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EL TEMA DE LA DISTINSIN REAL O DIFERENCIA ONTOLGICA, DE LA PTICA META-

FISICA A LA PTICA META-ANTROPOLOGICA. A LA LUZ DE LA REFLEXIN DE VON


BALTHASAR, Por: Angelo Scola, Hans Urs Von Balthasar: uno stile teologico, Editoriale Jaca Book, Milano,
1991, pp. 30-45
Balthasar si preoccupa di mostrare come, sul patrimonio ontologico proveniente dalla filosofia classica, si
inserisca l'elemento peculiare della sua riflessione. Il linguaggio ontologico, con i suoi contenuti costituivi, quale
anzitutto il problema della differenza ontologica, cos lo chiama tutta la metafisica contemporanea, o della distinzione
reale, per stare ai termini della metafisica classica, visto come la modalit, ad un tempo pi sintetica e pi rigorosa,
per riproporre il problema del rapporto tra l'essenza e l'essere. Questa base ontologica sar poi allargata mediante la
riflessione sui trascendentali, da una parte, e sulla relazione esistenziale io-tu, dall'altra. L'uomo esiste come essere
limitato in un mondo limitato; eppure la sua ragione aperta all'illimitato, all'Essere tutto intero '. Questa
considerazione fondamentale perch, rigorosamente pensata, rivela la natura enigmatica dell'uomo. Come definire
altrimenti che con la parola enigma il fatto che l'uomo , ma non ha in s il fondamento del suo essere?
Da dove ricavare una simile conclusione? Dall'esperienza della finitezza, della contingenza umana. Io sono
ma potrei anche non essere. So di essere finito. Molte delle cose che esistono potrebbero non essere. Questa
un'evidenza originaria. In termini rigorosamente metafisici, e dopo le precisazioni heideggeriane, si potrebbe dire
che un'evidenza esistenziale, la quale si riferisce alle strutture costitutive stesse dell'umana esistenza; come tale
essa differisce dall'evidenza esistentiva, che si riferisce all'esistenza umana clta in uno degli innumerevoli aspetti
od episodi contingenti che chiamano concretamente alla decisione (anzitutto tra autenticit ed inautenticit) ogni
singolo uomo.
Balthasar fornisce quindi una sorta di prova, cos egli la chiama, di questo stato di cose. Propriamente
parlando non si tratta di prova, almeno nel senso di una dimostrazione. E' piuttosto un'inferenza. Una inferenza la
propriet di una proposizione antecedente di mostrare, in forza della sua stessa verit, la verit della conseguente.
Nelle proposizioni in esame, dall'antecedente l'uomo ma pu non essere si inferisce come conseguente che l'uomo
limitato ma aperto all'illimitato.
Ma se le essenze sono limitate mentre l'essere non lo , allora esiste una scissione nell'essere, nel cuore
dell'essere. S. Tommaso ha chiamato questa scissione, con una espressione che non cessa di far scrivere fiumi di
inchiostro ai filosofi, distinzione reale. Questa scissione la molla di ogni pensiero filosofico e, da parte sua, ogni
pensiero filosofico, quando giunge a porre in questo modo il problema dell'Essere, si rivela per sua natura religioso
e teologico.
Il fatto che l'uomo sia limitato (che e potrebbe non essere), che la sua essenza possieda una modalit
d'esistenza limitata, la quale procede dall'essere infinito e unito tale senza consumarlo (tutto ci che esiste, esiste
perch l'essere e non pu non essere), rappresenta la radice dell'interrogazione sul senso di s e delle cose. Se
l'uomo non facesse questa esperienza del limite e di questa apertura all'illimitato non si porrebbe interrogativi come:
chi sono?, da dove vengo?, dove vado?, da dove e verso dove tutto ci che esiste?. Da qui nasce sia il
pensiero religioso che quello filosofico dell'umanit.
Quanto detto conferma, tra l'altro, che la dimensione religiosa dell'uomo il culmine della sua natura
razionale. Il senso religioso non altro rispetto alla sua natura razionale, il momento in cui la ragione si inoltra nel
mistero e si interroga sul senso ultimo delle cose, del destino.
L origina la dimensione religiosa dell'uomo che, come tale, in ogni uomo, qualunque sia il modo con cui
egli riesca a rispondere a queste domande costitutive del suo stesso io. Sia che risponda riconoscendo Dio come
persona, che parlando di un Essere Assoluto ma impersonale, o addirittura scambiando, idolatricamente, un essere
limitato per Dio, l'uomo non riuscir a sopprimere il senso religioso che alberga, costitutivamente, nel suo cuore.
