista fattosi del fare. Fra spirito e stile c’è corrispondenza, vera
identità, nel senso che lo stile è una spiritualità che, postasi sotto il segno della formatività, diventa,
essa stessa, il suo modo di formare.
2. La materia dell’arte la formatività diventa arte quando, non avendo nulla di specifico da formare,
adotta una materia, perché questa, una volta formata, sia forma e nient’altro che forma, il che può
accadere solo con l’adozione di una materia fisica (#parola non è senso senza essere insieme
suono). L’opera è materia formata. Nel concetto di materia rientra tutto ciò che si intende con tecnica o
di linguaggio o di mezzi di espressione. L’artista che adotta la materia, non può più farci ciò che
vuole, ma deve entrare in dialogo con essa, per riuscire a fare la volontà dell’opera precisamente
attraverso la volontà della materia. L’artista, egualmente lontano dal violare e dal subire, domina la
materia secondandola, cioè trae occasione e suggerimento da ciò che potrebbe essere impedimento
e ostacolo.
3. La legge dell’arte la formatività diventa arte quando, non avendo nessuna legge generale a cui
attendersi, adotta come solo criterio la stessa riuscita e come sola legge la stessa regola individuale
dell’opera. L’operazione artistica è un puro tentare. La condizione del tentativo è quella di non aver
altra guida che l’attesa della scoperta. La riuscita è divinata in una specie di presagio, che non è una
conoscenza, ma un comportamento, e si manifesta solo nella consapevolezza dell’artista che se la
ricerca è compensata dalla scoperta egli sa immediatamente riconoscerla. L’opera pur cominciando ad
esistere solo quand’è compiuta, quindi comincia ad agire come formante ancora prima di esistere come
formata. Mai l’artista è così attivo come quando obbedisce alla stessa opera ch’egli va facendo. L’opera
è allora per un verso la persona stessa dell’artista fattasi oggetto fisico e la riuscita di un processo di
formazione, tentativo e organismo insieme.
1. Come opera umana (e solo umana) la filo deve rinunciare a porsi in un punto di vista che non sia
quello dell’uomo (punto di vista del finito) l’uomo non può uscire da se stesso e dalla sua
condizione finita, nemmeno nella filo, la quale sarà sempre fatta dall’uomo per l’uomo, cioè dal
finito per il finito. È essenziale la finitezza alla filo che tratta dell’uomo, perché altrimenti ci si
potrebbe domandare come possa l’uomo uscire da sé per conseguire un punto di vista così esterno
(cosa impossibile). Si tratta piuttosto dell’uomo stesso che, col proprio pensiero riflesso, prende
consapevolezza insieme del proprio punto di vista e della propria natura, del proprio pensiero de
della propria condizione, della propria finezza e del propri rapporti.
2. Finita è anche la portata del suo sguardo. Non può vertere sull’assoluto o sull’essere o su una
qualsiasi trascendenza. Il pensiero filo non serve per conoscere niente di nuovo; esso è
speculazione = riflesso sull’uomo, sulla sua esperienza, sulla sua natura, per fondarla e spiegarla e
giustificarla.
In questo senso solo l’uomo può essere oggetto del pensiero filo, perché solo lui può essere
oggetto a sé stesso, cioè oggettivato a sé stesso. Tutto il resto è in oggettivabile.
coscienza di sé solo in una realtà sovraindividuale, significa negare la personalità dell’uomo o cadere nel
soggettivismo.
La persona è invece mantenuta nella sua natura e solo nella misura in cui si affermi che in essa la
relazione con sé è così forte da non lasciarsi sopraffare o mediare dalla relazione con altro, e la relazione
con altro è così perentoria da non potersi risolvere o dissolvere nella relazione con sé.
Cessa di essere persona quella che si personalizza sia rinunciando ad avere rapporti con sé che non siano
mediati da rapporti con altri, sia perdendo, in favore di una comprensività universale, la puntuale identità
che la fa centro a sé stessa.
32
Scaricato da LAURA GUBINELLI (gubinellilaura@gmail.com)
lOMoARcPSD|1803473
La dialettica di passività e attività serve anche per chiarire come ala situazione umana sia caratterizzata
da una compresenza di necessità e libertà. All’autorelazione della persona si può ridurre la dialettica dei
passività e attività. Solo così possiamo capire perché quella pass si converte a limitazione o necessità.
La situazione non è solo collocazione storica. Ed è proprio da questo fatto che deriva alla situazione la sua
efficacia stimolante sull’attività dell’uomo. si verifica un incontro per cui l’attività dell’uomo contiene
l’esercizio della sua libertà e insieme la presenza operosa di un’attività ulteriore. Se fosse solo collocazione
storica, la situazione si ridurrebbe a limitazione mortificante per la libertà umana: l’attività umana è
limitata e diminuita dalla situazione sentita come semplice confine dell’esistenza, ma esaltata e rafforzata
dalla situazione sentita come apertura e relazione con altro. Come collocazione metafisica, e solo come
tale, la situazione è appello alla libertà e prospettiva sulla verità.
Certo, l’uomo può fermarsi alla passività della situazione, e allora la sua esistenza non è che prodotto
storico.
La conoscenza della verità non è un problema gnoseologico, ma un problema metafisico e formulabile solo
attraverso la personale via d’accesso ad essa, sì che la conoscenza umana della verità è sempre
molteplice pur essendo unica la verità. La situazione, così intesa, è l’origine da cui trae i contenuti delle
proprie affermazioni di verità, sia che rimangano inconsce, sia che si rendano consapevoli.
Se la persona si ferma alla passività della sua situazione, non solo la sua esistenza non è che prodotto
storico, ma anche la sua “verità” non è che confessione personale o espressione dell’epoca: non si esce
dalla persona, prigioniera di sé stessa e della propria determinatezza, né dalla sua attività, ridotta a
semplice espressione della situazione storica (storicismo assoluto). Ma se la persona vede nella passività
della situazione un rapporto con l’essere e l’apertura di un’eterorelazione, allora la sua situazione diventa
una fonte inesauribile di contenuti di verità e la sua verità acquista il carattere di una rivelazione della
verità stessa.
33
Scaricato da LAURA GUBINELLI (gubinellilaura@gmail.com)
lOMoARcPSD|1803473
iniziativa, il mio cominciare è un mio consenso ad essere. Io sono principato nel senso che il primo atto
della libertà che io sono consiste nel riceverla, e io comincio ad essere con un atto di consenso nel quale
consiste il mio essere. Esistere significa allora aver consentito a quel dono.
La passività e la necessità che stanno alla base dell’iniziativa umana possono convertirsi in
attività e in libertà: esse sono l’attestazione di un dono gratuito che si tratta di accogliere con
un libero e autonomo consenso. Dipende dall’uomo saper considerare la necessità iniziale della libertà
come una limitazione mortificante o come una sollecitazione di attività.
34
Scaricato da LAURA GUBINELLI (gubinellilaura@gmail.com)