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di Kierkegaard
La sua filosofia si pone come una radicale critica alla filosofia di Hegel:
la dialettica hegeliana, come conciliazione e sintesi degli opposti (et…et), è per Kierkegaard
impossibile sul piano dell’esistenza, dove le contraddizioni sono inconciliabili, gli opposti
costituiscono i termini di un’alternativa radicale, di un AUT…AUT, tra i quali il singolo
deve scegliere. L’individuo non è quello che è, ma diviene quello che sceglie di essere
"Esistere è scegliere" e nella scelta il singolo gioca tutto se stesso, l’intera sua esistenza.
Le infinite possibilità davanti alle quali si trova il singolo vengono riassunte in tre forme di
esistenza, esse si presentano nella scelta sempre a due a due e non sono legate da alcun processo di
tipo dialettico. Il passaggio tra una forma di vita e l'altra tuttavia comporta sempre il rischio di
cadere nel nulla.
Vita Estetica: Forma di vita di chi "sceglie di non scegliere" e così facendo mantiene sempre aperta
l'infinità delle possibilità. Simbolo di questa esistenza è il Don Giovanni, che passa da una donna
all'altra senza legarsi nessuna di esse. Si generano però contraddizioni che portano al superamento
della Vita Estetica: in primo luogo scegliendo di "non scegliere" vi saranno dei terzi che
sceglieranno al posto dell'individuo ed in secondo luogo il Don Giovanni con il suo cambiar donne
rischia di cadere nella temuta ed inevitabile noia degli eventi.
Vita Etica: Forma di vita di chi sceglie di assumersi le responsabilità ed i doveri, il Don Giovanni
legandosi ad una donna si fa in questa vita Marito e si prende cura della famiglia. Assumendosi le
responsabilità di questa nuova veste alla lunga il soggetto rischia di farsi schiacciare dal senso di
colpa derivante dall'eccessiva responsabilità; si determina così un nuovo passaggio.
Vita Religiosa: Forma di vita che non libera l'uomo dal tormento ma anzi lo mantiene in questa
condizione, essa scuote le coscienze facendo render loro conto dell'abisso del nulla. Questa
esistenza porta alla solitudine del soggetto, ben rappresentato dalla figura di Abramo, personaggio
biblico che disponendosi, per fede, a sacrificare il figlio, sarebbe stato condannato ed isolato tanto
dalla morale quanto dal tribunale degli uomini. Proprio per questo paradosso di non razionalità, la
vita religiosa implica la solitudine.
Da questa ultima forma di vita emergono molti elementi, in ambito religioso, che ben sottolineano
la dura posizione di Kierkegaard a tal riguardo. La Fede viene in questo modo considerata come la
massima dispensatrice della drammaticità dell'esistenza che, tramite l'evento emblematico del
peccato originale, genera nell'uomo le condizioni di Angoscia e Disperazione. L'Angoscia è il
sentimento provato di fronte all'infinità delle possibilità mentre la Disperazione è il sentimento
provato dal singolo per sé stesso poiché conscio che scegliendo di essere "sé stesso" ha fatto una
scelta inadeguata e precaria. Dio diventa così il "termine di paragone" con cui l'uomo si raffronta e
così facendo non fa altro che rendersi ancor di più conto della nullità del proprio essere. La critica
verso le religioni positiviste si riassume nella icona del Cristo morente in croce, che evidenzia come
ogni religione, appunto, non sia nient'altro che una sofferenza.
Regina Olsen
Dopo aver sostenuto un esame di teologia, nel '40, che lo abilitava alla carriera ecclesiastica,
compie un viaggio nello Jutland per rimettersi da una grave forma di esaurimento nervoso, e decide
improvvisamente di fidanzarsi con Regina Olsen, anch'essa della comunità morava. La rottura del
fidanzamento, non meno improvvisa, avviene l'anno dopo: Kierkegaard la giustificò appellandosi al
cosiddetto "pungolo nella carne" (probabilmente un difetto fisico). E’ così che l’amore per Regina
Olsen è sostituito con una profonda ricerca nella fede, ricerca da cui deriva una serie mirabile di
scritti sui temi principali delle sue riflessioni
L'amore è un tema centrale in quanto sentimento edificante, è l'agape di Dio verso i propri figli, che
però non cancella la forma di amore umano. L'amore è l'espressione dell'interiorità rapportato con la
fede, ne segue che Kierkegaard ritenga che bisogna amare il prossimo come noi stessi. Amare per il
cristiano è un dovere che segue la volontà di Dio. L'amore e l'amicizia non sono eterni, ma hanno in
sé come punto di partenza Dio: devono essere altruistici e dipendenti da abnegazione. L'amore è
compimento di una legge. Anche il matrimonio che Dio vuole per i suoi figli è l'unione
eterosessuale fra uomo e donna che ha come vincolo l'amore che Dio vuole per le sue creature.