Torniamo all'enigma: l'uomo limitato ma aperto all'illimitato. Quali sono le principali soluzioni
dell'enigma cercate dall'umanit? Si pu tentare di risolvere questa scissione tra Essere ed essenze, tra finito ed
infinito, dicendo o che tutto Essere illimitato ed immutabile (Parmenide); o che tutto movimento, 'ritmo degli
opposti', divenire (Eraclito)
Sono i due estremi. Quando si trova di fronte a una polarit enigmatica, l'uomo ha sempre la tentazione di
semplificarne la struttura. La via pi comune per raggiungere lo scopo diviene quella di trasformare un polo in una
semplice variante dell'altro. Un altro esempio clamoroso ci viene offerto dalla storia del pensiero occidentale a
proposito della struttura antropologica dell'io: unit duale di anima e corpo. C' chi sostiene che il corpo il livello
infimo di caduta dello spirito e c' chi dice che lo spirito un epifenomeno del corpo.
Nel caso della struttura ontologica in esame si presenta, analogamente, una doppia possibilit. O il divenire
non esiste e tutto ci che sembra finito, contingente, in realt illimitato e immutabile. Oppure vale l'ipotesi
esattamente contraria: tutto movimento, tutto divenire. Nel primo caso il finito e il limitato diventer un non
essere, una illusione da eliminare. E' la soluzione della mistica buddista. Soluzione, in qualche modo, anche
plotiniana: la verit non si raggiunge che nell'estasi, nella quale ci si unisce all'Uno che nel contempo Tutto e
Nulla (di tutto il resto che sembra esistere). Quindi il non essere, il contingente, non : tutto ci che esiste eterno,
immutabile; tutto ci che apparenza di essere va superato alla ricerca dellessere che sta, dell'immutabile. In questa
prospettiva il misticismo si concepisce e si propone come un togliersi dall'apparenza.
Il caso di Eraclito pi semplice da risolvere perch un caso di autocontraddizione pura. Infatti il puro
divenire, nella pura finitezza, pu essere concepito solo identificando i contrari; ma l'identificazione dei contrari (la
vita la morte; la felicit la disgrazia; la saggezza la follia) rende impossibile l'istituirsi stesso del discorso
ontologico.
Balthasar non entra nel dettaglio teoretico per rispondere al tentativo presocratico di risolvere l'enigma della
scissione dell'essere, anche se indica la strada maestra che storicamente il pensiero occidentale invent per questo
scopo: il mondo sensibile terreno non il mondo ideale divino.
Noi conosciamo l'articolazione della tesi platonica: i presocratici non hanno visto la dignit del divenire
relativo quale constatabile nell'esperienza, nell'ambito dell'essere finito (che per Platone non propriamente essere,
ma doxa, apparenza!). Esiste un divenire per il quale un suppositwn passa da uno stadio ad un altro e ci che viene
meno in questo passaggio non il suppositwn ma una qualitas accidentale del suppositum. Platone rest tuttavia
lontano dal comprender in che modo il divenire come tale possa non essere contraddittorio; ma ci avrebbe richiesto,
in ultima analisi, l'inferenza dell'esistenza di un Dio creatore. E' la grande difficolt del pensiero pre-cristiano:
l'incapacit di far coesistere l'infinito ed il finito, l'assoluto e il contingente.
Infatti l'essere assoluto in quanto non sopporta l'esistenza di altro; non c' niente che sia altro rispetto
all'essere assoluto. Quindi l'essere assoluto per sua natura Non altro (Cusano), perch contiene in s tutte le
manifestazioni possibili dell'essere (tema dell'esemplarismo cristiano). Come si spiega allora il fatto che accanto
all'essere assoluto, che in s non sopporta l'esistenza dell'altro da s, l'esperienza attesti l'alterit del contingente?
Che bisogno ha l'essere assoluto che esista il contingente? Solo il concetto di creazione pu dare una spiegazione.
Per questo giustamente si pu dire che la creazione pu essere inferita a partire dall'esperienza che attesta l'esistenza
del divenire.
