La vita
Martin Heidegger nasce in Germania nel 1889 e compie gli studi a Costanza e Friburgo, dove si
iscrive alla facoltà di teologia, per poi passare a filosofia, spinto dalle letture di Husserl.
Con l’arrivo di Husserl all’università di Friburgo, Heideggerne diventa assistente e avvia con lui un
periodo d’intensa collaborazione. Nel 1927 esce Essere e tempo, l’opera è dedicata a Husserl, il
quale però vi legge un attacco al suo concetto di fenomenologia trascendentale. La rottura filosofica
non impedisce a Husserl di proporre come proprio successore all’università di Friburgo l’ex
assistente. Poi Heidegger viene eletto rettore dell’università di Friburgo e poco dopo aderisce al
partito nazionalsocialista, condizione richiesta per l’entrata in carica effettiva. Heidegger mantiene
tuttavia un comportamento ambiguo nei confronti del nuovo regime, e a causa di dissensi
intervenuti con esponenti nazionalsocialisti si dimette dal rettorato l’anno successivo alla nomina.
Comincia allora un periodo di lavoro appartato. Muore nel 1976.
Lo stile di Heidegger
Si è soliti distinguere nella riflessione heideggeriana due fasi: la prima si identifica con l’indagine
sull’analitica esistenziale condotta in “Essere e tempo”, in cui cerca di determinare il senso
dell’essere. La seconda, che si sviluppa a partire dagli anni Trenta, si identifica in “Che cos’è la
metafisica” ed è una critica a tutto il pensiero metafisico occidentale da Platone in poi, ed è una
riconsiderazione delle sue precedenti idee.
La domanda fondamentale
Una domanda percorre come filo continuo la riflessione di Heidegger, che la indica come la
domanda fondamentale: che cosa significa propriamente essere? Ovvero: Che cosa è l’essere?. Si
tratta di un interrogativo antico, formulato nel Sofista di Platone e nella Metafisica di Aristotele, e
che tuttavia sono rimasti senza una vera risposta; non solo: sembra addirittura che si sia ormai perso
il senso di quell’interrogativo.
Nel nostro tempo, dominato dalla specializzazione scientifica e tecnica, non si sente neppure più il
bisogno di porre quelle domande, considerate inutili, di fronte alla produttività dei risultati della
tecnica, perché il termine “essere” ha ormai un significato ovvio. Proprio questa ovvietà
rappresenta secondo Heidegger un pericolo per il pensiero e per il destino degli uomini di oggi.
Nella sua opera maggiore, Essere e tempo, come già suggerisce il titolo, Heidegger indica nel
tempo l’orizzonte della comprensione dell’essere. Il tempo costituisce il principio in base al quale
si determinano i modi di essere e gli spazi delle cose: le cose che sono nel tempo (eventi storici),
quelle che non sono nel tempo (relazioni logiche/matematiche) e quelle eterne (Dio).
Nello sviluppo della metafisica, l’essere viene definito sulla base di una certa dimensione del
tempo, quella relativa al presente. MA non si può semplicemente dire che il tempo è ridotto solo al
presente, perché come sappiamo ci sono anche passato e futuro. Perciò questo appiattimento
dell’essere solo al presente non è qualcosa di scontato.
Riprodurre la domanda sul senso dell’essere significa perciò mettere in questione il concetto di
essere, come semplice oggetto che si incontra nel presente; cioè Heidegger pone le basi per una
critica radicale dell’intera storia della metafisica.
Verso l’autenticità
Nella dimensione del “si” l’esserci perde la sua possibilità di essere autenticamente se stesso
perde quindi l’apertura al possibile. Questa apertura si ritrova però nella situazione emotiva
dell’ANGOSCIA (diversa dalla paura che è sempre riferita a qualcosa di determinato).
L’essere-per-la-morte
La morte è la possibilità più propria dell’esserci, chiude ogni progettualità, mente le altre
possibilità si collocano all’interno del progetto stesso. Essa è autentica possibilità, cioè una
possibilità permanente che non si realizza finchè l’esserci c’è. La funzione della morte è quella di
aprire l’esserci alle sue possibilità nel modo più autentico. Affinchè ciò avvenga bisogna assumere
la morte come possibilità più autentica, quindi anticiparlanon vuol dire essere consapevoli di
dover morire, MA riconoscere che nessuna delle possibilità concrete che si incontrano nella vita è
definitiva. Grazie a questo riconoscimento l’esserci non cerca di progettarsi in maniera definitiva in
base ad una possibilità MA si mantiene apertonon si disperde più nelle singole possibilità MA le
assumere come possibilità da articolare in un processo di sviluppo sempre aperto. L’esserci esiste
come essere-per-la-morte.
Nell’esistenza quotidiana, inautentica, la morte è minimizzata, cioè è solamente un evento noto a
tutti; allora anche l’angoscia si banalizza e diventa paura. Per sottrarsi al si, l’esserci deve scegliere
la possibilità della morte mantenendola come possibilità.
Nella decisione ha un ruolo la voce della coscienza (coscienza morale), che richiama l’esserci a se
stesso, ma anche gli fa sentire la sua colpevolezza originariaessa non consegue dal alcun atto
colpevole, ma anzi è il fondamento della possibilità di qualunque colpa particolare. La negatività
che il concetto di colpa porta con sé è la negatività che caratterizza l’essere-gettato, il quale si
afferma come libero solo scegliendo una possibilità e rinunciando a tutte le altre; in tal modo lo
induce alla scelta di scegliere se stesso, scelta che Heidegger indica con il termine “decisione” e
che si realizza come decisione anticipatrice della morte, la quale mette in luce tutte le altre
possibilità, quindi si apre anche al futuro. Essa assume su di sé la propria colpevolezza (negatività
del finito) come ciò in cui si trova da sempre, il proprio passato. La decisione lascia che le
possibilità che ha messo in luce vadano incontro all’essere nel suo presente.
La decisione dell’esserci rivela quindi la temporalità (pass+pres+fut) che si rivela come senso
autentico dell’essere dell’esserci.
Temporalità ≠ tempo (sequenza continua di infiniti istanti)
Non è una cosa definita, è un unico processo di “temporalizzazione”, un dispiegarsi dell’esserci che
Heidegger indica come “ecstaticità” (=andare fuori di sé). La temporalità mette al centro il futuro
in cui è in gioco l’essere dell’esserci.