LE INTERPRETAZIONI DI KIERKEGAARD Kierkegaard è considerato uno dei precursori dell'esistenzialismo, la corrente novecentesca che pone l'esistenza al centro della riflessione filosofica. Kierkegaard stesso afferma in modo inequivocabile che:”In verità come scrittore io sono e sono stato uno scrittore religioso; tutta la mia attività letteraria si rapporta al cristianesimo”. Pertanto al vertice del pensiero del nostro filosofo si pone non l'intelligenza, ma la fede. IL GIOCO DEGLI PSEUDONIMI I diversi pseudonimi non costituiscono un mero espediente letterario, esprimono diverse possibilità di esperienze esplorate da Kierkegaard e segnano al tempo stesso le tappe del suo cammino spirituale. Lo stesso Kierkegaard interpreta questo percorso sottolineando che la sua produzione letteraria va <<dal poeta, dal filosofo, verso l'indicazione della determinazione più interiore della realtà cristiana. L'esistenza e il singolo LA CENTRALITA' DELL'ESISTENZA E LA CRITICA A HEGEL Assumendo il singolo, e non i sistema, come oggetto della filosofia, la prospettiva cambia radicalmente e cambiano le categorie interpretative della realtà. La filosofia di Kierkegaard muove da una critica al sistema hegeliano e propone un recupero del piano dell'esistenza, sia come affermazione del singolo come unica realtà, sia come categoria, cioè come concetto in base al quale pensare e interpretare la realtà stessa. La realtà del singolo non può essere spiegata dai concetti della filosofia sistematica ed è irriducibile alle sue astrazioni. Il singolo è dunque la categoria fondamentale per una filosofia che voglia occuparsi dell'esistenza concreta e non del pensiero astratto in generale. Kierkegaard vuol essere un <<pensatore soggettivo>>, che usa il pensiero all'interno della propria esperienza, per capirla e per interpretarla. Il pensiero oggettivo non coglie infatti la drammaticità e la dialetticità dell'esistenza concreta. La dialettica è intesa da Kierkegaard in modo antitetico rispetto a Hegel. La dialettica dell'esistenza è possibilità legata alle scelte dell'individuo. LA POSTILLA Kierkegaard non è un pensatore sistematico; la sua filosofia è piuttosto una ricerca interiore IL SISTEMA CANCELLA IL SINGOLO E L'ESISTENZA l'idealismo spiega l'individuo non considerandolo in quanto tale. UN ESEMPIO L'idealismo garantisce l'immortalità al singolo solo uccidendolo in quanto tale, sottraendolo all'esistenza concreta. DIFFICOLTA' DELL'IDEALISMO In generale il limite dell'idealismo è dunque quello di ogni razionalismo, cioè l'incapacità di cogliere la realtà della vita concreta. Sul piano dell'esistenza la conoscenza è sempre soggettiva, è sempre la <<mia>> conoscenza e ha significato solo per me. I due piani, quello della logica e del sistema (<<riflessione oggettiva>>) e quello dell'esistenza (<<riflessione soggettiva>>), non possono che rimanere rigidamente separati: l'uno non riesce a spiegare l'altro. IL SINGOLO COME CATEGORIA Il <<singolo>> va inteso come l'individuo concreto, particolare. In particolare, alla categoria della necessità, che caratterizza l'interpretazione della realtà propria della filosofia sistematica, si sostituisce quella della possibilità, alla totalità il singolo, alla sintesi rassicurante del pensiero astratto l'aut-aut impegnativo delle scelte esistenziali. La critica a Hegel è radicale, poiché ciò che Kierkegaard suggerisce non è una revisione dell'idealismo, ma un totale mutamento di prospettiva: al pensiero oggettivo viene contrapposto il pensiero soggettivo, cioè il pensiero che parte dall'esistente e che ha come unico scopo la spiegazione del singolo. LA FILOSOFIA NELL'ORIZZONTE DEL TEMPO E DEL DIVENIRE Se consideriamo un individuo nel contesto dello sviluppo della storia dell'umanità, come faceva Hegel, rimangono le istituzioni e i grandi processi storici, ma il singolo diventa irrilevante. Invece se consideriamo l'esistenza dal punto di vista del singolo, ad esempio dal nostro punto di vista particolare, allora la prospettiva cambia radicalmente: l'orizzonte temporale si restringe a 70 o 80 anni, non c'è più nessuno sviluppo necessario, il nostro futuro è incerto e dipende in gran parte