Infatti il divenire presenta il non essere dell'essere contro il logos, la ragione, che presenta la permanenza
dell'essere (l'essere e non pu non essere): allora il divenire contraddittorio! Come giustificare la compresenza
del divenire nell'esperienza con la permanenza del logos? Ad una sola condizione: che il divenire dell'esperienza sia
posto in essere dall'Essere assoluto. Ecco l'inferenza della creazione! Non c' altra possibilit: il contingente l'esito
di una scelta libera dell'Essere assoluto. Questa la pi grande dimostrazione (mostrazione) dell'esistenza di Dio,
una rigorizzazione delle cinque vie di S. Tommaso".
Balthasar consapevole che, precristianamente, questa risposta fu impossibile. Per questo accenna prima
all'esito del dualismo platonico tra finito ed infinito ed afferma poi l'assoluta gratuit della risposta offerta dalla
rivelazione divina.
Se il finito non l'infinito: da dove viene questa scissione? Perch non siamo Dio? Primo tentativo di risposta:
Deve esserci stata una caduta ed il cammino della salvezza non pu essere altro che il ritomo del sensibile finito al
conoscibile infinito. Il secondo tentativo pu essere formulato cos: l'infinito Dio ha avuto la necessit di un mondo
finito. Perch? Per perfezionare se stesso? Per attuare le sue possibilit? Per avere un oggetto da amare?
Ambedue le soluzioni conducono al panteismo. In entrambi i casi infatti Dio, l'Assoluto, diventato di nuovo
indigente, cio finito. D'altra parte urge la questione: Ma se Dio non ha in alcun modo necessit del mondo, allora
perch il mondo esiste?. Per Balthasar la domanda pi misteriosa di tutto il mistero dell'essere.
Filosoficamente, o pre-cristianamente, non esiste risposta a questo dilemma ed il vertice raggiungibile pu
essere solo la struggente domanda di Rivelazione propostaci nel celeberrimo passaggio del Fedone platonico.
Posizione che Paolo stesso suggerisce ai greci spiegando come Dio abbia creato l'uomo perch cercasse il divino e
tendesse a raggiungerlo.
La creazione quindi, propriamente parlando, un mistero della fede, un dato teologico, che nella sua
formalit, una volta giunto all'orizzonte della conoscenza per la Rivelazione, pu essere inferito anche
filosoficamente.
Una volta apertasi l'ipotesi di una Rivelazione, la logica balthasariana incalza: sar capace l'uomo di
intenderla se Dio decide di rivelarsi a lui? Q u i si deve dire, da una parte, che questo Dio creatore del mondo e
dell'uomo conosce la sua creatura e, dall'altra, che se Egli ha creato le lingue sar capace di parlare e di rendersi
comprensibile. Da ci consegue che per poter udire e comprendere l'autorivelazione di Dio, l'uomo deve essere un
ricercatore di Dio, deve essere egli stesso domanda posta a Lui.
La ragione umana creata aperta all'infinito e se si mantiene in questa posizione (ontologicamente parlando
non pu mai perderla, ma esistentivamente parlando pu smarrirla in infiniti modi!) comprende Dio che le parla, se
Dio decide di parlare. Per inciso conviene qui richiamare che, teologicamente parlando, non pi dal basso
(filosoficamente, quindi) ma dall'alto, noi sappiamo che l'uomo la domanda di una risposta che lo precede. E questa
risposta Cristo, l'Alfa e l'Omega, il primo e l'ultimo, l'inizio e la fine (cfr: Ap. 21,6). Per il momento tuttavia bene
attestarsi sulla grande premessa ontologica cui Balthasar fa riferimento.
Essa costituisce la base, in un certo senso gi nota, sulla quale si inserisce il novum balthasariano, che egli
chiama la sua idea fondamentale. In che cosa consiste?
Anzitutto una premessa metodologica: i Greci parlavano di metafisica per indicare l'atto dell'oltrepassare la
fisica, la quale abbracciava il cosmo intero di cui l'uomo era solamente una parte, per Balthasar si deve parlare di
meta-antropologia. Per l'uomo moderno infatti la fisica non pi quella greca, ma la scienza del mondo materiale.
E l'uomo non pi parte del cosmo, ma il cosmo si completa nell'uomo che la sintesi del mondo e, allo stesso
tempo, il suo superamento'8. L'uomo infatti trascende tutto il mondo nel momento stesso in cui, in qualit di
microcosmo, lo sintetizza in s. La sua natura spirituale, con la capacit di trascendenza che lo costituisce, lo fa
sporgere, indica un'eccedenza, rispetto al cosmo, mentre la sua natura corporea animata lo rende una sintesi vivente
del cosmo. In corrispondenza a tutto ci la filosofia pi che una metafisica, un andare oltre la fisica, deve essere una
meta-antropologia che non ha come premessa solamente le scienze cosmologiche, ma anche quelle antropologiche e
le supera sia sulla questione dell'essere dell'uomo come della sua essenza.
