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L’esistenzialismo

Caratteri generali
L’ESISTENZIALISMO

Oltre a essere una corrente filosofica, è un clima


culturale che ha caratterizzato il periodo compreso
tra i due conflitti mondiali e che ha trovato la sua
maggiore espressione nel periodo bellico e
postbellico.

Risulta definito da un’accentuata sensibilità nei


confronti della finitudine umana (distrutto
l’Assoluto, il super uomo).
Più in particolare, il sostantivo “esistenzialismo”
e l’aggettivo “esistenzialista” figurano in tutti
quei contesti di discorso in cui si vuole attirare
l’attenzione sugli aspetti limitanti o
tendenzialmente negativi della condizione
umana nel mondo: aspetti che l’esperienza
drammatica della guerra, con tutto il suo lascito
di orrori e di distruzioni, aveva contribuito a
rendere ancora più evidenti.
Alla delusione storica provocata dalla guerra, sulla
sensibilità esistenzialista ha influito la delusione
culturale nei confronti degli ideali e delle correnti di
pensiero ottocenteschi.
Scrive Pietro Chiodi (filosofo e partigiano italiano):
«La guerra, l’odio, la distruzione, il tradimento,
la sconfitta, l’amara vittoria, facevano emergere
gli scogli perennemente frapposti
fra il mare dell’esistere ed il porto dell’assoluto:
la morte, l’errore, la colpa,
il nulla, l’impotenza, il tempo»
Per tutti questi motivi, l’esistenzialismo fin
dall’inizio si è collegato con certe manifestazioni
letterarie in cui era più vivo il senso della
problematicità della vita umana, e tra queste, in
particolare, con l’opera di Fëdor M. Dostoevskij
e di Franz Kafka.

In Dostoevskij si può infatti scorgere il dramma


dell’uomo che, posto di fronte alle possibilità
della vita, è tenuto a sceglierle e a realizzarle
sopportandone il peso e la responsabilità.
Ogni volta, l’uomo, si ritrova al di là della vita
stessa, di fronte al proprio enigma che ritorna
continuamente e di fronte ad altre possibilità da
scegliere e da realizzare.

Kafka esprime nella propria opera il senso


negativo e paralizzante delle possibilità umane
che Kierkegaard aveva già messo in luce.
L’intera esistenza umana appare a Kafka sotto il
peso di una condanna imminente: sotto la
minaccia inafferrabile, e tuttavia certa e
ineliminabile, dell’insignificanza e del nulla,
minaccia che s’interrompe e si conclude soltanto
con la morte (Il processo).

I temi tipicamente kafkiani dell’insicurezza


fondamentale della vita, contro la quale non
valgono né ripari né rifugi (come per l’animale
della Tana).
Del richiamo incessante a una realtà stabile,
sicura, luminosa che continuamente si promette
e si annuncia all’uomo e continuamente gli si
nasconde e gli sfugge (Il messaggio
dell’imperatore, Il castello), della caduta
nell’insignificanza e nella banalità quotidiana
che tolgono all’uomo perfino il suo carattere
umano (Metamorfosi) sono l’espressione
letteraria di ciò che la corrente filosofica
dell’esistenzialismo cerca di chiarire
concettualmente.
Significativo, poi, è il caso dell’ermetismo italiano,
che, parallelamente alla nascita e all’affermarsi delle
filosofie esistenzialistiche, insiste, per proprio conto,
sui temi della solitudine, dell’illusione del vivere,
della morte, del mistero, dell’oblio, dell’irrevocabilità
del tempo ecc., riflettendo quella medesima atmosfera
storica e culturale entro la quale si inscrive
l’esistenzialismo.

Letteratura italiana: Ungaretti, Montale, Quasimodo


In senso «stretto» (filosofico), l’esistenzialismo
è un insieme di filosofie che, al di là delle loro
differenze, risultano caratterizzate da alcuni
tratti comuni:

• la riflessione sull’esistenza intesa come modo


d’essere proprio dell’uomo, diverso da quello
di tutti gli altri enti del mondo
• l’essere umano non realtà sostanziale e già data,
ma un ente che si trova di fronte a infinite
possibilità di realizzazione, le quali interpellano
la sua libertà, collocando le sue scelte ai due
estremi dell’autenticità e dell’inautenticità della
vita

• l’appello alla scelta e all’autenticità implica che


l’uomo viva come “singolo”, come un ente
individuato e irripetibile che risulta chiamato in
causa come tale (nessuno può decidere per un
altro come nessuno può morire per un altro)
• l’esistenza si trova sempre in una situazione
altrettanto individuata e concreta, racchiusa dalla
nascita e dalla morte e quindi segnata da dalla
finitudine e dal limite.
___________

