Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Maria Cristina Koch vive e lavora a Milano. Filosofa della Scienza, è libera professionista dal 1973. È docente in
terapia sistemica, analista di gruppo e trainer in NLP. Esperta in comunicazione, supervisione clinica e
organizzativa, è autrice di Norma e patologia allo specchio (IPSA, Palermo 1985), Nel tempio del bosco. Mito e
fiaba nella conversazione terapeutica (Librerie Cortina, Milano, 1988), Dentro una locanda. La terapia come
sosta (Moretti e Vitali, Bergamo 1999), Misurare l’immateriale. Riflessioni per una società trasparente (a cura
di G. Lai e M. C. Koch, Franco Angeli, Milano, 2008).
La terapia, il coaching e il counseling hanno ovviamente moltissimi punti di contatto fra loro, punti
di contatto che mi limiterò ad accennare brevemente dando per scontato che tutti quanti noi già ne
abbiamo fatto esperienza e occasione di riflessione. Tutte queste discipline si rivolgono alla persona
umana, tutte si caratterizzano come discipline d’aiuto, tutte tendono a una autonomia maggiore
della persona cui si è dato aiuto.
Evidentemente, dunque, tutte queste discipline si muoveranno con rispetto, faranno della
discrezione e della non invadenza un loro tratto caratteristico e qualificante, ricercheranno le
soluzioni maggiormente adeguate alla persona fornendole la disponibilità delle loro competenze
professionali, da esercitare, appunto, nell’interesse dell’altro affinché l’altro ne tragga vantaggio e
migliori la qualità della sua esistenza. E tutte si prefiggono, e si augurano di riuscire, a sfilarsi dopo
l’intervento senza lasciare tracce indebite o che in qualche termine invochino o strutturino una
dipendenza. Pure, sono grandi e importanti le differenze fra queste discipline, che, se non ci fossero,
non comprenderei la necessità o l’opportunità di usare nomi differenti. Differenze di punti di
partenza, differenze fra ciò che si guarda e, soprattutto, fra ciò cui si tende, in relazione al proprio
approccio scientifico.
Grossolanamente, dunque, potremmo dire che la terapia si configura come un intervento che
conosce la patologia o un disagio psico fisico, ne riconosce la presenza e opera per risolverlo,
tendendo a una ricostruzione della persona che assorba l’evento patologico e metta nuove basi per
1
un’esistenza risanata. L’intervento terapeutico inizia e si conclude attraverso un percorso
riconoscibile.
Il coaching è un affiancamento alla persona durante varie tappe della sua vita. Traendo il suo
significato proprio dallo specifico termine che lo contraddistingue, (penso soprattutto alla bella
sintesi che ne ha fatto Massimo Reggiani su FOR) l’intervento di coaching è sostanzialmente a
richiesta, a spot, un punto di riferimento su cui la persona può far conto per superare dubbi,
incertezze, difficoltà, con il sostegno di un professionista che ‘ci conosce’.
Il counseling, invece, è un intervento sostanzialmente unico e in ogni caso brevissimo, rivolto alla
persona in un momento di passaggio esistenziale, immersa in un quesito rilevante ma in alcun modo
obbligatoriamente innestato in una patologia o in un malessere. Il counseling, rivolto al futuro, abita
il mondo del benessere psico fisico e della pienezza della vita, si affianca alla persona per aiutarla a
individuare scenari soddisfacenti cui indirizzare i criteri della scelta, non fonda l’efficacia del suo
intervento nell’appagamento del rapporto relazionale ma costruisce uno sguardo comune per
scandagliare il desiderio futuro, individuare le risorse necessarie, restituire una piena sovranità della
propria esistenza.
La terapia
L’intervento psicoterapeutico assume diverse e articolate conformazioni: molte le scuole di
pensiero, molti gli approcci clinici, molte le pratiche tecniche. Abbastanza frequenti i contagi e le
interazioni ma molto frequenti anche le rivendicazioni di una purezza originaria del pensiero e di
una ortodossia rimasta fedele.
Ogni terapia, peraltro, prende le mosse e motiva il suo intervento sulla base di una diagnostica, di
una verifica, cioè, quale ne siano gli aspetti, di una qualche patologia, di un danno, una disfunzione,
una rottura, una problematica che impedisce alla persona una normale esistenza. Alcune terapie
presuppongono che la consapevolezza, il prendere coscienza, sia basilare per poter guarire, altre si
rivolgono con maggior interesse a come si può stare meglio, prescindendo da una lettura causale del
malessere esistente, altre impostano degli interventi che non richiedono la partecipazione e il
coinvolgimento profondo della persona. Non casualmente la persona trattata viene comunemente
identificata come ‘paziente’, con esplicito e voluto richiamo all’attività sanitaria, clinica. Che,
appunto, va alla ricerca del danno, coglie il sintomo, fa una diagnosi e una prognosi secondo un
inquadramento preciso e verificabile, lo cura impostando un percorso verso la guarigione.