Qui si vede bene la novit teoretica di Balthasar. Tutta l'analisi condotta cambia di prospettiva se si resta in
un'ottica metafisica per la quale l'uomo un ente tra gli enti, parte del cosmo o se si passa ad un'ottica
metaantropologica in cui, dal momento che l'uomo sintesi e superamento del cosmo, il discorso ontologico parte
dall'analisi esistenziale sull'uomo, dalla sua struttura enigmatica fondamentale ( limitato ma capace dell'essere
tutto intero) per andare oltre.
Il tema della distinzione reale o della differenza ontologica viene quindi ricompreso in un'ottica pi larga, in
quella della struttura esistenziale dell'uomo, senza nulla perdere di rigore teoretico. Le conseguenze non tardano a
farsi sentire perch l'approccio allo stesso tema acquista ora dimensioni diverse, ben pi consone alla sensibilit
teoretica contemporanea.
Il punto di partenza della metaantropologia quindi l'uomo; ma se mi pongo la questione della differenza
ontologica a partire dall'uomo devo anzitutto riconoscere che l'uomo esiste solo in dialogo con il prossimo.
L'orizzonte dell'Essere infinito nella sua totalit si apre a lui nel dialogo. E nel dialogo, correlativamente, l'uomo
acquista coscienza di s. Questa scoperta avviene secondo tutte le articolazioni ontologiche costitutive. Seguiamo da
vicino Balthasar nella descrizione della scoperta dell'essere nel bambino a partire dal sorriso amoroso della madre (
evidente che l'esempio assolutamente paradigmatico!). Ed l'orizzonte dell'Essere infinito nella sua totalit che
si apre a lui in quell'incontro, rivelandogli quattro cose: 1) che egli nell'amore con sua madre uno pur non essendo
sua madre, dunque che tutto l'Essere uno. (Cio il trascendentale dell'unit viene scoperto nell'esperienza
dell'alterit perch in questo caso l'alterit non assoluta e tuttavia manifesta l'illimitata partecipabilit dell'essere in
quanto tale). 2) Che questo amore buono, dunque che tutto l'Essere buono. 3) Che questo amore vero, dunque
che l'Essere vero. 4) Che questo amore suscita gioia, dunque che tutto l'Essere bello
I trascendentali sono scoperti nell'incontro, perch in realt ogni incontro un incontro con l'Essere e i
trascendentali sono propriet dell'Essere in quanto tale, sono a l u i coestensivi e superano tutti i limiti delle essenze.
Nell'incontro con l'altro non l'altro e basta che si rivela, l'Essere stesso. Su questa base, tutta la prospettiva
metafisica classica ricompresa nella metaantropologia. Si manifesta inoltre una saggezza enorme che ha una
controprova psicologica di grandissimo valore: nella sicurezza di questo abbraccio materno, realmente il bambino si
inoltra nell'essere, percependolo come uno, vero, buono e bello. E quando questo incontro primordiale, questa
dialogicit originaria alterata, per una qualsiasi ragione la crescita del bambino non equilibrata, egli manca in
qualche modo il reale, perch non incontra l'essere. Per inciso, Balthasar d un grande peso a questa tesi in
Cristologia, quando affronta il delicatissimo problema dell'autocoscienza di Cristo e dice di non poter accettare che
il dialogo io-tu tra Ges Bambino e Maria sia da ritenersi insignificante quanto al costituirsi dell'autocoscienza di
Ges Cristo. Ne verrebbe una certa vanificazione dell'incarnazione stessa, dal momento che un bambino che si
destasse all'autocoscienza senza un tu che lo interpelli non sarebbe un bambino umano.