L’esistenzialismo filosofico indica tutte quelle


forme di pensiero che, nel contesto storico e
culturale che va dagli anni Venti agli anni
Quaranta del Novecento, si sono trovate a
condividere la concezione dell’esistenza come
modo d’essere proprio dell’uomo.
Il modo d’essere dell’uomo è qualificato da alcune
prerogative di base, a cominciare dal rapporto con
l’essere (l’io, gli altri, il mondo, Dio); in relazione
a tale modo l’individuo, nella sua singolarità finita
e irripetibile, cioè situata nell’ambito di una
determinata condizione storico-temporale
compresa tra la sua nascita e la sua morte, è
chiamato a decidere, in vista della propria
autenticità e realizzazione.
La domanda, da cui parte il pensiero
filosofico di Martin Heidegger *,
è molto complessa:

che cosa è l’essere?

• Nasce il 26.09.1889 Masskirch, in Germania.


Muore a Friburgo di Brisgovia, Germania, il 26.05.1976
Prima di rispondere a questa domanda, Heidegger
ritiene che occorra innanzitutto analizzare cosa sia
l’ente che si pone questa domanda, ovvero l’uomo.

A questa ricerca (analisi) Heidegger


dedica l’opera
Essere e Tempo (1927)
(Sein und Zeit)

In questa opera Heidegger parte da un’analitica


esistenziale ovvero fa un’analisi delle caratteristiche
fondamentali dell’uomo.
L’uomo, nei suo tratti fondanti, è
descritto da Heidegger:

 Innanzitutto come ESSER-CI (dasein) = caratteristica


fondamentale dell’uomo è la sua esistenza, che si realizza
dentro a un certo tempo e un certo spazio. L’uomo, dunque, è
tale perché esiste.

 L’esistenza dell’esser-ci è caratterizzata dalla POSSIBILITÀ =


l’uomo ha davanti a sé indefinite possibilità da realizzare, che
si traducono nella possibilità di PROGETTARE.
 L’esser-ci, sommerso dalle possibilità di progetti
che gli si prospettano è dunque anche un ESSERE-
NEL-MONDO = è accerchiato da cose a cui dare un
significato utile alla realizzazione dei progetti.

 In quanto essere-nel-mondo che progetta, l’esser-ci


si distingue dalle cose del mondo = queste sono di
per sé delle semplici presenze, ovvero occupano il
mondo senza una consapevolezza di sé. L’uomo dà
però a queste semplici presenze un significato, le
trasforma in strumenti utilizzabili.
L’esser-ci posto davanti alle cose del mondo, gli attribuisce un
significato dunque. Ma per potergli attribuire questo significato,
vuol dire che l’uomo deve avere una COMPRENSIONE del
mondo = solo attraverso la comprensione si può infatti dare un
significato alle cose del mondo e renderle strumenti utilizzabili.

La comprensione proviene però, secondo Heidegger, da


una PRE-COMPRENSIONE originaria = l’uomo possiede già
degli strumenti della comprensione delle realtà che gli derivano
dalla famiglia, dalla società, dall’epoca storica a cui appartiene.
In tal senso ogni comprensione, dice Heidegger, è in realtà una
pre-comprensione. Lo strumento di pre-comprensione per
eccellenza è il LINGUAGGIO.
 A partire dalla comprensione (o ancora meglio dalla
pre-comprensione) si attribuiscono dei significati alle
cose, ovvero si attua la conoscenza = posta in tali
termini, la conoscenza è dunque, a tutti gli effetti,
una INTERPRETAZIONE.

 Ogni comprensione poi, è legata, a quella che


Heidegger definisce SITUAZIONE AFFETTIVA (gioia,
dolore, noia, angoscia, ecc…), ovvero una disposizione
emotiva.
 La situazione affettiva di base è legata al carattere
esistenziale che tutti gli uomini condividono e che Heidegger
definisce ESSERE-GETTATO = l’uomo è come gettato nel
mondo, ovvero si trova in una situazione esistenziale che non
ha scelto, non ha programmato egli stesso.

 La situazione affettiva dell’essere-gettato è quella


dell’ANGOSCIA, che rappresenta dunque una condizione
emotiva che potremmo definire originaria dell’uomo.
La Cura
L’uomo, oltre a essere un essere-nel-mondo, ovvero
circondato da cose attraverso cui articolare progetti, è anche
un ESSERE-CON-GLI-ALTRI: è inesorabilmente e
necessariamente in rapporti agli altri esser-ci.