dalle nostre scelte, oggi, delle quali non possiamo prevedere le conseguenze nel lungo periodo. LA COMPLESSITA' DELL'ESISTENZA Il <<pensatore soggettivo>> è impegnato nell'esistenza; non la mette tra parentesi ma introduce il pensiero astratto in essa. LA CATEGORIA DELLA POSSIBILITA' E L'AUT-AUT La diversità tra i due tipi di pensiero è particolarmente evidente sul piano della logica. Sul piano dell'esistenza la contraddizione fra realtà parziali non si risolve, ma impone una scelta tra alternative inconciliabili. Se la storia è regolata dalla necessità, la singola esistenza si muove nell'ambito della categoria della possibilità, che implica, per il singolo, una scelta pratica. Tale scelta si presenta come irreversibile- poiché il tempo del singolo è lineare e finito- e determina non solo e non tanto ciò che l'individuo farà, ma ciò che l'individuo sarà. Si presenta quindi come una scelta tra possibilità che si escludono a vicenda, senza mediazioni possibili nei termini di un vero e proprio <<aut-aut>>. PENSARE IL MONDO NEI TERMINI DEL SINGOLO La concezione di Kierkegaard richiede di ridefinire le categorie stesse mediante cui l'esistenza può essere pensata. Le categorie del <<pensatore soggettivo>> come si definisce Kierkegaard, sono il singolo e la possibilità. In relazione alle nuove categorie si ridefinisce la filosofia stessa: singolarità e possibilità sono categorie dell'esistenza, non possono essere applicate alla propria vita dall'esterno, ma soltanto dall'interno. Kierkegaard si colloca quindi nell'ottica agostiniana della ricerca interiore, del pensiero come analisi di se. La singolarità può essere compresa solo divenendo un singolo. Il <<singolo>> non significa però il <<soggetto>>. Kierkegaard sottolinea la necessità di prendere in esame il singolo individuo concreto, la sua esistenza particolare, circoscritta in un arco temporale limitato. GLI STADI DELL'ESISTENZA Il singolo si trova davanti a diverse alternative, a modelli esistenziali inconciliabili tra loro. Kierkegaard ne individua in particolare tre: estetico, etico e religioso. Si tratta di modelli esistenziali alternativi, che possono essere, ma non necessariamente lo sono, percorsi in momenti successivi dall'individuo (anche se non in modo necessario). UNA DIALETICA SENZA SINTESI Questi tre modelli di vita possono essere considerati stati dell'esistenza, cioè modi di essere che permangono per tutta la vita dell'individuo, ma anche – secondo la definizione di Kierkeegaard - <<stadi>>, cioè momenti successivi nella vita del singolo; infatti i primi due sono autocontraddittori, dialettici e implicano un proprio superamento. La dialettica di cui parla Kierkegaard non raggiunge una sintesi, ma si esprime nella forma dell'antitesi radicale, dall'aut-aut, dove le differenze qualitative tra i diversi momenti restano, senza essere superate. LO STATO ESTETICO Lo stadio estetico è simboleggiato dalla figura del seduttore (Don Giovanni), e dal vivere nell'istante, senza operare alcuna scelta, cogliendo l'attimo. Così però l'esteta rinuncia a costruire una propria identità e percepita nella noia, nell'indifferenza, nella disperazione. L'esteta è colui che non sceglie, che si lascia vivere rifiutando di assumere ruoli o responsabilità sociali, che passa di esperienza in esperienza senza mai definirsi come identità stabile. In questo modo egli non si costruisce come persona, non costruisce un proprio io, vive nell'istante e perciò rimane privo della continuità che è la base dell'autoidentificazione, della durata. IL DON GIOVANNI Tra molte figure che Kierkegaard descrive la più famosa è senza dubbio quella di Don Giovanni, considerata sia in generale sia nella lettura musicale di Mozart. DON GIOVANNI NON E' UNA INDIVIDULITA' Lo stadio estetico non si esprime come individualità. In quanto legata al godimento estetico privo di continuità, che si ripete in infinite varianti, l'attività di Don Giovanni può essere espressa soltanto dalla musica, anch'essa giocata intorno a varianti e riprese dello stesso motivo, senza la pretesa che l'emozione immediata si traduca in una continuità o in un discorso concettuale. L'AMORE SENSUALE Secondo