Balthasar annota che l'epifania dell'essere piena di significato solo se nell'apparizione noi cogliamo
l'essenza, la cosa in s, in quanto si mostra: il bambino non riconosce una semplice apparizione, ma la madre in se
stessa. Ci non esclude che noi cogliamo l'essenza, come diceva Tommaso, solo attraverso la sua comunicazione e
non in s. Questo un dato molto importante: se l'incontro l'incontro con l'essenza in quanto tale, allora l'incontro
di una manifestazione dell'Essere. Per cui pi approfondisco il dialogo con le essenze, in cui l'essere in qualche modo
sussiste, pi colgo l'essere, mentre pi mi astraggo dalle essenze meno colgo l'essere. Affiora qui l'idea dell'universale
concreto che raggiunger in Balthasar il suo vertice nel tema di Cristo come universale concreto.
La centralit e, soprattutto, la natura dei trascendentali nel pensiero balthasariano segnano la sua distanza
rispetto alla concezione di trascendentale di tipo kantiano-idealista. Una delle differenze che spiegano la grande
divergenza che, ad un certo punto delle loro vite, si verificata tra Rahner e Balthasar. In effetti per Rahner, sulla
base dell'idea kantiana, il trascendentale non praticamente mai veramente tematizzato. In un certo senso si pu dire
che per Rahner l'uscita verso l'Essere attraverso il trascendentale postula come condizione il non indugiare nella
analisi dei trascendentali negli esseri contingenti. La strada quella dell'astrazione dal concreto in cui l'essere appare.
Per Balthasar vero esattamente il contrario: pi approfondisco il trascendentale nelle singole essenze in cui si rivela
l'Essere, pi profondamente esse mi rivelano l'Essere. L'essenza un frammento in cui l'Essere sussiste, non potr
mai esaurire l'Essere, ma in essa l'Essere si rivela in s e nei suoi trascendentali.
Come l'Essere predicabile analogicamente, cos lo sono i trascendentali. Nella singolare elaborazione di
questo principio si riveler la genialit di Von Balthasar. E' diverso esaminarli nell'essere contingente ed esaminarli
nell'essere assoluto, in Dio. Secondo Balthasar l'analogia acquista tutto il suo spessore epifanico proprio nell'analogia
dei trascendentali, perci la Trilogia costruita a partire da essi. I trascendentali infatti, superando tutti i limiti delle
essenze, rivelano l'Essere di cui sono attributi.
Da quanto detto scaturiscono due conclusioni: una positiva e una negativa.
Quella positiva: l'uomo esiste solo attraverso il dialogo interumano, cio per il linguaggio, la parola: allora
perch negare all'Essere stesso la Parola? Appare cos la ragionevole ipotesi della rivelazione, che trova conferma
nel grande annuncio del prologo giovanneo: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio
(Gv 1,1). Quindi Dio si pu rivelare e si rivela in forza della dialogicit dell'essere. L'uomo stesso dialogico. Se
l'uomo esiste per il dialogo interumano a tal punto che l'uomo scopre chi solo nel dialogo, allora possiamo negare
la dialogicit di D io con l'uomo? Sarebbe un assurdo. E' giusto dire sin d'ora che, come si evince dal dialogo di
Balthasar con Barth, ci possibile in forza di una precisa concezione cristocentrica del reale: l'uomo dialogico
proprio perch creato in Cristo, non Adamo a rendere possibile Cristo, ma viceversa.
Balthasar passa quindi alla conseguenza negativa. Supponiamo che Dio sia veramente Dio, cio che sia la
totalit dell'essere che non ha la necessit di nessun altra creatura, che non sopporta di essere il Non altro di nessuno,
allora Dio sar la pienezza stessa dell'Uno, del Bene, del Vero e del Bello. Di conseguenza la creatura limitata non
parteciper se non parzialmente e frammentariamente ai trascendentali. Balthasar fa un esempio a proposito
delluno. In cosa consiste l'unit del mondo finito? Si trova nella specie (ogni uomo totalmente uomo) o
nell'individuo (ogni uomo indivisibilmente se stesso)?