Essenziale, nella terapia psicologica o psicoterapia, la costruzione di una relazione fra lo
psicoterapeuta e il suo paziente che sia effettivamente un’alleanza capace in sé di veicolare e
rendere significativamente terapeutico l’operato dello psicoterapeuta stesso. È la relazione che dona
e garantisce senso ed efficacia ai vari movimenti tecnici, è il percorso che gradualmente permette ai
due partecipanti di riformare una nuova e diversa attuazione della persona che, poi, poco per volta,
si rivolgerà a una riconquistata autonomia.
Il tempo è fondamentale nell’azione terapeutica: viene letto nella costituzione del sintomo, si dipana
ad avvolgere l’andamento dei diversi incontri, li scadenza promettendo e istituendo ritualità, li
raccoglie in un percorso in qualche termine immaginato e previsto ma poi, ovviamente, divenuto
reale e unico nel suo stesso farsi. Lo psicoterapeuta conosce il suo metodo, applica la sua
impostazione scientifica, rende conto alla sua comunità riconosciuta per operare liberamente, in
questo quadro, facendo del suo lavoro con l’altro un percorso unico per una persona unica.
Nell’attesa di doversi rivedere in un percorso impostato concordemente, l’assenza o il ritirarsi del
paziente viene abitualmente letta come drop out o rottura del rapporto terapeutico, una sorta di
fallimento o denuncia dell’alleanza stipulata. Analogamente, viene prefigurata e poi realizzata la
conclusione del percorso, la sospirata ‘guarigione’.
Il coaching
2
L’intervento di coaching è anch’esso un intervento che dura nel tempo ma non necessariamente
deve prevedere una conclusione. Può essere interpretato come la pratica, e la diffusione, di un certo
stile di lavoro, uno specifico modo di guidare, di fare leadership, può essere un’attività esercitata dal
capo per sviluppare le capacità della sua squadra e ottenere, dunque, i risultati desiderati, può essere
un intervento dedicato a una persona in particolare per portare al massimo il suo rendimento
lavorativo. Il coach può anche porsi come riferimento, in qualche modo ‘maestro’ del più giovane,
(più precisamente il mentore in questo caso), oppure come tutor capace di impostare e seguire un
percorso di apprendimento e di crescita. Addirittura spesso si fa riferimento al coaching intendendo
rifarsi genericamente a ogni criterio ed esercizio di formazione. In sostanza, nel coaching ci si
affianca alla persona condividendo una buona conoscenza della sua personalità e del suo stile e
analizzando assieme le necessità e le occasioni offerte dal contesto, prima di tutto lavorativo ma
anche personale o personal professionale.
In ognuna delle sue possibili applicazioni, il coaching richiede e presuppone un forte interesse
all’apprendimento e alla crescita personale e professionale, in vista di una buona interazione nel
contesto lavorativo e anche come fattore di successo, cerca di modellarsi sulle caratteristiche e sulle
esigenze specifiche della persona coinvolgendola alla ricerca di una più piena auto consapevolezza.
Integra e assume il pensiero del ‘corso’ di formazione nell’idea di un ‘percorso’ permanente
intervallato da incontri, verifiche, supporti, autoformazione, studio, leve e occasioni da attivare
nello scorrere del quotidiano, addestramento personalizzato nel reagire agli ostacoli e
all’individuazione di risorse e soluzioni adeguate.
Orientato allo sviluppo delle conoscenze e delle capacità, il coaching ha sempre in mente
l’individualità della persona che tiene sott’occhio seguendola via via nella sua evoluzione facendo
della conoscenza della sua storia il serbatoio privilegiato degli strumenti da mettere in atto.
Il counseling
L’intervento di counseling è, invece, un affiancamento alla persona per guardare assieme al suo
quesito: uso questo termine perché mi piace pensare che ogni problema possa essere letto come una
domanda, ricordate i problemi che risolvevamo a scuola: se la mamma ha comprato x pere e y mele
che costano z, (i dati), ecco la domanda: Problema: quanto ha speso la mamma? Si guarda al
quesito con occhi diversi da quelli con cui già è stato studiato e analizzato, occhi orientati al futuro,
cercando di individuare le risorse necessarie affinché l’altro torni a essere protagonista autorevole
della sua vita.
