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The Individuality of the Individual

N. Luhmann

In questo articolo Luhmann cerca di ripercorrere le tappe dell’individualismo, scartando l’excursus


sociologico che concepisce la storia come un processo di crescente individualismo. Sottolinea
l’approccio di Simmel e Mead per i quali l’individuo è concepito come una unità emergente,
emergente dagli incontri sociali e dalle aspettative altrui. Secondo Luhmann la sociologia si è mossa
nel tentativo di colmare il divario tra individualismo e collettivismo senza cercare di formulare un
concetto teorico rilevante di “individualità”. Per questo motivo egli ricorre alla storia intellettuale
europea, alla sociologia della conoscenza, alla storia delle idee e alla struttura sociale cui attinge per
osservare i tentativi di definire tale concetto e ripercorrere la storia della ricostruzione
dell’individualismo. “Ogni ricostruzione dell’individualismo deve naturalmente compiersi
all’interno della società, per mezzo di persone che si considerano individui e si mettono, per così
dire, a ricostruirsi”.

Al tempo di Cartesio, il dibattito scolastico medioevale aveva stabilito che l’individualità non si
poteva definire indicando una qualità particolare dell’individuo in contrapposizione ad altre qualità;
non qualcosa che viene dato all’individuo dall’esterno.
L’individuo è esso stesso la sorgente della propria individualità; il concetto di individualità deve
quindi essere definito per autoreferenza.
Mi sembra che questo passaggio dell’articolo costituisce l’elemento essenziale rispetto al quale si
muove la riflessione di Luhmann.
L’altro concetto fondamentale è quello di noia/ennui.
«La mia ipotesi è che l’esperienza tradizionale (e dico intenzionalmente: «esperienza») della ennui
fornirà migliori indizi per una teoria dell’autopoiesi dei sistemi coscienti, rispetto al concetto di
soggetto. Il vuoto interiore, la circolarità vuota della pura autopoiesi, della riproduzione degli
elementi di coscienza da parte di elementi di coscienza definiscono il concetto di auto-refenzialità
dell’individuo». E l’ennui corrisponde al pensiero di pensare questa circolarità.
Il Seicento fece una doppia scoperta: il soggetto e la sua noia” (ipotesi: si potrebbe utilizzare questo
concetto per descrivere la modernità?)
“Tra scisma religioso, guerre politiche, Stati sovrani emergenti, progresso e declino economico,
l’autoreferenzialità, che ricostruisce l’individuo sulla base dei propri problemi e delle proprie
risorse, deve essere sembrato un rifugio attraente”.

Analizzando il movimento devozionale Luhmann sottolinea come tale processo abbia portato, nel
XVII secolo, alla “privatizzazione del tentativo di raggiungere la salvezza”. «Etre devot c’est
vouloir se sauver et ne rien negliger pour cela». Tale aspetto viene evidenziato da Luhmann anche
in ambito gesuitico. Le conseguenze di questa privatizzazione condurranno ad elementi di orgoglio
e vanità. L’autoreferenzialità, essenza stessa dell’individualità, che compare all’interno del
movimento devozionale è, per l’uomo di fede, la rovina dell’individualità stessa.

Abbandonando gli aspetti religiosi e ontologici dell’individualità, fuori dalla distinzione


salvezza/dannazione, Luhmann parla di un nuovo culto dell’amicizia che nel XVIII secolo
sostituisce la religione “l’amore di sé si espande fino a includere la preoccupazione per gli altri”.
Ma “Alla fine del XVIII secolo, l’homme du monde, l’homme de bonne compagnie, non era più un
individuo. Se muore, osserva Senac de Meilhan, cosa sappiamo di lui?” Il problema è che
l’individuo nel tentativo di ri-costruire una socialità perde la propria individualità.
Luhmann analizza allora due aspetti, ovvero due elementi attraverso cui ricostruire l’individuo: la
proprietà, in un quadro di interdipendenze sociali, e l’arte. Ma, l’ordine sociale basato sulla
proprietà non ha fatto altro che rafforzare “alcune delle cattive caratteristiche della falsa devozione,
come l’orgoglio e la vanità. All’egoismo è stato dato un travestimento civilizzato. Era un ordine di
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ipocrisia e, soprattutto, di ingiustizia visibile in cui, per esempio, la proprietà era distribuita in modo
disuguale. L’individuo poteva identificarsi con l’opulenza o con la miseria, a seconda della sua
situazione. Sia i ricchi che i poveri erano schiavi della società civile. Non erano davvero individui.
Non appartenevano veramente a sé stessi”.
Attraverso il concetto di arte l’individuo esemplare viene chiamato “genio”. “L’autoreferenzialità di
un individuo è l’autoreferenzialità del suo cuore, e l’opera d’arte è, come la natura stessa, una
condizione esterna che stimola il cuore ad agire su sé stesso”. Ma anche in questo caso la
stratificazione sociale era ancora dirimente nel giudicare l’individuo, perché il gusto era un gusto
qualificato e il pubblico era un pubblico ristretto.
Dopo Kant l’individuo emerge come soggetto del mondo e può tendere a realizzare sé stesso
realizzando il mondo dentro di sé attraverso l’educazione, quella educazione che il borghese
associava al soffocamento della voce della natura e che diviene ora un processo liberatorio.
Qui si ferma la ricostruzione storica di Luhmann “La storia dell’individualità dell’individuo non
continua oltre questo punto. O meglio, continua solo come una storia di ideologie, come una storia
di «individualismo», un termine inventato negli anni Venti del secolo scorso”.