Balthasar scrive, in modo particolarmente illuminante:
Diventa cos chiaro che il concetto dell'unit, che ognuno presuppone come noto e trasparente, in fondo
altrettanto misterioso degli altri concetti fondamentali dell'essere. Che cosa in verit l'unit non lo sappiamo, noi
conosciamo l'unit soltanto nell'irriducibile dualit di unit dell'universale e di unit del particolare, senza mai
riuscire a identificare i due aspetti. Non riusciremo mai a capire che cosa sia unit al di l di questa dualit... Noi
crediamo di saper che cosa sia 'un uomo', 'un uccello', 'un libro, ma non appena insistiamo sulla domanda, non
appena ci interroghiamo se in questo modo intendiamo 'qualcuno' che capita sotto l'unit della specie uomo o uccello
o libro, dove indifferente di quale esemplare della specie si tratti, oppure se con questo 'uno' intendiamo quest'essere
determinato singolare, che non pu venire sostituito dalla totalit intera degli altri compagni della specie, allora
chiaro quanto l'unit dell'unit ci diventi sfuggente.... Allo stesso modo non mai possibile chiudere mediante il
pensiero la frattura tra essenza ed esistenza, cos neppure le divaricazione tra essenza e fenomeno, tra universalit e
singolarit: ogni pensiero le deve riconoscere e deve girare in cerchio eternamente intorno al mistero, che esse
rivelano. Questo mistero non incomprensibile; carico di senso, armonioso e placa ogni desiderio di unit... Si
pu certamente sapere dei due movimenti ... ma impossibile realizzarli entrambi simultaneamente. L'esistente nella
sua rivelazione dimostra la sua ricchezza sempre pi grande e in tal modo il suo eliminabile mistero. Nel campo
della finitezza l'unit resta inevitabilmente divisa e polarizzata. Questo vale anche per il bene, per il vero e per il
bello.
Questa conclusione molto importante. Essa manifesta infatti la contingenza della realt finita con la sua
legge costitutiva: la polarit: Per l'interpretazione dell'essere finito bisogna ricorrere ogni volta al fenomeno della
polarit. E' dunque ogni volta inadatto a spiegarlo lo schema speculativo della composizione metafisica di parti e di
elementi diversi. Polarit significa un rigoroso intrecciarsi dei poli di tensione. E ci non potrebbe essere pi evidente
nella polarit dell'essere finito tra essenza ed esistenza. Il nesso cos stretto che nella sua unit costituisce il mistero
insolubile dell'essere creato, cos che ogni tentativo di spiegare uno dei due poh come il luogo del mistero, per
impadronirsi dell'altro come della sfera dell'evidente, destinato a fallire Ognuno dei due poh ha in se stesso un
aspetto di concepibilit, ma questo aspetto rinvia oltre se stesso all'altro aspetto come all'inconcepito". E la stessa
legge della polarit vale, come si visto, per i trascendentali nell'essere finito.
Dimenticarsi di questa grande legge significa prendere, inesorabilmente, la strada dell'idolatria.
Su queste premesse Balthasar afferma di aver tentato, con i suoi scritti, di costruire una filosofia e teologia,
sulla base di un'analogia non gi dell'Essere astratto ma dell'Essere quale lo si incontra concretamente nei suoi
attributi non categoriali ma trascendentali. I trascendentali, poich coestensivi all'Essere - lo attraversano tutto -,
non sono giustapposti, ma sono implicati l'uno nell'altro. Per cui ci che vero deve essere anche buono, bello e uno.
E questo vale a partire da qualsiasi trascendentale '". Decisive sono le conseguenze di questa affermazione sul piano
dell'etica e dell'estetica. Questa impostazione diventa un sicuro baluardo contro ogni relativismo e contro ogni
soggettivismo: una cosa che non vera, non pu essere n bella, n buona. Ma la stessa catena logica vale a partire
da uno qualsiasi dei trascendentali
Non dovrebbe sfuggirci la decisivit della scelta che Balthasar compie riguardo ai trascendentali. Ne dipende
infatti tutta la sua opera e ne dipende nella sua originalit metodologica. Egli decide di non prendere come asse per
la costruzione della sua filosofia e teologia l'analogia dell'Essere in s, perch la reputa astratta, opta per l'analogia a
partire dai trascendentali in forza della presa concreta che consentono nei confronti della realt. L'opposizione
astratto-concreto esplicitata dallo stesso Balthasar!
Ovviamente questa scelta dipende anzitutto dai presupposti che Balthasar ha elaborato in precedenza: non
una metafsica, ma una metaantropologia. Giover richiamare un'altra volta che la seconda non elimina affatto la
prima, ma la ricomprende; n Balthasar intende sottovalutare l'approccio classico, quale consentito dalla prima
scelta - approccio che tra l'altro non ha mai ignorato i trascendentali dell'unum, del verum e del bonum anche se ha
lasciato cadere in ombra quello delpulchrum. Egli, semplicemente, preferisce quest'altra strada.