Il counselor non si occupa di conoscere e riconoscere le forme del malessere né, tanto meno, della
patologia. Non fa diagnosi e non se ne cura, non perché non abbiano senso o non risultino utili o
vere: più semplicemente, per un intervento di counseling non sono rilevanti. Il counseling non è una
forma blanda di terapia che può essere utilizzata solo nei cosiddetti “casi lievi”: per queste
situazioni, sono già presenti e ben lucidate nel panorama scientifico, molte terapie e molti
succedanei della terapia. Il counseling può essere usato con qualunque persona che si trovi in un
dilemma esistenziale e che cerchi un appoggio per uscirne verso un futuro più appagante. Il
dilemma non richiede affatto necessariamente uno stato di malessere: ci si può interrogare se e
come sistemare i genitori anziani, se mandare un figlio in Australia per l’Erasmus, se accendere un
mutuo per avviare un’impresa, se cambiare lavoro, se vale la pena di restare in quel matrimonio, se
e come gestire una chemioterapia, come fronteggiare la menopausa o la caduta del desiderio …
Tutte questioni, tutti interrogativi che indubbiamente possono arrecare una quantità di dolore, di
sofferenza ma il dolore, la sofferenza non comportano un disturbo da curare, non è per nulla
scontato che richiedano un inquadramento diagnostico, che debbano essere riguardati e letti,
interpretati attraverso categorie in qualsiasi forma comunque riferite alla patologia. La fatica, la
sofferenza, l’incertezza, il dolore, sono esperienze vive e quotidiane, patrimonio indispensabile di
ciascuno di noi. Caratterizzano e scolpiscono la nostra esistenza, sono ciò che ci modella per come
siamo. Il counselor mette a disposizione la sua competenza, la sua energia, il rigore del suo metodo,
3
ciò che sa fare senza per questo dover ipotizzare una debolezza, una fragilità. Per costruire un
pensiero che cerchi la forza, che intercetti l’energia per dare vigore a un’esistenza, non è necessaria
una debolezza di partenza, una qualche minorità, l’asimmetria della relazione non significa affatto
che l’altro sia in posizione down rispetto al counselor. Anzi, non può darsi intervento di counseling
che non faccia leva, che non susciti, che non vada a stanare le energie: trascurate forse ma
preesistenti certamente.
4
Mi piace pensare che siamo alle soglie di un nuovo Rinascimento, quella figura d’uomo che da’ la
misura, al centro dell’universo, penso a Piero della Francesca e agli altri artisti, capaci di scambiare
con libertà e curiosità, di innovare, sperimentare, intrecciare conversazioni sulla tecnica, sul magico
‘come’, farsi contaminare dal pensiero altro e da discipline altre.
Mi sembra si possa dire che il tema più rilevante di oggi sia come la persona, nella sua più bella
pienezza e rotondità al centro di ogni evento e di ogni pensare, possa progettare e costruire assieme
ad altri. Lontano dalla triste cultura dell’appartenenza di cui, spero, la spaventosa tragedia della
guerra ci possa servire da monito mai da dimenticare.
Il glocalismo
Oggi il cosiddetto glocalismo, termine non molto elegante ma certo pregnante, fissa con forza la
necessità della persona unica, del contesto ravvicinato (pensiamo anche solo a tutta la cultura del
chilometro zero!), dell’ambito locale strettamente inteso, che vada a intrecciarsi con l’infinito
globale. Che si sappia articolare, nulla togliendo allo specifico di quel luogo, di quella persona, di
quell’esigenza o di quella necessità o interesse ma, anzi, ottimizzandolo proprio perché la si mette
in connessione con il mondo ampio del globale. Il comportamento attento al glocalismo parla di
verifica ecologica del proprio operare (santo Bateson ricordava che una macchina che funziona è
una macchina che cammina… e che non inquina), nella profonda consapevolezza che nella
5
relazione umana non può darsi che qualcuno vinca e l’altro perda: si vince tutti assieme o
tristemente ci si danneggia tutti. Così, anche l’antico adagio che la mia libertà finisce dove comincia
quella dell’altro mi sembra vada riformulato asserendo che la mia libertà comincia proprio dove
comincia quella dell’altro. Diveniamo custodi attenti della espressione della libertà, perché se tutelo
la libertà dell’altro, nello stesso momento garantisco la mia. La libertà non la si può dare, appartiene
alla persona. La si può solo togliere, soffocare, mortificare. La mia esistenza è custodita dall’altro.
La democrazia è aver bisogno del lavoro e del pensiero dell’altro affinché si attui il mio progetto,
affinché il mio stesso lavoro trovi successo e senso. Solo la dittatura pensa di poter fare a meno del
contributo dell’altro.
In questo mondo fatto di persone rotonde, piene, ricche e articolate nelle più svariate espressività,
pur nella conoscenza del disagio e della fatica che le scelte esistenziali e relazionali comportano, il
counseling cerca, coltiva e propone un pensiero di benessere.
Lontano dall’affidamento insaporito di debolezza o che colloca la persona quasi in uno stato di
minorità, il counseling è un rapporto libero e denso di speranza fra persone intere, adulte, capaci di
relazionarsi servendosi di un aiuto che è affiancamento, sostegno, tifo e condivisione. Un’alleanza
tra persone con piena cittadinanza, che costatano la trappola che imprigiona le forze e le capacità,
individuano nuove e diverse competenze per soluzioni differenti, fresche, progettuali. Il counselor
non desidera e non cerca la dipendenza e neanche la gratitudine dell’altro, tutto in tensione verso
una effettiva, sempre più grande autonomia e indipendenza, affinché l’altro divenga, o torni a
essere, protagonista della propria vita, inventore della sua esistenza unica e irripetibile.