Per questo motivo Luhmann riflette sull’analisi teorica dell’individualità dell’individuo a partire
dalla teoria della società e con questa griglia rilegge le dinamiche fin qui affrontate per spiegare i
tentativi di riformulare i problemi stessi dell’individualità.

Il punto di partenza è la società stratificata dove l’individuo è inserito in un solo sottosistema e “lo
status sociale (condizione, qualità, stato) rappresenta la caratteristica più stabile della personalità
dell’individuo”. Condizione non più possibile nella società differenziata in sistemi di funzione in
cui l’individuo non può vivere in un solo sottosistema.

Il secondo punto è dato dalla differenziazione del sistema religioso dagli altri ambiti sociali che
Luhmann connette “alla crescente pressione a vivere una vita individuale”. Tale aspetto “avrebbe
potuto portare, nelle chiese protestanti e cattoliche, a una privatizzazione del cammino verso la
salvezza” e invece “rese visibile la devozione come un fenomeno sociale e in quanto tale una moda.
Ciò fu molto deleterio per il movimento devozionale perché ruppe l’alleanza tra corte e religione”.

Il terzo punto importante è rappresentato dal binomio piacere/noia che sostituisce paradiso/inferno
nell’osservazione dell’individuo come persona sociale. Ma questa distinzione viene meno nella
società differenziata la quale non può più essere osservata sul piano dell’interazione sociale. Ne
consegue che la spersonalizzazione dell’interazione sociale finisce per desocializzare l’individuo.

Il quarto punto è l’osservazione dell’individuo non come soggetto ma a partire dalla concezione dei
sistemi auto-referenziali.
“C'è, dopo tutto, una relazione nascosta tra la differenziazione funzionale del sistema sociale e
l’autoproclamazione dell'individuo come soggetto. La differenza guida non è più il piacere e la
noia, o il sé e l'altro; è la differenza tra particolarità empiriche e generalità trascendentale.
L'individuo lascia il mondo per guardarlo. Interpreto questa posizione extramondana del soggetto
trascendentale come un simbolo della nuova posizione dell'individuo empirico in relazione a un
sistema di sottosistemi funzionali. Gli individui per percepire la loro identità devono concentrarsi
sulla differenza e non sull’unità. Inoltre, tutte le osservazioni devono scegliere dei riferimenti di
sistema, e l’auto-osservazione è un caso particolare. Questo significa accettare il relativismo senza
eccezioni, senza alcun tipo di base ontologica, senza alcun tipo di a-priori”.
In tale percorso l’ennui fornisce migliori indizi per una teoria dell’autopoiesi dei sistemi coscienti
rispetto al concetto di soggetto. In tal modo Luhmann chiude il cerchio e si riconnette alla
riflessione di partenza.

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“Nel XVII secolo, sia il soggetto che la sua ennui divennero auto-descrizioni socialmente
accettabili. Solo la teoria dei sistemi autopoietici sembra essere in grado di formulare questa unità
latente del soggetto e della sua noia, una teoria del dinamismo raggiunto attraverso l'auto-
disperazione e di formularla in termini accettabili. (la soggettività emerge attraverso la noia).
Non esiste un sé duale o pluralistico, nessun "io" distinto da "me", nessuna identità personale
distinta dall'identità sociale. Queste concezioni sono invenzioni di fine Ottocento, prive di un
fondamento sufficiente. Semplicemente non viviamo e non sperimentiamo noi stessi in quel modo.
Inoltre, questi paradigmi dualistici o pluralistici sono essi stessi reazioni semantiche nei confronti di
una società complessa." Possiamo abbandonare come vani tutti i tentativi di reintegrare un sé
scomposto. Se la coscienza opera, lo fa come un sistema individuale, usando la propria unità e i
propri eventi coscienti. Questo è il motivo per cui un sistema autopoietico non può produrre la
propria fine. Gli esseri umani possono suicidarsi perché il sistema cosciente può interferire con il
sistema organico. Ma il sistema autopoietico della coscienza non può pensare alla morte come
l’ultimo elemento autopoietico”.

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