Del tutto comune alla concezione classica invece l'uso dell'analogia quale unico strumento veramente
adeguato per la costruzione di un intellectus fidei, ma anche di una valida metafisica. Balthasar ha strenuamente
difeso e profondamente arricchito la concezione classica dell'analogia nel suo serrato confronto con Barth e
nell'amicizia con Przywara,
Compiuta la scelta di utilizzare l'analogia dei trascendentali, da dove obiettivamente partire? L'abbrivo di
Balthasar mirabilmente sintetizzato in tre righe del testo che fa da filigrana a questo nostro capitolo: Un essere
appare, ne risulta un'epifania: in questo l'essere bello e ci appaga. Con l'apparire si dona: buono. Donandosi si
dice, svela se stesso: vero (in s e nell'altro al quale si manifesta)'
Se si ritorna alla relazione io-tu, e al suo caso per cos dire paradigmatico (madre/bambino), si pu costatare
che la successione proposta da Balthasar nel passaggio citato coglie la struttura esistenziale del reale cos come egli
stesso lo concepisce nella sua metaantropologia. Realmente l'essere, dal punto di vista dell'analogia dei
trascendentali, si manifesta concretissimamente secondo questa scansione che comincia con un'epifania. E'
importante notare che solo dalla fusione di queste due prospettive, quella esistenziale della relazione interpersonale
e quella dello svelarsi dell'essere nei suoi trascendentali a partire dal pulchrum, si coglie la struttura originaria del
reale secondo la metaantropologia balthasariana, senza pi distinzione tra soggetto ed oggetto: nel bambino si
produce la coscienza del suo essere nel momento in cui egli conosce, concretissimamente, attraverso i trascendentali,
l'essere della madre.
Quando un uomo incontra un essere bello, realmente avviene, nel suo intimo, un moto di abbandono e di
ascolto, come se egli fosse sospeso a questa epifania. Per Balthasar l'epifania dell'essere, cio la sua bellezza,
realmente la breccia attraverso la quale esso penetra nell'uomo e lo desta contemporaneamente alla coscienza di s e
del reale.
E siccome i trascendentali si coimplicano, ecco che al pulchrum necessariamente segue il bonum: se l'essere
che mi appare mi sorprende e mi prende, mi appaga, vuol dire che si dona, se si dona vuol dire che buono. In questo
donarsi l'essere si svela come essere nel momento stesso che desta l'io alla conoscenza e alla autocoscienza; ecco il
verum.
Se ora ci collochiamo all'inizio, all'inizio di tutto, se si comincia da ci che veramente originale, come non
partire dall'apparire di Dio, dalla sua maestosa Bellezza (Estetica)? Ma Dio non appare per donarsi? Non stipula con
l'uomo un'alleanza? Non mette in gioco, in un autentico Teodramma, la sua libert infinita intrecciandola con quella
finita dell'uomo senza risparmio, inabissandosi fin dentro una battaglia mortale per affermare il Bene (Drammatica)'?
Pu Dio rendersi comprensibile all'uomo, rendendosi, Egli Parola infinita, accessibile in una logica e in parole finite?
Questo inarrivabile Pulchrum che si dona come il Bonum pu comunicarsi come il Verum (Teologica)?
Il movimento ultimo del pensiero balthasariano cos svelato: le ragioni di un pensiero, vale a dire di un
metodo nel suo assetto fondamentale, sono cos date. In forza di esso, non solo aperta la strada per un originale e
compiuto tentativo di intellectus fidei dell'evento cristiano (la Trilogia), ma, come si conviene ad un pensiero
veramente originale, sono svelate le implicazioni ontologiche profonde (quelle che con espressione sintetica
Balthasar chiama metaantropologia) di cui una ragione teologica ha inevitabilmente bisogno. In questo senso si pu
parlare dell'apparire di una forma teologica anche se resta implicita (ma gi annunziata) la Forma interna vera e
propria.
Noi non seguiremo infatti, per il momento, Balthasar quando mostra come solo il cristianesimo, nei due dogmi
fondamentali della Trinit e dell'Incarnazione, produce la risposta all'irrisolta domanda scaturiente dalla scissione
dell'Essere: perch esiste l'essere e non il nulla? Perch io non sono Dio? Perch Dio ha creato un mondo del quale,
in quanto Dio, non aveva bisogno?
E' prima necessario infatti allargare la conoscenza dei presupposti metodologici del pensiero balthasariano,
per meglio penetrare il cuore dell'evento cristiano e le sue principali conseguenze.

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