"L'amore è perciò principio e presupposto di ogni edificazione spirituale umana, giacché esso
esprime l'azione di tutto l'uomo per l'uomo, azione esplicantesi in totalità nel senso dell'elevazione
dell'amore stesso dalla sua significazione esclusiva, meramente sensibile, al significato spirituale
inclusivo in Dio di tutta l'umanità". L'amore crede tutto, spera tutto, deve essere disinteressato e
caritatevole. L'amore è un rapporto spirituale analogico che investe cielo e terra, Dio e gli uomini.
L'amore è il dono gratuito di Dio nella carità. Solo Dio è tutto: "in lui l'amore può compiersi in
quell'atto di abnegazione totale, di totale rinuncia che nel sacrificio di sé stesso si consacra in spirito
come superiore a ogni differenza che non sia quella che caratterizza l'assoluta Maestà Divina.". Dio
solo è in grado di aiutare l'uomo con la sua grazia e da parte dell'uomo è necessaria l'abnegazione
cioè l'estrema manifestazione di fede. E' la fede che salva: le opere sono importanti, ma dipende da
Dio considerarle. L'uomo per Kierkegaard non deve dimenticare la differenza con Dio: se facesse
delle opere un merito, si metterebbe alla pari di Dio. E' Dio perciò che salva con il suo amore; non
c'è come per noi cattolici il valore salvifico di mediazione della Chiesa, sposa di Cristo con i
sacramenti.
La religiosità
Cristo: irruzione dell'Eterno nel tempo
Per Kierkegaard la filosofia e il cristianesimo non si lasciano mai conciliare. Per mantenere la
Redenzione, bisogna perciò che la filosofia sia cristiana. Il credente non può fare filosofia come se
la Rivelazione non fosse avvenuta.
L'irruzione dell'eterno nel tempo si è avuta con Cristo. E per il cristiano questo è un fatto assoluto e
in quanto tale non è da dimostrare perché è inconoscibile. La verità cristiana non è una verità da
dimostrare: è invece una verità da testimoniare, reduplicando la Rivelazione nella propria vita. Tale
reduplicazione deve essere totale perché Dio è negazione di ciò che va fino ad un certo punto.
Kierkegaard infatti si oppone alla considerazione speculativa del cristianesimo cioè quella di
giustificarlo, come fa Hegel, con la filosofia. Non bisogna giustificare, ma credere. E per credere
non è necessario essere contemporanei a Gesù. La fede è un salto per chi è contemporaneo a Cristo
e per chi non lo è. Per il filosofo nessuno può sostituirsi a Dio perché Lui ha avuto tanta
misericordia fino a concedere la Grazia per mettersi con ogni singolo. Kierkegaard, in questo
aspetto, non si allontana dal cattolicesimo vedendo in Cristo l'alfa e l'omega, il rivelatore del Padre:
infatti "il sangue di Cristo, mentre rivela la grandezza dell'amore del Padre, manifesta come l'uomo
sia prezioso agli occhi di Dio e come sia inestimabile il valore della sua vita". Il sangue di Cristo "è
il sangue dell'aspersione che redime, purifica e salva, è il sangue del Mediatore della Nuova
Alleanza, versato per molti in remissione dei peccati. Cristo fa "presso il Padre intercessione per i
fratelli, è fonte di redenzione perfetta e dono di vita nuova". Kierkegaard ci dice che il cristianesimo
non è una dottrina, ma un annuncio di esistenza.
L'esistenza di Dio
La dialettica
La produzione letteraria di Kierkegaard presenta un triplice aspetto.
La verità soggettiva
L'analisi che Kierkegaard vuole fare della realtà non è oggettiva, ma dell'uomo singolo nella sua
soggettività.
Kierkegaard, da buon cristiano, è convinto che vi sia oggettivamente una religione vera (quella
cristiana) e una miriade di religioni false; ma, da vero esistenzialista, più che occuparsi della verità
universale di tali religioni, si occupa del modo in cui ciascuno si rapporta soggettivamente ad esse.
Ciò equivale a dire che a Kierkegaard interessa non tanto se Dio esista, quanto piuttosto che
importanza abbia per l'esistenza soggettiva credere o meno nell'esistenza di Dio.
" E' più facile che sia salvato un persecutore di cristiani che non un insegnante di teologia "