l'analisi di Kierkegaard prima del Medioevo la sensualità di Don Giovanni non si era mai manifestata nella storia. Essa si presenta infatti come seduzione, concetto estraneo al mondo classico. L'amore era rivolto a una persona in modo esclusivo, anche quando accadeva di cambiare spesso donna; al contrario Don Giovanni non ama nessuna donna in particolare, ma tutte le donne, la sensualità in quanto tale. Il seduttore non ha continuità è per questo non ha neppure una individualità; di conseguenza la seduzione resta il solo modo in cui l'esteta riesce ad affermare il proprio essere. L'esteta si disperde nelle cose e nelle esperienze, non costruisce se stesso, non si autodefinisce e manca quindi di una personalità, di un <<io>> inteso come punto di riferimento continuativo della propria esperienza. LO STADIO ESTICO: IL GIUDICE WILHELM L'alternativa è lo stadio etico, l'assunzione di responsabilità e di ruoli, come quelli di marito, padre e cittadino. Qui l'individuo assume un'identità precisa all'interno di un tessuto sociale, ma si rivela insufficiente a se stesso. Lo stadio etico è esemplificato da Kierkegaard mediante la descrizione di un solo personaggio, il giudice Wilhelm, perchè è una possibilità esistenziale che si contraddistingue per la sua fissità, per l'assunzione di ruoli e di compiti che realizzano in modo univoco l'individuo. Vivere eticamente vuol dire essere cittadini, padri, mariti, assumere e far propri tutti quei compiti e quello responsabilità che fanno di noi un preciso tassello della struttura sociale, ma anche una persona determinata, con una propria identità. LA PERSONALITA' E LA SCELTA Chi vive eticamente sceglie la propria vita e in questo modo definisce e costruisce se stesso, afferma la propria identità. La vita etica ha durata, ha storia, perchè in virtù della scelta ha istituito la personalità. A differenza dell'esteta, chi vive eticamente ha scelto e, prima di scegliere qualcosa, ha scelto di volere, di determinarsi UNA IDENTITA' IMPERSONALE Tuttavia anche lo stadio etico è contraddittorio. L'individuo si costituisce in quanto essere sociale, in quanto portatore di ruoli e coinvolto in rapporti che lo legano ad altri individui. In questo modo, però, la sia identità è, possiamo dire, impersonale, perchè costituita più da convenzioni e da funzioni socialmente stabilite. Un ruolo, infatti, è un insieme di comportamenti che gli altri si aspettano da noi e che sono regolati socialmente. Un medico, un insegnate, un impiegato producono comportamenti previsti indipendentemente dalla loro personalità, anche se li interpretano in modo parzialmente individuale. LO STADIO ETICO E IL PENTIMENTO L'emergere della personalità nello stadio etico mette l'individuo in contraddizione con se stesso. L'identità personale è legata infatti immediatamente al riconoscimento di sé, che è però in pari tempo riconoscimento di sé di fronte a Dio, e quindi consapevolezza della propria natura limitata e della propria inadeguatezza. Questa presa di coscienza porta all'esperienza inevitabilmente connessa allo stadio etico: il pentimento. L'uomo etico che si sa inadeguato di fronte a Dio, non può accettarsi, ma in quanto autocosciente non può nemmeno rifiutarsi. LA COSCIENZA DELLA PROPRIA CONTRADDITTORIETA' Analizzando il problema da un'altra prospettiva, possiamo dire che l'uomo è composto da anima e corpo, elementi divergenti mediati dallo spirito, che è riflessione e raggiunta consapevolezza di sé. Nel momento in cui l'individuo raggiunge la consapevolezza di sé, la contraddizione connaturata in lui, quella tra corpo e anima, invece di essere risolta, diviene contraddizione cosciente: l'individuo si sa finito, ma aspira all'infinito, si sa imperfetto e aspira alla perfezione. A questo punto egli può accettarsi, ma , in quanto essere limitato, insufficiente a se stesso. Questa contraddizione insoluta caratterizza la natura umana e ne segna la dinamica esistenziale, producendo un disagio che prende corpo nell'angoscia, per condurre poi alla disperazione. E' un cammino di ricerca, doloroso, ma il solo che permetta di raggiungere l'unica soluzione possibile, la fede. Dall'angoscia alla fede LA