Rapportarsi con le cose e con gli altri è definito da


Heidegger: AVERE CURA. Avere cura, nel vocabolario di
Heidegger, significa appunto l’entrare in relazione con il
mondo, “utilizzare” le cose del mondo.
L’avere cura degli altri può svolgersi secondo due modalità:

 Una modalità INAUTENTICA = è un porsi rispetto all’altro


sostituendosi ad esso, limitando la sua capacità di avere una
propria cura del mondo, e quindi di fatto diventando una
figura dominante (es. la modalità inautentica dell’avere cura
non è insegnare al bambino ad allacciarsi le scarpe, ma
continuare ad allacciargliele al suo posto).
 Una modalità AUTENTICA = è un porsi costruttivo rispetto
all’altro, un aiutarlo a trovare una propria autonoma
collocazione nel mondo, a diventare sé stesso.
 La cura rappresenta la condizione fondamentale dell’uomo.
Vita inautentica e vita autentica

 In quanto essere-gettato l’uomo si trova nella complessa


situazione di dover vivere in una esistenza che si fonda
sul NULLA. Di fronte a tale problematica, l’uomo deve trovare
strategie di comprensione del mondo.

 La prima, naturale, forma di comprensione del mondo


è inautentica nel senso che il singolo si adegua a comprendere il
mondo secondo gli occhi degli altri, in quella rassicurante e
anonima dimensione che Heidegger definisce del SI. In termini
semplici: è vivere secondo quello che comunemente si dice, si fa.
 Vivere nella dimensione del Si, fa cadere l’uomo in quelle
che il filosofo definisce le tre trappole:

 CHIACCHIERA = il parlare fine a se stesso, senza cercare


la verità nei nostri discorsi
 CURIOSITÀ = intesa come morbosità del vedere la vita
altrui
 EQUIVOCO = inteso come idea che la chiacchiera e la
curiosità ci dicano tutto, per cui ci culliamo nella falsa
illusione di dare un significato pieno alle cose.
 L’esistenza inautentica conduce l’uomo a una DEIEZIONE
= diventa una cosa fra le cose.
 L’alternativa all’esistenza inautentica è l’esistenza autentica

 Questa, per concretizzarsi, deve porsi il tema della MORTE. La


morte è, fra tutte le possibilità, l’unica che necessariamente
caratterizza l’esser-ci: è la possibilità certa, che nel suo
compiersi rende impossibile tutte le altre possibilità.

 In quanto la morte è per l’esser-ci quanto di più autentico ci sia


(autentico nel senso che appartiene all’uomo), assumendo la
morte come orizzonte inevitabile e il nulla come caratteristica
dell’esistenza, l’esser-ci assume la dimensione di un ESSERE-
PER-LA-MORTE.
 Essere-per-la-morte vuol dire assumere la morte come decisione
anticipatrice = non occorre attendere la morte concreta per fare
esperienza della finitudine dell’esistenza, ma averne già una
piena consapevolezza.

 Tramite questa consapevolezza, la voce della coscienza che è in


noi, come la definisce Heidegger, ci spinge a non vivere nella
dimensione del Si, ma attuare scelte che appartengono a un
progetto di vita che avvertiamo come nostro, proprio.
L’esser-ci e il tempo
 Da quanto detto finora, risulta come conseguenza che la
dimensione che rende possibile l’esser-ci, che ne determina
la natura, è il tempo.

POTREMMO ANCHE DIRE: 


L’ESSER-CI È IL TEMPO !!!
 L’esser-ci infatti vive nella triplice dimensione:
 Del passato = per via della sua condizione originaria
dell’essere-gettato
 Del futuro = in quanto essere progettante
 Del presente = che il momento in cui le cose del mondo
vengono usate per i progetti.
Essere e Tempo come opera incompiuta

 Essere e Tempo è un’opera incompiuta. Analizzato l’esser-ci


Heidegger avrebbe dovuto finalmente rispondere alla domanda
iniziale: cos’è l’essere?

Ma arrivato a questo punto della stesura Heidegger comprende


che gli manca qualcosa per rispondere a questa domanda: un
linguaggio adeguato. Il linguaggio che possiede gli deriva infatti
da una storia della filosofia che ha mancato di rispondere a
questa domanda.
 Quindi, prima di rispondere, occorre innanzitutto
riformulare i termini stessi della filosofia per trovare un
nuovo linguaggio.

 Occorre quindi aprire una nuova ricerca, che Heidegger


definisce KEHRE (svolta), e che lo porterà innanzitutto ad
affrontare un ripensamento della metafisica tradizionale.

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