POSSIBILITA' E L'ANGOSCIA LA POSSIBILITA' E L'ETERNO L'angoscia, deriva dalla possibilità del peccato, che è entrata nel mondo con Adamo. Abbiamo visto l'importanza che ha per Kierkegaard la possibilità come categoria. Essa impone la scelta che è irreversibile, perchè ci fa essere in un modo o nell'altro, cioè determina il nostro stesso essere. Se proiettiamo queste caratteristiche della possibilità non nella prospettiva di un tempo determinato, ma dell'eternità, quanto detto cambia radicalmente di significato, sia che crediamo sia che non crediamo. Nel secondo caso si apre la possibilità del nulla eterno, della fine di tutto, di un vuoto privo di ogni significato. Nel primo caso, si aprono 2 possibilità alternative, la via eterna o la dannazione eterna. L'ANGONSCIA COME POSSIBILITA' E LIBERTA' L'angoscia fa parte dell'uomo, di ogni uomo nel momento in cui acquista coscienza di sé. E' la premessa per il salto nella fede, perchè pone l'uomo di fronte a se stesso, alla consapevolezza della propria infinita libertà; e, scrive Kierkegaard, <<sentimento del possibile>>. L'angoscia è completa responsabilità del proprio destino, che si manifesta con l'aprirsi nelle infinite possibilità, tra cui anche quella del peccato. L'individuo è solo di fronte alle proprie scelte, è responsabile della propria determinazione, ma nello stesso tempo è insufficiente a se stesso, soprattutto quando prende coscienza del fatto che dalle scelte presenti, poste nell'orizzonte temporale dell'esistenza, può dipendere il proprio destino nell'eternità. L'IO NASCE COME POSSIBILITA' DI PECCARE L'angoscia è preparazione alla fede e deriva dal peccato, il peccato originale. Prima che il peccato entri nel mondo l'uomo vive in uno stato di innocenza, egli non è peccatore perchè non può scegliere, ma in quanto non può scegliere non è libero e non è quindi individuo. Egli è anima e corpo, ma non è spirito. Il divieto divino dà all'uomo la possibilità di scegliere di infrangerlo; questa libertà suscita l'autoconsapevolezza perchè fa si che l'uomo si riconosca come individuo capace di scegliere, ossia come io. La possibilità di peccare è essenziale perchè l'uomo diventi spirito, coscienza, ma al tempo stesso espone all'eventualità della colpa e della dannazione. IL PECCATO DI ADAMO L'angoscia deriva quindi dal prendere coscienza della possibilità, e quindi anche della possibilità di peccare e di separarsi dall'eterno, come avvenne per Adamo. Essa prelude all'affermazione dello spirito, cioè dell'individualità. Adamo diviene un individuo nel momento stesso in cui sceglie, e lo stesso avviene per ogni uomo. IL PARADOSSO DELL'ESISTENZA L'uomo è un essere paradossale: se non potesse peccare non sarebbe libero e non sarebbe spirito, cioè non sarebbe uomo, ma in quanto libero, in quanto gli si apre la possibilità del peccato, egli si trova davanti la scelta e con la scelta la possibilità di determinare se stesso, ma ciò produce l'angoscia. L'angoscia non è di per se uno stato d'animo negativo. Kierkegaard la paragona alla vertigine, come quando ci si trova di fronte a un abisso. Essa è <<la vertigine della libertà>>, affascina e spaventa a un tempo, non possiamo non guardarla cosi come non possiamo non accettare la libertà. <<Imparare a sentire l'angoscia>> è però essenziale per arrivare alla fede. La possibilità rende l'uomo in-determinato, in quanto può scegliere che cosa essere. L'uomo in quanto può scegliere non è nulla. Cerca di determinarsi nella società, assumendo dei ruoli, dei doveri. In questo modo, però, non diviene qualcosa come individuo, non diviene se stesso, ma si determina soltanto come genericità. Soltanto dalla libertà può nascere lo spirito come coscienza di se, ma dalla libertà nasce anche il peccato, o meglio la possibilità stessa di peccare. L'ANGOSCIA E LO SPIRITO Dalla libertà e dalla conseguente consapevolezza di sé deriva lo spirito, come sintesi di anima e corpo. E nel momento del peccato originale l'umo prende coscienza anche del proprio essere corpo e quindi della sessualità, non perchè essa sia necessariamente peccato, ma perchè non può darsi anteriormente al peccato. Il peccato originale on è però il peccato sessuale: è l'aprirsi della possibilità, di cui la sessualità è conseguenza. Lo spirito è la nascita dell'autocoscienza, che è anche coscienza dei propri istinti, del peccato. Lo spirito sorge dunque con la possibilità. Lo spirito non è una realtà esistente di per sé, indipendentemente dall'anima, ma è piuttosto una condizione dell'anima, la condizione che assume quando raggiunge l'autocoscienza. Mediante l'autocoscienza i singolo si distingue dalla specie. La possibilità del peccato è quanto di più terribile possa essere immaginato, eppure è indispensabile per diventare individui. E' una contraddizione che apre l'individuo, il singolo, la possibilità della fede. LA DISPERAZIONE La disperazione è la malattia mortale che riguarda il rapporto conflittuale dell'umo con se stesso ed è condizione esistenziale dell'umo in quanto uomo. L'essere umano si avverte come inadeguato di fronte a Dio, ma se non si pone d fronte a Dio non acquisisce consapevolezza di se. IL SINGOLO COME CONTRADDIZIONE Il primo momento della coscienza di sé produce la disperazione, categoria fondamentale per intendere la filosofia di Kierkegaard. Si tratta di uno stato esistenziale insito nella natura umana. La fede vi occupa un ruolo centrale e viene indicata come l'unica via d'uscita possibile, dalla contraddizione irrisolta che è l'esistenza del singolo. Infatti il singolo, in quanto io è eterno, ma non è eterno di per sé, bensì soltanto in rapporto a Dio. Ma un io immortale e al tempo stesso peccatore no può che vivere il proprio peccato come una morte, che tuttavia non è il nulla, non è liberazione, ma è proiezione della morte stessa nell'eternità, e un morire in eterno. LA DISPERAZIONE La disperazione non è malattia mortale per il fatto che conduce alla morte. La disperazione, che sorge dal rapporto del singolo con se stesso, è piuttosto vivere la morte dell'io, avvertire se stesso come insufficiente e non potere, d'altra patte, andare oltre se stesso. La metafora del moribondo che vive un'eterna agonia descrive bene questo stato di coscienza e di impotenza. ACCETTARE LA DISPERAZIONE <<l'assenza della speranza di poter morire>> è l'impossibilità di andare oltre l'io, che d'altra parte è una realtà precaria, una continua agonia, una mancanza. La disperazione è voler essere autosufficienti, ma sapere di non poterlo essere. L'unica soluzione è accettare la disperazione stessa, volerla, negandosi come autosufficienza per sentire la propria dipendenza da dio. Di conseguenza la disperazione è, secondo Kierkegaard, positiva, perchè lascia una sola via di uscita, la fede e costringe a cercarla. LE FORME DELLA DISPERAZIONE LA DISPERAZIONE IMPROPRIA L'uomo è sintesi di anima e corpo e raggiungendo l'autocoscienza diviene spirito, cioè io. L'individuo non è automaticamente un io, lo diventa come risultato di un processo mediante il quale determina se stesso. Se questo processo non si compie, l'individuo no è disperato in quanto non sa di avere un io: Kierkegaard parla a questo proposito di disperazione impropria, in quanto manca l'oggetto della stessa, cioè l'io; ogni disperazione, anche se si manifesta come disperazione per le cose, è sempre disperazione di sé. LA DISPERAZIONE DI VOLER ESSERE O NON ESSERE SE STESSI Quando invece l'individuo percorre il processo per costruirsi come io. Diventa consapevole di sé come essere limitato, imperfetto, peccatore. Si trova allora di fronte a due possibilità: può rifiutarsi cosi com'è e desiderare di essere diverso (<<disperazione di non volere essere se stessi>>), ma sul piano dell'esistenza ciò non è ovviamente possibile; in alternativa può accettarsi, ma in quanto limitato, cioè insufficiente a se stesso, non può realizzarsi (<<disperazione di voler esser se stessi>>). In entrambi i casi l'uomo è disperato, e la disperazione deriva dal fatto che, raggiungendo la coscienza di se, l'individuo raggiunge anche la consapevolezza di Dio: è il rapporto tra sé, essere limitato e insufficiente, e Dio, che produce la disperazione. Se si pone di fronte a Dio, l'umo potenzi il proprio io perchè l'autocoscienza di ognuno dipende dai riferimento che ha. Con ciò stesso, però, potenzia anche la drammaticità dei propri limiti, della propria ineguatezza, dunque la propria disperazione. DALLA DISPERAZIONE ALLA FEDE La fede è l'unica possibilità che ha il singolo per superare la disperazione. La fede è paradosso inconciliabile con la ragione, è scandalo, ma proprio per questo risolve il dramma dell'esistenza, mettendo l'uomo in rapporto intimo e diretto con Dio. L'INCONTRO CON CRISTO Rapportarsi a Dio potenzia enormemente la consapevolezza di sé, ma al tempo stesso anche quella del proprio peccato. <<Il peccato è: davanti a Dio o avendo l'idea di Dio, disperatamente non voler essere se stesso, o disperatamente voler essere se stesso. Il peccato è cosi la debolezza elevata a potenza o l'ostinazione elevata a potenza; il peccato è il potenziamento della disperazione>>. La disperazione che ne segue può essere accettata solo con il salto nella fede. Dio si è calato nella finitezza e nel tempo, diventato <<contemporaneo>> dell'uomo. Il salto nella fede è l'incontro sul piano esistenziale con Cristo. IL SALTO MORTALE NELLA FEDE La religione per Kierkegaard ha senso solo come scelta sul piano esistenziale e personale. Ciononostante la fede non può essere giustificata né dalla ragione né dalla logica. Essa è un <<salto mortale>> una scelta che l'uomo fa per superare la disperazione, una scelta motivata unicamente dal fatto che la fede è avvertita come una risposta alle proprie contraddizioni, alla contraddittorietà del proprio essere. IL CRISTIANESIMO COME PARADOSSO E COME SCANDALO LO SCANDALO Scandalo inteso come categoria, cioè come concetto in base al quale ordinare e interpretare l'esperienza, in questo caso religiosa dell'uomo. IL SACRIFICIO DI ISACCO La fede come scandalo è come paradosso, e la rottura con l'etica che la caratterizza, sono simboleggiati dalla figura di Abramo, che riceve da Dio l'ordine più lontano da ogni considerazione etica, che sia possibile immaginare, quello di immolare in sacrificio suo figlio Isacco. La vicenda di Abramo è incomprensibile al di fuori della fede, perchè egli viola ogni norma etica, tradisce i suoi compiti di uomo e di padre, si pone al di fuori dell'etica. E' il porsi al di fuori dell'etica è la fede. Nell'etica l'individuo è subordinato al generale e trova in esso i proprio fine; nella fede, da qui il paradosso, il singolo , in virtù del rapporto individuale e irripetibile con dio, è al di sopra del generale. IL CRISTIANESIMO E' DIO NELLA VITA DI OGNUNO Lo scandalo del cristianesimo consiste nell'unione di Dio, mediante l'incarnazione, con ogni singolo individuo. L'accettazione del cristianesimo e dell'incarnazione significa far entrare Dio nella vita di ognuno, costringendolo a pensare la sua intera esistenza in termini nuovi, secondo nuove categorie. Il cristianesimo deve essere inteso come una trasfigurazione della vita, un allontanamento dal mondo per andare verso Cristo, dimenticando tutto ciò che lega alle cose terrene. IL CRISTIANESIMO COME ESPERIENZA Il cristianesimo non offre risposte già pronte per i nostri problemi esistenziali, ma consente di affrontarli. La verità viene comunque da Dio e non da noi, soltanto mediante questo sforzo interiore possiamo trovare in noi, tramite il cristianesimo, la via d'uscita dalla disperazione e le risposte alle nostre domande più radicali. LA VERITA' COME ESPERIENZA EDIFICANTE La verità, per Kierkegaard, non è mai oggettiva, e neppure soggettiva in senso kantiano, ma individuale, del singolo, e quindi vissuta nell'interiorità. Essa è effettivamente verità nella misura in cui è <<edificante>>, cioè diventa esistenza, contribuendo a cambiare la vita dell'individuo. La fede non può essere compresa con la ragione ma è una scelta di vita, quindi ha senso soltanto se viene vissuta dal singolo e ne cambia l'esistenza. IL CRISTIANESIMO COME ESPERIENZA ESISTENZIALE In nome di questo cristianesimo vissuto, Kierkegaard critica la chiesa <<trionfante>>, la chiesa istituzionalizzata, io cristianesimo come abitudine e come semplice appendice a una vita che non è però trasformata. Nella sua concezione il cristianesimo è piuttosto un'esperienza esistenziale profonda, che coinvolge la totalità dell'individuo.